teoriche di ottocento - Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo
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TEORICHE DELL‟OTTOCENTO Romanticismo (1780-1830) Questo periodo è cosi pieno di cambiamenti e delle idee nuove, che tanti si chiedono se è possibile parlare di un movimento unico. Piuttosto, perché gli scrittori in Germania erano molto diversi da quelli che appartenevano alla scuola romantica francese oppure inglese. Sembra che tanti romantici siano uniti nelle cose che non gli piacevano che quelle che gli piacevano. La loro più gran rivolta era verso le limitazioni in arte proposte dal XVIII secolo, specialmente contro l‟enfasi sulla ragione e oggettività, le nette norme per la poesia e il dramma, l‟approccio non immaginativo verso la storia, scienze e la politica, e finalmente un ottimismo senza ragione sulla perfezione della natura umana. Romanticismo pure rappresentava una rivelazione contro l‟illuminismo, ma anche la critica del terrore dopo la rivoluzione e ritorno del Napoleone, dopo l’ancient regime dopo la rivoluzione francese. Loro movimento era anche rivolto contro l‟industrializzazione rapida della società, ma anche contro la rivoluzione. Le 4 tesi principali del romanticismo sono: 1. L‟universo è un organismo intero e ci sono i legami tra tutte le cose; 2. Il mondo è diviso in due entità opposte: quella del senso e quella di ragione; la ragione rappresenta la libertà morale; 3. La ragione, oggettività e l‟analisi radicalmente falsificano la realtà perché la vedono da un solo angolo. Il migliore modo per percepire la realtà è tramite le emozioni personali oppure l‟intuizione; 4. L‟arte rappresenta il legame tra liberta e necessità, tra l‟individuo e il mondo. I romantici tedeschi (Sturm und Drang) J.W. Goethe (1749 to 1832) F. Schiller (1759 to 1805) August Wilhelm Schlegel (1767-1845) Secondo Schlegel, il dramma deve contenere gli elementi poetici come quelli teatrali. Per essere completo il dramma deve essere coerente e soddisfacente, l‟unita organica, e deve riflettere come uno specchio non solo la vita, ma anche le idee, i pensieri e l‟emozionano che sono più sublimi di quelli quotidiani. Per riuscire come scrittori del dramma significava di produrre l‟impressione su moltitudine della gente 1 assemblata e per fissare la loro attenzione e attirare il loro interesse. Gli spettatori devono essere come sotto una magia, che, secondo Schlegel, esce del dramma stesso, che cosi diventa uno strumento potente per presentare il buono e il male. Nel primo Ottocento in Germania, i maggiori filosofi, Kart ed Hegel, ed i maggiori drammaturghi, Goethe e Schiller, avevano tutti sostenuto, in un modo o nell‟altro, una visione dell‟arte intesa come idealizzazione, rivelazione dell‟universale, verità eterna nascosta dietro la realtà mondana ed empirica. La concezione del dramma come vita idealizzata o verità rivelata fu ancora ben presente nei teorici e nei drammaturghi successivi. Nei primi scritti di Friedrich Schiller, le dottrine del classicismo, secondo l‟elaborazione di Lessing, sono molto più predominanti che in Goethe. Sotto l‟influenza di Shakespeare e di testo drammatico, Gotz von Berlichingen, scritto da Goethe in gioventù, Schiller creo I masnadieri, in 1781, l‟esempio più nota di teatro del movimento Sturm und Drang. Cioè, nonostante quando il lavoro fu pubblicato, Schiller ha aggiunto una prefazione nella quale, con evidente sincerità, chiedeva scusa per le proprie mancanze nei confronti delle norme classiche. Una delle principali differenze tra classicismo e romanismo fu lo spostamento del fulcro d‟interesse dall‟intreccio al personaggio. Schiller ammette che, per illuminare gli animi dei personaggi principali, sacrifichi le unita, includendo, inoltre, più avvenimenti di quanti avrebbero permesso Aristotele. Menda ancora più grave, per rappresentare i personaggi in modo serio e articolato ha introdotto le buone qualità insieme alle cattive, pratica questa che, a suo parere, può essere scusata quando il dramma è solo letto, ma che, a teatro, dove gli spettatori sono meno profondi e selezionati, corre il rischio di essere considerata una difesa del vizio. L‟impegno morale del teatro è oggetto di un altro testo elaborato di Schiller, Il teatro visto come istituzione morale (1784) che elenca le tradizionali difese pragmatiche del teatro: 1. valorizzazione della virtù e condanna del vizio; 2. stimolo ad una saggezza pratica ed a una vita civile; 3. incoraggiamento dell‟uomo a sopportare i rovesci del destino; 4. predica della tolleranza; 5. armonizzazione degli interessi nazionali. Il saggio si conclude con una specie di apoteosi dell‟illuminismo teatrale, quando gli „uomini di tutte le classi, zone e condizioni, gettati via tutti i 2 vincoli dell‟artificio e della moda… divenuti nuovamente una sola progenie umana, dimenticano se stessi e il mondo, e si avvicinano alla loro origine celeste.‟ In Dell’arte tragica, altro saggio del primo periodo, Schiller riecheggia ancora Aristotele e Lessing, difendendo la tragedia come una “imitazione poetica di una serie concatenata di fatti (di un‟azione completa), che ci mostra persone in uno stato di sofferenza ed ha lo scopo di suscitare la nostra compassione.” Schiller prosegue con riflessioni, in termini essenzialmente aristotelici, sull‟imitazione, l‟azione e la coerenza e la compiutezza, e ad Aristotele va seguito anche nella caratterizzazione di protagonisti e nel distinguere tra storia, che deve essere fedele ai fatti storici e il cui il fine è di insegnare, e di poesia che, seguendo la „verità, natura, aspira a commuovere. La scelta della pietà come emozione centrale della tragedia deriva, naturalmente, non da Aristotele, ma da Lessing, che suggerì a Schiller anche il concetto d‟equilibrio emotivo. La compassione non deve essere ne troppo debole (perché in quel caso noi rimarremmo impassibili) ne troppo forte (poiché in quel caso proveremmo anche dolore). Le situazioni più efficaci sono quelle in cui sia l‟oppressore che l‟oppresso agisce contro la propria inclinazione. C‟è pero il pericolo che la simpatia diventi cosi forte di provocare il dolore. Schiller propone, allora, come antidoto, le „idee soprasensibili, morali,‟ sulle quali la ragione “si dirizza come su una specie di sostegno spirituale, per levarsi sopra la torbida atmosfera dei sentimenti in un orizzonte più sereno.” Schiller cita la sentenza morale del dramma classico, come uno strumento di distanza, atto a realizzare proprio questo effetto. L‟obbiettivo è di elevare lo spirito oltre la pietà o la compassione, verso una intuizione o consapevolezza di “un legame teleologico delle cose, di un ordine superiore, di una volontà buona.” Cosi la tragedia conduce, in definitiva, all‟universo ordinato del XVIII secolo, e giustifica per l‟uomo le vie del Signore. Negli anni dei primi scritti teorici di Schiller, furono pubblicate anche le principali opere filosofiche di Immanuel Kant, e , sebbene queste non si occupassero direttamente di teoria letteraria, fornirono uno sfondo intellettuale, concetti e una terminologia di enorme importanza per i teorici successivi, prima in Germania, e poi in tutta Europa. Le idee di Kant sono evidenti in Schiller, che grazie ad esse si allontanano dalla 3 teodicea di Lessing, tipica del XVIII secolo, e intraprese la strada che lo avrebbe portato alle teorie romantiche del teatro. Se, come sosteneva Kant, l‟universo è incomprensibile all‟uomo, allora è difficile che lo scopo della tragedia sia quello di fornire un‟apologia razionalistica. Schiller dovette cercare altrove la chiave dell‟efficacia tragica. Il suo tentativo più compiuto in questo senso appare in un saggio Del patetico, (1793), che si apre con un chiaro mutamento di prospettiva rispetto agli scritti precedenti. “La rappresentazione della sofferenza, in quanto pura, non è mai lo scopo dell‟arte, ma come mezzo per raggiungere il suo scopo e per l‟arte stessa di somma importanza. Lo scopo ultimo dell‟arte è la rappresentazione del soprasensibile, e l‟arte tragica in particolare raggiunge tale scopo.” Schiller fornisce del soprasensibile una definizione che si riferisce direttamente a Kant. Il mondo si è diviso in due regni, quello dei sensi e quello della ragione; il primo e la sfera dell‟apparenza e della necessità, il secondo della liberta morale. L‟arte dovrebbe teoricamente, fornire un ponte tra liberta e necessità, tra l‟individuo e il mondo. Anche quando non si realizza un‟armonizzazione perfetta tra le due sfere, l‟arte renderebbe possibile, per lo meno, la consapevolezza della loro tensione reciproca, fornendo cosi una preconoscenza del “sovra sensibile, al di la dell‟intelletto e della ragione.” La stessa penetrazione nel profondo, dice Schiller, si trova talvolta in natura, in quello che egli definisce il sublime, una percezione completamente diversa da quella della bellezza, basata, questa ultima, sull‟armonia e sull‟equilibrio. Il sublime nasce, piuttosto, da una disgiunzione, di fronte ai fenomeni naturali, travolgenti e irresistibili, la mente persiste comunque nella propria individuale liberta d‟azione, e da questo conflitto si origina la percezione del soprasensibile. Kant non aveva elaborato questo concetto in rapporto all‟arte, cosa che dal canto suo, farà Schiller nei saggi Del sublime, (1801) e Uber das patetische. Il patetico, afferma Schiller, nasce da due condizioni, in primo luogo dalla sofferenza, che impegna la parte naturale e sensibile dell‟uomo; in secondo luogo dalla liberta morale, in forza della quale l‟uomo si dichiara indifferente alla sofferenza. Come in Kant, questa distinzione tra l‟effetto della sofferenza sull‟uomo sensibile e l‟assenza di tale effetto sull‟uomo morale, dà origine al sublime, è il “patetico e estetico solo in quanto sia sublime.” 4 Nella tragedia, il sublime si raggiunge nell‟azione – o in modo mediato, quando un personaggio sceglie la sofferenza indipendentemente dal senso del dovere, o in modo immediato, quando accetta la sofferenza come espiazione per una violazione del dovere. Fino a questo punto, il pensiero di Schiller sembra essere conflittuale rispetto a quello di Kant. L‟insistenza di Schiller sulla scelta morale implica un scopo morale o didattico, mentre Kant sottolineava esplicitamente l‟autonomia dell‟arte, e la sua indipendenza da ogni scopo utilitaristico. Nella seconda parte del saggio, Schiller tenta quindi di conciliare le scelte morali della ragione con il gioco libero e disinteressato dell‟immaginazione; fa notare che, nonostante la ragione agisca in conformità alla legge morale, essa compie in ciò una libera scelta, ed è proprio questa possibilità di liberta che affascina il nostro senso estetico, secondo Schiller. Questo permette a Schiller anche di giustificare i personaggi negativi, a condizione che essi mostrano una grande forza di volontà, e di conseguenze, un‟attitudine all‟autentica liberta morale maggiore di quanta ve ne possa essere in una virtù debole o mai messa alla prova. Nel sistema di Schiller, l‟unico vantaggio che può derivare all‟uomo dalla tragedia, a parte il piacere estetico e la percezione del soprasensibile, sembra essere una sorta di stoicismo che gli proviene dall‟osservare l‟eroe tragico nell‟atto di opporre alla sofferenza la sua libera volontà. In Del sublime, Schiller definisce la tragedia „un vaccino contro l‟ineluttabilità del fatto.‟ Questo stoicismo, collegato alla percezione del soprasensibile, condusse progressivamente Schiller ad una visione dell‟arte come strumento della realtà trascendente . Nella prefazione Dell’uso del coro nella tragedia, (1803), Schiller affermava che obiettivo dell‟arte non era fornire all‟uomo un illusione transitoria di liberta, ma renderlo „realmente libero.‟ Un tale obbiettivo poteva essere raggiunto “risvegliando, educando e sviluppando in lui la forza di allontanare, oggettivandolo, il mondo sensibile”, cosi da “signoreggiare con le idee il mondo della materia.” Schiller considerava il coro uno strumento meraviglioso per raggiungere questa distanza, per esprimere concetti generali in forma materiale, e per impedire che un eccessivo realismo del dramma sommerga la nostra liberta in una tempesta di emozioni. 5 Il trattato critico più noto di Schiller, Poesia ingenua e sentimentale (1795/6), non si sofferma specificamente sull‟arte drammatica, ma fornisce, tuttavia, importanti strategie ed orientamenti critici ai successivi teorici. Schiller ridefinisce la poesia antica e quella moderna, rispettivamente come poesia ingenua e poesia sentimentale. La poesia ingenua, generalmente praticata nell‟antichità, godeva di un indiscutibile armonia con il mondo naturale. La poesia sentimentale, usualmente praticata in epoca moderna, è consapevole dell‟abisso che separa il reale dall‟ideale. A caratterizzare l‟autore moderno è questa preoccupazione intellettuale, per i problemi espressivi: per lui non è facile tornare direttamente alla natura e all‟espressione spontanea e impersonale degli antichi, ma può sperare almeno di ritornarci indirettamente, per mezzo della ragione e della liberta, cosi che il sentimentale possa realizzare, secondo le proprie modalità, lo stesso ideale dell‟ingenuo. Schiller classifica la poesia sentimentale non in base ai generi tradizionali, ma in base ai modi di sentire, derivanti tutti dalla consapevolezza della frattura tra ideale e reale. La scrittura elegiaca rimpiangeva l‟ideale perduto, la scrittura idillica trattava l‟ideale come realtà del passato o del futuro, e la scrittura satirica si concentrava sul reale alla luce dell‟ideale. Il concetto d‟ingenuo e sentimentale, nell‟elaborazione fornito da Schiller, si rivelo estremamente utile agli scrittori tedeschi successivi che si occuparono della classificazione delle moderne forme poetiche, e delle differenze tra classicismo e romanticismo. Gli scritti di G.W. Friedrich Hegel (1770-1831) sono, per molti aspetti, una sintesi di tutta la tradizione filosofica ed estetica tedesca. Hegel trattò il dramma in generale, e la tragedia in particolare, in modo più profondo e dettagliato di qualsiasi scrittore da Lessing in poi, e ovviamente era l‟unico filosofo dopo Aristotele che si occupava cosi tanto della natura della tragedia. Hegel lodava i scrittori moderni, specialmente Shakespeare, anche se ha descritto le origini greche della tragedia, cosi che nel „sistema hegeliano,‟ l‟arte romantica rappresenta un culmine dell‟arte classicista. In sue Lezioni di estetica, Hegel ha aggiunto alle tradizionali categorie di classico e romantico, una terza categoria artistica, quella di simbolico. Nell‟arte simbolica, la forma artistica più antica, l‟uomo è consapevole delle potenze indistinte nel mondo naturale e nel corso degli eventi umani, ma è in grado di esprimerli solo in immagini approssimative e spesso distorte. Nell‟arte classica l‟uomo scopre una forma esteriore 6 conforme alla compressione spirituale. Il migliore esempio è la scultura classica, che strettamente unisce la forma e l‟idea. L‟arte classica è la più armoniosa e la più bella, ma rimane legata al visibile e al finito, e non rappresenta perciò la realizzazione più compiuta dello spirito. L‟arte romantica, invece, cerca questa più elevata realizzazione, trascendendo l‟equilibrio armonioso di forma e idea, per accettare il conflitto e la disgiunzione di un livello più alto d‟esperienza. Pittura, musica, e poesia sono le maggiori arti romantiche, e la poesia che unisce la soggettività della musica all‟oggettività delle arti visive, è quella potenzialmente più ricca fra queste arti. La sezione finale dell‟ Estetica, che si occupa della tragedia in modo più sistematico, comincia definendo la poesia drammatica come la fase „suprema della poesia e dell‟arte,‟ perché si sviluppa nella totalità più compiuta. Questo è piuttosto che l‟arte drammatica impiega l‟unico mezzo appropriato alla presentazione della vita spirituale, la voce umana, e unisce l‟oggettività dell‟epica alla soggettività della lirica. È questa combinazione si manifesta completamente nella compiuta esecuzione scenica. L‟analisi hegeliana della poesia drammatica è divisa in 3 parti. La prima tratta la composizione drammatica come forma poetica, specificamente quando si oppone sia all‟epica che alla lirica. Hegel si occupa pure delle componenti del dramma: la dizione, il dialogo e le unita. Per Hegel, l‟unita dell‟azione è unica importante, e perché tale azione sia drammatica, deve arrivare ad un fine determinato. La seconda sezione, più breve, tratta degli aspetti dell‟arte drammatica in quanto opera d‟arte rappresentativa con accenni alla musica e alla scenografia, ma la maggior parte è rivolta all‟attore e alle sue contrastanti responsabilità nel teatro antico e in quello moderno. L‟antico teatro, secondo Hegel, formale delle maschere e dell‟elocuzione declamatoria richiedeva una grande tecnica meccanica; il maggiore impegno dell‟attore era di entrare nella parte con tutte le sue facoltà ma senza di aggiungere niente di peculiare a se stesso. Il teatro moderno, che enfatizza la personalità individuale, chiede di più dell‟attore, chiedendogli non solo di “penetrare profondamente nello spirito del poeta e del ruolo che gli è stato affidato, ma anche di sopperire con la propria produttività in molti punti, riempire lacune, trovare passaggi ed in generale interpretare con la sua attività quella di poeta.” 7 La sezione finale tratta dei tipi di poesia drammatica, in particolare la tragedia, che è la più estesa e famosa delle tre. Avendo gia discusso l‟importanza fondamentale del conflitto nel dramma, Hegel analizza le forme particolari che questo conflitto ha assunto nella tragedia greca. La forma principale, sviluppata da Eschilo è portata al ”apice da Sofocle, consiste nell„opposizione della vita etica nella sua universalità sociale con la famiglia come eticità naturale.” La sua analisi d‟Antigone è diventata una delle più famosi e citati, perché lui illustra il conflitto tra istanze etiche opposte, la cui unica difetto sta nel fatto che ciascuna delle due richiede l‟annientamento assoluto dell‟altra. Una seconda forma della tragedia greca è rappresenta dall‟Edipo in quale un uomo dà corso ad una volizione inconsapevole della sua natura criminale. I Greci, secondo Hegel, non distinguendo tra fatti commessi inconsapevolmente e fatti commessi consapevolmente, hanno in questo caso, descritto una tensione, che per la coscienza moderna è irrilevante; la colpa e l‟innocenza, nel loro significato moderno, non vi hanno luogo. Gli eroi della tragedia classica non scelgono, ma “interamente e per la loro natura sono ciò che essi vogliono e compiono.” Le posizioni sostenute da questi eroi non sono rappresentate come erronee, ma la loro unilateralità è cancellata da una riconciliazione finale, al centro della quale non c‟è la punizione o la ricompensa, ma l‟affermazione della armonia. Questa condizione di stasi e risoluzione è rappresentata dal coro, “che a tutti gli dei attribuisce lo stesso onore non menomato”. Nella tragedia moderna, l‟eroe che personifica un‟unica posizione etica è sostituito da personaggi che “stanno nel mezzo di un gran numero di rapporti e circostanze più accidentali, entro cui si può agire in un modo o nell‟altro”. Il conflitto cosi diventa interiore, e il personaggio, come avevano osservato i precedenti teorici romantici, diviene il centro della tragedia. Gli eroi tragici moderni non agiscono “nell‟interesse della rivendicazione etica d‟istanze veramente essenziali, ma per la semplice ragione che essi sono gli uomini che sono”. Nell‟ Amleto, per Hegel, il conflitto non nasce dalle opposte esigenze della vendetta e della morale cristiana, ma dalla riluttanza d‟Amleto a seguire con determinazione una qualsiasi alternativa. Una simile indecisione è tipica dei personaggi moderni, ma è rara nel dramma greco, sebbene qualcosa si possa trovare in Euripide, il più moderno dei greci. La riconciliazione che, nel dramma greco, scaturisce dalla ricostruzione di un‟armonia sociale ed etica, non può essere facilmente attuata nella tragedia moderna. Questa ultima propone una riconciliazione più fredda ed astratta, derivante dalla raggiunta consapevolezza che un personaggio come Amleto è perduto sin dall‟inizio. 8 Le basi conservatrici dell‟estetica di Hegel, risaltano nelle sue opinioni sulla commedia più che quelle sulla tragedia. In entrambi casi si vede, comunque, come Hegel si sforzasse di mantenere, come base della realtà, un idea essenzialmente platonica, un immutabile fondamento di verità, nobiltà e virtù. Hegel cercava (e sembro trovarla nel dramma classico) una dinamica che, attraverso un processo dialettico, puntasse verso questa idea, e quello che lo disturbava di più nel dramma moderno era lo sviluppo di opposizioni e conflitti che, apparentemente, non proponevano questa stessa rivelazione. In Aristofane ed in alcuni romantici, Hegel individua una visione comica che presuppone un universo fondamentale armonioso, dove ogni conflitto e ogni contraddizione vengono accettati come transitori e non seri. La vera commedia deve possedere “l‟infinito buonumore in genere, e la sconfinata certezza di essere ben al di sopra della propria contraddizione, senza esserne affatto amareggiati e resi infelici.” A Plauto, Terenzio, e Molière manca, secondo Hegel, un simile spirito. RICHARD WAGNER (1813-1883) Wagner comincio appena di farsi una reputazione quando, coinvolto nella rivoluzione di 1848 a Dresda, fu costretto di andare in esilio a Zurigo, dove rimasse per dieci anni. Comunque, durante questo periodo ha scritto le sue opere teoriche più importanti, influenzando il corso del teatro moderno e postmoderno. Con le sue opere liriche, Tannhauser (1845) e Lohengrin (1848) lui ha spinto la opera tradizionale romantica ai suoi limiti, ed era pronto di lanciarsi in qualcosa molto più sperimentale. Perché era sempre immerso nella politica, scrisse il suo saggio principale, L’arte e la rivoluzione (1849) come rivelazione della fiducia nella rivoluzione, come neccessaria e irresistibile per creare un nuovo ordine politico, ma anche per la nuova arte. Anche Wagner aveva immensa conoscenza dell‟arte antica e del dramma greco, che la considerata la creazione politica e spirituale alla quale l‟intero popolo greco accorreva per comprendere se stesso, ma con il declino di Atene, si ebbe anche il declino di questo dramma, “come spirito comunitario si frantumò in mille direzioni egoistiche, cosi anche la totale opera d‟arte tragica si scompose nelle singole componenti artistiche che la costituivano,” e la filosofia prese il posto dell‟arte come interprete della realtà. I Romani e i Cristiani respinsero il dramma per ragioni opposte: i primi per un rifiuto della spiritualità, i secondi per un rifiuto del piacere dei sensi. Quando l‟arte risorse durante il rinascimento, lo 9 fecce sotto la forma di divertimento per i ricci e potenti. Sia gli artisti che gli spettatori ne risultarono corrotti, l‟arte diventò un commercio e uno strumento del capitalismo. L‟arte greca era conservatrice, l‟espressione più profonda e più nobile della coscienza del popolo, ma per riguadagnare questa funzione, l‟arte deve essere rivoluzionaria, cominciando col rifiutare ciò che è diventata sotto l‟influsso della società moderna. Nel suo lavoro più importante, maggior testo teorico, Opera e dramma, Wagner ha continuato a riflettere sull‟infelice condizione dell‟arte e sul mondo in cui essa deve essere cambiata. Nella prima delle sue tre sezioni, „L‟opera è l‟essenza della musica,‟ Wagner riassume la storia dell‟opera, per illustrare ciò che egli considera il difetto fondamentale del genere, „che di un mezzo dell‟espressione (la musica) si è fatto lo scopo, e dello scopo dell‟espressione (il dramma) si è fatto il mezzo.‟ In seconda sezione,„Il dramma è l‟essenza della poesia drammatica,‟ intraprende una indagine parallela sulla poesia drammatica che, associandosi con la letteratura è degenerata in uno superficiale realismo. Essa ha smarrito lo scopo fondamentale dello dramma greco, che era di trasmettere „il contenuto e l‟essenza del mito nel modo più chiaro e persuasivo.‟ La sezione finale, “La poesia e la musica nel dramma dell‟avvenire” (1850) tratta della riunificazione delle arti separate dalla poesia e musica ed analizza i vantaggi che ognuna ne trarrebbe. La poesia, il cui mezzo sono le parole, si rivolge di necessita innanzi tutto alla ragione, mentre la musica parla direttamente alle emozioni. Se un singolo artista, musicista o poeta, potesse unirle, realizzerebbe il bisogno, sentito da popolo, di un espressione del suo essere complessivo. Nel tentativo di descrivere questa arte, lui ha coniato la parola Gesamtkunstwerk per descrivere l‟arte sintetica e sincretica , nozione che ha avuto profonda influenza sul teatro moderno e post-moderno. La fonte della nuova arte viene ricercata nella Volk, che Wagner definisce come “tutti coloro che provano una necessità comune” e deve dare risposta al bisogno che sente, riunificare le arti, e riscoprire l‟unica opera d‟arte vera, libera e universalmente significativa, un‟opera totale come quella dei Greci. Friedrich Nietzsche (1844-1900) Giorgio Agamben ammette che un problema dell‟arte non esiste, come tale, all‟interno del pensiero di Nietzsche, perché tutto il suo pensiero è pensiero dell‟arte. È proprio perché nel pensiero di Nietzsche si è cercato 10 fino al suo fondo il destino nichilista dell‟arte occidentale, l‟estetica moderna è, nel suo complesso, ancora lontana dal prendere coscienza del suo oggetto secondo l‟alto statuto in cui Nietzsche penso l‟arte nel circolo dell‟eterno ritorno e sul modo della volontà di potenza. Questo statuto si enuncia per tempo nello svolgimento del suo pensiero, nella prefazione alla Nascita della tragedia dallo spirito della musica, 1872, che è la più autorevole riflessione teorica sul dramma in Germania del tardo ottocento. Il libro ha molti difetti e nessuno li ha rilevati in modo più impietoso di quanto non abbia fatto lo stesso Nietzsche in una prefazione del 1886, come un libro intollerabile, vale a dire scritto male, pesante, tormentoso… Malgrado, tutti i suoi difetti, questo testo suggestivo ha ispirato molti critici moderni. Come Aristotele è diviso in 26 capitoli, e i primi 7 esaminano le condizioni nelle quali nasce la tragedia nell‟antica Grecia, i 9 successivi trattano del suo declino e della sua morte, e gli ultimi 9 di una sua possibile rinascita nei tempi moderni. Il libro si apre con la dualità su cui si basa la teoria della tragedia e di fatto, l‟intero sistema metafisico Nietzscheiano. L‟apollineo e il dionisiaco sono i due impulsi che regolano “i separati mondi artistici del sogno e dell‟ebbrezza.” Apollo è il dio dei sogni, delle illusioni meravigliose. Dioniso è il dio d‟ebbrezza e della distruzione continua. Questo dualismo è, in generale, la propensione romantica a vedere il mondo in termini delle opposizioni: classico/romantico, antico/moderno, ingenuo/sentimentale, e cosi via. Schlegel e Hegel, sembrano effettivamente anticipare proprio il dualismo descritto da Nietzsche. Mentre per Schopenhauer, la tragedia porta l‟uomo alla negazione della volontà, col rivelare la mancanza di scopo dell‟universo, a tale visione Nietzsche si contrappone proponendo la tragedia come affermazione di vita. Questa fu la grande intuizione della Grecia classica: avendo guardato l‟orrore del mondo dionisiaco, creo l‟apollineo come mondo di sogno dell‟Olimpo. Ogni nuova emersione del primo rafforzava e arricchiva il secondo. In questo processo di scontri tra sogno ed ebbrezza, i Greci partecipavano nel “nucleo eterno del mondò”, che Nietzsche vide come un essere travagliato e auto-contraditorio che cerca conforto, redenzione, persino divertimento, attraverso continue creazioni e distruzioni. L‟esistenza umana rappresenta per un vero creatore, solo l‟immagini e proiezioni artistiche, dunque gli uomini sono piuttosto fenomeni estetici. 11 La riduzione dell‟uomo e del mondo a fenomeni estetici ricorda l‟apparenza effimera di Schopenhauer, è sembra individuare nella stessa visione apollinea una specie d‟evasione dalla realtà. Ma Nietzsche non vede nello spirito apollineo un mezzo per evitare o negare il dionisiaco, ma piuttosto un suo necessario complemento. Il rifiuto di uno dei due comporta il rifiuto di entrambi, e fu proprio abbandonando Dionisio, dice Nietzsche, che Euripide si ritrovo abbandonato da Apollo. Al suo più alto grado, la tragedia può velare il dionisiaco, ma alla fine lo stesso dramma apollineo è spinto „in una sfera dove comincia a parlare con sapienza dionisiaca, e dove nega se stesso e la sua evidenza apollinea. In questo modo, si realizza un‟unione: “Dioniso parla il linguaggio d‟Apollo, ma Apollo finisce col parlare il linguaggio di Dioniso: col che viene conseguito il fine supremo della tragedia.” La parte centrale dell‟opera di Nietzsche racconta come questa fine suprema andò smarrita a cominciare da Euripide, che sotto l‟influenza di pensiero socratico, rinuncio a Dioniso in favore di un‟arte presumibilmente basata sulla morale e sul razionalismo. Questa concentrazione illusoria, che pure è prevalsa fino alla nostra epoca, contiene, tuttavia in germi della propria distruzione. La scienza, propagandosi verso l‟infinito in tutte le direzioni, scoprirà inevitabilmente che la ragione umana non può penetrare i misteri più profondi dell‟universo, o correggere tutte le contraddizioni. Raggiunta questa consapevolezza, sarà nuovamente necessaria una visione tragica, e potrà allora apparire un nuovo Socrate, capace di comprendere lo spirito della musica. Nietzsche conclude dichiarandosi convinto che il mondo si trovi alle soglie di questo momento. L‟arte – come attività metafisica – costituisce il più alto compito dell‟uomo. Questa frase non vuol dire, per Nietzsche, che produzione dell‟opera dell‟arte sia, da un punto di vista culturale ed etico, l‟attività più nobile e importante dell‟uomo. L‟appello che in questa frase, viene al linguaggio, non può essere inteso nella sua dimensione propria se non lo si situa nell‟orizzonte dell‟avvento di quel “più scomodo di tutti gli ospiti,” a proposito del quale Nietzsche scrive: “io descrivo cioè che viene, cioè che non può venire in altro modo: l‟ascesa del nichilismo.” Il valore dell‟arte non può, cioè, essere apprezzato se non a partire dalla „de-valorizzazione di tutti i valori.‟ Questa de-valorizzazione di tutti i valori, che costituisce l‟essenza del nichilismo, ha per Nietzsche, due 12 significati opposti. Vi è un nichilismo che corrisponde ad un‟accresciuta potenza dello spirito e ad un arricchimento vitale (Nietzsche lo chiama: nichilismo attivo) e un nichilismo come segno di decadenza e d‟impoverimento della vita (nichilismo passivo). A questa duplicità di significati corrisponde un‟analoga opposizione fra un‟arte che nasce da una sovrabbondanza di vita e un‟arte che nasce dalla volontà di vendicarsi alla vita. 13