il potere temporale della chiesa.breve sintesi dell

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IL POTERE TEMPORALE DELLA CHIESA. BREVE SINTESI DELL’ASCESA DEL
POTERE DELLA CHIESA - DALLE ORIGINI A BONIFACIO VIII
Sommario: 1. Introduzione – 2. La svolta di Costantino – 3. La Chiesa e i franchi – 4. Gli arabi alle
porte – 5. Carlo Magno – 6. Il potere temporale riprende la sua ascesa – 7. I semi della lotta per le
investiture – 8. Lo scisma – 9. La lotta per le investiture – 10. Bonifacio VIII – 11. Bonifacio VIII: il
primo Giubileo – 12. Conclusioni.
1. INTRODUZIONE
All’inizio del presente articolo, ritengo opportuno rivolgere al lettore una breve, ma doverosa
premessa.
L’argomento cui sono dedicate le prossime pagine è rappresentato dal potere della Chiesa di
Roma ed è pertanto strettamente connesso alla storia di questa. Il periodo di riferimento della nostra
indagine, dunque, attraversa quasi due millenni di storia e sarebbe quantomeno utopistico pensare di
racchiuderne una esaustiva trattazione nel breve spazio di un articolo; un’ indagine certamente più
compiuta dell’argomento che stiamo per trattare, infatti, troverebbe la sua sede naturale in un volume
ad esso interamente dedicato. E’ chiaro, pertanto, che le poche righe che seguono hanno
esclusivamente l’intento di fornire una schematica considerazione dei momenti storici più significativi
che hanno scandito la prima parte del cammino della Chiesa. Cercheremo pertanto di tracciare le tappe
maggiormente rilevanti dell’ascesa del potere temporale della Chiesa che troverà il suo culmine nel XIII
secolo, raggiungendo, durante il pontificato di Bonifacio VIII, la sua massima potenza e, al contempo,
l’inizio del suo declino. Il nostro lavoro, privo dunque di ogni intento esaustivo, avrà ad oggetto gli
episodi che segnarono in modo particolare l’affermarsi del potere della Chiesa e si concluderà con
qualche breve considerazione sul pontificato e sulla figura di Bonifacio VIII.
Ai fini della nostra indagine, possiamo individuare l’inizio del potere temporale della Chiesa
nella “donazione di Sutri” avvenuta intorno al 728 d.c.; con essa, come vedremo meglio in seguito, si
identifica il momento storico della costituzione dello Stato della Chiesa, che troverà nella cosiddetta
“presa di Roma”, avvenuta nel 1870, il suo epilogo. In questo lungo tratto di tempo il potere “secolare”
della Chiesa ha accompagnato la storia dell’uomo e ad essa è inscindibilmente connesso. Nell’ambito
dell’indagine che condurremo insieme, attraverso un immaginario viaggio nei secoli, considereremo
quelli che a mio avviso rappresentano i momenti chiave dell’ascesa del potere temporale della Chiesa
che, come già accennato, tratteremo senza alcuna pretesa di esaustività. Nell’intento di rappresentarne
graficamente l’evoluzione ed il declino, potremmo immaginare una parabola ascendente al cui vertice
porre il pontificato di Bonifacio VIII, figura enigmatica sulla quale ci soffermeremo al termine del
presente lavoro e che simboleggia, in certo modo, il momento di massima potenza della Chiesa e al
contempo l’inizio della sua decadenza.
Se dunque il potere temporale della Chiesa di Roma si è sviluppato nel corso dei secoli per poi
tramontare definitivamente verso la fine dello scorso millennio, altrettanto non possiamo dire del suo
potere spirituale. Questo, infatti, con il passare del tempo, è andato rafforzandosi, superando la storicità
dell’uomo ed in certo modo la sua caducità. E’ questo che testimonia la forza del messaggio di cui
ancora oggi la Ecclesia si fa portatrice e che trova la propria essenza e la propria spinta inesauribile
nell’insegnamento di Cristo.
2. LA SVOLTA DI COSTANTINO
La santa Chiesa cattolica è una ed apostolica; ecco un dogma che la fede impone di credere e di
difendere e noi vi crediamo fermamente e lo professiamo senza equivoci; fuori di essa non vi è né
1
salvezza, né remissione dei peccati…in conseguenza noi dichiariamo, affermiamo, e definiamo che ogni
creatura umana è in tutto, per necessità di salvezza, sottoposta al pontefice romano1.
Ritengo che le parole appena citate, che scandiscono l’inizio e la fine della nota bolla pontificia
emanata da Bonifacio VIII nel 1302, rappresentino solennemente e realisticamente l’Autorità
“temporale” raggiunta dalla Chiesa nel XIII secolo.
L’intero documento pontificio, cui abbiamo fatto cenno, è permeato dal concetto di “unità della
Chiesa”; esso rappresenta il fondamento di tutte le argomentazioni ivi espresse; sulla base di questa
unità Bonifacio VIII afferma che, nell’ambito del potere spirituale di cui la sola Ecclesia è depositaria, è
racchiuso anche quello temporale, il cui esercizio, anche se delegato ad altri, deve essere sempre svolto
per conto di questa.
Le parole di Bonifacio VIII, dunque, forniscono l’immagine reale di una Chiesa che nel XIII
secolo aveva raggiunto l’apice del suo potere temporale; le tappe principali che ne hanno
contraddistinto l’ evoluzione formeranno, senza alcun intento esaustivo, oggetto delle prossime pagine.
Solitamente si fa coincidere la nascita del potere temporale della Chiesa di Roma con la
costituzione dello Stato della Chiesa che trova storicamente origine nella c.d. “Donazione di Sutri” del
728 d.C.. Nonostante la rilevanza che tale avvenimento riveste nel cammino storico della Ecclesia,
ritengo utile accennare, per dovere di completezza, ad un evento che avvenne circa quattrocento anni
prima e che rappresenta, forse, uno dei momenti più importanti della storia della Chiesa e al contempo
della storia di Roma: la “svolta costantiniana”.
Durante l’impero di Costantino, infatti, l’atteggiamento che questi assunse verso la religione
cristiana provocò un cambiamento di portata mondiale che pose le basi di una nuova epoca.
Molte volte, in realtà, quella che comunemente viene identificata come la “conversione” di
Costantino, è stata spesso considerata una manovra puramente politica, alla quale non avrebbe
corrisposto alcun intimo cambiamento di volontà2; a sostegno di tale considerazione vi sono sia
l’inesistenza di alcuna avversione dell’imperatore in questione nei confronti del paganesimo, verso il
quale mostrò invece un’ampia tolleranza, sia il battesimo di Costantino avvenuto solo in punto di
morte. Tutto questo non esclude che l’incontro con la religione cristiana, favorito probabilmente dal
contatto con la madre Elena (S.Elena), abbia suscitato nell’imperatore un coinvolgimento interiore che
lo abbia portato a vedere nella storica vittoria contro Massenzio, avvenuta a Ponte Milvio nel 312,
l’intervento del Dio dei cristiani, da lui stesso invocato di fronte all’incertezza circa l’esito della battaglia;
è noto, al proposito, il racconto della sua visione notturna alla vigilia dello scontro; in quella notte,
infatti, raccontò di aver visto una croce nel cielo con l’iscrizione “con questo segno vincerai”3. Ciò che
assume rilievo ai fini della nostra indagine, tuttavia, è il programma di tolleranza milanese che, in certo
modo, ne scaturì; questo fu redatto nel 313 da Costantino e da Licinio e venne inviato in forma di
rescritto (e non di editto!), ai proconsoli statali delle province orientali: in esso l’imperatore riconobbe al
cristianesimo, in tutto l’impero, lo stesso rango degli altri culti; questo documento fu certamente la
logica conseguenza del particolare atteggiamento benevolo che, dal 312 in poi, Costantino riservò alla
religione cristiana. Diverse sono infatti le disposizioni di legge a favore della religione cristiana che
risalgono a quel periodo; tra queste possiamo citare quelle che stabilivano la domenica come giorno
festivo, l’abolizione della crocifissione, la soppressione delle lotte dei gladiatori come punizione per i
criminali e, non ultima, l’autorizzazione alla Chiesa ad accettare lasciti. Il particolare riguardo che
Costantino mostrò verso la Chiesa cristiana si evidenziò inoltre nell’edificazione della basilica
lateranense e della Chiesa di S. Pietro, eretta sulla tomba di quest’ultimo sul colle Vaticano, nel pieno
centro di una necropoli pagana della via Cornelia; a queste seguirono le costruzioni della basilica sul
santo sepolcro a Gerusalemme e della Chiesa della Natività a Betlemme (quest’ultima per espressa
volontà della madre Elena); donò inoltre al papa il palazzo Laterano e, di fronte all’accentuato carattere
Bolla papale Unam Sanctam, Bonifacio VIII, 18 novembre 1302, Unam sanctam ecclesiam catholicam et ipsam
apostolicam urgente fide credere cogimur et tenere, nocque hanc firmiter credimus et simpliciter confitemur, extra quam nec
salus este, nec remissivo peccatorum… porro subisse Romano Pontifici omni humane creaturae declaramus, dicimus,
diffinimus et pronunciamus omnino esse de necessitate salutis, A. Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII , pp. 304 ss..
2 A. Franzen, Breve Storia della Chiesa¸ Brescia 2002, p. 59.
3 In hoc signo vinces.
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2
pagano di Roma, decise di trasferire la nuova residenza cristiana a Costantinopoli che fondò nel 330.
Nonostante il descritto atteggiamento di indubbio favore nei confronti della religione cristiana,
Costantino continuò ad essere sempre il potifex maximus del culto di stato pagano4, anche se non nascose
mai la sua propensione religiosa, facendo educare i suoi figli cristianamente e conducendo egli stesso un
vita familiare conforme ai principi cristiani. Morì nella Pentecoste dell’anno 337, alcuni momenti dopo
aver ricevuto il Battesimo; ancora oggi, in oriente, Costantino è venerato come un santo ed è chiamato
“tredicesimo apostolo”. E’ interessante ricordare, ai nostri fini, che fu proprio l’imperatore di cui
discutiamo a convocare, a Nicea, il primo sinodo di tutto l’impero che ebbe luogo dal 20 maggio al 25
luglio del 325. Ad esso accorsero circa 250 vescovi che portavano ancora sui loro corpi le cicatrici
dell’ultima persecuzione; bella è, al proposito, l’immagine con cui Eusebio descrisse, in quell’occasione,
l’avanzare dell’imperatore tra i vescovi: Come messaggero di Dio, luminoso nello splendore della porpora e dell’oro5.
L’opera di Costantino rappresenta, pertanto, un momento decisivo della storia della Chiesa e,
con esso, l’elemento che diede avvio al processo di formazione dello Stato della Chiesa e dunque del
suo potere temporale.
3. LA CHIESA E I FRANCHI
L’evento che abbiamo considerato potrebbe apparire lontano dall’argomento oggetto della
nostra indagine, ma gli avvenimenti che si succederanno nel tempo, lasceranno emergere lo stretto
nesso esistente tra quella che abbiamo identificato come la “svolta costantiniana” e quella che, di lì a
pochi secoli di distanza, sarà la nascita del potere temporale della Chiesa.
Dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, che alla fine del V secolo era completamente
sotto il dominio germanico, si assiste alla penetrazione di questi popoli anche nell’organizzazione
ecclesiastica; è tuttavia doveroso evidenziare il rispetto e l’ammirazione che queste popolazioni
“barbare” serbarono sempre nei confronti della cultura e della civiltà romana; erano consce, infatti, della
reale differenza che emergeva tra la raffinatissima cultura dell’antica Roma e il rozzo ambiente
contadino tipico di queste stirpi germaniche. Con la conversione di Clodoveo, re dei franchi, battezzato
nella notte di Natale del 496, si aprirono le porte alla fusione del germanesimo con la cultura cristiana
classica e si crearono le premesse per la nascita di quello che sarà l’occidente cristiano; in questa
compenetrazione l’attività missionaria giocò un ruolo rilevante.
Nella conciliazione di due culture così profondamente diverse fu decisiva l’opera della Chiesa
cattolica che, in certo modo, era divenuta erede di quella tradizione imperiale e di quella cultura romana
che esercitava ancora, nonostante il tempo trascorso, un grande fascino6; sarà infatti proprio grazie
all’opera della Chiesa di Roma che quella ricchezza culturale giungerà, attraverso i secoli, fino ai nostri
giorni7.
Nonostante la caduta dell’impero romano d’occidente, infatti, la legge romana continuava ad
essere la legge vigente sia tra le popolazioni germaniche, sia nell’ambito ecclesiastico (ecclesia vivit lege
romana); a testimonianza del decisivo contributo della Chiesa di Roma alla compenetrazione delle due
culture, possiamo ricordare il sinodo di Parigi tenutosi nell’anno 614; in quell’occasione s’incontrarono,
per la prima volta, un gran numero di vescovi germanici, mentre, alla fine del VII secolo, l’episcopato,
non a caso, raggruppò prevalentemente vescovi di origine germanica. L’affermazione del regno dei
Franchi in Europa, dopo la conversione al cristianesimo del loro re Clodoveo, aprì le porte alla
diffusione della religione cristiana; fu questo un elemento che, oltre a favorire la stabilità interna del
regno franco, ne accrebbe notevolmente l’autorità all’esterno. Grazie alla diffusione della religione di
Cristo, infatti, Clodoveo poteva contare sul favore della popolazione cattolica indigena e sulle simpatie
dell’imperatore romano d’oriente; riveste particolare significato, al proposito, il titolo di console romano
ad honorem che l’imperatore d’Oriente diede allo stesso Clodoveo; quest’ultimo fu particolarmente
A. Franzen, op. cit., p. 60.
A. Franzen, op. cit., p. 71.
6 A. Franzen, op. cit., p. 116.
7 Per ulteriori approfondimenti v. Riv. s.s.e.f. n. 3 del 2004, pp. 67 e ss..
4
5
3
orgoglioso della missione cristiana di cui si sentì in tal modo investito. La fede in Cristo venne avvertita
dai franchi come la fonte stessa della loro forza, determinando di conseguenza una forte coesione
interna.
Sono certamente eloquenti, in tal senso, le parole con cui si apriva la Lex Salica, promulgata
nell’ultimo periodo del regno di Clodoveo: Viva Cristo, che ama i franchi! Voglia egli custodire il loro regno e
colmare coloro che lo reggono con il lume della sua grazia, custodire l’esercito, concedere l’aiuto della fede, dare pace, gioia e
fortuna; egli che è il re dei re, Gesù Cristo8. Nella solennità delle parole appena citate si può già scorgere la
presenza di quell’idea che Carlo Magno porterà avanti con tanta determinazione; in base ad essa i
Franchi rappresentavano il nuovo popolo dell’ impero, successore dell’antica Roma, chiamato a portare
il Regnum Christi in occidente.
Nell’analizzare l’affermarsi nella storia dell’autorità ecclesiastica e del suo potere temporale non
possiamo tacere, per dovere di completezza, il contributo decisivo fornito in tal senso dalla già
accennata attività missionaria che, proprio tra il 400 e 700, investì il continente anglosassone. Tra le
figure di particolare rilievo spicca, in tale ambito, quella di Vinfrido Bonifacio; alla sua opera si devono
le basi dell’alleanza tra il regno dei Franchi e la Chiesa di Roma e la trasmissione del concetto di
“impero universale” nel medioevo. L’attività missionaria, che diede dunque un apporto significativo al
consolidarsi e al diffondersi dell’auctoritas Ecclesiae in Europa, meriterebbe certamente un particolare
approfondimento, ma ovvie ragioni di spazio non consentono di soffermarci ulteriormente
sull’argomento.
4. GLI ARABI ALLE PORTE
Tra la fine del VI e la prima metà del VII secolo dopo Cristo, la religione di Maometto si era
andata via via consolidando, al punto da premere ormai ai confini dell’impero romano d’oriente; questo,
trovandosi costretto a gestire la nuova minaccia, non poteva più rappresentare un sicuro baluardo per
l’occidente contro l’islam, né, tantomeno, era in grado di fornire un valido aiuto nella lotta contro il
Longobardi. Nell’ambito del quadro appena descritto, l’unica possibilità di aiuto per la Chiesa di Roma
era rappresentata dai Franchi; questi, nel frattempo, avevano visto la caduta progressiva dei re
merovingi e l’ascesa dei carolingi i quali, grazie a Carlo Martello, riuscirono a respingere la minaccia
araba con le storiche vittorie di Poitiers e di Tours. Sarà proprio dai rapporti tra il regno franco ed il
pontefice che scaturiranno le basi del futuro stato pontificio; particolare rilevo acquista, in tal senso, la
solenne promessa di Pipino nei confronti del papa Stefano II; con essa, infatti, il re dei franchi si
impegnava a difendere la Chiesa contro i Longobardi ed a restituire a questa i territori della Tuscia, di
Ravenna, del Veneto, dell’ Istria, oltre ai ducati di Spoleto e di Benevento, una volta sottratti ai nemici.
Con la donazione di questi territori a S. Pietro, il re franco gettava, come già detto, le basi del futuro
Stato pontificio; insieme alla richiamata donazione di Sutri, infatti, si cominciava a delineare meglio la
consistenza territoriale dello Stato della Chiesa9. La fondazione di quest’ultimo, tuttavia, necessitava di
una legittimazione, specie di fronte all’impero d’oriente il quale rivendicava, come propri territori, quasi
tutta l’Italia e l’occidente; sentendosi tradito dall’alleanza stipulata dal papa con i franchi, l’imperatore
d’oriente non riconobbe mai gli accordi territoriali che da quella scaturirono.
Fu certamente in quest’epoca che venne redatta la donazione di Costantino, uno dei falsi più
misteriosi del medioevo; un documento che determinò, ed in certo modo legittimò, la nascita dello
Stato della Chiesa il cui nucleo era stato costituito pochi anni prima con la donazione del castello di
“Sutri” da parte del re longobardo Liutprando. Secondo il contenuto di tale documento, l’imperatore
Costantino, al momento del trasferimento della sua residenza da Roma a Bisanzio, avrebbe concesso a
papa Silvestro e alla sede romana il dominio su tutta la metà dell’impero d’occidente. Fa da sfondo a tale
falsificazione la leggenda per cui Costantino, miracolosamente guarito dalla lebbra per il tramite di papa
Silvestro, concesse a questo, per gratitudine, il potere su tutti i paesi occidentali. Probabilmente,
dunque, la funzione che ebbe la donazione di Costantino, fu quella di legittimare proprio quelle cessioni
8
9
A. Franzen, op. cit., p. 118.
A. Franzen, op. cit., pp. 134 ss..
4
di territori avversate dalle pretese di Bisanzio; esse divennero tuttavia realtà solo con Carlo Magno nel
781. Quest’ultimo rappresenta, a mio parere, uno dei personaggi decisivi per l’affermazione dell’aucoritas
Ecclesiae e dunque del suo potere temporale in tutta Europa; vale pertanto la pena di soffermarci un
poco sulla sua figura.
5. CARLO MAGNO
Sebbene analfabeta10, fu senza dubbio il più potente dei sovrani del medioevo ed a lui si deve la
realizzazione dell’Impero cristiano d’Occidente e la fine dell’Italia Longobarda. La sua attività regale fu
sempre spinta da responsabilità e da spirito cristiano. Amava farsi leggere a tavola le opere di S.
Agostino e dedicò molto del suo tempo all’elevazione culturale e religiosa dei suoi popoli. La
riunificazione di questi in un unico e potente popolo cristiano fu sempre il suo desiderio; fu lui, infatti, a
ristabilire l’unità politica dell’occidente. Proprio grazie a Carlo Magno molti degli scritti del mondo
antico classico sono giunti fino a noi. La sua concezione del potere fu rigidamente teocratica e si sentì
sempre investito del compito di proteggere il popolo cristiano dagli assalti dei pagani e degli infedeli; nel
suo ideale politico non vi era distinzione tra il potere temporale e quello spirituale. Durante la messa di
Natale dell’800, con sorpresa dell’interessato, papa Leone III incoronò Carlo Magno imperatore
ripristinando, in tal modo, la dignità imperiale in occidente. Con la sua morte, avvenuta ad Aquisgrana
nel 814, la dinastia carolingia si avviava al tramonto; l’eredità dell’antica gloria romana, che aveva
continuato ad avvolgere fino ad allora l’Europa e che aveva visto salire al trono regnanti dello spessore
di Carlo Martello, Pipino ed infine Carlo Magno, aveva ormai assorbito l’impronta germanica, pur
conservando nelle pieghe della sua quotidianità quella romanitas di cui era figlia.
Gli avvenimenti fin qui accennati risultano particolarmente significativi ai fini della nostra
indagine in quanto, proprio a seguito di questi, la Chiesa vide affermare sempre più il suo potere
temporale che rimaneva, comunque, strettamente legato alle vicende storiche e politiche del continente
europeo; la corrispondenza tra il primo declino della Chiesa di Roma e quello che investì l’impero
carolingio fino a metà dell’XI secolo fornisce evidenza oggettiva di quanto appena affermato.
I successori di Carlo Magno non furono all’altezza dei predecessori e segnarono, come appena
accennato, il declino della dinastia carolingia. A questa decadenza imperiale si accompagnerà
parallelamente un primo cedimento del potere temporale della Chiesa o meglio della sua auctoritas.
Possiamo a mio parere parlare, dunque, del primo significativo declino attraversato dalla Ecclesia
dall’inizio del suo potere temporale. Eloquente, in tal senso, è l’espressione coniata al proposito da
Cesare Baronio11; questi definì seculum obscurum proprio il periodo che va dalla fine della dinastia
carolingia alla riforma gregoriana, nell’ambito del quale sia la Chiesa, sia l’Impero videro perdere
gradualmente la propria autorità.
6. IL POTERE TEMPORALE RIPRENDE LA SUA ASCESA
Nonostante il regno franco sembrasse destinato al tramonto e con esso iniziasse a calare il sole
sulla maiestas della Chiesa di Roma, nell’ultimo scorcio del millennio assistiamo ad una nuova e
significativa ascesa del potere imperiale sotto la guida di Ottone il Grande. Questi cercò di consolidare
la potenza regale, affinché costituisse le fondamenta di quel profondo rinnovamento interiore che
coinvolse in modo particolare la vita ecclesiastica12. Ottone comprese che l’episcopato, energico
propugnatore dell’unità dell’impero già dai tempi di Carlo Magno, avrebbe fornito un sicuro appoggio al
potere centrale il quale era, a sua volta, il solo in grado di proteggere i beni ecclesiastici dalla bramosia
dei ceti nobili. Il potenziamento dell’immagine e dell’autentica auctoritas dell’impero passava, dunque,
inevitabilmente per il rinvigorimento del potere e dell’immagine della Ecclesia. Forte della origine
I. Montanelli e R. Gervaso, L’Italia dei secoli bui, p. 326.
Storico nato a Sora nel 1538 e morto a Roma nel 1607. A lui si deve la stesura degli Annales Ecclesiastici, che delineano la
storia della Chiesa dalle origini fino al 1198.
12 A. Franzen, op. cit., p. 156.
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imperiale dei possedimenti a sua disposizione, pertanto, Ottone estese le proprietà terriere della Chiesa
accrescendo in tal modo il potere temporale dei vescovi ed attribuendo loro, oltre al potere giudiziario,
diritti regali e privilegi di vario genere. Sarà proprio questo particolare atteggiamento politico, assunto
da Ottone verso la Chiesa, a gettare le basi di quell’aristocrazia ecclesiastica e feudale medievale che
caratterizzerà in modo decisivo il volto della Germania fino alla secolarizzazione del 180313. Alla Chiesa,
che si rivelò il più valido sostegno dell’impero germanico, Ottone arrivò ad assoggettare lo Stato stesso
e, come è facile intuire, l’ Ecclesia vide di conseguenza accrescere nuovamente, ed in modo significativo,
il proprio potere temporale. Se però il descritto favore dell’impero verso l’episcopato si rivelò dapprima
una politica vincente, così non fu nel proseguo; l’accresciuta ingerenza del re negli affari ecclesiastici che
ne conseguiva, infatti, (si faccia riferimento ad esempio all’influenza esercitata da Ottone nella nomina
dei vescovi), dava avvio ad un processo di secolarizzazione della Chiesa che si sarebbe rivelato di lì a
poco foriero di infausti destini, i quali non tardarono a consegnare l’Europa ad un lungo periodo di
lotte e di violenza.
L’ingerenza imperiale nella gestione del potere temporale della Chiesa, infatti, accrebbe sempre
più fino ad arrivare, con le designazioni imperiali dei futuri pontefici sotto Enrico III, ad un punto di
non ritorno.
Tutto ciò porterà nuova forza alla Chiesa e rafforzerà ulteriormente il suo potere temporale; ma
proseguiamo per ordine.
7. I SEMI DELLA LOTTA PER LE INVESTITURE
Nell’anno 962, con l’incoronazione di Ottone, rinacque il Sacro Impero Romano, stavolta di
stirpe tedesca, destinato anch’esso a durare circa otto secoli. C’è da evidenziare che, a differenza di
quello carolingio, questo impero non ebbe la stessa ampiezza: era infatti assente nei suoi confini la
Francia, ormai dedita a edificare la propria unità nazionale14.
L’incoronazione di Ottone avvenne in San Pietro nel 962, ma ciò che assume particolare
rilevanza per la nostra indagine fu il giuramento cui furono sottoposti il clero, i nobili e il popolo di
Roma; questo, attraverso di esso, si impegnarono a non eleggere mai più un Papa senza l’approvazione
dell’Imperatore; da parte sua Ottone si impegnava a riconoscere e confermare le “donazioni” di Carlo
Magno che costituivano la base dello Stato temporale della Chiesa. Questa sorta di accordo celava in se
l’inizio di quella “lotta per le investiture” che, come già accennato, avrebbe dilaniato di lì a poco
l’Europa15.
L’obiettivo della nostra indagine, tuttavia, ci spinge a concentrare l’attenzione sul delicato
momento che la Chiesa attraversò nel periodo in esame e che, come poc’anzi accennato, rappresenta a
mio parere, la prima profonda crisi vissuta dalla Ecclesia dall’inizio del suo potere temporale.
Entrambi i poteri della Chiesa vivevano infatti un momento di incertezza; se quello temporale
viveva l’indefinita consistenza dello Stato Pontificio, quello spirituale vedeva contestato dal Patriarca di
Costantinopoli il primato del Papa; al rapporto tra la Chiesa di Roma e quella d’Oriente dedicheremo
pertanto il prossimo paragrafo.
8. LO SCISMA
Come già detto nella premessa, l’intento di questo breve lavoro è solo quello di accennare
succintamente, e dunque senza alcuna pretesa esaustiva, a quelli che furono gli eventi maggiormente
significativi che, fino al XIII secolo, ebbero a mio parere particolare rilevanza nel cammino temporale
della Chiesa. Non posso pertanto tacere, in tal senso, in merito allo scisma con cui ebbe inizio il nuovo
millennio.
A. Franzen, op. cit., p. 157.
R. Gervaso e I. Montanelli, L’italia dei Comuni, Milano, 1966, pp. 18 ss..
15 R. Gervaso e I. Montanelli, op. cit., pp. 24 ss..
13
14
6
L’assenza quasi totale di comunicazione tra il Patriarca di Costantinopoli e il Vescovo di Roma,
dovuta in gran parte alla distanza che divideva le rispettive sedi e alle grandi difficoltà dei lunghi viaggi
che li separavano, si consolidò con l’irruzione araba; quando l’intento conquistatore musulmano si placò
e le due Chiese ebbero l’opportunità di incontrarsi nuovamente, molte cose erano cambiate; non è
certamente questa la sede opportuna per esaminare approfonditamente i singoli aspetti di questo evento
che segnò profondamente il proseguo della Chiesa di Roma e del suo potere temporale; cercheremo
tuttavia, nello spirito che ci ha spinto ad iniziare questa breve indagine, di coglierne gli elementi
essenziali. Dobbiamo anzitutto considerare, al proposito, che il latino non era più la lingua corrente
della Chiesa Orientale e che anche nella liturgia si segnavano forti differenze come la celebrazione
eucaristica con pane non lievitato che caratterizzava il rito occidentale e l’astinenza quaresimale dalle
uova e dal formaggio imposta invece dalla Chiesa d’Oriente; la preghiera in ginocchio e il battesimo per
aspersione erano proprie della liturgia della Chiesa di Roma, a differenza di quella d’Oriente dove il
battesimo continuava ad essere praticato per immersione. Neppure il simbolo della croce era più lo
stesso: quella orientale infatti aveva le due braccia di eguale misura, mentre in quella occidentale il
braccio verticale era più lungo di quello orizzontale.
Quanto appena descritto rivela alcune delle differenze che caratterizzavano le due realtà
ecclesiastiche, ma che divenivano di poco conto se confrontate con la divergenza esistente sul dogma
della Trinità. Mentre infatti la Chiesa d’Oriente era rimasta fedele a quanto stabilito in merito nel citato
concilio di Nicea del 325, dove fu affermato che lo Spirito Santo promana dal Padre (ex Padre procedit), la
Chiesa di Roma aveva nel frattempo apportato a ciò una modifica sostanziale; nel concilio di Toledo del
589, infatti, la Chiesa occidentale aveva stabilito che lo Spirito Santo promana dal Padre e dal Figlio (ex
Padre Filioque procedit). Sebbene quello accennato fosse uno dei punti di maggior attrito tra le due chiese,
la sostanziale differenza risiedeva nella diversità di potere e di primato: alla figura di un Papa sovrano
assoluto in campo spirituale come in campo temporale, corrispondeva quella di un Patriarca
subordinato giuridicamente all’imperatore. Le conseguenze di tali diversità si riflettevano, per quanto
concerne la nostra indagine, su un aspetto di non poco conto; il clero occidentale era ormai avvezzo ad
occuparsi dell’ amministrazione delle cose terrene e vedeva dunque rafforzare sempre più il suo potere
temporale, a differenza del clero orientale maggiormente dedito alla teologia.
Questo era il panorama che si presentava sul finire del primo millennio e che sfociò nello scisma
tra le due chiese quando entrarono sulla scena Leone IX, eletto pontefice nel 1049 e Michele Cerulario,
Patriarca di Costantinopoli dal 1049 al 1054.
Quest’ultimo fece redigere un trattato in cui criticava fortemente le riforme di papa Leone IX,
ma dietro tale presa di posizione di Costantinopoli si celava l’intento di riaffermare il primato della
Chiesa d’Oriente e la sottomissione a questa di Roma. A seguito della scomunica subita, il Patriarca di
Costantinopoli convocò in concilio il clero orientale che fece quadrato intorno a lui. Dopo appena
cinquanta anni dall’inizio del millennio, dunque, il mondo cristiano conobbe la definitiva divisione nelle
due grandi chiese : quella cattolica di Roma e quella ortodossa orientale, fedele al dogma del 32516.
9. LA LOTTA PER LE INVESTITURE
Chiusa questa breve ma doverosa parentesi sullo scisma che incise profondamente la storia del
potere temporale della Chiesa di Roma, proseguiremo nelle pagine che seguono il nostro itinerario
affrontando, senza alcuna pretesa esaustiva, uno dei periodi più cruenti della storia della Chiesa che,
come accennato in precedenza, dilaniò l’Europa proprio a cavallo del primo millennio. Del capitolo più
cruento di quella che passerà alla storia come “lotta per le investiture”, furono protagonisti due
personaggi di particolare rilievo rappresentati da Enrico IV e da Ildebrando di Soana, salito al soglio
pontificio con il nome di Gregorio VII.
Quest’ultimo era un piccolo monaco benedettino che, nonostante fosse rimasto per lungo
tempo fuori dai riflettori della scena di quel periodo, esercitava ormai da tempo un grande potere sulla
Curia di Roma; era lui il vero protagonista nascosto dell’evento che abbiamo descritto nel paragrafo
16
R. Gervaso e I. Montanelli, op. cit., pp. 66 ss..
7
precedente. Alla sua figura dedicheremo le pagine che seguono, in quanto proprio con Gregorio VII
l’ascesa del potere temporale della Chiesa acquisterà la spinta decisiva.
Nel 1073, morto il papa Alessandro II, Ildebrando di Soana venne acclamato dal popolo e dal
clero come Pontefice. Come accennato poc’anzi, si trattava di una personalità di particolare carisma;
quando salì al soglio pontificio con il nome di Gregorio VII, infatti, nell’intento di liberare la Chiesa
dall’illegittima ingerenza dei grandi potentati secolari, aveva già da tempo redatto un programma di
riforme incentrato sull’affermazione della libertas ecclesiae; questo prevedeva anzitutto il ripristino
dell’esercizio esclusivo del diritto ecclesiastico di eleggere i vescovi, pontefice compreso e, al contempo,
la restituzione dei diritti acquisiti nel tempo dalla Chiesa di Roma.
Poco dopo la sua ascesa al soglio pontificio, Gregorio VII espresse chiaramente la sua
concezione di supremazia assoluta del papa sulla cristianità e su ogni re e imperatore, reclamando il
potere di destituzione di questi ultimi per motivi etico religiosi17.
Possiamo affermare che l’idea di Gregorio VII corrispondeva ad un vero e proprio regime
assoluto, nell’ambito del quale i vescovi e la loro autorità si riducevano ad un semplice riflesso di quella
del Pontefice; basti in tal senso pensare all’obbligo del celibato imposto da Gregorio VII a tutti gli
ecclesiastici, nonostante la violenta aggressione che, per tale motivo, lo stesso Gregorio subì nella notte
di Natale del 1075 durante la celebrazione della messa in Santa Maria Maggiore18. La particolare
determinazione che caratterizzò la figura di Gregorio VII si manifestò durante tutto il suo pontificato;
diversi furono i principi della famiglia imperiale tedesca che vennero censurati, in quanto ritenuti
colpevoli di essersi arrogati il diritto di investire vescovi e arcivescovi; per lo stesso motivo sia il re di
Francia Filippo, sia Enrico IV furono minacciati di scomunica19. La reazione di quest’ultimo però non si
fece attendere: dopo avere riunito i vescovi rispettivamente a Worms e a Piacenza, riuscì infatti ad
accendere l’odio di questi contro il pontefice, ottenendone la decisione di destituzione dello stesso.
Enrico IV, tuttavia, aveva erroneamente ritenuto di poter contare sull’appoggio dei principi
tedeschi che, invece, videro nel conflitto con il papa un’occasione per ridimensionare il potere centrale
personificato proprio in Enrico IV ed imposero a quest’ultimo di implorare l’assoluzione del pontefice.
Il 25 gennaio, nel pieno di un rigidissimo inverno del 1077, dopo aver passato le Alpi con un esiguo e
inerme seguito, Enrico cedette all’ultimatum; scalzo ed in abiti dimessi giunse al castello di Canossa
dove attese tre giorni prima di ricevere l’assoluzione di Gregorio VII stabilitosi lì per qualche tempo.
La tregua tuttavia durò ben poco. Se infatti il Papa interpretò l’evento descritto come una resa
senza condizioni, Enrico intese l’episodio come un impegno limitato ad accettare l’arbitrato del Papa
nei conflitti interni del suo regno e a farsi da garante della libertà di movimento di quest’ultimo. Nel
frattempo i principi ribelli, timorosi delle possibili rappresaglie, deposero Enrico rifiutandone la
riconsacrazione e nominando al suo posto Rodolfo di Svevia. Il re deposto, non tardò a muovere guerra
contro quest’ultimo che morì proprio nel mentre da Roma gli giungeva il riconoscimento del Papa.
Sentitosi tradito dal pontefice, Enrico riprese la lotta che divampò più violenta di prima. Dopo essere
stato scomunicato e destituito per la seconda volta, Enrico IV fece marcia su Roma per deporre il
pontefice e insediare al suo posto l’Arcivescovo di Ravenna che assunse il nome di Clemente III.
Gregorio VII, fuggito presso i normanni nell’Italia meridionale, morirà a Salerno il 25 Maggio del 1085.
Sebbene quanto descritto in questo breve paragrafo possa apparire di poco conto ai fini della nostra
indagine, risulta essere invece un momento di particolare rilevanza per il proseguo dell’affermazione del
potere temporale della Chiesa; come meglio si evincerà dalle righe che seguono, dietro l’apparente
sconfitta del Papa si celava infatti la vittoria della Chiesa di Roma. L’idea della superiorità del potere
spirituale rispetto a quello temporale, fortemente radicata in Gregorio VII, portò quest’ultimo a
dedurne la supremazia della Chiesa sullo Stato e, nel suo celebre Dictatus Papae del 1075, stabilì un vero
e proprio programma ecclesiastico-politico per i futuri pontefici.
Appoggiandosi alla “Donazione di Costantino”, allora ritenuta autentica, egli pose le basi del
conflitto futuro fra Stato e Chiesa rivendicando al papato il dominio sul mondo. Se tuttavia questa
concezione della supremazia del potere della Chiesa trovava la ragione d’essere in una visione del
A. Franzen, op. cit., pp. 169 ss..
R. Gervaso e I. Montanelli, op. cit., pp. 81 ss..
19 R. Gervaso e I. Montanelli, op. cit., p. 83.
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mondo profondamente religiosa, radicata sia in Gregorio VII, sia in Innocenzo III (1198-1216), è
tuttavia opportuno evidenziare che questa idea portava in se il pericolo dell’abuso di potere, dal quale la
Chiesa non sempre seppe guardarsi20. Subito dopo la morte di Gregorio, la lotta si riaccese e solo nel
1122 si giunse, con il Concordato di Worms, ad un compromesso con cui si cercò, quantomeno, di offrire
una soluzione all’ antica lotta per le investiture; in esso si stabiliva una sorta di duplice investitura: al re
sarebbe spettata quella temporale con la trasmissione di beni e diritti secolari, simboleggiata dalla
consegna dello scettro, mentre rimaneva esclusivo diritto della Chiesa di Roma l’investitura spirituale; si
riconosceva, inoltre, il diritto di elezione canonico che restava anch’esso di esclusiva competenza del
clero e della nobiltà della Chiesa episcopale; l’investitura temporale, infine, poteva essere conferita dal
re, ma solamente previa elezione canonica e investitura spirituale, simboleggiata dall’anello e dal
pastorale.
La lotta tra impero e Chiesa riprese più violenta quando Federico Barbarossa tentò di realizzare
l’idea della supremazia del potere imperiale. Fu Papa Alessandro III che difese per venti anni circa i
diritti pontifici; solo nel 1177, infatti, si pose fine al conflitto che causò innumerevoli vittime. Nelle
pagine che seguono cercheremo di comprendere il fondamento di quella lotta che, come poc’anzi
accennato, seminò per un ventennio morte e odio in tutta Europa. Le rivendicazioni della Chiesa di
Roma circa il potere temporale prendevano spunto dalla cosiddetta “teoria delle due spade” che
rappresentavano il potere temporale e quello spirituale; tale teoria era tratta da una particolare
interpretazione fatta dalla Chiesa stessa del versetto 38 del capitolo 22 del Vangelo di Luca nel quale si
legge: Ed essi dissero: Signore, ecco qui due spade. Ma egli rispose: Basta. Sulla base del passo appena citato del
Vangelo di Luca, la Chiesa riteneva che gli spettasse la titolarità di entrambi i poteri e che l’imperatore
esercitava quello temporale esclusivamente per conto della Ecclesia.
Di qui il conflitto della Chiesa con il Barbarossa, intento ad affermare, o meglio a ristabilire, la
supremazia del potere imperiale su quello ecclesiastico. Federico Barbarossa, tuttavia, dovette cedere
successivamente alla potenza politica di Innocenzo III che, grazie ad un sistema di stati feudali soggetti
alla Chiesa, riuscì a tenere testa a tutta Europa.
Alla caduta dell’impero svevo fece seguito l’inizio del declino politico del papato; fu proprio nel
pontificato di Bonifacio VIII, come già accennato, che è possibile rintracciare il punto di congiunzione
tra il culmine del potere temporale della Chiesa e l’inizio del suo disfacimento21.
Ai fini della nostra indagine, particolare rilievo acquistano alcune conseguenze determinate
dall’ascesa del potere della Chiesa, che proprio nel XIII secolo raggiunge il suo vertice; tra queste
ricordiamo la crescita del clero al di fuori dei confini nazionali, e la (ri)costruzione, nell’occidente
cristiano, di una nuova coscienza comunitaria22. Non è certamente un caso, infatti, che il periodo cui
abbiamo accennato nel presente paragrafo ebbe come sfondo le crociate che ebbero inizio nel 1071,
due anni prima cioè dell’ascesa al soglio pontificio di Gregorio VII e che terminarono con quella
intrapresa da Luigi IX re di Francia nel 1270; gli ultimi baluardi degli stati crociati, tuttavia, furono
definitivamente conquistati dagli islamici nel 1291, pochi anni prima della elezione di Bonifacio VIII
come pontefice23. Per quanto interessa la nostra indagine, è importante evidenziare che proprio quella
nuova coscienza comunitaria cristiana dell’occidente, scaturita dalla riforma gregoriana, diede impulso
alle imprese per la riconquista della terra santa; queste furono caratterizzate da un’ impetuosa tensione
cavalleresca che sfociò spesso in efferatezze tali da rappresentare l’esatto contrario del messaggio di
Cristo e segnarono uno dei periodi più oscuri della storia della Chiesa nel medioevo24.
10. BONIFACIO VIII
Dopo la doverosa premessa che nelle prime pagine fa in certo modo da prologo al presente
lavoro, la nostra breve indagine è iniziata con la citazione della bolla pontificia Unam sanctam emanata da
A. Franzen, op. cit., p. 173.
A. Franzen, op. cit., p. 174.
22 A. Franzen, op. cit., p. 175.
23 A. Franzen, op. cit., p. 186 .
24 A. Franzen, op. cit., p. 182.
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Bonifacio VIII nel 1302. I motivi che ci hanno spinto a individuare nel citato pontefice il termine
ultimo della nostra indagine sono stati già ampiamente descritti in quella sede; ci accingiamo dunque,
nel presente paragrafo, a considerare brevemente la sua figura ed il suo pontificato nell’ambito della
nostra indagine.
Il mistero che avvolge la figura del papa che andiamo a considerare nelle poche pagine che
seguono, si evidenzia già in merito all’incertezza circa la sua data di nascita avvenuta ad Anagni. Da una
lettera di Niccolò IV del 1291 è possibile identificare approssimativamente nel 1230 l’anno in cui
nacque il pontefice in questione; d’altronde, conoscere con precisione la data di nascita di un uomo nel
Medioevo, rappresenta una sorta di privilegio documentario al quale risulta essere estraneo anche
Benedetto Caetani, futuro papa con il nome di Bonifacio VIII 25. E’ molto probabile che il giovane
Caetani trascorse diversi anni a Todi, della quale suo zio era divenuto vescovo nel 1252; di questo ne
fornisce testimonianza una lettera scritta nel 1295 ai canonici di Todi; in essa il pontefice rievoca il
ricordo della giovinezza ivi trascorsa. E’ certo, tuttavia, che Benedetto Caetani fu un uomo dotato di
particolare intelligenza e che si dedicò fin da giovane allo studio delle discipline giuridiche; la sua
preziosa attività nell’ambito della Curia Romana lo porterà nel 1264 in Inghilterra al fianco del cardinale
Ottobono Fieschi, che salirà al soglio pontificio col nome di Adriano V; oltre ad essere considerato un
eminente giurista, il futuro Bonifacio VIII, fu dotato di una particolare capacità diplomatica26. Fin dai
suoi primi anni di cardinalato, tuttavia, Benedetto Caetani, riuscì ad assicurare alla famiglia un
patrimonio fondiario importante, alla base del quale era il possesso di titoli feudali, prima attribuiti al
fratello Roffredo, e poi, dopo la morte di questi avvenuta nel 1296, ai propri nipoti. Sebbene
interessante, le ragioni di spazio non ci consentono una compiuta trattazione della vita del futuro
pontefice, ma per quanto concerne strettamente l’oggetto della nostra indagine, cercheremo di fare una
sommaria considerazione del suo pontificato che iniziò nel 1294 come contestato successore di
Celestino V; molte sono infatti le accuse mosse a Bonifacio in relazione alla legittimità della sua elezione
a pontefice. Al fine di meglio comprendere le dinamiche che accompagnarono la successione di
Bonifacio VIII è necessario soffermarci un poco sull’elezione di Celestino V.
Nell’estate del 1294 Pietro del Morrone, che viveva immerso in un eremo abruzzese, venne
eletto pontefice. L’elezione di un uomo come Celestino che non aveva esperienza di governo né
conoscenza dei meccanismi della curia, ma che godeva di una grande fama di santità, fu accolta con
giubilo da molti ambienti ecclesiali; l’ascesa al soglio pontificio di Pietro del Morrone, rappresentava per
molti l’inizio di una nuova era per la Chiesa che avrebbe avuto come guida un uomo di elevato spessore
spirituale. Il 18 luglio del 1294, dunque, con grande entusiasmo popolare, venne dato l’annuncio
dell’elezione del nuovo pontefice proprio nella grotta dove viveva il futuro papa, che dopo un iniziale
rifiuto accettò.
Fra i primi atti di Celestino V, figurano la nomina di dodici nuovi cardinali, evidente riferimento
agli apostoli, nonché la bolla Quia in futurum che ripristinò la vigenza delle norme stabilite venti anni
prima da Gregorio X per regolare il conclave. Il desiderio espresso da Celestino V di ritirarsi in
preghiera alla vigilia del periodo di avvento del 1294, con l’idea di affidare il governo della Chiesa a tre
cardinali, trovò una netta opposizione giuridica in merito alla possibilità di dimissione del papa. Affidato
l’esame della questione all’allora cardinale Benedetto Caetani e ottenutone parere favorevole, il 13
dicembre dello stesso anno, davanti ai cardinali riuniti in una grande sala di Castelnuovo, Celestino V
lesse la formula della propria rinuncia, depose le insegne pontificie e chiese ai cardinali di procedere al
più presto all’elezione di un nuovo papa; dopo dieci giorni ebbe luogo un conclave che il 24 dicembre
1294, anche se non all’unanimità, elesse pontefice Benedetto Caetani che salì al soglio col nome di
Bonifacio VIII 27. Il giorno stesso dell’elezione, Celestino V rese visita al nuovo papa e fece atto di
sottomissione prostrandosi ai suoi piedi. In quella occasione il pontefice dimissionario sentì rifiutarsi dal
nuovo papa l’autorizzazione a ritornare alla sua vita da eremita. Molti affermarono che la particolare
insicurezza di Celestino V permise a Benedetto Caetani di influenzarne notevolmente l’abdicazione; sta
di fatto che Bonifacio VIII catturò il dimissionario e lo fece rinchiudere nella torre di Castel Fumone,
A. Parravicini Bagliani, Bonifacio VIII, Torino, 2003 p. 5.
A. Serrano, Die Heilighen Jahre, Dachau 1999, p. 38.
27 A. M. Piazzoni, Storia delle elezioni pontificie, Milano, 2003, pp. 154-155.
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dove visse gli ultimi nove mesi della sua vita; non sono chiari i motivi che spinsero il nuovo pontefice
ad una simile azione; si pensa che essa fosse dettata dal timore di gettare sospetti sulla legittimità della
propria elezione nel caso di un ritorno all’eremo di Celestino V, o, forse, dall’intento di scongiurare un
pericolo di scisma all’interno della Chiesa di Roma, viste la gratitudine con cui le moltitudini guardavano
al papa dimissionario e l’avversità manifestata invece nei confronti del nuovo pontefice28. Non può
tacersi, tuttavia, in merito all’elezione di Benedetto Caetani, il parere favorevole sulla legittimità delle
dimissioni del predecessore espresso dal teologo Goffredo di Fontaines, uno dei maestri più insigni
dell’Università di Parigi29.
Bonifacio VIII fu convinto sostenitore del principio che il pontefice dovesse esercitare anche
una funzione di arbitro universale ed espose compiutamente la sua idea di pontificato nella più volte
richiamata bolla Unam Sanctam; in essa venivano inoltre ripresi e sviluppati i principi dell’assolutismo
papale: secondo la visione bonifaciana spettavano alla Chiesa sia il potere spirituale, di cui era
direttamente titolare il vescovo di Roma, sia quello temporale esercitato attraverso i principi, tenuti a
comportarsi secondo le direttive del pontefice. Ci soffermiamo un poco su qualche passo della storica
bolla papale che, come accennato all’inizio della nostra indagine, raccoglie proprio nelle sue due prime
parole il motivo conduttore e fondante dell’intero documento, rappresentato dall’unità della Chiesa:
Unam Sanctam. L’argomentazione che sostiene la teoria portata avanti da Bonifacio VIII nella bolla in
questione, trova spesso fondamento nel nuovo testamento; l’idea delle due spade, rappresentanti il
potere temporale e quello spirituale, proviene, come accennato in precedenza, dall’interpretazione del
versetto 38 del capitolo 22 del Vangelo di Luca; a questo però il pontefice aggiunge la spettanza di
entrambi i succitati poteri in capo alla Chiesa di Roma, richiamando a sostegno di tale tesi sia la parola
che Gesù rivolse a Pietro nel Vangelo di Giovanni capitolo 18, versetto 11: riponi la tua spada nel fodero,
sia quanto riportato nella lettera di S. Paolo Apostolo ai Romani, (13.1): non vi è autorità che non provenga da
Dio e ciò che è da Dio è un suo ordine. Ad ulteriore supporto di tale idea, profondamente radicata in
Bonifacio VIII, il pontefice richiama ancora nella bolla in questione, un passo dell’antico testamento
che troviamo in Geremia (1.10): Ecco io ti ho posto oggi sopra i popoli e sopra i regni…, passo che farà da
costante riferimento nei documenti che Benedetto Caetani emanerà dopo il 1300. Profondamente
convinto che il potere temporale fosse sottoposto a quello spirituale, Bonifacio VIII riteneva che
nell’eventualità in cui l’esercizio del primo fosse deviato rispetto alla retta via, ogni autorità doveva
ritornare alla Chiesa, titolare esclusiva di una divina autorità, anche se esercitata da un uomo.
Come già riportato all’inizio del presente lavoro, Bonifacio VIII conclude la sua bolla
affermando la necessaria salvifica sottomissione di ogni creatura al pontefice romano.
Non c’è dubbio che ad ispirare il documento in esame che, come più volte ribadito, esprime
eloquentemente il punto massimo di potere raggiunto dalla Chiesa, siano state diverse fonti tra cui il
Dictatus papae di Gregorio VII; le tesi annunziate nella bolla appena richiamata lasciano emergere
dunque una sottomissione di tutti allo sguardo e all’attenzione dell’autorità della Chiesa; questa diviene,
pertanto, fonte e regola di ogni potere sulla terra che ingloba ogni creatura umana e che trova nel
pontefice il suo unico capo30.
Bonifacio VIII, convinto sostenitore della superiorità della Chiesa, si sentì autorizzato ad
intervenire spesso in ambito internazionale al punto da realizzare un’insanabile controversia soprattutto
con il re di Francia Filippo IV detto il Bello31; quest’ultimo era infatti un agguerrito oppositore di
quell’ideale teocratico di Bonifacio VIII che trovava la sua concreta realizzazione nella cosiddetta
potestas directa in temporalibus; questa, non a caso, venne di fatto esercitata dalla Santa Sede nel periodo
della sua maggiore potenza e cioè tra l’inizio del pontificato di Gregorio VII (1073) e la fine di quello di
Bonifacio VIII (1303).
Le vicende che precedono l’emanazione della bolla Unam Sanctam forniscono una maggiore
spiegazione del vigore con cui Bonifacio affermò in essa la superiorità del potere della Chiesa di Roma e
del suo Pontefice su ogni altro potere. Poco dopo la sua elezione, infatti, Benedetto Caetani decise di
A. Parravicini Bagliani, op. cit., p. 60 e ss..
A. Parravicini Bagliani, op. cit., p. 105.
30 A .Parravicini Bagliani, op. cit., p. 304 e ss..
31 A. M. Piazzoni, op. cit., p. 156.
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inviare due cardinali legati rispettivamente in Francia ed in Inghilterra quali mediatori nella vertenza che
divideva Edoardo I e Filippo il Bello, nell’intento di porre termine alla guerra tra i due re. Nell’ambito di
questa attività diplomatica internazionale, che rappresentava un elemento di continuità con quanto già
iniziato da Celestino V, merita di essere citata l’enciclica con cui Bonifacio VIII proibì di imporre e di
ricevere tributi dai chierici, ribadendone l’immunità fiscale e reagendo con essa alla tassazione del clero
decisa dal re d’Inghilterra e dal re di Francia nel 129532, il papa vietava, inoltre, a tutti gli ecclesiastici di
pagare tali imposte senza l’autorizzazione della Santa Sede, minacciando scomuniche, interdetti o
deposizioni nei confronti di chi avesse violato tali prescrizioni. Venuto a conoscenza del rifiuto di
Filippo il Bello di dar seguito all’enciclica sopra richiamata e meglio nota con il nome Clericos Laicos,
Bonifacio VIII assunse toni intimidatori che non mancò di esprimere in una lettera indirizzata al re. Ma
il rischio che derivava dal minacciato blocco delle esportazioni dal regno di Francia, che avrebbe
pregiudicato fra l’altro la riscossione delle decime francesi da parte della Chiesa, indusse il papa ad
attenuare la propria posizione nei confronti del re di Francia33.
Per rimanere sul versante internazionale, Bonifacio VIII rivolse la sua attenzione alla Sicilia,
contesa tra Angioini e Aragonesi. Il tentativo fallito di restituire l’isola agli Angiò si concluse nel 1302
con la pace di Caltabellotta con cui la Sicilia sarebbe restata a Federico III d’Aragona fino alla sua
morte. L’evento descritto assume particolare importanza ai nostri fini, in quanto strettamente legato
all’inasprimento dei rapporti con la famiglia Colonna, che proprio agli Aragonesi aveva offerto il
proprio appoggio; l’espansione territoriale dei Caetani e il palese malumore dei cardinali Giacomo e
Pietro Colonna nei confronti dell’autoritarismo del pontefice consolidarono questa frattura, destinata a
inasprirsi ulteriormente con il procedere degli eventi; tra questi dobbiamo certamente annoverare la
pubblicazione del manifesto nel quale i suddetti cardinali, riuniti con un nutrito gruppo di contestatori
(tra cui Jacopone da Todi) nel castello di Lunghezza34, denunciarono come illegittima sia l’elezione di
Bonifacio VIII, sia le dimissioni di Celestino V35. La reazione del pontefice non si fece attendere; dopo
appena tredici giorni dalla pubblicazione del manifesto cui abbiamo accennato, ed esattamente il 23
maggio 1297, con la bolla Lapis abscissus, Bonifacio VIII scomunicava i cardinali Colonna confiscandone
i beni. Gli attacchi da entrambi le parti si fecero sempre più serrati, finchè nel dicembre 1297 il
pontefice indisse una vera e propria crociata contro la città di Palestrina, capoluogo dei possessi della
famiglia Colonna e di tutti i castelli che restavano ancora nelle loro mani. Ma la vera e propria guerra tra
il pontefice ed i Colonna era destinata a protrarsi nel tempo fino alla morte di Bonifacio ed oltre.
Nell’autunno del 1298, in abiti da lutto e senza scarpe, la famiglia Colonna si presentò a Rieti dinnanzi
al papa per implorare il perdono del pontefice che assegnò ad essi il soggiorno obbligato a Tivoli, fino
alla definitiva decisione giudiziaria nei loro confronti. Non furono mai certi i motivi che spinsero i
Colonna a tale azione, ma di fatto la loro persecuzione proseguì; il 12 aprile 1299, infatti, l’inquisizione
ordinò il sequestro della casa posseduta a Bologna dal deposto cardinale Giacomo Colonna 36. L’ira di
Bonifacio VIII contro la famiglia “nemica” si manifestò in tutta la sua violenza, quando venne a
conoscenza della fuga dei Colonna da Tivoli e del riparo che essi trovarono alla corte di Filippo il Bello;
proprio a seguito di ciò, infatti, il pontefice ordinò di radere al suolo la città di Palestrina e, dopo aver
sparso il sale sulle sue rovine, ne proibì per sempre la ricostruzione; in quell’occasione, anche il frate
Iacopone da Todi, “reo” di essersi schierato al fianco dei Colonna, venne imprigionato e scomunicato.
Gli eventi sui quali ci siamo sommariamente soffermati rappresentano alcuni dei principali eventi che
precedono la promulgazione della bolla Unam Sanctam; la decisione di dedicare ad essi alcune pagine del
presente lavoro scaturisce dall’intento di permettere al lettore interessato una migliore comprensione del
significato politico assunto dalla bolla appena citata.
A. Parravicini Bagliani, op. cit., pp. 119 e ss..
C. Lisi in S. Sascitelli, Veggio in Alagna…, Subiaco 2004, pp. 3-4.
34 S. Ascitelli op.cit., p. 5.
35 A. Parravicini Bagliani, op. cit., pp. 150 ss..
36 A. Parravicini Bagliani, op. cit., pp. 191 ss..
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11. BONIFACIO VIII: IL PRIMO GIUBILEO
Bonifacio VIII è rimasto alla storia anche come il Papa del primo Giubileo. Nell’analizzare,
seppure sommariamente, la sua figura, non possiamo pertanto tacere l’evento giubilare, specie rispetto
al significato politico che rivestì in quel periodo; ad esso, dunque, dedicheremo le poche righe che
seguono.
Verso la fine del 1299 circolava insistentemente la voce secondo cui, nel corso del centesimo
anno, i visitatori della basilica di S.Pietro avrebbero potuto ottenere una piena remissione dei loro
peccati.
Era tuttavia certo che il primo gennaio del 1300, in occasione della celebrazione in San Pietro
dell’ottava di Natale e della festa della Circoncisione di Cristo, i fedeli avrebbero potuto lucrare
indulgenze di tre anni ed altre di quaranta giorni. Il cardinale Stefaneschi, nel suo De centesimo seu jubileo
anno, ci racconta di un episodio particolarmente curioso; scrive infatti che durante tutta la giornata del
primo gennaio il segreto di questa indulgenza plenaria, di cui si vociferava già dalla fine dell’anno
precedente, restò come nascosto; quando cominciò a farsi sera moltissimi romani, fino a tarda notte,
accorsero ad accalcarsi attorno all’altare tanto da rendere impossibile avvicinarvisi; tale comportamento
sembrò essere determinato dalla credenza che, col finire della giornata, sarebbe cessata la grazia
dell’indulgenza. Sulla base delle voci di una possibile indulgenza giubilare, l’episodio appena descritto, si
ripetè anche la domenica del 17 gennaio del 1300. Resosi conto dell’ampia diffusione delle voci
sull’indulgenza plenaria e del fervore popolare che esse avevano provocato, Bonifacio VIII decise di
muoversi. Il pontefice sapeva bene che nessuna indulgenza del genere era stata mai accordata
nell’ambito di un Giubileo ed era inoltre a conoscenza che ogni nuovo decreto doveva trovare
giustificazione; ordinò pertanto una ricerca avente ad oggetto eventuali precedenti negli archivi
pontifici, ma non ebbe alcun risultato. Di fronte all’assenza di prove documentali, assunsero dunque
particolare rilevanza le testimonianze orali che raccontavano di precedenti indulgenze collegate al
pellegrinaggio a Roma nel “centesimo anno”. La loro veridicità non rivestiva particolare importanza, in
quanto ciò che premeva al pontefice era di poter giustificare, in qualche modo, la sua decisione di
promulgare un Giubileo legato alla nozione di secolo. Il 16 o il 17 febbraio del 1300, Bonifacio
promulgò la bolla del giubileo, il primo della storia cristiana, che iniziò ufficialmente il 22 febbraio 1300,
ma nell’ambito del quale il Papa permise di poter lucrare le indulgenze a partire dalla festa di Natale
dell’anno precedente37.
Il pontefice seppe dunque cogliere l’occasione che gli era stata offerta dalle richieste dei fedeli
per rafforzare la sua autorità di fronte alla cristianità intera, proprio mentre la sua legittimità veniva
contestata da una opinione pubblica rimasta esterrefatta di fronte alla violenza con cui egli aveva
perseguito i Colonna38.
Prima di concludere queste pagine dedicate a Bonifacio VIII, considerando la parte finale del
suo pontificato e della sua vita, non possiamo tacere l’importante contributo che egli fornì nel diritto
canonico, nel riordinamento del sistema amministrativo della curia, nell’organizzazione degli archivi e
della biblioteca pontificia, della quale fece realizzare il primo catalogo; non possiamo dimenticare,
inoltre, la particolare attenzione dedicata dal pontefice alla cultura, che si concretizzò nella fondazione
dell’Università di Roma denominata più tardi “La Sapienza”, nel 1303. A Bonifacio VIII si deve ancora
la decisione di confermare il provvedimento con cui Celestino V aveva rimesso in vigore il decreto Ubi
periculum e di aver inserito quel testo in modo stabile e organico nel Liber sextus, che nel 1298 venne
pubblicato come parte integrante del Corpus iuris canonici. Da quel momento, nonostante i diversi
mutamenti introdotti successivamente, sono rimasti fermi due principi importantissimi rappresentati
dalla rapidità con cui deve avvenire l’elezione del Papa e dalla necessità di isolare dal resto del mondo i
partecipanti al conclave39.
Nelle pagine che seguono ci accingiamo a considerare il succedersi degli eventi che
caratterizzarono l’ultimo periodo del pontificato di Bonifacio VIII, i quali rappresentano forse, ai fini
A. Parravicini Bagliani, op. cit., pp. 245 ss..
A. Parravicini Bagliani, op. cit., p. 253.
39 A. M. Piazzoni, op.cit., p. 156.
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13
della nostra indagine, l’immagine più eloquente dell’inizio di quel declino del potere temporale della
Chiesa che, come già accennato, troverà il suo epilogo nella presa di Roma del 1870.
Alla notizia di una nuova bolla, questa volta di scomunica, diretta al Re di Francia, fece seguito il
cruento episodio passato alla storia come “lo schiaffo di Anagni” e che cercheremo di riassumere
brevemente.
All’alba del 7 settembre 1303 un gruppo di uomini armati, composti in parte da uomini assoldati
dal re di Francia, guidati dal legato di questo Guglielmo di Nogaret e in parte da rappresentanti dei
Colonna con a capo Sciarra Colonna, fratello del deposto cardinale Pietro Colonna, entrarono nella città
di Anagni dove dimorava Bonifacio VIII; posero in assedio il palazzo del Papa e dopo diverse ore
catturarono il pontefice, spogliandolo dei proprio tesoro, dei propri abiti e dei suoi utensili. Verso le
dodici del giorno successivo alla cattura, però, la popolazione di Anagni si sollevò a favore del proprio
Papa e dopo un sanguinoso conflitto lo liberò.
Passati circa otto giorni dall’assalto, Bonifacio VIII fece ritorno a Roma dove si spense nella
notte tra l’11 e il 12 ottobre 1303.
La lotta nei suoi confronti proseguirà anche dopo la morte e i materiali accusatori, prodotti tra il
1297 e il 1311, non fecero che contribuire a mascherare e ad oscurare una personalità che resta
controversa ed enigmatica, ma che, culturalmente ed intellettualmente, risulta assai più complessa di
quanto si possa apparentemente immaginare. Certo, con la morte di Bonifacio VIII inizia il lungo
declino del potere temporale della Chiesa, anch’esso scandito da una sorta di tappe che, per evidenti
ragioni di spazio, non possono formare oggetto della presente breve trattazione, ma che ci limitiamo
solamente a citare di seguito. In tal senso particolare significato assume la pace di Westfalia del 1648,
che porrà fine alla guerra dei trent’anni, dove la Chiesa sarà “la grande esclusa”; altre tappe significative
del declino del potere temporale della Chiesa saranno rappresentate dalla pace di Tolentino nel 1797 e
dalla presa di Roma avvenuta a distanza di circa settanta anni. La legge delle guarantige del 1871 prima e
l’inizio della moderna produzione concordataria, accompagneranno il cammino della Chiesa fino ai
nostri giorni.
12. CONCLUSIONI
Se dunque il potere temporale della Chiesa rappresenta la sua parte umana e terrena destinata,
come abbiamo visto, a terminare, lo stesso non può dirsi del suo potere spirituale.
La contrapposizione tra i due poteri, che ha costituito una costante nella storia e che ha formato
oggetto delle pagine che precedono, spesso ancora oggi fa da sfondo ai più grandi temi del nostro
tempo. Troppe volte, da più parti, si accusa semplicisticamente la Chiesa di Roma di ingerenza nella vita
politica ed economica, rivendicando impropriamente la laicità dello Stato, senza avere tuttavia alcuna
coscienza della vera finalità che sottende agli ammonimenti che la Chiesa stessa esprime per bocca del
suo pontefice; in forte contraddizione con tale atteggiamento, però, sta il costante e diffuso impegno
politico di conquista dei voti dell’elettorato cattolico. Se la Chiesa non avesse il potere di esprimersi sui
temi che accompagnano l’uomo nel suo cammino terreno, come potrebbe guidarlo nella sua storia?
Come potrebbe parlare alla sua coscienza e dunque perseguire la missione affidatagli da Cristo? La
libertà dell’uomo, sia esso un politico o un semplice cittadino, di scegliere di ascoltare la voce di cui
Cristo si serve per parlare al mondo di oggi, non può dirsi certamente violata; l’uomo, infatti, sarà
sempre libero di decidere se lasciarla rimanere Voce di uno che grida nel deserto o farne invece un
riferimento autorevole dei propri programmi politici o di vita; rappresenterebbe, al contrario, un
attentato alla libertà dell’essere umano, impedire alla Chiesa di esprimersi sui temi che angosciano e
preoccupano la coscienza dell’uomo, privando milioni di persone di un riferimento di vita, per molti
l’unico. La voce della Chiesa, espressione invece del suo indiscutibile potere spirituale, è riuscita per
opera del suo pontefice, negli ultimi decenni, a far cadere regimi, ad unire in preghiera religioni da
sempre lontane. La sua voce si è alzata più forte di fronte alle efferatezze della guerra, la cosa più brutta
di cui l’uomo è capace; ha gridato l’orrore della povertà che miete migliaia di vittime in tutto il mondo,
schierandosi sempre con coerenza nella difesa della vita umana. Tutto questo solo in forza del potere
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spirituale che direttamente da Cristo gli deriva e che, dunque, allo stato dei fatti risulta essere di gran
lunga più potente di ogni altro potere temporale40.
Dr. Roberto Santi
Funzionario dell’Agenzia delle entrate
Come abbiamo visto nell’ambito di questo breve lavoro, la storia del potere temporale della Chiesa è la storia della Chiesa
stessa, scandita dal succedersi dei suoi pontefici nel corso dei secoli. Non è pertanto fuori luogo ricordare che nelle ore in cui
mi accingo a concludere questa breve indagine, Giovanni Paolo II ha lasciato questa terra; egli rappresenta senza dubbio uno
dei più grandi pontefici della storia. A lui, uomo di pace, di preghiera e di speranza, che ha cambiato radicalmente gli ultimi
venticinque anni della storia dell’uomo, vanno le ultime parole del presente lavoro, in segno di gratitudine per aver portato
fino agli estremi confini della terra il messaggio d’amore di Cristo risorto.
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