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“Los cuadernos de don Rigoberto” o il manifesto
edonista di Mario Vargas Llosa alle prese con i
suoi “fantômes”.
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Quasi nove anni dopo la pubblicazione de Elogio de la
madrastra (1988), un breve racconto erotico nel quale è
messa in risalto la relazione tra la letteratura e la pittura,
Mario VARGAS LLOSA pubblica “Los cuadernos de
don Rigoberto”(1999), testo che potremmo definire come la
continuazione del precedente.
Entrambi i racconti si muovono intorno alla pittura e alla
ricreazione che di questa fanno i personaggi dentro l’ambito
erotico.
El Elogio de la madrastra è la storia di don Rigoberto, un
uomo maturo pieno di manie, ossessioni e feticci la cui
sessualità è costruita
sull’arte. Rigoberto è
sposato in seconde nozze con Lucrecia, una donna di età
matura, quarant’anni circa, che ha deciso di condividere
pienamente i comportamenti in verità poco comuni del suo
sposo; il conflitto centrale del testo si sviluppa quando
Lucrecia é coinvolta in una relazione incestuosa con il
figliastro Fonchito. Il romanzo successivo, Los cuadernos
de don Rigoberto, ruota intorno alla separazione di
Lucrecia e Rigoberto dopo che quest’ultimo scopre la
relazione che la sua sposa e suo figlio mantengono ancora
viva. Da qui la mancanza fisica di Lucrecia, costretta a
lasciare il lussuoso attico di Barranco per vivere nella sua
solitaria” segregazione” a El Olivar di San Isidro che il
marito si adopera per colmare questo vuoto attraverso tutta
una serie di episodi immaginativi nei quali Lucrecia è la
protagonista e che Rigoberto immagina si svolgano prima e
dopo la separazione.
Attraverso le parole di sua moglie Rigoberto va delineando,
in modo immaginario, la scena e propone un altro modo di
contemplare, un modo in cui la verbalità si trasforma in dipinti verbali.
Orbene, stimolato dall’immagine, don Rigoberto si compiace quando pensa di essere spettatore
delle scene erotiche e sensuali nelle quali Lucrecia è protagonista con altri, erotizza la
contemplazione sia di un quadro o di un’incisione così come le scene vissute da sua moglie nelle
sue fantasie. Esse sono il prodotto della fervida immaginazione di don Rigoberto e hanno origine
dalle stesse opere d’arte a sfondo erotico che Rigoberto custodisce gelosamente nel suo “bureau”. È
per questo che Lucrecia finisce per assomigliare ai modelli di queste immagini, prendendone le
pose, la gestualità per essere contemplata e ammirata da Rigoberto, soggiogato dalla costruzione
delle storie alle quali è presente come attento e curioso osservatore.
“Donna Lucrecia di tanto in tanto si muoveva lateralmente lenta, nell’abbandono di chi si crede al
riparo di sguardi indiscreti e mostrava al rispettoso Modesto, le sue spalle, le sue natiche e i suoi
seni. Infine allargò le gambe rivelando l’interno delle cosce e la crescente luna del suo sesso”.
Nella posizione dell’anonimo modello de “L’origine du monde” di Gustave COURBET (1966)
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don Rigoberto constatò, paralizzato per l’emozione, che l’esuberanza del bacino, la robustezza delle
cosce e del monte di Venere di sua moglie coincidevano quasi perfettamente con la donna priva
della testa di questo dipinto, gioiello della sua pinacoteca privata.
Rigoberto oscilla in mezzo a due mondi, paralleli e opposti: da un lato è impegnato a lavorare in
un’azienda di assicurazione, inserito nell’agiata società di Lima, dall’altro nell’intimità della sua
casa manifesta un lato della sua personalità che intende nascondere in pubblico. Don Rigoberto dà
libero sfogo nell’intimità del suo “studio” alle sue fobie, feticci e démoni sessuali e si dedica alla
contemplazione artistica. Cosicché, sottomessa la realtà ai dipinti che conosce e che contempla con
l’intensità sufficiente per ricordarli con precisione, non riesce a vedere poi nella concretezza niente
che non sia un ricordo o una memoria dell’arte. Durante le notti, Rigoberto cessa di essere il
funzionario zelante della compagnia di assicurazione per incarnarsi in qualche essere appartenente
al mondo della pittura, allo stesso tempo che Lucrecia
può trasformarsi alternativamente nella Dànae di
Auguste KLIMT o nella sposa del re di Lydia,
rappresentata nel quadro di Jacob Joardens: È in
queste fantasie che Rigoberto raggiunge la pienezza
sessuale.
Orbene, l’immaginazione, l’illusione, l’adozione di
ruoli è uno dei pilastri fondamentali nella costruzione
del testo. Cosciente di ciò VARGAS LLOSA
comincia il suo romanzo con un frammento estratto da
El Hyperion di HÖlderlin: “L’uomo è un dio quando
sogna e un mendicante quando riflette”.
La citazione presa da HÖlderlin, posta all’inizio del
romanzo, Los cuadernos de don Rigoberto, rileva
subito uno dei tratti distintivi del libro: il valore dell’immaginazione. Solo nel sogno l’uomo supera
le sue mediocrità, può affrancarsi dalla monotonia della sua vita ed elevarsi a una dimensione in cui
l’unica protagonista è l’immaginazione.É impossibile liberarsi dai propri fantasmi che, tenuti a
freno nel proprio inconscio, riemergono nel sonno, trasformati e subdolamente mascherati.Un sogno
ad occhi aperti è proprio quello cui si sottopone, con religioso fervore, il protagonista del romanzo,
don Rigoberto.
La sua storia è una finzione che si nutre di altre finzioni. Da quando la moglie era andata via, non
c’era notte in cui l’insonnia non lo spingeva ad alzarsi quando era ancora buio, “nel silenzio
complice della notte barranquina”, scrive Mario VARGAS LLOSA nel suo recente romanzo “El
Héroe discreto”, con il rumore del mare che si percepiva lontanissimo, per cercare tra le carte e gli
scarabocchi dello studio il balsamo per la sua nostalgia e la sua solitudine.
Il pensiero sempre rivolto a Lucrecia, don Rigoberto compie una vera e propria fuga dalla realtà e,
pensando e fantasticando, si appaga della sua attività immaginifica notturna a compensazione di una
realtà dolorosa difficile da sopportare. La realtà viene da Rigoberto filtrata attraverso le sue
conoscenze artistiche e letterarie, in modo da elevarsi dalla sua intrinseca mediocrità, divenendo
simile a un quadro o venendo assimilata ad un’immagine evocata da un episodio di un’opera
narrativa. Lucrecia, ad esempio, è per Rigoberto come la Dànae (1907)dipinta da Gustave Klimt,
come la modella de L’origine du monde (1866) di Gustave Courbet o
come la Maya desnuda di Goya ed ha una bellezza “delacroixiana”. O
ancora, Lucrecia e il suo spasimante Modesto, detto Pluto, arrivano a
Venezia in un “mattino impressionista, sole possente e cielo blu mare”.
Don Rigoberto, vedovo della prima moglie, ha grandi orecchie da Buddha
o da Dumbo, un naso bellicoso e senza vergogna ed è quasi calvo. In
concreto senza attrattive fisiche, è alquanto strambo ma di famiglia per bene e danaroso. Direttore
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della compagnia di assicurazione La Perricholi, sposa donna Lucrecia in seconde nozze e trascorre
felice ben dieci lunghi anni durante i quali condivide con lei passioni, fantasie e manie nella loro
lussuosa casa di Barranco.
Una casa e una biblioteca-bureau “ideale” pensate e immaginate dallo stesso don Rigoberto in
accordo all’idea tutta personale che ciò che è importante considerare nella costruzione di una nuova
abitazione non sono le persone che l’abiteranno e il loro confort quanto gli oggetti sparsi nei vari
locali. Era sorta una discussione di “carattere concettuale” tra lui e l’architetto incaricato di
elaborare un piano d’ideazione della nuova dimora. Un piccolo dettaglio, che per don Rigoberto è
assolutamente “indispensabile” e la cui realizzazione pretende la massima attenzione è il posto dove
situare il camino che secondo lui deve essere vicinissimo ai ripiani della biblioteca e alla sua
poltrona. Il numero dei libri e delle incisioni non è destinato ad aumentare ma il problema di don
Rigoberto é come intervenire per evitare il surplus e il disordine dei testi quando si dovrà inserirne
altri nuovi e più aggiornati. In altre parole, nel corso degli anni a ogni libro aggiunto alla sua
biblioteca corrisponderà l’eliminazione di un altro e ogni
immagine della sua collezione prenderà il posto di un’altra
non più significativa. Un tempo don Rigoberto dava le stampe
e i libri che considerava superati alle biblioteche e ai musei
pubblici, ora decide di seguire un altro criterio, quello di
bruciarli e da qui l’importanza del camino. Prese questa
decisione una notte in cui si apprestò a sostituire una bella
immagine del mare a Paracas di Szyszlo con una riproduzione
delle famose “boîtes”multicolori di Cambell’s Soup d’Andy
WARHOL (1928-1987), pittore americano e figura
predominante del movimento della Pop art.
Don Rigoberto confessa di aver provato “un vague de remords”, la stessa sensazione “d’ennui et de
gêne” che provò quando mandò alle fiamme decine di poeti romantici e indigenisti e altrettanti
artisti concettuali, astratti, informali, paesaggisti e pittori-ritrattisti per mantenere il numero
previsto della sua biblioteca e pinacoteca, convinto di esercitare la giusta critica letteraria e
artistica, “in modo radicale, irreversibile e combustibile”.
Questa forma di passatempo diverte assai don Rigoberto ma “non funziona per niente come
afrodisiaco”, confessa il direttore della compagnia di assicurazione, che lo considera “puramente
spirituale senza alcun riflesso sul corpo”. Don Rigoberto tiene a rilevare che la sua difficile scelta
di dare più rilevanza ai quadri, ai libri piuttosto che alle persone, contraddicendo vecchie tradizioni
di filosofia e di religione antropocentriche che davano all’essere umano la stessa dignità, rispetto e
interesse accordato alle cose materiali riflesse nelle immagini dell’arte e della letteratura, non è
frutto d’umore o di un atteggiamento cinico ma trae origine da un suo convincimento radicato nel
tempo derivante da esperienze ardue ma molto “gratificanti”. Non è il mondo dei”coquins
gesticulateurs” che interessa e attrae lo spirito edonistico di don Rigoberto, ma una miriade di esseri
animati dall’immaginazione, dai desideri e dall’abilità artistico - creativa, presenti nei quadri, libri e
incisioni che con pazienza e passione egli è riuscito a mettere insieme. Più che a Rigoberto, alla sua
sposa donna Lucrecia e al suo giovane figliastro Fonchito, la nuova casa di Barranco sarà destinata,
in accordo con l’appena elaborata filosofia, agli oggetti che con amore ha collezionato.
Per don Rigoberto, si doveva trattare di ”un piccolo spazio di civiltà”, definito orgogliosamente
anche ” son univers, gouverné par ses caprices”, una sorta di accogliente e sicuro rifugio fatto di
libri(quattromila volumi), quadri e stampe (un centinaio), incisioni, dischi e raffinate riproduzioni
collezionate con tanto zelo nella convinzione che in questo minuscolo territorio sarebbe stato al
riparo dalla mancanza di cultura, dalla frivolezza, dalla stupidità e dal vuoto.
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Per quanti sforzi avesse fatto per proteggere questa “fortezza di cultura, impermeabile alla barbarie
dell’ambiente circostante”, Don Rigoberto si era accorto assai presto e con amarezza che i veleni e
le brutture che comparivano tutti i giorni sulle pagine dei giornali scandalistici di Lima erano
penetrati anche nel suo “bureau”,”nel territorio dove ormai da molti anni si ritirava per vivere la
vita vera( El héroe discreto, L’edizione italiana, dal titolo Eroe discreto é apparsa da Einaudi,
2013, p.194), “quella che lo risarciva delle polizze e dei contratti della compagnia, degli intrighi e
della pochezza della politica locale, della mendacia e del cretinismo della gente con la quale era
costretto ad avere a che fare ogni giorno”(Ibid.).
Don Rigoberto si rendeva conto che questo “spazio salvifico, questa sorta di minuscola cittadella
edificata nel tempo e nello spazio con l’obiettivo di resistere all’attacco di quella forza istintiva,
violenta, distruttiva e bestiale che dominava il mondo” (Ibid. p.195) si manifestava fragile e
vulnerabile.
Il romanzo Los cuadernos de don Rigoberto
comprende nove capitoli e un epilogo. In ognuno di
questi troviamo alcune annotazioni di don Rigoberto
e una lettera anonima che sarà ritenuta importante
nella seconda parte del libro. L’azione dei
personaggi seguirà un suo percorso mentre quella
dell’immaginazione erotica ne seguirà un altro non
come sequenze opposte ma come un preciso e giusto
contrappunto, due facce della stessa medaglia.
In precedenza l’autore peruano utilizzò questa
strategia narrativa in La Tìa Julia y el escribidor
dove univa la storia dei protagonisti con i racconti
che Pedro Camacho scriveva e rappresentava alla
radio. In El elogio de la madrastra VARGAS
LLOSA presentava questo contrappunto con
l’utilizzo dei quadri della sua pinacoteca. Nei Los
cuadernos de don Rigoberto non appaiono le
riproduzioni
dei
quadri,
ma
essi
sono
minuziosamente descritti.
Don Rigoberto si rifugia nei suoi quaderni che ogni
notte, poco prima dell’alba, consulta fervidamente
alla ricerca di quel riferimento letterario o artistico
che l’ha interrogato nel buio e che costantemente ha
a che vedere con la sua adorata moglie. Alla ricerca,
inoltre, di un riferimento concreto alle fantasie, a
sfondo esplicitamente sessuale, che lo tormentano ogni notte e che vedono protagonista la moglie.
Fantasie che eccitano il suo desiderio e mortificano la volontà di continuare a vivere senza di lei.
Di Rigoberto conosciamo il pensiero proprio attraverso i suoi scritti. Egli si definisce”homo
urbanus fino alla consunzione delle ossa” poiché ama solo la Natura passata attraverso l’arte o la
letteratura, ma non la “Natura al naturale”, che sostituirebbe volentieri con la civiltà e città piene di
gallerie, musei, biblioteche, ristoranti, etc. Egli biasima chi pratica lo sport fine a se stesso e
giustifica la pratica sportiva solo come mezzo per trascendere la propria condizione animale,
attingendo al sacro e innalzandosi ad un piano di intensa spiritualità. Tranne gli sports da tavolo(con
l’esclusione del ping-pong) e da letto, gli altri per Rigoberto non sono che ostacoli allo sviluppo
dello spirito, della sensibilità e dell’immaginazione( e per conseguenza del piacere) e vorrebbe
ritornare all’epoca di Platone quando lo sport era un mezzo e non un fine.
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In materia di sesso don Rigoberto è molto chiaro, nel senso che è totalmente chiuso alla pederastia
attiva e passiva, non ha niente da dire su ciò che fanno gli omosessuali, ha piacere nel vederli felici
e li sostiene nelle loro campagne contro le leggi discriminatorie ma non può e non si sente di
accompagnarli oltre.
Rigoberto è inoltre ostile nei confronti delle associazioni e dei club più o meno prestigiosi perché,
secondo lui, l’associazionismo sottintende la disindividualizzazione e la robotizzazione
dell’individuo anziché promuovere l’individuo libero e sovrano.
La sua ostilità al genere associativo è così radicale che ha persino rinunciato a essere socio del
Touring Club automobile. Dagli anni in cui militava nell’Azione Cattolica, esperienza che gli ha
aperto gli occhi sull’illusione insita in ogni utopia sociale, spingendolo a difendere l’edonismo e
l’individuo, Don Rigoberto ha maturato un’opposizione, “una ripugnanza morale, psicologica e
ideologica” verso ogni forma di tirannia/servitù “gregaria”, tanto da sentirsi, facendo la fila davanti
al cinema, oppresso e privato della sua libertà, ricondotto alla condizione “d’homme-masse”.
La sola concessione che si era accordata era stata quella di iscriversi ai corsi di una palestra in cui
un istruttore, una specie di “Tarzan sans cervelle” faceva sudare lui e altri quattordici “idiots”, per
un’ora al giorno con esercizi proposti al ritmo dei suoi urlati comandi.
Il supplizio ginnico confermò a Rigoberto tutti i suoi pregiudizi contro l’uomo-gregge. Questo fatto
gli fece prendere coscienza che la specie umana deve essere “bien moutonnière” se pensiamo che
un qualunque dirigente è capace di portarla fino al bordo della scogliera e di farla poi saltare,
quando vuole, nell’acqua al solo comando. Cosa che è abbastanza frequente quando si ha voglia di
sterminare una civiltà.
Rivolgendosi poi ad un suo amico rotariano, don Rigoberto lo invita a riflettere su “une abominable
dégringolade” (un grande crollo) nella scala degli umani, da “individu souverain à individu-masse”.
La verità è che per Rigoberto se il mondo va verso la disindividualizzazione totale, occorre
proteggere il regno dell’individuo libero e sovrano e armarsi dei cinque sensi almeno per ritardare
questa deriva (déroute) esistenziale. Una lotta, sostiene l’assicuratore, che deve coinvolgere tutti al
fine di ripristinare la spontaneità, l’ispirazione, la creatività e l’originalità, concepibili solo a livello
umano.
L’obiettivo essenziale della vita umana consiste, secondo don Rigoberto, nella soddisfazione dei
desideri. “Io non vedo- sostiene don Rigoberto- per quale altra ragione noi saremmo qui a girare
come lente trottole nel grande universo. Ciascuno ha il diritto di avere i propri desideri ma se i più
cari desideri di un essere umano consistono a vendere assicurazioni e a aderire al Rotary Club,
questo individuo “Bipède” è un perfetto scemo”.
Perfino la religione è vista come coercitiva nei confronti della libertà umana, implicando “il
gregarismo processionale e la rinuncia dell’indipendenza spirituale”. Rigoberto si dice contro
l’istituzionalizzazione dei sentimenti e della fede ma a favore dei sentimenti e della fede.
Le sue lettere sono scritte in un linguaggio molto letterario, con sintassi complessa e affascinante e
sono dirette a destinatari che mai le leggeranno. In ogni lettera don Rigoberto rivendica il diritto a
vivere pienamente la sua individualità, i suoi piaceri e rigetta ogni pulsione collettivistica, sia essa
erotica o intellettuale, sportiva o artistica.
La prosa delle lettere è assolutamente perfetta: l’Autore dimostra raffinatezza e allo stesso tempo
una lucidità di scrittura disarmante.
Allo stesso modo delle lettere le fantasie di don Rigoberto, che fino alla fine sembrano descrivere
fatti realmente accaduti, rivelano un mondo molto personale. Un mondo in cui l’unica protagonista
è la “femme fatale”, la donna dei sogni, Lucrecia, quella moglie allontanata ma non persa, che
rivive, nei ricordi dell’uomo, di una carica erotica e trasgressiva nuova, di un desiderio di piacere e
di godere che va di là dalla sua vera natura. La scrittura qui diventa molto coinvolgente e evocativa
Ogni singolo evento raccontato crea una vertigine emotiva e intellettuale, vuoi per la carica sensuale
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di certe scene, mai volgari perché sempre e comunque intimamente personali e legate al vissuto e
all’intimo del suo creatore, vuoi per i continui rimandi che creano un gioco ad incastro divertente,
estremamente colto e raffinato, che unisce Neruda a citazioni di Carlos Onetti, Calderon de la
Barca a Retif de la Bretonne.
Da una parte le fantasie erotiche e le lettere, dall’altra la vicenda narrativa del romanzo centrato
sulla relazione che s’instaura tra Lucrecia e il piccolo Fonchito. Avuto dalla prima moglie, il figlio
Alfonso eredita dal padre la psicologia intricata, la fantasia vivida ma contorta, le manie e il potere
di sedurre. Bello come un arcangelo o un piccolo dio pagano, tutto di Alfonso sembra opera di un
esteta professionista. Cherubino vestito con la divisa della scuola, Fonchito sembra trasudare
virginea innocenza ed essere l’incarnazione della purezza e dell’innocenza mentre in realtà è un
demonietto ammaliatore ed opportunista che, con le sue perversioni e bugie, ha causato la
separazione tra il padre e la matrigna.
Il misfatto è solo accennato e mai descritto ma s’intuisce fin dalle prime pagine che la matrigna
deve aver tradito il marito con il ragazzino come peraltro si racconta nel precedente romanzo dello
stesso Mario VARGAS LLOSA, El Elogio de la madrastra di cui Los cuadernos de don
Rigoberto può essere considerato il “sequel”.
Alfonso, che all’epoca dei fatti narrati ha dieci anni ed è allievo dell’accademia d’arte, è
appassionato della pittura di Egon SCHIELE (1890-1918)1 pittore espressionista viennese morto
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Ergon SCHIELE nacque in Austria, a Tulln sul Danubio, il 12 giugno 1890. Poco apprezzato in vita
è considerato oggi come uno dei principali rappresentanti dell’avanguardia viennese dell’inizio del XX° secolo.
Studente alla scuola delle belle arti di Vienna fu notato da Gustav KLIMT, pittore già noto che sarà per lui un modello
da ammirare e un maestro molto influente. Grazie a questo incontro Egon SCHIELE poté conoscere alcuni ricchi
mecenati che gli assicurarono una certa tranquillità finanziaria già dai suoi esordi sulla scena artistica viennese. KLIMT
lo orientò verso l’Art Nouveau e lo introdusse nella sua Secessione di Vienna formandolo, sul piano figurativo, al
linearismo geometrico e tortuoso, molto decorativo e astratto. SCHIELE si staccò tuttavia dalla Secessione per
avvicinarsi all’espressionismo; in particolare conobbe da vicino l’opera di Vincent Van Gogh nel 1909. La grande
influenza dell’artista olandese si rese visibile nella “Camera dell’artista a Neulengbach”. Comunque SCHIELE
interpretò liberamente l’espressionismo, dando vita ad uno stile molto personale e non catalogabile: accanto a ritratti di
amici e autoritratti, viene rappresentata la fisicità del corpo attraverso un’aggressiva distorsione figurativa. Fino al 1912
Egon SCHIELE visse un periodo d’intensa attività artistica, dedicandosi ai ritratti di bambini, ai nudi erotici e ai
paesaggi, a questa fase appartengono “Bambine”, “Due bambine”, “Eros” e “Nudo femminile con capelli neri”.
Tuttavia la convivenza, senza matrimonio, con la giovanissima modella
Wally Neuzil e la
presenza di numerosi bambini nel suo atelier, scandalizzarono i bigotti abitanti di Neulengbach e nel 1912 SCHIELE fu
arrestato con l’accusa di violenza sessuale su una bambina e rapimento di una minorenne. L’accusa di rapimento si
risolse velocemente poiché Wally Neuzil era fuggita da casa di sua spontanea volontà; per l’accusa di libidine
SCHIELE dovette subire un processo e un periodo di carcere (tre settimane). Alla fine del processo, fu ritenuto
colpevole soltanto di aver esibito le sue opere, considerate pornografiche dall’ottusa pubblica autorità. Questa
esperienza segnò la sua vita. Ma SCHIELE tornò a Vienna e grazie al suo amico Klimt riuscì a tornare alla ribalta della
scena artistica austriaca partecipando a molte mostre internazionali.
Nonostante la morte prematura SCHIELE lasciò un’opera relativamente abbondante, per la maggior parte autoritratti e
ritratti nei quali manifestò in modo straziante la sofferenza umana. Schiele rappresenta la vita ricorrendo a corpi nudi e
umiliati, a volte autoritratti, in pose insolite e tormentate che richiamano sia il sentimento di morte sia l’erotismo. Il
disegno è molto netto con un tratto spesso e marcato, energico e sicuro, a volte persino violento.
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all’età di ventotto anni, al quale sente di assomigliare ed é convinto che avrà una fine tragica come
quella dell’artista, vittima come il suo amico e pittore anche lui Gustave KLIMT dell’epidemia
d’influenza che sconvolse l’Europa. Si perde nelle fantasie del suo pittore preferito coinvolgendo in
esse la matrigna Lucrecia e la sopettosa cameriera Justiniana e inducendole a interpretare per lui le
modelle dei quadri più scabrosi di Schiele.
In un gioco astuto e perverso d’inganni ed equivoci, Alfonso, ottenuto il perdono di Lucrecia per
aver causato la separazione, si adopera perché la matrigna e Rigoberto si riappacifichino e tutte e tre
possano tornare a vivere insieme nella grande casa di Barranco.
Anche dopo il tradimento, la relazione tra Lucrecia e Fonchito continua nell’ambiguità: l’attrazione
di Lucrecia per quell’angelico diavoletto del figlio di Rigoberto é forte così come sembra forte
l’affetto ingenuo e disinteressato di Fonchito per la sua matrigna. Il ragazzino è affascinato dalla
pittura dell’artista austriaco e nelle sue periodiche visite a casa di Lucrecia racconta tutto quello che
sa del pittore e invita Lucrecia a prendere le pose delle donne ritratte in alcuni dei quadri di Schiele:
pose sensuali e dal forte contenuto erotico. Nonostante gli iniziali scrupoli Lucrecia si lascia
affascinare dalla pittura dell’artista viennese, è consapevole della sua carica di morbosità e devianza
ma pur tuttavia le richieste del ragazzo, i suoi occhi e i suoi modi crudelmente teneri, la stregano e
la seducono.
La carica erotica del racconto è comunque sempre implicita e attenuata da una prosa che, a
differenza delle lettere di don Rigoberto, è più asciutta e diretta.
Il romanzo presenta continui cambi di prospettive: si passa dal racconto della relazione tra Lucrecia
e Fonchito alle lettere e alle fantasie di Rigoberto in un continuo alternarsi dell’uno con l’altro. Tale
gioco è poi reso ancor più complesso dalla presenza, inserita qua e là nel romanzo, di lettere
anonime che i due amanti, pur non conoscendone l’autore, sono convinti di ricevere l’uno dall’altra.
E rispondendo alle missive frivole, spiritose e giocose, Lucrecia inizia il processo di
riavvicinamento al marito che si concluderà nell’ultimo capitolo del romanzo dal titolo significativo
”Una famiglia felice”. Un felice quadretto familiare formato dal padre, dalla madre, dal figlio e
dalla domestica Justiniana uniti insieme da legami(si sospetta) anche carnali. Una famiglia
Nel 1915 SCHIELE lascia Wally e sposa
Edith Marms, figlia di un fabbro. Il
matrimonio gli donò la serenità e trasformò la sua ispirazione. Nonostante lo scoppio della prima guerra mondiale,
SCHIELE soffrì molto per la vita di caserma. Rimase a Vienna fino al 1918 dedicandosi all’organizzazione di mostre
che tenne a Zurigo, Praga e a Dresda.
A Vienna dipinse le sue ultime opere “La famiglia” e “Edith, la moglie dell’artista”.
Morì prematuramente il 31 ottobre 1918, vittima della febbre spagnola, tre giorni dopo la morte di sua moglie Edith,
incinta di sei mesi del suo primo figlio.
Per una conoscenza più dettagliata e più profonda di Egon SCHIELE uomo e artista di prima grandezza si rimandano
al testo di Jean-Louis GAILLEMIN, Egon SCHIELE, narcisse écorché, Éd. Gallimard, Série Arts N°475 e al libro di
Jane KALLIR, Egon SCHIELE, oeuvre complet, pubblicato nel 1900 e rivisto con l’aggiunta di altri contributi nel
2005. Una sorta di catalogo che ci aiuta a seguire la vita e l’opera intimamente legate dell’artista le cui rappresentazioni
che nel tempo non hanno perso il loro potere “dérangeant” mantengono intatte la sensibilità e la sensualità unite a un
temperamento artistico unico e notevole.
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perversamente felice e un’istituzione quella della famiglia che può sopravvivere a condizione,
secondo Mario VARGAS LLOSA, di rinnovarsi profondamente, di rompere gli schemi tradizionali
e introdurre al suo interno un maggior grado di libertà, di flessibilità, aprendo le porte
all’immaginazione, alla fantasia, ai rituali, alle cerimonie, a quella teatralità che è qualità
inseparabile dell’erotismo. L’amore é coltivato come un’opera d’arte.
Già nel racconto precedente, El Elogio de la madrastra, Mario VARGAS LLOSA ci presentava
un’interessante e avvolgente fusione tra sesso e arte, finzione e realtà mettendo in atto un
esperimento che cercava di fondere pittura e letteratura, la storia, infatti, aveva in un quadro il suo
punto di partenza. Nel successivo romanzo Los cuadernos de don Rigoberto il tentativo è più
sfumato ma c’è ugualmente la volontà di fondere la finzione letteraria e quella plastica. Sappiamo
che lo scrittore peruano ha sempre avuto un grande amore per la pittura al punto che, rispondendo
ad un intervistatore che sottolineava il profondo valore artistico e narrativo dell’uso delle immagini,
confessava che la pittura era il suo secondo amore. Il mondo della pittura l’ha sempre interessato
come finzione, come creazione, attraverso le immagini, di un mondo alternativo, parallelo a quello
reale. È ciò che esattamente fa la letteratura attraverso le parole. In questo libro Mario VARGAS
LLOSA ha utilizzato la sua memoria ed espresso i suoi gusti personali e i pittori che in esso sono
menzionati sono quelli che lo scrittore peruano ammira di più, che più lo hanno affascinato.
Con Los cuadernos de don Rigoberto, Mario VARGAS LLOSA sembra riscoprire una sensualità
d’altri tempi, tutta giocata sul racconto, sulla fantasia, così lontana dalla crudezza dell’erotismo
moderno. Egli ha cercato soprattutto di fuggire la volgarità che sembra invece sia diventata
inevitabile nelle moderne storie erotiche. In realtà la grande tradizione della letteratura erotica,
come quella dell’ottocento, non è per nulla volgare, ma molto raffinata, legata alla cura della prosa,
ai sofisticati rimandi culturali, all’esercizio della fantasia. È questa la tradizione che gli è piaciuto
riprendere, quella in cui è molto presente l’ironia che manca nella letteratura erotica contemporanea
troppo cruda ed eccessiva.
In questo come in altri romanzi di VARGAS LLOSA si ha l’impressione di stare vivendo un fitto
gioco misterico, non si ha mai la certezza che quello che accade è proiezione fantastica o realtà.
Questo e altri suoi libri sono tutti strutturati sul confine labile tra fantasia e realtà. Nell’erotismo
questa frontiera tende a sfumarsi, si tende a vivere il sogno all’interno della realtà o a trasportare la
realtà dentro il sogno. Questo è ciò che fa don Rigoberto, quello che per altri versi fa Fonchito e
quello che alla fine anche donna Lucrecia impara a fare.
Mario VARGAS LLOSA espone dunque la sua concezione del
sesso, una concezione quasi estetica e polemizza duramente con
le riviste soft - porno, tipo Playboy o Penthouse, accusandole di
massificare l’immaginario erotico. Per lo scrittore è nell’amore
che si esprime al massimo grado l’individualità dei singoli: non
esistono due persone che siano identiche nel campo dell’amore,
ognuno ha i propri fantasmi, le proprie fobie, i propri feticci, le
proprie affinità. Sono tutte cose che bisogna difendere perché
sono quelle che ci permettono di esprimere la nostra creatività, la
nostra differenza dagli altri. Quando si rinuncia a questo e si
accettano per esempio tutti quei prodotti massificati che Playboy
e altre riviste dello stesso tenore ci presentano come erotici, in
realtà, si cede alla mera pornografia. In questo modo noi
accettiamo che i nostri sogni personali siano sostituiti, traditi e
rinunciamo al diritto alla libertà individuale, a essere differenti e
unici. Ci trasformiamo così in una collettività che è manipolata
industrialmente dalla pubblicità e alienata dalla propria libertà.
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Don Rigoberto e con lui VARGAS LLOSA è angosciato dalla voracità del mondo moderno. E spara
a zero contro tutto ciò che vorrebbe assorbire l’individuo, convertirlo in un meccanismo puramente
sociale, industriale, economico con l’indignazione di uno spirito libertario che si sente minacciato
dalla macchina della modernità e con molto humour, “perché l’humour è il migliore degli
ammortizzatori contro la truculenza, il melodramma, l’eccesso”,
Contesta inoltre la visione democratica degli accoppiamenti collettivi propugnata dal poeta beatnik
Allen GINSBERG i cui argomenti e ragionamenti in favore degli accoppiamenti collettivi
nell’oscurità delle piscine, con il pretesto che questa promiscuità è democratica giacché permette
con il favore delle tenebre egualitarie, che la brutta e la bella, la magra e la grossa, la giovane e la
vecchia abbiano le stesse possibilità di godere, sono ritenuti assurdi da Rigoberto per il quale la
democrazia riguarda la dimensione civile della persona, mentre l’amore, il desiderio, il piacere
appartengono, come la religione, alla sfera privata, in cui ciò che è importante, sono soprattutto le
differenze e non le coincidenze con gli altri.
“Il sesso non può essere democratico- afferma don Rigoberto nella Lettera al lettore di “playboy”
o il Trattato minimo d’estetica- perché non si può risolvere in funzione di una maggioranza. Io ho
le mie fantasie- continua l’assicuratore di mestiere-, che sono solo mie e ho diritto di rivendicarle,
anche se sono inaccettabili per la maggioranza; esso è elitista e aristocratico e una certa dose di
dispotismo è spesso indispensabile”.
Per Rigoberto “l’erotismo è un gioco privato(nell’alta accezione che dava alla parola il grande
studioso e storico olandese Johan HUIZINGA) al quale possono partecipare l’Io, i fantasmi e i
giocatori e il cui successo dipende dal carattere segreto, impermeabile alla curiosità pubblica”.
Lo scrittore premio Nobel afferma quindi il diritto di rivendicare le fantasie in tema di sesso.
Risolverle in funzione di una maggioranza è quanto di più inaccettabile ci possa essere. L’unica
limitazione che l’Autore si riconosce, è che non causino danno agli altri, non generino violenza.
Quanto al resto, nessuno ha il diritto di imporre un gusto, una forma, un modo per quel che riguarda
l’amore. Ognuno ha il diritto di scegliere con la massima libertà gusti e valori anche contro le
indicazioni della maggioranza. Un diritto alla differenza assoluta e un inno all’Individualismo.
Prof. Raffaele FRANGIONE
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