1. Lo sviluppo fonetico e fonologico da 0 a 3 anni

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1. Lo sviluppo fonetico e fonologico da 0 a 3 anni
1. Lo sviluppo fonetico e fonologico da 0 a 3 anni1
1.1. Introduzione
Questi ultimi anni di studio sugli aspetti fonetico-fonologici dello sviluppo linguistico sono stati caratterizzati dalla crescente consapevolezza che
l’evoluzione fonetica, non diversamente da altri settori del comportamento
umano, obbedisce alla legge biologica di massimizzare l’efficacia comunicativa con il minimo dello sforzo, partendo da proprietà percettive, motorie e
cognitive che affondano le loro radici nella neurofisiologia del sistema uditivo-vocale, e che evolvono con un proprio orologio biologico, ma in interazione reciproca, filtrando ed elaborando gli stimoli esterni. Le prime forme
linguistiche ad essere prodotte dal bambino emergeranno quindi dalla tensione tra facilità di produzione e salienza percettiva dei foni.
1.2. Lo sviluppo della percezione dei suoni linguistici
È un luogo comune che lo sviluppo della percezione uditiva preceda lo
sviluppo della produzione, ed è altrettanto vero che la percezione infantile
risulta indagabile prima e meglio della produzione, il cui modo di operare
resta a lungo molto più condizionato dall’immaturità dell’apparato neurofisiologico rispetto alla prima.
Lo sviluppo fonologico richiede al bambino nel corso dei suoi primi due
anni di vita l’apprendimento dei segmenti fonici, della struttura sillabica,
della fonotassi (sequenze permesse di foni), del ritmo (alternanza tra sillabe
deboli e forti) e dell'intonazione. Nel caso tipico del bambino che acquisisce
la lingua della sua comunità (L1), queste informazioni vengono poi utilizzate nella segmentazione e memorizzazione delle parole, ai fini della produ1
Questo capitolo è di Claudio Zmarich
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zione e della ricezione del parlato (cfr. le rassegne di Houston, 2005; Curtin
e Werker, 2007, a cui mi sono largamente ispirato).
La percezione del Linguaggio da prima della nascita a sette
mesi
Alla fine della trentesima settimana di età gestazionale, il feto incomincia
a reagire agli stimoli uditivi. Verso la fine della gestazione esibisce anche
alcune abilità di discriminazione, che riguardano sia segmenti vocalici ([a]
vs [i]) sia strutture sillabiche ([babi] vs [biba]), e a livello di voce, il sesso
del locutore, o la madre vs. altre persone, dimostrandosi sensibile a caratteristiche di tipo individuale (Kisilevsky, Hains, Lee, Xie, Huang, Ye, Zhang e
Wang, 2003). Il punto di partenza necessario è la discriminazione dei suoni
linguistici da quelli non linguistici: i neonati ascoltano più a lungo suoni di
tipo linguistico rispetto a suoni non linguistici di pari complessità e configurazione spettrale (Vouloumanos e Werker, 2007). Associano la produzione
di tipi diversi di vocale da parte di parlanti adulti con le configurazioni facciali appropriate (Meltzoff e Moore, 1983). Questa apparente predisposizione consente una sintonizzazione precoce verso le proprietà acustiche e visive del parlato, in modo da guidare il processo di acquisizione linguistica
successiva. I neonati inoltre preferiscono il motherese (quello stile di interazione verbale che le madri intrattengono con i loro bambini) che rispetto al
parlato adulto, tra le altre cose, trasmette emozioni e affetti, enfatizza acusticamente e visivamente (tramite un'iperarticolazione) i contrasti fonologici, e anche i contrasti non nativi, soprattutto di sonorità e di tipo vocalico
(Cooper e Aslin, 1990).
Per quanto riguarda le consonanti, già le prime ricerche di P. Eimas negli
anni ’70 (Eimas, Siqueland, Jusczyk e Vigorito,1971) avevano stabilito che i
neonati riescono a discriminare quasi tutti i contrasti acustici che sono foneticamente rilevanti (cioè usati dalle lingue del mondo): le consonanti vengono discriminate per modo di produzione e per luogo di articolazione, e in
modo più sicuro se sono inserite in sillabe ben formate (Saffran, Werker e
Werner, 2006). I neonati percepiscono alcuni contrasti fonetici anche
all’interno di sequenze polisillabiche (Jusczyk e Thompson, 1978).
Per quanto riguarda le vocali, i neonati riescono a discriminare un gran
numero di categorie, tra cui tipi di vocali che non contrastano fonologicamente nella lingua nativa, e che sono molto simili dal punto di vista acustico
(Trehub, 1976). Sembra che i neonati sfruttino la loro conoscenza delle vocali cardinali (per es. [i] [a] [u]) come punti di riferimento nello spazio vocalico (Polka e Bohn, 1996; 2003). Diversamente dalla discriminazione delle
consonanti, che è di tipo categorico (il passaggio tra due consonanti “vicine”
è brusco), la discriminazione delle vocali è di tipo continuo/graduale. Per
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quanto riguarda la fonotassi e la prosodia, bambini di pochi mesi sono sensibili ad alcuni segnali prosodici all’interno di lunghe sequenze, basati su
differenze di durata vocalica (Eilers, Bull, Oller e Lewis, 1984), di altezza
intonativa (Bull, Eilers e Oller, 1984) e di ritmo (Mehler, Jusczyk, Lambertz, Halsted, Bertoncini e Amiel-Tison, 1988). A 4 mesi i bambini preferiscono l’ascolto del parlato rispetto al rumore bianco (rumore esteso su tutte le frequenze dello spettro) o a brani musicali. A partire dai 3 fino ai 6 mesi sono sensibili a variazioni graduali del Voice Onset Time (l'informazione
acustica che indicizza il contrasto di sonorità; Miller e Eimas, 1996;
McMurray e Aslin, 2005).
Per quanto concerne le caratteristiche sovrasegmentali, dai 2 ai 4 mesi i
bambini possono discriminare lingue diverse all’interno di una singola classe ritmica. Subito dopo cominciano anche a discriminare due dialetti
all’interno della stessa lingua (cfr. rassegna di Nazzi e Ramus, 2003). Bambini di 4 mesi sanno riconoscere la stessa vocale attraverso cambiamenti
delle sue caratteristiche tempo-frequenziali (come quelle dovute alla diversità di locutori e di velocità di elocuzione, Jusczyk, Pisoni e Mullenix,
1992).
La percezione del linguaggio da otto a dodici mesi
Attorno all'ottavo mese si assiste a un declino della capacità di percepire
contrasti fonetici non nativi (Werker e Tees, 1984; Rivera-Gaxiola, SilvaPereyra e Kuhl, 2005), insieme ad un aumento della capacità di percepire i
nativi (Polka, Colantonio e Sundara, 2001). L’età in cui la percezione delle
consonanti diventa linguospecifica non è la stessa per tutti i contrasti, e varia
in base ad alcuni fattori. Per es., è importante la frequenza di occorrenza: se
2 foni non nativi sono varianti di un singolo fono nativo ad alta frequenza, i
bambini smettono prima di discriminare il loro contrasto (Anderson, Morgan e White, 2003). Altro fattore è la salienza acustica: la percezione delle
vocali diventa linguospecifica alcuni mesi prima delle consonanti, perchè
basata su caratteristiche acustiche più fondamentali, robuste e stabili (Kuhl,
Williams, Lacerda, Stevens e Lindblom, 1992). Contrasti estranei alla fonologia della lingua nativa (per es. i clicks, per i bambini delle principali lingue europee) possono restare discriminabili anche senza previa esperienza
uditiva (Best, McRoberts e Sithole, 1988), mentre la sensibilità verso i contrasti allofonici (cioè non fonologici) viene persa dopo gli 8 mesi (Pegg e
Werker, 1997). I contrasti più “robusti”, cioè quelli con un numero maggiore
di tratti distintivi in contrasto, e più frequenti tra le lingue e all’interno di
ciascuna lingua, restano attivi più a lungo (Burnham, Tyler e Horlyck,
2002). Sembra che il meccanismo responsabile di questa riorganizzazione si
basi sulle proprietà statistiche degli stimoli acustici di L1 (Maye, Werker e
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Gerken, 2002), che sono enfatizzate nel motherese (Werker, Pons, Dietrich,
Kajikawa, Fais e Amano, 2007). Per quanto riguarda le caratteristiche soprasegmentali, a 9-10 mesi di età, i bambini “preferiscono” ascoltare liste di
non parole che condividono con la lingua materna lo stesso pattern accentuale (Jusczyk, Cutler e Redanz, 1993) e la stessa fonotassi (cioè le stesse
restrizioni sulle sequenze dei foni: per es., per quanto riguarda l’italiano,
“preferiscono” /str/, ma non /tsr/, cfr. Jusczyk, Friederici, Wessels, Svenkerud e Jusczyk, 1993). Per apprendere la fonotassi della lingua materna, i
bambini usano l’informazione statistica di tipo distribuzionale (Chambers,
Onishi e Fisher, 2003).
La segmentazione dell’enunciato e il riconoscimento della parola
Il modo in cui normalmente sono pronunciate le parole, cioè non isolate,
pone un problema ai bambini: il 90-95% degli enunciati a loro diretti hanno
la forma del parlato connesso (Van der Veijer, 2002). Il problema è ulteriormente aggravato dalla presenza di rumore (Nozza, Rossman e Bond,
1991). A 8 mesi i bambini segmentano le parole dal parlato connesso sulla
base delle rappresentazioni che hanno memorizzato (Jusczyk e Aslin, 1995;
vedi par. seguente). Alcune parole poi non occorrono mai da sole, come le
parole funzione (articoli, preposizioni ecc.). È stato scoperto che il poter
contare su un certo numero di parole riconoscibili aiuta la segmentazione: se
una parola ad alta frequenza come “mamma” precede una parola sconosciuta, quest'ultima sarà segmentata più velocemente che se fosse preceduta da
un’altra parola sconosciuta (Bortfeld, Rathbun, Morgan e Golinkoff, 2005).
I bambini segmentano e ricordano meglio parole nuove che sono precedute
da parole familiari, come le parole-funzione ad alta frequenza “il”, “un” ecc.
(Shi, Cutler e Werker, 2006). Per quanto riguarda la sensibilità ai segnali di
confine, i bambini analizzano la distribuzione di potenziali segnali di confine di unità linguistiche di vario tipo: prosodico, ritmico (alternanza tra sillabe forti e deboli), articolatorio (coarti colazione: diminuisce ai confini tra
unità diverse), probabilità transizionali (tra segmenti e tra sillabe), fonotassi,
tipo di accento. L’informazione di natura ritmica è particolarmente saliente.
È stato dimostrato che i pattern linguospecifici di alternanza tra sillabe forti
(cioè accentate) e deboli aiutano inizialmente il bambino a segmentare il
flusso linguistico in sequenze più brevi (Jusczyk, Hohne e Bauman, 1999),
che poi vengono ulteriormente scomposte in base a informazioni di tipo fonotattico e allofonico (Huston, Santelmann e Jusczyk, 2004). La collocazione dell’accento aiuta a individuare dove comincia una nuova parola, e forse
all’inizio il confine è inferito dalle parole isolate (Van der Veijer, 2002).
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Riconoscimento e memorizzazione della parola
Le rappresentazioni lessicali devono essere abbastanza dettagliate da
permettere il riconoscimento della parola, ma anche tanto robuste da resistere alla variabilità relativa alle differenze individuali di voce e di atteggiamenti fono-articolatori. A 4 mesi e mezzo i bambini incominciano a riconoscere la sequenza isolata di suoni relativa al loro nome, e a 6 mesi riconoscono i loro nomi nel parlato connesso (Mandel, Jusczyk e Pisoni, 1995). A
11 mesi riconoscono le parole familiari, anche slegate dal contesto (cioè
senza indici prosodici o extralinguistici, cfr. Hallè e Boysson-Bardies,
1996), che invece non riuscivano a riconoscere a 9 mesi (Vihman, dePaolis,
Nakai e Hallé, 2004). D’altra parte si sa che i neonati ricordano una parola
di forma semplice per oltre 24 ore (Swain, Zelazo e Clifton, 1993). A 9 mesi
gli infanti trattengono in memoria per 2 settimane la configurazione sonora
delle parole più frequenti (Jusczyk e Hohne, 1997). Il grado di somiglianza
tra target e parola memorizzata cambia in funzione dell’età: a 7 mesi i bambini ricordano le forme lessicali in modo dettagliato: il cambio di una consonante da [kap] a [tap] blocca il riconoscimento (Jusczyk e Aslin, 1995),
che viene influenzato anche dalle caratteristiche idiosincratiche di una voce
(la pronuncia di una parola prodotta da una voce molto diversa, per età o
sesso, da quella familiare, ostacola il riconoscimento, cfr. Houston e
Jusczyk, 2000). Il riconoscimento migliora anche quando le caratteristiche
emotive, enfatiche, di velocità di eloquio, di intonazione e di accento assomigliano a quelle relative al parlato originale a cui erano stati esposti in precedenza (Singh, Morgan e White, 2004). Houston (1999) ha dimostrato però
che le rappresentazioni infantili delle configurazioni sonore diventano più
velocemente robuste e generalizzabili se il bambino è esposto a una diversità di locutori. A 11 mesi i bambini notano il cambio di consonante in una
sillaba accentata, ma non in quella non accentata (Vihman et al., 2004). Il
cambio di accento da una sillaba a un’altra degrada il riconoscimento della
stessa parola quando i bambini hanno 7 mesi, ma non a 11 mesi (Curtin,
Mintz e Christiansen, 2005). A 11 mesi i bambini cominciano a dare maggiore importanza all’informazione fonetica segmentale rispetto a quella soprasegmentale e contestuale, e dimostrano di riconoscere una parola anche
se la voce varia per contenuto affettivo, sesso ecc. (Singh et al. 2004). La
parola è imparata prima e meglio se è stata presentata in contesti diversi.
Comprensione della parola
La memorizzazione delle configurazioni sonore delle parole è un prerequisito alla mappatura suono-significato. Verso la fine del primo anno di
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vita i bambini passano da un tipo di rappresentazione mentale delle configurazioni sonore delle parole che è più dettagliata di quella adulta, a un tipo
più olistico, e lo fanno a partire dalla parole più familiari (Hallè e BoyssonBardies, 1996). A partire dai 12-13 mesi di vita, i bambini sembrano riconoscere un numero crescente di parole, soprattutto se frequenti. Ci sono pochi
studi sperimentali, e questi sono basati sull’analisi della direzione dello
sguardo del bambino, dopo che l'adulto ha pronunciato la parola stimolo,
esposto a molti potenziali referenti a lui visibili (Werker, Cohen, Lloyd,
Stager e Cassasola, 1998). Si è potuto verificare che prima dei 12 mesi di età
i bambini che fissano più a lungo il referente corretto sono pochi e non lo
fanno in modo sistematico, mentre dai 14 mesi i bambini sono sensibili al
dettaglio fonetico, perché guardano più rapidamente e fissano più a lungo
l’oggetto se questo viene chiamato con il nome corretto invece che col nome
scorretto. L’effetto vale anche per le parole appena acquisite (Swingley e
Aslin, 2000). Questo aumento di capacità è da mettere in rapporto
all’incremento nel numero di parole conosciute: infatti in un piccolo lessico
non servono informazioni molto dettagliate per distinguere parole. Per
l’effetto di interferenza negativa conosciuto col nome di densità dell'intorno
lessicale (cfr. neighborhood density; cfr. paragrafo 2.6), i bambini hanno
problemi di apprendimento, anche a 20 mesi, se la nuova parola (per es.,
“balla”) è simile a una parola ben conosciuta (“palla”, Swingley e Aslin,
2002). Bambini da 18 a 20 mesi guardano più rapidamente all’oggetto appropriato senza attendere la fine della parola, poiché controllano il flusso
linguistico in modo continuo e incrementale da sinistra a destra. Si capisce
che fanno uso dell’informazione dell’inizio della parola poiché a 24 mesi
rispondono più velocemente quando distinguono parole diverse in tutti i
segmenti (“cane” vs “luna”) rispetto a parole che condividono l’inizio (“cane” vs “case”; cfr. Swingley, Pinto e Fernald 1999; Fernald, Swingley e Pinto, 2001). Il contesto ecologico facilita inoltre l’apprendimento lessicale: dai
13 ai 15 mesi i bambini sono in grado di collegare una parola udita
all’oggetto se i due sono presentati insieme. Essi incominciano ad associare
sistematicamente nuove parole con nuovi oggetti, senza supporti contestuali
o intenzionali, a partire dai 12 mesi (Plunkett e Schafer, 1999). Bambini di
18 mesi non riescono ad apprendere coppie minime che differiscono solo
nella vocale intermedia, anche quando le vocali sono acusticamente molto
diverse (Nazzi, 2005). Per concludere, quando i bambini incominciano a
collegare le parole ai significati, qualche volta non riescono ad utilizzare le
informazioni fonetiche poiché il compito è difficile e non esiste ancora un
sistema fonologico astratto (Best, 1994). Quindi il bambino può commettere
errori, ma se il compito viene semplificato, ecco che ritorna a utilizzare le
informazioni fonetiche (Werker e Curtin, 2005). A partire dai 17-20 mesi i
bambini i bambini tornano a costruire rappresentazioni più attente al dettaglio fonetico e più vicine al modello adulto (Werker, Corcoran, Fennel e
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Stager, 2002), incominciando con quelle a più alta frequenza e molto simili
ad altre parole frequenti (Metsala, 1997).
1.3. Lo sviluppo della produzione fonetico-fonologica
Lo sviluppo anatomo-fisiologico del tratto vocale
Come descritto in una rassegna di Kent e Vorperian (1995), il tratto vocale del neonato è simile a quello dei primati non umani (per es., dello
scimpanzè): la cavità orofaringale è proporzionalmente più corta e inclinata
del tratto vocale adulto, ed è occupata quasi interamente dalla lingua (che si
muove come un pistone solo in senso longitudinale). Per ridurre pericolose
interferenze tra l’attività di respirazione e di alimentazione, fino a 2 mesi il
velo e l’epiglottide sono strettamente ravvicinati, e la laringe è posizionata
più in alto, in corrispondenza della terza vertebra cervicale, separando di
fatto trachea ed esofago. A 4 mesi, la laringe è già scesa notevolmente, e il
tratto vocale incomincia ad assomigliare a quello umano maturo (dove la
laringe è posizionata all’altezza della sesta vertebra cervicale). Per quanto
riguarda le strutture anatomofisiologiche periferiche, la differenza evolutiva
che ha delle conseguenze più importanti sulla produzione del parlato riguarda il controllo di mandibola e lingua: a 6 mesi (età di comparsa del babbling, vedi oltre) si manifestano spontaneamente delle oscillazioni ritmiche
degli effettori (braccia, gambe, e appunto la mandibola). I primi molari realizzano il contatto occlusivo attorno ai 16 mesi. Il controllo dei movimenti
fini della lingua ha dei tempi più lunghi: la lingua è un unicum anatomico
nel corpo umano, consistendo di un complesso idrostato muscolare senza
scheletro osseo o cartilagineo (Kent, 1992).
Stadi di sviluppo della produzione orale
Una classificazione consensuale è alla base della categorizzazione cronologica dello sviluppo delle vocalizzazioni dei bambini (Stark, 1980; Oller,
1980):
o
pianto riflesso e suoni vegetativi (0-2 mesi): pianti, frigni, strilli e
suoni vegetativi (ruttini, colpi di tosse, deglutizioni). Grugniti, sospiri e suoni di tipo ingressivo (su inspirazione);
o
vocalizzazioni e risolini (2-4 mesi): suoni proto-consonantici che
tendono ad essere prodotti nel retro della cavità orale (dove la lingua entra
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più facilmente in contatto col palato). Costituiscono le cosiddette vocalizzazioni di benessere (cooing) che forse manifestano una transizione verso un
comportamento meno automatico. Emergono nasali sillabiche e suoni vocalici nasalizzati. In una fase più avanzata, dai suoni isolati si passa ai suoni in
sequenza;
o
gioco vocale (4-6 mesi): Serie più lunghe di protosillabe e di suoni
vocalici e consonantici prolungati. A differenza del babbling, in queste protosillabe il movimento verso l’apertura (per la vocale) e verso la chiusura
(per la consonante) è molto lento. Grande varietà di costrizioni articolatorie,
e aumento della coordinazione tra articolazione e fonazione: strilli, grugniti,
brontolii, frizioni faringali, trilli (anche bilabiali, cfr. raspberries), pernacchiette, suoni ingressivi, nasali sillabiche e schiocchi (clicks). Variazione dei
parametri di intensità e altezza tonale;
o
babbling (talvolta tradotto con “lallazione”). Produzione di una sequenza di sillabe di tipo consonante-vocale (CV) che si ripetono con
un’organizzazione ritmica e temporale simile a quella del parlato adulto (Oller, Wieman e Doyle, 1976), cioè con transizioni formantiche relativamente
rapide e con una modalità fonatoria normale. Il babbling tende ad essere
auto-stimolatorio piuttosto che interattivo. Il babbling si dice “canonico” o
“reduplicato” quando le sillabe si ripetono uguali. Esempi tipici: /papapa/ e
/atatata/, e si dice variato quando da sillaba a sillaba può variare ciascuno
dei due foni (ad es. /pataga/, /papipe/ o /patigo/), come anche l’andamento
intonativo. Babbling canonico e variato spesso non sono successivi, ma contemporanei;
o
prime parole (dopo i 12 mesi): la prima associazione sistematica di
una struttura sonora con un significato (vedi definizione di Vihman e
McCune, 1994, esposta nel capitolo 5). C’è una continuità temporale tra
babbling e prime parole, poiché la fase terminale del babbling si sovrappone
alla fase iniziale dell’acquisizione lessicale.
Importanza del babbling
Il babbling si struttura sulla sillaba, che è la principale unità ritmica del
parlato adulto, e costituisce il punto di contatto tra biologia e fonologia e la
miglior base comune per descrivere gli enunciati infantili con metodi percettivi, acustici e fisiologici. I foni del babbling sono in continuità con il parlato adulto sotto due punti di vista (Oller et al., 1976, Locke, 1983):
o
i foni (e le loro combinazioni) che sono più frequenti nel babbling
lo sono anche nelle lingue del mondo;
o
le prime parole di un bambino contengono gli stessi foni nelle stesse
combinazioni dei suoi episodi di babbling. Le sillabe dei primi stadi di babbling sono caratterizzate da un inventario fonetico alquanto limitato. I suoni
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di tipo consonantico si presentano nel babbling con almeno queste principali
caratteristiche comuni (Locke, 1983);
o
le consonanti singole sono molto più frequenti dei gruppi consonantici;
o
le consonanti prevocaliche sono molto più frequenti delle postvocaliche;
o
le consonanti occlusive, le nasali e le approssimanti sono molto più
frequenti delle consonanti fricative, affricate o liquide.
Inoltre le associazioni di consonante e vocale nelle sillabe del babbling
condividono preferibilmente lo stesso luogo articolatorio, a causa della scarsa motilità della lingua (Davis e MacNeilage, 1995). Queste sillabe possono
ben essere considerate il prodotto di gesti malamente controllati degli “organi” del condotto vocale. Anche la preferenza per il tipo sillabico CV riflette la facilità articolatoria, poichè può essere prodotto da un singolo organo come la mandibola che forma una costrizione ed una apertura con una
coordinazione blanda tra l’articolazione orale e glottale. La tab. 1 mostra i 5
foni consonantici più frequenti nelle produzioni di babbling di due bambini
dai 9 ai 18 mesi in posizione iniziale (on) e in posizione finale (coda) dei
tipi sillabici CV e CVC e VC (Zmarich e Luppari, 2006). I foni più frequenti
in posizione iniziale di sillaba sono [t] e [n] (occlusivi per modo, rispettivamente orale e nasale, e alveolari/dentali per il luogo). Già dai 9 mesi, 4/5 dei
foni più frequenti fanno parte del sistema fonologico adulto, e a 18 mesi per
entrambi i bambini i 5 foni più frequenti sono anche foni dell’italiano. In
posizione di coda sillabica, dove i foni sono molto meno numerosi, quelli
più frequenti sono di tipo spontaneamente sonoro (le cosiddette sonoranti)
come le nasali [n] e [m] e la liquida [l].
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Tabella 1: I 5 foni consonantici più frequenti (%) nel babbling dai 9 ai 18 mesi in posizione iniziale (on) e in posizione finale (coda) dei tipi sillabici CV, CVC e VC, per Alessia e Davide (da
Zmarich e Luppari, 2006)
Importanza del babbling ai fini predittivi e prognostici
Alcuni elementi del babbling sono predittivi del successivo sviluppo linguistico, e si verifica spesso che un buon babbler diventerà di solito anche
un buon parlatore e un buon lettore (Lindblom e Zetterstrom, 1988). Per
Stoel-Gammon (1992), infatti:
o
il bambino che produce più sillabe CV a 12 mesi arriva prima a produrre 50 parole diverse;
o
il bambino che produce più vocalizzazioni (parole e/o babbling)
contenenti una vera consonante a 12 mesi commette meno errori linguistici a
2 e 3 anni.
o
il bambino che mette in sequenza sillabe tra loro diverse e che produce più consonanti avrà migliori punteggi di linguaggio espressivo e ricettivo a 6 anni.
Secondo una ricerca di Oller, Eilers, Neal e Schwartz (2000) su circa
3000 bambini, normali e patologici, l’età di comparsa del babbling canonico
può essere ritardata dalla presenza di uno stato patologico. Nel caso in cui la
patologia è autoevidente e non ristretta al linguaggio (per es. sindrome di
Down o ipoacusia profonda), si verifica che essi entrano nella fase di babbling canonico tipicamente dopo il 10° mese. Per patologie non così evidenti, se il babbling canonico non compare entro il 10° mese d’età, il ritardo
diventa un forte predittore di disturbo specifico di linguaggio (DSL), autismo, disordini fonologici (disartria, disprassia, disordini articolatori), e di10
slessia. La grande capacità dimostrata dai genitori di riconoscere l’inizio
del babbling canonico può essere allora sfruttata a fini di screening (anche a
distanza). Tra gli ormai numerosi studi sulla relazione tra babbling e successivo sviluppo linguistico, riportiamo quello che Keren-Portnoy, Majorano e
Vihman (2009) hanno condotto su 4 bambini italiani: a parità di età anagrafica, i soggetti che producono un numero maggiore di episodi di babbling
variato a circa 10 mesi hanno poi un lessico più grande a 24 mesi. Inoltre,
gli autori osservano che nei bambini che cominciano a produrre suoni consonantici più precocemente e con maggiore frequenza rispetto ad altri,
l’emergere dell'uso referenziale delle prime parole avviene altrettanto precocemente (cfr. anche McCune e Vihman, 2001).
Dagli universali linguistici del babbling alle caratteristiche linguospecifiche delle prime parole
Nel periodo prelinguistico, l’uso sistematico di sillabe canoniche permette al bambino di fare un'attività di pratica motoria orale e di accoppiamento
vocale-uditivo. Nel momento in cui il bambino incomincia a connettere in
modo sistematico qualche particolare configurazione articolatoria di babbling a qualche particolare concetto semantico, non strettamente dipendente
dal qui ed ora del contesto comunicativo, nasce un primitivo sistema lessicale, costituito da insiemi fonici non scomponibili, che aumenta linearmente
fino al punto detto dell'esplosione del vocabolario (cfr. cap 2 di questo volume). Da questo punto in poi, caratterizzato da un tipo di incremento “geometrico”, per il bambino diventa sempre più difficile tenere separati tutti i
“gesti” rilevanti che si riferiscono in modo olistico alle parole: se il lessico
continuasse ad accumularsi, il sistema di rappresentazioni lessicali si sovraccaricherebbe e incomincerebbe a rallentare. Secondo Lindblom, (1998;
1999; 2000) a questo punto, interviene un processo di auto-organizzazione
basato sul principio del minimo sforzo, volto a facilitare la memorizzazione
lessicale e il successivo accesso alle parole, che raggruppa insieme le parole
che condividono gli stessi gesti articolatori, e le contrappone ad altre.
L’emergere della Fonologia
È ormai assodato che il primo babbling (grosso modo fino a 9-10 mesi)
manifesta proprietà universali, mentre invece sono argomento dibattuto i
tempi e le modalità di emergenza delle influenze fonetiche linguo-specifiche
e la nascita dell'organizzazione fonologica. Perché ci sia influenza linguospecifica bisogna dimostrare che: 1) le differenze fonetiche tra i gruppi na11
zionali sono maggiori delle differenze all’interno dei gruppi; 2) queste differenze riflettono i patterns caratteristici di ciascuna lingua (Boysson-Bardies,
Vihman, Roug-Hellichius, Durand, Landberg & Arao, 1992). Stabilire le
relazioni tra le strutture fonetiche e fonotattiche presenti nel babbling dei
bambini cresciuti in ambienti linguistici diversi, e quelle presenti nelle diverse lingue materne, per distinguere tra proprietà universali e proprietà linguospecifiche, è una strategia di ricerca che per es. ha portato Vihman e de
Boysson-Bardies (1994) a individuare un’influenza positiva della lingua
nativa già a 9-10 mesi, allorchè i foni nativi aumentano, e un’influenza negativa a partire dai 12 mesi circa, quando i foni non nativi diminuiscono.
Per confrontare le caratteristiche fonetiche del babbling con gli stadi linguistici immediatamente successivi, i linguisti perlopiù rilevano le frequenze
di occorrenza dei segmenti e delle sillabe presenti nei campioni di parlato,
codificati nella trascrizione fonetica. In questo tipo di analisi, le statistiche
di frequenza dei foni e dei tipi sillabici sono relative ai token (cioè sono calcolate su tutte le occorrenze degli enunciati di babbling e delle prime parole). Zmarich (2008) per es. confronta i dati di 5 soggetti italiani tra i 10 e i
18 mesi con le produzioni dei coetanei francesi, inglesi, svedesi, giapponesi
(cfr. Boysson-Bardies et al.,1992). A partire dallo stadio delle 25 parole, le
differenze tra gruppi linguistici superano quelle interne ai singoli gruppi,
dimostrando un’influenza linguo-specifica. Per quanto riguarda i soggetti
italiani, in particolare, si registra una sensibile diminuzione delle consonanti
occlusive nasali verso le percentuali dell’italiano adulto.
Secondo Stoel-Gammon (1988), l'analisi fonetica e fonologica di un
campione rappresentativo del linguaggio di un bambino di età prescolare che
produce parole (a partire da circa 16-18 mesi) deve fornire come minimo le
seguenti informazioni:
1.
ciò che il bambino ha tentato di produrre (analisi indipendente della
forma adulta);
2.
ciò che un bambino ha realmente prodotto (analisi indipendente del
corpus lessicale infantile);
3.
ciò che è stato prodotto correttamente (analisi relazionale);
4.
la natura delle produzioni scorrette (analisi dei processi fonologici;
identificazione di altri errori, per es. di sostituzione);
5.
l'estensione d'uso delle produzioni scorrette (calcolo della percentuale d'occorrenza dei processi fonologici e degli altri errori identificati).
È importante poi anche determinare i tipi sillabici prodotti dal bambino
(usando i simboli C e V), per analizzare le potenzialità fonotattiche (cioè per
sapere se ci sono allofoni in distribuzione complementare, e quanti e quali
foni occupano le posizioni dei vari tipi sillabici).
Le analisi di tipo relazionale sono quelle in cui ogni produzione lessicale
prodotta dal bambino è messa in rapporto al target adulto. La produzione del
target di solito viene elicitata tramite la somministrazione di un test (di ripe12
tizione di non parole o parole, o di denominazione di oggetti o figure). Il
confronto produce dei punteggi di accuratezza, più o meno grande a seconda
della maggiore o minore vicinanza alla forma adulta, gli errori vengono
classificati e il bambino viene valutato di conseguenza per la sua competenza fonologica (cfr. Smit, Hand, Freilinger, Bernthal, e Byrd, 1990). Le analisi di tipo indipendente invece non vengono condotte sui target della lingua
adulta, ma sulle produzioni lessicali effettive del bambino mentre interagisce con la madre o con l’operatore, e portano ad una valutazione della sua
abilità fonetica, tramite la compilazione dei cosiddetti inventari fonetici (ma
con una ulteriore elaborazione di tipo contrastivo possono anche essere usati
per la valutazione fonologica, cfr. Dinnsen, 1992).
Il tipico prodotto della analisi indipendente è l’inventario fonetico (IF),
che rileva e classifica i foni, di solito consonantici, presenti in un dato campione lessicale, secondo le loro caratteristiche di luogo, modo di articolazione e sonorità. Stoel-Gammon (1985) calcola gli IF solo su un lessico individuale che va da un minimo di 10 parole diverse (type) a un massimo di 50
parole consecutive (ciò rende possibile il confronto diretto tra inventari fonetici a prescindere dalla dimensione del lessico). Ogni fono in posizione
iniziale e mediana in almeno due parole diverse viene attestato per quella
data posizione nell’IF, e se una certo tipo lessicale è rappresentato da piu'
forme (per le consonanti), si selezionano solo le prime due.
Per quanto riguarda gli studi sugli IF dei bambini italiani, Zmarich e Bonifacio (2004; vedi anche Zmarich e Bonifacio, 2005), dimostrano che il
sistema fonetico dei bambini italiani cresce sistematicamente dai 18 ai 27
mesi, con le seguenti modalità (Fig. 1):
o
18 mesi: presenti solo occlusive (orali e nasali), prevalentemente
sorde (perché articolatoriamente più facili delle sonore). Tra i luoghi di articolazione viene preferito quello anteriore, forse perchè le labiali possono
essere prodotte con la sola mandibola e le alveolari sono le preferite tra le
consonanti linguali perché più facili dal punto di vista articolatorio rispetto
alle dorsali. L’occlusiva nasale è prodotta con un range di sovrapposizione
temporale molto ampio tra le due azioni di abbassamento del velo e di effettuazione di una costrizione orale. È molto evidente una preferenza per il tipo
sillabico CV.
o
21 mesi: l’inventario fonetico più completo è in posizione mediana.
Si può incominciare a cogliere un influsso della lingua nativa (l’Italiano): si
afferma il contrasto di sonorità, e l’ingresso dell’approssimante laterale e
dell’affricata palatoalveolare sorda introduce altre abilità fonetiche, come
l’abilità a prolungare un fono o una sua fase, coordinandola alla fase precedente e mantenendo un grado di costrizione adeguato alla generazione della
turbolenza.
o
24 mesi: consolidamento di tutti i foni occlusivi e ingresso massiccio delle fricative, differenziate per modo e luogo di costrizione.
13
o
27 mesi: aumentano i tipi sillabici complessi come CVC e CCV.
Nell’articolo di Zmarich e Bonifacio (2004) vengono anche tentati alcuni
confronti per stabilire quanto le variazioni evolutive siano dettate dalle caratteristiche della lingua adulta. Un primo tipo di confronto è istituito con i
dati fonetici di alcuni database infantili. Il primo di questi riguarda 4 bambini (cfr. Zmarich e Miotti, 2003) e si riferisce al babbling, alle prime parole
fino ai 18 mesi, e ai target lessicali adulti tentati, mentre un secondo
database si riferisce ad un corpus lessicale adulto relativo al primo vocabolario dei bambini fino ai 30 mesi (696 parole producibili dai bambini dai 18
ai 30 mesi, cfr. “Il primo Vocabolario del Bambino” (PVB) di Caselli e Casadio (1995). Un secondo tipo di confronto è istituito con i dati fonetici relativi all’italiano scritto (Batinti, 1993) e parlato (Bortolini, Degan, Minnaja,
Paccagnella e Zilli, 1978). Un terzo tipo di confronto, è istituito con i gli IF
dei coetanei anglofoni (cfr. Davis e MacNeilage, 1995; Stoel-Gammon,
1985; Dyson 1988). Da tutti questi confronti, Zmarich e Bonifacio (2004)
ricavano che, per quanto riguarda il modo di produzione, sia nello stadio
prelinguistico che in quello linguistico i foni consonantici più frequenti e
più stabili sono le occlusive orali e nasali. Le approssimanti [j] e [w] non
compaiono mai negli inventari dei bambini italiani (mentre sono tra i suoni
più frequentemente prodotti dai bambini anglofoni), e la sillaba CV è la più
frequente e raggiunge il suo massimo (circa 80%) a 21 mesi (mentre la più
prodotta dai coetanei anglofoni è del tipo CVC, con il 40%; lo stesso tipo è
prodotto dai coetanei italiani con percentuali inferiori al 10%). È interessante notare come il confronto tra il database “target” e i due relativi alla lingua italiana evidenzi un probabile comportamento selettivo su base fonetica
dei bambini nella scelta delle parole da pronunciare, che infatti contengono
relativamente poche consonanti “difficili” come affricate, fricative e vibranti
(cioè i bambini evitano di produrre quelle parole che contengono strutture
fonetiche ancora al di fuori della loro portata, cfr. Schwartz e Leonard,
1982). Per quanto riguarda il luogo di produzione, il dato più interessante è
relativo all’incremento percentuale di foni “semplici” come le bilabiali nello
stadio delle prime parole rispetto sia alle fasi precedenti del babbling che ai
pattern successivi della lingua parlata dagli adulti (una regressione di tipo
fonetico che consentirebbe al bambino di dedicare più risorse al nuovo compito cognitivo di connettere significante a significato nelle prime parole, cfr.
MacNeilage e Davis, 2000).
Un modo originale per cogliere le relazioni tra capacità fonetica e produttività lessicale è analizzare dal punto di vista fonetico le parole che il bambino tenta di produrre secondo i genitori, dal questionario MacArthur-Bates
CDI (Fenson, Dale, Reznick, Thal, Bates, Hartung, Pethick e Reilly, 1993)
Seguendo l’esempio di Stoel-Gammon (1998), Zmarich et al. (accettato per
la pubblicazione), indagano la composizione sillabica e fonetica delle parole
della versione italiana del MacArthur-Bates CDI (Caselli, Pasqualetti e Ste14
fanini, 2007) allo scopo di osservarne l’influenza sull’età di acquisizione
lessicale e sulla percentuale di bambini tra 18 e 36 mesi che produce ciascuna parola (su un totale di 752). I risultati mostrano che la maggioranza delle
parole è costituita da bisillabi e trisillabi, e le sillabe sono del tipo CV.
All’aumentare dell’età e dell’ampiezza di vocabolario si assiste ad un aumento dei tipi consonantici più complessi, per modo di produzione (fricative
e liquide) e per luogo di produzione (labio-dentali, alveolari e palatoalveolari): parallelamente si assiste ad una riduzione delle occlusive, per il
modo, e delle bilabiali, per il luogo. Alla fine gli autori affermano che le
parole tentate da una percentuale più bassa di bambini sono più complesse
dal punto di vista fonetico di quelle tentate da una percentuale più alta e che
la complessità articolatoria è senz’altro un fattore che contribuisce a differenziare le produzioni in base all’età. Ci sono anche prove che siano le rappresentazioni lessicali a influenzare l'acquisizione fonologica: per es., un
trattamento per bambini con disordini di linguaggio basato sull'aumento del
vocabolario espressivo ha indotto un successivo incremento della diversità
fonologica (Girolametto, Pearce e Weitzman, 1997).
60
70
18 mesi
18 mesi
60
50
21 mesi
21 mesi
24 mesi
24 mesi
Frequenze %
50
40
27 mesi
40
27 mesi
Targets
30
20
30
10
20
Luogo di articolazione
0
glides
affricate
fricative
laterali
nasali
plosive
vibranti
Modo di articolazione
15
tri
al
ri
ve
la
ta
li
la
ol
a
to
al
ve
pa
la
de
bi
o
la
pa
ri
i
nt
al
i
bi
al
la
bi
ve
o
la
r
i
0
10
al
Frequenz e %
Targets
Fig.2. In alto a sin.: IF in sede iniziale (IN) e mediana (IV) di parola a 18, 21, 24 e 27 mesi
attestati in almeno il 50% dei bambini (*foni attestati in oltre il 90% degli inventari individuali:
10/11 bambini a 18 mesi, 12/13 per i restanti mesi). In alto a destra: % di occorrenza dei tipi
sillabici. In basso a sin: % di occorrenza delle classi fonologiche naturali di Modo. In basso a
destra: % di occorrenza delle classi fonologiche naturali di Luogo. L’etichetta “targets (targ)”
contrassegna le caratteristiche fonetiche delle parole del lessico adulto che i bambini hanno
tentato di riprodurre (da Zmarich e Bonifacio, 2005)
1.4. L’analisi acustica
Rispetto all’analisi del percetto uditivo, basata sulla trascrizione fonetica
e quindi su categorie qualitative, l’analisi acustica quantifica il continuum
tempo-frequenziale dei foni. È in grado di caratterizzare il comportamento
verbale, tipico o patologico, dei parlanti, negli aspetti costitutivi
dell’intelligibilità, della velocità di elocuzione e della prosodia, e della qualità della voce (Kent e Kim, 2003). Un’applicazione interessante riguarda
l’analisi delle durate delle unità linguistiche (sillabe, consonanti, vocali) e
sublinguistiche (per es. il VOT). Durante lo sviluppo fonetico, le durate generalmente diminuiscono (cioè aumenta la velocità di elocuzione), si riduce
anche la loro variabilità, e la norma adulta si raggiunge verso gli 8 anni
(Smith e Kenney, 1999). La variabilità nell'esecuzione (in termini sia di precisione che di durata) dipende anche dalla frequenza di occorrenza delle
strutture fonologiche: le strutture fonologiche meno frequenti sono prodotte
con più errori e con durata maggiore e più variabile. È importante però tener
presente la distinzione tra variabilità dovuta a errore (tipica del bambino)
dalla variabilità funzionale (tipica dell’adulto), che viene usata per risolvere
problemi di natura motoria (compensazioni), e che non si sa come e quando
il bambino acquisisca (Moore, 2004). L’analisi acustica ci fornisce anche le
prove di comportamenti altrimenti non rilevabili solo in base alla trascrizione fonetica. È questo il caso di uno stadio di acquisizione di un contrasto
fonologico detto nascosto (cfr. covert, Scobbie, Gibbon, Hardcastle e Fletcher, 2000). I primi tentativi di un bambino di riprodurre un contrasto fonologico non sono né fluenti né corretti, in base alla percezione dell'adulto. Ma
possono passare anche diversi mesi tra la significatività statistica di un contrasto rilevato acusticamente e la sua percezione, e l’analisi acustica può
quindi stabilire la presenza di un contrasto che il bambino si sta sforzando di
realizzare anche quando esso non è ancora percepibile. Caso classico, il
Voice Onset Time o V.O.T., che misura l’intervallo temporale che va dal
rilascio dell’occlusione consonantica all’inizio di vibrazione delle corde vocali (Macken e Barton, 1980; Bortolini, Zmarich, Fior e Bonifacio, 1995;
per un’analisi cinematica, cfr. Grigos, 2009): consonanti sorde e sonore
all’inizio sono realizzate con voicing lag (cioè entrambe vengono realizzate
come sorde non aspirate, perché il modo più semplice per produrre una sil16
laba che comincia per occlusiva è far vibrare le corde vocali subito dopo il
rilascio dell’occlusione). In seguito incominciano a differenziarsi dal punto
di vista acustico, con una distribuzione statisticamente bimodale, ma le differenze non superano la soglia percettiva (stadio nascosto). In uno stadio
successivo, sorde e sonore dell’italiano vengono realizzate rispettivamente
con valori di voicing lag e voicing lead (quando le corde vocali vibrano già
durante l’occlusione, come nell’italiano) molto alti (cioè sorde e sonore sono esageratamente diverse); alla fine sorde e sonore vengono realizzate rispettivamente con voicing lag e voicing lead secondo la norma adulta.
Oltre che per le durate, l’analisi acustica risulta particolarmente utile anche per lo studio della coarticolazione (Petracco e Zmarich, 2007). Con il
termine coarticolazione ci si riferisce all’influenza (acustica, articolatoria,
percettiva) di un fono su un altro, che lo segue (c. perseverativa) o lo precede (c. anticipatoria). Secondo l’ipotesi oggi più accreditata, nello sviluppo
fonologico il bambino restringe progressivamente il dominio
dell’organizzazione articolatoria dalla sillaba ai singoli gesti C e V, quindi
durante lo sviluppo la coarticolazione diminuisce e la distintività fonemica
aumenta (Studdert-Kennedy e Goldstein, 2003). Petracco e Zmarich (2007)
hanno descritto e quantificato la coarticolazione anticipatoria (di V su C) in
sillabe “CV” (C = [p/b],[t/d],[k/g] e V = qualsiasi vocale) prodotte da una
bambina, dal babbling dei 10 mesi alle prime parole a 18 mesi, usando
l’andamento di F2 nella transizione tra C e V come indice del luogo di occlusione lungo la direzione antero-posteriore del cavo orale (Fant, 1963).
Sebbene in nessun mese i gradi di coarticolazione per i tre luoghi articolatori
siano uguali a quelli dei soggetti adulti, nondimeno essi seguono profili evolutivi diversi a seconda del luogo consonantico interessato, e le differenze
possono essere spiegate dalla forza dei vincoli anatomofisiologici coinvolti
nell’interazione tra C e V (cfr. anche Sussman, Duder, Dalston, Cacciatore
A., 1999; Gibson e Ohde, 2007). Per es., quando la sillaba incomincia per
consonante velare, l’articolatore della consonante è lo stesso della vocale (e
cioè il dorso della lingua), e il bambino che non sa ancora adattare i luoghi
articolatori di consonante e vocale può realizzare un grado di coarticolazione anormalmente alto, mentre quando incomincia per consonante bilabiale i
vincoli sono scarsi (le labbra e il dorso della lingua sono anatomicamente
indipendenti) ma se il bambino non sa ancora sincronizzare temporalmente
l’apertura delle labbra con il posizionamento della lingua può realizzare un
grado di coarticolazione anormalmente basso. Se poi la sillaba comincia per
consonante dentale, il bambino può non aver ancora imparato ad usare contemporaneamente due parti diverse della lingua, l’apice (per la consonante)
e il dorso (per la vocale), e quindi realizza dei gradi di coarticolazione anomali.
17
1.5 L’analisi cinematica
L’indagine fisiologica delle strutture anatomiche relative alla produzione
del parlato è intrinsecamente più difficile e quindi meno frequentata degli
studi acustici, soprattutto per soggetti di età evolutiva, poiché l’uso di dispositivi che richiedono una certa collaborazione consapevole al soggetto (che
per es. molte volte deve restare il più possibile immobile), e l’invasività dei
dispositivi e la laboriosità delle procedure, rendono la loro applicazione
problematica, o perlomeno selettiva. Nonostante queste controindicazioni,
solo l’analisi cinematica permette di quantificare il movimento laddove
l’analisi acustica fallisce (per es. isolando il contributo di un singolo articolatore o in assenza di suono). Secondo le poche ricerche di tipo evolutivo,
l'acquisizione fonologica coincide con un processo sostanziale di riduzione
della variabilità spaziale e temporale dei movimenti, cioè con un miglioramento della precisione e della velocità (cfr. rassegne di Moore, 2004; Smith
e Goffman, 2004; Smith, 2006). Per es. in uno studio di Green, Moore e
Reilly (2002), è stata indagata l’organizzazione coordinativa dei gesti del
labbro superiore, labbro inferiore e mandibola nella produzione della sillaba
/ba/ a 1, a 2 e a 6 anni. Essa cambia in modo drammatico durante i primi
anni di vita e continua a raffinarsi anche dopo l’età di 6 anni. Sono state
scoperte 3 fasi principali nello sviluppo della coordinazione tra labbra e
mandibola nell’occlusione bilabiale: a 1 anno, è la mandibola a realizzare
attivamente l’occlusione, mentre le labbra sono ancora passive e si lasciano
trasportare dalla mandibola nel suo movimento verticale; a 2 anni, le labbra
sono indipendenti dalla mandibola ma non tra loro; a 6 anni, la sinergia tra
le 3 strutture si ottimizza nella modalità adulta.
1.6. L’analisi delle caratteristiche soprasegmentali:
l’emergere della strutture intonative e ritmiche
Alcune teorie sostengono che l'intonazione linguospecifica si sviluppi
prima dello stadio in cui emergono le prime parole, cioè prima dei 12 mesi
(Bever, Fodor e Weksel, 1971). La comparsa precoce dell'intonazione è tipicamente attribuita a tendenze biologiche. Studi sulle prime vocalizzazioni
del bambino confermano che i contorni melodici discendenti (con sforzo
articolatorio minore) predominano durante i primi mesi di vita del bambino
sui contorni ascendenti (con sforzo articolatorio maggiore, Kent e Bauer,
1985). Teorie alternative vedono l'emergere dell'intonazione come intrinsecamente legato alla conquista delle prime parole, attorno ai 12 mesi (ad es.,
Leopold, 1947). Snow (2006) sostiene che l'acquisizione dell'intonazione
segue un modello di sviluppo non lineare, che attraversa un periodo di re18
gressione nel tardo periodo prelinguistico (attorno a i 10 mesi) e termina
entro il secondo anno di età (Levitt, 1993). Questo sviluppo suggerisce una
riorganizzazione linguistica nella prosodia del bambino che è all’opera anche nella percezione delle opposizioni segmentali non native ("regressioneriorganizzazione, cfr., ad es, Vihman 1996). L'intonazione ha poi uno sviluppo esponenziale in coincidenza con lo sviluppo della sintassi e l'apparire
di frasi di due parole, a partire dai 18 mesi di età (Snow, 2002; per un'analisi
cinematica, cfr. Smith e Zelaznik, 2004).
1.7. L’impostazione psicolinguistica
Nei modelli psicolinguistici dello sviluppo fonetico-fonologico, le componenti chiave sono i processi psicologici coinvolti nella percezione, memorizzazione, pianificazione e produzione del parlato, come è effettivamente
prodotto in tempo reale in reali enunciati. Quindi i modelli psicolinguistici
sono particolarmente utili in clinica poiché interpretano l’informazione sintomatologica dei sistemi linguistici atipici, fornita dalle valutazioni di tipo
linguistico basate sulla trascrizione fonetica, tentando anche di identificare il
livello in cui la produzione del parlato è danneggiata (cfr. rassegne di Baker,
Croot, McLeod & Paul, 2001; Stackhouse e Wells, 1997).
L’acquisizione della capacità sintattica è una tappa significativa dello
sviluppo linguistico, che interessa i bambini proprio tra i 2 e i 4 anni (cfr.
Vihman, 1996), passati i quali arrivano a pianificare e produrre gli enunciati
in modo essenzialmente adulto (MacWhinney e Osser, 1977). Vari ricercatori hanno messo in realzione la frequenza di occorrenza di lapsus, disfluenze e auto-correzioni (cfr. self-repairs) con lo sviluppo della capacità di produzione dell’enunciato. Wijnen (1990) sostiene che i bambini attorno ai 2
anni manifestano tramite le disfluenze l’esistenza di una discontinuità nello
sviluppo dell’elaborazione del messaggio linguistico, che passa da un funzionamento su base semantica a uno su base sintattica. Sembrerebbe che i
cambiamenti evolutivi nel modo di pianificare e produrre l’enunciato siano
collegati allo sviluppo della capacità grammaticale-sintattica, e possano essere colti attraverso le variazioni di frequenza di disfluenze e auto-correzioni
degli enunciati infantili (Rispoli, Hadley e Holt, 2008). Questi autori, che
fanno riferimento al modello di Levelt (1989), distinguono tra due tipi principali di disfluenza, le interruzioni (stalls) e le revisioni (revisions). Le interruzioni sono errori nell’enunciato che non aggiungono nuove informazioni linguistiche (ripetizioni di foni o sillabe, prolungamenti sonori o silenti di
fono, interiezioni), e che nascono da un ritardo temporale nei punti maggior
complessità sintattica e lunghezza dell’enunciato, tra pianificazione (più
lenta) ed esecuzione (più veloce), che costringe il bambino a ripetere
l’ultimo elemento appena prodotto o a “fermarsi in pausa”. Le revisioni, che
19
consistono di false partenze e revisioni di frase, aggiungono invece nuova
informazione, prodotta dopo che il bambino, ascoltandosi parlare, si è accorto di aver prodotto un errore e si corregge, arrestandosi e ripartendo con una
nuova formulazione. Rispoli (2008) riesce a dimostrare come, in parallelo
allo sviluppo della capacità grammaticale-sintattica, si assiste ad un aumento
delle revisioni, mentre la frequenza delle interruzioni resta invariata. Le revisioni dunque manifestano la crescente capacità del bambino di comparare
la sua intenzione comunicativa con il prodotto non ancora completato e di
correggere la produzione se non c’è corrispondenza tra i due livelli.
Per acquisire la lingua nativa, il bambino essenzialmente deve fare due
cose: imparare le parole di quella lingua ed estrarre le caratteristiche fonologiche rilevanti di quelle parole. Le ricerche fatte finora hanno investigato
separatamente l’acquisizione delle parole e l’acquisizione dei suoni. Gli studi descrittivi suggeriscono però che i bambini che conoscono molte parole
tendono a produrre varietà più numerose di suoni e combinazioni di suoni,
mentre i bambini che conoscono poche parole tendono a produrre una varietà più ristretta di suoni e combinazioni di suoni (cfr. rassegna di Storkel e
Morrisette, 2002). Sembra esserci dunque un intima e forte connessione tra
l’apprendimento delle parole e la produttività fonologica. C’è una tipologia
di modelli psicolinguistici che incontra un consenso quasi generale, ed è
quella basata sul connessionismo. Nei modelli connessionistici la relazione
tra lessico e fonologia è alla base del processo di accesso lessicale, in cui
vengono “attivate” le rappresentazioni mentali delle parole. Le parole sono
rappresentate nel lessico mentale sotto due forme, fonologica e lessicale. Le
rappresentazioni fonologiche corrispondono ai singoli suoni. Le rappresentazioni lessicali corrispondono a sequenze di suoni integrate in una unità.
Una data parola come “pane” a livello fonologico consisterà di quattro rappresentazioni fonologiche /p/, /a/, /n/, /e/ e a livello lessicale di un'unica rappresentazione lessicale /pane/. Ciascuna parola ha quindi una molteplice
rappresentazione fonologica ma solo una rappresentazione lessicale. Quando
ascoltiamo o pensiamo una parola, forniamo un’attivazione esterna alla rappresentazione lessicale. La soglia di riposo è il livello di attivazione di una
rappresentazione in assenza di stimoli. Il numero di esperienze passate con
un certo suono o una certa parola ne determina la sua soglia di riposo, poiché un suono/una parola che è attivata molto frequentemente ha una soglia
di riposo alta (e più vicina alla soglia di attivazione). Ecco allora che la frequenza di suono/di parola (il numero di volte che un certo suono/parola occorre in un campione molto ampio, rappresentativo della lingua) porta quel
suono/parola ad essere riconosciuto/prodotto/appreso più rapidamente e più
accuratamente. Perché la parola sia riconosciuta o prodotta (cioè disponibile
alla coscienza), l’attivazione della sua rappresentazione deve raggiungere
una soglia prefissata. Le due variabili principali che, innalzando il livello di
attivazione a riposo vicino alla soglia, influenzano il riconoscimento lessica20
le, la produzione, la memorizzazione e l’apprendimento da parte degli adulti, sono la probabilità fonotattica e la densità dell’intorno lessicale (phonological neighborhood density). Quest’ultima variabile si riferisce al numero
di parole che differiscono da una data parola solo per un fonema, e influenza
l’attivazione della rappresentazione lessicale. La probabilità fonotattica invece si riferisce alla probabilità di occorrenza di un dato suono o coppia di
suoni nella lingua, ed influisce sull’attivazione delle rappresentazioni fonologiche. Ci sono prove sempre più forti che queste variabili sono rilevanti
anche nel lessico in costruzione dei bambini normodotati (cfr. per es. Storkel, Maekawa e Hoover, 2010). Parlando solo della probabilità fonotattica,
essa influenza la velocità e l’accuratezza della produzione verbale nei bambini a partire dai 2 anni, in modo che la produzione dei foni o delle sequenze
più comuni è più veloce e più accurata di quelli rari, sebbene l’effetto possa
essere modulato dalla posizione nella parola e dalle dimensioni del vocabolario. La posizione più facilitante per bambini di 2;2-2;8 (anni; mesi) sembra
essere quella di inizio parola (Zamuner, 2009). La dimensione del vocabolario risulta essere positivamente correlata alla densità dell’intorno lessicale.
Infatti un suono più frequente attiverà più parole in un intorno lessicale denso piuttosto che in un intorno rarefatto, e queste parole diventeranno altrettanti antagonisti della parola target, la cui selezione per il riconoscimento o
la produzione sarà allora ritardata. Anche se l’organizzazione del lessico
mentale infantile è a tutt’oggi, largamente inesplorata, un ingegnoso esperimento di priming realizzato da Mani e Plunkett (2008) ha potuto stabilire
che bambini di 18 e 24 mesi mesi erano più veloci a riconoscere parole
quando erano precedute da prime fonologicamente collegati (attivazione
facilitatoria della rappresentazione fonologia pre-lessicale), ma solo i bambini di 24 mesi erano rallentati, quando il numero di parole fonologicamente
simili conosciuto dai bambini era relativamente grande (attivazione inibitoria della rappresentazione lessicale). Ciò dimostra che il lessico mentale dei
bambini di 24 mesi, ma non di quelli a 18 mesi, ha cominciato ad organizzarsi sulle basi delle proprietà fonologiche delle parole.
1.8. L’analisi in processi
A partire grosso modo dai 24 mesi, dopo che il bambino ha acquisito un
gran numero di parole, incominciano a comparire dei processi di semplificazione sistematici che per comodità possono essere divisi in due principali
classi: i processi che semplificano la struttura fonotattica (cioè i foni in contesto) e i processi di sistema (che semplificano il sistema fonologico, eliminando i contrasti). Tradizionalmente, essi sono stati interpretati come eventi
mentali dinamici che agiscono su uno o più elementi della parola, alterandone la forma o la struttura (cfr. per es. Bortolini, 1995). Secondo questa inter21
pretazione, un bambino fa uso dei processi fonologici quando semplifica una
parola del lessico adulto, perché pur sapendo riprodurre isolatamente i singoli suoni, non ne controlla le caratteristiche in rapida successione. Viene
anche detto che i processi fonologici sono delle strategie attive messe in atto
inconsapevolmente dal piccolo (aspetti modulari della funzionalità della
mente) che gli permettono di raggiungere con sempre maggiore precisione il
bersaglio fonetico (la parola parlata). L’analisi in processi, secondo Bortolini (1995), ha come pregio il fatto di focalizzarsi sul componente linguistico
della produzione del soggetto; infatti essa genralizza le semplificazioni che
il bambino attua in modo sistematico nella struttura delle parole e nelle classi di fonemi. È stato anche dimostrato che alcuni di questi errori rivestono
un potere predittivo su aspetti diversi dell'acquisizione linguistica successiva. Per es. Williams e Elbert (2003) suggeriscono che un ritardo persistente
di linguaggio possa essere predetto sulla base di alcune caratteristiche qualitative della produzione fonologica. In particolare essi identificano 8 fattori
di rischio: un inventario fonetico ristretto (da 6 a 9 consonanti iniziali a 32
mesi), una diversità di tipi sillabici limitata (una media di 7,5 tipi tra i 24 e i
41 mesi), un grande numero di errori fonologici (percentuale di consonanti
corrette < 0.45, una accentuata variabilità nell'articolazione (diversi foni
sostituiscono un unico fonema), un'alta frequenza di errori anomali, presenza di processi fonologici anomali, e, per finire, un progresso limitato nel
tempo.
Ma è possibile dare anche un’altra interpretazione teorica ai processi fonologici, meno basata su regole e rappresentazioni mentali: secondo la Fonologia Articolatoria (Goldstein e Fowler, 2003; Studdert-Kennedy e Goldstein, 2002) essi forniscono l’evidenza che i bambini sono in grado di stabilire molto presto una relazione tra organi articolatori distinti e unità lessicali (Studdert-Kennedy, 2000). L’ipotesi avanzata trova conferma
nell’analisi relativa ai primi tentativi da parte del bambino di riprodurre un
target adulto. Anche nel bambino molto piccolo è presente una grande coerenza nell’uso degli organi implicati per la produzione di una data parola, e
la relazione tra azioni di diversi organi e unità lessicali viene acquisita molto
precocemente grazie all’imitazione. In principio tale legame non è mediato
da regole fonologiche, ma semplicemente dall’identità dell’organo articolatorio coinvolto nella produzione del target lessicale desiderato. Uno studio
compiuto da Studdert-Kennedy e Goodell (1995) descrive i diversi tentativi
di una bambina di 3 anni di realizzare la parola bersaglio “apricot” (“albicocca”). I diversi tentativi sono caratterizzati da una grande variabilità fonetica. Molti errori sono di tipo segmentale (cioè molti foni scorretti) con foni
che non compaiono nel target e spesso, nelle diverse varianti, non sono rilevabili elementi fonetici comuni. Se si dovesse ricorrere all’analisi tradizionale in processi questa bambina risulterebbe fortemente variabile e deficitaria. Ma c’è anche un altro modo di considerare questi tentativi, molto meno
22
penalizzante nei confronti della bambina: gli errori non derivano dall’uso di
gesti diversi da quelli impiegati dall´adulto per pronunciare la parola target
(errori di scelta dell´organo), ma da tentativi errati di produrre la corretta
organizzazione temporale tra gesti adiacenti (tradizionalmente classificati
come errori di armonia, di inserzione e di cancellazione): ad es., l’inserzione
di una vocale neutra in un gruppo consonantico (CC) è causata da un’errata
relazione di fase tra la prima C e la seconda C (un ritardo), o da errori di
dimensionamento del gesto articolatorio (per es. errori classificati tradizionalmente come stopping o all’opposto gliding): se una fricativa diventa occlusiva il bambino sta effettuando un eccessivo grado di costrizione. In uno
studio su 4 bambini di lingua inglese eseguito tra i 13 e i 16 mesi (nel periodo di transizione tra il babbling e le prime parole) Studdert-Kennedy (2000)
osserva che gli errori compiuti nelle consonanti iniziali dei bambini tendono
ad essere errori di organizzazione temporale o di ampiezza dei gesti piuttosto che errori di luogo di articolazione: su un totale di 226 produzioni (di cui
161 corrette), solo il 20% degli errori sono di luogo, l’80% sono errori o di
sonorità o di modo. Goldstein (2003) analizza gli errori di sostituzione di sei
bambini che apprendevano l’inglese di tipo americano: gli errori di luogo
(cioè di identità dell'articolatore attivo) sono molto meno frequenti degli
errori di sonorità e di modo. Nel tentativo di replicare e raffinare l’analisi
statistica di Goldstein su un database di errori di bambini italiani dai 18 ai
27 mesi, Orso, Calegaro, Bonifacio, Rapa e Zmarich (in corso di stampa)
concordano con l’ipotesi sperimentale formulata da Goldstein: negli errori
linguistici infantili, le categorie fonetiche legate al luogo d’articolazione
(Labiali, Coronali, Dorsali) si mantengono significativamente di più rispetto
alle categorie legate al modo di articolazione (Occlusive, Fricative, Approssimanti, Affricate).
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