documentari su Burri, De Chirico e Le Corbusier

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documentari su Burri, De Chirico e Le Corbusier
24 A G O R À c u l t u r a
Martedì
20 Ottobre 2015
Genova. Il fascino e le suggestioni
Roma. Arte e architettura: documentari
Roma. I giovani, la crisi e il desiderio
dell’Equilibrio al Festival della scienza
su Burri, De Chirico e Le Corbusier
di riscatto al Salone dell’editoria sociale
partita ieri a Roma la nona edizione del Festival internazionale di documentari su arte e
architettura, curato dall’associazione culturale Art Doc e promosso dal comitato tecnico
scientifico della casa dell’Architettura, dove si tengono le proiezioni e gli incontri ogni sera dalle ore 18,
Le Corbusier
fino al 23 ottobre. Il programma di quest’anno propone documentari su architetti e designer come Eileen Gray, Franco Palpacelli, Tobia Scarpa e artisti tra cui Alberto Burri per l’anno del suo centenario, Massimo Catalani, Giorgio De Chirico, Jan Fabre, Alberto Garutti,
Claes Oldenburg e Giuliano Vangi. Questa sera si tiene una serata speciale
per rendere omaggio a Le Corbusier, per i cinquant’anni dalla morte.
ioventù bruciata. Tra crisi e
riscatto è il tema del Salone dell’editoria sociale, al
via a Roma il 22 ottobre fino a domenica 25; giunto alla settima edizione, è promosso da Edizioni dell’asino e dalla rivista Lo
Straniero, associazioni Gli Asini e
Lunaria in collaborazione con l’agenzia Redattore sociale e Comunità di Capodarco. Oltre 40 gli eventi, dalle presentazioni di libri
ol suggestivo titolo Equilibrio,
inizia giovedì e si chiude il 1°
novembre la sedicesima edizione del Festival della scienza di Genova. Un concetto, quello di
equilibrio, che verrà affrontato in
conferenze, laboratori, mostre e spettacoli, con l’obiettivo di raccontare la
scienza in modo coinvolgente. Oltre
al ministro della Difesa Pinotti e al
ministro sull’Istruzione Giannini ci
sarà l’astronauta Samantha Cristofo-
C
retti. Molti gli ospiti internazionali: il
premio Pulitzer Jared Diamond, il genetista Tim Spector, l’astrofisico John
Barrow; lo psicologo Laurence Steinberg (che parlerà del cervello degli adolescenti, al centro del suo ultimo
saggio), Mark Miodownik, ingegnere
dei materiali. Ma anche il filosofo Giulio Giorello, il fisico Giorgio Parisi e
Tomaso Poggio, direttore del laboratorio di intelligenza artificiale del Mit
di Boston.
È
G
alle tavole rotonde, in programma
a Porta Futuro, in via Galvani 108.
Fra gli ospiti, la sociologa Saskia
Sassen, docente alla Columbia University di New York, e l’attore Valerio Mastandrea, che verrà intervistato dal critico Goffredo Fofi nella sera conclusiva. Sabato 24 alle
16 don Vinicio Albanesi, don Giacomo Panizza e il vaticanista Iacopo Scaramuzzi interverranno su
"Un papa e la sua Chiesa". (L.Bad.)
Rivelazioni. La singolare storia di un falso a sanguigna di Monna Lisa
commissionata dall’autore del famoso "ratto" del 1911 a un amico ticinese
GIOCONDA Dal furto
alla copia dal vivo
ROBERTO FESTORAZZI
tregati da una donna, ma non in
carne e ossa: una dama dipinta.
Questa è la storia, scoperta dall’autore di questo articolo, di due
uomini avvinti dal potere di fascinazione di un’opera d’arte diventata famosa grazie al gesto eclatante di un furto che ha eccitato la fantasia di Gabriele D’Annunzio, di Picasso, di Apollinaire e di molti altri artisti e intellettuali, inclusi registi di cinema.
È la storia del furto della Gioconda, una vicenda tortuosa che include, oggi lo sappiamo, un capitolo rimasto sepolto per oltre un
secolo. I protagonisti di questo retroscena,
che viene finalmente alla luce, sono due amici. Uno è Vincenzo Peruggia, un emigrato
italiano originario del paese di Dumenza, in
provincia di Varese, al confine con la Svizzera. È lui l’autore del ratto del dipinto leonardesco, staccato da una parete del Louvre la
mattina di lunedì 21 agosto 1911, per finire
in balia del suo sequestratore per oltre due anni, fino a quando, nel dicembre del 1913, la
polizia italiana non lo recupera, a Firenze, facendo scattare le manette ai polsi del ladro.
L’altro uomo è un suo collega decoratore svizzero, che abita appena al di là della frontiera, nel villaggio confinante con Dumenza, Astano, nella landa ticinese del Malcantone.
Proprio a lui, Peruggia affida il compito più
delicato: quello di ritrarre la Gioconda, dal
vivo, cioè in presenza dell’opera originale. A
che scopo? Non certo per fabbricare un ennesimo falso, quanto piuttosto per lasciargli
il ricordo imperituro della donna che ama. Una femmina più palpitante e vera delle tante su cui ha posato il suo sguardo di rubacuori. Una dama che ha sedotto l’umanità
con quel suo ambiguo accenno di sorriso,
con la sua composta e segreta armonia.
Certamente, a Peruggia, Monna Lisa dovette scottare, tra le mani, con il trascorrere del
tempo. L’artigiano dumentino credette di riscattare l’onore proprio, e quello di tutti gli italiani emigrati in Francia, rubando il quadro
che riteneva erroneamente essere frutto delle razzie napoleoniche nella Penisola. Il suo
atto assomiglia tanto a una delle provocazioni futuriste in voga all’epoca. Ma si sbaglia
a credere che Peruggia fosse animato soltanto
da nobili ideali patriottici. Coesistevano, in lui,
Mentre la disegna, Marco
de Marchi, in arte "Richin",
si invaghìsce dell’opera
leonardesca affidatagli da
Vincenzo Peruggia e le scrive
versi strampalati e innamorati
in cui la chiama col
diminutivo, come si fa con
la "morosa". Quando l’amico
viene arrestato lui fugge
in Argentina. Fa ritorno anni
dopo tenendo nascosto
il suo segreto. Scoperto
il disegno, un nipote
ne ha ricostruito la vicenda
S
IL LADRO. Vincenzo Peruggia, autore del furto
anche propositi più venali: tanto è vero che
si recò a Londra, con l’opera vinciana, per
tentare di venderla a un mercante inglese. Alla fine, su suggerimento di D’Annunzio, ripiegò sull’antiquario fiorentino Alfredo Geri, che fece però scattare la trappola con l’intervento della polizia.
In tutto questo rincorrersi di peripezie al limite dell’incredibile, si intarsia la vicenda dell’intervento del suo amico elvetico, vale a dire il copista. Si tratta di un personaggio che il
pubblico non conosce: il suo nome è Marco
de Marchi, in arte "Richin". Nato nel 1884,
tre anni più giovane del Peruggia, "Richin"
frequenta la scuola di disegno di Dumenza,
ai cui corsi è iscritto anche Vincenzo. Guadagnatosi il diploma di adornato, de Marchi
va a Milano a perfezionare la sua mano, all’accademia d’arte di Brera. I due compagni
poi si separano. Peruggia emigra in Francia,
mentre "Richin" raggiunge il fratello Quinto
a Buenos Aires, per dedicarsi alla decorazione del palazzo di governo, del Teatro Colón e
di altri importanti edifici della capitale argentina. Nel 1905, i due fratelli astanesi rimpatriano, per separarsi di nuovo. Mentre
Quinto resta in Svizzera, Marco si stabilisce
a Parigi, dove rimane fino al 1913. Sono proprio gli anni del rapimento della Gioconda.
Quel che accade è stato ricostruito dall’attuale detentore della "copia" del capolavoro
leonardesco, il pronipote di de Marchi, Mar-
Arte.
«Felicità» di Edgardo Ratti
Nato nel 1925. Pittore, scultore
e mastro vetraio. Una parabola
artistica iniziata a Brera,
sotto l’influenza del tonalismo
e dell’informale lombardo,
fino alle recenti installazioni
di grande impegno sociale
co Morandi, bancario in pensione di 73 anni. La cosiddetta "copia" di Monna Lisa, anzitutto, ne riproduce quasi fedelmente le dimensioni: 70 centimetri per 45, contro i 77 per
53 dell’originale su legno. Mentre la Gioconda è nelle disponibilità di Peruggia, nella sua
abitazione parigina al numero 5 di Rue de
l’Hôpital Saint-Louis, occultata sotto il tavolo da pranzo, interviene Richin.
Il seguito del racconto è la parte più interessante, e affascinante, di tutta quanta la storia. Mentre de Marchi la ritrae, con una matita color seppia, la dama pare balzar fuori
dalla nuda materialità che la segrega, da quattro secoli. L’artista svizzero pare avvinto dalla stessa, magica, carica di seduzione che domina il suo amico Peruggia da quando è divenuto possessore della Gioconda. Comincia allora a scrivere vere e proprie lettere d’amore alla donna, nel suo sconnesso italiano
influenzato dal lessico ispanico per via delle
sue avventure d’emigrazione. In uno di questi messaggi, così le si rivolge: «Lisa vi dirò
che mi sembra una rondinella, è tutta allegra
tiene una mirata pare di desirme asta ora non
ti conosco muy seria, con una man».
Come interpretare questo frammento? Monna Lisa gli pare allegra come una rondinella,
ha uno sguardo («mirata», cioè mirada) che
esprime il desiderio di un contatto carnale
(«pare di desirme»), nel momento stesso («asta ora», cioè hasta hora) in cui la ritrae. La
signora non pare mossa da intenzioni rispettabili («non ti conosco muy seria»), ma
la sua mano sembra animarsi per uscire dal
quadro come il segnale inequivocabile di una profferta amorosa. Queste parole, fissate
su una striscia di carta, sono emerse, insieme ad altri documenti, quando la "copia"
della Gioconda è stata staccata dal fondale e
dalla cornice, alla presenza di un notaio di
Lugano.
Non v’è alcun dubbio che questa riproduzione, o meglio interpretazione, dell’opera di
Leonardo sia l’unica realizzata nel tempo in
cui essa rimase nelle disponibilità del Peruggia. In un altro messaggio, d’altra parte, il copista così si rivolge all’amico: «Caro fratello
Vi. [Vincenzo, cioè Peruggia] Lisina non sarà
rittoccata [sic]».
L’erede di "Richin", Morandi, ha riesumato la
"Lisina" da un vecchio ripostiglio di casa, e si
è talmente appassionato alla sua storia da aver composto il puzzle che ne certifica l’origine. A Dumenza e ad Astano, mi racconta,
la gente aveva per decenni sussurrato il legame di "Richin" con il furto della Gioconda. Si diceva che un astanese avesse dipinto
un celebre quadro. Di quale si trattasse, non
era difficile immaginarlo. Ma nessuna prova
era emersa al riguardo; fino al ritrovamento
della copia nascosta.
A coronamento di tutta questa trama, bisogna spiegare che Peruggia, e la sua famiglia,
rimasero scottati dagli strascichi giudiziari
del trafugamento. L’artigiano dumentino subì
un processo conclusosi con una condanna,
tutto sommato mite: un anno e quindici giorni di carcere, poi ridotti a sette mesi e otto
giorni, in considerazione di alcune attenuanti, come le motivazioni patriottiche del
gesto.
Resta il fatto che Vincenzo Peruggia aveva
un’indole beffarda, perché riuscì a rientrare
in Francia, da dove era stato espulso, manomettendo la sua identità. Morì in terra straniera l’8 ottobre 1925. Crollò, stroncato da un
infarto, davanti alla figlioletta di un anno, con
in mano una bottiglia di champagne e un
piatto di pasticcini: quel giorno compiva infatti 44 anni.
Quanto a de Marchi, si tenne stretta la riproduzione, evitando di consegnarla al committente e amico. Temendo di finire nei guai,
come complice di quello che la stampa dell’epoca definì «delitto estetico», portò il disegno ad Astano, e lo tenne ben celato, attento
a non lasciarsi sfuggire neanche una parola
al riguardo. Tuttavia, la vox populi riuscì a intercettare il segreto, proteggendo l’identità
dell’autore astanese della Gioconda voluta
dal Peruggia. "Richin", allarmato dagli esiti
giudiziari del caso, pensò bene di cambiare
aria, tornando in Argentina, da dove rimpatriò definitivamente nel 1924. Morì nel 1957.
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Bellinzona, Locarno, Balerna: la Svizzera celebra Edgardo Ratti
PIERO DEL GIUDICE
ono aperte nel Canton Ticino sino al 1°
novembre tre mostre
di Edgardo Ratti: al
Museo Civico di Villa dei Cedri di Bellinzona, nell’agorà
della Sopracenerina a Locarno, alla Civica galleria del
Torchio di Balerna. Di questo artista nato a Vira nel
1925 sul lago Maggiore, che
compie novanta anni in
questi giorni, viene così esposta l’opera dal 1950 a oggi. Gli oli, la grafica, le sculture lignee, in pietra e in alabastro, vetrate e progetti
di vetrate.
È una parabola artistica che
si accende, nel cuore del se-
S
COPIA. Un’immagine della «Gioconda» realizzata in Svizzera da Marco de Marchi
colo scorso, sotto la guida
dei maestri dell’accademia
di Brera, sotto influenza del
tonalismo e del primo informale lombardo, un lungo
percorso che arriva alle installazioni di esplicito impegno sociale che sono le
"finestre" (su catastrofi,
guerre, migrazioni, fame) ciclo degli ultimi due anni del
suo lavoro.
Ratti è pittore e scultore, ed
è maestro vetraio. La sua opera, anche discontinua,
non priva di suggestioni culturali della koiné della Svizzera del nord (nel periodo
del cosidetto "costruttivismo" è debitore degli epigoni di Max Bill, nelle sculture più astratte e concet-
tuali si rifà alla scena di ArtBasel), in questa occasione
di messa in mostra globale
(le mostre coprono il Sopraceneri e il Sottoceneri, come dicono i ticinesi, cioè il
territorio cantonale) conferma le sue costanti originali, le ragioni di base della
sua espressione artistica.
Queste ragioni sono salde
per un costante rapporto
con la natura - le acque, la
luce, il tempo ciclico delle
stagioni, le materie proprie
al suo lavoro: il legno, la pietra, il vetro - e nella sua libera e anarcoide adesione
alla religiosità popolare. Religiosità del lavoro e delle
speranze nelle valli ticinesi
quando il Ticino era un luo-
go, uno spazio culturale e
storico preciso, una provincia rurale ed operaia, non una variante poco percettibile della globalizzazione finanziaria (banche, comitati di affari avvocati fiduciari, oggi). Guarda egli infatti
nella concezione, nella resa
formale - prima di tutto negli esiti delle sculture lignee
di Maternità esclusive di
protezione, di poveri Cristi
nella passione - a un non poi
così remoto, dunque, romanico ticinese e insieme alle
sculture popolari vallerane
(le santelle, le edicole votive
ai bivi montani).
Le sculture del romanico ticinese - campione ne è San
Nicolao di Giornico ai piedi
delle Alpi - non mettono in
scena né il peccato, né la
cacciata, né la punizione,
ma lepri, buoi, cinghiali e
maiali nella facciata e nei
capitelli, manifestazioni figurali si direbbe di una chiesa patarina e contadina. E
secoli dopo, nelle santelle
controriformiste ai passi, si
elencano gli strumenti della passione (corona di spine, tenaglia, chiodi, spugna…) e si ricorda al viandante. Funzione di guida e
memento delle opere di anonimi artigiani, come accade da sempre con l’arte
popolare e ornamentale:
«Le immagini degli dei si onorano, ma si disprezzano
gli scultori che le hanno fat-
te» (Seneca).
Il cammino di Ratti sempre
collima con la fabbrilità artigiana. Così evidente nelle
vetrate: il grande ciclo, religioso e laico della chiesa
parrocchiale di Biasca, la
croce della chiesina del monastero di clausura di Orselina, le vetrate della chiesa
di Corteglia, e negli spazi secolari (ville, case comunali,
case di cultura). Vetrate forti di colori e trasparenze acquee, mosaici ingranditi in
una gigantografia atletica,
dove calce, formelle di vetro, lame rotanti per il taglio,
cartoni di progetto, mescolano ardore artistico e manualità artigianale.
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