Un italiano la nascose sotto il cappotto e fuggì

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Un italiano la nascose sotto il cappotto e fuggì
Corriere della Sera Domenica 7 Agosto 2011
Cultura 41
italia: 515050585854
Anniversari
Un momento del processo a Vincenzo Peruggia, tenutosi nel
giugno 1914 a Firenze: verrà condannato a un anno e 15 giorni di
carcere. A sinistra: il ritorno della «Gioconda» nel museo parigino
La parete del Louvre dopo il furto: al posto della
«Gioconda» verrà messo un ritratto di Raffaello
La storia Vincenzo Peruggia realizzò il colpo del secolo per «risarcire la Patria». Cercò di rivenderla e fu arrestato. Era nata una griffe universale
Furto della Gioconda, cent’anni di mito
Un italiano la nascose sotto il cappotto e fuggì dal Louvre in taxi
di STEFANO BUCCI
Se io fossi la Gioconda
allora sì che mi ameresti
N
Il 21 agosto
la «Gioconda»
scompare dal
Louvre di Parigi.
Per il furto
verrà condannato
l’italiano Vincenzo
Peruggia. Il quadro
tornerà al Louvre
nel gennaio 1914
✒
essuno, nemmeno oggi, può permettersi
di contraddire la verità nascosta nei versi
di una canzonetta francese fine anni Settanta (Si j’etais la Joconde) portata al successo da Gigliola Cinquetti che a Monna Lisa, in
fondo, un po’ assomigliava. Per averne conferma
basta chiedere a Google: quasi sei milioni di occorrenze per la Gioconda (più le 900 mila per Monna
Lisa) contro il milione e 100 mila della Primavera
di Botticelli e le nemmeno 600 mila per la Cappella
Sistina.
Il mito di Monna Lisa del Giocondo, moglie di
un ricco mercante di seta fiorentino (o di chi per
lei, donna oppure giovinetto) nasceva cento anni
fa, il 21 agosto 1911, quando l’opera di Leonardo
(olio su una molto sottile tavola di pioppo, dipinto
tra il 1503 e il 1506, 53 x 77 centimetri) veniva rubata dalla sua casa di allora e di oggi, il Louvre di Parigi. La Gioconda uscì dalle stanze del museo come
un capolavoro qualunque, sotto il cappotto di un
italiano emigrato a Parigi, per farci ritorno quasi
tre anni più tardi (nel gennaio 1914) con tutti gli
onori, trasformata ormai in un mito senza tempo.
Capace di incantare (e ispirare) artisti e scrittori
tra loro assai differenti, da Duchamp al graffitaro
Banksy, da Baudelaire a Dan Brown.
La cronaca del furto che cambiò il destino di
Monna Lisa è assai semplice, almeno dal punto di
vista poliziesco: di fatto un vero flop investigativo.
Ma gli effetti rimangono tuttora dirompenti se a
1911
Firenze ancora ci si interroga sulla possibile sepoltura di Monna Lisa.
Dunque la cronaca. La sera di domenica 20
agosto 1911, un trentenne minuto con grandi
baffi neri, si fa rinchiudere in un ripostiglio del
museo e vi trascorre la notte. Alle 7.20 del mattino, quando la guardia addetta alla sorveglianza
del Salon Carré si allontana, coglie l’attimo: toglie la Gioconda dalla cornice, la nasconde sotto
il cappotto e con calma si allontana, non prima
d’aver chiesto aiuto a un innocente idraulico per
uscire dal museo, visto che la maniglia del portone d’ingresso era sparita e dopo essersi permesso
addirittura il lusso di sbagliare tram per la fuga (al-
Il brano
di SIGMUND FREUD
Il ricordo di un sorriso
❜❜
da «Psicoanalisi
dell’arte e
della letteratura»
È possibile che Leonardo fu affascinato
dal sorriso di Monna Lisa perché
destava qualcosa che era rimasta a
lungo addormentata nella sua mente,
probabilmente un vecchio ricordo.
Questo ricordo era di importanza tale
che egli non riuscì mai a liberarsene...
Un secolo dopo Il ladro era partito da Dumenza, in provincia di Varese
Nel paese dall’eredità imbarazzante
«Ma non ricordateci solo per questo»
DUMENZA (Varese) — «Mettere un cartello all’inizio del paese? Non è proprio
il caso, qui non vogliono mica
diventare famosi per un furto, quella
storia imbarazza ancora». Sono seduti
su una pentola d’oro, qui a Dumenza,
ma non lo sanno, o forse non lo
vogliono sapere. Fino a quando è
rimasta aperta l’unica fabbrica del
paese sono andati a lavorare tutti i
giorni e la storia era finita lì. Eppure,
adesso che nel comune di 1.500
abitanti non c’è più niente, qualcuno
sta cominciando a chiedersi se non sia
arrivato il momento, dopo un secolo,
di sfruttare una buona volta la fama di
Vincenzo Peruggia, l’imbianchino della
frazione Terzino (via XX Settembre è
l’indirizzo della casa) che giusto un
secolo fa nascose la Gioconda sotto il
cappotto e se la portò a Firenze. Ma chi
può fare il primo passo? La famiglia no
di certo: «La prese solo perché i
francesi l’avevano rubata all’Italia»,
ripeteva la figlia Celestina, per
giustificare il padre, nelle rare
interviste. Scrisse anche a Sergio Zavoli
e alla Rai per contestare il primo
sceneggiato degli anni Settanta, perché
— diceva — aveva creato imbarazzi
familiari. Quando la fiction venne
rifatta negli anni Duemila contestò la
sceneggiatura per via di una sbandata
attribuita al padre per una ragazza più
giovane. Adesso che è morta, i nipoti si
fanno gli affari loro. E il sindaco
Corrado Nazario Moro se ne guarda
bene dal trasformare il paese in un
museo del furto della Gioconda: «Non
abbiamo strutture ricettive, e in
comune i cimeli di Peruggia non
sapremmo dove metterli». Eppure c’è
un turismo legato a quell’impresa da
Arsenio Lupin: «Arrivano le televisioni
da tutto il mondo — ammette —
quello sì, ma per noi sono fin troppe, e
poi nessuno che ci abbia mai chiesto
del cuoco dei papi». Scusi, chi? «Il
cuoco dei papi, Bartolomeo Scappi, fu
un grande chef del ’500 e nacque
proprio qui a Dumenza. Noi abbiamo
cercato di valorizzarlo, per esempio al
ristorante Smeraldo, in paese, fanno
alcuni menù tratti dai suoi libri, ma
nessuna televisione ne ha mai parlato».
Somiglianze
Celestina, la figlia, difendeva il
padre e ricordava: da piccola mi
chiamavano Giocondina, solo
da grande ho capito perché
E nemmeno del pittore leonardesco
Bernardino Luini si parla granché:
sarebbe nato anche lui in questo paese
delle valli interne sopra il Lago
Maggiore, pochi chilometri da Luino.
L’unica celebrazione sul «furto del
secolo» avrà luogo nella sala comunale
il 20 agosto, 100 anni dopo quella notte
al Louvre. «Non è un’idea nostra — si
affretta a spiegare il sindaco — ci è
stata proposta da Giovanni Epis, un
artista di Padova che ha realizzato uno
spettacolo su Vincenzo Peruggia. Ci ha
mandato la locandina. In agosto la Pro
loco era un po’ sguarnita di iniziative e
così abbiamo accettato». I silenzi di
Dumenza sono emblematici, perché i
piccoli paesi in fondo sono tutti uguali.
Anche il vicesindaco si chiama
Peruggia, è lontano parente ma non va
in giro a sbandierarlo. Celestina scoprì
la storia del padre solo quando era già
grande, dal marito: «Da piccola in
paese mi chiamavano la Giocondina
ma non sapevo perché — raccontò
qualche anno fa al giornalista Giorgio
Bobbio — la mamma non voleva che se
ne parlasse». Sarà forse per questo che
a Dumenza, da un secolo, fanno tutti
finta di niente.
Roberto Rotondo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La «Gioconda» di Leonardo da Vinci reinterpretata
da alcuni artisti. Dall’alto: la versione di Marcel
Duchamp e, a destra, quella di Andy Warhol;
sotto: la «Mona Lisa Mujaheddin» di Banksy,
quella di Fernando Botero e di Jean Michel Basquiat
la fine sceglierà un comodo taxi). Alle 8.30, il misfatto è compiuto. Ma nessuno si sarebbe accorto
di niente fino a martedì (il lunedì era giorno di
chiusura del Louvre) anche perché all’epoca i quadri venivano spesso rimossi per essere fotografati:
«Quando le belle donne non sono con i loro amanti, vuol dire che stanno posando per il loro fotografo» fu la risposta che ricevette il copista Louis Beroud che per primo notò
l’assenza.
I rilievi, una volta scoperto il furto
(verso le 11), furono effettuati sulla
cornice lasciata in un angolo dal ladro
e a suo tempo donata dalla Comtesse
de Bearn. Ma fin dall’inizio la polizia
sembrò più che altro girare a vuoto (si
sarebbe scoperto tra l’altro che le uniche misure di sicurezza prese fino ad
allora erano state l’addestramento al
judo di un gruppo di guardie). Mentre crescevano polemiche, sospetti
(l’estrema destra di Action Française
accusò la lobby ebraica) e soprattutto
i visitatori che si accalcavano davanti
alla cornice vuota. Tra questi Franz
Kafka, in viaggio per l’Europa con
l’idea di scrivere guide per turisti low
cost. Intanto La Gioconda faceva il
grande salto: dalla cultura alta ma per
pochi a quella, più di basso profilo,
ma per tutti. Trasformando quello
che Somerset Maugham avrebbe poi
definito «il sorriso insipido di una ragazza perbene e vogliosa» in griffe.
Il colpevole (vero) tardava però ad
essere scoperto. Ma qualcuno viene
comunque arrestato: è il poeta Apollinaire, accusato da un amante, Honoré
Géry Pieret, di aver acquistato da lui,
insieme con un amico artista chiamato Picasso, statuette antiche rubate appunto al Louvre. L’accusa si rivelerà
una meschina ripicca, ma più tardi si
scoprirà che quelle statuette sarebbero addirittura servite come modello per Les Demoiselles d’Avignone («Guardate le orecchie» dirà Picasso). Poi, più niente. Nel frattempo un ritratto di
Raffaello ha sostituito La Gioconda sul muro del
Louvre, ma nel dicembre del 1912 una lettera fimata «Leonardo» viene recapitata a un antiquario fiorentino, Alfredo Geri: «Il quadro è nelle mie mani,
appartiene all’Italia perché Leonardo è italiano». Il
ladro dice di volerlo restituire alla modica cifra di
500.000 lire «per le spese». L’incontro decisivo avviene a Firenze, al terzo piano della pensione «Tripoli» (esiste sempre e oggi si chiama «La Gioconda») dove Geri porterà anche il direttore degli Uffizi Giovanni Poggi. La tavola è in una valigia sotto il
letto, nella stanza di Vincenzo Peruggia (italiano
emigrato in Francia, professione imbianchino): è
lui il ladro. Un ladro che consegna subito La Gioconda ai due perché ne verifichino l’autenticità, e
che nell’attesa va a spasso per la città. Una passeggiata presto interrotta dall’arresto.
Al processo che sarà celebrato in Italia (negli
stessi giorni dell’assassinio di Sarajevo), Peruggia
verrà definito «mentalmente minorato». Lui si difenderà dicendo di aver voluto così vendicare l’Italia dei furti subiti da Napoleone. Suscitando persino qualche fremito patriottico («peruggismo») e
dichiarando di aver passato due anni «romantici»
con La Gioconda sul tavolo di cucina. Alla fine verrà condannato a un anno e 15 giorni di prigione
(poi ridotti a sette mesi e 15 giorni). Scarcerato, si
sposerà e aprirà un negozio di vernici nell’Alta Savoia. Morirà nel 1925 (la sua unica figlia, Celestina,
è scomparsa lo scorso marzo) portando con sé le
vere ragioni del furto della Gioconda (piu tardi si
parlerà di furto commissionato a Peruggia da un
truffatore argentino, il marchese di Valfierno, per
vendere sei copie del quadro agli americani, come
Totò con la Fontana di Trevi). Ma è quasi certo che
La Gioconda venne rubata perché aveva le misure
giuste per sparire tranquillamente sotto il cappotto di Peruggia. Anche il mito, insomma, può nascere per caso.
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