Il concetto di giustizia come eguaglianza di

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Il concetto di giustizia come eguaglianza di
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ARISTOTELE
Il nesso legge – giustizia
Sembra che della giustizia e dell'ingiustizia si parli in molti sensi, ma essendo questi sensi assai
vicini tra loro a causa della loro omonimia, essi sfuggono e non sono evidenti come invece accade
nelle cose lontane tra loro. La differenza infatti è grande quando riguarda l'idea: ad esempio in greco
si chiama egualmente chiave sia la clavicola degli animali sia l'arnese con cui si chiudono le porte.
Giustizia come legalità e imparzialità
Vediamo dunque in quanti sensi si dice che uno è ingiusto. Sembra che ingiusto sia tanto il
trasgressore della legge, quanto chi vuole avvantaggiarsi, quanto l'iniquo, per cui è evidente che anche
il giusto sarà sia il rispettoso della legge sia l'equo. Perciò ciò che è giusto sarà quel ch'è legale e quel
ch'è imparziale, ciò che è ingiusto sarà quel ch'è illegale e quel ch'è iniquo. E poiché l'ingiusto è anche
uomo che vuol avvantaggiarsi, si mostrerà tale intorno ai beni, ma non intorno a tutti, bensì intorno a
quelli in cui v'è buona e cattiva fortuna, i quali in genere sono sempre beni, ma per qualcuno non lo
sono sempre. Gli uomini li desiderano e li inseguono; però non bisogna fare così, bensì bisogna
desiderare che quelli che sono beni in senso assoluto divengano beni anche per noi stessi e scegliere
solo quelli che sono beni per noi. L'uomo ingiusto poi non sceglie sempre ciò ch'è più del dovuto,
bensì sceglie anche il meno nel caso dei mali in genere: però, poiché sembra che anche il minor male
sia in certo modo un bene, e la prepotente avidità concerne il bene, per questo egli sembra esser uomo
che vuole avvantaggiarsi. Ed è anche iniquo: questo concetto poi abbraccia tutto ciò ed è quindi
comune.
Poiché dunque, come s'è detto, il trasgressore della legge è ingiusto, mentre il rispettoso della
legge è giusto, è evidente che tutte le cose legali sono in certo modo giuste: infatti le cose stabilite dal
potere legislativo sono legali, e noi diciamo che ciascuna di esse è giusta.
Le leggi poi si pronunziano su ogni cosa, mirando o all'utilità comune a tutti o a quella di chi
primeggia o per virtù o in qualche altro modo simile; perciò con una sola espressione definiamo cose
giuste quelle cose che procurano o salvaguardano la felicità o parti di essa alla comunità civile.
La legge poi comanda anche di operare da uomo coraggioso, ad esempio di non abbandonare le
file, di non fuggire e di non gettare lo scudo; e da uomo moderato, ad esempio di non compiere
adulterio e oltraggio; e da uomo mansueto, ad esempio di non percuotere e di non far maldicenza; e
parimenti secondo le altre virtù e colpe, prescrivendo alcune cose e vietandone altre. È retta poi la
legge stabilita rettamente, peggiore quella improvvisata.
Giustizia perfetta e completa
Questa giustizia è dunque una virtù perfetta, ma non di per sé, bensì in relazione ad altro. E per
questo spesso la giustizia sembra essere la più importante delle virtù, e che né la stella della sera né
quella del mattino siano così ammirabili; e, nel proverbio, diciamo: Nella giustizia è insieme
compresa ogni virtù . Essa è una virtù sommamente perfetta, perché il suo uso è quello di una virtù
perfetta; cioè è perfetta, perché chi la possiede può servirsi di questa virtù anche nei riguardi di un
altro e non solo di se stesso; infatti molti nelle proprie cose possono servirsi della virtù, ma non
possono servirsene nelle cose che concernono altri. E per questo sembra esser giusto il detto di Biante
che “ è la carica che fa conoscere l'uomo”: infatti chi esercita una carica e già in rapporto con altri e
partecipa alla società. Proprio per questo poi la giustizia è la sola delle virtù che sembra essere un
bene altrui, in quanto riguarda gli altri: essa infatti compie ciò che è utile ad altri, sia ai capi, sia alla
società. È dunque l'uomo peggiore colui che diventa reo verso se stesso e verso gli amici; mentre il
migliore non è chi fa uso della virtù riguardo a se stesso, bensì riguardo ad altri: e questo è opera
difficile. Questa giustizia dunque non è una virtù parziale, bensì è virtù completa, e l'ingiustizia che le
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si oppone non è un vizio parziale, ma è vizio completo. (…).
Giustizia particolare: giustizia distributiva e commutativa
Della giustizia particolare invece e del giusto ad essa corrispondente, una specie è quella che
consiste nella ripartizione degli onori, delle ricchezze e di tutte le altre cose divisibili per chi fa parte
della cittadinanza (in esse infatti uno può avere rispetto a un altro un trattamento iniquo oppure equo),
un'altra specie è quella che regola le relazioni sociali. Di quest'ultima vi sono due parti; infatti delle
relazioni (1131 a) alcune sono volontarie, altre involontarie; volontarie sono quelle come la vendita,
la compera, il prestito, la cauzione, la locazione, il deposito, il salario (esse sono dette volontarie,
perché il principio di tali contratti è volontario); di quelle involontarie alcune sono clandestine, come
il furto, l'adulterio, l'avvelenamento, il lenocinio, la corruzione di servi, l'assassinio doloso, la falsa
testimonianza, altre sono atti di violenza, come i maltrattamenti, l'imprigionamento, l'omicidio, la
rapina, la mutilazione, la diffamazione, l'oltraggio.
Giustizia distributiva: proporzione geometrica
Poiché chi è ingiusto è iniquo, e ciò che è ingiusto è iniquo, è evidente che anche dell'iniquità vi è
un giusto mezzo. E questo è l'equità: infatti in quelle azioni in cui v'è un più e un meno esiste anche
l'equità. Se dunque ciò che è ingiusto è iniquo, ciò che è giusto è equo: e ciò appare a tutti anche senza
ragionamento. E poiché l'equo è una posizione di mezzo, il giusto dev'essere pure una posizione di
mezzo.
L'equo presuppone poi almeno due termini. Necessariamente quindi il giusto, che è una posizione
di mezzo ed è equo, è relativo a un oggetto e a delle persone; e in quanto è una posizione di mezzo,
presuppone alcuni termini, cioè il più e il meno, in quanto è equo presuppone due persone, in quanto è
giusto alcune persone. Necessariamente dunque il giusto comporta almeno quattro elementi: due sono
infatti le persone per le quali si trova ad essere e due gli oggetti, rispetto ai quali può esistere. E tale
sarà l'eguaglianza: per le persone e nelle cose; e quali sono i rapporti tra le cose, tali dovranno essere
anche quelli tra le persone: se infatti esse non sono eque non avranno neppure rapporti equi, bensì di
qui sorgeranno battaglie e contestazioni, qualora persone eque abbiano e ottengano rapporti non equi
oppure persone non eque abbiano e ottengano rapporti equi.
Ciò è ancora evidente dal punto di vista del merito: tutti infatti concordano che nelle ripartizioni vi
debba essere il giusto secondo il merito, ma non tutti riconoscono lo stesso merito, bensì i democratici
lo vedono nella libertà, gli oligarchici nella ricchezza o nella nobiltà di nascita, gli aristocratici nella
virtù. Quindi il giusto è, in certo senso, una proporzione. Infatti la proporzione non è propria soltanto
del numero aritmetico, ma in generale di ogni numero: la proporzione infatti è un'equità di rapporti e
almeno tra quattro termini. (…)
I matematici chiamano poi geometrica questa proporzione: infatti nella proporzione geometrica
anche la somma sta alla somma come un termine sta all'altro. E questa proporzione non può essere
continua: infatti non si può trovare un solo termine numerico per una persona e per una cosa. Il giusto
infatti è questa proporzione, e l'ingiusto è ciò che contrasta la proporzione. Invero vi si distingue
anche un più e un meno. E ciò accade nelle opere: chi infatti commette ingiustizia si attribuisce di più,
chi subisce ingiustizia riceve di meno di ciò che è bene. In ciò che è male, invece avviene il contrario:
il minor male è tenuto in conto di bene, il maggior male in conto di male. Infatti il male minore è
preferibile a quello maggiore, e ciò che è preferibile è bene e tanto più grande bene quanto più lo è.
Giustizia commutativa
Dunque una specie di giusto è questa ora esaminata. Ve n’è poi un'altra ed è quella regolatrice, la
quale si presenta nelle relazioni sociali, sia in quelle volontarie, sia in quelle involontarie. Questo
giusto è d'una specie diversa dalla precedente. Infatti la giustizia distributiva si manifesta sempre in
conformità alla proporzione suddetta delle cose comuni (e infatti quando v'è la ripartizione delle
ricchezze comuni, essa avverrà secondo lo stesso rapporto che vi è reciprocamente tra i singoli
contributi: e l'ingiustizia che si oppone a questo giusto consisterà nel non rispettare la proporzione).
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Ciò che invece è giusto nelle relazioni sociali è una certa equità e l'ingiusto una iniquità, non però
secondo quella proporzione geometrica bensì secondo quella aritmetica. Infatti non v'è alcuna
differenza se un uomo per bene ha rubato a un uomo dappoco o un uomo dappoco a uno per bene: né
se chi ha commesso adulterio fosse un uomo per bene o un uomo dappoco; bensì la legge bada
soltanto alla differenza del danno (e tratta le persone come eguali), cioè se uno ha commesso
ingiustizia e un altro l'ha subita, se uno ha recato danno e un altro l'ha ricevuto.
Cosicché il giudice si sforza di correggere questa ingiustizia, in quanto iniqua; e quando l'uno
abbia ricevuto percosse e l'altro le abbia inferte, oppure anche uno abbia ucciso e l'altro sia morto, il
subire e l'agire sono stati in rapporti d'iniquità: allora si cerca di correggerli con una perdita sottraendo
così da ciò che era in vantaggio. Si parla di vantaggio in tali cose solo in senso generale, anche se per
taluni, come per chi ha percosso, la parola vantaggio non sia propria e così la parola perdita per chi
ha subito. Ma quando si voglia misurare ciò che si subisce, allora si può parlare di perdita e di
vantaggio. Cosicché l'equo è il medio tra il più e il meno; il vantaggio e la perdita sono poi in senso
opposto il più e il meno, il vantaggio è un più rispetto al bene e un meno rispetto al male, la perdita è
il contrario: tra di essi l'equo, come si è detto, la via di mezzo ed è ciò che diciamo giusto: cosicché la
giustizia correttiva sarebbe il medio tra il danno e il vantaggio. Per questo, quando si è in lite, si
ricorre al giudice, e l'andare dal giudice è come andare dalla giustizia: il giudice infatti vuole essere
come la giustizia incarnata: e si cerca un giudice imparziale, e alcuni chiamano i giudici mediatori, in
quanto, se raggiungono il mezzo, ottengono il giusto.
Quindi la giustizia, come pure il giudice, è qualcosa di medio. Il giudice poi eguaglia e, come se si
trattasse di una linea tagliata in parti diseguali, toglie ciò per cui la parte maggiore supera la metà e
l'aggiunge alla parte minore. Quando infatti il tutto è bipartito, si dice di avere la propria parte quando
si prende una parte eguale. Perciò l'equo è il medio tra il più e il meno secondo la proporzione
aritmetica. (…)
Giustizia civile e giustizia padronale
Il giusto nella società si presenta in coloro che vivono in società, al fine di essere indipendenti,
liberi ed eguali o in rapporto proporzionale o in rapporto numerico. Cosicché quelli che non sono in
queste condizioni non hanno una vera giustizia sociale tra loro, bensì solo una data sorte di giustizia e
solo simile a quella. La giustizia infatti esiste per coloro per i quali v'è anche una legge: e anche per
coloro tra cui v'è ingiustizia v'è una legge perché la giustizia è discernimento del giusto e
dell'ingiusto: e tra coloro in cui v’è ingiustizia v'è anche l'agire ingiustamente, ma non in tutti coloro
in cui si trova un'azione ingiusta v'è ingiustizia. E l'ingiustizia consiste nell'attribuire di più del dovuto
dei beni in generale e di meno dei mali in generale.
Perciò non permettiamo che comandi un uomo, bensì la ragione; un uomo infatti lo farebbe a
proprio vantaggio e diventerebbe tiranno. Chi comanda invece è solo il guardiano del giusto e, se lo è
del giusto, lo è anche dell'equo. E poiché sembra che egli non riceva per questo nulla più degli altri, se
pur è giusto (infatti egli non si attribuisce una parte maggiore del bene in generale, se non è
proporzionale a sé; e quindi si affatica per gli altri: e per questo si dice che la giustizia è bene degli
altri, come si è detto già precedentemente); per questo bisogna dargli un compenso, cioè onore e
privilegi. E coloro a cui queste ricompense non sembrano sufficienti, divengono tiranni.
Il diritto padronale e quello paterno non sono poi la stessa cosa di questi suddetti ma qualcosa di
simile. Infatti non esiste proprio un'ingiustizia verso le cose che sono assolutamente in nostro
possesso, le proprietà e i figli, ma sino a quando non siano di una certa età e indipendenti sono come
una parte di noi stessi. Nessuno d'altra parte si propone di danneggiare se stesso; e quindi qui non v'è
neppure un ingiusto e un giusto in senso civile. Un tale giusto infatti è, come s'è detto, secondo la
legge e tra persone che naturalmente devono obbedire alla legge; e costoro sono, come s'è detto, quelli
a cui compete eguaglianza nel comandare e nell'esser comandati. Perciò vi è un giusto civile piuttosto
verso la moglie che verso i figli e le proprietà; questi ultimi rapporti infatti costituiscono la giustizia
domestica, ed essa è altro da quella civile. (…)
Conveniente
Resta da parlare della convenienza e del conveniente, di quali rapporti abbia la convenienza con la
giustizia e il conveniente col giusto. Infatti se osserviamo bene ci appare che in senso assoluto essi
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non sono nè la stessa cosa, nè cose diverse per genere; e talora noi lodiamo il conveniente e
l'uomo che è tale, sì che, nel lodare, in taluni casi adoperiamo questo termine in luogo di buono,
indicando che ciò che è più conveniente è migliore; talora, seguendo questo ragionamento, sembra
strano che il conveniente venga lodato, essendo qualcosa di diverso dal giusto: infatti se il
conveniente e l'onesto sono differenti, o il giusto non è onesto, o il conveniente non è giusto: oppure,
se entrambe sono cose oneste, esse sono la stessa cosa. Questa incertezza per lo più si verifica per
questi motivi intorno al conveniente. Tuttavia tutti questi termini sono in certo senso esatti e per nulla
in contraddizione tra loro. Infatti il conveniente, pur essendo superiore a quel giusto che è particolare,
è pur sempre giusto e non perché appartiene a un altro genere che possiede queste superiorità. Quindi
il giusto e il conveniente sono la stessa cosa e, pur essendo onesti entrambi, il conveniente è superiore.
L'incertezza sorge poi dal fatto che il conveniente è pur giusto, ma non secondo la legge, bensì è
come un correttivo del giusto legale. La causa è che ogni legge è universale, mentre non è possibile in
universale prescrivere rettamente intorno ad alcune cose particolari. In quei casi dunque in cui è
necessario parlare m universale, ma non è possibile far ciò con retta precisione, la legge allora si
preoccupa di ciò che è generalmente, non ignorando la sua insufficienza. E non di meno essa è retta;
infatti l'errore non risiede nella legge, né nel legislatore, bensì nella natura della cosa: proprio tale
infatti è la materia nell'ambito delle azioni.
Quando dunque la legge parli in generale, ma in concreto avvenga qualcosa che non rientri
nell'universale, allora è cosa retta il correggere la lacuna là dove il legislatore ha omesso ed errato,
parlando in generale: e ciò direbbe anche il legislatore stesso se fosse presente colà, e se avesse
previsto la cosa, l'avrebbe regolata nella legge. Perciò il conveniente è giusto, ed è anche migliore di
quel giusto che è particolare, ma non del giusto in senso assoluto, bensì dell'errore della legge, in
quanto parla in generale. E questa è appunto la natura del conveniente, di correggere la legge là dove
essa è insufficiente a causa del suo esprimersi in universale. E la causa che del non esser ogni cosa
inclusa nella legge è il fatto che intorno ad alcuni particolari è impossibile porre una legge fissa, per
cui v’e bisogno della decisione d'assemblea. Infatti di ciò che è indeterminato, anche la forma deve
essere indeterminata, come è il regolo di piombo che si usa nell'edilizia di Lesbo: esso infatti si piega
alla forma della pietra e non rimane rigido, è altrettanto è del decreto rispetto ai fatti.
E’ dunque chiaro che cosa conveniente, e che esso sia giusto e di quale giusto sia migliore è anche
evidente da ciò chi sia l'uomo conveniente. L’uomo conveniente è infatti chi è incline a proporsi e a
compiere tali cose; e non è rigido nella legge in ciò che porta al peggio, bensì incline a mitigare,
anche se può invocare l'aiuto della legge: e una tale disposizione d'animo è la convenienza, la quale è
giustizia e non una disposizione diversa dal giusto.
(Aristotele, Etica Nicomachea, Libro V, 1129a - 1138a, Roma-Bari, 1988, Laterza)
Analizza il testo e rispondi alle domande:
1. Quali
Quali sono i molteplici significati di giusto e ingiusto?
ingiusto?
2. Quale tipo di ragionamento usa Aristotele per definire la giustizia?
3. Che cosa significa legalità?
4. A che cosa mira la legge?
5. Per quali motivi
motivi la giustizia è la virtù perfetta e completa?
6. Come viene definita la giustizia distributiva e in che cosa consiste?
7. Come viene definita la giustizia commutativa e in
in che cosa consiste?
8. Come deve essere il giudice e su quale facoltà deve basare le sue d
decisioni?
ecisioni?
9. Come viene definito il tiranno da Aristotele?
10. Su chi si esercita la giustizia civile?
11. Che differenza c’è fra il diritto padronale e paterno e la giustizia civile?
12. Quali problemi pone l’
l’universalità della legge in relazione alla sua applicazione ai
ai casi particolari?
13. Che cosa si intende per conveniente e in che rapporto sta con il giusto?
14. A che cosa serve il regolo di Lesbo,
Lesbo, a che cosa allude questo strumento?
strumento?