seminario paesaggio - intervento_carcassi

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Le leggi del 1939, 1497 e la 1089, quella cioè sulla protezione delle bellezze naturali e
quella di tutela dei beni paesaggistici e dei beni storici, entrambe emanate in epoca di
regime dal ministero per l’educazione nazionale, risentono del carattere retorico dei
tempi e la concezione era essenzialmente estetica, eppure costituiscono il primo
approccio, la prima sensibilità nei confronti del paesaggio.
La retorica risiede anche nella dicitura, leggo testuale i primi commi della L. 1497:
Sono soggette alla presente legge a causa del loro notevole interesse pubblico:
1) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità
geologica;
2) le ville, i giardini e i parchi che, non contemplati dalle leggi per la tutela delle cose
d'interesse artistico o storico, si distinguono per la loro non comune bellezza;
3) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore
estetico e tradizionale;
4) le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista
o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
Invece la legge 1089 recitava:
Sono soggette alla presente legge le cose, immobili e mobili, che presentano interesse
artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi: a) le cose che interessano la
paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà… (omissis).
Vi sono pure compresi le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico.
Non si trattava di progettualità, semplicemente di estetica, il paesaggio come paradigma
progettuale deve aspettare ancora.
Di tali cose si compilavano due elenchi distinti in ogni Provincia, uno per ogni categoria, a
cura di una apposita commissione ministeriale.
Da quel momento ad oggi sono cambiate tante cose e il progresso, che ha fatto grandi
passi ci ha dato tanto ma contestualmente ci ha sottratto altrettanto, per cui a un miglior
benessere insediativo è corrisposto un sacrificio imposto all’ambiente e al paesaggio.
Rispetto al passato le scelte attuali siamo in grado di valutarle nei termini di causa e di
effetto.
Faccio un esempio: il carcere di Nuoro, quello che stava dove oggi sorge il centro
polivalente di via Roma, la Rotonda si chiamava per via della pianta impostata secondo
una soluzione circolare, era un manufatto realizzato in blocchi di granito nella prima
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metà del 1800, progettato probabilmente dallo stesso architetto che progettò la rotonda di
Tempio, ebbene nei primi anni ‘70 fu demolito per lasciare posto al manufatto attuale. La
demolizione di quel fabbricato è stato un atto di vandalismo, probabilmente
inconsapevole per via della scarsa cultura e sensibilità nei confronti del valore identitario di
molte espressioni della storia collettiva, ma comunque rozzo , oggi si configurerebbe come
un crimine coscientemente perpetrato..
Erano tempi diversi e l’anelito di modernità ancora legato al dopoguerra e forse anche
nella volontà di eliminare alcuni simboli del malessere, ha spazzato via tanti segni della
storia collettiva e individuale di Nuoro.
Insomma tutto questo per dire che dal momento di un atto di tutela concreta, posto in
essere in termini legislativi 80 fa e sino a pochi anni or sono, la Sardegna, così come il
resto dell’Italia, ha galleggiato in una deriva di norme poco incisive e particolarmente
permissive. Almeno sino al Piano Paesaggistico Regionale, quello varato dalla giunta
Soru nel 2006. Il piano di Soru, comunque, non è stato il primo tentativo di disciplina
paesaggistica del territorio regionale, ma è stato quello portato a termine in modo più
strutturale ed efficace.
Il piano del 2006 tende a superare i limiti della pianificazione tradizionale in cui le
componenti del paesaggio sono state considerate marginali, mentre invece il paesaggio
nel progetto del territorio, cioè nella pianificazione, va considerato come componente
essenziale dell’ambiente che lo esprime. L’idea del PPR è quella di concepire la
pianificazione come una interazione tra componenti in cui il paesaggio non sia un
modello statico ed estetico da tutelare con norme vincolistiche, ma elemento
fondamentale e costante nelle scelte territoriali, perché il paesaggio è il risultato
dinamico di un processo di lunga durata che plasma un territorio come spazio della
vita di una comunità.
Il piano paesaggistico è uno strumento introdotto dalla legge del 1939 che con lo stesso
intendeva tutelare le bellezze panoramiche, poi ripreso dalla Galasso, la legge n. 431 del
1985, che imponeva alle regioni la predisposizione di uno strumento organico di
pianificazione paesaggistica esteso a tutto il territorio.
La Galasso rispetto al passato ha introdotto un concetto di paesaggio moderno slegato da
concezioni estetiche e correlato al concetto di territorio. Il carattere di modernità
risiede nel senso che il paesaggio non è altro dall’uomo ma il prodotto delle interrelazioni
tra la natura e l’uomo, sotto questo profilo si può sostenere il carattere fisiognomico del
paesaggio, in parole povere è la rappresentazione del carattere di chi lo abita.
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E’ stata coniata un’espressione molto suggestiva e cioè che il paesaggio è il volto del
territorio
Con la Galasso il vocabolario paesaggistico cambia e il significato di bellezza naturale
diventa categoriale (coste, montagne fiumi ecc.) assoggettando le trasformazioni negli
ambiti tutelati al controllo preventivo degli uffici regionali e statali. Anche se non era una
legge impeditiva considerato che non poneva vincoli di in edificabilità, si può
ragionevolemente affermare che la Galasso è stata la prima legge che ha posto un
argine al consumo dei suoli e all’edificazione indiscriminata. In Sardegna, ad
esempio, nel comparto costiero è per merito di tale legge che furono ridotti gli insediamenti
a carattere turistico ricettivo, gli stessi che avrebbero trasformato la costa nella famigerata
città lineare secondo gli osservatori più catastrofici, o forse più pragmatici,.
Non era comunque una posizione di fantaurbanistica perché nel 1976 fu promulgata la
legge regionale n. 10, quella degli studi di disciplina delle zone F turistiche che
prevedevano la urbanizzazione della costa, ivi compresa la localizzazione dei volumi a
destinazione turistica.
A seguito della Galasso, in Sardegna si iniziò un processo di pianificazione paesaggistica
esteso agli ambiti così detti di elevata valenza paesaggistica, furono costituiti gruppi di
lavoro e si progettarono 14 PTP che furono approvati nel 1993 con decreto del
presidente della giunta regionale.
I PTP riguardavano circa il 40% del territorio sardo, tra fascia costiera dei due chilometri e
varie zone interne.
I PTP furono annullati dal Consiglio di Stato e dal TAR nel 1998 per eccesso di potere,
errata valutazione dei dati territoriali-urbanistici e contraddittorietà dell’atto.
Il ricorso fu fatto delle associazioni ambientaliste sul presupposto che il Piani
autorizzavano nelle zone 1 di conservazione integrale “usi compatibili” in grado di
snaturare le caratteristiche naturali, ambientali e paesaggistiche.
Il grave difetto comunque era la connotazione omogenea ed unitaria che assegnando a
tutti i 14 PTP gli stessi dispositivi di piano e la medesima disciplina e normativa di
attuazione li aveva di fatto privati del valore della diversità descrittiva e interpretativa delle
valenze paesaggistiche del territorio, decontestualizzando di fatto i dispositivi spaziali e
normativi adottati per 14 PTP.
Nei PTP, a parte le ragioni di contestazione, erano contenuti degli elementi significativi e
positivi e ne cito due per tutti:
− il dimezzamento delle volumetrie nelle zone F rispetto ai parametri del Floris
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− la previsione dello studio di compatibilità paesistico ambientale per i PUC in
adeguamento ai PTP che ha anticipato la Valutazione Ambientale Strategica
Lo studio di compatibilità era uno strumento di progettazione che consentiva di
sperimentare procedure di valutazione degli effetti prodotti dalle scelte di
pianificazione sul sistema ambientale e paesaggistico.
Dal 1998 al 2004 c’è stata una vacatio legis sino alla legge n. 8 del 2004 la così detta
salvacoste.
Nel 2004, infatti, uno dei primi atti della giunta Soru fu quello di promulgare una legge che
ponesse vincoli di inedificabilità sulla fascia costiera e contestualmente diede il via per la
formazione del nuovo PPR, il Piano Paesaggistico Regionale.
Il PPR fu adottato nel maggio del 2006 e fu approvato definitivamente nel settembre dello
stesso anno.
Il Piano suddivide il territorio in 27 ambiti costieri ed è composto da una cartografia in
scala 1/100.000, 1/50.000 e 1/25.000 e da elaborati relazionali e normativi. Questi ultimi
costituiscono l’impianto delle regole di attuazione dei contenuti del PPR e insieme alle
disposizioni di carattere paesaggistico contengono prescrizioni di carattere edilizio e
urbanistico.
Va detto che il PPR è uno strumento potente e anche se interessa solo una parte del
territorio sardo, cioè gli ambiti costieri, ha la dignità di uno strumento di carattere
territoriale regionale, al pari del Piano di Assetto Idrogeologico, del Piano Forestale e degli
atti di programmazione regionale, ma in pratica, siccome dipende dalla legislazione
statale in base al principio per il quale la cura degli interessi pubblici concernenti la
conservazione ambientale e paesaggistica spetta in via esclusiva allo Stato, ai sensi
dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione. Dal dettato costituzionale
discende altresì l'impossibilità di alterare la «gerarchia» degli strumenti di
pianificazione del territorio, espressa dall'art. 145 del D. Leg.vo 42/2004 e la
conseguente
necessità
che
prevalga
comunque
l'impronta
unitaria
della
pianificazione paesaggistica.
Inoltre in termini molto moderni e aderenti a tutte le convenzioni e gli accordi internazionali
sul paesaggio, riporta lo stesso al centro della progettazione, dunque diventa lo
schema
di
riferimento
progettuale
e
programmatorio
delle
trasformazioni,
l’ambizione del Piano è quella di reinterpretare i valori del territorio, che non costituisce un
valore per la sua vocazione alla trasformabilità diventando un bene alienabile, come è
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successo sino a prima del PPR, bensì è la qualità intrinseca del paesaggio come bene
protetto e inalienabile che diventa il valore di riferimento; è quella la qualità su cui
puntare e su cui costruire un turismo sostenibile e, in termini più generali, una vita
collettiva più sostenibile.
Il Piano Paesaggistico non ha posto un pregiudizio assoluto alla trasformabilità dei
suoli, ma ha subordinato la stessa all’attuazione di una disciplina pianificatoria
mediata dallo strumento urbanistico generale, il PUC per l’appunto, che ogni comune
dovrebbe dovuto adottare tenendo in conto gli atti di indirizzo del Piano Paesaggistico.
Ecco ancora l’incontro tra paesaggio e urbanistica che nella predisposizione dei PUC
diventa un sistema.
Ciò che rende complessa e alcune volte incomprensibile se non ingiustificabile
l’applicazione del modello proposto è il susseguirsi e sovrapporsi di norme.
Abbiamo assistito, dall’adozione del PPR e in ultimo con la recente legge regionale n. 8 di
maggio, a un turbinare di varianti della stessa disciplina.
Un esempio è il territorio agricolo, ovviamente ci riferiamo al territorio agricolo interno agli
ambiti, quello sul quale la disciplina del PPR è efficace e dispiega tutta la propria forza
normativa. In questi ambiti un aspetto critico è lo sprawl, cioè la crescita del sistema
insediativo-territoriale in forma eccessivamente diffusa che trascina con se problemi
alcune volte ingestibili o comunque di difficile soluzione, con pesanti conseguenze
economiche per la collettività nei termini di un aumento dei costi di gestione dei servizi.
Ebbene, l’art. 83 delle norme di attuazione sottoponeva l’agro a regole precise volte a
tutelare la vocazione agricola del territorio e restituirlo senza compromessi alle attività
aziendali, per questo l’edificazione era subordinata al possesso effettivo della qualifica di
imprenditore agrario e al lotto minimo di tre o cinque ettari a seconda che l’attività fosse
intensiva o estensiva e negli atri casi era consentita la realizzazione di strutture appoggio
non residenziali di 30 mq. per fondi da tre a dieci ettari.
Certamente il fatto che nell’area di influenza della costa la richiesta di realizzare edifici a
carattere residenziale avesse assunto una dimensione abnorme ha condizionato tale
decisione. Sappiamo perfettamente che la maggior parte di quegli edifici che avrebbero
dovuto essere abitazioni strettamente correlate con l’attività aziendale (alloggi per il
conduttore ed eventuali dipendenti) erano di fatto seconde case a carattere turistico
ricettivo e spesso speculativo.
Comunque l’indirizzo era di rigore e si è protratto sino al 2009, con l’intervento del così
detto “Piano Casa” che per l’agro riportò indietro l’orologio prevedendo nello stesso gli
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interventi di cui al Decreto Presidente della Giunta Regionale n. 228/1994, cioè le direttive
per le zone agricole.
Con la legge n. 8 ultima siamo da capo, ovvero nella sostanza ripropone i contenuti
dell’art. 83 delle norme di attuazione del PPR.
Altro esempio è costituito dai beni paesaggistici e dai beni identitari. Questi ultimi pur
non essendo paesaggistici hanno comunque la stessa dignità. In un primo momento, cioè
nel 2006, entrambi sono stati assoggettati a una disciplina di rigore dal Piano
Paesaggistico nei termini dell’apposizione di un vincolo di non trasformabilità su se stessi
e su una fascia di 100 metri nell’intorno, ciò a dire che tali beni erano ritenuti dal PPR
talmente apprezzabili e significativi che la loro qualità si espandeva per un raggio di 100
metri e in tale area tutto era congelato sintanto che uno studio di dettaglio filtrato dal PUC
non avesse determinato cosa fare dentro tale area. E questo regime di tutela così rigorosa
valeva allo stesso modo per i beni paesaggistici e per i beni identitari.
In un primo momento si ragionava per categorie, nel senso, per es., che tutte le chiese
erano considerate beni paesaggistici e tutte le ferrovie erano beni identitari, di fatto
sovrapponendo le circonferenze con raggio di 100 metri si verificò che praticamente tutto il
territorio della Sardegna era vincolato.
Il legislatore pose rimedio puntualizzando che solo i beni esattamente indicati nella
cartografia del PPR erano da considerarsi paesaggistici e identitari il mosaico dei beni
paesaggistici e identitari.
Successivamente, nel 2009, con il primo piano casa si fanno ragionamenti diversi e si
stabilisce che i beni paesaggistici meritano la giusta tutela, ma non l’immodificabilità degli
stessi e tanto meno dei manufatti che gli stanno intorno per cui la trasformabilità è
consentita previo autorizzazione paesaggistica.
Inoltre ci si rende conto che i beni identitari non possono essere trattati analogamente a
quelli paesaggistici e pertanto non solo non possono espandere vincoli di natura
paesaggistica ma essi stessi non hanno praticamente qualità e sono dunque
svincolati dalla procedura paesaggistica.
Tuttò ciò sino all’emanazione della legge n. 8 che ha fatto fuori l’articolato del piano casa e
ha riportato la materia dentro la disciplina del PPR e cioè ikl vincolo di non trasformabilità
nel raggio di 100 metri dai beni paesaggistici e identitari.
Ma torniamo al PPR. Il Piano è impostato inquadrando il territorio secondo tre assetti:
ambientale, storico culturale e insediativo e per ognuno dei tre assetti sono indicati i beni
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paesaggistici, le componenti di paesaggio e le categorie e ha contenuti descrittivi,
prescrittivi e propositivi.
Le disposizioni del PPR, ai sensi dell’art. 4 delle norme di attuazione dello stesso sono
cogenti per gli strumenti urbanistici sott’ordinati (piani comunali e provinciali) e sono
prevalenti sulle disposizioni difformi contenute negli strumenti urbanistici e nei
piani di settore (es. se il piano del parco di Molentargius che è lo strumento di gestione
operativa dell’area protetta contenesse norme meno restrittive di quelle del PPR queste
ultime sarebbero comunque prevalenti sulle prime).
Le previsioni del PPR si attuano attraverso la pianificazione provinciale e comunale, i piani
delle aree protette e le intese tra regione-provincia-comune.
Certamente una novità rilevante è che i Comuni per attuare i propri obiettivi pianificatori
sono obbligati a dotarsi del PUC che deve essere redatto secondo le prescrizioni del PPR
quindi sottoposto a verifica di coerenza da parte della Regione.
In realtà le grandi modifiche, quelle sostanziali e di forte impatto sono contenute e non
creano i problemi e le difficoltà paventate. Riguardano sostanzialmente:
− la nuova disciplina dell’agro,
− l’individuazione del centro di prima formazione degli insediamenti urbani e
l’attribuzione allo stesso dello status di bene paesaggistico
− la conservazione e valorizzazione del patrimonio edilizio e paesaggistico.
Per ciò che riguarda l’agro il PPR ha restituito allo stesso la dignità di zona funzionale
all’attività agropastorale aziendale, contrariamente alla destinazione residuale rispetto alle
altre zone omogenee destinate a residenza e servizi, come di fatto fino a poco prima
l’urbanistica l’aveva battezzata. Zona residuale contenitore di attività non autorizzabili
all’interno dei nuclei urbani e, nelle aree costiere, destinata ad accogliere edifici
residenziali formalmente correlati alla conduzione del fondo agrario ma sostanzialmente
seconde case al mare.
Per quanto riguarda gli insediamenti urbani, la novità è consistita nel vincolare
paesaggisticamente i centri storici, sottoponendoli a una disciplina attuativa diversa dalla
precedente di carattere essenzialmente urbanistico.
Tra l’altro questo aspetto ha riportato i piani particolareggiati dei centri storici nell’alveo del
controllo da parte della regione, controllo che non esercitava più, così come per tutti i piani
attuativi, dall’abolizione nel 1998 dei comitati di controllo, regionale e circoscrizionali,
con la differenza che i piani generali continuano ad essere sottoposti a una forma di
accertamento con la verifica di conformità che prevede un esame del piano da parte del
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comitato tecnico regionale urbanistico e la determinazione di approvazione del direttore
generale, invece i piani attuativi esaurivano l’iter di approvazione all’interno dei consigli
comunali.
Per quanto attiene a fascia costiera è chiaro che il PPR ritenendola un bene di assoluto
pregio ne abbia impedito la trasformabilità nelle porzioni di territorio intatto, promuovendo
anche azioni premianti e compensative per lo spostamento delle volumetrie dal mare
verso l’interno. E’ ovvio dunque che abbia impedito l’edificazione nelle zone omogenee F
turistiche, a parte quelle fatte salve, che secondo le precedenti strategie politico
urbanistiche erano vocate all’insediamento turistico residenziale.
Un aspetto debole del PPR è che nonostante sia animato dalla volontà di favorire un
turismo sostenibile, di fatto ha un connotato di forte tutela del territorio (il principio della
salvaguardia dell’intatto) ma non ha proposto un vero modello di riferimento alternativo e
concretamente
utilizzabile
nella
progettazione
paesaggistica
e
nei
processi
di
trasformazione.
Altro aspetto irrisolto del PPR è la mancanza di coordinamento con gli altri piani di
programmazione (il piano forestale, dei trasporti, del turismo, delle infrastrutture ecc.) e
questa manchevolezza costituisce un freno al proposito di raggiungere l’obiettivo della
sostenibilità; è ovvio che un modello di tale natura debba essere il compendio di tutte le
attività che concorrono alla vita sociale di una comunità diversamente si attua una
programmazione monca, settoriale e autonoma e i principi in essa espressi rimangono
meri enunciati. Basare sulla propria identità il progresso e lo sviluppo del territorio in
termini qualitativi per il raggiungimento di un benessere ottimale, rappresenterebbe la
massima conquista qualora si raggiungesse tale obiettivo, ma in questo senso il PPR deve
ancora proporre i mezzi e le soluzioni perché si raggiunga tale obiettivo.
Per risolvere le criticità rilevate nel PPR la giunta Cappellacci ha dato impulso nel
2009 alla revisione del PPR. Detta revisione prevedeva:
− un processo partecipativo organizzato
− la procedura di VAS
− l’aggiornamento normativo compreso l’adeguamento normativo alle sentenze
emesse dai TAR
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Con delibera di Giunta Regionale n. 45/2 a ottobre del 2013 è stato adottato il così
detto PPS che la giunta Pigliaru un anno dopo ha revocato.
Tornando alle novità apportate dal PPR, quella più rilevante nell’attività di ordinaria
pianificazione riguarda i così detti centri matrice o nuclei di antica e prima formazione.
La pianificazione attuativa sino al Piano Paesaggistico prevedeva una procedura
progettuale di peso urbanistico attraverso la quale i professionisti e le amministrazioni
comunali tentavano di far quadrare il cerchio con riferimento all’indice medio di zona.
L’indice medio di zona di cui all’art. 4 del Decreto Floris, in realtà mutuato pari pari dal
precedente Decreto Soddu del 1977. Il Floris aveva decretato che gli incrementi
volumetrici nelle zone omogenee A non dovessero superare per ogni singola unità edilizia
l’indice medio di zona. In un primo momento l’interpretazione era quella dell’indice
applicato all’intero comparto insediativo ma successivamente si interpretò nel senso che
l’indice medio poteva essere applicato a sub comparti se non, addirittura, a singoli isolati.
E siccome la densità edilizia nei centri storici dei nostri paesi era abbastanza elevata,
l’indice medio era conseguentemente piuttosto alto, il che consentiva incrementi
volumetrici enormi. A questo si accompagnavano categorie edilizie volte soprattutto alla
sostituzione piuttosto che al recupero e al restauro, così con un cocktail micidiale di indici
e categorie sommate a una complessiva scarsa sensibilità politica e professionale, i centri
storici sono stati trasformati in qualcos’altro, così che di storico è rimasto ben poco, salvo
casi particolari, e la trasformazione è avvenuta sul doppio binario, cioè quello verticale che
ha riguardato l’architettura dei fronti e quello orizzontale che ha riguardato l’architettura
della viabilità. In entrambi i casi molto spesso la vanità progettuale ha prodotto disastri
perché ogni progettista ha voluto lasciare un proprio segno indelebile sull’intervento
trattato, non curandosi di aspetti legati alla coerenza, alla continuità, al rispetto della storia,
della cultura e della tradizione.
La cultura della progettazione urbanistica dei piani particolareggiati era di stampo
ragionieristico compositivo, con una tendenza a riempire i vuoti e ad occupare spazi.
Attualmente, dal PPR in poi, le strategie sono cambiate, l’approccio progettuale è diverso
e questo aspetto, come succede per tutte le novità, ha costituito un disorientamento per
molti progettisti e per gli uffici tecnici dei comuni.
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Nella progettazione dei PP permangono le due discipline, quella paesaggistica e
quella urbanistica, nel senso che nella stesura dei piani particolareggiati vanno tenute in
conto le due sfere normative.
Si possono verificare situazioni diverse:
− la zona A coincide con il centro matrice
− la zona A è più ampia del centro matrice
− la zona A è ridotta rispetto al centro matrice
Nel primo caso non sussistono particolari problemi e si procede con il piano
particolareggiato del centro matrice in aderenza ai contenuti dell’art. 52 delle norme di
attuazione del PPR e ai contenuti del Floris; nel secondo caso, in teoria, si potrebbe
operare in modo diverso ovvero trattare il centro matrice con le norme del PPR e del Floris
e la zona A residuale esclusivamente con le norme del Floris, perché la zona residuale
non è vincolata paesaggisticamente; nel terzo caso il centro matrice ricomprende la zona
A e, probabilmente, una porzione di zona B, in tal caso si procede con il piano
particolareggiato del centro matrice in aderenza ai contenuti dell’art. 52 delle norme di
attuazione del PPR e ai contenuti del Floris per le due zone.
A queste rappresentate si aggiungono altre variabili per esempio i comuni che stanno
all’interno di un decreto ministeriale, es. Orosei, che si ritrova una sovrapposizione di
vincolo e cioè il centro abitato vincolato dal PPR (centro matrice) e vincolato dalla 1497.
Altra possibilità è quella in cui ricade Santa Lucia di Siniscola che è zona omogenea A
vincolata dalla 1497 e ha un piccolo centro matrice intorno alla torre saracena. Nel caso di
Santa Lucia il quadro normativo di riferimento per la stesura del PP è il Floris e le norme
ordinarie (non di PPR) di carattere paesaggistico.
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