Voce 8 Gennaio.qxd - Partito Repubblicano Italiano

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Voce 8 Gennaio.qxd - Partito Repubblicano Italiano
QUOTIDIANO DEL PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO - ANNO LXXXVII - N° 4 - MARTEDI 8 GENNAIO 2008 Euro 1,00
NUOVA SERIE POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB (RM)
CRISI GRAVISSIMA
Da Lamberto Dini
un’iniziativa politica
utile per il Paese
L’
Italia ha
iniziato il
n u o v o
anno nelle condizioni peggiori. Con una
situazione drammatica a Napoli e in
Campania che non
trova
precedenti
nelle altre nazioni
occidentali e che discredita l’immagine
del nostro paese,
oltre che penalizzare
le condizioni di vita
di tanti nostri connazionali. Ma vi è
anche una situazione
inflazionistica particolarmente esposta.
Al rincaro dei combustibili
dovuto
all’aumento
del
prezzo del petrolio,
si aggiunge quello
dei generi di prima
necessità, come il
pane. I mercati infatti si sono aperti, la
competizione
è
diventata molto più
incalzante e molti
nostri prodotti, per
reggere, dovrebbero
ricorrere a tecnologie ogm: ma la cosa,
come sappiamo, è
dibattuta e ostacolata. In questo modo il
pane costerà come le
brioche: ma sappiamo da esempi storici
che questo non è un
buon segno.
L’unica
iniziativa
politica che appare
preoccupata dall’esigenza di rilanciare la
vita nazionale è quella che il leader dei
liberaldemocratici,
Lamberto Dini, ha
esposto con un articolo sul “Corriere della
Sera”. Dini ha rivolto
al governo una serie
di richieste che indicano un percorso che
occorrerà intraprendere al più presto se
si vuole arrestare la
minaccia di un declino che oggi appare
sempre più tangibile.
Le richieste sono per
larga parte da noi
condivisibili, quando
non sono addirittura come nel caso della
necessità di abolire le
province - temi classici dell’impostazione repubblicana. Su
altre occorre discutere e qualche altra proposta andrebbe inserita per facilitare la
modernizzazione del
paese.
Ma la domanda che ci
poniamo,
e
che
poniamo al senatore
Dini, è un’altra. Può
l’attuale governo, un
governo nel quale come ha scritto egli
stesso - “chi è incaricato di alte funzioni
politiche” è ciò nonostante capace di
“perdere la precisa
cognizione della realtà”, essere in grado di
compiere i passi
necessari per risalire
la china?
Sinceramente, alla
luce di quanto visto
anche in questi ultimi
giorni, ne dubitiamo.
E se avessimo ragione, se il programma
comunque di buon
senso indicato da
Dini fosse disatteso –
nella maggioranza si
sostiene infatti che il
programma di governo c’è già e che Dini
sostanzialmente deve
tacere ed obbedire –
cosa intende fare l’ex
premier?
Abbiamo tutta l’intenzione di vedere le
sue carte e di iniziare
un percorso finalizzato a superare l’attuale
quadro politico che,
nella nostra valutazione, ha dimostrato
ampiamente di non
avere né le energie,
né le risorse per uscire da questa situazione. Ma il senatore
Dini è pronto a trarre
tutte le conseguenze
necessarie dalla sua
iniziativa
politica?
Ancora scontri a Pianura Il sindaco di Napoli: Prodi sapeva almeno da un anno
La Iervolino attacca il premier
I
l sindaco del capoluogo campano, Rosa Russo Iervolino, attacca Prodi. “Sento di essere rispettosa istituzionalmente, ma al presidente del Consiglio Romano Prodi la possibilità di giungere
a una situazione del genere era stata prospettata l’11 gennaio del 2007, durante una riunione
fatta a Castel dell’Ovo dopo una lunga e particolareggiata relazione del commissario governativo di
allora, Guido Bertolaso. Stranamente questa riunione non ha avuto ricadute”. “Dopodiché - prosegue
- c’è stato un decreto legge del Governo, convertito in legge, che individuava alcuni siti che stranamente non sono stati aperti. Non voglio dire che ho fatto tutto in modo perfetto, ma la responsabilità è legata ai poteri che si hanno. Non posso essere responsabile di cose per la quali non ho mai avuto
il potere, né io, né prima di me Riccardo Marone, né Bassolino”.
USA, OBAMA IN VANTAGGIO
NEW HAMPSHIRE
NEL
La candidata democratica alla presidenza
Usa Hillary Clinton si è battuta per rimanere in vantaggio nel decisivo turno del New
Hampshire. Ma, secondo nuovi sondaggi,
sarebbe Barack Obama, già vincitore nello
Iowa, a raccogliere più consensi .Le primarie del New Hampshire sono il prossimo
campo di battaglia nel processo di scelta,
stato per stato, dei candidati democratici e
repubblicani in vista delle elezioni di
novembre.
MEDIORIENTE, AL QAEDA MINACCIA
BUSH; LA CASA BIANCA NON SI
PREOCCUPA
La Casa Bianca non prende sul serio le
minacce di morte di al Qaeda contro George
W. Bush in occasione del suo imminente
viaggio in Medio Oriente: “Non sono in
grado di offrire altro che morte e violenza”,
contro “la speranza offerta” dal presidente,
“a quanti cercano una vita migliore”. Adam
Gadahn, lo statunitense convertito all’Islam
ritenuto l’esperto informatico di al Qaeda,
con un lungo messaggio sul web aveva
esortato i miliziani musulmani a preparare
le “bombe” per l’arrivo di George W. Bush
in Medio Oriente, dall’8 al 16 gennaio.
SRY LANKA, NUOVI
EUGENIO FUSIGNANI: ABORTO,
UNA DISCUSSIONE CHE CI DISTRAE
DA ALTRI TEMI.
A pag. 4
L
a Direzione nazionale del Pri, riunitasi
il 7 gennaio 2008, esprime grande
preoccupazione per le prospettive più
immediate della situazione economica e sociale
dell’Italia. Le vicende di Napoli non sono un
incidente occasionale, ma rappresentano il frutto di una serie di errori che riguardano sia gli
amministratori regionali e locali, sia esponenti
di governo quale il ministro dell’Ambiente
Pecoraro Scanio. Problemi da troppo tempo non
risolti che precipitano in una situazione di emergenza alla quale risulta quasi impossibile dare
una risposta adeguata.
La crisi, ieri circoscritta ai soli problemi della
finanza pubblica, rischia ora di incidere sugli
equilibri economici più complessivi. Cresce il
tasso di inflazione sulla spinta di fenomeni internazionali (petrolio e generi alimentari) che sfuggono al controllo dei singoli stati nazionali. Ne
soffrono i ceti meno abbienti, mentre aumenta il
senso di precarietà e pessimismo dei cittadini e
degli operatori economici. L’Italia deve riprendere il cammino dello sviluppo, grazie ad un
impegno collettivo in grado di conseguirlo.
In questo contesto, la direzione del Pri valuta
positivamente l’iniziativa politica di Lamberto
Dini. Si tratta di un primo passo, un inizio per
sviluppare una discussione più approfondita
sulla base della quale tentare di prefigurare un
assetto politico dell’Italia finalmente capace di
rovesciare le attuali tendenze esorcizzando lo
spettro di un suo incombente declino.
Al di là della proposta Franceschini Intervento mirato a rafforzare la leadership Pd
Il sistema francese e la governabilità italiana
di Italico Santoro
M
a che succede al Partito democratico? Dopo la proposta di riforma elettorale (e costituzionale) di
Franceschini, la dura replica di D’Alema, l’intervento di Veltroni e, da ultimo, le dichiarazioni di Bettini, si ha l’impressione che il gruppo dirigente del nuovo partito abbia perduto
la bussola.
Potremmo anche concludere che è in atto uno scontro di potere e
chiudere qui il discorso. Ma sarebbe un’analisi ingiusta e superficiale, anche se – come è inevitabile in politica – tale scontro non
è estraneo al dibattito in corso. Cerchiamo allora di capire quali
siano i reali motivi del conflitto aperto da Franceschini con la sua
proposta e quale sia la reale posta in gioco.
Non abbiamo granché apprezzato l’opera di Veltroni come sindaco di Roma. Né la sua permanenza al vertice dei Democratici di
sinistra fu di quelle destinate a lasciare il segno. Ma ci sono occasioni – come si suol dire – che creano le leadership; ed è quello
che sta avvenendo probabilmente a Veltroni da quando il plebiscito ottenuto alle primarie ne ha legittimato la guida del Pd.
Da quel momento, sia pure fra innumerevoli contraddizioni e
ripiegamenti, il nuovo segretario ha perseguito un disegno
ambizioso: fare del Partito
democratico una forza politica a vocazione maggioritaria. Questo disegno apre
di fatto, all’interno del centrosinistra, un triplice fronall’onorevole Sergio D’Elia, Presidente di “Nessuno
te conflittuale: con la sinitocchi Caino”, ci aspettiamo un tempestivo e tonante
stra radicale; con i partiti
appello a che “nessuno tocchi Bassolino”.
Non perché non sia il maggiore responsabile della tragedia che
minori e i gruppi che, nello
sta travolgendo Napoli e la Campania, ma perché i molti soggetti
stesso Pd, puntano alla
politici e istituzionali, di destra e di sinistra, che lo hanno sostericostruzione di un centro
nuto e ne hanno condiviso scelte, pasticci ed omissioni tentano
cattolico; e, infine e ineviora di farne il capro espiatorio da sacrificare. Una esecuzione
tabilmente, con Prodi, che
esemplare, solenne e traumatica come rito purificatore e, sopratper salvaguardare la tenuta
tutto, come pietra tombale su tutto il passato: mancata costruziodel suo governo è costretto
ne dei termovalorizzatori; assunzione di migliaia di netturbini
ad essere lo zelante custode
con mal di schiena e conseguente inabilità al lavoro; assunzione
degli attuali e compositi
improduttiva di migliaia di lavoratori “socialmente utili”; manequilibri di centrosinistra.
cata apertura di nuove discariche. E poi commissari inerti e
superpagati, enti inutili costati centinaia di migliaia di euro, conI segnali di questo triplice
sulenze miliardarie etc. Pecoraro Scanio, Rosa Russo Jervolino,
conflitto si sono avvertiti
l’intero gruppo dirigente dei DS, destra sociale e sinistra ribelle,
subito, già all’indomani
la signora Lonardo, sindacalisti vari, cardinali e vescovi sappiadella elezione di Veltroni
no che non basterà la testa di Bassolino a cancellare la loro comalla segreteria del Partito
partecipazione attiva e compiaciuta a questi ultimi dieci anni di
democratico, e da allora si
degradante storia napoletana.
sono ripresentati in vario
modo. Fino alla proposta
Candide
dirompente
di
Nel migliore dei mondi possibili
D
SCONTRI
In scontri nel nord del paese sono morti
sette ribelli delle Tigri Tamil, che rivendicano l’istituzione di uno stato indipendente in Sri Lanka. Lo riferiscono fonti
militari. Sale così a 73 il numero delle
vittime delle violenze registrate da sabato
in una escalation del conflitto che contrappone da 25 anni indipendentisti ed
esercito. I soldati hanno distrutto tre bunker utilizzati dai ribelli nella penisola di
Jaffna, nel nord.
Documento della Dn Pri
Franceschini. Che proprio dirompente non è: rappresenta solo
la naturale e per certi versi prevedibile risposta a chi ha cercato nei mesi scorsi di ridimensionare, di annacquare o addirittura di compromettere definitivamente il disegno politico di
Veltroni (e con esso anche la sua leadership nel Partito democratico).
Il tema dell’assetto istituzionale del paese (e in questo contesto della legge elettorale) non è infatti di quelli che possano
essere considerati neutrali per chi voglia fare del maggior partito di centrosinistra una forza politica a vocazione maggioritaria. Il dibattito tra il sistema tedesco e quello francese – i due
poli estremi fra i quali oscillano le attuali proposte di riforma
- può apparire ai più astratto ed inconcludente, ma è dall’adozione dell’uno o dell’altro (o dall’equilibrio che tra l’uno e
l’altro sarà definito) che verranno determinati gli assetti politici dei prossimi anni.
Con il sistema tedesco il Partito democratico dovrebbe venire
a patti – sulla sua sinistra o sulla sua destra – con i partiti che
dovessero superare lo sbarramento (del cinque per cento?).
C’è di più. Il Pd rischierebbe addirittura di implodere in seguito alla formazione di un partito di centro, di ispirazione cattolica, che finirebbe per calamitare voti e dirigenti attualmente
orientati verso il Partito democratico. Con il sistema francese
– o con una sua variante comunque maggioritaria – il Partito
democratico si imporrebbe invece come uno dei due poli, frantumando le velleità dei neocentristi o le ambizioni della sinistra radicale. Ne sono evidente conferma, proprio in Francia,
la rapida eclisse di Bayrou o la sostanziale scomparsa della
galassia comunista e verde.
Tutto questo, alla fine, potrebbe riguardarci poco. E potrebbe
avere scarsa importanza per forze politiche come la nostra che
non hanno mai nutrito particolare interesse per i meccanismi
elettorali. E d’altra parte un partito sopravvissuto a ben altre
intemperie della storia può anche trascurare gli accidenti della
cronaca. Il punto è, però, che tutto il dibattito in corso – e l’esito che ne scaturirà – hanno a che fare con la governabilità
del paese (che è cosa diversa dalla stabilità dei governi). E una
riedizione, magari ripulita dal sistema tedesco, dell’esperienza fallimentare dell’Unione, con la sua frammentazione e con
i pesanti condizionamenti della sinistra radicale, non sarebbe
di certo utile ad una Italia già in crisi. E non sarebbe utile a
prescindere dalla collocazione del Pd, che sia in maggioranza
o si trovi all’opposizione.
E’ perciò che lo sforzo di Veltroni va sostenuto e, magari, stimolato. Tre fronti interni contro cui combattere sono forse
troppi, e può essere che da questa battaglia il sindaco di Roma
esca sconfitto. Ma è bene sapere, fin d’ora, che la sua sconfitta sarà la Waterloo della sinistra. E un’occasione perduta per
il paese.
Rifiuti e classe dirigente
Ora il centrosinistra
si assuma tutte le
sue responsabilità
L
a responsabilità personale
è quella che viene stabilita
nei tribunali. Quella politica, invece, vive nei fatti, negli accadimenti della vita quotidiana. Il
presidente della Regione Campania
Antonio Bassolino, il sindaco di
Napoli Rosa Russo Iervolino e il
presidente della provincia Dino Di
Palma hanno un bel dire nello scaricare le responsabilità dell’emergenza rifiuti che devasta in questi
giorni il territorio campano sulle
spalle della gestione commissariale
e quindi di organismi insediati dal
ministero dell’Interno. Può anche
essere vero, come ha detto la
Iervolino, che si è soli e senza poteri nell’affrontare il disastro ambientale. Ma questo non esime la classe
dirigente napoletana, una classe
dirigente interamente di centrosinistra (un concetto mai abbastanza
amplificato
dall’informazione,
soprattutto quella pubblica, probabilmente timorosa di disturbare il
governo), dall’assunzione delle
proprie responsabilità politiche. A
maggior ragione se la propria carriera politica, quella di Bassolino e
soci, è stata costruita sull’idea che
la sinistra campana rappresentasse
il nuovo, la legalità, la democrazia,
la partecipazione popolare. Mentre
dall’altra parte, nel centrodestra,
vivevano la corruzione, i rapporti
clientelari, i fantasmi della Prima
Repubblica. I quindici anni di potere bassoliniano, dal 1993 ad oggi,
uniformemente spalmati su tutta la
regione affondano oggi sotto caterve di immondizia. E con essi scompare anche l’idea della diversità
antropologica della sinistra, viene
cancellata la questione morale, che
veniva ancora riproposta alle
comunali napoletane del 2006,
quando la Iervolino gridava allarmata alle infiltrazioni camorristiche
nel centrodestra. Per poi scoprire, a
urne aperte, che l’Unione nei quartieri a più alta densità criminale,
come la periferia orientale, aveva
riportato
percentuali
anche
dell’80%. Più di Siena, più di
Modena. Bassolino e i suoi uomini
ancora tentano una difesa disperata
richiamandosi a un comune senso
di responsabilità che dovrebbe
garantire alla sua giunta altri due
anni di manovra clientelare indisturbata. Dicono che se vanno via
loro arriva la camorra. E’ il
momento di denunciare questa
grande mascherata, questo immenso alibi: se la camorra opera nel settore dei rifiuti non fa altro che attingere a una greppia che già esiste,
evidentemente mantenuta dal
governo campano. Con i soldi piovuti in questi anni in Regione si
poteva trasformare la Campania in
un giardino e Napoli essere pulita
come una città svedese. Se così non
è la colpa è di chi ha amministrato
gli enti locali. Se Bassolino ama
Napoli dovrebbe dimettersi, sgombrando il campo, oltre che dai rifiuti, dal suo oppressivo centro di
gestione del potere. Come dovrebbe
dimettersi
il
ministro
dell’Ambiente, il campano Alfonso
Pecoraro Scanio, l’uomo dal sorriso stereotipato che da anni, in nome
di un ambientalismo di facciata,
blocca la costruzione dei termovalorizzatori, preferendo i cumuli di
immondizia nelle strade (e la diossina nell’aria).
2 LA VOCE REPUBBLICANA
Martedì 8 gennaio 2008
economia
Il purgatorio dell’informazione di Gutenberg = = = = = = = = = = = = = =
Per Sandro Curzi il canone Rai è assolutamente intoccabile
In cambio promette una televisione che sarà “competente”
Campare ignorando il mercato
I
l sempre sorridente Sandro Curzi, scivolato dalla pensione al consiglio di amministrazione della Rai, dopo aver
diretto per anni con allegria un telegiornale, che, chissà
perché (?) era soprannominato Telekabul, si indigna, ma con
pacatezza, perché qualche collega “sul più grande quotidiano
italiano” ha avanzato la proposta, di fronte ai noiosi palinsesti
della Rai, di non pagare più il canone. Bisogna perdonarli,
questi ragazzi, sorride Curzi, non sanno quello che fanno, anzi,
non sanno quello che dicono. Se un medico sbaglia, è il caso di
rifiutarsi di pagare il servizio sanitario nazionale? Se un articolo di giornale non ci piace, è il caso di rifiutarsi di pagare le
tasse, perché con quelle si assicurano anche i contributi di
sostegno alla stampa? La risposta, per il nostro, è ovvia: no.
Dal sillogismo curziano si ricava che no, non è possibile neanche pensare di non pagare il canone Rai. I programmi televisivi ci annoiano? Di Sanremo in tv non ne possiamo più?
Troviamo Santoro insopportabile? Pazienza! Il canone si paga,
perchè serve a sostenere il servizio pubblico. Già, se c’è una
cosa nel bel Paese che non può minimamente essere messa in
discussione, questa è il servizio pubblico radiotelevisivo.
Potete mettere tutto in discussione, ma non l’inutile e costoso
servizio pubblico dell’informazione. Che questo faccia un po’
schifo se ne è accorto però anche Curzi, il quale ha una sua
ricetta: la competenza, creare una rete (pubblica) della competenza.
“La Rai – ha scritto- ha bisogno come il pane di una rete della
competenza”. Bravo. Ma come deve essere una rete della competenza? Ecco la risposta “una rete di stile e metodo… con
dentro una fiction competente, cioè fatta con competenza…
un’informazione regionale che mi dica al mattino se al pomeriggio piove… con dentro una
comicità che faccia ridere… e con
dentro perfino le belle donne, perIl canone televisivo
ché anche la seduzione è compesi deve pagare: lo dice
tenza”. Chiaro? Limpido. Viva la
Sandro Curzi. Che però
competenza! Ma, ci scuserà
pensa ad una tv che sia
Curzi, non vorremmo passare da
competente. Ma non
incompetenti, questa rete della
sappiamo in base a
competenza è una rete in più che
quali parametri
si aggiunge alle altre tre? O è una
delle tre già esistenti? E, comunque vada, delle altre reti, che sempre per il sillogismo curziano sarebbero a questo punto incompetenti, che ne facciamo? Le buttiamo o le teniamo? Ma l’interrogativo che più ci assilla è un altro. Chi stabilisce nel servizio pubblico la competenza? Nei casi normali, è il mercato,
ma con il servizio pubblico non c’è mercato. E allora? Siamo
certi che Curzi sa bene chi, nella sua visione, è abilitato a stabilire le competenze, ma non ce lo dirà.
Intervista di Lanfranco Palazzolo
Furio Colombo, senatore Pd, ritiene che, rispetto a Hillary,
Obama rappresenti meglio la fiducia degli Usa nel futuro
La Clinton e il peso del passato
O
bama rappresenta la speranza del futuro. Lo pensa il
Senatore del Partito democratico Furio Colombo a proposito delle elezioni primarie nel Pd americano.
Senatore Colombo, cosa pensa della rimonta di Obama su
Hillary Clinton?
“Non parlerei di rimonta, quanto di
affermazione di Obama. Questa
dell’Iowa è stata la prima prova elet“Ritengo che il limite
torale – pur con il modello del caucus
per Hillary Clinton sia
– nella quale i due sfidanti si sono
quello di appartenere
affrontati. La prova nell’Iowa non ha
ad una politica troppo
il rigore delle prove successive, come
ancorata al passato.
quella del New Hampshire, dove il
Mentre Obama incarna
voto viene scritto sulla scheda. Molti
le speranze degli Usa”
osservatori americani avevano fatto
delle osservazioni positive sulla solidità della candidatura di Obama.
Anche io ho una grande simpatia per Obama”.
Pensa che Obama sia stato più coerente di Hillary?
“Obama ha votato contro la guerra in Iraq, quando non era popolare
farlo per l’80 per cento degli americani. A mio avviso il candidato
democratico aveva visto l’errore di questa scelta e ha votato contro,
da senatore che deve rappresentare gli elettori americani. Inoltre
Obama non ha mai cambiato questa posizione, anche quando Bush è
diventato più popolare per quella scelta - prima di cadere nei sondaggi. Possiamo definirlo un kennedyano perché si è ispirato ad una
filosofia che JFK aveva espresso nel suo bellissimo libro dal titolo
‘Ritratti del coraggio’. Si tratta dei ritratti di 20 americani che –
secondo JFK – erano stati grandi perché avevano saputo prendere
decisioni impopolari. Questa è la qualità tipicamente kennedyana di
Obama. La seconda qualità è di non essersi trasformato in un rivendicatore della causa nera, ma di aver fatto le primarie con toni
costruttivi e di speranza”.
L’insuccesso di Hillary nello Iowa sfata il mito del candidato
“ricco” e vincente?
“Assolutamente no. Obama, giovane politico carismatico, ha raccolto tanti milioni di dollari quanti ne ha raccolti Hillary. Gli elettori
americani danno e poi chiedono ai politici che sostengono. I contributi degli elettori servono agli spot televisivi. Qui i costi sono
immensi e i candidati pagano la tariffa piena perché non possiedono
televisioni. Il valore di quel che danno ha a che vedere con il risultato finale delle primarie”.
Cosa pensa della candidatura di Hillary Clinton?
“Hillary è sulla scena politica con onore da molto tempo. Ha il merito di avere proposto il piano di copertura sanitaria per tutti gli americani. Il piano era suo e non era del marito. Negli Usa sono 40 milioni le persone escluse dal piano sanitario, secondo quanto sostiene l’economista Paul Krugman. Il limite di Hillary è il suo senso di appartenenza al passato. Gli americani sono ottimisti per natura e amano il
futuro. Gli americani hanno apprezzato Bill Clinton, ma preferiscono
il futuro. E con Obama arriva il futuro”.
OCCUPAZIONE GIOVANILE:
MALE L’ITALIA
fatti e fattacci
I
l conflitto religioso
in nome della
Chiesa Anglicana.
In Gran Bretagna i fondamentalisti islamici spadroneggiano sempre più e
hanno ormai preso il controllo di intere zone abitate dove i non musulmani
non mettono nemmeno
piede per paura di essere
“fisicamente attaccati”.
Lo ha denunciato domenica un vescovo anglicano
di spicco, che ha così
rilanciato il dibattito sul
ruolo della religione fondata da Maometto in un
paese di forti tradizioni
cristiane.Vescovo di
Rochester, il reverendo
Michael Nazir-Ali è di origine pakistana e in un
articolo pubblicato dal
domenicale “Sunday
Telegraph” avverte che gli
estremisti musulmani
sono all’offensiva su scala
mondiale e in Gran
Bretagna stanno ormai
imponendo un “carattere
islamico” a certe aree
urbane: estendono al di là
del necessario gli appelli
alla preghiera lanciati dai
megafoni delle moschee,
quando possono usano la
sharia come sistema
legale per la risoluzione
delle dispute all’interno
della loro comunità e
hanno atteggiamenti
minacciosi nei confronti
degli “infedeli”. Unico
vescovo della Church of
England con sangue asiatico nelle vene, il reverendo Nazir-Ali non ha precisato quali zone del Regno
Unito siano diventate “off
limits” per i non-musulmani. A suo avviso è stato
incoraggiato lo sviluppo di
una società multireligiosa
e multiculturale che mina
lo status di fede nazionale attribuito alla chiesa
anglicana e più in generale al cristianesimo.
Secondo il “Sunday
Telegraph” il vescovo di
Rochester ha avuto il
coraggio di dire pubblicamente quello che al vertice della gerarchia anglicana pensano in molti, e
cioè che l’immigrazione
incontrollata sta distruggendo progressivamente
l’identità cristiana del
Regno Unito. Per il vescovo il multiculturalismo
praticato da politici
“senza visione morale e
spirituale” si è rivelato
pernicioso perché ha contribuito a “profonde divisioni” nella società e ha
di fatto incoraggiato una
tendenza delle varie
comunità all’autosegregazione. Ogni comunità
etnica sembra aspirare a
vivere da sola, in particolare i seguaci di Allah che
attualmente in Gran
Bretagna sono almeno un
milione e ottocentomila.
La filippica del vescovo
anglicano non è piaciuta
né al governo laburista di
Gordon Brown né ai leader della comunità islamica britannica. Downing
Street ha opposto un
gelido “no comment”. Il
“Muslim Council of
Britan” ha accusato il
reverendo Nazir-Ali di
aver detto “cose insensate”, senza nemmeno una
briciola di prove a supporto. Persino i conservatori, principale forza di
opposizione e piuttosto
sanguigni quando si discute di immigrazione e
di Islam, hanno indicato
per bocca del ministroombra degli Esteri
William Hague che il
vescovo di Rochester
“probabilmente c’è
andato giù troppo
duro”. E la serie dei
commenti politici, forse
per paura di ritorsioni, è
finita subito.
Disoccupazione giovanile in Italia
tra le più alte dell’Ue: a settembre il
tasso degli under 25 senza lavoro era
al 20,2%. Vanno peggio solo la
Grecia (22,6%) che si piazza al
primo posto, la Romania (21,0%) e
la Polonia (20,5%). Agli ultimi posti
per disoccupazione giovanile, invece, l’Olanda (5,4%) e l’Austria
(8,3%). Francia e Germania hanno
invece messo a segno rispettivamente il 18,4% e il 10,8%.
UE A 13: PREZZI
PRODUZIONE +0, 8%
L’indice dei prezzi alla produzione industriale nella zona euro è
cresciuto dello 0,8% in novembre
rispetto al mese precedente.
L’incremento è stato dell’1,1%
nell’intera Ue, dello 0,9% in
Italia. Rispetto al novembre del
2006 i prezzi sono quindi cresciuti del 4,1% nell’eurozona e
del 4,2% nel’Ue-27. Gli incrementi più forti si registrano nel
settore dell’energia, soprattutto
per il caro-petrolio.
primo piano
E’
confortante sapere
che vi sarà un confronto no stop del governo
con il sindacato per evitare lo sciopero generale. Lo hanno chiesto
Cgil, Cisl e Uil. E puntualmente il
ministro del Lavoro Cesare
Damiano ha chinato la testa. Ma il
calendario non è sufficiente. Come
ha spiegato Bonanni,“noi attendiamo, già con le prime risposte, una
disponibilità del governo ad
aumentare le detrazioni per i lavoratori dipendenti, in maniera rafforzata per chi ha figli e disabili, a
defiscalizzare il salario di secondo
livello e in prospettiva a ridurre le
aliquote Irpef.Altrimenti lo sciopero
sarà inevitabile”.Visti i conti presentati dal ministro dell’Economia,
vorremmo capire come ne uscirà il
governo: se facendo saltare i bilanci
o il sistema nervoso dei lavoratori.
&
a n a l i s i
Subito riforme contro
un’Italia in serie “B”
C
omincia il conto alla rovescia per
la legge elettorale. Da questa settimana al Senato, in commissione
Affari Costituzionali, parte la corsa contro il
tempo per approvare la nuova legge. Dando
per scontato il via libera della Corte
Costituzionale ai quesiti referendari, tra il 16 e
il 18 gennaio, resteranno un pugno di mesi per
avere quel sì del Parlamento che eviti la consultazione referendaria. Anche fossero archiLA VOCE REPUBBLICANA
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integrazioni”.
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viate le proposte presidenzialiste di Veltroni e
Franceschini, la discussione riprenderà dalla
bozza presentata dal presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato: è il
testo che finora è riuscito a raccogliere il consenso di un ampio ventaglio di forze. A chiedere al Parlamento una “stretta”, ripartendo
proprio dal lavoro fin qui condotto in commissione, è il presidente del Senato Marini, che in
un’intervista al “Messaggero” ha riproposto il
“patto per le Riforme” come unica possibilità
per evitare all’Italia la “serie B”.
Che il clima sia favorevole per una ripresa della
bozza Bianco è confermato anche dall’atteggiamento di Forza Italia e del Pd. Sandro Bondi
osserva che la strada del dialogo “non ha alternative” e aggiunge che perdere l’occasione
sarebbe “imperdonabile”. Il vice coordinatore
azzurro Fabrizio Cicchitto spiega che il doppio
turno alla francese richiederebbe una vasta
opera di revisione della Costituzione, inimmaginabile in questa legislatura. E dunque, osserva l’esponente di Forza Italia, l’unica soluzione
“ragionevole e realistica” è riprendere in mano
la bozza Bianco e cambiarne alcune parti, introducendo per esempio l’attribuzione dei seggi su
base circoscrizionale, meccanismo che premierebbe i grandi partiti. Considerazioni sostanzialmente analoghe vengono da Goffredo
Bettini, braccio destro di Veltroni, che aggiunge
tra i correttivi alla bozza Bianco uno sbarramento al cinque per cento e un “misurato premio di maggioranza” al partito che vince. Con
queste modifiche, la bozza Bianco partorirebbe
un sistema essenzialmente bipolare, incentrato
sui partiti leader delle due coalizioni: il Pd da
una parte e Forza Italia (o Popolo della libertà)
dall’altra.
Rifondazione comunista, che vuole essere
della partita, dice sì al dialogo ed evita di pronunciarsi sul premio di maggioranza proposto
da Bettini. La preoccupazione del Prc, dice il
capogruppo Gennaro Migliore, è piuttosto
quella che le divisioni del Pd abbiano come
“conseguenza indesiderata” il referendum,
ipotesi che il partito di Bertinotti vede come
c o m m e n t i
fumo negli occhi. A remare contro l’accordo
sulla bozza Bianco, modificata secondo i desideri di Veltroni e di Forza Italia, sono gli ipermaggioritari da un lato e i proporzionalisti a
oltranza dall’altro. Nella prima schiera va collocata An, che ha scelto una linea di distinzione dagli alleati di Forza Italia e di totale
appoggio al referendum. Nella seconda l’Udc,
che punta tutto sul sistema tedesco. Ammesso
anche che il Parlamento fosse in grado davvero di produrre una legge elettorale, chi può
escludere di vedere nascere un mostro con le
sembianze della paura di tutti i partiti?
Se al Carroccio non
piacciono i francesi
B
ossi e Formigoni hanno un obiettivo
comune: la difesa di Malpensa e degli
aeroporti del Nord Italia dalle prospettive nere della trattativa per la cessione di Alitalia
ad Air France. Bossi ha chiamato il premier
venerdì scorso dalla sua casa di Gemonio, dove
si trovavano anche Roberto Calderoli e Roberto
Maroni. Che cosa si sono detti il leader della
Lega e il premier? Calderoli si limita a dire che
“alla fine Bossi mi è sembrato soddisfatto. Ma
non anticipiamo nulla perché noi siamo quelli
del fare e non del dire - e oggi chi chiacchiera
rischia di fare dei danni a Malpensa anziché
favorire il futuro dello scalo”. Bossi ha parlato
con Prodi degli slot, argomento importante nella
ipotesi di far nascere una compagnia del Nord
che possa occupare gli spazi lasciati liberi da
Alitalia. Per il segretario del Carroccio, gli slot
lasciati liberi a Malpensa dovrebbero subito
essere consegnati alla Sea (la società che gestisce
gli scali milanesi) e riassegnati. Su queste basi
potrebbe prendere il via la scommessa di una
compagnia in grado di servire l’area del nord
Italia e anche il Canton Ticino. Roberto
Formigoni punta alla difesa di Malpensa attraverso una strategia “a tre stadi” che parte dalla
richiesta al Governo di annullare la scelta di Air
France. Il secondo stadio, nel caso la decisione
fosse confermata, è di far sì che la Regione
Lombardia entri “a pieno titolo” nel negoziato
per fare in modo che le condizioni siano le
“meno penalizzanti”. “Si tratterebbe - spiega
Formigoni - di negoziare una moratoria di cinque
anni nei quali vengano mantenute le rotte
Alitalia sugli aeroporti del Nord, gestite da Air
France, sia nazionali, sia europee, sia intercontinentali”. Contemporaneamente si tratta di ottenere dal Governo la conferma di “tutti” gli impegni sul potenziamento dei collegamenti viabilistici e ferroviari di Malpensa e di porre le condizioni per creare una “grande” compagnia alternativa. Il terzo “stadio” riguarda proprio questa
nuova compagnia che “abbia come hub
Malpensa - afferma il governatore lombardo - e
collegamenti adeguati con tutti gli aeroporti del
Nord. Essa potrebbe nascere dall’accordo tra un
grande vettore mondiale (alcuni si sono già detti
interessati) e finanziatori italiani (che pure si
sono già resi disponibili)”. L’iniziativa della
Lega era inevitabile. Anche se oggi i suoi uomini forse ritengono difficile fidarsi di Romano
Prodi: quello che sta accadendo dalle parti di
Napoli testimonia di un Governo che non sa
come muoversi. E, nonostante la proposta del
Carroccio, a questo punto sarebbe del tutto sbagliato a chiudere con Air France. Del resto la
Lega Nord non è stata chiarissima su chi dovrebbe farsi avanti. E quindi sarà molto difficile che
le cose cambino interamente come vorrebbero
gli uomini di Bossi e il governatore lombardo.
Olmert: inasprire
la reazione militare
A
lla sfida di alcuni giorni fa, quando da Gaza è stato sparato addirittura un missile katiusha che ha
colpito la periferia della città di Ashkelon
distante sedici chilometri, il premier Ehud
Olmert ha risposto chiedendo al ministro
della difesa di inasprire la reazione militare.
Per Olmert è chiaro che l’attacco con i
katiusha è una “escalation” non più tollerabile. Le forze armate israeliane hanno così
compiuto una profonda incursione nel
campo profughi di Al Bureij, nel centro della
Striscia. Qui è esplosa una violenta battaglia
con un bilancio, tuttora provvisorio, di 4
morti e oltre 40 feriti fra i palestinesi, e di
cinque feriti fra i soldati israeliani. Ma la
reazione israeliana non è solo militare. Dopo
la riduzione nelle forniture di carburante
introdotta lo scorso 28 ottobre in seguito alla
decisione del governo di proclamare la
Striscia di Gaza “entità ostile”, domenica
l’ente elettrico palestinese che gestisce le
forniture nella Striscia ha annunciato l’introduzione di un drastico razionamento. Israele
spera, esercitando una pressione sulla popolazione con sanzioni di questo tipo, di provocare una reazione a catena che alla fine coinvolga e travolga il movimento integralista di
Hamas che dal giugno dello scorso anno
controlla politicamente e militarmente la
Striscia.
Hamas tuttavia è solo in parte responsabile
degli attacchi con i razzi contro Israele: le
sue milizie infatti si astengono deliberatamente dall’impiego di qassam, limitandosi
ad attacchi contro l’esercito israeliano e
ricorrendo solo all’uso di mortai che per la
loro gittata non possono colpire le aree israeliane abitate da civili. A compiere i lanci con
razzi qassam (e tre giorni fa con i katiusha)
sono invece altri gruppi armati, come la
Jihad Islamica, o il Comitato di resistenza
popolare, che formalmente sfuggono al controllo di Hamas. A questo punto Israele
dovrebbe prendere atto dell’impossibilità di
ogni forma di rapporto ad ovest di Tel Aviv e
lasciare aperta la fiammella del dialogo solo
con la Cisgiordania. Questa sarebbe l’unica
strada da seguire almeno fino a quando a
Gaza non avranno compreso che i problemi
non si risolvono solo lanciando i razzi.
Martedì 8 gennaio 2008
Anche Al Jazeera
parla di immondizia
E
ravamo campioni di tv spazzatura, adesso solo
di spazzatura. Un bel biglietto da visita! Le
immagini dell’Italia che i telegiornali di tutto il
mondo stanno mandando in onda riguardano la rivolta
contro la riapertura della discarica di Pianura. Si vedono
roghi, montagne di immondizia per le strade di Napoli,
cariche di polizia e sassaiole, ambulanze, un autobus in
fuoco. Persino Al Jazeera, versione inglese, ci ha trattato come meritiamo. Il bello (il brutto) è che le immagini
di Napoli erano accostate, per uno strano destino, a disastri naturali, a inondazioni, ai grandi slum di Nairobi, le
baraccopoli sorte sulle montagne di rifiuti. Dobbiamo
rassegnarci: nella rappresentazione giornalistica internazionale rischiamo di apparire come un Paese del “terzo
mondo”, ammesso che questa definizione abbia ancora
senso, un Paese che si fa sommergere e opprimere dai
rifiuti, un Paese che un tempo dettava stili di vita e che
ora naviga nell’immondizia. Al Jazeera è la tv satellitare pan-araba che trasmette 24 ore su 24, come la Cnn.
La sua sede è a Doha, capitale del piccolo emirato del
Qatar; qualche anno fa è diventata all’improvviso famosa per aver trasmesso l’appello di Osama Bin Laden alla
“guerra santa” contro gli Usa. Adesso possiede una rete
in inglese: significa che è importante non solo per i Paesi
arabi. E noi su Al Jazeera, come su altre all news, ci
siamo finiti per la nostra incapacità di risolvere un problema vitale come quello del pattume: “Naples residents
riot over rubbish”, è rivolta a Napoli per i rifiuti. Sul sito
di Al Jazeera, in coda alla descrizione della guerriglia,
sono riportate sia le preoccupazioni del presidente
Giorgio Napolitano che quelle di Romano Prodi:
“Everybody’s watching us, and I don’t want Italy to give
off this negative image”. È proprio così: tutti ci vedono,
persino nei Paesi arabi, e l’immagine che l’Italia offre di
sé è negativa. Ed è la cosa più triste, infelice, dannosa
che potessimo fare: fornire lo qualche spettacolo avvilente di un Paese che non è più in grado di smaltire i suoi
rifiuti. A corredo della notizia, Al Jazeera propone la
connessione con due vecchie vicende riguardanti mafia
e camorra. Bingo! In questi anni, qualche bello spirito ha
pensato che tutti i problemi potessero essere risolti in
termini d’immagine, di apparenza, di moda.
Sottovalutando un po’ il reale. Che ogni tanto scuote il
corpaccione e si prende le sue rivincite. Così, all’immagine che vorremmo dare di noi, si sostituisce l’immagine che gli altri hanno di noi. Tempo fa, descrivendo Rai
International sottolineavo l’aria di provincia e di mestizia che spira da quel canale. Rai International è l’immagine della Rai all’estero ma soprattutto è l’immagine
globale del nostro Paese perché è l’unico canale di cui
disponiamo nel mondo. Non siamo nemmeno in grado
di sottotitolare in inglese il Tg1. Temo però che la situazione sia ancora più grave: la modestia della nostra tv
riproduce bene l’emergenza attuale del nostro Paese.
L’emergenza spazzatura, appunto.
Aldo Grasso,“Corriere della Sera”,
7 gennaio 2008
terza pagina-archivio della settimana
Se il magistrato fa
errori di grammatica
Q
uando si parla di magistrati, per riflesso
condizionato, vengono alla mente esempi
di grande saggezza, di buona cultura umanistica. Insomma il giudice colto che nelle sentenze
riversa il suo sapere e non soltanto quello che riguarda i
codici. Ma se andiamo a leggere le notizie sull’ultimo
concorso per entrare in magistratura si avverte forse la
necessità di rivedere quel tipo di automatismo.
Prendiamo, ad esempio, l’uso del latino che nelle aule di
giustizia da sempre costituisce elemento fondamentale
della dialettica forense. Sarà per colpa del declino della
scuola, ma sembra proprio che non tutti gli aspiranti giudici siano in grado di padroneggiare la vecchia lingua.
Questa, e tante altre “sorprese” ancor meno edificanti,
trapelano da un gossip maturato a conclusione del concorso di novembre che ha fatto registrare il record di
domande (43 mila) e di candidati giunti alla consegna
della prova scritta (quattromila) per 380 posti da coprire.
A fronte di tanta affluenza, però, non è stato possibile
registrare altrettanta ricchezza di promozioni: a essere
immessi nei ruoli della magistratura sono stati 322
“esordienti”, 58 in meno di quelli che servivano. Ma non
è questo l’aspetto sconcertante della storia. Il fatto clamoroso è che tutti quelli che si sono persi per strada sono
caduti per eccesso di ignoranza, tanto evidente e irreparabile da aver indotto la commissione ad andar giù
pesante. Torniamo al latino: si può far finta di nulla di
fronte a un candidato che stravolge il fondamento del
“Nulla poena sine lege” col più disinvolto “Nullum pene
sine lege”? Come spiegare agli esaminandi che il latino
è difficilmente conciliabile con lo slang asfittico dei
messaggini telefonici? Immaginiamo, dunque, lo stupore dei commissari nel leggere la parola “venerata”, scritta da una candidata. C’è voluto più di qualche minuto
per intuire che la ragazza voleva scrivere “vexata” e che
era stata tradita da quella x che nel linguaggio dei cellulari è l’abbreviazione di “per”. Ci sono stati candidati che
hanno scritto i due temi interamente con le abbreviazioni “cellularesche”: immaginiamo cosa possa essersi
appalesato agli occhi della commissione, costretta a
smorfiare un “cmq” che si traduce con “comunque”. Per
non parlare della punteggiatura. Intere pagine senza una
virgola e senza un punto, ma anche senza la forza di un
Joyce. Al contrario, c’è stato chi ha frammentato le singole frasi, anche soggetto e predicato, a colpi di virgole,
punti e punti e virgola, come Totò e Peppino nella
“Malafemmina”. E non mancano i furbi. Per sopperire
all’assoluta ignoranza sulla sillabazione, molti hanno
accorciato il rigo per sfuggire alla necessità di andare a
capo, magari sbagliando. Nessuno dei commissari confesserà mai tutto ciò che sono stati costretti a leggere, ma
il gossip - in funzione da quasi tre mesi, con tanto di
attacco alla commissione su un blog allestito dai candidati respinti - fa trapelare l’entità di un altro poco invidiabile record di questo concorso: una raccolta di circa
dodici pagine di strafalcioni. Numerosissimi gli “essere”
e gli “avere” senza accento e senza l’acca, l’”un” apostrofato ed anche “qual”. C’è anche un “riscuotere” con
la “q”. Un livello che ha indotto il giudice di Corte
d’Appello, Matteo Frasca, commissario d’esami, a
intervenire sul sito del Movimento per la Giustizia, per
un bilancio della sua esperienza. Da un lato, spiega il
magistrato, i numeri venuti fuori dal concorso “rappresentano una conferma di una persistente serietà nella
selezione”. “Dall’altro lato - riprende - creano non poche
perplessità sul livello medio di preparazione dei partecipanti”. Inutile tentare di ottenere conferme alle indiscrezioni: se è vero, per esempio, che qualcuno ha confuso
la Corte dell’Aja con la “Corte dell’Aiax”, e se c’è stato
chi ha provato ad “addolcire” i temi di diritto amministrativo e penale con incipit, diciamo, poetici, del tipo
“Finché la barca va” o “Per fare un albero ci vuole un
fiore”. “Degli errori singoli - replica il giudice Frasca non parlo. L’intervento che ho scritto per il ‘Movimento’
non aveva certo lo scopo di provocare uno scandalo fine
a se stesso o soltanto delle battute umoristiche”. E allora? “E’ il complesso della vicenda - risponde il magistrato - che desta preoccupazione. Certo ho scritto per
inciso che mi astenevo dal riportare ‘indicibili citazioni
che pongono seri dubbi sulle modalità di conseguimento del diploma di scuola media inferiore di alcuni candidati’. Ma il nodo del discorso è un altro: riguarda le difficoltà sempre maggiori che incontriamo nel riempire i
vuoti di organico, riguarda per esempio l’età di accesso
alla professione che è ormai stabilizzata sopra i trent’anni. E questo perché l’Università è più lunga e i concorsi
sono lenti. Il basso numero di vincitori mi fa intravedere un pericolo nell’immediato: la tentazione al ricorso ai
reclutamenti straordinari o all’immissione per titoli. Il
concorso è stato sempre duro, ma ha rappresentato
garanzia di qualità del personale della magistratura”.
Francesco La Licata,“La Stampa”,
7 gennaio 2008
Mafia: Confindustria
vuole vederci chiaro
“E’
il momento della verità. Chi collabora
resta dentro, chi tace va fuori”. Per due
mesi, dopo l’annuncio dell’esclusione
da Confindustria di chi continua a pagare il pizzo a Cosa
nostra, i vertici degli industriali hanno atteso di conoscere la reale entità del coinvolgimento della classe economica siciliana. Ma ora, davanti al silenzio assordante,
allo “zero” assoluto di denunce e soprattutto davanti alle
centinaia di nomi di imprenditori e commercianti sul
libro mastro del boss Salvatore Lo Piccolo pubblicati la
scorsa settimana da “Repubblica”, la Confindustria siciliana passa dalle parole ai fatti. Convocando, subito,
davanti ai vertici di Assindustria Palermo gli imprenditori citati nei “pizzini” del capomafia. Una sfilata di titolari di aziende e imprese, alcune delle quali molto note e
persino con cariche in Confindustria, chiamati a spiegare, chiarire la loro posizione, a scegliere, in sostanza, se
rimanere dentro o fuori. L’annuncio dato dal presidente
degli industriali siciliani Ivan Lo Bello a Catania nel
corso della cerimonia di consegna del premio intitolato
al giornalista Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia, ha sca-
LA VOCE REPUBBLICANA
tenato una standing ovation nella platea. “Dobbiamo
rompere gli indugi. Non è più il momento di attendere.
Chi decide di collaborare è dentro, chi sceglie di restare
dall’altra parte va fuori”, dice Lo Bello dopo che nelle
scorse settimane il presidente di Assindustria Palermo
Nino Salerno aveva fatto sapere che già una decina di
associati erano stati “invitati” a lasciare l’associazione
vista l’incompatibilità a proseguire sul percorso segnato
dai vertici di Confindustria con l’approvazione del
nuovo codice etico. Ma allora il lungo elenco dei nomi
segnati accanto alle cifre del pizzo pagato alla cosca di
Salvatore Lo Piccolo non era ancora noto e adesso i vertici degli industriali non ritengono di poter attendere i
tempi lunghi della magistratura. “Ovviamente - spiega
Lo Bello - il ritrovarsi citati in quei ‘pizzini’ non equivale affatto ad una prova di responsabilità, ma noi dobbiamo sapere ora. Per questo abbiamo deciso di convocare
tutti coloro che sono citati. Perché ci spieghino, perché
non abbiano più alibi, perché diano prova di accettare
nei fatti quel codice etico che ci siamo appena dati. Fino
ad ora, per quel che abbiamo letto, il fenomeno ci tocca
in minima parte. L’elenco è costituito per lo più da commercianti. Ma aspettiamo di sapere quali altre imprese
sono coinvolte, a cominciare da quelle della zona industriale di Carini che ricadono in pieno nel territorio controllato da Lo Piccolo”.
Emanuele Lauria,“la Repubblica”,
7 gennaio 2008
Nicolas e Carla: ma
allora è tutto vero?
O
tto febbraio. Venerdì. Meglio il nove.
Sabato. Nicolas e Carla aspettano gli
amici e i parenti, lei in abito tendente al
bianco, lui in scuro da cerimonia. La Francia prepara la
festa e le pernacchie. Sarkozy e Bruni vanno a nozze, lo
scoop parte dalle pagine del “Journal du Dimanche”,
con tutti i particolari di cronaca. Non è passato nemmeno un mese dal colpo di fulmine ma la coppia va già al
sodo. Hanno capito di essere fatti uno per l’altra, due
piccioncini che non possono perdere altro tempo sulle
panchine del parco, davanti a un lume di candela, mano
nella mano.
Sarkò è uno da pensiero e azione, la Carla ha intuito che
dopo le sfilate di moda in giro per il mondo e le canzoni al festival di Sanremo è arrivato il momento di fare sul
serio: una vita dolce nella dimora dell’Eliseo non si può
rifiutare, anche buttando nella Senna i pensieri di gauche
che l’hanno accompagnata in questi anni emarginati e
faticosi. A suggellare l’amore esistono documenti fotografici, da Eurodisney fino alle Piramidi, un po’ come
Napoleone, ma anche oggetti sostanziali: lui ha regalato
a lei un anello in diamanti rosa, a forma di cuore, firmato da Victoire de Castellane che disegna i monili della
casa di moda Dior. Lei ha ricambiato con un Patek
Philippe in acciaio grigio, non vede l’ora di arpionarlo
definitivamente. Eppoi ci sono altri asterischi perfidi:
per esempio dove ha portato Nicolas in gita turistica e
amorosa la chanteuse italienne? A Petra, laddove
secondo i segugi, la Cecilia Sarkozy aveva tradito il consorte in una malandrina fuitina con Richard Attias, suo
amante prima diabolico poi angelico visto come aveva
reagito il futuro presidente di Francia.
Ma non è mica finita qui. Le immagini da Petra hanno
mostrato Nicolas Sarkozy che teneva sulle spalle lo
scudo umano Aurelien, figlio di una notte d’amore della
Carla con Raphael Enthoven. Il bebè è stato costretto
non soltanto a stare in groppa all’amico di maman ma
anche a coprirsi gli occhi con le manine e a tenere il cappuccio calato sulla testa per sfuggire alle riprese dei fotografi e delle telecamere. Secondo i maligni e gli oppositori Sarkozy così avrebbe scelto di camminare lungo il
tragitto per tenere alla larga eventuali teste calde, con un
bambino issato sulle spalle chi avrebbe tentato un atto
sconsiderato, essendo già questo commesso dallo stesso
Nicolas?
Ma la storia sta diventando davvero grossa, gonfia,
piena di colpi di scena e per i francesi, poco abituati allo
spettacolo pubblico ma stranamente avvezzi, nei secoli,
alle folie e alle coppie aperte, tutto ciò è degoutant, disgustoso, volgare, terribile. Nicolas Sarkozy se ne frega,
in perfetta coerenza francese, ha già presentato madamina (in dialetto turineis) Bruni come madame Sarkò ad
alcuni ministri del governo Fillon, tra questi, pare, André
Santini, dicastero della Funzione pubblica, Christine
Albanel, Cultura e comunicazione e Roger Karoutchi,
ministro dei Rapporti con il Parlamento. Ora anche se
Parigi non è piccola però la gente mormora, dunque
hanno provveduto a mettere in circuito sensazioni e
memorie dell’incontro confermando che tra i due la passione è di quelle forti, sanguigne, la Carla fa la francese
ma in fondo è italiana e lui poi non abbisogna di ulteriori scoperte e precisazioni.
Nicolas Sarkozy è fatto di sangue, in politica e nella vita,
questo sarebbe il terzo matrimonio in venticinque anni.
Incominciò nel settembre dell’Ottantadue quando prese
in sposa Marie Dominique Culioli, figlia di un farmacista corso di Vico ma anche nipote del sindaco di Neuilly,
Achille Peretti, dunque una spruzzatina di italiano, almeno nell’onomastica, già era presente. Due i figli, Pierre e
Jean, oggi di 22 e 20 anni. Neuilly era piaciuta così tanto
a Sarkozy da diventare sindaco di questo quartiere sciccosissimo di Parigi e proprio da sindaco provvide a sancire il matrimonio tra tale Cecilia Ciganer-Albeniz e
Jacques Martin. Mentre Martin sorrideva ai fotografi
Sarkozy sbirciava la Cecilia la quale, cinque anni dopo,
mollò Jacques Martin e avviò le pratiche che la portarono a sposare Sarkozy nell’ottobre del Novantasei, con
un figlio, Louis, nato un anno dopo.
L’album di famiglia sembrava esaurito se non si
fossero messi di mezzo il viaggio a Petra di Cecilia,
la voglia di potere assoluto di Nicolas, la separazione (addì ottobre, giorno dieci, dell’anno scorso),
la depressione conseguente, la serata con gli amici
di sinistra tra i quali la ragazza italiana, lo sguardo
galeotto a cena, l’accompagnamento a casa, la
notte di pensieri e desideri, la prima, la seconda, la
terza telefonata e tutto il resto, cominciando da
Paperino e Topolino a Eurodisney fino alle ultime
notizie di cronaca che le “Journal du Dimanche” ha
messo in onda.
Tony Damascelli,“il Giornale”,7 gennaio 2008
z i b a l d o n e
In Vietnam l’inno italiano
ha il nome di “Bella ciao”
Terza parte delle considerazioni del condirettore della
“Voce Repubblicana” dopo un suo recente viaggio in
Indocina.
di Italico Santoro
S
ulla strada per My Son. My Son fu un importante centro di culto del popolo Cham, che all’inizio
del passato millennio contrastò con alterne
vicende la potenza egemone dell’epoca, l’impero Khmer
(al quale si devono i grandi templi di Angkor). Sepolto
dalla foresta, era stato poi riscoperto dai francesi che ne
avevano avviato il recupero. Con il sentiero di Ho Chi
Minh che si inerpicava lungo le montagne circostanti, fu
inevitabilmente teatro di duri scontri durante la guerra
con gli americani. Non a caso Danang – dove aveva sede
la grande base statunitense – dista solo una sessantina di
chilometri.
A My Son, finalmente, ho sentito parlare degli ultimi
vietcong. Che sono, naturalmente, italiani (siamo bravi, si
sa, ad esportare ideologia a buon mercato). Percorrendo
su una vecchia jeep americana il tratto di strada che porta
ai templi, l’autista mi chiede, attraverso la guida, di cantare il nostro inno nazionale. Provo a intonare, con qualche difficoltà, “Fratelli d’Italia”. L’autista mi guarda stupito: “Ma io ne conosco un altro - traduce la guida - conosco una canzone che dice: ‘Bella ciao’, è la canzone degli
italiani che vengono a lavorare a My Son nella missione
archeologica”. E che cercano anche, evidentemente, di
risvegliare il sopito spirito rivoluzionario dei vietnamiti.
Seduta vicino a me, Maria Tilde – una signora che aveva
vissuto il Sessantotto in modo duro e puro - ha quasi le
lacrime agli occhi: non so se pensa con simpatia agli
archeologi italiani o con rimpianto ai vietcong ormai
scomparsi. O forse alla giovinezza lontana e perduta.
A poca distanza dai templi, in una specie di teatro
improvvisato, alcune ballerine si esibiscono in una danza
tradizionale. Il loro rituale comincia in abito lungo, finisce in costume (quasi) adamitico. Poco oltre, tra gli
immancabili souvenir, spiccano naturalmente i medaglioni di Ho Chi Min, mescolati con quelli di Gesù e con le
riproduzioni - in misure e dimensioni per tutti i gusti - del
“linga” e della “ioni”, i sacri simboli della sessualità
comuni alle culture e alle religioni induiste.
Resta la suggestione dei templi e dell’ambiente che li
avvolge. Una magia che neppure il crescente flusso turistico riesce a spegnere.
***
Per circa centoquaranta anni Huè fu capitale degli
Nguyen, l’ultima dinastia imperiale vietnamita. A mezza
strada tra le due grandi anse fluviali che segnano la storia
del Vietnam - il Fiume Rosso a nord e il Mekong a sud –
conserva molte costruzioni dell’epoca. Fu definita “città
di sogno e di poesia”. Sogno e poesia accompagnarono la
triste esistenza di Tu-duc, l’imperatore che non seppe
contrastare l’arrivo dei francesi e non riuscì a dare un
erede al suo popolo. Ossessionato dalla duplice sconfitta,
trascorreva buona parte del suo tempo sulle rive di un piccolo lago artificiale componendo versi e pescando in solitudine. Rifiutò a tal punto il suo tempo da comporre il
testo della sua stele commemorativa nei caratteri antichi,
e ormai desueti, della lingua vietnamita.
Lungo il Fiume dei Profumi, che attraversa la città, si
giunge alla Pagoda della Dama Celeste. A parte lo stupa
ottagonale che domina il paesaggio, c’è ormai poco da
vedere. Della costruzione originale non resta quasi niente. Ma la Pagoda ospita, sotto una tettoia, l’auto con la
quale il venerabile Quang Duc si recò a Saigon nel giugno
del 1963 per darsi fuoco e così protestare contro la politica filocattolica del presidente Diem. Fu solo il primo,
seguito da altri bonzi. La notizia fece scalpore in
Occidente e contribuì alla caduta, qualche tempo dopo,
dello stesso Diem.
L’auto di Quang Duc non è il solo ricordo, a Huè, della
guerra. La città, confine tra i due Vietnam, fu teatro di
scontri feroci. Durante l’offensiva del Tet scatenata dai
nordvietnamiti nel 1968 e risoltasi in un insuccesso, si
combatté con ferocia e molti edifici storici andarono
distrutti o furono danneggiati. A cominciare da alcuni
padiglioni della Cittadella, che conservano tracce ancora
evidenti di quegli scontri.
Ma anche lì la guerra è il passato, i turisti sono il presente. All’interno del palazzo della Pace Suprema, nel padiglione che ospita la sala del trono, dove l’imperatore
accordava le sue udienze e promulgava ogni anno le festività del nuovo calendario lunare, per cinque dollari è possibile indossarne i paramenti e sedere sul trono. Il mio
amico Giulio non resiste alla tentazione. Debbo confessare che ne ho seguito l’esempio.
***
Più a sud di Huè, di Danang, di My Son, sono le terre
impervie che ospitano i montagnards. Nessuno ne parla,
nessuno propone di andarci. Considerati alla stregua di
selvaggi, minoranze scomode che aiutarono francesi e
americani in odio ai vietnamiti, sono tuttora oggetto di
feroci persecuzioni. E su di loro è calato il silenzio, rotto
di tanto in tanto in Occidente dalla denuncia di qualche
intellettuale. Non ne parlano neppure i testi più documentati, che preferiscono dedicarsi alle loro origini remote
piuttosto che alla loro realtà presente.
(continua)
Alcuni devoti di Padre Pio
odiano l’architetto Piano
Q
uando si monta una macchina mediatica di
quelle fatte bene, allora non c’è pudore che
tenga. Del resto la notizia riguarda il culto di
una salma, pratica in fondo anche laica. Non una salma
comune, sia ben chiaro, bensì quella di Padre Pio, di fronte
alla cui fama ogni obiezione cade. “Vi annuncio che in occasione del 40° anniversario della morte si procederà alla esumazione e alla ricognizione canonica del corpo di san Pio da
Pietrelcina”. Ma è polemica e rivolta tra i fedeli dopo l’annuncio che il corpo di Padre Pio sarà esumato ed esposto alla
venerazione dei fedeli, in una teca di vetro, per alcuni mesi.
L’iniziativa prenderà il via da metà di aprile. L’annuncio è
stato dato dall’arcivescovo di Manfredonia e delegato della
Santa Sede per il santuario e le opere di San Pio da
Pietrelcina, Domenico Sorrentino. Tutto ciò per i festeggiamenti dei 40 anni dalla morte di Padre Pio (1968) e per i 90
anni delle stimmate (1918). Facile prevedere una affluenza
record di pellegrini al santuario: se si considera che mediamente ora l’affluenza di fedeli è di sette milioni l’anno, inevitabile che con l’esumazione del Santo le cifre saliranno
vertiginosamente. Smentita invece la voce della traslazione
del corpo di Padre Pio dal vecchio al nuovo santuario: lo
sostengono i frati che hanno la responsabilità del medesimo.
L’esposizione avverrà nell’area del vecchio convento.
Nessuno sa in che condizioni sia il corpo del santo, in quanto a suo tempo non si fece la ricognizione che abitualmente
viene effettuata in occasione del processo di canonizzazione.
Smentita anche la voce che il corpo del santo sia stato imbalsamato. Secondo la biografia ufficiale la sera del giorno
della morte la bara in legno venne sostituita con una in
acciaio ricoperta con una lastra di cristallo. L’ufficiale sanitario dottor Grifa praticò al cadavere delle iniezioni di formalina per assicurare lo stato di conservazione durante i
giorni della esposizione al pubblico. Le pratiche giuridiche
preliminari del processo di beatificazione iniziarono un anno
dopo la morte del Padre, nel 1969, ma incontrarono molti
ostacoli da parte di coloro che erano stati nemici dichiarati
di Padre Pio. Furono ascoltati decine di testimoni e raccolti
104 volumi di disposizioni e documenti, e nel 1979 tutto il
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materiale fu inviato a Roma al vaglio degli esperti del Papa.
Il procedimento che portò alla canonizzazione ebbe inizio
con il nihil obstat del 29 novembre 1982. Il 20 marzo 1983
iniziò il processo diocesano per la sua canonizzazione. Il 21
gennaio 1990 Padre Pio venne proclamato venerabile, fu
beatificato il 2 maggio 1999 e proclamato santo il 16 giugno
2002 in piazza San Pietro da papa Giovanni Paolo II come
san Pio da Pietrelcina. La sua festa liturgica viene celebrata
il 23 settembre. Tra i segni miracolosi che gli vengono attribuiti troviamo le “stigmate” che portò per 50 anni (20 settembre 1918 - 23 settembre 1968), il dono della bilocazione
e della capacità di leggere nei cuori e nella mente delle persone. Tra i molti miracoli che gli vengono attribuiti c’è quello della guarigione del piccolo Matteo Pio Coltella di San
Giovanni Rotondo, sul quale è stato celebrato il processo
canonico che ha portato poi alla elevazione agli altari di
San Pio. Tra i racconti di bilocazione che lo avrebbero
visto protagonista c’è quello fornito da Luigi Orione,
secondo il quale nel 1925, mentre si trovava in piazza San
Pietro per i festeggiamenti in onore di Teresa di Lisieux,
gli sarebbe apparso inaspettatamente Padre Pio da
Pietrelcina, che in realtà non si mosse mai dal convento
che lo ospitava dal 1918 sino alla morte. Torniamo un
momento alle polemiche di cui sopra, che necessitano di
una spiegazione. La “minaccia” è costituita dal fatto che
la tomba potrebbe essere trasferita all’interno del nuovo
tempio edificato a San Giovanni Rotondo da Renzo
Piano. L’architetto, assicurano i frati cappuccini, è anche
l’autore della “splendida cripta” destinata ad accogliere le
ossa del santo. Grida al sacrilegio un gruppo di fedeli
capeggiati da un avvocato torinese, Francesco Traversi,
che dice di volersi opporre “con ogni mezzo giuridico alla
realizzazione di questo progetto”. Per il momento frate
Antonio Belpiede, il portavoce dei Cappuccini, getta
acqua sul fuoco della polemica. “La traslazione, ad oggi,
non è in agenda” afferma. Poi aggiunge: “Del resto la
nuova chiesa l’abbiamo fatta per ospitare le spoglie di
padre Pio. Vogliamo che la gente capisca...”. L’avvocato
di Torino non ci sta: “Le finalità dei frati sono esclusivamente di natura economica e sono sostenute da commercianti e albergatori che lavorano nelle vicinanze della
nuova chiesa, appunto. Padre Pio d’altra parte non ha
necessità di essere riesumato in quanto è stato canonizzato il 16 giugno 2002”. Insomma, costoro dicono un “no”
su tutta la linea. niente modernità e splendida nuova cripta griffata da un archistar, niente esposizione, nulla. Ma si
capisce che si tratta di una linea perdente sin da oggi.
Tuttavia, davanti ad una così venerata salma, sarebbe
anche il caso di darsi un contegno.Ad ogni modo intorno
alle mummie carismatiche si è sempre formato un acceso
dibattito che ha attraversato la storia.
4 LA VOCE REPUBBLICANA
Martedì 8 gennaio 2008
Aborto: una discussione che ci distrae da altri temi
In un Paese “normale” non si interverrebbe sulla revisione di questa legge
Si parla di 194 e si ignora tutto il resto
I
n questi giorni di torpore festivo
le cronache sono pressoché monopolizzate dal dibattito sulla revisione della legge 194. A quanto pare,
allo stuolo dei politici cattolici che, a
vario titolo, si contendono il ruolo di più
fedeli interpreti dei dettami vaticani
(cosa non si farebbe per un voto!?), stupisce che si siano accodati anche alfieri
(!?) del pensiero laico.
D’altronde la strada era gia stata tracciata dall’ex Presidente del Senato,
Marcello Pera: e poco importa se que-
st’ultimo sia oramai universalmente
ritenuto il peggior Presidente che il
senato repubblicano abbia avuto; il suo
esempio continua, evidentemente, a fare
scuola in tutti coloro che pretendono di
interpretare, in chiave personale (o personalistica), il ruolo dei laici nella
società.
Così mentre nella Ravenna dai trascorsi
laici e dei mangiapreti c’è la Lega che si
inventa la “Romagna cristiana”, a Roma
si spingono i ragionamenti fino agli
eccessi e ai paradossi.
E allora cosa di meglio che strumentalizzare un dramma di coscienza come
l’aborto?
Sia chiaro che pur essendo uno strenuo e
convinto difensore della legge 194, non
pretendo che le mie convinzioni prevalgano sulle decisioni di altre persone le
quali, ovviamente e laicamente, sono
libere di non ricorrere all’interruzione di
gravidanza.
Convengo con chi sostiene che il ricorso
all’interruzione di gravidanza non possa
considerarsi
un
“metodo”;
ma,
ostinarsi a non
considerarlo come
un diritto di grande
civiltà, mi sembra
altrettanto colpevole.
In un paese normale il tema della
revisione di una
legge come la 194 che, nonostante le
fisiologiche imperfezioni di tutte le
umani leggi, continua a funzionare,
avendo
quasi
annullato gli aborti
clandestini e tutelato i diritti e la libertà di migliaia di
donne di essere padrone della loro vita non si porrebbe.
E non si porrebbe principalmente per tre
semplici ragioni: primo perché oltre ad
aver funzionato, la legge 194 è scaturita
da un referendum sofferto, ma che ha
visto la maggioranza degli italiani
(inclusi molti cattolici) esprimersi a suo
favore; in secondo luogo perché i problemi del paese sono ben altri, ed una
classe politica avveduta non sprechereb-
be il tempo per dibattere capziosamente
su un tema che non è sul tappeto; infine,
anche se non ultimo, perché ogni discussione su temi che riguardino la sfera
pubblica o i diritti civili, in un moderno
stato occidentale, non può essere né
influenzata né tanto meno indirizzata da
istituzioni religiose.
Ma in Italia nulla è normale, e lo sappiamo bene; a maggior ragione oggi,
dopo che un alfiere della laicità come
Giuliano Ferrara, si è assunto l’onere di
aprire un varco alle già numerose interferenze confessionali nella vita pubblica
del nostro paese.
Eppure, conoscendo ed apprezzando le
doti intellettive dell’uomo, un dubbio
mi assale: e se fosse un modo per gettare ancora scompiglio nel centrosinistra,
alimentando le sottolineature e i distinguo di tutte le varie senatrici Binetti,
con o senza cilicio?
Fantasticherie? Può essere; ma perchè
proprio adesso quando Prodi, evitando
la spallata e smettendo di fare il “Prodi”,
sta muovendo passi decisivi per la vita
del governo (e del Paese) come l’accordo Alitalia – Air France - Klm, l’unico
percorribile per la salvezza della compagnia, nonostante i vaneggiamenti padano-lombardi sull’Hub di Malpensa?
Se poi dovesse concretizzarsi quanto il
Presidente del Consiglio va dicendo (e
conoscendo l’ostinazione del Premier
c’è da scommetterci!), e cioè che alla
trimestrale di cassa, se confermati i
positivi dati economici, si potrebbe
cominciare a ridistribuire parte delle
entrate, cominciando dalle “buste paga”,
con evidenti ricadute reali sulla capacità
di acquisto dei salari, ergo sulla ripresa
dell’economia - e con buona pace sia
della turbolenta sinistra radicale sia del
centro moderato - allora il cerchio si
chiude.
Staremo a vedere: intanto, come direbbe
un noto politico italiano, peraltro ministro in un governo a guida Dc ai tempi
del referendum, “a pensar male…..”.
Eugenio Fusignani,
assessore provinciale Pri Ravenna
L’Italia e le trasformazioni dovute ai flussi degli immigrati
E le differenti culture religiose rappresentano il maggiore terreno di scontro
La laicità contro tutte le derive xenofobe
N
on c’è alcun dubbio che la società
italiana è, e sarà sempre più, multietnica e multiculturale.
Le problematiche sorte da questa condizione
come la convivenza, l’integrazione e la sicurezza richiedono una soluzione a breve termine, se
non si vuol alimentare certe derive xenofobe.
Tutte le belle iniziative messe in campo finora
come tavoli di confronto, scambi culturali ecc.,
mi sembrano come i piani di una casa mancanti
di fondamenta.
Questa solida base su cui posare tutto il resto ha
un nome ben preciso: Stato
laico.
E’ innegabile che la diversa cultura religiosa sia uno
dei maggiori motivi di
scontro. Se non si creano
“zone neutre” dove tutti
possano sentirsi unicamente cittadini italiani (e quindi sentire il dovere di
rispettare l’unica legge
valida
che
è
la
Costituzione), non si arriverà mai ad un punto di
incontro permanente.
I modi di intervento per
ottenere ciò sono tanti;
innanzi tutto credo sia indispensabile eliminare simboli ed icone religiose
dai luoghi pubblici: scuole, uffici, ospedali,
piazze. Non sto dando ragione al signor Adel
Smith, che gettando incivilmente il crocifisso
dalla finestra lo avrebbe sostituito volentieri con
altra immagine a lui gradita. Io propongo di
toglierli tutti, perché penso che il sentire religioso sia intimamente legato alla sfera privata di un
individuo e, per un principio di uguaglianza, che
tale debba rimanere.
Questa inflazione di simbolismo religioso ostentato ovunque, a mio avviso, toglie valore ai luoghi principali di culto (chiese, moschee, sinagoghe ecc.), che giustamente devono essere presenti sul territorio nazionale e che dovrebbero
essere gestiti esclusivamente dai propri fedeli.
Di conseguenza trovo più che logica l’abolizione di qualsiasi finanziamento statale a favore
degli ordini religiosi e ritengo molto più utile,
nella direzione di una migliore integrazione, che
sia proposto l’insegnamento nelle scuole pubbliche di “Storia delle religioni”, in sostituzione
dell’unilaterale “Religione cattolica”.
Il mio ragionamento è “un voler mettere ogni
cosa al suo posto” senza creare discriminazione
alcuna.
Mi sembra una strada in salita, considerando il
radicamento degli interessi religiosi nelle nostre
istituzioni, ma potrebbe rivelarsi l’unica percorribile per favorire il processo di integrazione
culturale di diverse etnie. Ricordiamoci che
l’Italia sta sperimentando in 7-8 anni il flusso
migratorio in entrata che la Francia ha affrontato in 50 anni di storia, con annesse lacerazioni e
conflitti sociali.
Per una volta non rinchiudiamoci nelle solite
affermazioni da bar: “A casa loro non lo farebbero mai!”; cerchiamo di essere realisti, pragmatici, possibilmente “giusti” nell’affrontare il problema.
Valentino Calbucci, Fgr