L. Iaselli - Dipartimento di Analisi dei processi economico

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L. Iaselli - Dipartimento di Analisi dei processi economico
Alberto Beneduce e il sistema finanziario internazionale tra le due guerre
di
LORENZO IASELLI*
1. La formazione giovanile di Alberto Beneduce
La figura e l’opera di Alberto Beneduce1 vengono naturalmente richiamate, dalla storiografia finanziaria italiana, nell’ambito dell’analisi
sull’intervento pubblico in economia. L’economista casertano fu, infatti,
il principale promotore dello sviluppo degli enti finanziari parastatali
che, organizzati sul modello della società anonima, furono espressione
di una burocrazia parallela a quella ministeriale, contraddistinta da snellezza amministrativa e autonomia di gestione e di bilancio. Inoltre, Beneduce, divenuto l’interlocutore privilegiato di Mussolini in tema di politica economica e finanziaria, fu l’artefice del processo di affermazione
*
Lorenzo Iaselli è dottore di ricerca in Storia Economica presso la Facoltà di Economia
dell’Università Federico II di Napoli. Questo contributo, che rappresenta una versione aggiornata della ricerca premiata con la menzione speciale in occasione della II edizione del
“Premio Alberto Beneduce”, organizzato dalla Provincia di Caserta nel 2005, è stato presentato in occasione del V Seminario del Centro Interuniversitario di Ricerca per la Storia Finanziaria Italiana (CIRSFI), “Concorrenza e concentrazione bancaria in prospettiva storica”, Cassino, 19-20 ottobre 2007.
1
Per un profilo biografico di Beneduce si veda F. Bonelli (a cura di), Alberto Beneduce
(1877-1944), in A. Mortara (a cura di), I protagonisti dell‘intervento pubblico in Italia, Angeli, Milano, 1984, pp. 329-356, che aggiornava la voce corrispondente in Dizionario biografico degli italiani, vol. VIII, Istituto per la Enciclopedia italiana, Roma, 1966 e il profilo
comparso in “Economia pubblica”, 1971, n°3. Si veda inoltre C. Padovani, Alberto Beneduce, in AA.VV., La società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali nell’opera dei suoi
presidenti (1861-1944), Bologna, Zanichelli, 1962, pp.187-229. Si veda inoltre L.Iaselli,
Alberto Beneduce: un grand commis tra socialismo e fascismo, in “Archivio Storico di Terra
di Lavoro”, 1/2008, pp.31-114.
11
del capitalismo di Stato in Italia, culminato nel 1933 con la nascita
dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale, e della separazione tra credito ordinario e credito speciale, ratificata dalla riforma bancaria del
1936. Tra gli aspetti meno indagati dell’opera di Beneduce vi è, senza
dubbio, quello relativo alla sua intensa attività internazionale, che
s’intrecciò, a partire dall’immediato primo dopoguerra, con i numerosi
incarichi economici e politici ricoperti in Italia.
Beneduce, infatti, rappresentò l’Italia nelle principali conferenze economiche internazionali convocate negli anni tra le due guerre e ottenne numerosi ed ampi apprezzamenti da parte della comunità finanziaria internazionale del tempo; la solida preparazione economica e statistica di cui disponeva gli consentì, in particolare, di individuare i principali elementi di debolezza del sistema finanziario internazionale nato
dalle ceneri del gold standard, e di patrocinare la collaborazione tra le
banche centrali e la liberalizzazione degli scambi come necessari rimedi
alla crisi strutturale del sistema.
Introducendo l’analisi sull’esperienza internazionale di Alberto Beneduce, sembra opportuno richiamare i tratti fondamentali della formazione giovanile dell’economista casertano, nella convinzione che le
principali posizioni assunte in tema di politica finanziaria e monetaria
internazionale affondino le radici nel background politico ed accademico
maturato nei primi anni del ventesimo secolo.
Conseguita la laurea in matematica a Napoli nel 1902, Beneduce due
anni più tardi vinse il concorso presso la Direzione Generale di Statistica del Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio, dove si sarebbe specializzato in studi attuariali, elaborando diversi contributi innovativi in tema di emigrazione, demografia, tavole di mortalità della popolazione italiana.2
2
Nel corso di tale periodo il giovane statistico casertano ebbe modo di lavorare a stretto
contatto con un ambiente molto stimolante dal punto di vista scientifico e culturale: in questi
anni possono infatti collocarsi gli incontri con Giovanni Montemartini, Riccardo Bachi,
Giorgio Mortara, Maffeo Pantaleoni, Benvenuto Griziotti. Tra i principali contributi scientifici di Beneduce si ricordano Confronti internazionali circa la nuzialità, natalità e mortalità
(1907); Capitali sottratti all’Italia dall’emigrazione all’estero, in “Giornale degli Economisti”, XXIX, 1904; Della natalità. Studio di demografia comparata, in “Giornale degli Economisti”, XXXV, 1907. Si veda più ampiamente V. Federici, Contributi di Beneduce agli
studi statistici e demografici, in AA.VV., Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo, Edindustria, Roma, 1985, pp. 216 e ss. Come ricorda Bonelli, i meriti
scientifici gli valsero la libera docenza all’Università di Genova e l’ingresso nel comitato di
12
La formazione matematico-statistica è, dunque, senza dubbio un
primo elemento ricorrente di tutta la futura attività di Beneduce, che
privilegiò sempre un approccio statistico e quantitativo nell’analisi delle
questioni macroeconomiche e monetarie.
I meriti tecnici dimostrati nei primi anni dell’impiego pubblico consentirono a Beneduce di guadagnare la stima e la considerazione di
Francesco Saverio Nitti,3 con cui progettò la nascita e lo sviluppo dei
primi enti economici parastatali (l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni
nel 1912; l’Istituto Nazionale Cambi con l’Estero con r.d.l. n.1956 del
11/12/1917; l’Opera Nazionale Combattenti con r.d.l. n.10/12/1917),
e di Luigi Luzzatti, con cui collaborò, in occasione dell’ultimo incarico
istituzionale dello statista veneziano (Ministro del Tesoro del gabinetto
Nitti dal 14/3/1920 al 21/5/1920) ad un progetto finalizzato alla compressione della spesa pubblica e al riordino dell’amministrazione dello
Stato4. Dal pensiero di Nitti e Luzzatti, il giovane Alberto Beneduce
direzione del “Giornale degli economisti”, insieme a Giovanni Montemartini e Giorgio Mortara, conosciuto già alla Direzione Generale di Statistica, che pure fu una personalità importantissima nella formazione scientifica di Beneduce. Il “Giornale degli economisti” nel
1910 si trasformò in “Giornale degli economisti e rivista di statistica”. F. Bonelli (a cura di),
Alberto Beneduce (1877-1944), in A. Mortara (a cura di), cit., pp. 329-356. E’ significativo
sottolineare che la Direzione Generale di Statistica fu trasferita dal Ministero dell’Industria
al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale in concomitanza con l’istituzione di
quest’ultimo (r.d.l. 3/6/1920 n.700), alla cui guida fu posto pochi mesi dopo proprio Alberto
Beneduce. Sui rapporti fra Beneduce e Montemartini si veda V. Gallotta, Beneduce e Montemartini, in AA.VV., Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo.
cit. Sulla figura di Montemartini si veda anche A. Cardini, Marginalismo, liberismo e socialismo: Giovanni Montemartini, in M. Guidi e L. Michelini (a cura di), Marginalismo e socialismo nell’Italia liberale 1870-1925, Milano, Feltrinelli, 2001, pp.121-137, nonché il profilo
biografico a cura di D. Da Empoli, Giovanni Montemartini (1867-1913), in A. Mortara (a cura
di), cit., pp.121-146.
3
Il primo incontro tra Nitti e Beneduce è tuttavia retrodatabile, in base alla citazione di
Francesco Barbagallo, agli anni in cui lo statista lucano, professore di Economia Politica
all’Università di Napoli, formò intorno a sé un gruppo di giovani studiosi di ideologia socialista. F. Barbagallo, Francesco Saverio Nitti, Torino, UTET, 1984, p.62. Il riferimento è richiamato anche dallo storico casertano A. Ianniello, Il giovane Alberto Beneduce, in Atti
della Conferenza tenuta a Caserta il 30 aprile 1994 in occasione del cinquantenario della
morte di Alberto Beneduce, Caserta, 1995, p.147.
4
Beneduce aveva precedentemente promosso la costituzione della Commissione Centrale per la Riforma dei Servizi Pubblici avvenuta con r.d.l. 18/9/1919. Sui rapporti fra Nitti e
Beneduce si veda L. De Rosa, I rapporti fra Beneduce e Nitti, in AA.VV., Alberto Beneduce
e i problemi dell’economia italiana del suo tempo, cit., p.190 e ss, nonché la voce dello stesso De Rosa, Francesco Saverio Nitti, in A. Mortara (a cura di), cit., pp.205-240; S. Potito, Il
primo Beneduce, 1912-1922, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004; G. Barone, Mez-
13
mutuò, tra l’altro, l’idea di una stretta connessione tra questione sociale
e riforma agraria;5 il ricorso allo strumento della cooperazione per mobilitare capitali e risorse nelle campagne; la necessità di sganciare definitivamente le dinamiche di crescita economica nazionale dall’agricoltura
e dall’industria marittima per concentrare gli sforzi su uno sviluppo del
paese in senso industriale; la centralità del problema della sostituzione
dell’elettricità al vapore nel contesto di tale sviluppo industriale;6 l’idea
di un intervento pubblico in economia sostenitore ma non prevaricatore dell’iniziativa privata, contraddistinto da criteri di produttività ed efficienza.
Il rapporto di collaborazione con Nitti, come sottolineato da un recente contributo di De Ianni,7 fu importante ma non esclusivo nella
formazione giovanile dell’economista casertano. Sin dai primi anni
dell’impiego ministeriale, infatti, Beneduce, attraverso l’adesione al socialismo riformista di Leonida Bissolati, maturò un pensiero progressista fortemente illuminato, che nell’immediato primo dopoguerra lo portò a sostenere il coinvolgimento delle masse lavoratrici nel programma
di sviluppo economico del paese e il reinserimento degli ex-combattenti
nella vita produttiva della nazione, da attuarsi attraverso vari strumenti
politici ed economici, quali l’Opera Nazionale Combattenti8, il credito
zogiorno e modernizzazione: elettricità, irrigazione e bonifica nell'Italia contemporanea,
Torino, Einaudi, 1986; G. Melis, Due modelli di amministrazione tra liberalismo e fascismo: burocrazie tradizionali e nuovi apparati, Ministero per i beni culturali e ambientali,
Roma, 1989. Su Luigi Luzzatti, oltre alla voce “Luigi Luzzatti” (a cura di P. Pecorari e P.L.
Ballini) in Dizionario Biografico degli Italiani, LXVI, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2006, pp.724-733, si veda P. Pecorari, Economia e riformismo: studi su Giuseppe Toniolo e Luigi Luzzatti, Milano, Jaka book, 1986 e Luigi Luzzatti e le origini dello statalismo
economico nell’Italia della destra storica, Padova, 1983.
5
Si veda in tal senso A. Pitzalis, L’intervento pubblico in economia. Esperienze teoricopratiche in Italia nei primi tre decenni del Novecento, Paper presentato al IX Convegno nazionale AISPE, Padova, 15-17/6/2006.
6
Francesco Saverio Nitti aveva già espresso compiutamente tale teoria nei primi anni
del Novecento, rimarcando le potenzialità industriali del settore elettrico e l’ampiezza delle
risorse idrauliche dell’Italia. Si veda al riguardo F.S. Nitti, La conquista della forza.
L’elettricità a buon mercato. La nazionalizzazione delle forze idrauliche, Roma 1905. Si
veda inoltre V. Castronovo (a cura di) La Storia Economica, in Storia d’Italia Einaudi, Vol.
VII, Da contadini ad operai, Il sole 24ore, Milano, 2005, pp.234 e ss.
7
N. De Ianni, Il viaggio breve. Beneduce dal socialismo al fascismo, in “Rivista di storia finanziaria”, n.14, 2005, pp.43-50.
8
L’Opera Nazionale Combattenti fu istituita con D.l. 10/12/1917. Strutturata secondo il
modello di ente economico parastatale, fu dotata di un capitale sociale di 300 milioni di lire,
14
cooperativo9, una copertura assicurativa gratuita per le classi meno abbienti10, la legge sulla disoccupazione.11
sottoscritti in gran parte dal Tesoro. Gli scopi lungimiranti che ispirarono la creazione
dell’ente furono, come sottolineato da Barone, disattesi prima a causa del radicalizzarsi dei
conflitti sociali nelle campagne e, poi, dalla transizione politica al fascismo, che svuotò
l’istituzione delle originarie attribuzioni, rendendolo un tipico ente burocratico di regime
con l’approvazione del nuovo statuto del 1927. Si veda al riguardo G. Barone, Mezzogiorno
e modernizzazione. cit., pp. 49 e ss. L’ONC fu concepita da Francesco Saverio Nitti e da
Beneduce come un ente parastatale finalizzato al reinserimento sociale e produttivo dei contadini ex-combattenti: l’ente avrebbe agevolato il processo di bonifica delle terre e quello
della riorganizzazione produttiva delle stesse, dando un notevole contributo alla lotta contro
la disoccupazione. Il r.d.l. 16/1/1919 n.55, che definì i profili operativi dell’ente, prefigurò
l’ONC come un istituto giuridico destinato a sviluppare un’efficiente azione agraria, finanziaria e sociale: il disegno prefigurò un intervento statale agile ed efficace, fin dalla fase
dell’esproprio, per la riorganizzazione di vaste zone erbifere, boscose o dominate dal latifondo e per la successiva cessione di queste terre ai contadini. Il progetto prevedeva inoltre
l’esercizio, da parte di cooperative di contadini ex-combattenti, di aziende medio-grandi:
solo con strutture di grandi dimensioni, nelle idee dei fondatori dell’ente, si sarebbe potuto
produrre e vendere a costi competitivi, rilanciando l’agricoltura, soprattutto nel Mezzogiorno.
9
Beneduce individuò nell’Istituto Nazionale di Credito per la Cooperazione l’organismo
adatto al supporto finanziario del movimento cooperativo: un supporto non incondizionato,
ma fondato, come sostenne, “sulla fiducia che meritano la bontà dell’iniziativa, la rettitudine e la capacità delle persone che sono chiamate ad attuarla”. Tramite un’apposita commissione, poi, il Ministro Beneduce studiò la possibilità di creare, assistere e sostenere nuove forme di attività economica “fondate sulla solidarietà e sulla capacità della forzalavoro”. Archivio Storico della Banca d’Italia (d’ora in poi: ASBI), Beneduce, cart.323, Discorso del Ministro Beneduce al Consiglio di amministrazione dell’Istituto Nazionale di
Credito per la Cooperazione, 1921. Convinto sostenitore dello sviluppo delle cooperative di
produzione e lavoro, studiò le caratteristiche tecniche e finanziarie, le deficienze nel rendimento economico e le eventuali agevolazioni di credito o esenzioni fiscali concedibili ad
ogni singolo ente cooperativo già operante in Italia, battendosi per la destinazione di un terzo delle cospicue risorse finanziarie di cui fu dotato l’Istituto allo sviluppo di iniziative cooperativistiche nel Mezzogiorno, dove, pure tramite l’ONC e i primi progetti del Consorzio di
Credito per le Imprese di Pubblica Utilità (Crediop), avrebbe voluto operare una sistematica
trasformazione economica e sociale.
10
In collaborazione con Stringher, Beneduce introdusse, con i d.l. 30/12/1917 e
7/3/1918, l’assicurazione gratuita per i combattenti. Tale copertura assicurativa fu articolata
in due tipologie di polizze. La prima, rivolta alle persone designate dall’assicurato per morte, ferite o malattie contratte da quest’ultimo in guerra; la seconda (c.d. assicurazione mista a
trent’anni), in cui il premio veniva liquidato alla persona designata alla morte dell’assicurato
(anche se avvenuta dopo la guerra) o all’assicurato stesso se ancora in vita.
11
La “legge sulla disoccupazione” (n. 1177 del 20/8/1921) previde lo stanziamento di
500 milioni di lire da attribuire a Province e Comuni per accelerare la costruzione e
l’organizzazione di opere pubbliche; Beneduce si adoperò per garantire agilità nelle procedure di assegnazione dei mutui, la cui contrattazione veniva decentrata a livello provinciale
e comunale. L. De Rosa, Banche e lavori pubblici in Italia tra le due guerre: il Consorzio di
15
Prima della guerra Beneduce aveva assunto una posizione di rilievo
nella massoneria italiana, dove i socialisti riformisti, insieme ai democratici e ai liberali, erano la forza politica maggiormente rappresentata. Entrato a far parte, nel 1912, della giunta esecutiva del Grande Oriente Italiano, con una delega ad occuparsi delle questioni politiche ed economiche,12 il giovane Beneduce patrocinò la diffusione delle forze democratiche e progressiste e il coinvolgimento delle classi operaie nella vita politica del paese, sostenendo i temi della diffusione dell’istruzione popolare, della riforma dei tributi locali, del problema agricolo e delle pensioni
operaie.13
Negli stessi anni, Alberto Beneduce affiancò all’attività politica ed
economica quella accademica: conseguita, infatti, la libera docenza universitaria nel 1910, quattro anni più tardi ottenne la cattedra in statistica
presso l’Università di Genova, occupandosi prevalentemente
dell’insegnamento di matematica attuariale, scienze dell’assicurazione,
statistica economica e finanziaria, economia politica. Attraverso l’analisi
del ricco materiale archivistico conservato nel fondo Beneduce alla
Banca d’Italia, alcuni contributi storiografici14hanno delineato i tratti
fondamentali del contributo teorico del casertano in tema di principi e
credito per le opere pubbliche, Milano 1979; P. Ciocca, G. Toniolo, Storia economica
d’Italia, Roma-Bari, Laterza, 1999. Con Leonida Bissolati, Beneduce condivise la scelta
interventista e si batté per una riforma elettorale in senso proporzionale che avesse assicurato una più estesa rappresentanza a quelle classi sociali che maggiormente avevano sopportato il peso del conflitto. Il suffragio universale maschile fu introdotto in Italia dal governo
Giolitti con la legge n.666 del 30/6/1912. La legge 1985 del 16/12/1918 ampliò la base elettorale riducendo l’età necessaria per esprimere il voto da trenta a ventuno anni. Sulla scelta
interventista di Beneduce si veda S. Potito, Il primo Beneduce 1912-1922, Napoli, Edizioni
Scientifiche, 2004; N.De Ianni, Il viaggio breve. Beneduce dal socialismo al fascismo, in
“Rivista di storia finanziaria”, n.14, 2005, pp.43-50.
12
Tale incarico fu condiviso, tra gli altri, con Teodoro Mayer, che venti anni più tardi
Beneduce avrebbe chiamato alla guida dell’Istituto Mobiliare Italiano. Mayer, fondatore del
giornale “Il Piccolo” e illustre esponente del capitale finanziario triestino, fu nominato Senatore del Regno nel 1924.
13
Sul ruolo di Beneduce all’interno della massoneria si veda F. Conti, Storia della massoneria italiana dal Risorgimento al fascismo, Il Mulino, Bologna, 2006, p.225 e p.301.
14
A. Pitzalis, L’intervento pubblico in economia. cit; A. De Nitto, Fra le vicissitudini di
una pubblica amministrazione: la statistica e Alberto Beneduce; V. Gallotta, Beneduce e
Montemartini; N. Federici, Contributi di Beneduce agli studi statistici e demografici, in AA.VV., Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo. Atti della giornata di studi per la celebrazione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione dell’IRI,
Caserta, 11/11/1983, Roma, Edindustria, 1985;
16
tecnica delle assicurazioni, di intervento dello Stato in economia, di equilibrio economico generale. In particolare, nelle lezioni universitarie e
negli articoli scientifici pubblicati in quel periodo, si evince una particolare visione innovatrice di equilibrio economico che, partendo dalla teoria tradizionale di Vilfredo Pareto, sviluppa una concezione dinamica di
equilibrio, fondata sull’idea di naturale instabilità della realtà economica
e di progresso sociale inteso come passaggio da uno stadio di equilibrio
ad un altro migliore, contraddistinto da un minore livello di rischio ed
incertezza.15Nel passaggio tra stadi di equilibrio progressivi, una funzione essenziale, per Beneduce, deve essere svolta dalle istituzioni politiche, dunque, in primis, dallo Stato, e dalla larga applicazione del principio della mutualità, la cui diffusione tra le masse popolari costituisce elemento “di maggiore stabilità nella vita sociale ed economica, condizione questa,
che a parità di tutte le altre, è fonte di prosperità collettiva”16.
Nel primo dopoguerra, Beneduce s’inserì nell’opposizione tra socialisti massimalisti (poi riunitisi nel 1921 nel Partito Comunista Italiano) e
socialisti riformisti schierandosi coi secondi, ma il suo fu un socialismo
atipico: produttivista, operoso ed efficiente. L’attività politica di Beneduce in questo periodo fu molto intensa: rivestì infatti, durante gli anni
dei “governi liberali”, numerose cariche istituzionali: rappresentò come
deputato la provincia di Caserta nella XXV e XXVI legislatura (19191923) e nel 1921 fu Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel
governo di Ivanoe Bonomi. Nella breve ma intensa esperienza politica
si occupò dunque, prevalentemente, di credito, di finanziamenti
all’industria, di legislazione sociale e organizzazione del lavoro: il leitmotiv della sua opera in questi anni appare soprattutto la finalità sociale
15
Si veda in particolare A. Beneduce, Il problema del rischio nella vita economica, in
“Giornale degli economisti e rivista di statistica”, serie 3, agosto 1915, pp.85-93; ASBI, Beneduce, cart.141, fasc.7, Principi e tecnica delle assicurazioni. Tali teorie sarebbero state
espresse ancora più compiutamente in una lezione tenuta all’Istituto Superiore di scienze
economiche e commerciali di Roma nel febbraio 1925 e nella conferenza tenuta alla Università Bocconi di Milano nel 1925 sul Problema del rischio nella vita economica. ASBI, Beneduce, cart.137, fasc.1.
16
Lo spunto è tratto da un ciclo di lezioni tenuto da Beneduce all’Università Bocconi di
Milano tra il 1914 e il 1915. In particolare si veda ASBI, Beneduce, cart.141, fasc.7, Principi e tecnica delle assicurazioni. Una sintesi di tali contributi fu pubblicata dal Giornale degli
economisti: A. Beneduce, Il principio mutualistico delle assicurazioni, in “Giornale degli
economisti e rivista di statistica”, serie 3, gennaio 1914, pp.25-31.
17
dell’attività politica.17 Nei mesi degli scioperi e delle occupazioni delle
fabbriche, il socialismo riformista di Alberto Beneduce esaltò il ruolo
sociale del proletariato, tendendo a ridimensionare ed organizzare in vie
legali le sue forme di protesta, anche tramite la tutela degli istituti che
abilitano i lavoratori organizzati a partecipare alla gestione aziendale
(rappresentanze operaie nei consigli d’amministrazione) e il rafforzamento del potere contrattuale delle stesse organizzazioni dei lavoratori.
Nello stesso periodo, il progetto politico del deputato casertano mirò a diffondere in agricoltura un sistema di affittanza collettiva e di quotizzazione cooperativa, finanziato da capitali pubblici, da contrapporre
al modello latifondista diffuso al Sud, con la finalità più ampia della pacificazione sociale nelle campagne e dello sviluppo economico del Mezzogiorno. 18
Il ricorso al vasto materiale di ricerca offerto dalle riviste locali del
tempo nella ricostruzione degli anni della formazione giovanile e
17
Tra gli organismi di cui egli fece parte in questo periodo è opportuno citare, oltre
all’Opera Nazionale per i Combattenti (ONC), il Comitato per i Trattati di Commercio, la
Cassa Nazionale di Previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai, il Consiglio Superiore per la Previdenza e le Assicurazioni Sociali, il Consiglio Nazionale del Lavoro, la
Commissione d’indagine per l’industria. Il Consiglio Nazionale del Lavoro avrebbe rivestito
il ruolo essenziale di organo tecnico integratore del potere legislativo, senza che per questo
il potere istituzionale di Governo e Parlamento potesse risultarne menomato; in particolare
Beneduce illustrò la possibilità che il Consiglio apportasse tutti gli sviluppi e le formule tecniche ai disegni di legge in tema di lavoro elaborati in via generale dal Parlamento, con evidente vantaggio in termini di risparmio di discussioni e interventi da parte di parlamentari su
questioni squisitamente tecniche. Atti Parlamentari, XXVI legislatura, sessione 1921-1922,
Istituzione del Consiglio Nazionale del Lavoro (16/2/1922), contenuto anche in ASBI, Beneduce, cart.323. Beneduce apportò alla proposta di legge anche alcune clausole che limitavano la possibilità di eccesso di potere del Consiglio nell’ambito dell’esercizio di questa
speciale opera legislativa, di natura tecnica, effettuata per delegazione del Parlamento. Beneduce favorì inoltre la costituzione di una Commissione sull’industria, poi da lui stesso
presieduta, col compito di presentare un rapporto sulla situazione dell’industria italiana e di
indicare i provvedimenti più opportuni per agevolare la ripresa produttiva del paese. Come
sottolineato da Gabriele De Rosa, il deputato casertano fu tra i pochi a comprendere come la
crisi del dopoguerra non fosse dipendente solo da fenomeni congiunturali, ma “fosse dovuta
all’arretratezza delle strutture economiche ed alla confusione tra credito industriale e credito
ordinario. G. De Rosa, Il risanamento bancario e la convenzione tra l’IRI e il Banco di Roma, in “Giornata di studio su Alberto Beneduce”, Roma 1983, p.28.
18
G. Barone, Mezzogiorno e modernizzazione. Elettricità, irrigazione e bonifica
nell’Italia contemporanea, Torino, Einaudi, 1986; S. Potito, Il primo Beneduce L. De Rosa,
Banche e lavori pubblici in Italia tra le due guerre: il Consorzio di credito per le opere
pubbliche, Milano 1979; V. Castronovo (a cura di) La Storia Economica, in Storia d’Italia
Einaudi, Vol. VII, Da contadini ad operai, Il sole 24ore, Milano, 2005, pp.234 e ss.
18
dell’esperienza politica di Alberto Beneduce offre elementi di riflessione
molto rilevanti. In tale materiale19si rinvengono, peraltro, delle concezioni tipiche dell’istanza meridionalistica, estremamente pragmatica ed
innovativa, che sarà portata avanti da Beneduce soprattutto negli anni
Trenta, alla guida dell’IRI e della Bastogi.20
Negli stessi anni Beneduce maturò le prime esperienze in consessi
internazionali ed espresse in più occasioni le sue idee in tema di politica
estera. Nel 1916, partecipò alla Conferenza Monetaria Internazionale di
Parigi, sostenendo il progetto di collaborazione tra banche centrali patrocinato da Luigi Luzzatti;21 durante la Conferenza di pace di Versailles, nel 1919, si occupò, oltre che di questioni finanziarie, del problema
jugoslavo, patrocinando, insieme all’irredentista Alessandro Dudan22,
l’italianità di Fiume e della Dalmazia; prese parte alla conferenza inter19
Si tratta di articoli tratti da numerose testate, conservate prevalentemente presso
l’Archivio di Stato di Caserta e la Biblioteca della Società casertana di Storia Patria, oltre
che presso il fondo Beneduce alla Banca d’Italia. Tra le principali, si ricordano L’Ora Nuova
(organo del partito socialista); Terra di Lavoro (giornale vicina alle forze liberali, poi testata
filofascista dopo il 1922); L’Unione di Terra di Lavoro (d’ispirazione democratica) e
L’Azione democratica, testata pubblicata nella tipografia del fratello di Beneduce, Ernesto,
personaggio molto importante nel periodo di impegno politico in Terra di Lavoro.
20
In particolare, è possibile ricostruire adeguatamente i tratti fondamentali del progetto
politico della coalizione beneduciana: il frequente richiamo al recupero del morale dei combattenti e all’elevazione sociale della condizione del contadino tramite il lavoro, posavano le
basi su una rigida e scientifica organizzazione dei fattori della produzione e dei mezzi di finanziamento, nonché sul rispetto dei principali criteri di economicità ed efficienza, in un
ideale binomio tra l’istanza sociale e l’istanza produttivista patrocinate da Beneduce; la necessità che la pubblica amministrazione rendesse i suoi organi, “ormai logorati e anemizzati
dal lungo periodo di scarsa sensibilità ai problemi del lavoro e dell’economia nazionale,
idonei ad accelerare la ripresa delle attività produttive del paese”. Si veda Istituzione del
Consiglio Nazionale del lavoro (16/2/1922), in ASBI, Beneduce, cart.323. Le critiche fondamentali di Beneduce vertevano sulla cattiva utilizzazione delle materie prime, sulla mancata coordinazione tra l’azione delle aziende industriali italiane, sull’enorme spesa sostenuta
per la loro organizzazione commerciale e, soprattutto, sulla politica industriale dello Stato,
che aveva favorito e sovvenzionato il dannoso intreccio tra banca e industria instauratosi
durante la prima guerra mondiale, a discapito del più conveniente assetto della produzione
nazionale. Fin da questi anni, inoltre, Beneduce dovette avvertire la pericolosità della confusione tra credito d’esercizio e credito per immobilizzi, i danni delle eccessive sovvenzioni
statali e la grave carenza di investitori e capitali di rischio nel mercato finanziario italiano.
21
Sul punto si veda M. De Cecco, L’Italia e il sistema finanziario internazionale 18611914, Collana Storica della Banca d’Italia, Documenti, Roma-Bari, Laterza, 1990.
22
Nato a Spalato nel 1883, Alessandro Dudan fu tenace assertore dell’italianità della
Dalmazia e autore di numerose monografie e iniziative propagandistiche nell’immediato
primo dopoguerra. Nel 1929 fu nominato Presidente dell’Istituto Poligrafico dello Stato e
nel 1934 Senatore del Regno.
19
nazionale di Londra nel febbraio 1920, occupandosi della tutela degli
interessi economici e politici dell’Italia in Anatolia e nel bacino adriatico; negli stessi mesi, fu nominato dal governo Orlando rappresentante
italiano nella Commissione Finanziaria Internazionale per il riassetto
dell’Austria, incarico che fu confermato, nel novembre del 1922, anche
dal governo Mussolini.
Nei suoi principali interventi in tema di politica estera,23 il deputato
casertano sottolineò la necessità dell’aiuto del credito internazionale per
risollevare le sorti dell’economia nazionale e, più in generale, della collaborazione economica e politica tra le varie nazioni come “condizione
essenziale e duratura di prosperità degli stati e dei popoli”.24
Il grande dinamismo dimostrato alla guida del Ministero del lavoro e
della previdenza sociale si scontrò, come detto, con la scarsità di risorse
finanziarie del dicastero e, in generale, con la fragilità politica dei “governi liberali”. Dimessosi nel febbraio 1922 dall’incarico di Ministro,
Beneduce maturò una profonda delusione per la sua esperienza politica.
Nel 1924, si limitò a sostenere un’opposizione “in aula” dopo l’omicidio
di Matteotti (criticando, dunque, l’atteggiamento degli “aventiniani”),
ma, perso ormai il contatto con la sua base elettorale, si avviò definitivamente alla carriera di manager pubblico: presidente del Consorzio di
Credito per le Opere Pubbliche (Crediop) dal 1919, Beneduce nel 1924
fu infatti chiamato da Stringher e Volpi a dirigere l’Istituto di Credito
per le imprese di Pubblica Utilità (ICIPU) e a dirimere le complesse vicende societarie della holding finanziaria Bastogi.25
23
Si veda ASBI, Beneduce, cart.75, Discorso di Alberto Beneduce alla Camera dei Deputati, 21/12/1920. Il discorso fu molto apprezzato, conferendo al deputato casertano un
credito ulteriore presso gli ambienti politici nazionali. Si veda inoltre il Discorso elettorale
di Alberto Beneduce tenuto a Caserta il 4/11/1919, pubblicato in “Terra di Lavoro”,
8/11/1919.
24
“L’interferenza tra le attività economiche e politiche delle varie nazioni è tale che noi
dobbiamo considerare ancora immerso nelle tenebre del Medio Evo quell’uomo politico che
concepisse di poter governare il proprio paese senza intendere, vagliare o anche solo orientare l’attività delle altre Nazioni.” Discorso elettorale tenuto da Alberto Beneduce a Caserta il 4/11/1919, pubblicato in “Terra di Lavoro”, 8/11/1919.
25
Per una visione più ampia di tali vicende si rimanda a G. Piluso, Lo speculatore, i
banchieri e lo Stato. La Bastogi da Max Bondi ad Alberto Beneduce (1918-1933), in Annali
di Storia dell’Impresa, vol.7, 1991. Si veda anche L. Segreto, Modelli di controllo del capitalismo italiano dalla banca mista a Mediobanca (1894-1993), in “Rivista di storia finanziaria”, n. 2 , gennaio-giugno 1999, p.16.
20
2. Il contributo di Beneduce al dibattito sull’introduzione del
nuovo ordine monetario internazionale (1919-1922)
Dopo la pace di Versailles, il ritorno all’oro veniva generalmente
considerato il presupposto essenziale per ripristinare un ordine monetario stabile e duraturo. D’altro canto, alcuni fattori scoraggiavano il rapido raggiungimento di quell’obbiettivo senza un forte sacrificio in termini di deflazione. L’ordine monetario internazionale, infatti, era stato
profondamente scosso dall’alterazione del rapporto tra circolazione
monetaria e stock di oro esistente, nonchè dalla cattiva distribuzione del
metallo giallo tra i vari paesi industrializzati. In primo luogo il finanziamento delle spese belliche tramite l’inflazione e la diminuzione di circa
il 30% della produzione di oro intervenuta tra il 1914 e il 1921 rendevano impossibile il ritorno alla convertibilità aurea praticata prima della
guerra dai paesi aderenti al gold standard. In secondo luogo, lo spettacolare aumento delle riserve in oro degli Stati Uniti,26 che si accompagnò al
processo di crescita della struttura industriale e produttiva del paese,
pose seriamente il problema della nuova leadership finanziaria internazionale, alla luce della notevole sperequazione tra le riserve auree delle
principali economie occidentali. Inoltre, l’elevata e disomogenea inflazione riscontrata nei vari paesi, i disordini politici e sociali, il problema
delle riparazioni di guerra, ostacolavano una rapida risoluzione del problema.
Le due maggiori potenze finanziarie mondiali (Stati Uniti e Inghilterra) auspicavano entrambe il ritorno all’oro: i primi miravano a riattivare
il meccanismo degli scambi commerciali con l’Europa, in considerazione dell’eccedenza della produzione industriale rispetto alla domanda interna; i secondi per riaffermare quel ruolo di principale piazza internazionale di compensazione tra crediti e debiti che Londra aveva assunto
durante il periodo di splendore del gold standard. In Inghilterra era stato
elaborato in tal senso, nell’immediato dopoguerra, il noto Cunliffe Report,
che esaltò i caratteri di autoregolazione e bilanciamento automatico del
26
Le riserve auree degli Stati Uniti, pari a 1,88 miliardi di dollari nel 1914, ascesero a 3
miliardi alla fine della guerra e a oltre 4,5 miliardi nel 1925, rappresentando così quasi la
metà delle intere riserve auree mondiali. Si veda in proposito G.G. Migone, Gli Stati Uniti e
il fascismo. Alle origini dell’egemonia americana in Italia, Feltrinelli, Milano, 1980, p.19.
21
gold standard, che avevano contribuito alla sua affermazione già nel XIX
secolo.27
Il dibattito sulla stabilizzazione monetaria e sulla restaurazione di un
ordine monetario internazionale fu argomento dominante fin dal primo
dopoguerra, allorché prezzi e cambi entrarono in una fase di oscillazioni
ampie ed improvvise. La Società delle Nazioni caldeggiò la convocazione di una conferenza monetaria internazionale, che, riunita a Genova
nel 1922, raccomandò ai paesi partecipanti l’adozione di un sistema definito gold exchange standard, che affiancava all’oro le divise-chiave, direttamente convertibili in metallo giallo, allargando così la base di riferimento per la convertibilità delle banche di emissione.28 L’esigenza di un
ritorno a un maggior rigore finanziario era già stata auspicata dalla Conferenza di Bruxelles del 1920, non traducendosi tuttavia in raccomandazioni pratiche di particolare importanza.29 Alberto Beneduce rappresentò l’Italia in qualità di esperto finanziario in entrambe le conferenze, offrendo al dibattito sulle modalità di ritorno all’oro un contributo molto
27
Secondo la teoria tradizionale dell’aggiustamento automatico della bilancia dei pagamenti, infatti, il sistema aureo a cambi fissi consentiva, ad esempio, ad ogni eccedenza della
bilancia commerciale, un riequilibrio automatico dei cambi grazie all’inflazione generata
dall’afflusso di oro dall’estero e dalla conseguente perdita di competitività delle esportazioni. Kindleberger ha osservato come ciò avesse storicamente reso poco necessaria la collaborazione tra banche centrali, che si era limitata a sporadici episodi di sostegno reciproco delle
valute durante alcune crisi finanziarie. C.P. Kindleberger, introduzione al volume P.Baffi,
Le origini della cooperazione tra le banche centrali. L’Istituzione della banca dei regolamenti Internazionali, in Collana Storica della Banca d’Italia, Saggi e ricerche, vol. I, RomaBari, Laterza, 2002.
28
Le divise rappresentavano sin dal 1913 un’aliquota ridotta delle riserve delle banche
centrali (circa il 13%). Con l’introduzione del gold exchange standard il dollaro e la sterlina
(uniche due divise convertibili) giunsero a rappresentare oltre il 40% delle riserve ufficiali di
alcuni istituti di emissione.
29
La Conferenza di Bruxelles fu convocata dalla Società delle Nazioni dal 24 settembre
al 8 ottobre 1920 per stabilire un programma comune di ricostruzione finanziaria
dell’Europa. Il comitato organizzatore, presieduto dal francese Jean Monnet, annoverava
Alberto Beneduce (Italia), Josè Maria Gonzales (Spagna), Carl Ter Meulen (Olanda) e Walter Layton (Inghilterra). Gli stati aderenti furono 39. La Conferenza Monetaria di Genova,
organizzata dal Consiglio Supremo della Società delle Nazioni nell’aprile-maggio 1922,
raccolse la partecipazione di 34 nazioni, tra le quali figurò anche la Russia. A capo della delegazione italiana, che comprendeva anche Beneduce, fu posto Giuseppe Bianchini, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana. Le principali prescrizioni per il ristabilimento di
un ordine economico espresse nelle due conferenze furono: la necessità del pareggio del bilancio statale e dell’equilibrio tra importazioni e esportazioni e tra redditi e consumi nei vari
Stati. M. De Cecco, L’Italia e il sistema finanziario internazionale (1919-1936), Collana
Storica della Banca d’Italia, Documenti, VI, Roma-Bari, Laterza 1993.
22
significativo: a Bruxelles pose in risalto il superamento della visione del
Cunliffe Report (ovvero la stabilità strutturale del tallone aureo), sostenendo come l’equilibrio non fosse più la condizione naturale del sistema monetario e auspicando, di contro, la necessità da parte dei governi
di individuare le opportune azioni correttive per raggiungere un minore
livello d’instabilità. Nel nuovo scenario sarebbe stato inoltre fondamentale, più che in passato, il ruolo della cooperazione tra banche centrali
per contrastare gli effetti destabilizzanti del gold exchange standard (in primo luogo la pressione esercitata da un paese membro sulle divise chiave
in caso di perseguimento di obiettivi di politica economica interna).30
In riferimento al problema valutario internazionale, Beneduce distinse i movimenti di cambio addebitabili alle straordinarie “cause di ordine
extra economico”, che inevitabilmente condizionavano l’economia
mondiale, da quelli attribuibili alla effettiva debolezza dei sistemi economici nazionali: soltanto le cause economiche determinavano, nel lungo periodo, il livello del cambio, e su queste cause i governi avrebbero
dovuto intervenire, prescindendo, nell’immediato, da arbitrarie e fittizie
valutazioni di nuove parità rispetto all’oro. In tal senso, Beneduce espresse il suo disappunto nei confronti di quelle politiche che avessero
puntato sull’equilibrio commerciale “ad ogni costo”, cioè a discapito di
ogni livello di deflazione: nel discorso tenuto a Bruxelles nel settembre
1920 il delegato italiano pose l’attenzione sulla responsabilità dei governi nella fissazione di una parità aurea ristabilita a tassi di cambio troppo
elevati, con conseguenze inevitabili in termini di disoccupazione, oneri
sociali, crisi delle esportazioni. Tale visione, illustrando l’impatto
sull’equilibrio economico interno della politica finanziaria internazionale
di una nazione, costituì una prima fondamentale critica alla teoria monetaria classica, molto simile a quella che stava sviluppando, nello stesso
periodo, John Maynard Keynes, che, nel “A Tract on monetary reform” del
1923 prese decisamente posizione contro la decisione del governo inglese di reintrodurre la parità tra l’oro e una sterlina sopravalutata.31
30
ASBI, Beneduce, cart.109, “Azioni necessarie per ridurre gli squilibri internazionali”, discorso di Beneduce alla Conferenza di Bruxelles, 29/9/1920.
31
Keynes sottolineò che “quando la stabilità del livello del prezzo interno e la stabilità
degli scambi esterni sono incompatibili, la prima è preferibile alla seconda possibilità”, anticipando le conseguenze nocive che la stabilizzazione del 1925 ebbe sulla disoccupazione e
le esportazioni inglesi, che condussero allo sciopero generale del 1926. J.M. Keynes, A
23
Anche a Genova la delegazione italiana espresse opinioni favorevoli
alla cooperazione tra banche centrali, all’abolizione di ogni controllo artificiale sulle operazioni di cambio e alla necessità di riavviare i traffici
commerciali proprio quando, al contrario, gli Stati Uniti decretarono
una svolta protezionistica dell’economia mondiale con l’emanazione
dell’Emergency Tariff Act del 1921 e del Fordney-Mc Cumber Act del
1922, trincerandosi in un isolazionismo economico che sarebbe continuato durante le presidenze Coolidge e Hoover. In tale occasione, Beneduce condivise con Keynes la necessità di tradurre le pur giuste raccomandazioni generali della conferenza in specifici piani d’azione; a
questo scopo occorreva “individuare i mezzi più opportuni per stimolare la
produzione e la migliore utilizzazione dei beni prodotti, nell’interesse delle economie
private e dal punto di vista della pubblica economia”.32
In pratica, la via per la ripresa delle economie nazionali era costituita,
secondo il delegato italiano, dalla determinazione, da parte dei governi,
di programmi che tenessero conto dell’esistenza degli apparati industriali e della forza lavoro concretamente disponibili in ogni nazione e che
fossero finalizzati al più efficiente sfruttamento della capacità produttiva
di ogni economia. E’opportuno sottolineare il contenuto politico
dell’intervento di Beneduce: gli elementi del riscatto morale della nazione e della collaborazione tra i vari paesi richiamavano fortemente il socialismo riformista di Bissolati. 33
L’attenzione verso il problema sociale ritornò nel monito, rivolto alle
principali potenze finanziarie, a valorizzare il pieno utilizzo ed occupazione delle risorse umane e degli apparati produttivi presenti nei paesi
finanziariamente più deboli e ad abolire le restrizioni commerciali che
determinano situazioni di monopolio nello sfruttamento delle materie
prime. La posizione di Beneduce rispecchiava le principali esigenze eTract on monetary reform, Prometheus Book, Londra, 1924, p.170 (trad. italiana a cura di
Piero Sraffa La riforma monetaria, Milano, Feltrinelli, 1978).
32
Keynes partecipò alla Conferenza di Genova non già come delegato del governo inglese, ma come inviato del Corriere della Sera, pubblicando una serie di articoli per il quotidiano italiano sull’andamento dei lavori della conferenza.
33
Nelle parole del delegato italiano si ravvisa infatti un significativo richiamo al discorso tenuto da Leonida Bissolati al XIII Congresso del partito socialista italiano (convocato a
Reggio Emilia nel 1912), in cui il leader socialista espresse il concetto che “le classi lavoratrici non fossero avulse dalla vita della nazione ma elevate, concorrendo allo sviluppo delle
energie produttive della stessa”. Si veda il resoconto dei risultati del Congresso in “Sempre
Avanti”, 15/07/1912.
24
conomiche dell’Italia del tempo: prestiti esteri per la ricostruzione e la
riconversione produttiva; materie prime a buon mercato, data la naturale scarsità di petrolio del paese; contrasto della disoccupazione; ripresa
degli scambi; graduale ritorno all’oro.
Com’è noto, negli anni successivi le raccomandazioni della conferenza di Genova restarono in gran parte lettera morta, gli stati stabilizzarono le proprie valute spesso sulla base di eventi contingenti, come
movimenti monetari speculativi o movimenti di capitali a breve termine.34 Ciò comportò un’alterazione dei rapporti di forza tra le varie economie e un’artificiosa valutazione del potere di alcune monete, anche
perché spesso i governi cercarono di ancorare il cambio alle vecchie parità prebelliche.
Le fragili basi su cui fu costruito il gold exchange standard e la scarsa
collaborazione tra banche centrali determinarono la fugace vita del sistema, prolungatasi, di fatto, sino alla svalutazione del puond nel 1931.
3. Alberto Beneduce e la stabilizzazione della lira
Dopo la prima guerra mondiale l’opinione pubblica americana, che si
riflesse nella politica isolazionista dei presidenti Coolidge e Harding, era
decisamente contraria alla ripresa degli scambi commerciali e alla concessione di prestiti esteri nei confronti di paesi che non avessero ripagato i debiti di guerra. D’altra parte, numerosi esponenti delle principali
banche private del paese compresero rapidamente che la ricostruzione
economica dell’Europa avrebbe rappresentato una fondamentale opportunità per la crescita del commercio e della finanza americana e auspicarono il ritorno alla stabilizzazione monetaria degli stati europei
34
D.H. Aldcroft, Da Versailles a Wall Street 1919-1929, Milano, ETAS, 1983, pag.
166. Cfr. anche B. Eichengreen, Essays in history of international finance, Cambridge,
University press, 1990 e M. De Cecco, Il problema dei debiti internazionali nel periodo tra
le due guerre, in “Moneta e Credito”, Marzo 1985; C.H. Feinstein, P. Temin, G. Toniolo,
L’economia europea tra le due guerre, Bari 1998; C.P. Kindleberger, Storia della finanza
nell’Europa occidentale, Bari, Laterza, 1987; A.L. Lewis, Breve storia economica del mondo 1919-1939, Napoli 1968.
25
come passo necessario per avviare con decisione un programma di espansione del credito all’estero.35
L’approvazione del prestito Dawes36 e il rasserenamento del clima
politico europeo seguito alla conferenza di Locarno del 1925, determinarono l’avvio di un flusso di prestiti americani all’Europa, innescando
un meccanismo di fiducia nei risparmiatori statunitensi sulle possibilità
di ripresa economica del vecchio continente. In tale quadro s’inserirono
i negoziati tra i banchieri americani e il governo italiano per avviare la
manovra di stabilizzazione della lira, che, dopo la concessione di due
revolving credit finalizzati a sostenere il corso della moneta nel gennaio e
nel giugno del 1925, si conclusero con il prestito “Kingdom of Italy” di
100 milioni di dollari, che segnò l’inizio della fase di apertura del mercato obbligazionario americano al finanziamento di imprese ed enti pubblici italiani.37
Mussolini, del resto, fu sempre convinto della necessità del sostegno
finanziario americano per lo sviluppo economico del paese e
dell’opportunità della stabilizzazione della lira ai fini della definitiva le35
Sul punto si veda M. Friedman, A. Schwartz, A monetary history of United States
1867-1960, Princeton, New Jersey, 1963, pp.189 e ss.; M. Myers, A financial history of United States, New York, Columbia University Press, 1970, pp.293 e ss.; Sui rapporti tra la finanza Americana e l’Italia nel primo dopoguerra si veda G. Falco, L’Italia e la politica finanziaria degli Alleati(1914-1920), Pisa, Ets, 1983; G. Migone, La stabilizzazione della lira: la finanza americana e Mussolini, in “Rivista di storia economica”, 1973, 2, pp. 145148.
36
Il piano Dawes previde la concessione di un prestito estero, la riorganizzazione della
banca di emissione tedesca sotto la supervisione alleata e una significativa riduzione delle
riparazioni, originariamente quantificate in 132 miliardi di marchi.
37
Il prestito per la stabilizzazione della lira fu accordato il 18/11/1925 da un sindacato di
banche guidato dalla Banca Morgan. Le condizioni del prestito, che furono molto onerose
per l’Italia, furono definite da Beneduce e Giovanni Fummi, rappresentante della banca
Morgan in Italia. Il prestito ebbe tuttavia un notevole valore simbolico, seguendo di pochi
giorni l’accordo per la restituzione del debito di guerra italiano e aprendo la strada ad una
serie di operazioni di finanziamento alle principali industrie del paese. Sul punto si veda P.F.
Asso, L’Italia e i prestiti internazionali 1919-1931. L’azione della Banca d’Italia fra la battaglia della lira e la politica di potenza, in AA.VV. Finanza internazionale, vincolo esterno
e cambi 1919-1939, Ricerche per la storia della Banca d’Italia, vol. III, Roma-Bari, Laterza, 1993. L. Conte, I prestiti esteri, in L De Rosa, Storia dell’industria elettrica in Italia.
Vol. II, Il potenziamento tecnico e finanziario (1914-1925), Roma-Bari, Laterza, 1993,
p.651, M. De Cecco, L’Italia e il sistema finanziario internazionale 1919-1936, in Collana
Storica della Banca d’Italia, Documenti, Vol. VI, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 59-65;
ASBI, Rapporti con l’estero, cart.18, Resoconto sui prestiti anglo americani alle società
italiane.
26
gittimazione del regime agli occhi della comunità finanziaria internazionale, dopo l’adesione italiana ai programmi di restaurazione finanziaria
patrocinati dalla Società delle Nazioni.
Il contributo di Alberto Beneduce alla stabilizzazione della lira fu
svolto nella doppia veste di presidente dell’Istituto di Credito per le Imprese di Pubblica Utilità (ICIPU) e di collaboratore del governo e della
Banca d’Italia. Sotto il primo aspetto il finanziere casertano partecipò
alle trattative, svolte da una delegazione italiana a New York nel novembre 1925, per la sistemazione dei debiti di guerra con gli Stati Uniti
e la concessione del prestito di stabilizzazione. 38
Il finanziere casertano, fin dal primo dopoguerra, auspicò una rivalutazione della lira, poiché ritenne fondamentale l’adesione della valuta
italiana al gold standard nel processo di finanziamento dell’industria elettrica con i capitali americani.39 Del resto Beneduce aveva avviato la collaborazione tecnica col fascismo nella fase di transizione dell’economia
italiana dal liberismo economico e dallo sviluppo trainato dall’industria
leggera a una fase di maggiore dirigismo economico contraddistinta dalla volontà di puntare sulle importazioni e sull’industria pesante.
L’afflusso dei capitali americani era ritenuto indispensabile in virtù
dell’analisi del mercato finanziario italiano che Beneduce aveva già da
alcuni anni approfondito in occasione della creazione degli Istituti di
Credito Speciale40. I prestiti americani all’industria italiana non solo
convogliarono capitali all’industria pesante (l’industria elettrica raddoppiò la produzione tra il 1921 e il 1929) ma assunsero una funzione de-
38
La delegazione italiana era composta da Giuseppe Volpi di Misurata, Ministro delle
Finanze, da Mario Alberti, Direttore Generale del Credito Italiano, da Giacomo De Martino,
Ambasciatore italiano a Washington, dall’industriale Alberto Pirelli, e da Alberto Beneduce.
39
M. Storaci, G. Tattara (a cura di), The external financing of italian electric companies
in the interwar years, Dipartimento di scienze economiche, Università di Venezia, L. Conte, I
prestiti esteri, in L De Rosa, Storia dell’industria elettrica in Italia. Vol. II, Il potenziamento
tecnico e finanziario (1914-1925), Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 645-646; G. Migone, Gli
Stati Uniti e il fascismo. Alle origini dell’egemonia americana in Italia, Feltrinelli, Milano,
1980, pp. 158-159.
40
Si trattava di un mercato finanziario poco sviluppato, contraddistinto dalla tradizionale
preferenza del risparmiatore per i titoli di Stato e dalle potenzialità insufficienti per far fronte alle richieste finanziarie delle società elettriche del paese. P.F. Asso, M. De Cecco, Storia
del Crediop 1920-1960, Laterza, Roma-Bari, 1994, pp.19-20; G.D. Piluso, Gli istituti di
credito speciale, in Storia d’Italia Einaudi, Annali, Vol. 15, L’Industria, Torino, 1975, pp.
509-545.
27
terminante per la stabilizzazione della lira, creando la massa di manovra
per il cambio nei difficili mesi seguenti il discorso di Pesaro.41
Complessivamente, nel periodo 1925-1929, l’Italia ottenne prestiti
esteri per ben 340,4 milioni di dollari e circa 3 milioni di sterline; ne beneficiarono sia il governo (grazie al prestito “Kingdom of Italy”), sia enti pubblici42 sia infine, le principali industrie del paese, in primis quelle
appartenenti al comparto elettrico, con oltre 90 milioni di dollari mutuati.43
41
Grazie alle c.d. “prestazioni reciproche” le industrie mutuanti cedevano il ricavato dei
prestiti in valuta estera al governo in cambio dell’impegno del Tesoro a corrispondere alle
scadenze dell’ammortamento il controvalore al cambio corrente. Il provvedimento meglio
noto come “prestazioni reciproche” è il r.d.l. 14/11/1926 n.1932, col quale il Ministero delle
Finanze fu autorizzato a decretare l’acquisto (sino alla concorrenza di 100 milioni di dollari)
del ricavato delle operazioni di mutuo contratte all’estero da società private e finalizzate
all’incremento della produzione nazionale, con la concessione della garanzia sul rischio di
cambio per il rimborso dei prestiti. Tale provvedimento estese all’intera platea di società
private l’agevolazione originariamente prevista per l’Istituto di Credito per le Imprese di
Pubblica Utilità (ICIPU). Si veda al riguardo A. De Benedetti, L’equilibrio difficile. Politica
industriale e sviluppo dell’impresa elettrica nell’Italia Meridionale: la SME 1925-1937, in
“Rivista di storia economica”, 7, 1990, n.2-3, p.182 ; L. Conte , I prestiti esteri, in L. De Rosa (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia. Il potenziamento tecnico e finanziario,
Vol. II, Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 645-646.
42
Il Comune di Milano e il Comune di Roma contrassero, nel 1927, due importanti mutui obbligazionari, entrambi dell’importo di 30 milioni di dollari, a scadenza venticinquennale.
43
In generale, è stato osservato che i mutui americani all’Italia furono piuttosto onerosi,
come nel caso del prestito governativo “Kingdom of Italy, Gold bonds 7%” del 1925. La
delegazione italiana, reduce dalla positiva conclusione degli accordi sul debito di guerra, subì
in tale occasione, da un punto di vista contrattuale, delle condizioni alquanto sfavorevoli: il
costo effettivo del prestito fu del 7,48%, il prezzo di emissione fu 94,5, ma ben 4,5 milioni di
dollari rappresentarono il ricavato netto del sindacato di emissione, guidato dalla Casa Morgan.
Il prestito Morgan non fu un caso isolato: nonostante il fatto che il costo medio dei finanziamenti americani accordati all’Italia fosse progressivamente diminuito al 7,44% nel 1926, al
7,10% nel 1927, ed al 6,3% nel 1928, la forza contrattuale italiana rimase sempre piuttosto
scarsa. I prestiti effettuati a favore delle industrie italiane, infatti, previdero quasi sempre ipoteche di primo grado sugli impianti della società. Il costo dei finanziamenti a enti e società italiane si collegava altresì alla modesta penetrazione che essi avevano nel pubblico dei risparmiatori americano (le operazioni di maggiore successo ebbero, infatti, l’apporto decisivo delle comunità italiane in America). G. Ravenna, delegato del Ministero delle Finanze italiano a New
York, elaborò, nel corso del 1928, un’indagine sulla diffusione e l’apprezzamento dei titoli italiani negoziati in America, dalla quale emerse la persistenza di dubbi circa la solidità della politica italiana da parte di una consistente fetta di risparmiatori americani. Ravenna sottolineò che
“i nostri titoli non hanno ancora apprezzamento del tutto elevato, come si deduce dal chiaro
indice dell’alto saggio di capitalizzazione”. Tuttavia, l’interesse per i titoli italiani venne comunque riscontrato, e Ravenna indicò nell’azione “metodica e costante di propaganda” dei
28
Tabella 1. I prestiti americani alle società industriali italiane (1925-1929)
Settore industriale
Prestiti ottenuti
(1925-1929)
11.750.000
12.750.000
Automobilistico
Meccanico
Chimico
Idroelettrico
Navigazione
Minerario
9.400.000
92.250.000
14.400.000
10.000.000
Fonte: ASBI, Rapporti con l’estero, cart.18, Resoconto sui prestiti anglo americani alle società italiane.
A partire dalla primavera del 1926, Beneduce collaborò al processo
di stabilizzazione de jure della lira, coadiuvando le istituzioni monetarie e
finanziarie del paese nei vari interventi legislativi e valutari propedeutici
alla manovra (riduzione della circolazione monetaria, consolidamento
del debito fluttuante44, unificazione dell’emissione, indipendenza della
Banca d’Italia rispetto al potere politico) e partecipando con Bonaldo
Stringher alle riunioni di Londra con i governatori della Federal Reserve
Bank e della Bank of England, Benjamin Strong e Montagu Norman.
In tali occasioni Beneduce svolse un ruolo fondamentale
nell’illustrare, agli occhi di Norman e Strong, il miglioramento della finanza pubblica italiana e l’indipendenza della Banca d’Italia dal potere
politico, e nel ricucire gli strappi provocati da alcune azioni di politica
estera condotte dal regime in quei mesi.45
In questi colloqui internazionali Beneduce risultò molto apprezzato,
oltre che per la preparazione tecnica anche per la comunanza di vedute
e di interessi con Bonaldo Stringher, che era molto stimato dagli altri
bonds italiani, coordinata tra i vari banchieri americani, il mezzo per ottenere una più ampia
distribuzione dei titoli presso i risparmiatori statunitensi. ASBI, Rapporti con l’estero,
cart.20.Lettera di G.Ravenna a Volpi, 3/5/1928, Impressioni di banchieri americani sui bonds
italiani.
44
Sull’importanza del c.d. “Prestito del Littorio” per la manovra di stabilizzazione della
lira si veda D. Fausto, La politica finanziaria del fascismo , in “Ricerche economiche”, anno
XXVIX, n. 2, 1975, p.190 e ss.
45
La percezione del regime fascista agli occhi dell’opinione pubblica e della finanza
americana era stata infatti sul punto di essere seriamente compromessa dopo il delitto Matteotti e la spregiudicata politica estera svolta soprattutto nel settore danubiano-balcanico.
29
banchieri centrali.46 Al proposito appaiono significative le parole con cui
Benjamin Strong descrisse il delegato italiano nei suoi appunti personali:
“Di sicuro è una personalità tra le più abili in Italia. E’ un deciso antifascista ma
gode della completa fiducia di Mussolini, e il dittatore lo ha utilizzato con la massima fiducia in numerose questioni difficili e delicate. A causa del suo patriottismo
Beneduce è disposto ad affrontare questi impegni, sebbene non sia favorevole ad alcun
incarico ufficiale. Mi è stato detto che in qualunque momento avrebbe potuto avere
un posto nel governo, se soltanto fosse stato disposto ad accettarlo”.47
Nei negoziati svolti a Londra nel dicembre del 1927, Beneduce e
Stringher fugarono i principali dubbi di Strong e Norman al definitivo
assenso alla stabilizzazione de iure della lira,48 dimostrando che
l’economia italiana aveva ben sopportato tutti i principali aggiustamenti
imposti dalla recente politica deflazionistica e rassicurando i banchieri
che la possibilità di anticipazioni al governo da parte della Banca d’Italia
fosse stata decisamente limitata.49
Beneduce illustrò inoltre le modalità con le quali l’istituto di emissione avrebbe sottoposto a controllo le operazioni di prestito estero in seguito alla manovra di stabilizzazione (in particolare le modalità di sterilizzazione dell’incremento di circolazione monetaria derivante
dall’afflusso di capitali esteri) e dimostrò di aver accuratamente tenuto
conto dell’impatto della stabilizzazione sulle dinamiche di aggiustamento che avrebbero incontrato il mercato immobiliare, i prezzi e i salari del
paese.50
46
Ai colloqui di Londra Beneduce e Stringher furono accompagnati da Giuseppe Nathan, rappresentante a Londra della Banca d’Italia, che svolse anche le funzioni di interprete
dato che né Stringher, né Beneduce parlavano l’inglese in maniera fluente.
47
Memorandum di B. Strong, 26 dicembre 1927, riportato M. De Cecco, L’Italia e il sistema finanziario internazionale 1919-1936, in Collana Storica della Banca d’Italia, Documenti, Vol. VI, Roma-Bari, Laterza, 1993, p.378.
48
All’Italia non fu concesso un prestito per la stabilizzazione bensì una apertura di credito, di natura praticamente solo precauzionale, in linea con quanto era avvenuto per la stabilizzazione del franco belga: l’operazione fu sostenuta anche dalle banche private, come
auspicato da Norman e Strong, e ammontò a 125 milioni di dollari. Le Banche Centrali (15)
vi parteciparono per 75 milioni di dollari, mentre il resto fu coperto dalle più importanti case
private, tra cui Morgan, Baring, Hambro e Rotschild.
49
Verbali delle riunioni londinesi per la stabilizzazione italiana, 13 dicembre 1927, in
M. De Cecco, L’Italia e il sistema finanziario internazionale 1919-1936, in Collana Storica
della Banca d’Italia, Documenti, Vol. VI, Roma-Bari, Laterza, 1993, p.313.
50
Verbali delle riunioni londinesi per la stabilizzazione italiana, 13 dicembre 1927, in M. De
Cecco, L’Italia e il sistema finanziario internazionale 1919-1936, in Collana Storica della Banca
d’Italia, Documenti, Vol. VI, Roma-Bari, Laterza, 1993, p.313. In ASBI, Beneduce, cart. sono
30
I negoziati si conclusero il 21 dicembre 1927 con la proclamazione
del ritorno all’oro della lira italiana, secondo le parità di 19 sul dollaro e
92,46 sulla sterlina; l’operazione rappresentò un grande successo per
Stringher e Beneduce, che, tornati a Roma, ricevettero da Mussolini un
“commovente attestato di riconoscimento per l’opera svolta”51. La scelta di “quota novanta”, com’è noto, determinò l’abbandono di un modello di sviluppo economico nazionale basato sulle esportazioni e
sull’industria di trasformazione e sancì la volontà di proteggere la grande industria di base (soprattutto il settore elettrico) che produceva per il
mercato interno e necessitava di capitali esteri per il suo potenziamento.
Come è stato evidenziato dall’autorevole storiografia che si è occupata dell’argomento, le finalità economiche di “quota novanta”, tra le
quali lo stimolo al risparmio nazionale in virtù di una lira forte,
l’incentivo al capitale estero e la diminuzione del costo delle importazioni, si accavallarono a valutazioni di ordine politico: la stabilizzazione
sociale e politica del paese aveva come presupposto la stabilizzazione
monetaria52 e una valuta in crisi, quale era la lira alla metà degli anni
Venti, avrebbe potuto innescare fughe di capitali e sfiducia tali da provocare un tracollo simile a quello subito dal marco tedesco negli anni
precedenti, con inevitabili, decisive conseguenze per la sopravvivenza
del regime fascista. “Quota novanta” segnò in generale una svolta
dell’economia italiana, che si chiuse ai circuiti internazionali rivolgendosi prevalentemente al mercato interno, in linea del resto con il protezionismo diffuso nel sistema economico internazionale di quegli anni.
Tuttavia il livello di questa svolta fu probabilmente molto drastico,
in controtendenza con le valutazioni sia degli esponenti della finanza
internazionale, sia del mondo degli affari italiano, che avrebbero auspicato un livello di rivalutazione più basso. I documenti del tempo testi-
presenti numerosi appunti autografi, tabelle e grafici di Beneduce relativi ai valori di prezzi
all’ingrosso, salari e valore delle rendite nell’ipotesi di vari livelli di stabilizzazione della lira.
51
A. Pirelli, Taccuini 1922-1943, Bologna, Il Mulino, 1984, p.83. Il rifermento è ad
un’intervista tenuta a Milano il 27/12/1927 da Mussolini, Volpi, Stringher e Beneduce.
52
P. Grifone, Il capitale finanziario in Italia, Torino, Einaudi, 1971, pp.56-57; P. Ciocca, G. Toniolo, Storia economica d’Italia, Roma-Bari, Laterza, 1999; F. Guarneri, Battaglie
economiche fra le due guerre, Bologna, Il Mulino, 1988; G.G. Migone, La stabilizzazione
della lira, la finanza americana e Mussolini, in “Rivista di Storia Contemporanea”, aprile
1973, pp.145-185 e I banchieri americani e Mussolini. Aspetti internazionali di quota novanta, Torino, Einaudi, 1979.
31
moniano infatti una decisa divergenza di vedute tra Mussolini e Volpi,53
se non nel merito della manovra, sicuramente nei tempi e nella misura
dell’intervento. Dissensi sull’entità della rivalutazione della lira furono
espressi anche da altri industriali e finanzieri italiani, tra cui, ad esempio,
Giovanni Agnelli, Ettore Conti, Mario Alberti54 e Riccardo Gualino.55
Non è possibile risalire ad alcun riferimento diretto di Beneduce sulla scelta di “quota novanta”; tuttavia egli aveva sempre sostenuto lo
sfruttamento massimo delle forze produttive del paese, in primo luogo
dell’energia idroelettrica, come base per sganciare l’economia italiana
dalla dipendenza da materie prima straniere; inoltre la lira forte avrebbe
evitato fughe di capitali e rafforzato il risparmio nazionale, di cui Beneduce auspicava l’accumulazione in impieghi sicuri e una successiva destinazione (coerente per scadenza temporale) allo sviluppo industriale
italiano. In definitiva si può supporre un’adesione di Beneduce al progetto di rivalutazione della lira per motivi, tuttavia, esclusivamente economici.
Il finanziere casertano continuò a collaborare con la Banca d’Italia
anche nei mesi successivi alla stabilizzazione, affrontando al fianco di
Stringher il problema dell’assottigliamento progressivo delle riserve di
copertura, collegato alla difficile situazione economica interna, e recandosi in America, presso la banca Morgan, per negoziare un finanziamento in dollari finalizzato alla difesa del cambio.56 Successivamente, la
53
R. De Felice, Lineamenti politici di quota 90 attraverso i documenti di Mussolini e
Volpi, in “Il Nuovo Osservatore”, 1966.
54
Sul punto si veda P. Melograni, Gli industriali e Mussolini. Rapporti tra Confindustria e fascismo dal 1919 al 1929, Milano 1972; V. Castronovo, Giovanni Agnelli, la Fiat
dal 1899 al 1945, Torino, Einaudi, 1977.
55
Anche Riccardo Gualino, noto uomo d’affari torinese, criticò la scelta di “quota novanta” non perché errata tecnicamente, bensì perché nociva al benessere della Nazione. Gualino riconosceva al discorso di Pesaro il merito di aver arrestato psicologicamente la posizione speculativa sui cambi e di aver riportato la lira ad un limite di prezzo più vicino al suo
valore, che il finanziere riteneva essere 120 sulla sterlina inglese. Archivio centrale dello
Stato (d’ora in poi: ACS), Lettera si Riccardo Gualino a Mussolini, 28/6/1927, pubblicata
anche in F. Cotula, L. Spaventa, La politica monetaria tra le due guerre 1919-1935, Collana
Storica della Banca d’Italia, Documenti, Roma-Bari, Laterza, 1993, p.623.
56
Gli incontri con Morgan, avvenuti nell’aprile del 1929, non condussero tuttavia ad alcun credito americano, poiché la situazione della Banca d’Italia venne giudicata “non grave”
e soprattutto perché incalzavano gli effetti della grande depressione sui mercati dei capitali.
Cfr. un telegramma di T.Lamont (partner della casa Morgan) a G. Fummi (rappresentante
della Morgan a Roma), 8/5/1929, riportato in M. de Cecco, “L’Italia e il sistema finanziario
internazionale 1919-1936”, Roma-Bari 1993, pag.846-848.
32
morte di Bonaldo Stringher, sopraggiunta alla fine del 1930, e
l’assunzione di prestigiosi incarichi internazionali, limitarono le possibilità di collaborazione diretta di Beneduce con l’istituto di Via Nazionale.
4. L’analisi del mercato internazionale dei capitali e il problema
dei trasferimenti tedeschi
Nella seconda metà degli anni Venti Beneduce aveva ormai assunto
una notevole considerazione nella comunità di esperti internazionali in
tema di moneta e finanza, dimostrando anche la sua indipendenza rispetto al regime. Nel giugno 1928, entrato a far parte del Comitato dei
Regolamenti Internazionali e di Informazione Economica, fu incaricato
di predisporre uno studio sul problema dei movimenti internazionali dei
capitali. Lo studio57, conservato nelle carte Beneduce presso l’ASBI, è
un documento di grande interesse in cui, tramite un approccio demografico e statistico, furono analizzati l’andamento, la distribuzione geografica, gli impieghi e i tassi d’interesse dei prestiti emessi sui principali
mercati finanziari negli anni Venti. Più in generale, lo studio consente di
trarre delle importanti conclusioni sul peso dei movimenti di capitale
nei rapporti di credito e debito tra le varie economie del tempo; sulla
fragilità del sistema monetario internazionale, sulla elevata politicizzazione dei rapporti finanziari internazionali di quel periodo.
Partendo da una esaustiva analisi sull’andamento del risparmio e del
reddito nazionale dei principali paesi mondiali, il documento consente
di individuare i fattori determinanti i nuovi rapporti di forza tra le economie mondiali. Gli Stati Uniti, durante il periodo 1914-1928, registrarono un aumento del reddito nazionale e, di riflesso, del risparmio procapite, due volte maggiore rispetto al Regno Unito e notevolmente più
consistente rispetto agli altri paesi europei. Ciò determinò il passaggio
da una situazione di debitore netto sul mercato internazionale dei capi57
ASBI, Beneduce, cart.379, Note sui movimenti internazionali dei capitali. Una versione più estesa (forse una bozza preparatoria) dello studio è conservata in ASBI, Beneduce,
cart.380, Appunti sul mercato internazionale dei capitali, dicembre 1928. L’incarico di predisporre lo studio sui movimenti internazionali di capitali fu affidato a Beneduce in occasione della riunione, svoltasi a Parigi il 27-28 giugno 1928, del Comité des reglements internationaux et d’information economique. Si veda la documentazione in ASBI, Beneduce,
cart.107.
33
tali (nel 1913 il saldo degli investimenti esteri degli Stati Uniti era passivo per circa tre miliardi di dollari) a una posizione di creditore netto alla
fine degli anni Venti (con un saldo netto di capitali investiti all’estero
pari a circa 13,5 miliardi di dollari)58.
L’analisi di Beneduce motivò l’origine dell’espansione creditizia degli
Stati Uniti anche alla luce di altri fattori: la forbice tra i tassi praticati sul
mercato interno e quelli garantiti dagli investimenti esteri per la ricostruzione post bellica soprattutto nei paesi dell’Europa continentale; la
saturazione raggiunta dal mercato interno alla metà degli anni Venti
(sviluppo della vendita a rate; crisi del mercato immobiliare; ampia mobilizzazione di redditi futuri da parte dei consumatori); l’affermazione di
una classe di risparmiatori sufficientemente ampia e sensibile al rischio
azionario e all’investimento in obbligazioni estere.
L’analisi di Beneduce si sposta successivamente sul mercato inglese:
prendendo come indice di riferimento dell’andamento del risparmio nazionale le nuovi emissioni di titoli sulla piazza di Londra, lo studio analizza le destinazioni del risparmio di nuova formazione (anche rispetto
al passato) sia da un punto di vista geografico che economico. Risulta al
riguardo di particolare importanza l’osservazione sulla bilancia dei pagamenti inglese negli anni Venti: l’aumento degli investimenti all’estero
è maggiore del saldo disponibile della bilancia dei pagamenti. Dato
spiegabile, per Beneduce, solo con la presenza di capitali stranieri nel
finanziamento degli investimenti esteri del paese, con l’importanza
dell’indebitamento a breve e col finanziamento di operazioni che non
comportano esborsi monetari, come, ad esempio, le stabilizzazioni valutarie.
Ricorrendo al confronto tra le emissioni di titoli esteri sulle piazze di
New York e Londra come paradigma dell’ascesa degli Stati Uniti nella
leadership finanziaria mondiale, l’economista italiano osservò come il capitale americano avesse superato quello britannico in tutte le principali
aree geografiche del mondo. In particolare, l’egemonia inglese era definitivamente tramontata nei paesi dell’America Centrale e Meridionale e
58
ASBI, Beneduce, cart.379, Appunti sul mercato internazionale dei capitali. 2. Gli Stati Uniti.
34
in Europa, mentre nei Dominions il capitale britannico teneva ancora
testa agli investimenti americani.59
Lo studio illustra come tale situazione fosse stata determinata, oltre
che dal minor saggio di incremento del reddito e risparmio nazionale
inglese rispetto a quello americano,60 anche dalla circostanza che la quota di risparmio nazionale inglese investita all’estero fosse scesa dal 82%
al 47% rispetto ai valori del 1913: ciò si spiegava per i maggiori investimenti sul mercato interno, dettati dalle esigenze di riconversione produttiva, dal sostegno alle industrie esportatrici in depressione e dai sussidi all’industria nazionale stabiliti da una politica economica più protezionista rispetto all’anteguerra.
Grafico 1. Investimenti esteri inglesi e statunitensi (1928, milioni sterline)
Confronto tra investimenti esteri inglesi e americani
(1928, milioni sterline)
140
120
100
80
60
40
20
0
Canada
Australia
America
Centro-Sud
Regno Unito
Europa
Indie e
Giappone
Resto del
mondo
Stati Uniti
Fonte: ASBI, Beneduce, cart.379, Appunti sul mercato internazionale dei capitali. 1. La Gran Bretagna.
59
Gli investimenti esteri inglesi alla fine del 1928 potevano quantificarsi in 265 milioni
di sterline. Di questi, 24 milioni erano collocati in America Centro Meridionale, 38 in Australia, 27 in Europa, 10 in Canada e 60 nel resto del mondo.
60
Il reddito nazionale inglese era aumentato dal 1913 al 1928 del 7% (contro il 104%
del reddito nazionale americano); il risparmio nazionale inglese era invece diminuito del
35% rispetto all’anteguerra (contro l’aumento del 120% di quello americano). Depurando tali
dati dall’incremento intervenuto sul livello dei prezzi e della popolazione, Beneduce stimò che
il reddito nazionale americano fosse cresciuto di oltre un terzo in più rispetto a quello inglese.
ASBI, Beneduce, cart.379, Appunti sul mercato internazionale dei capitali. 1. La Gran Bretagna.
35
A suffragare il sorpasso di New York su Londra come principale
centro finanziario internazionale, intervengono i dati sulle nuove emissioni di titoli esteri sulle due piazze dal 1920 al 1928. La tabella, che riepiloga solo le emissioni di titoli pubblici, pur considerando che non tutti
i titoli emessi a Londra o New York furono sottoscritti con capitale inglese o americano, è comunque molto significativa nel testimoniare la
maggiore mole di capitali mobilitati a livello internazionale dalla piazza
americana.
Tabella 2. Nuove emissioni di titoli esteri sui mercati di
New York e Londra
Anno
1920
1921
1922
1923
1924
1925
1926
1927
1928
New York
585
631
682
414
928
1.085
1.135
1.376
1189
Londra
248
435
649
593
599
480
593
744
799
Fonte: ASBI, Beneduce, cart.379, Appunti sul mercato internazionale dei capitali.
1. La Gran Bretagna.
Successivamente, analizzando la struttura delle bilance dei pagamenti
delle principali economie mondiali, lo studio di Beneduce sottolineò
l’importanza assunta nel nuovo scenario internazionale dei movimenti
di capitale nel complesso dei rapporti di credito e debito tra le varie economie: “crediti a breve, accettazioni bancarie, crediti all’esportazione, prestiti,
interessi, movimenti di valori mobiliari, costituiscono oggi un flusso di dimensioni incomparabilmente più ampio rispetto a quelli che [influenzavano] in passato i rapporti economici tra i diversi paesi”.61
61
ASBI, Beneduce, cart.379, Appunti sul mercato internazionale dei capitali.
36
Nel primo dopoguerra si realizzò infatti, secondo Beneduce, il distacco tra capitali e merci: l’importazione di divise estere non fu sempre
seguita, come in passato, da esportazioni di merci (stabilizzazioni monetarie o movimenti speculativi come quello sviluppatosi intorno al franco
alla metà degli anni Venti).62
L’economista italiano, inoltre, ribadendo che “la sensibilità e
l’automatismo del sistema monetario internazionale standard oro sono inficiati dalla
crescente organizzazione internazionale del credito e che [...] le intese e le manifestazioni di solidarietà di indirizzo fra le banche centrali sono sempre più opportune per
orientare il ritmo del movimento internazionale degli scambi”, prefigurò
l’imminente crisi del sistema finanziario internazionale, che si sarebbe
realizzata tra il 1931 e il 1933, con l’abbandono della convertibilità in
oro della sterlina e del dollaro, anche a causa della mancata applicazione
della cooperazione tra istituti di emissione propagandata da Montagu
Norman durante il decennio precedente.63
L’ultima parte delle “note sul mercato internazionale dei capitali” è
dedicata allo studio del mercato tedesco e al problema delle riparazioni.
A pochi mesi dal rialzo dei tassi della borsa di New York e dal progressivo ritiro dei capitali americani dal mercato obbligazionario europeo,
Beneduce riuscì ad evidenziare i principali sintomi premonitori
dell’instabilità dell’economia tedesca: l’alto tasso d’interesse fu costantemente indice di uno squilibrio nocivo tra domanda e offerta di denaro; l’impiego dei capitali esteri mutuati dopo la stabilizzazione del marco
62
Si veda ASBI, Beneduce, cart.127, Il movimento internazionale dei capitali e i trasferimenti, in “L’Information”, 27-28/3/1929.
63
La responsabilità di governi e banche centrali nel non aver compreso per tempo il passaggio che si era realizzato da un sistema monetario automatico (“automatic system”) a un
sistema controllato (“managed system”) e gli effetti moltiplicatori della crisi e della deflazione insiti nel meccanismo del gold exchange standard, furono, per Beneduce, alla base
della crisi del sistema aureo. Tale analisi, del resto, è stata in seguito condivisa dai principali
contributi storiografici sulla storia del sistema monetario internazionaleSi veda al riguardo
B. Eichengreen, Golden Fatters. The gold stanard and the great depression 1919-1939, Oxford University Press, Oxford, 1997; M. Friedman A.J.Schwartz, A monetary history of
United States 1867-1960, Princeton University Press, Princeton, 1963; B.S. Bernanke, The
world on a cross of gold. A review of “golden fatters”: The gold standard and the great depression 1919-1939, in “Journal of Monetary Economics”, vol.31, n.2, Aprile 1993, n.2,
pp.262 e ss.; M.D. Bordo, B. Eichengreen, Implications of great depression for the development of international monetary system, in M.D. Bordo, C. Goldin, E. White, The defining
moment. The great depression and the American economy in the twentieth century, The
University of Chicago press, Chicago, 1988, pp. 404-405.
37
avvenne spesso in modo improduttivo o a redditività fortemente differita nel tempo64; infine si era frequentemente fatto ricorso
all’indebitamento a breve per finanziare bisogni di capitale a medio e
lungo termine.
Tali fattori sono stati individuati come i principali sintomi della
grande depressione e della crisi del sistema finanziario internazionale tra
le due guerre dai principali contributi storiografici che hanno analizzato
il periodo.65
Nonostante le prime rassicurazioni della principale stampa economica mondiale sulla tenuta dell’economia tedesca alla perdita dei finanziamenti americani, Beneduce, in linea con le opinioni espresse nello stesso periodo da John Maynard Keynes,66 pose l’accento sul fragile equilibrio del sistema.
In particolare, lo studio evidenziò come la ripresa dell’economia tedesca dipendesse esclusivamente dalla costanza dell’afflusso di capitali
esteri. In seguito all’applicazione del piano Dawes, infatti, la bilancia
commerciale della Germania era stata costantemente passiva (accumulando circa 10 miliardi di marchi di deficit dal 1924 al 1930): i pagamenti
in conto riparazioni, dunque, erano stati finanziati solo con
l’importazione di capitali (circa 13 miliardi di marchi dal 1924 al 1929, di
cui 6 miliardi a breve termine). Tali valutazioni, richiamate anche dal
governatore della Reichsbank, Hjalmar Schacht, in occasione delle discussioni del comitato Young,67 sono indicative per la comprensione del
64
I capitali americani furono impiegati, in misura notevole, per ripianare il debito pubblico, per finanziare enti statali e municipalità, per contrastare la disoccupazione. Si veda al
riguardo D.H. Aldcroft, Da Versailles a Wall Street (1919-1929), Milano, 1983, p.263.
65
C.H. Feinstein, P. Temin, G. Toniolo, L’economia europea tra le due guerre, Bari,
Laterza, 1998; C.P. Kindleberger, Storia della finanza nell’Europa occidentale, Bari, Laterza, 1987; D.H. Aldcroft, L’economia europea dal 1914 al 1990, Bari, Laterza, 1981; C.H.
Feinstein, Banking, currency and finance between wars, Cambridge University press, Cambridge, 1995; S. Pollard, La conquista pacifica. L’industrializzazione in Europa da 1760 al
1970, Bologna, Il Mulino, 1994; B. Eichengreen, Essays in history of international finance,
Cambridge 1990;
66
Il riferimento è all’articolo pubblicato da Keynes su “New Republic” il 3/12/1927, richiamato in ASBI, Beneduce, cart.379, Il piano Dawes e la nuova economia. Sui rapporti tra
Beneduce e Keynes si veda anche P.F. Asso, M. De Cecco, Storia del Crediop (1920-1960),
Laterza, Roma-Bari, 1994, pp. 19-20.
67
P. Baffi, Le origini della cooperazione tra le banche centrali. L’Istituzione della banca dei regolamenti Internazionali, in Collana Storica della Banca d’Italia, Saggi e ricerche,
vol. I, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp.12-13.
38
fragile equilibrio su cui si reggeva l’economia della Germania in presenza di una congiuntura favorevole che si sarebbe esaurita in coincidenza
col rialzo dei corsi borsistici di Wall Street.68
Lo studio fu occasione per Beneduce di approfondire le sue conoscenze sul problema internazionale dei trasferimenti, di cui si occuperà
negli anni successivi, prima, in occasione del Comitato Young e, più
tardi, in seguito alla constatata incapacità della Germania di far fronte
regolarmente agli impegni finanziari imposti dal nuovo piano, in qualità
di esperto internazionale delegato alla risoluzione del problema.
5. L’istituzione della Banca dei Regolamenti Internazionali
Si è ricordato come i prestiti esteri e i crediti governativi abbiano assunto un’importanza cruciale negli anni Venti poiché su di essi si basò il
tentativo di ricostruzione e gestione del nuovo ordine monetario e finanziario internazionale. Tuttavia i rapporti finanziari del tempo furono
connotati da una matrice essenzialmente politica e le stesse operazioni
patrocinate dalla Società delle Nazioni risposero più agli interessi inglesi
di contenimento dell’egemonia finanziaria statunitense in Europa che
alla possibilità di un ritorno economico dagli investimenti per la ricostruzione dei paesi debitori. De Cecco riferisce al riguardo che “il prestito internazionale con motivazioni puramente economiche, contratto da
individui privati allo scopo di essere usato a fini produttivi e concesso
da altre istituzioni private a scopo esclusivamente di profitto può essere
[….] assegnato in massima parte al periodo della storia mondiale anteriore al 1914 o a quello dopo il 1960”69
Gli Stati Uniti di America si presentarono al tavolo delle trattative,
dopo la guerra, nella nuova posizione di prima potenza finanziaria internazionale; questo ruolo imponeva la necessità di garantire la ricostruzione del sistema economico europeo, fattore determinante per la poli-
68
Si vedano in particolare gli articoli Il quarto anno della Reichsbank in “The Economist”, 5/1/1929; La politica degli investimenti in Germania e in Francia, in
“L’Information”, 13/2/1929.
69
M. De Cecco, Il problema dei debiti internazionali nel periodo tra le due guerre, in
“Moneta e credito”, marzo 1985, pp.32-52.
39
tica di esportazione di merci e capitali a cui gli USA avrebbero dovuto
ispirarsi negli anni a venire.
Tuttavia, come ha sottolineato Migone70 questa politica fu ostacolata
sia dalle clausole territoriali stabilite a Versailles, sia dalle onerose riparazioni imposte alla Germania, sia infine dalla politica isolazionista manifestatasi in America nei primi anni Venti. Quando, successivamente, i
capitali americani vennero erogati in misura massiccia, in seguito
all’avvio dei processi di stabilizzazione monetaria dei principali paesi europei e alla sistemazione delle pendenze con gli ex alleati, questo afflusso di denaro fu caratterizzato da diversi errori e limitazioni. Innanzitutto, l’andamento dei movimenti di capitali garantiti dagli Stati Uniti non
fu soggetto né a costanza né a linearità, bensì fu contraddistinto da alcuni bruschi rallentamenti negli anni 1921, 1923, 1926 e 1929; il costo
dei finanziamenti fu poi spesso molto elevato, prevedendo i prestiti
commissioni di vario tipo e prezzi di emissione spesso addirittura inferiori a 90;71 venne inoltre effettuata una discriminazione molto superficiale dei prenditori di fondi, cosicché i creditori concessero prestiti poco
oculati.72
70
G.G. Migone, La stabilizzazione della lira, la finanza americana e Mussolini, in “Rivista di storia contemporanea”, Aprile 1973, pp.175 e ss.
71
P.F. Asso, L’Italia e i prestiti internazionali 1919-1931. L’azione della Banca d’Italia
fra la battaglia della lira e la politica di potenza, in AA.VV. Finanza internazionale, vincolo esterno e cambi 1919-1939, Ricerche per la storia della Banca d’Italia, vol. III, RomaBari, Laterza, 1993. Per una ricostruzione dell’onerosità dei prestiti esteri emessi sul mercato americano è utile analizzare la relazione del delegato commerciale presso la Regia Ambasciata d’Italia a New York, Romolo Angelone, in cui viene ricostruita analiticamente la situazione del mercato finanziario americano del tempo. Lettera di Romolo Angelone a Giuseppe Volpi, 26/11/1926, in Archivio Storico del Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche (d’ora in poi: ASCrediop), Titoli, Emissione e collocamento obbligazioni oro 7%.
72
Le autorità federali americane, anzi, propugnarono la distinzione tra operazioni a “scopo economico” (da finanziare) e operazioni a “scopo bellico” (da evitare): Romolo Angelone rilevò al riguardo che la citata distinzione risultava evidentemente generica e fittizia, in
quanto, “nessuna nazione, durante un periodo di pace, contrae dei prestiti allo scopo specifico di far fronte ad immediate ambizioni belliche, mentre, d’altro canto, i prestiti concessi
per scopi economici, promovendo ed accentuando lo sviluppo del paese al quale vengono
concessi, possono senza dubbio contribuire, indirettamente, alla preparazione della guerra”. Si veda la Lettera di Angelone a Volpi, 26/11/1926, in ASCrediop, Titoli, Emissione e
collocamento obbligazioni oro 7%.
40
I capitali servirono più a finanziare spese improduttive che a rafforzare la capacità di esportazione dei paesi mutuanti; infine, come ricordato in precedenza, i movimenti di capitali nel decennio postbellico furono contraddistinti dalla consuetudine, diffusa soprattutto in Gran Bretagna, del “lending long and borrowing short”, che comportava
l’immobilizzazione di cospicui capitali in progetti di ricostruzione a lunga scadenza e lo stato di illiquidità potenziale dei paesi che vi facevano
ricorso.
Negli anni di maggiore espansione creditizia fu inoltre palese la circostanza che molti paesi ricorrevano a nuovi finanziamenti in gran parte
per ripagare i prestiti accesi precedentemente (gli esborsi per il servizio
del debito costituirono, nel 1928, il 40% degli afflussi netti di capitali in
Ungheria, il 28% di quelli in Polonia e addirittura il 70% di quelli in Estonia).73
L’aspetto che maggiormente merita di essere evidenziato è tuttavia
quello che Pollard ha definito “la tetra farsa dei pagamenti”,74ovvero la
paradossale circolarità dei finanziamenti intergovernativi attivati per il
regolamento dei debiti interalleati e delle riparazioni di guerra, che per
alcuni anni coprì le crepe del sistema finanziario internazionale del dopoguerra. Gli Stati Uniti prima negarono ogni collegamento tra risarcimenti e debiti di guerra, e poi, di fatto, diedero vita ad un meccanismo
circolare che veniva innescato dalla concessione dei prestiti americani, i
quali finanziavano il pagamento delle riparazioni agli alleati, che restituivano i capitali così ottenuti all’America.
Queste argomentazioni sono suffragate dalla già citata considerazione per cui l’investimento medio annuo di capitali statunitensi venne più
che coperto, negli anni 1923-1928, dai ritorni di capitale assicurati dai
crediti già esistenti.
E’ stato osservato che tale meccanismo, tuttavia, poteva essere alterato da un momento all’altro, in quanto riparazioni e risarcimenti dei
73
D.H. Aldcroft, Da Versailles a Wall Street 1919-1929, Milano, ETAS, 1983, p. 264.
S. Pollard, La conquista pacifica. L’industrializzazione in Europa da 1760 al 1970,
Bologna, Il Mulino, 1994, p.434; Si veda inoltre C.P. Kindleberger, Storia della finanza
nell’Europa occidentale, Bari, Laterza, 1987, D.H. Aldcroft, L’economia europea dal 1914
al 1990, Bari, Laterza, 1981, A.L. Lewis, Breve storia economica del mondo 1919-1939,
Napoli, 1968.
74
41
debiti interalleati avevano natura contrattuale, a differenza dei prestiti
erogati con capitali americani. 75
La crisi del sistema finanziario era imminente quando, nel 1928, fu
convocato il comitato degli esperti incaricati di fissare un piano definitivo dei pagamenti tedeschi in conto riparazioni, in seguito alla richiesta
avanzata dalla Germania di anticipare il ritiro delle truppe di occupazione dalla Renania.76 Il comitato Young77si occupò della soluzione definitiva della questione delle riparazioni, da ottenersi tramite una rimodulazione del piano dei pagamenti e l’affidamento del problema dei trasferimenti a un organismo finanziario internazionale di nuova costituzione.
Il rapporto finale degli esperti del Comitato Young, elaborato nel
giugno 1929, previde, in particolare, la divisione dei pagamenti tedeschi
in conto riparazione in una parte incondizionata (monetizzabile da parte
degli stati creditori in obbligazioni da collocarsi sul mercato) e una parte
75
In effetti, la prosecuzione di questo sistema di pagamenti fu assicurata finché
l’economia americana, che condizionava quella mondiale, fu in fase di espansione. Ma
quando, prima la escalation delle quotazioni azionarie e poi il crollo di Wall Street resero
drastica l’esigenza di capitali nel resto del mondo e favorirono la recessione, per i debitori fu
possibile solo, transitoriamente, rimpatriare i titoli detenuti all’estero, prima di dichiarare il
definitivo default.
Del resto, le aspettative di crollo della borsa, alimentate, a partire dalla metà del 1929,
dal rallentamento dell’economia americana, indussero le banche centrali dei vari paesi a restringere il credito con rialzi del tasso di sconto e, così, ad accelerare il declino ormai manifestatosi nell’attività economica mondiale. La situazione venne peggiorata, inoltre, dalla caduta degli investimenti, non soltanto americani, ma anche britannici e francesi (in Francia,
dopo la stabilizzazione de iure del franco Poincarè, aumentarono notevolmente gli investimenti in oro, tesi a proteggere la circolazione, mentre si trascurarono gli investimenti più
produttivi. Gli stati debitori non furono, dunque, più in grado di fronteggiare i passivi delle
loro bilance dei pagamenti: interessi e ammortamenti sui prestiti esteri non erano risarcibili
senza l’ausilio di altri capitali mutuati: ad essere penalizzati furono soprattutto i paesi maggiormente dipendenti dal capitale americano, come la Germania e l’Austria. Si veda C.H.
Feinstein, P. Temin, G. Toniolo, L’economia europea tra le due guerre, Bari, Laterza, 1998,
pp. 95 e ss.
76
Il Trattato di pace di Versailles previde infatti (art.431) la possibilità di anticipare il ritiro delle truppe di occupazione, in anticipo rispetto al termine fissato in 15 anni, nel caso in
cui la Germania avesse ottemperato a tutti gli obblighi previsti dal Trattato e fosse stato
quantificato il piano completo dei pagamenti. Il Piano Dawes, elaborato nel 1924, non aveva
fissato il numero delle annualità e un definitivo piano di ammortamento.
77
Il comitato degli esperti che elaborò il c.d. piano Young (giugno 1929) prese il nome
dal presidente della General Electric e vicepresidente della Federal Reserve Bank Owen D.
Young. Il Comitato si riunì per la prima volta nel febbraio 1929 a Parigi. Il rappresentante
italiano nelle discussioni del Comitato Young fu Alberto Pirelli, che, negli anni tra le due
guerre, rivestì numerosi incarichi internazionali in qualità di delegato del governo italiano.
42
condizionata (la cui entità sarebbe variata in base all’andamento
dell’economia tedesca).78 Inoltre, i rappresentanti americani in seno al
comitato delinearono il primo progetto della Banca dei Regolamenti Internazionali, ideata come emanazione delle banche centrali e amministrata da personale non politico, la cui attività sarebbe stata non solo limitata alla gestione del problema delle riparazioni, ma avrebbe abbracciato anche obiettivi di più ampio respiro quali l’equilibrio del mercato
internazionale dei cambi e l’assistenza finanziaria ai paesi esteri.79
La definizione completa della struttura organizzativa e dei compiti
della nuova banca furono demandati ad un comitato organizzatore, che
si riunì a Baden Baden nell’ottobre del 1929: l’Italia fu rappresentata in
tale consesso da Vincenzo Azzolini e Alberto Beneduce.80 Quest’ultimo,
in linea con l’originario disegno dei banchieri americani del comitato
Young, auspicò la creazione di un’istituzione indipendente dai governi
nazionali, nata da un contratto privato tra banche centrali, ponendosi
dunque in contrasto, durante le trattative, con Hjalmar Schacht, il quale
invece intese trovare nell’accordo politico tra i governi e nel Piano
Young il fondamento istitutivo della Banca.81
Il finanziere casertano fu inoltre propenso a non identificare la creazione della BRI con la risoluzione del problema delle riparazioni tedesche: la nuova banca avrebbe dovuto avere anche altri compiti istituzionali, tra i quali, in primo luogo, quello di favorire la stabilizzazione del
mercato dei cambi, funzionando, di fatto, come una clearing house inter-
78
ASBI, Beneduce, cart.101, Relazione degli esperti del Comitato Young, giugno 1930.
ASBI, Beneduce, cart. 93, Procedura dell’Aja, Appunti sulla costituzione della nuova
Banca dei regolamenti Internazionali, s.d
80
Tale progetto di depoliticizzazione dell’Istituto – condiviso anche dal governatore della banca di Francia, Moreau – non si tradusse poi nei fatti. Sul ruolo di Beneduce nelle riunioni di Baden Baden si veda G. Toniolo, Central Bank cooperation at the Bank for International Settlements, 1930-1973, Cambridge, Cambridge University Press, 2005, pp. 40-42 e
M. De Cecco (a cura di), L’Italia e il sistema finanziario internazionale tra le due guerre
(1919-1936), Collana Storica della Banca d’Italia, Documenti, VI, Roma-Bari, Laterza
1993. Sul ruolo di Vincenzo Azzolini nella politica finanziaria italiana del tempo si veda A.
Roselli, Il governatore Vincenzo Azzolini (1931-1944), Collana Storica della Banca d’Italia,
Laterza, Roma-Bari, 2000.
81
P. Baffi, Le origini della cooperazione tra le banche centrali. L’Istituzione della banca dei regolamenti Internazionali, in Collana Storica della Banca d’Italia, Saggi e ricerche,
vol. I, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp.44-45.
79
43
nazionale.82 Nella visione di Beneduce si trattava, in pratica, di creare un
quid di molto simile al futuro Fondo Monetario Internazionale (ovvero
un istituto con un fondo di dotazione alimentato da quote di partecipazione delle singole banche centrali e con meccanismi di assistenza ai paesi momentaneamente in difficoltà), in considerazione dei limiti strutturali del gold exchange standard.83
Per ciò che attiene alla questione delle riparazioni, Beneduce intravide nella creazione della BRI una soluzione strutturale per spostare il
problema dei trasferimenti dal piano politico al piano commerciale e finanziario: attraverso la previsione delle c.d. “obbligazioni di mobilizzazione” (ovvero emissioni obbligazionarie sul mercato tedesco, garantite
da ipoteche e privilegi su beni tedeschi, cedute allo sconto alle principali
banche d’affari mondiali e collocate tra il pubblico mondiale dei risparmiatori) si sarebbe potuto assicurare il pagamento ai paesi creditori attraverso i proventi di un titolo a reddito certo e garantito.84 La soluzione
innovativa avrebbe riciclato, in pratica, il problema delle riparazioni, trasformando le stesse in investimenti finanziari della Banca dei Regolamenti Internazionali. Il ricorso al mercato finanziario effettuato tramite
82
ASBI, Beneduce, cart. 93, Procedura dell’Aja, Appunti sulla costituzione della nuova
Banca dei regolamenti Internazionali, s.d. e ASBI, Beneduce, cart.127, Commenti sulla
Banca delle liquidazioni internazionali, 6/7/1929. Si veda inoltre P. Baffi, Le origini della
cooperazione tra le banche centrali. L’Istituzione della banca dei regolamenti Internazionali, in Collana Storica della Banca d’Italia, Saggi e ricerche, vol. I, Roma-Bari, Laterza, 2002
e G. Toniolo, Central Bank cooperation at the Bank for International Settlements, 19301973, Cambridge, Cambridge University press, 2005.
83
Al riguardo appare significativo richiamare l’intervento di Beneduce nella seduta del
17/10/1929 del Comitato Organizzatore della BRI: “Le fluttuazioni dei cambi sono sicuramente amplificate dalla cattiva organizzazione dei mercati. […] Disavanzi puramente temporanei della bilancia dei pagamenti provocano movimenti dei cambi di cui potremmo fare
meno; con una migliore organizzazione non sarebbe più così. […] Certo, la BRI non può
intervenire sui fenomeni economici, ma può, con le sue riserve diversificate, essere
l’ammortizzatore, il regolarizzatore, una forza utile per l’organizzazione e il funzionamento
del mercato dei cambi”. E ancora “Nella pratica […] una banca centrale potrà farsi aprire
presso la BRI, in moneta di conto, un conto speciale; depositerà a tal scopo divise. Quando
avrà ad esempio bisogno di dollari, chiederà alla BRI di consegnarle dollari in cambio di
un certo numero di unità di conto. [..] Il corso al quale sarà fatta l’operazione sarà quello
di mercato, ma l’operazione non avrà turbato il mercato”. Si vedano i resoconti gli interventi dei delegati italiani al comitato di Baden Baden in Archivio Storico della Banca dei
regolamenti Internazionali, Baffi papers, RBL/B15, pubblicati anche in M. De Cecco (a cura
di), L’Italia e il sistema finanziario internazionale tra le due guerre (1919-1936), cit., pp.
662-672.
84
Si veda al riguardo G. Toniolo, Central Bank cooperation, cit.
44
l’emissioni di titoli garantiti dallo Stato e finalizzato tanto allo sviluppo
industriale quanto al risanamento di situazioni debitorie, è un leitmotiv
nell’azione di Alberto Beneduce, che riproporrà in Italia uno strumento
sostanzialmente analogo con i bond dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale.85
Il finanziere casertano fece parte dell’organo amministrativo della
BRI dal 1930 fino al 1939, occupandosi, in particolare, dello studio sulla
gestione dell’attivo patrimoniale della Banca e sulla forma delle emissioni obbligazionarie dell’istituto.86
La Banca, con sede a Basilea, svolse nel corso degli anni Trenta, come sottolineato da Toniolo,87 esclusivamente una funzione di consultazione e analisi economica e finanziaria. Le riunioni periodiche dei banchieri centrali furono mere occasioni di confronto e di studio, ma la
Banca nel primo decennio di vita non poté agire favorevolmente sulla
situazione di progressivo isolazionismo economico, sul deterioramento
delle relazioni politiche e commerciali e sul fallimento del progetto di
cooperazione monetaria internazionale.
Di fatto, dunque, l’azione regolatrice della Banca sul mercato dei
cambi e lo stimolo alla cooperazione delle banche di emissione furono
limitatissimi: Paolo Baffi ha rilevato al riguardo come il mancato rientro
dei prestiti concessi nel biennio 1930-1931 avesse privato la banca della
liquidità necessaria per significativi interventi di sostegno monetario e
come la Banca d’Inghilterra, nell’estate del 1931, avesse negoziato direttamente con Francia e Stati Uniti interventi di supporto alla sterlina in
crisi.88
85
F. Giordano, Storia del sistema bancario italiano, Roma, Donzelli, 2007, pp. 47-55.
Lo statuto della Banca dei regolamenti Internazionali fu approvato dalla II Conferenza
dell’Aja (gennaio 1930), che approvò ufficialmente anche il Piano Young. Il Consiglio di
amministrazione del nuovo organismo fu composto da esponenti degli istituti di emissione
aderenti, tra i quali si ricordano per la Francia Moreau, per l’Inghilterra Norman, per il
Giappone Tanaka, per l’Italia Stringher, per il Belgio Franck. Il primo direttore Generale
della Banca fu il francese Quesnay. Il 26-27 febbraio 1930 presso la Banca d’Italia a Roma,
fu firmato l’atto costitutivo della BRI. La prima riunione del Consiglio di amministrazione si
tenne a Basilea, sede sociale della nuova istituzione, nella primavera dello stesso anno.
87
G. Toniolo, Central Bank cooperation, cit.
88
P. Baffi, Le origini della cooperazione tra le banche centrali. L’Istituzione della banca dei regolamenti Internazionali, in Collana Storica della Banca d’Italia, Saggi e ricerche,
vol. I, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp.83-84.
86
45
La Banca patrocinò l’emissione di prestiti internazionali in favore di
alcuni stati dell’Europa Centro Orientale89, le cui banche centrali, in
conseguenza del credit crunch seguito alla svalutazione della sterlina e al
brusco deflusso di capitali a breve sul mercato internazionale, avevano
chiesto assistenza sui mercati finanziari internazionali. L’intervento, tuttavia, non fu né sufficiente - data la sproporzione tra le disponibilità
dell’Istituto e la domanda di credito delle banche di emissione di Austria, Ungheria e Jugoslavia – né fortunato, dato che i prestiti accordati
per il sostegno della convertibilità aurea di tali paesi, dopo il crollo del
Credit Anstalt, videro precipitare i corsi nei primi mesi di ammortamento.
Anche i titoli del prestito previsto dal piano Young ebbero una brusca discesa nel giro di pochi mesi dall’emissione, a causa del ritiro dei
capitali americani dall’Europa dovuto alla bolla speculativa di Wall
Street e dell’aumento dei tassi di interesse americani. Fu ben presto
chiaro a tutti che la Germania non avrebbe potuto adempiere regolarmente ai nuovi impegni previsti dal piano.
6. La partecipazione alle Conferenze Finanziarie Internazionali
degli anni Trenta
Il biennio 1931-1933 fu segnato dagli ultimi tentativi di stimolare
una collaborazione finanziaria internazionale attraverso l’organizzazione
di numerose conferenze per la risoluzione del problema dei trasferimenti: Beneduce fu posto a capo dell’apposito comitato, previsto
dall’art.119 del Piano Young, incaricato di esaminare la possibilità di
una moratoria ai pagamenti tedeschi. L’esperto italiano pose in evidenza, in tale occasione, che il meccanismo di annualità crescenti previsto
89
Sull’andamento dei prestiti della Banca dei Regolamenti internazionali si vedano i
prospetti contenuti in ASBI, Rapporti con l’Estero, cart. 208, Conto Trust delle annualità
bulgare, delle annualità ungheresi, delle annualità reichsmark, 1932. La BRI, in seguito al
crollo del Credit Anstalt, intervenne in favore della Banca Nazionale Austriaca con un prestito di 100 milioni di scellini (concesso da un pool di undici banche centrali); in favore della Banca Nazionale d’Ungheria, con due finanziamenti per complessivi 15 milioni di dollari;
infine, partecipò ad operazioni di minore entità, concesse in favore della Banca Nazionale
Jugoslava e della città di Danzica. Si veda ASBI, Beneduce, cart.101, Seconda relazione
annuale della Banca dei Regolamenti Internazionali, Basilea, 10/5/1932.
46
dal piano Young, scommettendo di fatto su un progressivo ampliamento del volume degli scambi tedeschi, era incompatibile con la situazione
di scarsa collaborazione tra i paesi e di assenza di scambi regolati su base multilaterale. Favorevole a una moratoria generalizzata dei pagamenti
politici ereditati dalla prima guerra mondiale (è anche la posizione del
governo italiano, che ha un limitato peso nel problema delle riparazioni
ma ha grande interesse alla ripresa commerciale di alcuni mercati, come
quello dei paesi dell’Europa Orientale), il comitato Beneduce pose
l’accento, nella sua relazione conclusiva, alla responsabilità dei governi
nel non consentire la trasformazione dell’isolamento economico in un
problema politico.90
Le conclusioni dello Special Advisory Committe presieduto da Beneduce
rappresentarono, sostanzialmente, la base di partenza della conferenza
finanziaria internazionale convocata a Losanna nel giugno del 1932 con
lo scopo di ricostituire un nuovo ordine finanziario internazionale attraverso la cancellazione di tutte i debiti di guerra.91Gli Stati rappresentati alla Conferenza di Losanna, limitandosi a pronunciarsi in favore di
un prolungamento della moratoria dei debiti tedeschi, rimandarono la
definizione del problema dei trasferimenti e del ristabilimento di una
comune unità monetaria di riferimento alla successiva Conferenza economica mondiale di Londra del 1933.
La politica economica internazionale, dopo la crisi del 1929, fu contraddistinta da alcuni tratti essenziali: il flusso creditizio verso l’estero si
interruppe bruscamente alla fine degli anni Venti per quanto riguarda i
prestiti e nel corso del 1932 per quanto riguarda gli investimenti. Gli
Stati Uniti, lungi dall’assumersi i costi e le responsabilità connessi alla
leadership acquisita sul piano economico, cercarono innanzitutto di difendere la loro produzione, rimpatriando in maniera massiccia i crediti
erogati all’estero e improntando la politica commerciale ad un aspro
protezionismo, ben rappresentato dalla nota tariffa doganale, detta
“Harvley-Smoot”, dal nome dei due membri del Congresso che la idearono. La tariffa aumentò tutti i diritti al 50%, imponendo, cioè, severi
90
ASBI, Beneduce, cart.128, Commissione delle Riparazioni. Comitato degli esperti:
progetti e pubblicazioni varie. Si veda anche P. Baffi Le origini della cooperazione tra le
banche centrali. cit., pp.160-161.
91
ACS, SPD, C.O., fasc. 126.377, Beneduce, Rapporto del Comitato Consultivo Speciale della BRI, Dicembre 1931. Si veda inoltre G. Toniolo, Central Bank cooperation, cit.,
pp.120-127 e P. Baffi, Le origini della cooperazione tra le banche centrali. cit., p.163.
47
limiti all’import proprio nel momento di disperato bisogno per gli altri
Stati di estinguere i propri debiti in dollari attraverso le vendite sul più
ricco mercato del mondo.92
Anche i principali paesi europei adottarono politiche protezionistiche che misero sotto controllo il commercio, imponendo contingentamenti all’import, introducendo quote di permuta diretta coi partner
commerciali e facendo ampio ricorso ad accordi bilaterali e meccanismi
di clearing per regolari le transazioni economiche. Nel novembre 1931 la
Gran Bretagna impose dazi del 50% su 23 diverse categorie merceologiche, per poi fissare un canale “preferenziale” di circolazione delle
merci, in occasione della British Empire Conference di Ottawa (luglioagosto 1932). Il valore del commercio mondiale, di conseguenza, registrò una contrazione di valore del 60,9% e di volume del 26% tra 1929
e 1933; la produzione industriale, in particolare, ne risultò strangolata:
scese del 40% in Germania nel corso di quattro anni, ed in Francia, ancora nel ’38, si produceva un terzo di acciaio in meno rispetto ad un decennio prima.
I risvolti più onerosi furono, come sempre, quelli sociali: negli Stati
Uniti fu colpito dalla crisi un lavoratore su quattro, in Germania due su
cinque. Nei pochi paesi dotati di un sistema previdenziale l’assistenza
pubblica, per la scarsità di risorse di fronte ad un tale problema, cessò di
esistere. Si assistette allora alla crescita esponenziale di piccoli centri di
assistenza, organizzati da volontari, nei due continenti. Le comunità operaie tentarono invece di fare affidamento sulle proprie forze.
L’atteggiamento del governo italiano in questi mesi fu orientato, come accennato in precedenza, al perseguimento di un difficile equilibrio
tra la conservazione di un ruolo di primo piano nel novero delle potenze finanziarie internazionali, il raggiungimento di opportunità di politica
estera e la tutela degli interessi valutari e commerciali del paese.93
92
Le conseguenze più gravi si registrarono in Europa centro Orientale e L’America Latina fu, per il suo ruolo di fornitrice di materie prime agli USA, la prima ad essere colpita, e
fin dal dicembre 1929 Argentina, Uruguay (ma anche Australia) abbandonarono il corso aureo, svalutando la moneta per ridare forza all’export. Si veda C.H. Feinstein, P. Temin,
G.Toniolo, L’economia europea tra le due guerre, Bari, Laterza, 1998, pp. 95 e ss.
93
Si veda al riguardo ASBI, Direttorio Azzolini, cart.26, fasc. 1, Appunto sulla partecipazione dell’Italia alla conferenza per l’Europa Centro Orientale ed alla conferenza economica finanziaria mondiale. Sulla politica estera dell’Italia fascista in tale periodo si veda
E. Di Nolfo, Mussolini e la politica estera italiana 1919-1943, Padova, Cedam, 1960; H.
48
Tale politica è ben rappresentata nei documenti d’archivio relativi alla partecipazione italiana alla c.d. “conferenza delle quattro potenze”,
convocata dalla Società delle Nazioni nell’aprile 1932 per la risoluzione
del problema del riassetto economico e finanziario della regione danubiano-balcanica, in conseguenza della crisi internazionale.94
Il comunicato ufficiale di chiusura della conferenza, oltre ad enunciare una serie di raccomandazioni di carattere generale, ma di scarsa utilità
pratica per la ripresa economica dei paesi balcanici, terminava rinviando
la discussione del problema danubiano ad un ulteriore consesso internazionale, che fu convocato a Stresa nel settembre dello stesso anno.95
Il fallimento delle riunioni di Londra nacque sostanzialmente dal dissidio venutosi a creare in seguito alla presentazione del memorandum francese, meglio noto come “piano Tardieu”, che fu avversato in primo
luogo dalle delegazioni di Germania e Italia, e, successivamente, anche
da Chamberlain, rappresentante inglese. La tesi francese, argomentando
che la crisi dei paesi danubiani traesse origine dal fatto che fosse venuta
meno quella “unità economica” presente sotto l’impero asburgico, mirò
a ricostituire un blocco economico tra gli stati successori con la previsione di una riduzione tariffaria del 10% sul commercio interbalcanico e
della concessione di un prestito internazionale da parte delle grandi potenze, le quali sarebbero in ogni caso rimaste estranee dal governo della
politica economica dei singoli stati.96
Burgwyn, Il revisionismo fascista. La sfida di Mussolini alle grandi potenze sul Danubio e
nei Balcani, Milano, Feltrinelli, 1979.
94
Nell’aprile del 1932 fu convocata a Londra la c.d. “conferenza delle quattro potenze”,
a cui parteciparono i rappresentanti di Gran Bretagna, Italia, Francia e Germania, al fine di
trovare una soluzione al problema danubiano. Il memorandum italiano a Londra fu esposto
da Dino Grandi, Ministro degli esteri dal 1929 al 1932, prima che Mussolini assumesse in
prima persona tale incarico, nominando Sottosegretario Fulvio Suvich, nazionalista ed esponente dell’irredentismo triestino, e conferendo, così, un tono più spregiudicato alla politica
balcanica italiana. I documenti sulla partecipazione italiana alla Conferenza di Londra sono
conservati in ASBI, Beneduce, cart. 304, fasc.10, “Conferenza di Londra (quattro potenze):
questione danubiana”.
95
ASBI, Beneduce, cart.364, fasc.5, La Conferenza danubiana rinviata, in Corriere della Sera, 9/4/1932.
96
Le finalità politiche del piano Tardieu erano evidenti: la creazione di una confederazione danubiana avrebbe favorito un’egemonia economica francese da esercitarsi tramite la
concessione di prestiti e garanzie politiche. La Francia infatti possedeva ancora cospicue
riserve in oro e avrebbe facilmente potuto erogare prestiti “politici” agli stati balcanici, danneggiando allo stesso tempo, data la previsione di tariffe preferenziali per il commercio in-
49
La posizione italiana nell’estate del 1932 oscillava tra l’opposizione
alle aspirazioni francesi e il contenimento della crescente influenza tedesca in Europa Centro Orientale, la cui minaccia era stata ravvivata pochi
mesi prima dall’inatteso annuncio di un’unione doganale tra Austria e
Germania.97Nelle istruzioni di Mussolini per i delegati italiani alla Conferenza di Stresa del settembre 1932, compaiono alcune indicazioni di
grande rilevanza: in primo luogo, il capo del governo chiarì come fosse
nell’interesse italiano che le questioni relative all’Europa Orientale fossero risolte non già a Stresa, in sede separata, ma piuttosto nel contesto
della prossima conferenza economica mondiale di Londra, “per avere
un più vasto e più libero gioco nell’offerta e nell’accaparramento dei
vantaggi”.98
terbalcanico, gli interessi di Italia e Germania, che erano i principali partners commerciali
dei paesi danubiani, ma non potevano contare su una posizione finanziaria forte.
I cinque stati successori presi in considerazione dal “Piano Tardieu” (dal nome del ministro francese che lo espose a Stresa) erano l’Austria, la Romania, l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Iugoslavia). ASBI, Beneduce, cart. 343, fasc. 2, Rapport de la Conference de Stresa
pour la reconstruction economique de l’Europe Centrale et Orientale, Stresa 1932. Sullo
schema francese si veda anche J. Droz, L'Europe centrale: evolution historique de l'idee de
"Mitteleuropea”, Paris, Payot, 1960, p.252.
97
Il 21 marzo del 1931, senza alcun preavviso diplomatico, fu presentato lo schema di
unione doganale tra Austria e Germania. Il progetto aveva naturalmente notevoli implicazioni politiche e violava le disposizioni dei trattati di pace oltre che dei protocolli della Società delle Nazioni firmati in occasione del prestito del 1923, in cui venivano stabilite rigide
garanzie per l’indipendenza economica del paese. Per il punto di vista italiano si veda Ripercussioni di eventuali unioni doganali tra stati dell’Europa Centro Orientale
sull’esportazione italiana, 19/9/1931, in ASBI, Beneduce, cart.283.
98
Istruzione (di Mussolini) per i delegati alla conferenza per gli stati dell’Europa Centro Orientale, 1932, in ASBI, Beneduce, cart.343, fasc. 3. Nello stesso documento Mussolini
precisava che l’Italia avrebbe dovuto ovviamente arrivare a questa soluzione senza dare
l’impressione di voler sabotare la conferenza. Nella delegazione italiana a Stresa figuravano,
tra gli altri, G. Bianchini (presidente della Confederazione Generale Bancaria Italiana), M.
De Michelis (Ambasciatore e Senatore del Regno), M. Masi (Direttore Generale dell’Istituto
nazionale per l’Esportazione), G. Del Vecchio (rappresentante del ministero delle Finanze).
Ciò sembra confermare la tesi secondo cui il problema danubiano per l’Italia, oltre ad avere
significati autonomi, s’inserisse anche in un contesto più generale di politica estera nel quale
la sicurezza adriatica e l’influenza nel Mediterraneo Orientale rappresentavano un passo necessario per un’espansione territoriale in Africa: Mussolini intendeva coprirsi le spalle in
Europa Orientale prima di avviare le operazioni militari in Etiopia, che furono concretamente studiate proprio a partire dal 1932. In questo senso si veda E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Roma Bari, Laterza, 1994, p.145. Su tale punto si veda anche L. Iaselli, L’espansione economico finanziaria italiana nei Balcani durante il fascismo,
Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Economia, 2006,
pp.54-57.
50
Ancora una volta, dai documenti d’archivio emerge come Beneduce
fosse presente in tali consessi nelle vesti di garante degli interessi nazionali e di uomo di fiducia di Mussolini. Alla conferenza danubiana, insieme a Dino Grandi99, che condusse le trattative, Beneduce partecipò
alle numerose riunioni, anche non ufficiali, che si tennero a Londra,
presso l’Ambasciata Italiana100, ribadendo l’opposizione al piano Tardieu e, in generale, ad ogni progetto di organizzazione degli stati successori tra loro, rimarcando la mancanza di complementarità economica
tra le produzioni (essenzialmente agricole) dei paesi danubiani e il danno loro derivante dalla perdita dei clienti migliori: la Germania e
l’Italia.101 In opposizione al programma francese, la delegazione italiana
propose il ricorso ad accordi bilaterali contraddistinti dalla concessione
di dazi preferenziali nei riguardi dei prodotti agricoli, come misura necessaria alla ripresa economica della regione.102Dal punto di vista finan99
Dino Grandi (1895-1988) fu Ministro degli esteri dal 1929 fino al luglio 1932, quando, sostituito da Mussolini, fu nominato ambasciatore a Londra dal 1932 al 1939. Uomo di
grande abilità diplomatica, fu il più moderato dei gerarchi fascisti. Con Alberto Beneduce
condivise la necessità di una politica di mantenimento e consolidamento della pace e della
collaborazione tra Stati europei, assumendo un tono realistico e poco aggressivo sulle potenzialità italiana di espansione economica all’estero. Per un profilo biografico di Dino Grandi
si veda P. Nello, Dino Grandi: La formazione di un leader fascista, Bologna, Il Mulino,
1987; G. Alessandri, Il diplomatico Dino Grandi, Firenze, Zella, 2007; N. Neri, Tra rivoluzioni e protocollo. Dino Grandi diplomatico, Bari, MCI, 1997.
100
ASBI, cart.346, Conferenza danubiana rinviata. Il riferimento è alla colazione di lavoro organizzata dall’Ambasciatore Italiano a Londra, Chiaromonte Bordonaro, a cui presero parte, con Dino Grandi e Alberto Beneduce, i membri delle delegazioni tedesca, inglese e
francese, il Ministro degli esteri inglese Simon, il consulente finanziario del Foreign Office,
Leith Ross.
101
I due paesi infatti coprivano insieme oltre il 30% delle esportazioni dell’Europa Sud
Orientale, contribuendo all’assorbimento di larga parte delle principali produzioni dell’area
(bestiame, cereali, tabacco, legname, petrolio. ASBI, Beneduce, cart.364, Les relations
commerciales de certains pays europeèns avec les pays danubiens. Nel 1929 l’Italia era ad
esempio la principale importatrice in Iugoslava (soprattutto grazie alle forniture di bestiame
vivo e legname), mentre la Germania copriva oltre un quinto dell’esportazione rumena, in
virtù degli approvvigionamenti di cereali, bestiame vivo, petrolio. ASBI, Beneduce,
cart.283, Prospetti statistici dell’Istituto Nazionale per l’Esportazione sugli scambi tra
l’Italia e i paesi del Vicino Oriente. La diminuzione del commercio interbalcanico durante
gli anni della crisi (1929-1932) era stata inoltre relativamente minore a quella del commercio tra i paesi balcanici ed il resto del mondo.
102
Le raccomandazioni della conferenza danubiana rimasero tuttavia lettera morta. Una
parziale eccezione fu rappresentata dai protocolli di Roma, conclusi proprio dall’Italia con
l’Austria e l’Ungheria nel maggio del 1934. Gli accordi, che seguivano di due anni precedenti intese (c.d. trattati del Semmering), previdero la concessione di un regime preferenzia-
51
ziario, Mussolini sottolineò che l’Italia avrebbe auspicato il risanamento
della situazione monetaria ed era disponibile ad una decurtazione dei
debiti sospesi o, addirittura, ad una integrale “liquidazione del passato”.
L’assestamento finanziario dei paesi balcanici, infatti, rinnovando la loro
capacità di assorbimento dei prodotti italiani, era fondamentale per gli
obiettivi economici del regime nella regione, mentre le concessioni in
materia di debiti potevano tollerarsi data la relativamente scarsa posizione creditoria dell’Italia.103
Beneduce, nelle numerose occasioni in cui è chiamato in causa in
questo periodo, portò avanti tale strategia, coniugando le motivazioni di
opportunità politica del regime con quelle convinzioni personali espresse sin dal primo dopoguerra, che auspicavano una maggiore collaborazione economica tra le nazioni e il ritorno a una comune base monetaria. Il delegato italiano dovette comunque scontrarsi con le politiche deflazioniste poste in essere dai principali attori internazionali (Stati Uniti
e Inghilterra), costatando amaramente che “ormai la politica seguita in tutti i
paesi del mondo di una riduzione del costo del denaro [..] si sia già dimostrata inefficace a superare le difficoltà create negli scambi internazionali dalla situazione generale di preoccupazione per le divergenze politiche esistenti tra i vari paesi e per la politica di restrizione commerciale”104
L’ultimo vibrante intervento di Beneduce in una conferenza internazionale si registrò alla Conferenza Mondiale di Londra (giugno 1933),
pochi giorni dopo il rifiuto di Roosvelt di un progetto di tregua monetaria che prevedeva la stabilizzazione di dollaro, sterlina e franco ad una
le per una serie di prodotti austriaci e per il grano ungherese a fronte di agevolazione tariffarie nei riguardi delle esportazioni italiane nei due paesi. Si veda F. Guarneri, Battaglie economiche tra le due grandi guerre, Bologna, Il Mulino, 1988, volume I, pp. 264-266. I protocolli di Roma indussero solo un moderato miglioramento al valore degli scambi tra l’Italia e
i due paesi, che passarono dal 3.3% e 4% rispettivamente delle importazioni e delle esportazioni italiane nel 1929 al 5% e al 4.7% nel 1935.
103
ASBI, Beneduce, cart.343, fasc. 3, Istruzione (di Mussolini) per i delegati alla conferenza per gli stati dell’Europa Centro Orientale, 1932. Si veda anche ASBI, Direttorio Azzolini, cart.26, fasc. 1., Appunto sulla partecipazione dell’Italia alla conferenza per
l’Europa Centro Orientale ed alla conferenza economica finanziaria mondiale.
104
ASBI, Azzolini, cart. 99, Appunto di Beneduce sui lavori del Comitato Finanziario
alla Conferenza di Ginevra 2/11/1932, pubblicato in M. De Cecco, L’Italia e il sistema finanziario internazionale (1919-1936), Collana Storica della Banca d’Italia, Documenti, VI,
Roma-Bari, Laterza 1993, pp. 451 e ss.
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parità fissa).105 La critica all’operato del presidente degli Stati Uniti fu
molto aspra e si riferì all’intera politica americana negli anni compresi
tra le due guerre: “la politica americana in quest’ultimo decennio è stata caratterizzata da due formidabili indirizzi di aggressività nei confronti della politica economica degli altri paesi, ma soprattutto nei confronti della situazione del commercio
internazionale dell’Europa. Tutti conoscono le linee d’azione di questi mezzi
d’aggressione; la politica di espansione del credito da una parte, la politica di esacerbazione del protezionismo dall’altra”.
La mancata adesione americana al progetto di stabilizzazione valutaria determinò l’interruzione e il fallimento della conferenza e, più in generale, il definitivo tramonto della prospettiva di collaborazione monetaria internazionale: i paesi dell’impero britannico formalizzarono la costituzione di un’”area della sterlina”; gli Stati Uniti proseguirono nella
svalutazione competitiva del dollaro, escludendo, con il Johnson Act del
13 aprile 1934, ogni possibilità di ulteriore credito estero ai paesi europei; i paesi del “blocco dell’oro” rafforzarono la loro intesa valutaria.
Beneduce continuò a patrocinare una maggiore apertura degli scambi internazionali e una più ampia collaborazione internazionale, scorgendo i pericoli che le politiche nazionaliste degli anni Trenta effettivamente avrebbero recato al mondo pochi anni più tardi; questi concetti
vennero espressi efficacemente in occasione della V relazione annuale
all’assemblea della Banca dei Regolamenti Internazionali, presentata nel
1935: “la condotta quotidiana degli affari … è resa difficile o impossibile dai mutevoli valori del cambio che presentano talune monete e specialmente talune tra le più
importanti;106 i cambiamenti delle tariffe doganali, i contingentamenti, gli accordi di
compensazione, le restrizioni dei cambi, sono tutti provvedimenti che tendono a
105
L’accordo prevedeva una stabilizzazione del dollaro a 4 $ con la sterlina e a 4,8 cent
col franco (in base alle quotazioni del 31/5/1933), oltre all’impegno reciproco delle tre banche centrali di sostenere a vicenda le loro valute. Le speculazioni sul dollaro e la discesa dei
titoli e delle materie prime americane che ne derivò, indussero Roosvelt a respingere la versione definitiva dell’accordo. Si veda al riguardo C.P. Kindleberger, Storia della finanza
nell’Europa Occidentale, Roma-Bari, Laterza, 1987, p.523.
106
La sterlina abbandonò il gold exchange standard nel 1931; il dollaro fu svalutato due
anni più tardi. Sulle crisi monetarie degli anni trenta si veda C.P. Kindleberger, Storia della
finanza nell’Europa Occidentale, Roma-Bari, Laterza, 1987, p.510 e ss; P. Temin, Lessons
from Great Depression, MIT Press, Boston, 1989.
53
strozzare lo scambio internazionale di merci, servizi e capitali e sono gli inevitabili
fattori concomitanti della disordinata situazione monetaria”.107
A partire dalla metà degli anni Trenta, il progressivo isolamento finanziario internazionale dell’Italia e il peggioramento delle condizioni di
salute impedirono a Beneduce di partecipare ad ulteriori occasioni di
incontro o studio sulla scena internazionale. Nelle interviste e nelle occasioni pubbliche in cui l’economista casertano si pronunciò su avvenimenti di respiro internazionale108, si limitò ad esprimere giudizi in cui si
ravvisa una sostanziale adesione alla politica di Mussolini, nei confronti
del quale, negli ultimi anni della vita pubblica, espresse più volte sentimenti di sincera gratitudine per il livello di potere e considerazione a cui
giunse negli anni del regime109. Livello di potere, che per durata e ampiezza, non è paragonabile a quello dei Governatori della Banca d’Italia
o dei Ministri delle Finanze alternatisi nello stesso periodo.
In conclusione, analizzando l’attività internazionale di Alberto Beneduce nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, appare evidente
la rilevanza assunta dall’italiano nella comunità di esperti internazionali
del tempo, pur in presenza di un ruolo subalterno dell’Italia nel sistema
finanziario internazionale. Dai documenti d’archivio esaminati, in particolare, emerge la comprensione da parte di Beneduce dell’elevata politicizzazione dei rapporti finanziari internazionali del dopoguerra, la critica alla politica economica delle principali potenze, in primo luogo degli
Stati Uniti, nonché una visione premonitrice del fragile equilibrio del
sistema monetario, in assenza di un meccanismo di collaborazione tra
banche centrali che sarà applicato solo a partire dal secondo dopoguerra.
La grande depressione e la crisi del gold standard determinarono un
profondo impatto sulla funzione delle istituzioni monetarie, cancellando
107
ASBI, Beneduce, cart.94, Quinta relazione annuale all’assemblea della BRI, presentata da Beneduce il 13/5/1935 a Basilea.
108
Si vedano, ad esempio, i commenti di Beneduce sulla guerra d’Etiopia, riportati in A.
Pirelli, Taccuini 1922-1943,Bologna, Il Mulino, 1984.
109
Per un esame della corrispondenza tra Beneduce e Mussolini si rimanda ai documenti
conservati in ACS, SPD, carteggio riservato, fascicolo Beneduce. Nell’autunno del 1936
Beneduce fu ricoverato per sclerosi renale ed emorragia meningea a Milano. Ripresosi solo
parzialmente nei mesi successivi, Beneduce avrebbe gradualmente dismesso le principali
cariche pubbliche e qualifiche sociali che rivestiva in molte società anonime italiane.
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d’un colpo la visione tradizionale dell’equilibrio perfetto e
dell’indipendenza dal potere politico del sistema a cambio aureo. Nel
periodo compreso tra le due guerre mondiali si verificò prima il graduale passaggio da un sistema monetario “automatico” a un sistema “manovrato” dalle banche centrali e, in secondo luogo, prende corpo il dibattito sul definitivo passaggio da un commodity standard a un fiat money
standard che si realizzerà pienamente con gli accordi di Bretton Woods.110 Il contributo profondamente innovativo di Beneduce al dibattito
sulle istituzioni monetarie tra le due guerre mondiali, sta nell’aver anticipato, ancor prima di Keynes, una visione di un sistema monetario sufficientemente flessibile per il conseguimento di obiettivi interni di politica economica. L’idea della necessità di un managed system, che superasse
i limiti del tallone aureo; il riconoscimento di un’autorità monetaria sovranazionale; l’esigenza di monitorare i movimenti internazionali di capitali; la necessità di prevedere delle “bande di oscillazione” intorno alle
parità delle valute nazionali, sono tutti elementi fondamentali nel futuro
sviluppo del sistema monetario internazionale del Novecento, che sarebbero stati ripresi a Bretton Woods nel 1944.
Il coinvolgimento politico ed economico delle masse nel progresso
industriale dello Stato, la collaborazione internazionale tra le nazioni,
l’attenzione nei riguardi dei vincoli dettati dalla politica sociale interna
alle scelte di politica economica all’estero, costituiscono gli aspetti fondamentali dell’istanza sociale, mutuata dall’esperienza socialista e massonica, che Beneduce riversò anche nel suo impegno sulla scena internazionale.
Infine, appare significativo evidenziare la costante conciliazione tra il
contributo tecnico dato alla risoluzione dei problemi internazionali e gli
interessi del proprio paese, secondo l’ideale ottocentesco di servitore
dello Stato, che ritiene il regime politico una sovrastruttura rispetto
all’azione volta ad indirizzare lo sviluppo economico della nazione verso un percorso di modernità ed innovazione.
110
Si veda in tal senso F. Cesarano, Gli accordi di Bretton Woods. La costituzione di un
ordine monetario internazionale, in Collana Storica della Banca d’Italia, Contributi, vol. IX,
Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 23-43.
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Fonti archivistiche
Archivio storico della Banca d’Italia:
Fondo “Beneduce” (cartelle,18, 20, 44, 50, 51, 73,75, 81,
82, 83, 84, 86, 93, 101,107,109,127, 131,147, 304, 323, 342
364, 379, 380); Carte Stringher, Fondo “Direttorio Azzolini”, Fondo “Rapporti con l’Estero”.
Archivio storico del Crediop e dell’Icipu:
Fondo “Affari generali” (cartella A.G.1).
Fondo “Titoli” (cartelle T.1, T.2, T.3, T.4, T.5).
Fondo “Mutui” (cartelle M.1, M.2).
Archivio Centrale dello Stato:
Carte Volpi; Fondo “Segreteria Particolare del Duce”- carteggio riservato (fasc. “Beneduce”); Fondo “Segreteria
Particolare del Duce”- carteggio ordinario (fasc. 517.356,
126.377, 209.065).
Archivio storico elettronico dell’IRI:
Numerazione Nera: Istituti bancari; Pratiche Generali.
Archivio di Stato di Caserta:
Fondo Prefettura-gabinetto (fasc. 3610-2045-2046-16231686).
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