Zoppi Corrado , Lai Sabrina

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Zoppi Corrado , Lai Sabrina
XXIX CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI
PROBLEMATICHE PARTECIPATIVE E CONFLITTI NELLA DEFINIZIONE E
NELL’ATTUAZIONE DEL PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE DELLA SARDEGNA
Sabrina LAI e Corrado ZOPPI1
Dipartimento di Ingegneria del Territorio, Sezione di Urbanistica, Università di Cagliari, Via
Marengo 3, 09123 Cagliari, Italia; tel.: 070 6755200, 070 6755216, telefax: 070 6755215; email: [email protected], [email protected]
SOMMARIO
Una questione fondamentale riferita ai processi della pianificazione strategica è rappresentata
dal riconoscimento e dall’integrazione delle aspettative delle comunità locali nelle politiche
territoriali regionali, sin dai primi momenti del loro sviluppo. Informazione e partecipazione
sono condizioni necessarie per la sostenibilità dei processi di piano, come stabilito dalla Direttiva 42/2001/CE dell’Unione Europea, che riguarda gli effetti di alcuni piani e programmi
sull’ambiente (la Direttiva sulla Valutazione ambientale strategica, VAS). La Direttiva fu recepita nella legislazione ordinaria dello stato italiano tramite il primo ed il secondo titolo della
seconda parte del Decreto Legislativo n. 152/2006 e successive modifiche, delle quali una integralmente sostitutiva (Decreto Legislativo n. 4/2008).
I programmi di Agenda 21 Locale delle Nazioni Unite, che originano dalla Conferenza
Habitat II e dall’Agenda Habitat, i regolamenti dell’Unione Europea sui certificati ai sensi
dell’Eco-Management and Audit Scheme (EMAS), e le procedure per la valutazione dei piani
e programmi dei Fondi Strutturali dell’Unione Europea identificano la partecipazione pubblica come un elemento essenziale per l’efficacia delle politiche del territorio e dello sviluppo
economico e sociale.
Il riconoscimento e l’integrazione delle aspettative delle comunità locali nelle politiche del
territorio implica l’individuazione di connessioni tra scelte di piano e preferenze e bisogni
condivisi dai membri di queste comunità. Le comunità non devono essere identificate solo
con l’insieme degli stakeholder che definiscono interessi forti e già ben rappresentati e difesi,
legati alla rendita fondiaria ed al suo potenziale aumento legato alle trasformazioni territoriali
da pianificare, concertate con la pubblica amministrazione. È importante, anche, individuarle
nelle organizzazioni formali ed informali attraverso le quali i cittadini possono e vogliono esprimere le proprie idee e fare presenti le proprie istanze circa l’attuale e futura organizzazione del territorio e della città.
I processi della pianificazione regionale e locale sono terreno importante e fecondo per
l’analisi delle politiche pubbliche dal punto di vista della partecipazione, in una cornice coerente con un corretto ed efficace approccio valutativo.
L’attività di pianificazione dell’amministrazione regionale della Sardegna è caratterizzata da
un profondo cambiamento che ha seguito l’approvazione del Piano paesaggistico regionale
(PPR) (Delibera della Giunta Regionale n. 36/7 del 5 Settembre 2006 dal titolo “L.R. n. 8 del
25.11.2004, articolo 1, comma 1. Approvazione del Piano Paesaggistico - Primo ambito omogeneo.” Il PPR, redatto secondo le previsioni del “Codice nazionale dei beni culturali e del
paesaggio” (D.Lgs. n. 42/2004, cosiddetto “Codice Urbani”), individua indirizzi importanti
per la futura pianificazione del territorio della Sardegna. I piani urbanistici attualmente in vi1
Questo saggio trae origine dalla ricerca comune degli autori. Sabrina Lai ha curato, in particolare, la sezione 1,
Corrado Zoppi la sezione 2. Sommario e conclusioni sono stati curati da entrambi gli autori.
gore per le Province ed i Comuni, ed i piani delle aree protette, devono essere ridefiniti per essere coerenti con il PPR. Il processo di adeguamento potrebbe generare conflitti in quanto i
Comuni, le Province, e gli enti gestori delle aree protette potrebbero non essere d’accordo con
la Regione per quanto riguarda le Norme di attuazione del PPR (NTA).
Questo saggio si compone di tre sezioni. Nella prima e nella seconda sezione si presentano e
discutono due questioni concernenti la partecipazione pubblica al processo di attuazione del
PPR. La prima riguarda il come alcuni stakeholder importanti vedono e valutano il PPR. Le
modalità di integrazione delle istanze dei diversi stakeholder nel processo di definizione del
piano, e le possibili conseguenze di questa integrazione, sono analizzate alla luce delle riflessioni di alcuni esperti di problematiche del territorio che hanno partecipato alla redazione del
PPR, intervistati a tu per tu sulla base di uno schema di questionario semi-strutturato. La scelta di questo tipo flessibile di intervista si fonda sul riconoscimento che l’intervistatore è posto
nella condizione di adattare le domande in base alle risposte ottenute, tenendo contemporaneamente presenti, durante l’intervista, l’obiettivo generale della ricerca ed un solido piano generale relativo all’informazione da ottenere. Alcune domande generali, concernenti lo sviluppo del processo di definizione del PPR, che si propone un equilibrio tra bisogni sociali, attività economiche e tutela dell’ambiente (NTA, art. 3), hanno costituito la parte iniziale delle interviste. Ad esse hanno fatto seguito domande più specifiche sulla cooperazione orizzontale,
l’integrazione verticale e l’inclusione del pubblico nella preparazione del PPR. Il ruolo giocato (o non giocato) dai diversi attori istituzionali e sociali nella formazione del piano, come
emerge dalle interviste condotte, solleva alcune importanti questioni sulle competenze dei vari
livelli istituzionali e sull’opportunità / necessità dei processi di partecipazione nella pianificazione del territorio, sulla fase (preparatoria o attuativa?) in cui il coordinamento istituzionale
deve essere ricercato.
In secondo luogo, il saggio discute il ruolo delle comunità locali nell’attuazione del PPR: cooperazione o conflitto? Questa valutazione trae origine dall’analisi dei risultati di uno studio
empirico sulle problematiche conflittuali concernenti il PPR analizzate mediante un approccio
misto basato su Contingent-valuation (CV) ed Analisi multicriteri (AMC), presentato al XXI
Congresso dell’Association of European Schools of Planning ed al XLVII Congresso della
European Regional Science Association (Zoppi, 2007a; 2007b). Le differenze nei risultati ottenuti dall’applicazione dei due metodi mettono in evidenza la necessità del contributo di saperi esperti per l’identificazione dei criteri per la valutazione. I saperi esperti devono essere
riferiti alla pianificazione regionale, urbana ed ambientale, all’economia, alla gelogia, ecc. La
presenza di questo contributo è una precondizione necessaria per l’avvio del processo valutativo.
La scelta dei criteri (cioè la scelta dei riferimenti per la valutazione) è decisiva per il ranking
degli scenari di piano, cioè per la classificazione dei futuri del territorio, in quanto l’inclusione
o l’esclusione di un criterio può cambiare radicalmente questa scelta. Naturalmente,
l’apertura della scelta dei criteri all’opinione pubblica, cioè la posizione condivisa e partecipata del problema valutativo, potrebbe definire, nel processo valutativo, una sintesi feconda ed
importante tra sapere tecnico e sapere comune, tra visione esperta e visioni (generalmente plurali) dei futuri del territorio espresse dalle comunità locali, come evidenziato dall’esperienza
di Sustainable Seattle (1998).
Le ragioni del conflitto tra la Regione ed i Comuni vengono, successivamente, analizzate tramite un approccio Foresteriano (Forester, 1999).
Infine, nella terza sezione, vengono confrontati i risultati riguardanti gli stakeholder privilegiati e le comunità locali, e si traggono alcune conclusioni significative concernenti la loro integrazione.
1. OSSERVATORI PRIVILEGIATI E PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE
Il PPR della Regione Sardegna è il primo piano paesaggistico a dimensione regionale approvato in Italia successivamente all’entrata in vigore del Codice nazionale dei beni culturali e
del paesaggio. Nella sua stesura originaria del 2004, il Codice imponeva che ogni Regione si
dotasse di un piano paesaggistico, o urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei
valori paesaggistici, che doveva disciplinare l’intero territorio regionale (art. 135).2 Sempre
nel 2004, recependo le indicazioni della normativa nazionale, la Regione Sardegna approvava
la legge regionale n. 8 del 25 Novembre 2004 (cosiddetta legge “salvacoste”), con la quale si
fissava il limite di un anno a far data dall’approvazione della legge per l’adozione del piano
paesaggistico regionale (art. 1, comma 1). La normativa regionale prevedeva anche che il
piano potesse essere “proposto, adottato ed approvato per ambiti territoriali omogenei” (art. 1,
comma 3), e di conseguenza il piano approvato nel 2006 disciplina ventisette ambiti di paesaggio che costituiscono il primo ambito omogeneo, quello, appunto, del territorio costiero.
La scelta di privilegiare il territorio costiero derivava da un insieme di fattori, tra i quali la ristrettezza dei tempi e l’ammontare delle risorse necessarie per l’elaborazione di un piano esteso a tutto il territorio regionale, e la necessità di regolamentare le trasformazioni dei suoli, sottoposti alla pressione derivante particolarmente dall’attività turistica e divenuta ancora più
stringente in seguito all’annullamento in sede giudiziaria di ben tredici dei quattordici piani
territoriali paesistici previgenti (cosiddetti “Galassini”) approvati in conformità alla legge n.
431/1985.
Allo scopo di proteggere una parte dell’isola considerata strategica dal punto di vista economico, ed allo stesso tempo sensibile dal punto di vista ambientale, il piano paesaggistico ha
dunque introdotto limitazioni e proibizioni, sia sull’attività edilizia, che su una serie di trasformazioni degli usi dei suoli. Tali restrizioni sono contenute nell’articolato del piano.3
L’entrata in vigore del PPR, ancora piuttosto recente, rende difficile valutare il piano in termini di risultati; questo richiederebbe, infatti, un esame dei cambiamenti indotti dalla sua approvazione. Tuttavia, vi è un crescente riconoscimento del fatto che un piano si valuta non solo
in termini di risultati prodotti, ma anche di processi innescati (Albrechts, 2004; Faludi, 2000;
Tewdwr-Jones, 2004), il che rende possibile ed appropriato esaminare il PPR alla luce dei
suoi contenuti (anche se per ora tradotti in pratica in maniera solo parziale) ed al processo di
preparazione del piano.
Le NTA, all’articolo 3, sanciscono che i principi contenuti nel PPR costituiscono “il quadro di
riferimento e di coordinamento per lo sviluppo sostenibile del territorio regionale, fondato su
un rapporto equilibrato tra i bisogni sociali, l’attività economica e l’ambiente, in coerenza con
la Convenzione Europea del Paesaggio e con lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo.”
Tuttavia, è assente sia una definizione di “sviluppo sostenibile” che, soprattutto, un legame
evidente ed esplicito tra le politiche (indirizzi e prescrizioni) del piano e le tre componenti
tradizionali dello sviluppo sostenibile, richiamate dalle norme stesse. La lettura del tipo di
sviluppo perseguito dal piano è, dunque, affidata alla sola comprensione ed interpretazione dei
documenti che lo costituiscono, che sembrano enfatizzare la componente ambientale della sostenibilità rispetto a quelle economica e sociale.
2
Il riferimento alla totalità del territorio regionale come ambito disciplinato dalla pianificazione paesaggistica
non è presente nelle recenti modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 63/2008, articolo 2, punto e.
3
Il piano è costituito da: una relazione generale; le norme tecniche di attuazione con relativi allegati; un insieme di carte a scale variabili da 1:200.000 a 1:25.000 che illustrano la perimetrazione degli ambiti di paesaggio, i
tre assetti territoriali individuati (ambientale, storico-culturale, insediativo), le aree soggette ad usi civici, i territori degli ambiti paesaggi costieri e non costieri, ed infine le schede illustrative degli ambiti di paesaggio costieri
con relativi indirizzi di progetto.
Di conseguenza, per capire se, ed in che modo, il PPR costituisca effettivamente una cornice
che orienta le trasformazioni del territorio nella direzione della sostenibilità, la prima parte di
questo saggio cerca di stabilire in che misura i contenuti del piano, sia quelli indicativi che
quelli prescrittivi, siano coerenti con la visione di uno sviluppo equilibrato enunciata
dall’articolo 3.
Questa sezione si articola come segue. Nel primo paragrafo si introduce il metodo qualitativo
di indagine utilizzato e si motivano le scelte effettuate; nel secondo paragrafo si descrivono le
interviste eseguite, ed infine nel terzo paragrafo si analizzano alcuni contenuti emersi durante
le interviste.
1.1. Il ruolo degli esperti nell’interpretazione del piano
L’interpretazione del concetto di sostenibilità è fortemente soggettiva, dipendente da principi
e valori, ma anche dal background formativo e professionale. Esistono, infatti, molti diversi
punti di vista, il che rende impraticabile la ricerca una “realtà logicamente ordinata, oggettiva
e conoscibile” (Babbie, 1998, p. 50) e suggerisce, piuttosto, di analizzare il modo in cui le
persone interpretano la realtà (May, 2001).
All’interno dei metodi qualitativi di ricerca, si è dunque individuato come più appropriato al
problema in esame l’utilizzo di dati basati su informazioni provenienti da osservatori privilegiati. Il ricorso al punto di vista degli esperti (nelle parole di Bogdan e Taylor, citati in
Bryman, 2001, p. 14 ed in Prior, 1997, p. 64, “to see things from that person’s [an expert]
point of view”) per esaminare un fenomeno, in questo caso la natura e le possibili conseguenze del sistema di regole ed indirizzi del PPR, è stato ritenuto essere la migliore scelta possibile, dal momento che il processo di piano, la complessità del linguaggio utilizzato nei suoi documenti, ed il ruolo del piano paesaggistico nel più ampio sistema di piani territoriali e settoriali sono argomenti fortemente specialistici, e dunque comprensibili solo a specialisti della
materia. Il ricoprire una posizione privilegiata (“a special position to know,” Denscombe,
1998, p. 111) permette loro, inoltre, di disporre di informazioni aggiuntive, e spesso riservate,
che integrano la non semplice lettura ed interpretazione dei documenti che costituiscono il
piano e dunque consentono di arricchirne l’analisi. Sulla base di queste considerazioni, cinque persone (nel seguito, indicate come “Intervistato A,” “Intervistato B,” “Intervistato C,”
“Intervistato D,” ed “Intervistato E” a garanzia dell’anonimato) sono state selezionate tra
quanti hanno preso parte alla preparazione del piano. All’interno del gruppo di lavoro costituito appositamente per l’elaborazione del PPR, formato da un centinaio di persone e comprendente non solo dipendenti dell’amministrazione regionale, ma anche collaboratori esterni,
alcuni dei quali provenienti dal mondo accademico, sono state dunque scelte cinque persone,
sulla base di tre criteri:
• ruolo svolto all’interno dei gruppi di lavoro tematici,
• facilità di contatto e raggiungibilità,
• tipo di contributo.
Per quanto riguarda il primo punto, quello riguardante il ruolo ricoperto, occorre premettere
che il PPR sviluppa la lettura del territorio regionale secondo un insieme di tre assetti (ambientale, insediativo e socio-culturale) e su questi tre assetti basa il sistema di prescrizioni ed
indirizzi contenuti nelle norme di attuazione. L’analisi delle interrelazioni tra gli assetti ha
successivamente condotto all’individuazione degli “ambiti di paesaggio.”4 Si è dunque
ritenuto importante intervistare un rappresentante di ciascuno dei tre gruppi di lavoro che
hanno analizzato i tre assetti del PPR, nell’idea che, nonostante l’esistenza di un gruppo di
4
Gli ambito di paesaggio sono definiti dall’articolo 6 delle NTA come le “aree definite in relazione alla tipologia, rilevanza ed integrità dei valori paesaggistici, identificate … attraverso un processo di conoscenza […] in cui
convergono fattori strutturali, naturali ed antropici. Il territorio costiero è stato suddiviso in ventisette ambiti di
paesaggio costieri, per ciascuno dei quali il Piano fornisce una rappresentazione cartografica ed un insieme .
analizzato i tre assetti del PPR, nell’idea che, nonostante l’esistenza di un gruppo di coordinamento trasversale, specifici, e magari conflittuali, punti di vista potessero emergere dai tre
gruppi.
Per ciò che concerne invece il secondo punto, quello della disponibilità e facile raggiungibilità, motivi di carattere logistico ed economico hanno condotto ad escludere quanti, tra coloro
che hanno collaborato alla redazione del piano, non risiedono o lavorano abitualmente in Sardegna, oppure non sono facilmente contattabili per via di impegni e carichi professionali.
Questo ha comportato, ad esempio, rinunciare a priori ad intervistare i membri del comitato
scientifico, il cui contributo al PPR è consistito principalmente nel guidare la forma del piano,
e nel fornire suggerimenti finalizzati a garantire la conformità del piano con la Convenzione
Europea del Paesaggio e con il Codice nazionale dei beni culturali e del paesaggio (Regione
Autonoma della Sardegna, 2006c, p. 1).
Più delicato e controverso appariva essere il terzo punto, e cioè quello riguardante il contributo che, presumibilmente, poteva essere attendibile da ciascuno degli intervistati. Diversi aspetti dovevano, infatti, essere tenuti in considerazione. Anzitutto, tutti gli intervistati erano
coinvolti nella preparazione del piano, perciò occorreva tenere presente il rischio che il giudizio da essi espresso verso il piano stesso potesse essere benevolo e giustificativo, piuttosto che
critico ed obiettivo. In secondo luogo, alcuni degli intervistati ricoprono ruoli di responsabilità all’interno dell’amministrazione regionale (non si tratta, infatti, di semplici funzionari, ma
di quadri e dirigenti), il che avrebbe potuto condurre ad una situazione in cui la posizione di
potere esercitata dall’intervistato è utilizzatoa come strumento per controllare, o anche negare,
l’accesso alle informazioni (Valentine, 2005). Infine, un altro punto critico delle metodologie
di analisi qualitativa, e cioè l’impatto dell’identità del ricercatore (Denscombe, cit.), doveva
essere tenuto in considerazione. Le indagini basate su interviste a tu per tu sono, infatti, affette dal tipo di rapporto che si instaura tra intervistatore ed intervistato, e risentono di eventuali
rapporti preesistenti tra di essi. In questo caso, quattro dei cinque intervistati erano già noti
all’intervistatore, a causa di una collaborazione degli autori con l’amministrazione regionale,
ed in particolare con gli uffici direttamente coinvolti nella redazione del PPR, in un periodo
precedente a quello dell’elaborazione del piano. Tuttavia, nonostante che la letteratura sottolinei spesso gli svantaggi derivanti dalla preesistente conoscenza tra intervistato ed intervistatore, nel caso in esame l’esistenza di rapporti lavorativi pregressi ed il riconoscersi membri di
uno stesso gruppo sociale (Miller e Glassner, 1997) e categoria professionale (Denscombe,
cit.) si sono rivelati vantaggiosi per la ricerca in diversi modi: (i) rendendo più snelli i contatti
per la realizzazione delle interviste, presi tramite accordi informali e senza ricorrere a procedure formali; (ii) facilitando l’ottenimento della disponibilità ad essere intervistati; (iii) favorendo la condivisione di informazioni da parte degli intervistati (Denscombe, cit.; Valentine,
cit.), alcuni dei quali avrebbero potuto fornire risposte meno esaustive a persone non conosciute, o verso le quali potessero nutrire minore fiducia.
Sulla base dei criteri sopraelencati, sono dunque stati selezionati cinque intervistati, architetti,
ingegneri e pianificatori che hanno preso parte all’elaborazione del piano; di questi, tre sono
funzionari regionali che hanno lavorato all’interno dei gruppi tematici sui tre assetti territoriali
del piano, uno è un funzionario che ha inserito nel gruppo di coordinamento, ed uno è un esponente del mondo accademico che ha fornito supporto esterno all’amministrazione.
1.2. Le interviste ai testimoni privilegiati: piano di indagine, struttura e alcuni nodi critici
Le cinque interviste sono state condotte nell’agosto 2007 negli uffici degli intervistati, che si
trovano tutti nella città di Cagliari.5
5
La scelta di effettuare le interviste negli uffici ha, secondo la letteratura esaminata, effetti positivi e negativi.
Da un lato, essa contribuisce a mantenere gli equilibri di forza durante l’intervista a vantaggio dell’intervistato,
Le interviste sono state svolte secondo utilizzando questionari semi-strutturati, che, parafrasando le parole di Babbie (cit., p. 290, “a general plan of enquiry but not a specific set of questions that must be asked in particular words and with a particular order”) sono caratterizzate
dall’esistenza di un insieme di obiettivi da raggiungere, e dunque da una strategia generale
dell’indagine, ma, contrariamente a quanto accade con i questionari strutturati, non sono costituiti da un elenco di domande pre-formulate da porre secondo una sequenza pre-ordinata.
I vantaggi di questo tipo di indagine, secondo la letteratura esaminata (Babbie, cit.; Denscombe, cit.; Valentine, cit.), si riassumono nel livello di approfondimento raggiungibile e nella
flessibilità. Le interviste semi-strutturate consentono, infatti, di costruire un quadro dettagliato dell’oggetto dell’analisi così come esso è percepito dagli intervistati, che sono messi in grado, in ogni fase dell’intervista, di riformulare le loro risposte, correggerle o approfondirle,
spiegando eventuali contraddizioni reali o apparenti, o anche portando all’attenzione
dell’intervistatore nuovi elementi, magari non considerati in fase di elaborazione del piano
dell’intervista.
Ogni intervista è stata preceduta dalla lettura di un modulo standard, al termine del quale si
chiedeva agli intervistati di esprimere il loro “consenso informato” alla partecipazione alla ricerca. Il modulo6 comprendeva i seguenti punti:
• la garanzia, da parte dell’intervistatore, del fatto che l’intervista venisse fatta per scopi esclusivi di ricerca;
• il diritto, per l’intervistato, di scegliere a quali domande rispondere;
• la possibilità, per l’intervistato, di ritirare il consenso all’intervista in qualunque momento;
• la garanzia, da parte dell’intervistatore, di garantire l’anonimato dell’intervistato, con riferimento non solo al suo nome, ma anche ad ogni dettaglio che potesse far risalire un lettore alla sua identità;
• la richiesta esplicita di poter registrare l’intervista, al solo scopo di facilitare l’analisi dei
materiali, e con la garanzia che i materiali audio sarebbero stati ascoltati solo dagli autori
della ricerca.
Tutti e cinque gli intervistati hanno dato il loro consenso all’intervista, senza presentare alcuna obiezione o condizione aggiuntiva rispetto a quelle già contenute nel modulo.
Si è già osservato in precedenza che le interviste semi-strutturate non presentano un insieme
di domande “rigide,” elaborate con parole precise e da chiedere in un ordine prestabilito. Al
contrario, è lasciata all’intervistatore la responsabilità di condurre l’intervista in maniera flessibile, adattata caso per caso all’andamento dell’intervista stessa, cioè alle risposte già fornite
dagli intervistati ed a specifiche esigenze che dovessero emergere nel corso delle interviste.
Questo, naturalmente, richiede uno sforzo costante da parte dell’intervistatore, che deve tenere
sempre in considerazione gli obiettivi della ricerca, ma, allo stesso tempo, essere pronto a deviare dal piano prestabilito per seguire eventuali input provenienti dagli intervistati.
La struttura generale del piano di indagine, elaborato preliminarmente all’esecuzione delle interviste, si declina in tre argomenti; per ciascuno di questi argomenti sono state individuate alcune domande da utilizzare come traccia e riferimento durante le interviste. È, comunque, da
notare che alcune domande, a seconda di come viene formulata la risposta, possono essere ri-
che si trova a “giocare in casa.” Dall’altro, attenua, o elimina del tutto, i rischi che un intervistatore può correre
in altri tipi di ricerca sociologica, ad esempio quando le interviste vengono eseguite nelle case. Inoltre, la localizzazione degli uffici nella stessa città ha avuto indubbi vantaggi nell’ottica di tempi e costi di trasporto.
6
Il modulo è stato elaborato sulla base dello “Statement of Ethical Practice for the British Sociological Association” dell’Associazione Sociologica Britannica (British Sociological Association), disponibile all’indirizzo Internet http://www.britsoc.co.uk/ user_doc/ Statement%20of%20Ethical%20Practice.doc [ultimo accesso: 11 Aprile
2008].
feribili a più di un argomento. Questo riguarda, in particolare, la questione della partecipazione del pubblico e della relazione tra diversi livelli di governo.
Il primo argomento generale individuato riguarda il modo in cui il piano affronta la questione
della sostenibilità. Tutte le interviste prendevano l’avvio con la lettura dell’articolo 3 delle
NTA, che invoca un “rapporto equilibrato tra i bisogni sociali, l’attività economica e
l’ambiente,” seguita da una domanda diretta, e cioè quale sia il tipo di sostenibilità perseguito
dal piano, e se l’articolo sopra citato sia da ritenersi una dichiarazione di intenti o se il piano
contenga, in sé, i mezzi per la traduzione di tale dichiarazione nella pratica. Questa domanda,
di carattere assolutamente generale ed aperta ad una miriade di possibili risposte, assolveva
una funzione “strategica” dal punto di vista dell’indagine, e cioè quella di capire che tipo di
orientamento avesse l’intervistato nei confronti sia del piano che delle questioni di sostenibilità, ed una funzione “pratica,” cioè quella di fornire un indirizzo per il successivo sviluppo
dell’intervista. Sulla base della risposta ricevuta, infatti, venivano selezionate, o ordinate al
momento, le domande successive, più circostanziate e puntuali, e spesso ulteriormente dettagliate con domande successive; con esse, inoltre, si chiedeva agli intervistati, quando possibile, di corredare le risposte con specifici riferimenti al piano. Tra queste domande:
• In che modo il piano affronta la questione dell’utilizzo delle risorse rinnovabili e non
rinnovabili, della protezione della biodiversità e della salvaguardia dei paesaggi?
• In che modo il piano considera le attività economiche?
• In che modo, ed in che misura, il piano ha affrontato le questioni di partecipazione ed informazione?
• Perché l’elaborazione del piano non è stata accompagnata da una VAS?
• Fino a che punto un piano paesaggistico deve tenere in considerazione problemi economici, sociali o ambientali?
Il secondo argomento riguarda la fase di elaborazione del piano, ed esamina il modo in cui le
istanze di diversi portatori di interessi (amministrazioni locali, attori economici, cittadini) sono state (o non sono state) tenute in considerazione. Di seguito, si riportano solo due domande di carattere generale poste agli intervistati.
• Durante l’elaborazione del piano, in quali fasi ed in che modi sono state coinvolte le amministrazioni comunali e provinciali, il settore economico ed altri portatori di interesse?
• Che livello di partecipazione è stato ottenuto?
• Si può ritenere che il livello ricercato ed ottenuto fosse adeguato?
Dal momento che gli intervistati hanno giocato ruoli diversi nella formazione del piano, il
modo in cui l’argomento è stato affrontato da ciascuno di essi è risultato fortemente dipendente dal ruolo ricoperto e dal background professionale o accademico. Di conseguenza, anche le
domande sono state sviluppate in modo diverso, chiedendo, ad esempio, di supportare le risposte con riferimenti ad ipotesi applicative del piano, o alla normativa, o alla letteratura, a
seconda del ruolo svolto e dell’esperienza pregressa dell’intervistato. Inoltre, la questione della partecipazione del pubblico ha condotto in alcune interviste, non in maniera predeterminata, ma piuttosto su stimolo diretto dal parte dell’intervistato, a sfiorare anche la relazione (o il conflitto) tra il sapere esperto (inteso come insieme delle competenze tecnicoscientifiche, specialistiche dei professionisti della pianificazione del territorio) ed il sapere
comune (inteso come conoscenza delle questioni paesaggistico-territoriali-ambientali da parte
di coloro che, pur non possedendo una formazione specifica in materia, vivono in un determinato territorio, e dunque derivante dalla esperienza e familiarità con i luoghi) nella definizione
dei paesaggi, e nel riconoscimento del loro significato e della loro qualità.
Infine, il terzo argomento riguarda l’idea di governance (Vigar et al., 2000) che si può evincere dal PPR. La relazione tra il PPR da un lato ed i piani urbanistici provinciali e comunali
dall’altro è qui assunta come un riflesso della relazione tra i diversi livelli di governo del terri-
torio, cioè quello regionale, provinciale e comunale. A tre degli intervistati, che tuttora lavorano sul secondo stralcio del PPR, quello riguardante gli ambiti di paesaggio non costieri, e
sulla implementazione del piano, è stato richiesto di spiegare come sono, o devono essere, affrontati alcuni possibili conflitti derivanti da incongruenze tra il PPR ed i piani comunali, possibilmente facendo riferimento a casi concreti già verificatisi. I due rimanenti intervistati, il
cui contributo alla redazione del PPR si è concluso con l’elaborazione del piano per gli ambiti
costieri, hanno invece fornito una riflessione più teorica sull’argomento.
I contributi forniti dagli intervistati, e presentati nel paragrafo successivo, non devono essere
considerati rappresentativi delle loro istituzioni di appartenenza, dunque né
dell’amministrazione regionale, né del mondo accademico, in quanto i metodi qualitativi di
ricerca non sono finalizzati alla rappresentazione oggettiva della realtà, né alla individuazione
o produzione di risultati di validità generale o comunque generalizzabili. La stessa selezione
degli intervistati, infatti, orienta il risultato in una direzione piuttosto che in un’altra; se, ad
esempio, fossero stati inclusi tra gli intervistati anche rappresentanti di amministrazioni comunali, o di gruppi ambientalisti, o del settore economico (particolarmente dei settori del turismo e delle costruzioni), non intervistati per questioni meramente pratiche (tempi e logistica),
altri punti di vista sarebbero quasi certamente emersi.
Un altro aspetto che circoscrive l’ambito di questo studio è quello di una riflessione su effetti
potenziali piuttosto che reali derivanti dall’applicazione del piano; questa scelta è giustificata
in parte dal fatto che dall’entrata in vigore del PPR, ancora abbastanza recente, nessun piano
comunale o provinciale è ancora stato adeguato al piano paesaggistico, il che rende necessaria
una mole di dati ed una serie di ipotesi e scenari per poter valutare in che modo il PPR andrà
ad incidere sui piani comunali e provinciali ad oggi in vigore.7
Per quanto riguarda lo svolgimento delle interviste, ciascuna delle quali è durata da 60 ad 80
minuti, è da segnalare che il controllo della direzione della conversazione si è rivelato in diversi momenti, e per tutte le interviste, piuttosto difficoltoso. Probabilmente su questo ha inciso il fatto che il PPR ha stimolato forti dibattiti nell’intero territorio sardo, suscitando (pochi) accesi consensi e (molti) altrettanto accesi dissensi. Il PPR non ha lasciato tiepidi e neutrali gli amministratori locali, né i tecnici e professionisti, né la popolazione. Era dunque ragionevole attendersi una certa passione sull’argomento da parte degli intervistati, che spesso
deviavano dal corso della conversazione per aggiungere informazioni e commenti ritenuti importanti ed urgenti, e spesso oltre gli obiettivi di questa ricerca. Inoltre, in alcune occasioni, e
particolarmente durante le ultime interviste, quando i conflitti tra i diversi punti di vista degli
intervistati iniziavano ad essere manifesti, mantenere una posizione distaccata e neutrale non
risultava semplice. Infine, durante la conversazione si è spesso fatto ricorso ad espedienti
quali la ripetizione di parte della risposta o la sua parafrasi, alcune volte in maniera estremamente semplificata, se non banalizzata o condotta agli estremi, per il controllo dell’avvenuta
comprensione del messaggio trasmesso, o come stimolo ad ulteriori approfondimenti.
1.3. Il contributo del PPR alla sostenibilità nella interpretazione degli intervistati
Tanto la legge “salvacoste,” che ha preceduto il PPR, che le NTA del piano contengono un riferimento esplicito allo sviluppo sostenibile ed alle sue componenti tradizionali. Ciò nonostante, i documenti che costituiscono il piano non rendono evidente il legame tra questo impegno formale da un lato e gli indirizzi e le prescrizioni dall’altro, particolarmente per ciò che
riguarda gli aspetti sociali ed economici della sostenibilità, e di conseguenza non chiariscono
se, ed in che modo, il piano paesaggistico sia uno strumento appropriato per perseguire uno
sviluppo equilibrato e durevole, o, in altre parole, sostenibile. Questa mancanza di chiarezza
7
Per uno studio di questo tipo si rimanda a Cau e Zoppi (2008).
del piano si rifletteva nelle risposte degli intervistati, che, per certi aspetti, si sono rivelate totalmente contrastanti, e riassumibili, seppure con diverse sfumature, in due categorie.
Alla prima categoria sono riconducibili quegli intervistati che ritengono che, nonostante
l’impegno formale contenuto all’interno del piano e prefigurato dalla legge regionale, gli obiettivi di sviluppo sociale ed economico esulano da un piano paesaggistico, che dovrebbe limitarsi a perseguire obiettivi di tipo ambientale, estetico-paesaggistico, e di governo della disciplina degli usi dei suoli. Su questa base, il primo gruppo di intervistati sostiene che si è reso necessario operare, nella stesura del piano, una selezione attenta dei principi contenuti nella
Convenzione Europea del Paesaggio e nello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo, e che
questa selezione ha dovuto eliminare quanti, tra questi principi, non fossero direttamente riconducibili alla pianificazione paesaggistica, e cioè quei “principi generali e scelte strategiche
che devono essere assunte come guida nella protezione, gestione e pianificazione del paesaggio” (Consiglio d’Europa, 2000, articolo 39 dell’Explanatory Report, documento esplicativo
che accompagna la Convenzione).
Tra i principi che il PPR ha fatto propri, e la cui applicazione, nell’opinione degli intervistati,
fornisce un contributo alla sostenibilità, sono stati citati la salvaguardia degli habitat naturali
(Intervistato A) e la prevenzione del consumo delle risorse non rinnovabili (Intervistati B e C),
ed in particolare acqua e suolo. È stato a tal proposito citato, a titolo di esempio, il fatto che
molte delle prescrizioni contenute nel PPR pongono dei limiti stringenti alla edificazione in
ambiti non già trasformati, o la impediscono in modo assoluto, imponendo che il fabbisogno
abitativo sia soddisfatto ricorrendo al riutilizzo dell’esistente. Secondo l’intervistato B, poiché il riutilizzo dell’esistente comporta operazioni di riqualificazione urbanistica, magari in
aree in stato di abbandono, questa scelta produce, soprattutto nei centri storici, anche ricadute
indirette positive in termini sociali ed economici:
[...] [la] riqualificazione urbanistica comporta comunque una riqualificazione socio-economica come
presupposto, sennò non la posso considerare riqualificazione, se io sto facendo soltanto una cosa più
bella, cioè non è un intervento di riqualificazione, posso considerarlo un intervento paesaggisticamente migliore, però non un intervento di riqualificazione, per cui … un intervento di riqualificazione urbanistica, nell’intendere comune e corrente del termine [si compone di] tutta una serie di interventi
integrati tra loro che comportano anche gli aspetti economici e quelli sociali …
L’intervistato B ha sottolineato come aree non precedentemente urbanizzate possano essere
trasformate solo quando è dimostrato, tramite opportune analisi demografiche, che il fabbisogno abitativo non può essere soddisfatto con il solo recupero e riutilizzo del patrimonio edilizio esistente o l’edificazione in aree già modificate in maniera irreversibile. Anche in queste
circostanze, comunque, il PPR prescrive il rispetto di condizioni piuttosto restrittive, e prevalenti sulle norme di attuazione contenute nei piani urbanistici comunali, per prevenire i fenomeni di sprawl urbano ed il consumo di suoli che potrebbero essere riservati alla produzione
agricola o ad attività ricreative compatibili con la conservazione dei paesaggi. In sintesi, secondo questo primo gruppo di intervistati, gli obiettivi di un piano per il paesaggio, che non
deve essere considerato come un piano onnicomprensivo, devono essere limitati alla sfera degli aspetti estetici ed ambientali, e attraverso questi si possono perseguire altri obiettivi (sociali ed economici) in maniera indiretta. Di conseguenza, nell’opinione degli intervistati A, B e
C, le prescrizioni e gli indirizzi contenuti nel piano devono essere valutati solo in riferimento
alla sostenibilità ambientale, e, poiché le misure del piano vanno nella direzione della conservazione delle risorse naturali e degli habitat, il primo gruppo di intervistati considera il piano
uno strumento efficace nel perseguimento della sostenibilità ambientale.
Opinioni totalmente contrastanti emergono dal secondo gruppo di intervistati, che comprende
due persone. Nonostante un diverso approccio all’argomento (uno più accademico speculativo e l’altro più fondato su questioni di prassi e normativa), gli intervistati D ed E concordano
nel giudicare il piano incongruente con gli obiettivi di sostenibilità dichiarati all’articolo 3
delle NTA. Le motivazioni addotte a giustificazione di questo giudizio sono riportate nei sottoparagrafi seguenti, ed organizzate secondo le tre componenti tradizionali della sostenibilità.
1.3.1. Sostenibilità ambientale
Benché il giudizio del secondo gruppo di intervistati sul contributo del PPR alla gestione sostenibile delle trasformazioni del territorio sia globalmente negativo, la valutazione sulla sostenibilità ambientale ha evidenziato alcuni aspetti positivi. Tuttavia, gli intervistati D ed E
hanno anche citato alcune carenze ed omissioni del piano tali da impedire di valutare positivamente il piano persino in termini di sola sostenibilità ambientale.
Da un lato, l’analisi degli elementi che costituiscono l’ambiente naturale ed i paesaggi della
Sardegna è considerata robusta. È stato espresso apprezzamento anche nei confronti
dell’impegno alla protezione dei livelli attuali di qualità dei paesaggi, impegno rispetto al quale è stato giudicato coerente l’insieme di regole ed indirizzi finalizzati a prevenire la perdita di
beni ambientali e storico-culturali ed a preservare l’identità dei centri urbani.
D’altro lato, è stato evidenziato come il piano persegua la “salvaguardia dei paesaggi” (Consiglio d’Europa, cit., articolo 1.d) piuttosto che la “gestione dei paesaggi” (Consiglio d’Europa,
cit., articolo 1.e), o, in altri termini, come le regole e gli indirizzi del PPR “congelino” i paesaggi naturali e costruiti (Intervistato D) ostacolando o proibendo ogni nuova trasformazione
(Intervistato E). Un approccio di questo tipo, secondo l’intervistato E, può essere valido solo
in contesti ambientalmente non gravemente compromessi, come quello sardo, mentre in altre
aree d’Italia caratterizzate dalla diffusione di aree a rischio ambientale (di origine sia naturale
che antropica) un impegno così forte alla protezione della qualità esistente piuttosto che alla
gestione delle trasformazioni del territorio rischia di produrre effetti negativi e di contribuire
ad un peggioramento della situazione:
Io mi chiedo cosa voglia dire la propensione alla conservazione assoluta e non alla progettualità per
un assetto ambientale non salubre ma a rischio. Perché se io sono in Sardegna tutto sommato mi va
abbastanza bene … qui siamo in una situazione di rischio territoriale e ambientale molto basso, tranne che in alcune conclamate zone con necessità di disinquinamento. Dal punto di vista della stabilità,
non è che siamo in una situazione con terremoti, frane, smottamenti … Allora, io mi chiedo: se noi
avessimo preso le stesse decisioni anche in Campania, con la stessa intensità, lì devi blindare tutto.
Se da noi imponi questo tipo di vincolistica, perché altro non è, lì che cosa avresti fatto? Freezer! E
si sarebbe frantumato tutto, perché invece in posti dove il rischio è alto devi avere un’alta progettualità di tipo ambientale e di tipo, diciamo, recuperativo.
Dunque, più un paesaggio è sensibile e fragile dal punto di vista ambientale, più c’è bisogno
di fornire regole ed istruzioni per guidare i processi di trasformazione.
Infine, un nodo controverso è stato quello dell’assenza di una VAS del piano; sulle motivazioni di questa assenza, alcuni intervistati apparivano vaghi. È stato detto (Intervistati A ed E)
che in parallelo al piano è stato effettuato, ma non ultimato, uno studio per definire la procedura da seguire. La mancanza di tempo (Intervistato B) e di un obbligo di legge (Intervistato
A) sono state addotte a giustificazione, anche se è stato anche ammesso (Intervistato A) che
dal mondo accademico era stato fatto presente che in base alla Direttiva Europea
(42/2001/EC) un piano come il PPR dovesse essere soggetto a VAS anche in assenza di normativa di recepimento nazionale.
1.3.2. Sostenibilità economica
Per quanto riguarda la sostenibilità economica del piano, sono state evidenziate essenzialmente due carenze.
La prima riguarda l’assenza di riferimenti, nel piano, alle questioni e problemi economici del
territorio con la sola eccezione di alcuni dati contenuti nelle schede degli ambiti di paesaggio,
nel commento dell’intervistato D:
Se uno prende le schede d’ambito, allora, nelle schede d’ambito ci sono: i dati territoriali … i dati
demografici, posto che, appunto ogni ambito è descritto in maniera meticolosa … prendiamo un am-
bito a caso … c’è la popolazione, l’indice di dipendenza, l’indice di senilità, i dati demografici. Cosa
interessi questo se non viene collegato agli indicatori socio-economici non si sa bene … Dal punto di
vista ambientale, c’è una buona descrizione: la natura del paesaggio, gli elementi costituenti il paesaggio … ma le criticità economico sociali di questo ambito quali sono? Il nodo da sciogliere è capire quali sono gli elementi di criticità economica e sociale che vanno a intaccare l’ambiente, cioè quali
sono le linee di conflitto. Ora a leggere questo sembrerebbe che non ci siano linee di conflitto, o meglio, il problema non viene assolutamente analizzato.
Tuttavia, questi dati sono state ritenute una “semplice replica di informazioni disponibili in
qualunque pubblicazione dell’ISTAT” (Intervistato D). È stato suggerito, inoltre (Intervistato
E) che una certa trascuratezza verso i problemi di tipo economico derivasse, a monte, dalla
stessa scelta, da parte della Regione Sardegna, del tipo di piano di cui dotarsi. L’articolo 135
del D.Lgs. n. 42/2004, nella forma in vigore al momento dell’elaborazione del PPR, prevedeva infatti che le regioni dovessero sottoporre “a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei
valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale,” affidando dunque alle regioni la
possibilità di scegliere il tipo di piano più opportuno. Secondo l’intervistato E, dunque, mentre un “piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici” può
essere uno strumento in grado di guidare le trasformazioni territoriali, le scelte sullo sviluppo
futuro di un territorio, un “piano paesaggistico” è in sé orientato ad un aspetto molto specifico
del governo del territorio, e cioè la protezione ed il miglioramento della qualità paesaggistica.
La limitata considerazione del piano verso gli aspetti economici sarebbe, dunque, la logica
conseguenza delle scelte strategiche prese nella fase iniziale. Con le parole dell’intervistato
E:
Quando veniva presentato il PPR, anche in sede politica, così, di dibattito politico, tutti dicevano “ma
no, vedrai che ci sarà sviluppo eccetera” perché ci si è sforzati fino all’ultimo di rassicurare sul fatto
che questo piano paesaggistico in realtà avrebbe avuto anche valenza territoriale, di PTC, che è un
piano tradizionalmente, diciamo, tra virgolette, sbilanciato verso le occasioni di sviluppo anche in
senso classico, sempre compatibile, siamo d’accordo … con una certa predisposizione a ragionare sul
reddito, sulla perequazione urbanistica, sui vantaggi, sugli svantaggi, chi ci guadagna, chi ci perde e
così via. Questo aspetto di tipo territoriale, totalmente, cioè in gran parte a vantaggio delle popolazioni insediate, a mio modo di vedere in sede di PPR è stato debolmente perseguito, perché invece ha
avuto, diciamo, ampio spazio un’interpretazione reazionaria del dettato sulla Conferenza Europea del
Paesaggio, che invece promuoveva in maniera esplicita ad una territorializzazione del paesaggio.
Una seconda debolezza strutturale è stata identificata (sempre dal secondo gruppo di intervistati) nella mancanza di coordinamento tra il PPR ed il Piano Regionale di Sviluppo Turistico
Sostenibile (PRSTS). Il turismo è considerato, infatti, come un settore strategico, ed allo stesso tempo rischioso, per lo sviluppo economico dell’isola. Se i turisti sono attratti dalla particolarità naturalistiche, ambientali e culturali della Sardegna (Hospers, 2003), la concentrazione nel tempo (primavera-estate) e nello spazio (zone costiere) delle attività turistiche, con la
sua pressione sulle risorse, mette in crisi la stessa capacità attrattiva dell’isola. Questa pressione si è concretizzata, storicamente, nel consumo del suolo e nella tendenza alla formazione
di uno “strip development” (Kay e Alder, 1999, p. 22), una edificazione sparsa ma dallo sviluppo lineare ben riconoscibile lungo la costa. È stato stimato (Regione Autonoma della Sardegna, 2006b) che le seconde case edificate nelle zone costiere possono ospitare un numero di
turisti quattro volte superiore a quello di alberghi e residence, contribuendo dunque in maniera
importante all’economia di alcune aree. A causa di questa delicata, e conflittuale, relazione
tra l’economia legata al turismo e la protezione del territorio costiero, la Giunta Regionale aveva inizialmente deciso (Regione Autonoma della Sardegna, 2004) che il PPR doveva essere
preparato parallelamente ad un piano ad esso correlato, il PRSTS, finalizzato a regolamentare
le attività turistiche e gli impatti da esse derivanti.
La delibera dell’agosto 2004 … che precede la legge 8, poneva una questione, il problema del piano
paesaggistico in termini assolutamente corretti: da un lato diceva “occorre avviarci ad una pianifica-
zione paesaggistica appunto sia per rispondere … alla nuova legge di tutela, ma anche per rispondere
a tutte le varie sollecitazioni, tenendo conto anche dell’Unione Europea” … La delibera coglieva in
piano e poneva il problema in termini corretti. Da un lato, diceva, occorre adeguare il piano paesaggistico regionale a queste esigenze; dall’altro però c’è anche l’esigenza di definire che cos’è per gli
strumenti economici, territoriali, urbanistici e paesaggistici la sostenibilità, tanto è vero che accanto
alla pianificazione paesaggistica regionale si doveva avviare anche il processo per la definizione di
un piano per il turismo sostenibile. Perché per il turismo? Perché è chiaro che l’elemento in Sardegna è uno, non c’è bisogno neanche di spiegarlo con molte parole che l’elemento più impattante dal
punto di vista dei detrattori ambientali, che il maggiore detrattore ambientale ovviamente è il turismo
… È evidente quindi che era necessario avviare, e infatti la delibera lo poneva con molta forza, avviare entrambe le strade.
Ciò nonostante, i due piani hanno finito per percorrere strade separate, tanto che il PRSTS è
stato presentato alla Giunta Regionale, che ha deliberato la “presa d’atto” del documento (Regione Autonoma della Sardegna, 2007) diversi mesi dopo l’approvazione del PPR. Come afferma l’intervistato D:
È chiaro che erano due piani che si dovevano incrociare, che dovevano trovare un loro momento di
confronto. C’è stato? Risposta secca: no, non c’è stato, perché in realtà il piano per il turismo sostenibile ha avuto lunghe vicissitudini, lunghi travagli. È in realtà è venuto dopo, molto dopo la pianificazione paesaggistica. Aveva una impostazione non territoriale, era orientato alla definizione del turismo sostenibile in Sardegna, quindi alla definizione di criteri, di principi, di obiettivi e di politiche,
ma certamente non aveva alcuna ricaduta territoriale.
La mancanza di coordinamento tra il PPR ed il PRSTS, con la conseguente assenza di una valutazione degli impatti delle attività economiche (particolarmente, ma non esclusivamente, di
quelle turistiche) che si svolgono nelle aree costiere, costituisce una grave manchevolezza del
piano secondo l’intervistato D:
[Il piano per il turismo sostenibile] è stato fatto … però di fatto non c’è stato un confronto vero. Se è
mancato questo, è evidente che è mancato un momento fondamentale, che è quello del confronto …
tra il maggior detrattore ambientale in Sardegna e lo strumento che dovrebbe tutelare maggiormente
[il territorio] … Se è mancato questo, è evidente che il concetto di sostenibilità nel piano è poco sviluppato, cioè è un concetto che si limita alla definizione in termini di vincolo dei vari sistemi ambientali che compongono il paesaggio in Sardegna.
Regole ed indirizzi del PPR sarebbero, in quest’ottica, derivati dalla sola analisi della situazione attuale, senza una valutazione ex ante dei fattori di pressione sul territorio e della entità
di questa pressione sulle risorse naturali.
1.3.3. Sostenibilità sociale
L’argomento della sostenibilità sociale, qui inteso limitatamente all’insieme di: (i) cooperazione tra diversi livelli di governo, (ii) integrazione tra il settore pubblico e quello privato, (iii)
inclusione dei portatori di interesse nel processo decisionale e (iv) trasparenza ed informazione, si è rivelato come il più dibattuto e controverso.
Gli obiettivi del PPR sono stati definiti attraverso un processo tecnico-politico che ha coinvolto la sola amministrazione regionale (Intervistati A e C). Solo in seguito all’adozione del piano, ma comunque prima della sua approvazione, le amministrazioni comunali ed altri gruppi
di interesse sono stati coinvolti in ventitré cosiddette “conferenze di copianificazione,” incontri pubblici organizzati su base territoriale, ciascuno concernente uno o due ambiti di paesaggio costiero.
Circa il ruolo delle conferenze di copianificazione, è stato riconosciuto (Intervistati B e C) che
il loro scopo era quello di informare le amministrazioni locali, più che di rendere possibile la
loro partecipazione al processo di piano. Nelle parole dell’intervistato B:
L’unico momento di concertazione è stato quello delle conferenze di copianificazione … io non la
chiamerei certo partecipazione quella, del resto nei tempi che avevamo, che aveva la regione, che avevamo … non è andata in porto questa cosa di un minimo, di sentire almeno i comuni quando si faceva il progetto.
Una tale ristretta interpretazione del concetto di partecipazione è stata giustificata in diversi
modi. Anzitutto, un primo motivo ricorrente è individuabile nella mancanza di tempi (Intervistati B, C ed E), dal momento che la legge regionale 8/2004 aveva imposto il termine di un
anno, a far data dall’approvazione della legge stessa, per l’approvazione del piano paesaggistico. Un secondo motivo addotto ha a che fare con questioni di competenze istituzionali, nel
senso che la responsabilità della definizione di politiche regionali sarebbe esclusivamente in
capo all’amministrazione regionale (Intervistato D). In terzo luogo, è stato suggerito (Intervistato B) che l’assenza di una vera e propria fase di consultazioni è legittima per lo stesso carattere del piano paesaggistico. Secondo quest’ultima interpretazione, una procedura partecipativa ed inclusiva nella preparazione del PPR non era obbligatoria perché il piano si limiterebbe a fornire un sistema di regole per altri piani, ed in particolare per i piani urbanistici comunali. Nelle parole dell’intervistato B:
Il piano paesaggistico … non fa scelte pianificatorie. Detta delle regole, che sono finalizzate alla tutela del paesaggio, però non fa delle scelte pianificatorie, e rimanda le scelte pianificatorie al comune
… Adesso lasciamo perdere la provincia che sta in mezzo … le province sono un grosso problema,
anche perché le province non hanno gli uffici attrezzati per farsi i piani, e quindi allora in questo
momento lasciamole un po’ da parte … Cioè, il piano paesaggistico detta alcune regole, i comuni
pianificano, capisci? quindi ce la caviamo col fatto che in fondo il PPR non pianifica. Riusciamo a
cavarcela sul fatto che non ha avuto la partecipazione, non c’è stata la condivisione delle scelte e la
partecipazione perché in fondo non fa scelte pianificatorie.
Di conseguenza, una partecipazione più ampia si renderebbe necessaria solo nella fase di
elaborazione dei nuovi piani urbanistici comunali in adeguamento al PPR, ed in particolar
modo nel momento in cui si elabora la nuova geografia delle destinazioni d’uso, dato che sarebbe questo il momento in cui si va ad incidere in maniera diretta e reale sugli interessi e le
aspettative delle comunità. Gli intervistati hanno mostrato un certo grado di consenso sul
fatto che il processo di adeguamento dei piani comunali alle prescrizioni del PPR
compenserebbe lo scarso livello di partecipazione conseguito durante l’elaborazione del piano
paesaggistico (Intervistati B, C ed E). A questo proposito, occorre ricordare che l’articolo 11
delle NTA afferma che “le previsioni del PPR si attuano attraverso: a) la pianificazione
provinciale e comunale; b) i Piani delle aree protette (…); c) le intese tra Regioni, Province e
Comuni interessati.” Il piano, dunque, affida ad altri strumenti (siano essi piani o accordi) la
traduzione delle sue politiche in azioni. L’amministrazione regionale ha reso disponibili
assistenza tecnica e risorse economiche (Intervistati B e C) ai Comuni che devono elaborare
un nuovo piano urbanistico o adeguare quello vigente alle previsioni del PPR, e cioè a tutti
quei Comuni il cui territorio è incluso all’interno degli ambiti di paesaggio costieri (102,
elencati nell’allegato 4 delle NTA). Questi finanziamenti regionali sono stati messi a
disposizione dalla Regione a partire dal dicembre 2006, e ad otto mesi di distanza (nell’agosto
2007, quando sono state svolte le interviste) solo cinque Comuni avevano presentato domanda
per tali fondi (Intervistato B). La ragione di una così scarsa richiesta di accesso ai
finanziamenti, secondo l’intervistato B, risiederebbe nel fatto che i Comuni, nel ricevere i
fondi, si impegnano ad adeguare il proprio strumento urbanistico al PPR entro un anno dalla
loro erogazione. Non richiedere, e non ricevere, i finanziamenti regionali non è, però, una
strategia di successo per l’aggiramento delle regole del PPR, dal momento che l’assenza di un
piano urbanistico adeguato al PPR o di una tra intesa Regione, Provincia e Comune rende
pressoché impossibile la maggior parte delle trasformazioni urbanistiche (Intervistato B).
Quanto sopra illustra come il piano paesaggistico confidi, per l’attuazione delle sue previsioni,
in un approccio impositivo e normativo sulle amministrazioni locali, invece che su consenso
ed ampia partecipazione, considerati in letteratura come strumenti di facilitazione
dell’attuazione di politiche e piani territoriali (Zonneveld, 2005). L’efficacia di questo tipo di
approccio è stata messa in discussione (Intervistato E) anche da un altro punto di vista, e cioè
quello del precedente storico dell’esiguo numero di piani urbanistici comunali conformi ai
urbanistici comunali conformi ai quattordici piani paesistici in vigore tra l’inizio degli anni
Novanta ed il 2003, anno del loro annullamento. Se in circa quindici anni ben pochi strumenti
urbanistici sono stati resi conformi alle previsioni dei piani paesistici allora in vigore, quanti
verranno adeguati al PPR, ed in che tempi?
Come anticipato, la partecipazione nell’attuazione del piano si concretizza in due modalità diverse. La prima riguarda la partecipazione ampia delle comunità locali nella preparazione, o
nell’adeguamento, dei piani urbanistici comunali; la seconda riguarda invece una forma
specifica di cooperazione ed integrazione di diversi livelli di governo del territorio e di
portatori di interesse, che si attua secondo il meccanismo delle intese. Nel seguito, si
introducono alcune riflessioni degli intervistati sul significato e sui limiti di queste due forme
partecipative.
Il PPR non è un piano finalizzato semplicemente al controllo degli usi dei suoli. Anzi, secondo l’intervistato B, dal momento che non disciplina l’uso dei suoli, il PPR non dovrebbe neppure essere chiamato “piano:”
Il piano paesaggistico secondo me, e questa è una mia opinione, ha dalla sua un pregio che non pianifica, non fa scelte pianificatorie. Detta delle regole, che sono finalizzate alla tutela del paesaggio, però non fa delle scelte pianificatorie, e rimanda le scelte pianificatorie al comune. Il piano paesaggistico detta alcune regole, i comuni pianificano.
Secondo l’intervistato E, però,
[il PPR, in quanto] piano territoriale di coordinamento per definizione è anche un metapiano, però la
natura di metapiano del PPR è in realtà molto debole. Molto poco esaurita … perché la biodiversità
dei piani è prossima allo zero. Quali sono i piani contemplati in sede di PPR? … In concreto di che
cosa si sta occupando la regione in questo momento? Dell’adeguamento dei PUC [i piani urbanistici
comunali] al PPR. Quindi a parole dico che [il PPR] è un quadro, poi quando vado dentro è molto se
metto il PUP [il piano urbanistico provinciale], e quando vado a fare le cose esistono solo i PUC.
A riprova indiretta di quanto affermato dall’intervistato E, quando si è chiesto in che modo il
PPR incida sugli altri strumenti di pianificazione territoriale, tutti gli intervistati hanno automaticamente fatto riferimento ai piani urbanistici comunali, come se il PPR fosse una cornice
per i soli piani che disciplinano le destinazioni d’uso dei suoli.
Se ci si limitasse, dunque, a considerare la partecipazione delle comunità locali nell’attuazione
del PPR come la fase di partecipazione del pubblico durante l’approvazione degli strumenti
urbanistici (dal momento che questi sembrano essere gli unici strumenti deputati alla traduzione delle previsioni del PPR in azioni), e cioè nella forma di osservazioni scritte alla proposta adottata del piano, allora il coinvolgimento delle comunità nella attuazione del PPR sarebbe debole, poco più incisivo di quello (inesistente) avvenuto durante l’elaborazione del piano
paesaggistico. Secondo l’intervistato B, però, la garanzia di una partecipazione ampia ed efficace del pubblico durante la preparazione o adeguamento dei piani comunali al PPR esiste, e
si fonda sull’obbligo di sottoporre a VAS ogni nuovo piano urbanistico comunale o suo adeguamento;8 dunque, è con la VAS dei piani che le amministrazioni comunali dovranno consultare in forma strutturata (incontri pubblici, forum, workshop) le comunità locali. Secondo
l’intervistato C, però, le stesse amministrazioni locali che hanno accusato l’amministrazione
regionale di non averle coinvolte nella elaborazione del PPR si mostrano, ora, poco inclini a
voler organizzare questi eventi ed a permettere ai loro cittadini di “interferire” nella preparazione dei piani comunali.
8
L’Assessorato della Difesa dell’Ambiente della Regione Sardegna ha elaborato nel maggio 2007, e reso disponibili all’indirizzo internet http://www.sardegnaterritorio.it/ documenti/ 6_83_20070706101540.pdf [ultimo accesso: 11 Aprile 2008] le “Linee Guida per la Valutazione Ambientale Strategica dei Piani Urbanistici Comunali.”
Per quanto riguarda invece l’integrazione tra i livelli di governo, gli intervistati hanno messo
in luce alcuni aspetti positivi e negativi relativamente all’adeguamento dei piani urbanistici al
PPR ed alle intese ed alle loro ripercussioni di entrambi sulle relazioni tra le amministrazioni.
Circa gli aspetti negativi, è stato osservato (Intervistati D ed E) che il PPR contiene un insieme (limitato) di regole che hanno per oggetto la protezione dei paesaggi e consistono prevalentemente nella proibizione di attività. Ecco il commento dell’intervistato D in proposito:
Ma ai Comuni quali regole sono state date? E mi si dice: quelle contenute qui dentro [cioè nelle NTA
del piano]. Si ma quelle contenute qui dentro sono indirizzi e sono vincoli. Allora i comuni cosa devono fare? E poi, attenzione, il piano deve dare regole ai comuni, e poi lasciar fare ai comuni. Invece
questo piano dice: le regole le stabiliamo insieme, ma questo fare insieme significa che siccome io
ovviamente ho diritto di veto, sono io a dettare le regole, dove? In casa tua, cioè facendo la pianificazione comunale, cioè sono io, Regione, che intervengo pesantemente nella pianificazione comunale.
“Si, ma consensualmente” [dicono alcuni]. Ma io non voglio la consensualità, prima di tutto voglio
regole. … Il piano, se vuol essere tale, deve dare regole ai soggetti che poi devono attuarle [...] Lo fa?
Dice, “No, no, aspetti, sono indirizzi, non sono regole.” Si, ma, se sono indirizzi, se non sono regole,
allora non è un piano, è una serie di indirizzi, e allora il piano viene dopo. Se non è così, come è che
gli indirizzi si trasformano in regole? E infatti lo dice il piano: si trasformano in regole secondo … le
intese … un modo per interpretare quegli indirizzi e metterli in accordo con gli elementi che contrasterebbero quegli indirizzi, giusto? Sennò, altrimenti non ci sarebbe bisogno dell’intesa. L’intesa è
quello strumento attraverso il quale io, per applicare gli indirizzi, verifico che cosa osta alla loro applicazione e vado a trovare una linea di compromesso tra ciò che osta alla loro applicazione e la salvaguardia dell’ambiente.
Mancherebbe, dunque, nel piano un insieme di regole stabilite e chiare, valide per tutti, che
possano disciplinare ed orientare la trasformazione del territorio secondo i principi e gli obiettivi fissati dal piano stesso, e questa mancanza forzerebbe le amministrazioni comunali a negoziare i contenuti del loro piano urbanistico comunale con l’amministrazione regionale. Le
intese, che rischiano, secondo i due intervistati, di diventare lo strumento attraverso il quale la
Regione può interferire in quella che è, ad oggi, sfera di competenza comunale. Di conseguenza, emerge, secondo questa visione, un quadro di poteri fortemente sbilanciato a favore
dell’amministrazione regionale, che da un lato mantiene le proprie competenze ed autonomia
in materia di pianificazione (limitando per di più le opportunità di partecipazione e cooperazione tra le istituzioni, e sfuggendo alle procedure valutative), e dall’altro forzando le amministrazioni comunali e provinciali a pattuire i contenuti dei loro piani, riducendone dunque
l’autonomia.
Si genera, potenzialmente, anche un rischio di ineguaglianze tra le amministrazioni locali, in
quanto i risultati di un siffatto tipo di compromessi, nell’assenza di un sistema di regole certe,
possono variare con gli equilibri politici e la maggiore o minore forza di un Comune o Provincia (Intervistato D).
Circa gli aspetti positivi, invece, è stato sostenuto che le intese costituiscono un meccanismo
efficace per il dialogo e la cooperazione tra l’amministrazione regionale e quelle locali. È con
le intese, infatti, che eventuali incongruenze tra il PPR ed i piani urbanistici comunali possono
essere risolte in un processo che si compone di una fase tecnica e di una politica (Intervistato
B), e che i proponenti (tecnici e politici) di trasformazioni, edificazioni, o realizzazioni di piani attuativi in contrasto con il PPR possono giustificare i piani ed i progetti, illustrando come
le ipotesi e metodologie utilizzate abbiano condotto alle scelte di piano o progetto. In questo
senso, le intese costituirebbero, anche, lo strumento per rispondere ad un problema di scala,
dal momento che le analisi che hanno condotto alla definizione di regole ed indirizzi del PPR
sono state svolte a scala regionale, mentre i piani comunali, i piani attuativi ed i progetti si
fondano su analisi a scala più dettagliata, sulla base della quale possono trovare giustificazione.
Infine, un ultimo ed importante punto sollevato da alcuni intervistati circa la partecipazione
ampia del pubblico alle scelte del PPR è stato quello della definizione delle componenti e de-
gli ambiti di paesaggio. Sia la perimetrazione degli ambiti di paesaggio costieri che la individuazione cartografica delle componenti di paesaggio sono state condotte in termini scientifici
e specialistici, tramite una approfondita analisi effettuata a scala regionale con strumenti quali
i sistemi informativi geografici e l’interpretazione di foto aeree ed immagini satellitari. Questo approccio alla definizione e identificazione dei paesaggi, nelle parole dell’intervistato D,
conduce ad una interpretazione del paesaggio “alla Humboldt, dei romantici ottocenteschi,” e
traduce in maniera molto restrittiva la definizione di paesaggio fornita dal Consiglio d’Europa,
che, nel richiamo dell’intervistato D,
[…] non è soltanto il paesaggio bello; è anche il paesaggio brutto, cioè è il paesaggio. Qualsiasi cosa
si presenti ai nostri occhi come elemento di sustanziazione, come elemento di permanenza della vita
di tutti i giorni. Questo è il paesaggio.
Come sottolineato anche dall’intervistato E, infatti, la Convenzione Europea del Paesaggio
implica in modo chiaro che un “paesaggio” non esiste neppure senza la mediazione della
percezione delle popolazioni (Selman, 2006):
… con la Convenzione Europea del Paesaggio c’è stata chiaramente una ri-territorializzazione del
concetto di paesaggio. Ri-territorializzazione vuol dire che i territori, virgolette, locali, le comunità
locali che vivono il territorio dicono che cos’è il loro paesaggio, perché la regione non è la regione di
via San Paolo [in cui sono localizzati alcuni uffici regionali], la regione sono i cittadini sardi. Questa
cosa ancora alla regione non è entrata in testa.
Ben lontano dall’essere definito tramite giudizi di qualità estetica, il paesaggio, secondo la
Convenzione, è invece plasmato dalla esperienza e dalla interpretazione dell’uomo.
2. COMUNITÀ LOCALI E PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE
L’adeguamento dei piani urbanistici comunali al PPR è, indubbiamente, il punto nodale del
processo di pianificazione cooperativa che il PPR, le sue NTA, si propongono di mettere in
atto. Il banco di prova fondamentale è rappresentato dall’adeguamento al PPR dei piani
urbanistici comunali degli ambiti di paesaggio costieri, che costituiscono l’oggetto di questa
prima fase della definizione del PPR, ai sensi del citato comma 3 dell’art. 1 della Legge regionale n. 8/2004. I piani urbanistici comunali devono, infatti, adeguarsi ai contenuti
descrittivi, prescrittivi e propositivi del PPR, alle norme generali del PPR, a quanto
specificamente prescritto per gli ambiti costieri, ed agli indirizzi per “conservazione e tutela,
mantenimento, miglioramento o ripristino dei valori paesaggistici riconosciuti all’interno
degli ambiti di paesaggio.” (NTA, art. 7, comma 1). Le relazioni tra valori paesaggistici,
caratteristiche delle zone e azioni strategiche sono descritte nell’Allegato 1 delle NTA.
Quanto proposto e discusso in questa sezione si riferisce a due aspetti significativamente problematici dell’adeguamento del Piano urbanistico comunale di Sinnai (PUC) al PPR. Il primo
aspetto è relativo alla pianificazione di aree immediatamente adiacenti al tessuto urbano consolidato del comune, identificate come zone di espansione residenziale o Zone “C”
dall’attuale PUC, che potrebbero o meno corrispondere ad aree denominate di “Espansioni in
programma” secondo le NTA. Il secondo aspetto concerne la pianificazione di aree identificate come facenti parte della “Fascia costiera” dal PPR, che, nell’attuale PUC, sono classificate
come “Zone turistiche” o “Zone F.”
Si tratta di questioni estremamente importanti nel quadro del processo di adeguamento degli
strumenti urbanistici sotto-ordinati al PPR, in un comune che ha una parte del suo territorio
nella Fascia costiera, ed un’altra parte al di fuori di essa. Quest’ultima parte contiene il tessuto urbano consolidato che corrisponde al Centro Storico, allo sviluppo urbano consolidato più
recente ed alle espansioni, sia quelle già in parte attuate, che quelle solamente preconizzate
dallo strumento urbanistico vigente. La parte costiera, costituita da un’isola amministrativa,
ha un piccolo nucleo insediativo storico consolidato, e diverse aree ancora non urbanizzate, o
urbanizzate in minima parte, in cui l’attuale PUC individua diverse tipologie di zone turistiche
“F.”
Le problematiche sollevate dall’adeguamento del PUC al PPR si assumono come paradigmatiche dei processi della nuova stagione della pianificazione del territorio in Sardegna, e come
base applicativa per la definizione di un modello complessivo per la valutazione strategica
delle decisioni della pianificazione urbana fondato sul riconoscimento delle istanze e delle aspettative delle comunità locali, nel quadro concettuale della governance orientata allo sviluppo sostenibile (Cau e Zoppi, cit.).
La scelta del territorio del comune di Sinnai come riferimento per le fasi sperimentali del programma dell’Unità di ricerca è motivato dalle osservazioni che seguono.
Sinnai è un comune importante dell’area metropolitana di Cagliari, in costante incremento
demografico (quasi sedicimila residenti nel 2004), con un territorio di oltre 220 Km2, che presenta una notevole complessità e differenziazione negli usi del territorio, sia per quanto riguarda le zone urbanizzate, che poco o niente interessate dall’urbanizzazione, con una zona
costiera importante, in larga parte costituita dalla Frazione di Solanas, caratterizzata da aree a
vocazione turistica, fondamentalmente legata all’ambiente marino e costiero. Alla complessità degli usi e delle vocazioni del territorio comunale, fa riscontro una complessità analoga nella struttura, nelle attività, nelle caratteristiche, della popolazione e dei suoi modi di vivere il
proprio rapporto con il territorio.
Il comune di Sinnai presenta, certamente, elementi di dinamicità e di importanza sociodemografica notevoli, come si rileva dal “Rapporto d’area – Provincia di Cagliari” (RAP) elaborato dal Laboratorio Territoriale del Centro Regionale di Programmazione, (Regione Autonoma della Sardegna, 2006a) che motivano la scelta di questo contesto territoriale per la sperimentazione di questa ricerca. Ambito urbano complesso, ma, anche, abbastanza circoscritto,
e, come tale, abbastanza controllabile, dal punto di vista della sua organizzazione territoriale,
e dei processi di sviluppo ad essa legati.
Il RAP pone in evidenza come Sinnai sia, dal punto di vista demografico, un comune di consistenza medio-alta, con un incremento di popolazione relativamente alto nel periodo 19912001, e con un indice di vecchiaia piuttosto basso. Comparativamente alta è la superficie agricola utilizzata, mentre la specializzazione produttiva si concentra nell’industria delle costruzioni. Abbastanza alta è la dotazione di posti-letto, per quanto riguarda l’industria turistica. Alta anche la percentuale dei residenti che hanno un grado di istruzione medio-alto; medio-alto è il tasso di disoccupazione, classificato come alto per ciò che concerne la disoccupazione giovanile.
Si tratta, dunque, di un comune giovane, in espansione per quanto riguarda la popolazione residente. Un contesto urbano con molti disoccupati e con molte persone in cerca di prima occupazione, molte delle quali hanno investito ed investono sulla propria formazione professionale. Una struttura produttiva ancora troppo legata al settore primario ed all’industria delle
costruzioni, con uno sviluppo del terziario, specialmente del terziario avanzato, ancora embrionale. Una struttura produttiva che, almeno in parte, si basa sul turismo, legato soprattutto,
all’isola amministrativa costiera.
L’ambito comunale di Sinnai è di particolare rilievo per tutte queste ragioni, derivate dal RAP
che costituisce la base della programmazione integrata della Sardegna con riferimento ai Fondi Strutturali dell’Unione Europea, e, per il fatto che il suo territorio presenta, dal punto di vista del PPR, e, quindi, dell’adeguamento del PUC al PPR, alcune problematiche estremamente
importanti, emblematiche del nuovo corso della pianificazione territoriale della Sardegna. Si
tratta, infatti, di un Comune che ha previsto espansioni residenziali significative, a margine di
un tessuto urbano consolidato ben connotato ed individuato, e uno sviluppo basato
sull’integrazione di diversi usi dei suoli nel territorio costiero, molto importante ed esteso,
nella parte orientale del Golfo di Cagliari.
Il comune di Sinnai è di particolare interesse per la stagione della pianificazione locale della
Sardegna che viene inaugurata dalla Legge Regionale n. 8/2004 (la legge “salvacoste”) e dal
PPR, in quanto l’approvazione del PPR e l’obbligo di adeguamento del PUC pongono, nella
dialettica tra comunità locale, ente locale ed amministrazione regionale, una questione significativa di dialettica e di conflitto, per la forte differenziazione tra i futuri preconizzati, auspicati
e definiti, in termini di zonizzazione e di usi dei suoli, dal PUC, e quelli che derivano
dall’applicazione delle NTA.
È da porre in evidenza, a questo proposito, che il Comune di Sinnai ha adeguato il proprio
PUC, a suo tempo, al PTP, quindi quanto previsto e normato dal PUC vigente è in linea con
gli indirizzi e le norme urbanistiche che l’amministrazione regionale ha definito a monte
dell’attuale momento di riorganizzazione complessiva del dispositivo della pianificazione territoriale sarda, fondato e sviluppato a partire dal PPR. Non sono molti i Comuni che hanno
fatto altrettanto.
Il PUC vigente, approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 87 del 30.10.2000 e
successive n. 41 del 17.07.2001 e n. 63 del 30.10.2002, è pubblicato sul Bollettino Ufficiale
della Regione Autonoma della Sardegna (BURAS) n. 40 del 26.11.2002. Questo piano interpreta l’assetto territoriale del comune in maniera abbastanza lineare, riconoscendo ed assecondando un’organizzazione delle aree residenziali secondo successive stratificazioni concentriche costituite, nelle parti più interne, dal Centro Storico, quindi dalle zone di completamento residenziale e da quelle di espansione. Per queste ultime, in alcuni casi, sono approvati ed
in corso di attuazione i piani attuativi del PUC, in altri casi, la maggior parte, non ci sono piani attuativi approvati, anche perché l’approvazione del PUC è relativamente recente (fine
2002), e la legge “salvacoste,” che stabilisce, in prima battuta, le norme di salvaguardia relative ai PUC, è solo di un anno e mezzo successiva.
È evidente che, per quanto riguarda l’espansione residenziale, la principale fonte di conflitto
per l’adeguamento del PUC al PPR è rappresentata da quanto dovrà essere previsto, in adeguamento, per quei comparti di espansione residenziale in cui il PUC vigente prevede
l’espansione e per i quali, tuttavia, ancora non sono stati approvati piani attuativi e, quindi,
non sono state realizzate urbanizzazioni. È, infatti, da richiamare che le stesse NTA, per
quanto riguarda il periodo transitorio, che precede l’approvazione del nuovo PUC adeguato al
PPR, possono essere realizzati, nelle zone di espansione residenziale (Zone “C”) “gli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi purché approvati e con convenzione efficace alla data di adozione del Piano Paesaggistico Regionale […]” (art. 15, comma 3, delle NTA).
Il processo di adeguamento del PUC del 2002 al PPR è estremamente problematico e conflittuale. Un’importante ragione di questo conflitto è da riconoscere nell’impossibilità di attuare
il PUC per quanto riguarda le sue previsioni per le zone di espansione residenziali adiacenti al
tessuto urbano consolidato, e per le zone turistiche costiere dell’isola amministrativa di Solanas. In questa sezione si analizza questo conflitto, a partire dai risultati di due precedenti saggi (Zoppi, 2007a; 2007b).
In questi saggi, sono definite due proposte di piano attuativo, coerenti con il PPR (cui nel seguito si fa riferimento come “Piano B1” e “Piano B2”), che riportano sistemazioni per attività
ricreative all’aperto di aree in zone definite di espansione residenziale o turistiche costiere nel
PUC, e non ancora urbanizzate. La valutazione di queste proposte si fonda su un approccio
misto CV-AMC, basato sulle risposte a questionari distribuiti ai componenti di un campione
casuale della popolazione di Sinnai.
I questionari indagano sulle attitudini e le preferenze degli intervistati in relazione alle proposte di piano attuativo di cui sopra. Consentono, inoltre, di evidenziare la diversa importanza
che le persone intervistate attribuiscono ad un insieme di criteri di valutazione sui quali potrebbe fondarsi la scelta tra proposte di piano coerenti con il PUC vigente e proposte di piano
coerenti con il PPR. Le proposte di piano, valutate tramite l’AMC basata su questa classificazione dei criteri, sono le due coerenti con il PPR, cui più sopra si è fatto riferimento - una per
un’area classificata come zona di espansione residenziale ed una come zona turistica costiera,
entrambe ancora non urbanizzate -, e due proposte di piano, per le due medesime aree, coerenti con il PUC vigente (cui nel seguito si fa riferimento come “Piano A1” e “Piano A2”).
La cornice metodologica per la valutazione è un approccio integrato CV-AMC, che coniuga il
rigore di metodologie econometrico-statistiche con l’esigenza di una dialettica efficace, nel
momento della definizione delle scelte, tra le diverse componenti della comunità locale.
La CV è utilizzata in maniera abbastanza diffusa nel campo dell’economia urbana e regionale.
I casi di studio di CV, che si fondano su quanto esplicitamente dichiarato dagli intervistati in
relazione alle proprie idee e convinzioni, valutano quantitativamente il grado di consenso delle comunità locali in termini di disponibilità a pagare (costo-opportunità) per la fruizione di un
bene o di un servizio pubblico. La CV è utilizzata comunemente per la valutazione di beni
ambientali.9
Questa sezione si articola come segue. Nel primo paragrafo si discute il potenziale conflitto
tra la Regione Sardegna ed il Comune di Sinnai. Il secondo paragrafo sintetizza i risultati dei
casi di studio di CV ed AMC, e delinea come l’integrazione delle due metodologie si configuri come una via per trattare efficacemente la questione della diversità di opinioni che scaturisce dalle comunità locali in relazione a problematiche complesse di pianificazione spaziale.
Nel terzo paragrafo, conseguenze e risultati sono analizzati alla luce dei resoconti di alcune
conversazioni tra membri dell’apparato politico-amministrativo della Regione Sardegna e rappresentanti dei Comuni costieri. Queste conversazioni ebbero luogo prima dell’adozione del
PPR, durante le conferenze di copianificazione, promosse dall’amministrazione regionale tra
il Gennaio ed il Febbraio del 2006.10
L’esame delle conversazioni consente di definire alcune interessanti narrative concernenti
l’apparente incongruità dei risultati delle applicazioni di AMC e CV.
2.1. Il conflitto
Il conflitto relativo alle zone di espansione residenziale ed alle zone turistiche costiere dipende
dalle nuove regole che il futuro PUC adeguato al PPR dovrebbe stabilire per le aree classificate in questo modo
È, infatti, da richiamare che, per le zone di espansione residenziale, le NTA stabiliscono che,
per quanto riguarda il periodo transitorio, che precede l’approvazione del nuovo PUC adeguato al PPR, possano essere realizzati “gli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi
purché approvati e con convenzione efficace alla data di adozione del Piano Paesaggistico
Regionale […]” (art. 15, comma 3, delle NTA).
Le zone di espansione residenziale, individuate come tali ma non ancora pianificate e, quindi,
non ancora interessate da opere di urbanizzazione, corrispondono alla categoria di aree e immobili “Edificato urbano – Espansioni in programma” definita dall’art. 73 delle NTA. Il
comma 1 dell’art. 74 delle NTA recita, in relazione alle espansioni in programma: “Potranno
essere individuate nuove aree da urbanizzare ai fini residenziali solo successivamente alla di-
9
Braden e Kolstad (1991) presentano un’importante e significativa discussione generale sulle metodologie concernenti la valutazione dei beni ambientali.
10
Il resoconto completo delle conversazioni delle ventitré conferenze di copianificazione è disponibile al seguente indirizzo Internet http:// www.sardegnaterritorio.it/ pianificazione/ pianopaesaggistico/ conferenze.html [ultimo accesso: 8 Aprile 2008].
mostrazione di reali fabbisogni abitativi, nell’orizzonte temporale decennale, non soddisfatti
dal consolidamento e dal recupero dell’esistente. […].”
Attraverso l’analisi del PUC vigente si può dimostrare come, per quanto riguarda Sinnai, non
si possa prevedere il mantenimento delle zone di espansione residenziale ancora non urbanizzate e pianificate nell’adeguamento del PUC al PPR, poiché questo mantenimento non sarebbe coerente rispetto al citato comma 1 dell’art. 74 delle NTA. Questo implica la perdita di
circa 66 ettari di zone residenziali nel futuro PUC adeguato al PPR.11
Per le zone turistiche costiere, individuate come tali ma non ancora pianificate e, quindi, non
ancora interessate da opere di urbanizzazione, gli indirizzi delle NTA sono fondamentalmente
orientati a: 1) sviluppare la capacità turistica, sempre orientata a standard qualitativi alti, attraverso l’utilizzo degli insediamenti esistenti quali centri urbani, paesi, frazioni e agglomerati,
insediamenti sparsi del territorio rurale e grandi complessi del territorio minerario (art. 90,
comma 1, lettera a, delle NTA); 2) riprogettare gli insediamenti, anche per parti, e lo “spazio
pubblico” e incrementare i servizi necessari per elevare la qualità dell’offerta turistica e favorire l’allargamento della stagionalità (art. 90, comma 1, lettera b, n. 1); 3) favorire lo sviluppo
di strutture ricettive rispetto alle residenze turistiche (art. 89, comma 1, lettere a e b); 4) ristrutturare, recuperare e riqualificare l’esistente, quanto più possibile convertendo le residenze
in strutture ricettive di qualità (anche con premi di cubatura), piuttosto che realizzare nuovi
insediamenti (art. 90, comma 1, lettera b, n. 2); 5) trasferire gli insediamenti esistenti nella fascia costiera verso aree, al di fuori di essa, o, comunque, a minore impatto paesaggistico, già
caratterizzate dalla presenza di insediamenti residenziali, prevedendo, all’occorrenza, premi di
cubatura fino al 100% (art. 90, comma 1, lettera b, n. 3).
È evidente che l’adeguamento del PUC al PPR implica una significativa perdita di volumetria
residenziale e seconde case nella fascia costiera. Questa perdita può facilmente essere definita
e quantificata sulla base della suddivisione in zone del territorio di Sinnai appartenente alla
fascia costiera.
Si consideri, ad esempio, quanto si verifica per due comparti contigui delle Zone “F” della fascia costiera ancora non urbanizzati, un comparto della Zona “F2” di Solanas ed il comparto
di Monte Mesu, retrostante al centro urbano di Solanas. Secondo quanto previsto dal PUC vigente, nel comparto “F2,” avente una superficie di circa 29.000 m2, è possibile realizzare una
volumetria per residenze di circa 3.000 m3, ed insediare circa 50 abitanti; nel comparto “F4,”
avente una superficie di circa 125.000 m2, è possibile realizzare una volumetria per strutture
ricettive alberghiere di circa 16.000 m3, ed insediare circa 270 abitanti.12
Con l’eccezione del 3% della superficie del comparto “F4,” in cui, al più – e al di là di qualunque ragionamento sugli indirizzi delle NTA, richiamati sopra, che certamente non muovono nella direzione di espansioni turistiche nella fascia costiera in parti del territorio ancora non
urbanizzate –, conservando l’indice territoriale del PUC vigente per questo comparto, si potrebbe realizzare, per servizi ricettivi, una volumetria di circa 485 m3 (0,13 x 0,03 x 124.694),
in tutte le altre aree in cui si articolano sia il comparto “F2” che quello “F4” del PUC vigente,
la previsione di nuovi insediamenti turistici, sia residenziali che per servizi ricettivi, non si
può mantenere nell’adeguamento al PPR, come è facile rendersi conto dalla lettura degli arti-
11
Si omette il dettaglio dei calcoli che portano a questo risultato (si veda, a questo proposito: Cau e Zoppi, cit.,
pp. 308-312), che si ottiene valutando il fabbisogno abitativo di Sinnai in base alla procedura sviluppata dal
PUC, utilizzando i dati sulla popolazione aggiornati al 2001. In base a questi dati, secondo l’applicazione della
procedura utilizzata nel PUC (i dati utilizzati dal PUC sono aggiornati al 1997), la popolazione al 2014, anno di
riferimento assunto dal PUC per il fabbisogno abitativo, sarebbe di 18.415 residenti, e non di 20.778, come risulta dalla Relazione generale del PUC.
12
Si omette il dettaglio del calcolo, che fa diretto riferimento alla Relazione del PUC di Sinnai vigente.
coli delle NTA sopra richiamati, il che comporta una perdita di volumetria complessiva di circa 20.000 m3.13
Gran parte delle volumetrie degli insediamenti turistici della fascia costiera subirebbero la
stessa sorte nell’adeguamento, il che comporta un notevole freno alle potenzialità di sviluppo
turistico costiero del comune di Sinnai, con la sostanziale riproposizione delle cause di conflitto già viste con riferimento alle zone di espansione residenziale.
Si tratta, evidentemente, di una situazione molto difficile da gestire per la municipalità, che
dovrebbe dichiarare non edificabili le relativamente poche aree in cui, secondo il PUC vigente, è possibile ancora realizzare abitazioni, e, parimenti, non edificabili le zone turistiche ancora non urbanizzate, nelle quali, secondo il PUC vigente, è possibile ancora realizzare abitazioni e strutture ricettive.
Il conflitto si genera per diverse cause. In primo luogo, i proprietari di aree dei comparti delle
Zone “C2,” “C3,” “C4” ed “F” vedrebbero diminuire il valore delle proprie aree in maniera
drammatica, perdendo, si potrebbe dire dalla sera alla mattina, i propri diritti edificatori, che il
PUC attualmente vigente, ed approvato a suo tempo (2002) dalla Regione, aveva loro
assegnato.
In secondo luogo, la municipalità vedrebbe notevolmente ridimensionata la potenzialità della
realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, cioè le possibilità di espansione del capitale pubblico comunale, connesse alla disponibilità degli oneri di urbanizzazione
legati alle trasformazioni urbane delle ormai ex zone di espansione residenziale e turistiche
costiere. Altro punto significativamente problematico per il bilancio dell’amministrazione
comunale è rappresentato dai mancati introiti provenienti dall’imposta comunale sugli immobili. Questi introiti sarebbero, certamente, ben più alti se i comparti delle Zone “C2,” “C3,”
“C4” ed “F” fossero costituiti da aree edificabili.
Il fatto che questi comparti non siano più edificabili comporta, anche, un forte ridimensionamento della domanda di lavoro nell’industria edilizia per il comune di Sinnai, che, come richiamato sopra, si configura come un contesto urbano con molti disoccupati e con molte persone in cerca di prima occupazione, e avente una struttura produttiva ancora legata al settore
primario ed all’industria delle costruzioni, con uno sviluppo del terziario, specialmente del
terziario avanzato, ancora embrionale. (Regione Autonoma della Sardegna, 2006a) Quindi, il
ridimensionamento della domanda di lavoro nell’industria delle costruzioni, non potrà che acuire, soprattutto nel breve periodo, il problema della disoccupazione.
Inoltre, il riorientamento dell’attività edilizia verso il recupero e la riqualificazione
dell’esistente, se, indubbiamente, costituisce una strategia importante per la limitazione del
consumo del territorio, comporta uno spiazzamento dell’organizzazione e della specializzazione tecnica di molte imprese dell’edilizia, che rischierebbero di uscire dal mercato se non
riuscissero, nel breve periodo, ad adeguare tecnologicamente sia la manodopera che le attrezzature dei cantieri. Questo in una situazione in cui, comunque, la diminuzione delle aree edificabili comporterà un ridimensionamento della produzione.
13
Gli articoli delle NTA su cui si basano queste osservazioni sono i seguenti: 22-30 e 88-90.
Criterio
CRI1
CRI2
CRI3
CRI4
CRI5
CRI6
CRI7
CRI8
Criterio
CRI1
CRI2
CRI3
CRI4
CRI5
CRI6
CRI7
CRI8
A1
B1
A2
B2
Definizione
Unità di misura
2
43.119
107.980
75.712
139.980
Disponibilità di spazi attrezzati per m , superficie di spazi attrezzati per le
le attività ricreative all’aperto pub- attività ricreative all’aperto, pubblici o
blici o privati aperti al pubblico
privati aperti al pubblico, al netto delle
strade carrabili e dei parcheggi pubblici o
ad uso pubblico
120
60
194
0
Accessibilità degli spazi attrezzati m, distanza dell’ingresso della più vicina
per le attività ricreative all’aperto area di parcheggio a servizio dello spazio
pubblici o privati aperti al pubblico attrezzato per le attività ricreative
all’aperto dalla sezione stradale della strada più vicina che collega l’esterno con
l’area oggetto del piano; nel caso di più
aree
0 1.836
0
Potenziamento dell’offerta di abita- m3, volumetria complessiva delle nuove 99.966
zioni
abitazioni
993
1.635 1.635
6.289
Disponibilità di servizi per la risto- m2, area complessiva dei lotti di pertinenrazione (ristoranti, fast-food, bar) za di servizi per la ristorazione (ristoranti,
fast-food, bar), compresi eventuali parcheggi o zone verdi
0
0 27.928
0
Disponibilità di servizi ricettivi (al- m2, area complessiva dei lotti di pertinenberghi, bed & breakfast, campeggi) za di servizi ricettivi (alberghi, bed &
breakfast, campeggi), compresi eventuali
parcheggi o zone verdi
0 44.204
0
Aumento della superficie territoria- m2, area complessiva dei lotti di pertinen- 53.337
le urbanizzata per volumetrie ad uso za di servizi ad uso privato o residenze,
privato
compresi eventuali parcheggi o zone verdi
Coerenza rispetto al contesto am- Coerenza rispetto al contesto ambientale,
bientale, storico-culturale, insedia- storico-culturale, insediativi, giudizio motivo
tivato del valutatore in una scala da 1 a 9
Giudizio qualitativo
–
1 = confronto pari; 9 = larga superiorità
di un piano sull’altro
298
60
221
0
Accessibilità delle aree residenziali m, media pesata delle distanze
dell’ingresso del lotto residenziale dalla
sezione stradale della strada più vicina
che collega l’esterno con l’area oggetto
del piano-il peso è la volumetria del/dei
fabbricato/i insistente/i sul lotto
Valore
Punteggio normalizzato
1.839
6,69
1.806
6,57
1.718
6,25
1.503
5,47
1.095
3,98
1.270
4,62
1.419
5,31
1.159
4,21
Tabella 1. Definizione e ranking dei criteri
Infine, un’offerta abitativa fondata esclusivamente sul recupero e la riqualificazione
dell’esistente, senza l’alternativa dell’espansione residenziale, porta ad una mancanza di concorrenza, quindi ad un potenziale impoverimento qualitativo. Ciò che si recupera e si riqualifica potrebbe, quindi, non essere qualitativamente competitivo rispetto a quanto si renderà disponibile in altri contesti urbani, per cui la domanda abitativa reale potrebbe diminuire, con
conseguenze ancora più nefaste sull’occupazione e sulla produzione dell’industria edilizia sinnaese, e, in definitiva, sulla qualità della vita urbana. I costi comparativamente più alti del
recupero edilizio, rispetto alle nuove costruzioni, comportano, necessariamente, il sostegno
finanziario pubblico dell’investimento degli imprenditori privati, il che appare problematico
in prospettiva futura, anche nel breve periodo, data la ormai prossima uscita della Sardegna
dalle regioni dell’Obiettivo 1 della politica di coesione europea.
Questa situazione, estremamente problematica, potrebbe far sorgere nell’opinione pubblica
sinnaese, come in quella di molti altri comuni, un più o meno accentuato risentimento nei confronti delle politiche del territorio basate sul PPR e, in cascata, di quelle che comportano
l’adeguamento del PUC al PPR.
2.2. Alcuni risultati dei due casi di studio di CV ed AMC
I risultati delle applicazioni di CV mostrano come vi sia un sostanziale dissenso, da parte della
popolazione sinnaese, nei confronti del cambiamento della destinazione d’uso che
l’adeguamento del PUC al PPR comporta. La comunità di Sinnai, dunque, sembra non gradire il blocco dell’espansione residenziale, residenziale turistica e ricettiva costiera che il PPR
impone, e sembra, quindi, preferire decisamente la disponibilità di aree per la futura edificazione alla disponibilità di nuovi parchi per le attività ricreative all’aperto nelle aree in cui si
sono proposti i Piani B1 e B2.
Alle persone intervistate degli stessi campioni della popolazione di Sinnai che hanno partecipato alle indagini di CV è stato chiesto di esprimersi circa la classificazione dei criteri per la
valutazione dell’alternativa preferita tra i Piani A1 e B1, e A2 e B2. Le preferenze relative ai
criteri di valutazione per l’AMC mettono in evidenza che le scelte coerenti con il PPR, i Piani
B1 e B2, dovrebbero essere preferite rispetto ai Piani A1 e A2, e, quindi, le sistemazioni a
parco dovrebbero essere preferite a quelle che comportano la realizzazione di una nuove lottizzazione residenziali o turistico-ricettive. I criteri e il loro ranking sono riportati nella Tabella 1; la Tabella 2 mostra il ranking dei piani.14
Piano
Piano A1
Piano B1
Peso
36%
64%
Piano A2
Piano B2
31%
69%
Tabella 2. Ranking dei piani
Si vede, dunque, dai risultati delle indagini empiriche che integrano CV e AMC, come le informazioni circa le preferenze della popolazione che si evincono dai risultati della CV portino
un sostanziale aumento dell’informazione disponibile dallo sviluppo dell’AMC. Questo più
alto livello di informazione disponibile consente agli analisti ed ai pianificatori di valutare in
maniera più efficace, a partire dai metodi di valutazione dell’economia urbana (CV) e delle
14
Le applicazioni di AMC si basano sul metodo “Analytic Hierarchy Process” (AHP). Per una dettagliata discussione di questa metodologia, si veda Scarelli (1997, pp. 91-100).
tecniche multicriteri, la corretta posizione del problema valutativo, e, in particolare,
l’adeguatezza della scelta dei criteri – quindi dell’identificazione delle dimensioni del problema – e dell’importanza relativa dei criteri.
Nel contesto dei casi di studio cui si fa qui riferimento, i risultati dell’applicazione di CV differiscono in maniera sostanziale da quelli dell’AMC. Da un lato, infatti, i risultati della CV
indicano un’attitudine negativa da parte della comunità sinnaese nei confronti delle scelte del
PPR per le aree in cui sono stati proposti i Piani B1 e B2 (Zoppi, 2007a; 2007b),15 in quanto la
disponibilità a pagare media e mediana risultano negative. Dall’altro, l’AMC indica un peso
globale degli stessi Piani più alto rispetto a quelli dei Piani A1 e A2. I risultati dell’AMC sono, in larga parte, determinati dal fatto che i Piani B1 e B2 prevalgono largamente sui Piani
A1 e A2 per i criteri 1, 2, 4 , 7 e 8 (si veda la Tabella 1), che – in particolare i primi tre – sono
considerati tra i più importanti, dalle persone intervistate, tra quelli indicati per la definizione
del problema valutativo.
Le profonde differenze che si riscontrano nei risultati dell’applicazione delle due metodologie
evidenziano come la definizione del problema valutativo dell’AMC non sia efficace per descrivere le preferenze della popolazione di Sinnai. La sostanziale bassa attitudine nei confronti dei Piani B1 e B2, infatti, indica la necessità di integrare i criteri della Tabella 1 con altri,
che tengano conto, ad esempio, dei fenomeni economico-sociali negativi che deriverebbero
dall’adeguamento del PUC al PPR: diminuzione del valore fondiario delle aree la cui destinazione d’uso, originariamente per l’espansione residenziale o turistica, viene ridefinita per attività ricreative all’aperto; diminuzione delle entrate dall’imposta comunale sugli immobili;
diminuzione delle infrastrutture e dei servizi pubblici realizzati a seguito della corresponsione
degli oneri di urbanizzazione; riconversione problematica dell’industria edilizia verso il recupero e la riqualificazione urbana e diminuzione della concorrenza tra imprese, in un mercato
delle aree e della casa che si restringe al riuso.
Le profonde differenze che si riscontrano nei risultati dell’applicazione delle due metodologie
evidenziano come la definizione del problema valutativo dell’AMC non sia efficace per descrivere le preferenze della popolazione di Sinnai. La sostanziale bassa attitudine nei confronti dei Piano B1 e B2, infatti, indica la necessità di integrare i criteri della Tabella 1 con altri,
che tengano conto, ad esempio, dei fenomeni economico-sociali negativi che deriverebbero
dall’adeguamento del PUC al PPR: diminuzione del valore fondiario delle aree la cui destinazione d’uso, originariamente per l’espansione residenziale o turistica, viene ridefinita per
attività ricreative all’aperto; diminuzione delle entrate dall’imposta comunale sugli immobili;
diminuzione delle infrastrutture e dei servizi pubblici realizzati a seguito della corresponsione
degli oneri di urbanizzazione; riconversione problematica dell’industria edilizia verso il recupero e la riqualificazione urbana e diminuzione della concorrenza tra imprese, in un mercato
delle aree e della casa che si restringe al riuso.
Una larga disponibilità di informazioni e la trasparenza del processo decisionale, che dovrebbero essere garantite da una matura consapevolezza e partecipazione di un sempre maggiore
numero di cittadini alla definizione ed all’attuazione delle politiche pubbliche, sono certamente fondamentali per l’efficacia di queste politiche. Il ruolo della pubblica amministrazione,
segnatamente, in questo caso, del Comune di Sinnai, ma, anche, della Regione Sardegna, dovrebbe essere votato a favorire lo sviluppo di un processo di piano, per quanto riguarda le zone costiere e le zone residenziali urbane, che punti a mettere in atto, quanto più possibile, questo incontro e questa dialettica. La classificazione delle alternative di piano dovrà essere, una
15
Un valore negativo della stima della disponibilità a pagare per la fruizione di uno scenario futuro basato
sull’attuazione di un piano indica che la comunità locale non valuta, in media, che un miglioramento della qualità
della vita si possa legare all’attuazione del piano stesso.
volta definita, discussa dai cittadini di Sinnai e dalla pubblica amministrazione. Dovranno essere focalizzati i punti nodali che influenzano questa classificazione, e sarà necessario studiare
come questi punti giocano nel definirla. Va, infatti, tenuto ben presente che le classificazioni,
sia quelle prodotte dalla CV che quelle generate dall’AMC, sono rappresentazioni di preferenze medie. Quali siano i criteri che più hanno influenza sulla tassonomia dei piani deve essere
manifestato, in maniera trasparente, e ulteriori discussioni pubbliche ed approfondimenti devono essere incoraggiati, ancorché questi passaggi potrebbero rallentare il processo di definizione ed attuazione delle politiche di piano.
I risultati dei casi di studio basati sull’integrazione di CV ed AMC non devono essere considerato, tanto, come orientati allo sviluppo di uno strumento di aiuto alla decisione, quanto,
piuttosto, come procedure per aumentare e migliorare informazione, consapevolezza e partecipazione. L’integrazione di CV e AMC può, dunque, fungere da catalizzatore dei processi
territoriali. In questo quadro, i partecipanti (funzionari e tecnici della pubblica amministrazione, politici, professionisti, studiosi, imprenditori, comitati ed organizzazioni del non profit
e delle comunità locali, semplici cittadini, ecc.) dovrebbero cooperare per realizzare il proprio
futuro urbano, in maniera ricorsiva ed incrementale.
Nel prossimo paragrafo si tenta di individuare le ragioni del conflitto tra la Regione e le comunità locali nell’attuazione del PPR attraverso l’analisi di parti di conversazioni tra memebri
dell’amministrazione regionale e rappresentanti dei Comuni costieri. Queste conversazioni
ebbero luogo durante le conferenze di copianificazione promosse dalla Regione nel 2006,
prima delle delibere di adozione ed approvazione del PPR.
L’esame di queste conversazioni rivela come le radici del conflitto possano essere indagate
con strumenti diversi da quelli utilizzati nelle applicazioni di AMC e CV cui si è fatto riferimento sopra. Queste narrative alternative mettono in relazione il conflitto con i ruoli che la
Regione ed i Comuni ritengono di dover giocare ed in quelli che essi ritengono debbano giocare i loro antagonisti.
2.3.
Il conflitto rivisitato (Il PPR come goffo tentativo di sviluppare un processo di
pianificazione partecipata)
L’analisi si sviluppa con riferimento a quanto discusso da Forester (cit.) nella sua opera The
Deliberative Practitioner. Uno dei punti nodali di questa trattazione è che il professionista (il
pianificatore nel caso specifico, in generale il practitioner) dovrebbe cercare di capire ed aiutare a risolvere i conflitti che si sviluppano nel processo decisionale del dominio pubblico, favorendo un dialogo empatico tra le parti in disaccordo. La narrativa di Forester si fonda sul
riconoscimento che processi conflittuali possono avere esiti positivi (cioè finire per essere deliberative) se le parti arrivano a stimarsi reciprocamente, a cercare di comprendere e, finanche,
apprezzare il punto di vista dell’avversario.
Un’analisi Foresteriana di alcune conversazioni che si sono tenute durante le conferenze di
copianificazione cui più sopra si è fatto cenno, tra membri della Regione e rappresentanti dei
Comuni, mette in evidenza che un contenzioso infinito potrebbe facilmente svilupparsi tra
Regione e Comuni non solo poiché questi non sarebbero interessati a capire le ragioni altrui,
ma, anche, in quanto sarebbero convinti di dovere giocare un ruolo intrinsecamente conflittuale rispetto all’altra parte, all’altro o agli altri attori del conflitto.
In questo dramma, la Regione vede se stessa come difensore, baluardo del Paesaggio, con un
compito di natura morale che consiste nel salvare le risorse naturali ed i beni culturali dai pericoli degli attacchi speculativi dei Comuni, generalmente proni alle pressioni degli imprenditori locali dell’edilizia. Dal canto loro, i Comuni vedono la Regione come un potere esogeno
oppressivo, che può rendere vana qualunque politica del territorio che si genera dalle comunità e dalle autorità locali. I Comuni, quindi, cercano di salvare, per esercitare correttamente il
proprio ruolo, almeno una piccola parte dell’autonomia che la Regione vuole sottrargli. Le
conversazioni sono, quindi, su affermazioni apodittiche dei membri dell’amministrazione regionale, e su domande da parte degli amministratori dei Comuni della costa che cercano di
capire cosa resta dei bei tempi andati in cui ogni Comune poteva pianificare quasi autonomamente il proprio territorio e decidere sugli usi del suolo, cioè su quali aree classificare come
zone per la riqualificazione ed il recupero, zone per l’espansione residenziale, per i servizi, per
il verde pubblico attrezzato, per l’agricoltura, per il turismo, ecc..
I dialoghi evidenziano come questo tentativo di costruzione di un processo di copianificazione
dia luogo a questi risultati estremamente deludenti. Ciò che si verifica non è un reale processo
pianificatorio cooperativo, né una vera partecipazione. Un’analisi Foresteriana di questa
pseudo-copianificazione indica che tutto avrebbe potuto cambiare, e può ancora cambiare, in
quanto le comunità locali della Sardegna sono generalmente molto ben disposte nei confronti
della salvaguardia ambientale e della protezione della natura, come mostrano, inequivocabilmente, i risultati dei casi di studio, relativi al comune di Sinnai, basati sull’integrazione delle
metodologie di CV ed AMC.
La parte rimanente di questo paragrafo sviluppa un’analisi Foresteriana di alcuni passi tratti
dalle conversazioni delle conferenze di copianificazione allo scopo di mettere in evidenza e
commentare: 1) come la Regione interpreta il suo ruolo in relazione all’attuazione del PPR; 2)
come la Regione vede il ruolo giocato dai rappresentanti dei Comuni costieri; c) e d) come
questi ultimi considerano il proprio ruolo e quello della Regione.
I quattro sottoparagrafi che seguono riguardano, ciascuno, uno dei quattro punti elencati. Le
citazioni dei brani delle conversazioni sono seguiti da alcune considerazioni critiche.
2.3.1. Come la Regione interpreta il suo ruolo
La prima cosa che vorrei sottolineare è che la tutela paesaggistica è un principio costituzionale, discende dalla Costituzione e rappresenta un obiettivo sovraordinato ai nostri comportamenti legislativi
e regolamentari.
Vorrei che questo venisse acquisito come un elemento non discutibile
dell’approccio che il Governo regionale ha dato a questo lavoro.
Dobbiamo dirlo francamente, è accaduto [si riferisce agli errori della pianificazione territoriale sarda
del passato, più o meno recente] perché non è stata fatta propria la considerazione che il valore paesaggistico predomina rispetto ad ogni altro valore o assegnazione che la pianificazione può dare a
quel territorio.16
Il primo passo mette in evidenza che la Regione ritiene importante legittimare il proprio ruolo
nella definizione delle regole del gioco. Quale migliore riferimento della Costituzione? Attraverso il PPR, l’amministrazione regionale difende un principio costituzionale, quindi,
chiunque critica il PPR, pone in discussione un principio della Costituzione. Chiunque fa
questo, è intrinsecamente sovversivo, quindi, cari rappresentanti dei Comuni costieri, se non
volete essere tacciati di sovversione dell’ordinamento costituzionale, sarà necessario che accettiate che la Regione difenda il paesaggio, e, pertanto, detti le regole dei processi regionali e
locali della pianificazione del territorio.
Il secondo passo mostra come la Regione ritenga che l’entrata in vigore del PPR segni un confine importante tra un luttuoso passato in cui tanti danni furono generati da cattive pratiche di
pianificazione, ed un futuro promettente, in cui decisivo risulterà il benefico ruolo
dell’amministrazione regionale come riferimento regolativo per le buone pratiche
dell’urbanistica.
16
Questi due passi sono tratti dal discorso introduttivo della prima conferenza di copianificazione, pronunciato
da un membro della Giunta Regionale (pp. 3-4 del resoconto della prima conferenza di copianificazione, disponibile su Internet all’indirizzo citato nella nota 10).
2.3.2. Come la Regione vede il ruolo dei rappresentanti dei Comuni costieri
[C]osa faceva il piano urbanistico comunale prima della pianificazione paesaggistica? Pianificava
tutto il territorio! Essendo l’unico elemento attraverso il quale si interveniva nella programmazione
del territorio l’urbanistica disciplinava tutto [cioè il territorio urbano ed extraurbano]. Oggi non è più
così perché la pianificazione paesaggistica è la pianificazione del territorio regionale e come tale è di
per sé già un pezzo del vecchio piano urbanistico comunale, certamente per la parte extraurbana.
[I]l piano urbanistico comunale riprende il suo significato originale, cioè deve essere un piano che riguarda l’ambio urbano comunale e non l’ambito territoriale comunale, sennò si sarebbe dovuto chiamare piano territoriale comunale. Non a caso si chiama piano urbanistico comunale, quindi deve interessare l’ambito urbano.
[Nel PPR] Noi proponiamo delle direttrici, le scelte le fanno i Comuni, purché le scelte siano dentro
le direttrici.17
I primi due passi delineano il ruolo che la Regione desidererebbe giocassero i Comuni nel processo attuativo del PPR. Secondo l’amministrazione regionale, questi dovrebbero essere una
sorta di esecutori di quanto l’amministrazione regionale ha già deciso per quanto riguarda i loro territori extraurbani.
Questo punto di vista, inoltre, implica che la Regione non ha alcuna fiducia nella capacità dei
Comuni di pianificare in maniera efficace il proprio territorio extraurbano, alla luce del riconoscimento degli errori compiuti nel passato più o meno recente. Se si richiama quanto già
posto in evidenza a questo proposito, nel precedente sottoparagrafo, con riferimento alle cattive pratiche di pianificazione regionale e locale, riconoscibili nella non adeguata valorizzazione del paesaggio, è facile rendersi conto che l’amministrazione regionale ritiene i Comuni responsabili di questi errori, in quanto, nella loro attività pianificatoria, non avrebbero avuto la
dovuta attenzione nei confronti del territorio extraurbano e dei suoi valori paesaggistici. Di
qui, la necessità che la Regione detti le regole e che i Comuni si adeguino.
Il terzo passaggio indica che l’amministrazione regionale ritiene che l’autonomia dei Comuni
debba essere limitata anche per quanto riguarda la pianificazione urbana, che, se fosse autonoma, potrebbe mettere a rischio l’efficacia del PPR e, in ultima analisi, i potenziali di crescita qualitativa per le comunità locali.
Quindi, il PPR evidenzia come la Regione consideri l’autonomia nella definizione delle scelte
della pianificazione del territorio come un pericolo reale per il futuro dei Comuni.
2.3.3. Come i rappresentanti dei Comuni costieri leggono il proprio ruolo
Noi [Il Comune di Golfo Aranci, piccolo comune costiero localizzato nel nord-est della Sardegna]
abbiamo un carico di richieste di concessioni edilizie, di cose che lei neanche si immagina, perché
siamo un paese che in questo momento può rilasciare concessioni edilizie [prima che il PPR sia approvato; il PPR sarà approvato circa sette mesi dopo]. Allora, per quale motivo concessioni edilizie
che si davano magari in dieci anni noi le dobbiamo dare in un anno, perché tutti hanno paura che arrivando la legge salva coste [la legge “salva coste” è la Legge Regionale n. 8 del 25 Novembre 2004]
all’adozione dei piani paesaggistici regionali si blocca tutto[?] 18
Il concetto espresso in questo passo è molto presente nei resoconti delle conferenze di copianificazione. I rappresentanti dei Comuni ritengono di dovere essere i depositari ed i custodi
del buon diritto delle comunità locali di decidere come organizzare, ed eventualmente tra17
Il primo passo è tratto dal discorso introduttivo della prima conferenza di copianificazione, pronunciato da un
membro della Giunta Regionale; il secondo dal discorso introduttivo della sedicesima conferenza, pronunciato da
un membro della Giunta Regionale; il terzo da una riflessione proposta da un membro della Giunta Regionale
durante la seconda conferenza (p. 5 del resoconto della prima conferenza; p. 9 del resoconto della sedicesima
conferenza; p. 23 del resoconto della seconda conferenza; resoconti disponibili su Internet all’indirizzo citato
nella nota 10).
18
Questo passo è tratto da una riflessione proposta da un rappresentante del Comune di Golfo Aranci durante la
sedicesima conferenza di copianificazione (p. 32 del resoconto della sedicesima conferenza, disponibile su Internet all’indirizzo citato nella nota 10).
sformare il territorio posto sotto la loro giurisdizione. Inoltre, è molto importante tenere presente che queste persone vedono bene il rischio di una caduta del consenso da parte dei loro
elettori, quando questi percepiscano di non essere adeguatamente tutelati nella propria libertà
ed autonomia di cittadini del loro comune.
I rappresentanti dei Comuni vedono
quest’autonomia minacciata e sentono fortemente la propria responsabilità quale unico potenziale baluardo. Quindi, nel breve periodo, i Comuni tendono a rilasciare concessioni ed autorizzazioni edilizie nel numero maggiore possibile, così da dimostrare di sostenere i propri cittadini di fronte ad un potere esterno eccessivo.
Dopo l’approvazione del PPR,
quest’atteggiamento, questo habitus mentale, si è tradotto nello sviluppo di aspri conflitti con
la Regione, che danno e daranno luogo a contenziosi infiniti.
2.3.4. Come i Comuni costieri interpretano il ruolo della Regione
[Un rappresentante di un Comune costiero pone una domanda ad un membro della Giunta Regionale]
[Q]ual è il limite, lo spartiacque tra quelle [le lottizzazioni] che potrebbero essere fatte salve anche in
relazione al fatto che abbiamo avuto una verifica di coerenza da parte della Regione? Questa è la
domanda specifica, perché su questo non si capisce bene qual è il limite, lo spartiacque che divide le
due cose.
[Un rappresentante di un Comune costiero critica la Regione] [L]e ho fatto due domande e lei ha dato
tutt’un altro tipo di risposta. Sto dicendo solo una cosa che, probabilmente, non vuole essere una polemica ma è un dato di fatto, se nella programmazione di Golfo Aranci in particolare invece di considerare noi amministratori come degli sprovveduti che non sanno cosa stanno facendo, fosse venuto, o
si degnasse qualcuno di venire, a Golfo Aranci, oppure veniamo noi a Cagliari e le spieghiamo i motivi per cui sono state prese certe decisioni [concernenti trasformazioni del territorio non ancora urbanizzato per residenze e servizi urbani].19
I rappresentanti dei Comuni costieri si sentono fortemente condizionati dal potere degli amministratori regionali. Poiché l’impianto normativo del PPR si configurava come poco chiaro
e fortemente condizionato dalla discrezionalità della Regione, questi cercano di capire se
qualcosa, in termini di autonomia decisionale dei Comuni, ancora poteva essere salvato.
Sembra chiaro, tuttavia, che si rendano bene conto che l’ultima parola è, in ogni caso, secondo
quanto stabilito dal PPR, dell’amministrazione regionale. Sentono di avere perso la propria
autonomia come amministratori locali.
Inoltre, ritengono che il futuro della pianificazione urbana sarà molto difficile, in quanto le
norme generiche ed esogene del PPR si sarebbero certamente rivelate inefficaci ad affrontare i
problemi reali delle loro comunità. Vedono, quindi, la Regione come un malefico ed insensibile dittatore, che non tiene conto dei bisogni e delle aspettative dei loro cittadini, dal momento che si sente insignita del compito di attuare un progetto astratto e irrazionale: il PPR.
3. CONCLUSIONI
Questo saggio discute due questioni concernenti la definizione e l’attuazione di processi di
pianificazione partecipata.
La prima questione qui esaminata è quella della sostenibilità del PPR, come valutata da alcuni
testimoni privilegiati. Il PPR è per certi versi innovativo e sperimentale, essendo il primo
piano elaborato in risposta alla nuova normativa nazionale. La sua attuazione è appena agli
inizi, e di conseguenza gli intervistati hanno fatto riferimento al processo di preparazione del
piano stesso, ai suoi contenuti ed ai suoi effetti potenziali. Questo, unito al fatto che gli argo19
Entrambi i passi sono tratti dal resoconto della sedicesima conferenza di copianificazione (p. 38 e p. 26 del resoconto della conferenza, disponibile su Internet all’indirizzo citato nella nota 10). Con riferimento al primo
passo, va messo in evidenza che, quando la conferenza ebbe luogo, non era ancora chiaro cosa le NTA avrebbero
prescritto in relazione ai piani attuativi in vigore per le zone di espansione residenziale. Sarebbero rimasti in vigore o sarebbero, invece, decaduti? Con riferimento al secondo passo, va rilevato che il resoconto, pubblicato
con il testo qui riportato, evidentemente non è stato rivisto per quanto riguarda la sintassi.
menti affrontati sono affetti da un elevato grado di soggettività, rende i risultati dell’analisi
non generalizzabili. Tuttavia, poiché lo studio è basato su interpretazioni e riflessioni di professionisti e accademici che hanno partecipato all’elaborazione del piano, i punti deboli da essi individuati possono fornire suggerimenti utili sia per una eventuale modifica del primo
stralcio del PPR (relativo agli ambiti di paesaggio costieri), sia per la redazione del secondo
stralcio (relativo agli ambiti interni).
Nonostante il disaccordo emerso sul fatto che un piano paesaggistico debba (e possa) o meno
porsi obiettivi di sostenibilità ambientale, economica, e sociale, i cinque intervistati hanno espresso un giudizio abbastanza concorde, seppure con diverse interpretazioni e giustificazioni,
sul fatto che il PPR sia sbilanciato verso obiettivi di carattere ambientale ed estetico.
Da quanto emerso, si può concludere che la sostenibilità ambientale è stata intesa nel piano
principalmente come efficacia (per ora potenziale) nella protezione delle risorse non rinnovabili e degli habitat, particolarmente grazie alle regole che limitano o prevengono il consumo di
suolo. Tuttavia, queste regole, basate su un approccio conservativo, quale quello orientato alla protezione del paesaggio più che alla guida della sua trasformazione, sono state ritenute inadeguate e potenzialmente dannose in altri contesti italiani, in cui è necessario gestire problemi e rischi ambientali. Un altro aspetto significativo, relativamente alla sostenibilità ambientale del piano, è quello della mancanza di una VAS del piano; la VAS, infatti, non è semplicemente una procedura formale che la normativa ha reso obbligatoria, ma è piuttosto, uno
strumento che può migliorare anche la fase attuativa del piano, introducendo l’analisi ex ante
degli effetti potenziali dell’attuazione del piano ed incorporando la partecipazione del pubblico.
Le questioni economiche, seppure tenute in considerazione nei momenti decisionali che hanno
preceduto la preparazione del piano, sono state trascurate; nell’opinione degli intervistati, due
sono i punti fondamentali che evidenziano la totale separazione tra il piano paesaggistico e
l’attenzione ai problemi di ordine economico: la scelta del tipo di piano e la mancanza di coordinamento tra il PPR e il PRSTS.
Infine, per quanto riguarda la sostenibilità sociale, qui esaminata con riferimento alle questioni di partecipazione, integrazione e coordinamento istituzionale, le interviste svolte suggeriscono che la partecipazione durante la preparazione del piano è stata (i) limitata alle sole istituzioni ed organizzazioni alle quali è poi, per legge, affidata la traduzione delle previsioni di
piano, e (ii) interpretata in maniera restrittiva, come informazione a valle di scelte già prese,
più che di reale consultazione e copianificazione. Di conseguenza, le amministrazioni comunali e gli altri attori, istituzionali e non, hanno avuto limitata influenza sul piano. Un ruolo
così dominante dell’amministrazione regionale è stato solo in parte ritenuto giustificabile sulla
base delle competenze derivanti dal quadro normativo, mentre sono stati enfatizzati il rischio
di interferenza sull’autonomia dei livelli più bassi di governo, ed il rischio di personalizzazione e di adattamento delle regole a esigenze specifiche.
Il coordinamento e la cooperazione istituzionale appaiono essere stati rinviati dalla fase di elaborazione del piano a quella della sua attuazione, ed assumono due possibili forme: quella
dell’adeguamento dei piani urbanistici comunali e quella delle intese, un meccanismo tecnico
e politico che permette di valutare caso per caso specifici progetti e piani attuativi.
L’adeguamento dei piani comunali è ritenuto essere l’occasione più importante per il coinvolgimento del pubblico nella applicazione delle previsioni del piano paesaggistico, e dovrebbe
tradursi non nella procedura formale e ristretta delle osservazioni scritte al piano urbanistico,
ma in quella più ampia della consultazione prevista all’interno della procedura di VAS. Le
intese, permettendo di approvare singoli piani e progetti prima dell’adeguamento dei piani
urbanistici al PPR sulla base di accordi tra i diversi livelli istituzionali (regionale, provinciale
e comunale) e i proponenti dei piani e progetti, forniscono la possibilità di derogare alle regole
del piano, e possono, perciò, indebolirne l’applicazione. Il giudizio sulle intese si è rivelato
controverso: da un lato, sono considerate negativamente come meccanismi per scavalcare il
sistema di regole del piano, dall’altro, sono valutate positivamente come momenti di cooperazione tra le istituzioni nell’attuazione del piano.
Il secondo ordine di problemi propone una narrativa Foresteriana per spiegare le disparità tra i
risultati delle applicazioni di CV e AMC.
I risultati dell’applicazione di contingent valuation indicano che i cittadini di Sinnai sarebbero
contrari ad un adeguamento del PUC al PPR. Tuttavia, questi stessi cittadini rivelano inequivocabilmente una maggiore propensione verso la tutela dell’ambiente, e la conseguente attuazione di trasformazioni territoriali orientate a non aumentare la volumetria rispetto alla situazione attuale, rispetto a politiche orientate alla realizzazione di nuovi insediamenti, adiacenti
al tessuto urbano consolidato o costieri, quando vengano richiesti di classificare gli otto criteri
per la valutazione, basato su un’AMC, degli scenari urbani e costieri futuri
La Regione ritiene opportuno mantenere, in tema di definizione, adozione ed approvazione,
delle politiche del territorio, una prassi esclusivamente fondata sulla gerarchia delle competenze, con l’amministrazione regionale al vertice della gerarchia. A questo proposito è estremamente significativo l’enunciato della lettera a del comma 3 dell’art. 1 del Disegno di Legge
(n. 204 del 3 Gennaio 2006) recante “Nuove norme per l’uso del territorio regionale” (ancora,
tuttavia, non sottoposto all’attenzione dell’Aula): “Le finalità di cui al comma precedente sono perseguite, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza ed efficienza, mediante: a)
l’attribuzione ai Comuni di tutte le funzioni relative al governo del territorio non
espressamente conferite dall’ordinamento e dalla presente legge alla regione ed alle province;
Si tratta, evidentemente, di una curiosa idea di sussidiarietà, che ne dà un’interpretazione ro[…].”
vesciata rispetto a quanto stabilito nella Legge 59/97 (“Delega al Governo per il conferimento
di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione
e per la semplificazione amministrativa,” art. 4, comma 3, lettera a): “[I conferimenti di funzioni avvengono nell’osservanza del] principio di sussidiarietà, con l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità
montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con
l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e
funzionalmente più vicina ai cittadini interessati; […].”
L’idea della sussidiarietà rovesciata, che evidenzia quanto poco i Comuni siano coinvolti nella
fase decisionale circa l’approvazione dei PUC, si legge molto bene nei contributi che i Comuni sono chiamati ad offrire per il completamento del processo di definizione della normativa
del PPR, cui i PUC devono adeguarsi. Tali contributi sono riconducibili a:
1. la collaborazione alla progettazione, realizzazione ed aggiornamento del Sistema informativo territoriale regionale, strumento fondamentale “nella definizione e nel coordinamento
delle politiche di tutela e valorizzazione paesaggistica;” (art. 2, comma 2, lettera d, delle
NTA)
2. la più precisa individuazione dei beni paesaggistici (immobili ed aree) ai sensi degli artt.
136, 142 e 143 del CBCP, per altro già in larga parte individuati nella cartografia del PPR,
presenti nel territorio comunale, per quanto riguarda gli assetti territoriali ambientale, storico-culturale ed insediativo;
3. il recepimento puntuale di prescrizioni ed indirizzi relativi a tutti gli assetti territoriali,
prescrizioni ed indirizzi che, per quanto non direttamente traducibili in norme tecniche di
PUC, tuttavia sono estremamente dettagliati, e, nello stesso tempo, di interpretazione opinabile, il che apre la strada ad un forte potere discrezionale da parte della Regione
nell’approvazione dei PUC adottati dai Comuni, cosa che si configura come un rischio notevole di conflittualità continua tra Regione e Comuni, ma, anche, come una fonte potenziale di mancanza di trasparenza nei rapporti tra Regione e Comuni nella definizione, attuazione e gestione delle politiche del territorio.
Si tratta di un ruolo fortemente ancillare rispetto a quello della Regione, che si configura come
un completamento ed un aiuto alla Regione perché possa esercitare il proprio ruolo di più o
meno assoluto controllo dell’attività urbanistica. Il Comune entra in gioco solo quando, gioco
forza, la Regione ha bisogno di un sostegno.
La narrativa Foresteriana mostra come tutto potrebbe cambiare, se ciascuno dei partecipanti
alla dramma territoriale che il PPR genera cambiasse la propria idea circa il ruolo che il proprio antagonista dovrebbe svolgere nel processo.
In particolare, la Regione dovrebbe mutare radicalmente il proprio concetto di sussidiarietà,
della quale è opportuno richiamare la definizione data dal Glossario dell’Unione Europea:
Il principio di sussidiarietà è definito dall’articolo 5 del trattato che istituisce la Comunità europea.
Esso mira a garantire che le decisioni siano adottate il più vicino possibile al cittadino, verificando
che l’azione da intraprendere a livello comunitario sia giustificata rispetto alle possibilità offerte dall’azione a livello nazionale, regionale o locale.[…]
Il Consiglio europeo di Edimburgo, del dicembre 1992, ha successivamente approvato una dichiarazione riguardante il principio di sussidiarietà che ne stabilisce le regole di applicazione. Con il trattato di Amsterdam l’impostazione che scaturisce dalla dichiarazione anzidetta è stata accolta in un protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al trattato che istituisce la Comunità europea. Questo protocollo introduce, tra l’altro, l’analisi sistematica dell’impatto
delle proposte legislative sul principio di sussidiarietà, e il ricorso, ove possibile, alle misure comunitarie meno vincolanti..20
In altre parole, il principio di sussidiarietà sancisce che le autorità regionali, nazionali (e
dell’Unione Europea) non dovrebbero interferire con l’autonomia amministrativa delle comunità locali fintanto che queste siano in grado di affrontare efficacemente determinate questioni
concernenti il governo economico, sociale e territoriale dei contesti locali. Certamente la pianificazione urbana e locale sono tra queste.
Il contributo di questo saggio alla definizione di una valutazione strategica in itinere del PPR
identifica due punti principali. In primo luogo, va posto in evidenza che le NTA dovrebbero
essere cambiate in maniera tale da far propria una modalità corretta del principio di sussidiarietà. In secondo luogo, è necessario puntare ad un approccio di copianificazione efficace, in
cui i rapporti tra la Regione ed i Comuni perdano i connotati di inefficienza che gli derivano,
attualmente, da uno stato di conflittualità continua.
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[ultimo accesso: 11 Giugno 2008].
PARTICIPATORY ISSUES AND CONFLICTS IN THE DEFINITION
IMPLEMENTATION OF THE REGIONAL LANDSCAPE PLAN OF SARDINIA
AND
Sabrina LAI and Corrado ZOPPI
Dipartimento di Ingegneria del Territorio, Sezione di Urbanistica, University of Cagliari, Via
Marengo 3, 09123 Cagliari, Italy; tel.: 070 6755200 – 070 6755216, telefax: 070 6755215; email: [email protected] - [email protected]
ABSTRACT
A fundamental issue concerning strategic planning processes is represented by the recognition
and integration of the local communities’ expectations into regional planning policies, since
their early stages of development. Information and participation are necessary conditions for
the sustainability of the planning processes, as it is stated by the Directive no. 42/2001/EC of
the European Union, on the assessment of the effects of certain plans and programmes on the
environment (the Strategic Environmental Assessment (SEA) Directive). The Directive was
incorporated in the Italian legislation by the first and second titles of the second part of the
Legislative Decree no. 152/2006.
The Local Agenda 21 programmes of the United Nations – which directly derive from the
Habitat II Conference and the Habitat Agenda – the European Union regulations on the Eco
Management and Audit Scheme (EMAS) certificates, and the strategic environmental assessment procedures for the European Union structural funds plans and programmes also consider
public participation fundamental for the effectiveness of plans, programmes and policies.
The recognition and integration of the local communities’ expectations into regional planning
policies imply connecting planning choices to preferences, shared needs of the members of
these communities. These people should be identified not only with the set of stakeholders
who define the system of strong interests tied to land use and transformation – and who design
and implement regional planning policies, in cooperation with the public administration – but
also with formal and informal organizations through which citizens may eventually focus and
express their requirements, aspirations, needs and expectations, concerning the present and future organization of the urban space.
Regional and local planning processes are important and significant grounds to analyze public
policies from the participatory point of view, in a SEA-based framework.
The planning activity of the regional administration of Sardinia (Italy) is characterized by a
deep change that followed the approval of the Regional Landscape Plan (RLP) (Resolution of
the Regional Council of Sardinia no. 36/7 of September 5, 2006 entitled “L.R. no. 8 del
25.11.2004, articolo 1, comma 1. Approvazione del Piano Paesaggistico – Primo ambito omogeneo” [“Regional Law no. 8 of November 25, 2004, article 1, paragraph 1. Approval of
the Landscape Plan – First homogeneous piece of territory”]). The RLP, which is ruled by the
National Code of Cultural Heritage and Landscape (National Law Enacted by Decree no.
42/2004, the “Urbani Code,” from the last name of the Minister who proposed the law), establishes the directions for future Sardinian regional planning. The actual sectoral, province and
city plans, and plans for protected areas, have to be changed in order to follow these directions. The adjustment process could be conflictual, since cities, provinces, and the
administrative offices of protected areas may possibly disagree with the regional
administration about the rules established by the RLP.
This paper is divided into three sections. The first and second sections develop a discussion
around two issues concerning public participation in the implementation process of the Sardinian RLP. The first issue, is about how privileged stakeholders see the RLP and assess its
possible success or failure, by focussing primarily on the extent to which integration of different stakeholders was looked for in the making of the plan and what the likely consequences of
this degree of participation are. Some professionals who had participated in the preparation of
the plan were asked to provide an informed insight on how the issues of horizontal cooperation, vertical integration, and inclusiveness had been addressed and whether the level of participation achieved was satisfactory, having regard at the type of plan and at its aims. All the
interviews were carried out in Italian, and took the form of one-to-one semi-structured interviews. This method was regarded as appropriate because it allows researchers to conduct the
interviews in a flexible way and to tailor their questions to the interviewees and to their responses to previous questions, provided that the aim of the research is always taken into consideration and a general and robust plan of enquiry has previously been set out. Some general
warm-up questions about the kind of development pursued by the plan, which advocates “a
balance between social needs, economic activities and environment” (article 3 of the planning
implementation code), were followed by more specific questions about the role played by municipalities, provinces, and private sector during the preparation of the plan. It emerged that
the regional administration was the only responsible for the definition of aims and objectives
of the plan, while lower tiers of government and other stakeholders were only involved in informative meetings shortly before the approval of the plan. This choice was explained, and
sometimes justified, on different grounds, some of which are particularly challenging. Is a regional government the only institution responsible for the definition of regional policies and
rules? Does a plan have to look for public participation only when it directly affects land use
and transformation? As for the implementation, the interviewees were stimulated to talk
about possible consequences of inconsistencies between the RLP and local master plans; in
doing so, possible future conflicts between the regional and the municipal administrations
were also explored. It appeared that institutional coordination has been moved from the plan
preparation to its implementation, in the form of adjustment of the master plans, and of a
technical and political mechanism aimed at approving specific projects and development plans
by means of an assessment carried out on a case-by-case basis.
Secondly, we consider the local communities, and discuss how these may eventually participate in the implementation process of the RLP, that is, will they cooperate or fight? This assessment starts from the analysis of the results of empirical studies on conflictual issues concerning the Sardinian RLP analyzed through Multicriteria analysis (MCA) and Contingent
valuation (CV) presented at the 21st AESOP Conference and 47th ERSA Congress (Zoppi,
2007a; 2007b).
The disparities brought out by the application of these two methods clearly points to the need
to have experts for defining the criteria to be used. The criteria for the MCA and CV applications need to be identified by experts on urban, regional and environmental planning, economists, geologists and others. This is a precondition for the evaluation process to begin. It is
evident that the choice of the criteria is decisive for the ranking of the scenarios, since the inclusion/exclusion of a criterion can potentially reverse the results of the classification procedures. Of course, if the choice of the criteria were open to public discussion and participation,
it would be possible to implement decision processes on public policies where experts and the
local community would share and possibly build common expectations on the future of their
city environment, as the experience of Sustainable Seattle (1998) has shown.
Finally, in the third section, we compare the results concerning the privileged stakeholders
and the local communities, and identify some lessons that can be learned from the intermix of
the two approaches.
Moreover, the reasons of the conflict between the regional administration and the local communities concerning the implementation of the RLP are analyzed by means of a Foresterian
approach.