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2 CORRIER EC ON OM I A LUNEDÌ 10 APRILE 2006 In copertina Il reportage Casi e personaggi Riforme L’azienda ha chiuso. La ragazza ora frequenta il programma di riqualificazione statale: studia informatica e tra poco entrerà in una società di Copenhagen Dai maiali ai computer: flessibili si diventa La storia di Pernille Jensen spiega come funziona il nuovo mercato del lavoro in Danimarca. Un po’ meno sicuro... La stanza dei bottoni Forte concorrenza dei Paesi Baltici. E c’è chi pensa di fuggire in Svizzera come Ikea e Tetra Pak Tassi e geyser L’Islanda e la faccia cattiva dei mercati L multietnica costituisce una minaccia a questa attitudine»: saranno disposti i popoli del Nord a pagare per servizi di cui usufruiscono sempre più gli immigrati? Tasse a parte, ci sono altri lati oscuri del Modello Nordico. Gli economisti, per dire, calcolano che in Svezia il tasso di disoccupazione — ufficialmente attorno al 6% — sia in realtà vicino al 20% se si considerano malattie, prepensionamenti e sussidi di Stato. In Danimarca e Norvegia un terzo dei lavoratori è impiegato nel settore pubblico. Quello che però nell’Europa continentale si sa poco è che i Paesi nordici sono coscienti delle minacce e hanno iniziato a fare riforme che in qualche modo modificano il Welfare State così come era stato Sovrana Margrethe II regina di Danimarca. In Italia dal 14 al 18 maggio disegnato dai padri socialdemocratici. A Stoccolma, per esempio, la gestione della maggior parte degli ospedali è affidata a organizzazioni private (sempre finanziata dallo Stato) per aumentarne l’efficienza attraverso la competizione. Lo stesso succede a Oslo. La Finlandia ha abbattuto di sei punti percentuali la media della tassazione sulle persone fisiche. E anche nell’educazione — vanto del modello scandinavo — la Svezia sta incentivando la nascita di scuole private, finanziate dallo Stato ma meno orientate all’egualitarsimo e più al riconoscimento dei meriti. Insomma, tempi nuovi un po’ ovunque nel Nordeuropa. «Se devo essere franca — dice Pernille — non posso dire che i maiali mi manchino veramente». Chiappori D. Ta. a cura di Federico De Rosa e Raffaella Polato [email protected] Sawiris non compra la villa di Ricucci Cena con Paul Newman allo Spazio Krizia di Milano. Abete, Laboratorio modernizzazioni qualche giornale. Le cose non sono andate come sperava e il raider romano sta cercando un compratore per l’immobile. Pare chieda quasi 50 milioni. Sawiris sembrava la persona giusta. Ma l’arabo è stato più furbo del furbetto: sentita la richiesta ha fatto sapere che la villa era un po’ grande per una famiglia, e piccola per trasferirci la direzione di Wind. *** L'ordine è stato perentorio: non più di un centinaio di inviti. E l’organizzazione è riuscita (per adesso) a rispettare il limite. Il prezioso cartoncino è stato spedito alla Milano «che conta», chiama- Telefoni Naguib Sawiris, numero 1 di Wind Banchiere e attore Luigi Abete; sopra, Paul Newman: cerca fondi per bambini gravemente malati Afp/Grazia Neri L a villa è molto bella. Solo un po’ délabré, ma di gran prestigio. Grande, immersa nel verde, proprio davanti a Villa Borghese. È in vendita da qualche mese e la proposta è finita sul tavolo di Naguib Sawiris . Il patron di Wind sta cercando una base a Roma. E, famiglia al seguito, è sbarcato un paio di settimane fa nella Capitale per visitare l’immobile. La casa è piaciuta. Alla fine, però, non se ne è fatto nulla. Motivo? L’esorbitante richiesta di Stefano Ricucci , che della villa (ipoteca Bpi) è il proprietario. L’aveva comprata per farne la casa «di famiglia». Così aveva detto Anna Falchi a a vita in periferia era grigia e noiosa. Così, quando l’economia dell’Islanda si è trovata all’improvviso al centro delle correnti della globalizzazione, il mondo è sembrato di colpo a colori. Da quando, nel 2003, il governo del mitico (almeno tra i 300 mila islandesi) Davio Oddsson, allora primo ministro, ha aperto il mercato dei mutui alle banche commerciali, il Paese è stato sommerso da una pioggia d’oro. In tre Grande Nord anni, la Borsa è salita del 400% (fino al- Halldor lo scorso febbraio), la disoccupazione è Asgrimsson, scesa all’1,5%, i salari sono cresciuti e la capo del gente spende e compra, i prezzi delle governo case a Reykjavik sono raddoppiati in islandese due anni, le banche e le imprese maggiori si sono lanciate in una serie di acquisizioni nei Paesi scandinavi e in Gran Bretagna. L’economia ha viaggiato con una crescita superiore al 4% all’anno. All’isola è stato come togliere un tappo e lasciare che la forza dei suoi geyser si liberasse. Fino ai primi anni Ottanta, infatti, l’Islanda era in pratica un’economia socialista, dove lo Stato controllava gran parte delle imprese e del sistema finanziario, oltre che i servizi sociali. Da allora, però, le riforme sono state radicali: vent’anni di privatizzazioni e di deregulation hanno portato l’economia, un tempo quasi esclusivamente di pescatori, a contatto con il resto del mondo. E quando la finanza internazionale ha visto l’opportunità ci si è buttata. In sostanza, l’Islanda è stata uno dei mercati preferiti del cosiddetto carry trade, l’operazione con la quale un investitore prende a prestito denaro dove costa poco o niente (fino a poco tempo fa, America, Europa e Giappone) e lo investe in mercati ad alto rendimento. Avendo l’isola un rating di tripla A, era il sogno perfetto: alti ritorni a bassissimo rischio. Ora, però, la globalizzazione e la finanza che la spinge hanno iniziato a mostrare agli islandesi anche la faccia cattiva dei mercati. E le autorità sono nervose. È successo che i tassi d’interesse, in giro per il mondo, sono tornati a crescere e i grandi investitori hanno cominciato ad abbandonare i mercati ad alto rendimento, convinti che il boom sia destinato a finire. Risultato: da febbraio, la Borsa di Reykjavik ha perso più del 15%; la valuta è crollata; la banca centrale ha dovuto alzare dello 0,75% (all’11,50%) i tassi d’interesse sia per combattere l’inflazione (al 4,5%), sia per difendere la corona. «L’economia deve prendersi una pausa dopo un periodo di crescita fenomenale», ha commentato Davio Oddsson, nel frattempo diventato il governatore della banca centrale (sostituito al governo da Halldor Asgrimsson). In realtà, a questo punto il rischio è un po’ più alto di un semplice rallentamento. L’agenzia di rating Moody’s ha confermato il giudizio AAA, ha sostenuto che i timori di un «rischio sistemico» corsi sui mercati sono esagerati ma ha messo sotto osservazione le banche. E gli analisti della danese Danske Bank hanno avvertito che l’economia potrebbe contrarsi tra il 5 e il 10% nei prossimi due anni, con un crollo della corona del 25%. La globalizzazione, bellezza. ta a raccolta la sera del 3 maggio allo Spazio Krizia da Paul Newman e Vincenzo Manes per un «fundraising». I soldi saranno destinati alla costruzione di un villaggio estivo per bambini affetti da malattie gravi e croniche. Prima iniziativa della joint venture non profit tra la Fondazione Dynamo di Manes e la Hole in the World dell’attore americano. Hanno già confermato il sostegno, e la presenza alla serata, Marco Tronchetti Provera e Afef e la famiglia De Benedetti , padre e figlio. Ma le richieste per essere messi in lista sono moltissime. Per la sera, ma anche per avere un posto alla riservatis- sima e ristretta colazione tra filantropi organizzata la mattina da Manes e Newman. *** Sarà la prima occasione per fare i conti con il dopo voto. E, perché no, iniziare a suggerire qualche idea. L’iniziativa è assolutamente bipartisan. Appuntamento il 12 aprile alla Luiss. Riparte il «Laboratorio per le modernizzazioni», il think tank messo in piedi negli anni 90 da Luigi Abete , che adesso l’Associazione Laureati Luiss e l’Unione Industriali di Roma hanno deciso di riaprire. Regista dell’operazione, il direttore dei giovani imprenditori di Confindustria Francesco Delzio. Insieme a Pierluigi Celli , direttore generale dell’Ateneo, il presidente dell’Associazione laureati Luiss, Brunetto Tini e il numero uno degli industriali romani, nonché della Bnl, Abete, ha avuto l’idea di mettere attorno a un tavolo i migliori cervelli del Paese, pescati tra imprese, istituzioni, politica e Università, per ragionare sul futuro. Iniziano Giuliano Amato e Antonio Catricalà , ospiti del primo seminario: «Regole per competere: alla ricerca della democrazia economia». *** Finora è stata solo una sfida artistica: Venezia contro Cannes. Il festival del Lido contro quello della Croisette. Adesso la posta in gioco cambia: non un premio, ma 500 milioni di fondi pubblici. Li gestisce in esclusiva, da oltre 70 anni, la Sezione per il Credito Cinematografico di Bnl. Con l'arrivo a Via Veneto di Bnp Paribas, passerà tutto sotto il controllo francese. Ma solo per pochi giorni. La concessione scade il 30 giugno. La banca di Luigi Abete punta al rinnovo. Ma visto il clima dei rapporti tra Roma e Parigi, nella corsa ai fondi il favorito sarebbe Luigi Terzoli con il Credito Sportivo. Afp/Grazia Neri L a vita «all’allevamento di maiali non era male — giura Pernille Jensen, 31 anni —. All’odore, alla fine, ti abitui e lo stipendio era buono». L’impianto, però, ha chiuso due anni fa. Non che il settore sia in crisi, in Danimarca: la Germania è un mercato portentoso e il primo produttore mondiale di maiali alimenta un flusso continuo attraverso il confine. Sono piuttosto gli ambientalisti e l’industria del turismo che negli ultimi tempi hanno costretto stalle e impianti danesi a ristrutturare e concentrarsi: vent’anni fa, le aziende erano 60 mila e allevavano 13 milioni di maiali all’anno; oggi ne crescono il doppio ma si sono ridotte a 13 mila. Così, Pernille ha perso il posto. È però finita in un programma di riqualificazione statale: studia informatica e tra qualche mese entrerà in un’azienda di Copenhagen. Il mercato del lavoro danese, d’altra parte, non è diventato famoso in Europa per niente: le imprese che devono licenziare sono libere di farlo e chi finisce senza lavoro è accolto nei programmi pubblici di training (obbligatori se si vuole l’assegno di disoccupazione) e accompagnato verso un nuovo posto fisso. «All’inizio il mio stipendio sarà più basso ma spero che col tempo migliori» pensa Pernille. Ecco il nuovo Modello nordico: flessibilità per l’economia, garanzie dallo Stato. Il Regno di Danimarca è forse il Paese più avanzato sulla strada delle riforme che stanno rifacendo il Welfare State e cambiando il modo di vivere dei cittadini. La stagione del tutto garantito, però, è finita anche negli altri quattro Paesi nordici, Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda. Lo Stato-nanny, la tata che prende per mano in ogni momento della vita, sta trasformandosi sotto la pressione dell’immigrazione, dell’invecchiamento della popolazione, della concorrenza internazionale, dei Paesi a bassa tassazione che attraggono investimenti, imprese, posti di lavoro. Il folkhemmet — il termine che gli svedesi usano per indicare il senso di comunità — cambia. Se domandate a uno scandinavo se preferisca meno tasse oppure più servizi, nell’86% dei casi vi risponderà che sceglie i servizi pubblici. I quali, d’altra parte, funzionano e hanno un rapporto di fiducia con i cittadini. Il problema è che, indipendentemente dal consenso, qualcosa sta succedendo. Innanzitutto, i Paesi baltici — Estonia, Lettonia, Lituania — offrono a chi vuole investire un ambiente sempre più simile a quello scandinavo ma con tasse sulle società minime o addirittura nulle. La capacità dei cinque nordici di attrarre imprese grazie alla popolazione molto qualificata e alla qualità delle infrastrutture si sta insomma erodendo. In secondo luogo, più di un’impresa sta considerando di seguire le orme di Ikea (controllata da una fondazione olandese) e Tetra Pak (con il quartier generale a Losanna) per sfuggire all’alta tassazione. Terzo, gli svedesi (ma in misura minore vale anche per gli altri) investono sempre più denaro all’estero per pagare meno tasse: quasi 600 miliardi di corone (60 miliardi di euro) sarebbero ormai fuori dai confini. In più, ci si chiede se gli scandinavi continueranno a essere disponibili a pagare tasse via via che arrivano nuovi immigrati. La popolazione danese, per esempio, è omogenea e si fida di uno Stato che usa il suo denaro in modo corretto, sostiene Torben Tranaes, professore all’Università di Copenhagen. «Ma una società più Afp/Grazia Neri DAL NOSTRO INVIATO A COPENHAGEN DANILO TAINO