non fa 90 - Infoteca
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non fa 90 - Infoteca
metropoli Testo: Lucia Canino e Sergio Dagradi Foto: Giorgio Vianini Milano I n tutte le città, specie se grandi, esistono - e resistono - mezzi di trasporto pubblico (linee di autobus, metro, tram, ecc.) divenuti in qualche misura «famigerati» per essere balzati alla ribalta delle cronache per fatti incresciosi, per il reiterarsi di azioni criminose più o meno gravi di cui sono stati scenario. O, in senso positivo, «mitologici» o addirittura «letterari», per gli spunti di ispirazione che possono offrire, per gli squarci o gli spiragli sull’esistenza umana che possono aprire alle più disparate fantasie - dalle meno alle più illuminate e lungimiranti - e per le riflessioni sociologiche ed esistenziali che possono suscitare. In Italia certo non mancano. A Milano, uno di questi mezzi è la 90/91, circolare esterna della città. Si tratta di una linea che ha accompagnato e accompagna al lavoro quotidiano migliaia di italiani e oggi è un mezzo imprescindibile anche per una quota crescente, in alcuni orari addirittura maggioritaria, di non italiani. IDENTITÀ E LEGALITÀ Definita da alcuni come il «filobus della paura», la 90/91 è stata anche teatro di battaglie politiche (come quelle condotte, ad esempio, dal leghista Matteo Salvini che, traendo spunto dalla «fauna» che popola la linea, propose vagoni riservati ai milanesi sui mezzi pubblici di Milano), specie di chi vuole dimostrare come gli autoctoni italiani siano accerchiati e minacciati da un «altro» fatto di stranieri impadronitisi di questo mezzo. Insomma l’autobus come metafora di una madrepatria assaltata e assediata, depredata di ciò che è suo e defraudata della sua natura e territorialità «nostrane». Pare che i controllori disertino volentieri questo filobus e i conducenti tendano a considerarlo più adatto 36 Popoli giugno-luglio 2013 La paura non fa 90 Nella Milano sempre più multietnica c’è una linea di trasporto pubblico che, più di altre, gode di una pessima fama. Ma oltre le ombre (alcune solo presunte) si colgono anche i risvolti positivi di un insolito laboratorio di convivenza per i colleghi che devono fare ga- cose, fonte di ispirazione artistica. vetta. La 90/91 sarebbe quindi una L’esempio più significativo è forse scuola formativa e molto dura, o un quello di Ben Harper, celebre cantan«obbligo non derogabile» per ragio- te e chitarrista statunitense: in un’inni di turno, che richiede attitudini tervista racconta di essersi seduto sui spiccate di gestione dell’imprevisto, sedili più in fondo, con cappellino come di situazioni critiche o di ten- calato sugli occhi, intento a scrutare sione, specie negli orari volti e situazioni tipicapiù tardi e brumosi. mente «di strada», indizi Definita da In questi scenari con- alcuni il «filobus di un vissuto poco patitroversi, e proprio per della paura», nato che diviene sostanqueste caratteristiche la 90/91 è stata za di testi e canzoni che di luogo «clandestino», usata da chi non vogliono parlare di questo filobus è stato vuole dimostrare esistenze «da rotocalco», considerato, tra le altre che gli italiani ma di vita vera. sono minacciati da un «altro» fatto di stranieri Il percorso della 90/91 è sicuramente periferico: passa per la Stazione Centrale, percorre viale Jenner, attraversa via Mac-Mahon per arrivare a piazzale Lotto, ferma in piazzale Cuoco vicino al mercato ortofrutticolo, passa per via Molise, dove si trovano le case popolari, percorre viale Romagna: insomma, quelle che vengono definite «le vie del disagio». Ma, se si guarda una mappa di Milano, si capisce che il tragitto non è così periferico in termini geografici come le cronache potrebbero o vorrebbero far credere. Tutto popolate dalle principali etnie del mondo globalizzato, tanto temuto da gran parte del popolo italiano e non solo. E non può non richiamare l’attenzione l’ordine di dislocazione «naturalmente» e quasi istintivamente rispettato dai passeggeri: italiani soprattutto nella prima carrozza, «resto del mondo» prevalentemente nella seconda. E, guardando meglio, specie fuori dalle ore di punta, si nota questa ulteriore tendenza: in fondo il Sud del mondo, cioè i neri, poi gli arabi, i latinoamericani nel quello che se ne dice e se ne legge è sicuramente vero, ma in molti casi trascura pezzi di «realtà concreta» che riguardano questo filobus. Ed è questa realtà che vorremmo raccontare, escludendo dall’analisi i fatti che, tristemente a pieno titolo, sono già oggetto di cronaca. punto di giunzione tra le due carrozze, poi gli orientali e gli slavi, ancora alcuni outsider soprattutto arabi e latini, e finalmente gli autoctoni italiani, quasi a cingere e confortare l’autista, o a chiederne la protezione e invocarne la guardia. Un istintivo percorso «dal nero al bianco» orchestrato magistralmente, anche se in assenza di un direttore. Cosa può spingere, in assenza di un vincolo dichiarato, i singoli passeggeri a disporsi autonomamente a zone? Ragioni, per esempio, di condivisione della lingua: È LA GLOBALIZZAZIONE, BELLEZZA! L’impatto visivo, appena si sale su questo mezzo, anche fuori dagli orari più critici, è forte: due carrozze, dunque un filobus doppio, unico modo o quasi per poter chiedere e ricevere informazioni, sempre preziose per chi si sposta, specie se in terra straniera. E soprattutto ragioni di condivisione di modi di relazionarsi agli altri, di vestire, di vedere il mondo, dunque di valori, di schemi di ragionamento, e quindi, con una sola espressione, di una comune «antropologia culturale». Così, sembrerebbe che oggi, in Italia, in questo piccolo esempio di realtà milanese, per gli stranieri insieme con i loro ospiti italiani, non si sia fatta la strada sufficiente sul difficile percorso de l l’i nteg r aSeduti in fondo i zione: ogni coneri, poi gli arabi, i munità contilatinoamericani nel nuerebbe, nelpunto di giunzione la sostanza, a tra le due carrozze, fare storia a sé. poi gli orientali Vi sono però e gli slavi, e lunghi interfinalmente gli valli di tempo autoctoni italiani, in cui i confini quasi a cingere e si rompono e confortare l’autista le persone, di qualsiasi razza, si trovano a mescolarsi e coesistere fuori da schemi geografici predeterminati. Avviene, naturalmente, nelle ore di punta, o quando il filobus non passa da parecchi minuti, quando cioè non è più possibile esercitare una scelta, né istintiva né consapevole, su dove collocarsi. Questa mescolanza si manifesta dunque, prevalentemente, come conseguenza di una contingenza in qualche modo coercitiva. Ed è allora, nel reale momento di contatto, che emergono attitudini, idiosincrasie personali o confronti culturali altrimenti neppure ipotizzabili. Ci si scambia sguardi, frasi, si rimane silenti e assorti o si avviano piccoli dialoghi. E nel contatto con l’altro cosa succede? Che le previsioni più scontate vengono spesso rovesciate e disattese, che il confronto impossibile diviene possibile, o che quello «scontato» tarda a palesarsi. Come dire che una cosa è ciò che si giugno-luglio 2013 Popoli 37 metropoli Immagini lungo il percorso della 90/91, a Milano. A questa linea di filobus è dedicato anche un blog, curato dalla giornalista Marta Zanella. pensa, o si pensa di essere, e un’altra è ciò che semplicemente si è. Così accade che anche a un «naso progressista» sembri davvero troppo l’odore che stagna tra i sedili e nel corridoio stipato di gente, tra cui muratori stranieri che rincasano in un pomeriggio caldissimo d’estate, tanto da far sbottare platealmente Nel contatto il proprietario di con l’altro cosa quel naso. Oppusuccede? Che re succede che il le previsioni soggetto italiapiù scontate no più assetato vengono spesso di federalismo, rovesciate e partito a comdisattese, che mentare i disagi il confronto di chi si sposta impossibile con i mezzi pubdiviene possibile blici, alcuni in particolare così pieni di forestieri, trovi il suo più alleato interlocutore in un arabo cortese che ne capisce le traversie, e che lo ascolta anche in ragione dei suoi capelli bianchi, e quindi della venerabilità e del rispetto sempre dovuto agli anziani. TRA CONTINGENZE E CONTRARIETÀ Sui sedili della 90/91 non siedono solo «italiani» e «stranieri», ma anche (e in certi casi soprattutto) persone definibili del ceto medio (italiane o straniere) e persone povere quando non totalmente indigenti ed emarginate (anch’esse italiane o straniere). È questo un altro contat- to «impossibile», forse il più ostico. In particolare, il binomio poverostraniero risulta tra i più dequalificanti, in una società che tende a stigmatizzare entrambi gli elementi che lo compongono, e a considerarne addirittura eversiva la commistione. Spesso alle due componenti se ne aggiunge una terza: la tarda età. Immediatamente, al poverostraniero-vecchio si aggiungono, senza che la persona appaia aver fatto nulla per meritarsele, altre qualificazioni: solo, abbandonato, reietto, senza dimora, senza diritti (neppure a sedersi sul sedile di un mezzo pubblico, neppure a salirci, se appena fosse possibile impedirlo). Eppure - e anche questa è cronaca - l’ora di punta modifica i connotati persino di questa coesistenza impossibile. La vicinanza forzata sulle prime spaventa, un poco indigna, esaspera, ma poi anche, non di rado, rabbonisce e avvicina davvero: un posto a sedere che viene ceduto (spesso e volentieri, occorre riconoscerlo, il «buon esempio» viene dato proprio dagli immigrati), espressioni che iniziano fredde e trattenute e terminano in sguardi reciproci che si fanno più distesi, quasi sorridenti. Il tema dei posti a sedere che vengono ceduti, inaspettatamente, nella gelida e cinica Milano, merita tra l’altro un breve approfondimento. Chi viaggia anche su altri mezzi e in altre città sa bene di quanta spietata competizione sia oggetto la «presa del posto». Questa competizione è accentuata dal fatto che tra gli italiani sembrano andare scomparendo le buone maniere. Di contro, sulla malfamata 90/91 si contano quotidiane disinteressate «cessioni del posto». Forse perchè quelle stesse buone abitudini permangono ad esempio presso molti arabi, diventando motivo di imitazione per gli altri utilizzatori della linea. Toccati nell’orgoglio, anche i più sopiti dal punto di vista di una QUANDO IL BUS È UNA BABELE: ALCUNI ESEMPI NEL MONDO C ittà tra le più cosmopolite, Parigi ha numerosi mezzi di trasporto pubblico in cui è possibile incontrare una straordinaria pluralità di culture e nazionalità. Tra questi, particolarmente nota è la linea 13 della rete metropolitana, che attraversa la città unendo quartieri molto diversi, dai più ricchi e chic a banlieues come Saint-Denis o Asnières-Gennevilliers. A questa linea è dedicato anche un libro, 38 Popoli giugno-luglio 2013 Ma ligne 13, di Pierre-Louis Basse. U n viaggio sul bus B68, che percorre le cinque miglia di Coney Island Avenue, a Brooklyn, equivale a un piccolo giro del mondo. Alle varie fermate salgono e scendono ebrei ortodossi e donne musulmane, immigrati messicani e pachistani, bianchi e neri, persone provenienti da Paesi in guerra tra loro che siedono vicine senza problemi. Per la sua particolarità, in una città già in sé unica come New York, la B68 ha attirato l’attenzione di sociologi, giornalisti e fotografi. N el suo dedalo di stradine convivono circa 90 nazionalità: siamo a Lavapiés, il quartiere più popolare e multietnico del centro di Madrid. Meta, in passato, di un’immigrazione interna alla Spagna, nell’ultimo decennio qui sono arrivati 15mila stranieri, circa la metà della popolazione. Inevitabilmente un viaggio a bordo della linea 3 della metropolitana, che qui ha una delle sue fermate, restituisce il clima di questa Babele. basilare educazione non lascereb- che è meglio (ma per chi, e perbero più in piedi un anziano, né ché?) non valicare. Come a dire rifiuterebbero il proprio aiuto a una che le persone di qualsiasi provenienza, quando interagiscono, mamma con passeggino. Si genera così un piccolo e pro- lo fanno spesso meglio di quanto mettente circolo virtuoso: in tanti i loro governanti o aspiranti tali possano immaginare, altri si dà inizio alla prospettare o progetcessione del posto, se Può capitare, tare, rivelando risorse ne ricordano improv- sulla 90/91, e capacità sorprendenti visamente le ragioni, le di incontrare specie per chi non le si ridà un senso, l’unico gruppetti ha mai viste o volute che possa avere, che composti da vedere all’opera. parla di cortesia, e forse lavoratori Abbiamo mai incon- almeno un poco - an- «nostrani» e trato sulla 90/91 un che di solidarietà. stranieri che politico o un amminiAncora, può capitare si raccontano stratore locale che non sulla 90/91 di incontra- e condividono volesse solo richiamare gruppetti composti esperienze re l’attenzione sui fatda lavoratori ultrapati più incresciosi ed dani o valligiani «noeclatanti, sui pericoli strani» e da stranieri di diverse provenienze che si rac- e le divisioni, tacendo della vita contano e condividono esperienze quotidiana di questo mezzo e di non solo lavorative, ricordi, scher- tutto quello che di non negativo zi, opinioni di ogni genere, come può contenere? davvero raramente capita di vedere su altri mezzi pubblici o in luoghi CAPOLINEA: della città meno controversi e in SI PREGA DI SCENDERE! In conclusione: siamo partiti dalle qualche modo più impersonali. Dunque la contrarietà o la con- considerazioni sull’autobus diviso a tingenza, ad esempio quella di zone, e siamo arrivati al confronto condividere esperienze fortemente possibile che prima pareva imposidentificanti come il lavoro, dove sibile. Cosa unisce e può rendere generalmente i colleghi non si coerenti queste due osservazioni scelgono, ma sono quelli che «toc- visibilmente in contrasto? cano in sorte», sembrano unire più Mezzo reietto e per reietti, far west spesso di quanto non dividano, ancora nella cinta urbana, nonanche a dispetto di ideologie e luogo, o al contrario luogo molto stili di gestione del territorio e del identificato specie dalle cronache Paese che pongono con insistenza locali, posto «maledetto» popolal’accento sui confini invalicabili o to da malavitosi veri o presunti tali, teatro di contrasti forti, di tensione dialettica (e non solo) tra mancata integrazione e segni di cortesia quotidiana, di vivere civile tra culture diverse, servizio pubblico che accompagna anche chi non ha un luogo veramente «suo» dove andare, scenario di retate reali (o progettate, o minacciate) delle forze dell’ordine per fare piazza pulita nella metropoli, e allo stesso tempo luogo di lavoro troppo difficile e per quanto possibile disertato da controllori e conducenti, la 90/91 sembra definirsi soprattutto come una realtà multiforme e piena di contrasti. Il contrasto principale ci sembra quello tra segni di una integrazione troppo poco ricercata e realizzata da una parte, e, dall’altra, segni anche se abbozzati e primordiali di una integrazione forse un giorno possibile, magari anche al di fuori di contrarietà o contingenze che la impongano. Resta senz’altro da riporre speranze nel fatto che anche questi segni vengano colti dalla collettività e da chi questi mezzi li conosce probabilmente troppo poco, come politici e amministratori locali. La logica e il comune buon senso indicherebbero che invece di fomentare paure, peraltro già presenti, sarebbe bene incrementare la consapevolezza e la conoscenza della realtà con le sue sfaccettature. Da una parte esiste il rischio di atti illegali, commessi dalla criminalità, che in quanto tale va perseguita anche più efficacemente di quanto già non si faccia; dall’altra vi è la possibilità di pensare a modelli di coesistenza possibile, in termini realmente civili e sereni, con tutto il mondo di «altri» che sono presenti oggi in Italia (siano stranieri in terra straniera o stranieri in patria come i poveri e gli indigenti del nostro Paese), e che con quella criminalità non vanno mai confusi. giugno-luglio 2013 Popoli 39