Didattica delle lingue moderne - Università per Stranieri "Dante

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Didattica delle lingue moderne - Università per Stranieri "Dante
Didattica delle
lingue moderne
Prof. Maurizio Gagliano
Università “Dante Alighieri” per stranieri
Reggio Cal. a.a. 2014-15
1a. Introduzione al corso
• La didattica delle lingue (o GLOTTODIDATTICA) ha come argomento principale le teorie, i principi e i
metodi per l’insegnamento delle LINGUE. E’ dunque una disciplina TEORICO-PRATICA ad ampio
spettro, poichè si occupa dell’insegnamento (e dell’apprendimento) sia della lingua madre che delle
lingue straniere, (comprese eventualmente le lingue classiche non più parlate come ad esempio il
latino e il greco).
• Nell’ambito di tale corso, che sarà centrato sulla didattica delle lingue straniere e sulle questioni
inerenti le attività di INTERPRETARIATO e TRADUZIONE, avrà pertanto un ruolo centrale la nozione di
LINGUA e le altre con cui essa è collegata (SEGNO LINGUISTICO, SIGNIFICANTE, SIGNIFICATO,
DISCORSO, etc.), tanto che le prime lezioni saranno dedicate a introdurre ed esplicitare tali nozioni
provenienti dalla LINGUISTICA TEORICA. In particolare faremo riferimento a entrambi i “padri
fondatori” delle scienze del linguaggio contemporanee: F. DE SAUSSURRE e CH. S. PEIRCE.
• Del resto la glottodidattica intrattiene rapporti molto stretti con almeno altre tre aree scientifiche
disciplinari:
• L’area delle SCIENZE DEL LINGUAGGIO: LINGUISTICA, SEMIOTICA e SEMANTICA.
• L’area della PSICOLOGIA COGNITIVA (o PSICOLINGUISTICA) che studia i processi MENTALI sottesi all’uso della
lingua e all’interazione sociale attraverso le espressioni linguistiche, nonchè dei processi NEURO-CEREBRALI
soggiacenti a tali fenomeni.
• L’area SOCIO-CULTURALE che riguarda più estensivamente il ruolo di cui gode la lingua nel mediare i fenomeni
culturali e sociali, tanto all’interno di una stessa lingua quanto nel caso della mediazione interculturale.
1b. Nozioni di linguistica generale
• Il LINGUAGGIO come FACOLTA’ COGNITIVA, cioè la capacità della MENTE
UMANA di interagire in maniera SIMBOLICA con la realtà. E’ legata ad altre
capacità cognitive, come percezione, attenzione, memoria, ragionamento e
astratto e decisione.
• La LINGUA STORICO-NATURALE come sistema di REGOLE e insieme di
convenzioni sociali. Innatismo vs. apprendimento (ovvero NATURA vs.
CULTURA).
• Il SEGNO linguistico (parola, discorso, testo) e le sue due facce:
SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO. Il VALORE LINGUISTICO (valore di scambio e
valore d’uso).
• La VARIABILITA’ delle forme linguistiche e i diversi assi lungo cui essa si
articola: DIACRONIA (e SINCRONIA); variabilità DIATOPICA (legata ai
LUOGHI), DIAMESICA (legata al MEZZO di comunicazione), DIASTRATICA
(legata alla STRATIFICAZIONE socio-culturale), DIAFASICA (legata alla
SITUAZIONE e al contesto).
1c. La competenza comunicativa
• A differenza della didattica tradizionale, che attribuiva la massima importanza alla
CORRETTEZZA GRAMMATICALE delle espressioni linguistiche, gli orientamenti più recenti
privilegiano la nozione di EFFICACIA COMUNICATIVA, tanto nella forma scritta che nella forma
parlata.
• Questa nozione si lega quindi all’acquisizione, da parte del discente, della COMPETENZA
COMUNICATIVA: ossia di una ABILITA’ MENTALE che si manifesta attraverso la capacità di
realizzare enunciati corretti e, più in generale, atti linguistici appropriati alla concreta
situazione comunicativa in cui il parlante si trova inserito.
• Ciò rinvia alla dicotomia COMPETENCE/PERFORMANCE, elaborata dal linguista americano
NOAM CHOMSKY, ed è utile per evidenziare i due aspetti (uno mentale e l’altro “operativo”)
attraverso cui si manifesta la conoscenza di una lingua. A sua volta la competenza può essere
LINGUISTICA o EXTRALINGUISTICA, a seconda che riguardi gli aspetti più propriamente
linguistici della comunicazione (fonologia, ortografia, morfologia, sintassi, semantica) o gli
aspetti non linguistici che accompagnano l’atto comunicativo (gestualità, distanza, aspetti
contestuali e circostanziali, variabili sociolinguistiche e interculturali).
1d. Le abilità linguistiche
• Un modo per riformulare i concetti visti prima e per calarli nella pratica concreta, consiste nel fare
riferimento alle ABILITA’ LINGUISTICHE, una nozione ampiamente utilizzata tanto nei modelli più
tradizionali quanto nelle teorie più recenti.
• Si parla in primo luogo di ABILITA’ PRIMARIE in relazione alla dicotomia fra forma SCRITTA e forma
PARLATA e fra fase RICETTIVA e fase PRODUTTIVA. Da ciò deriva:
•
•
•
•
Abilità ricettiva scritta: LEGGERE;
Abilità ricettiva orale: ASCOLTARE;
Abilità produttiva scritta: SCRIVERE;
Abilità produttiva orale: PARLARE.
• A esse si accompagnano le cosiddette ABILITA’ INTEGRATE, che coinvolgono due o più delle abilità
primarie enunciate sopra e possono essere INTRALINGUISTICHE se riguardano una sola lingua, oppure
INTERLINGUISTICHE se riguardano invece la transizione da una lingua a un’altra. Tali abilità sono:
• Interpetariato (da L2 a L1)
• Parafrasi (da testo orale in L2 a testo orale in L1, parafrasi scritta di un testo scritto nella stessa lingua, parafrasi
scritta in L1 di un testo scritto in L2)
• Riassunto (da un testo orale in L2 a un testo orale in L1, da testo orale in L2 a testo orale in L2, da testo orale in L2
a testo scritto in L2)
• Dialogo
• Monologo
• Dettato
• Prendere appunti (da orale in L2 a scritto in L2, da orale in L2 a scritto in L1)
• Traduzione all’impronta (da scritto in L2 a orale in L1, da orale in L2 a scritto in L1
• Traduzione scritta da L2 in testo scritto in L1.
1e. Le abilità ricettive
• Fra quelle viste prime, le abilità legate all’ascolto di un discorso e alla lettura di un testo scritto
sono dette RICETTIVE in quanto coinvolgono la COMPRENSIONE del significato del testo o del
discorso di partenza. Tale processo è particolarmente complesso in quanto coinvolge diverse
capacità, di natura linguistica (competenze morfo-sintattiche, semantico-pragmatiche) ed
extralinguistica, peraltro variabili in funzione del soggetto e delle circostanze in cui avviene la
comunicazione, tanto che non esiste un modello univoco che descriva compiutamente tale
fenomeno.
• I fattori fondamentali dalla cui interazione dipende la comprensione sono:
• La CONOSCENZA ENCICLOPEDICA del mondo (cfr. U. Eco);
• I PROCESSI COGNITIVI con cui il parlante si forma una rappresentazione del mondo e che gli
permettono di interagire con esso.
• La COMPETENZA COMUNICATIVA.
• La comprensione del significato di un testo o di un discorso, che è influenzata dai suddetti
fattori, non è un processo lineare ma dipende notevolmente dalle ASPETTATIVE che il parlante
viene via via formandosi nel corso dell’ascolto o della lettura, ed è anche legato alle FINALITA’
che egli si pone nel corso dell’interazione comunicativa.
2. Interpretazione e traduzione
• Le molteplici accezioni della nozione di INTERPRETAZIONE:
• Nel senso dell’ERMENEUTICA FILOSOFICA, che però non affronteremo nell’ambito di questo corso.
• Nel senso della SEMIOTICA INTERPRETATIVA elaborata da Ch.S.PEIRCE e ripresa da UMBERTO ECO,
che è invece molto pertinente ai fini anche del problema della traduzione.
• Nel senso dell’interpretazione dei testi letterari e a spiccata vocazione estetica (romanzi, poesie),
caratterizzati quindi da un uso FIGURATO delle forme linguistiche (METAFORE, FIGURE RETORICHE,
ALLEGORIE).
• Nel senso dell’INTERPRETARIATO propriamente detto, che si lega principalmente alla seconda
accezione citata.
• L’attività di interpretariato consiste quindi nel creare un canale di COMUNICAZIONE,
solitamente ORALE, fra due soggetti di una conversazione che non condividono la stessa
lingua.
• La TRADUZIONE riguarda la trasposizione di testi SCRITTI e non di conversazioni orali, ma
rientra nello stesso concetto generale di MEDIAZIONE LINGUISTICA e INTERCULTURALE. In
entrambi i casi, infatti, è decisiva la COMPRENSIONE DEL SIGNIFICATO del testo o del discorso
di partenza e il suo trasferimento nella lingua di arrivo.
3. Testi d’esame
• A. Ciliberti, Glottodidattica, Carocci 2012.
• U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani 2003.
• C. Falbo, M. Russo, F.S. Straniero (cur.),
Interpretazione simultanea e consecutiva, Hoepli
1999.
• M. Prampolini, F. De Saussurre, Carocci 2013.
• Materiale didattico distribuito a lezione.
• [email protected]
4a. Il linguaggio come facoltà cognitiva
• Il linguaggio, inteso in senso molto generale e astratto, è la capacità della MENTE UMANA di CREARE
CORRELAZIONI e coordinare in maniera sistematica due PIANI distinti: 1) il piano delle ENTITA’ FISICHE,
materialmente percepibili come il suono della VOCE, le tracce GRAFICHE scritte sui fogli di appunti, sulle
pagine dei libri, e così via; 2) il piano delle ENTITA’ CONCETTUALI, depositate nella mente di ciascuno di
noi sotto forma di PENSIERI, CONOSCENZE, RAPPRESENTAZIONI, che non sono direttamente attingibili se
non attraverso la mediazione delle entità del primo piano, le quali ‘STANNO PER’ (cioè A POSTO DI) queste
entità concettuali.
• Perchè tale capacità del tutto astratta si realizzi in concreto, è necessario che il soggetto apprenda almeno
un CODICE, cioè un SISTEMA DI REGOLE che rendano ordinata e disciplinata l’associazione fra gli elementi
del primo piano, detto PIANO DELL’ESPRESSIONE (o SIGNIFICANTE), e gli elementi del secondo piano,
detto PIANO DEL CONTENUTO (o SIGNIFICATO).
• Sono pertanto codici sia le LINGUE VERBALI (dette anche STORICO-NATURALI) che, ad esempio, le forme
gestuali codificate come la LIS o l’ASL, le forme di espressione artistica come pittura, scultura, architettura,
cinematografia e media, perfino il movimento, la postura e la distanza reciproca nell’interazione
conversazionale (cinesica e prossemica), oppure l’abbigliamento. E, naturalmente, anche il CODICE DELLA
STRADA e il CODICE MORSE.
• Tutte queste capacità MENTALI sono la controparte astratta delle PRESTAZIONI CEREBRALI, cioè delle
operazioni che il SISTEMA NERVOSO CENTRALE (il cervello) esegue. Vale in questo caso la metafora
INFORMATICA: il funzionamento del computer si basa sulle operazioni eseguite dai suoi circuiti elettronici
(HARDWARE) che permettono di “far girare” vari programmi (SOFTWARE).
4b. Cervello e linguaggio
• L’interpretazione simultanea (IS) e la consecutiva (IC), data la loro complessità, sono un ottimo banco di
prova per evidenziare le capacità linguistiche, cognitive, psicologiche e neurofisiologiche coinvolte
nell’uso della lingua, nella comprensione degli enunciati e nella loro traduzione in una lingua diversa.
Operazioni queste che si susseguono e si sovrappongono dando luogo a un processo CONTINUO,
altamente impegnativo in termini di risorse cognitive coinvolte e di affaticamento (tanto che una buona
prestazione professionale di IS non può superare i 30 minuti). Si tratta di un’attività caratterizzata da
fluidità ed efficienza conseguibili solo dopo un lungo periodo di formazione ed esercizio. Inoltre tali
processi non sono facilmente suscettibili di una modellizzazione univoca.
• L’IS si articola secondo tre fasi: ascolto, concettualizzazione, produzione. Tali fasi non sono consecutive
ma in parte simultanee, e comprendono processi di ascolto e produzione verbale, l’uso della memoria a
breve e lungo termine, l’attenzione ripartita e aspetti prosodici ed emotivi. Ciò dimostra quanto il
linguaggio sia trasversale e interconnesso con altre capacità cognitive come la percezione, il
ragionamento, l’attenzione, la memoria e anche la sfera motoria, dato che il parlare è appunto un’attività
anche di natura motoria che coinvolge quindi l’attivazione neuromuscolare.
• La fisiologia del sistema nervoso si divide in due sottosistemi: efferente o MOTORIO e afferente o
SENSORIALE. Altri elementi da tenere presente: la corteccia cerebrale quale sede dei processi cognitivi
superiori, la simmetria fra gli emisferi cerebrali e la lateralizzazione emisferica, le aree di BROCA e di
WERNICKE. La mente intera come sistema unitario e le diverse funzioni cognitive come manifestazioni
dello stesso sistema, per quanto diversificate.
5a. La memoria
• La memoria è forse la funzione cognitiva più importante per il funzionamento del linguaggio. Essa si
distingue in MEMORIA A LUNGO TERMINE (MLT) e MEMORIA A BREVE TERMINE (MBT).
• La MLT è il magazzino in cui i ricordi vengono depositati e recuperati dopo un lungo lasso di tempo, di
giorni, mesi o anni. Il principale modello è stato proposto da TULVING (1972) e descrive la MLT come tre
sistemi principali:
• MEMORIA EPISODICA, contiene il ricordo di eventi accaduti nel passato ed è una memoria ESPLICITA poichè
contiene i riferimenti spazio-temporali dell’evento.
• MEMORIA SEMANTICA, riguarda la conoscenza appresa ma senza riguardo per i processi che hanno determinato
tale apprendimento; è una memoria IMPLICITA.
• MEMORIA PROCEDURALE, riguarda meccanismi AUTOMATICI di risposta a stimolazioni ambientali standardizzate e
include operazioni come andare in bicletta, allacciarsi le scarpe, guidare l'automobile.
• La MEMORIA A BREVE TERMINE (MBT) è invece una specie di “taccuino di appunti” in cui le informazioni
uditive, visive e tattili restano depositate per un periodo breve circa 30 secondi, trascorso il quale le
informazioni vengono trasferite alla MLT oppure vengono cancellate. Tutto ciò può avvenire sotto il
controllo cosciente del soggetto, oppure in maniera completamente inconscia; in ogni caso lo stato
emotivo che accompagna gli eventi memorizzati influenza notevolmente la produzione e la ritenzione
delle tracce mnestiche. Inoltre la MBT può essere riformulata in termini di MEMORIA DI LAVORO
(WORKING MEMORY, BADDELEY 1974).
5b. Memoria e linguaggio
• COMPRENSIONE. Per comprendere il significato di un enunciato (o di un testo scritto) è necessario confrontare
dinamicamente l’input sensoriale (uditivo o visivo) con le conoscenze morfo-sintattiche e semantiche depositate in
memoria. Il processo si realizza dunque in tre fasi: PERCEZIONE FONO-ACUSTICA (cioè dei SUONI ARTICOLATI che
formano l’espressione dell’enunciato); ELABORAZIONE LESSICALE e SINTATTICA (cioè riconoscimento delle PAROLE e
delle FRASI), INTERPRETAZIONE SEMANTICA (cioè comprensione del senso complessivo dell’enunciato).
• E’ notevole il ruolo della MEMORIA DI LAVORO in relazione a questi processi ed esistono due diversi modelli che li
rappresentano: uno di essi (CLARK 1977) rappresenta il significato come una proprietà COMPLESSIVA dell’enunciato, la
cui comprensione prescinde dalle singole unità e si basa anche sulla capacità di filtrare l’informazione non rilevante.
L’altro modello (KINTSCH e VAN DIJK 1978) descrive invece una ELABORAZIONE CICLICA del significato del messaggio, in
cui ogni ciclo prende in considerazione le unità semantiche immagazzinate nella MBT e ne verifica la coerenza con le
altre unità elaborate nei cicli precedenti. Data la complessità di tali processi non esiste un modello univoco e definitivo
che li descriva compiutamente.
• PRODUZIONE. La produzione di frasi ed enunciati è una delle attività umane più frequenti e naturali e si basa su
meccanismi in larga misura AUTOMATICI, sia sul versante propriamente FONOARTICOLATORIO che su quello semantico.
In realtà le operazioni cognitive sottese agli atti di produzione linguistica presentano un grado di complessità anche
notevole.
• Il MODELLO DELLE BASI DELLA PRODUZIONE DELL’ELOQUIO (GARRETT 1980) prevede che la produzione di un enunciato,
dall’ideazione del contenuto alla realizzazione fonoacustica, si svolga secondo CINQUE LIVELLI:
•
•
•
•
•
Individuazione del contenuto (LIV. DEL MESSAGGIO).
Selezione delle unità lessicali (LIV. FUNZIONALE).
Selezione della cornice SINTATTICA appropriata in cui inserire le unità lessicali scelte al punto precedente. (LIV. POSIZIONALE)
Specifiazione delle caratteristiche fonetiche e fonologiche (LIV. ACUSTICO)
Attivazione dei comandi neuromuscolari e articolatori veri e propri (INFORMAZIONI ARTICOLATORIE).
6a. La lingua
• La lingua è al tempo stesso un PRODOTTO SOCIALE della facoltà di linguaggio e un
insieme di CONVENZIONI NECESSARIE, adottate dal gruppo sociale degli individui
che parlano quella lingua, per disciplinare il loro comportamento linguistico.
• Di fronte al fatto che la facoltà di linguaggio si manifesta come un insieme eteroclito
e disordinato di fenomeni, la LINGUA è una totalità strutturata e al tempo stesso un
PRINCIPIO DI CLASSIFICAZIONE che introduce un ordine naturale in quell’insieme di
fenomeni.
• La lingua come PRINCIPIO D’ORDINE di fatti linguistici rinvia all’opposizione fra
NATURA e CULTURA, poichè è naturale il LINGUAGGIO in quanto FACOLTA’
COGNITIVA, nel senso che questa capacità fa parte del corredo di abilità di cui
l’organismo umano è dotato geneticamente, mentre è CULTURALE, cioè è frutto
dell’APPRENDIMENTO, l’insieme di REGOLE FONOLOGICHE, MORFOSINTATTICHE,
SEMANTICHE e PRAGMATICHE di cui è fatta la lingua e che danno ordine al
comportamento linguistico.
• Pertanto la lingua è una ISTITUZIONE SOCIALE, una CONVENZIONE per la quale è
indifferente la natura del segno su cui si conviene. E’ la lingua che fa l’UNITA’ del
linguaggio.
6b. L’oggetto della linguistica
• L’oggetto della linguistica non è stabilito una volta per tutte, poichè esso dipende molto dal
METODO che tale disciplina adotta, ovvero dal PUNTO DI VISTA che essa applica ai fenomeni
che studia, tanto che l’oggetto stesso sembrerebbe creato o perlomeno influenzato dal
metodo scelto per studiarlo.
• La LINGUISTICA TEORICA dovuta a SAUSSURRE descrive la maggior parte dei fenomeni
linguistici attraverso un nucleo ristretto di concetti fondamentali collegati fra loro, che
permettono di porre in termini problematici e quindi di interrogare in maniera SCIENTIFICA i
fenomeni della comunicazione umana che, essendoci del tutto familiari, appaiono naturali e
spontanei.
• In più occorre tener presente che il fenomeno linguistico, cioè il SEGNO, è necessariamente
BIFACCIALE, cioè presenta sempre DUE FACCE, ognuna delle quali non può esistere senza
l’altra. E ancora, nell’uso del linguaggio esiste un lato INDIVIDUALE e un lato SOCIALE, ma
anche un SISTEMA STABILE nel tempo (SINCRONICO) e la sua EVOLUZIONE (DIACRONICA).
• Guardato da questa prospettiva, il linguaggio appare come un insieme confuso ed eterogeneo
(ETEROCLITO) di cose diverse, slegate fra di loro e difficilmente confrontabili.
• Soltanto ponendo la LINGUA come OGGETTO DELLA LINGUISTICA si può porre ordine a questo
insieme confuso di fenomeni diversi, e dare a esso un METODO SCIENTIFICO e i principi per
individuare delle leggi generali.
6c. Dalla lingua al discorso
• L’esercizio del linguaggio in quanto capacità di porsi in relazione comunicativa con i propri simili, prende
sempre avvio attraverso l’ATTO INDIVIDUALE con cui ognuno di noi prende la parola per esprimere
determinati contenuti e soddisfare certi BISOGNI COMUNICATIVI. Questo atto prende il nome di
DISCORSO (o PAROLE nella terminologia saussurriana, o ENUNCIATO o TESTO) e prevede l’esistenza di
almeno DUE INDIVIDUI, uno che parla e comunica i propri contenuti, l’altro che ascolta e li riceve, collegati
da un CIRCUITO della comunicazione.
• Esso si articola in TRE DIVERSE FASI, distinte fra loro e conseguenti l’una all’altra:
• FASE PSICHICA, in cui il parlante organizza il proprio pensiero e sceglie le parole più adatte per esprimerlo;
• FASE FISIOLOGICA, in cui I SUONI ARTICOLATI associati ai pensieri che il parlante vuole esprimere, si trasformano in
impulsi nervosi che vengono trasmessi agli organi della fonazione;
• FASE FISICA, in cui i suoni prodotti dalla voce di chi parla percorrono il mezzo acustico, cioè l’ARIA, e raggiungono
gli ORGANI DI ASCOLTO, cioè le ORECCHIE dell’ascoltatore.
• Sul versante dell’ascoltatore il processo viene descritto da Saussurre in termini speculari e ripercorre le
stesse fasi in ordine inverso, nel senso che la ricezione delle onde sonore emesse da chi parla (fase fisica)
determina la produzione di un impulso nervoso che dagli organi di ascolto (le orecchie) raggiunge il
cervello (fase fisiologica) e qui le rappresentazioni mentali evocate dall’impulso sonoro vengono associate
a quei determinati contenuti che il parlante voleva trasmettere (fase psichica).
• Gli studi più recenti hanno dimostrato che il versante del ricevente non è così speculare e simmetrico a
quello dell’emittente, come Saussure riteneva.
6d. Il circuito del discorso
• L’atto di discorso riguarda quindi una serie di aspetti che sono INDIVIDUALI e che riguardano:
• I CONTENUTI che il soggetto intende esprimere, ovvero le conoscenze anche legate alla sua personale esperienza
del mondo;
• La COMPETENZA LINGUISTICA, ossia il grado di accesso agli strumenti linguistici con cui esprimere quei contenuti;
• I BISOGNI COMUNICATIVI, ovvero le motivazioni che spingono il soggetto a comunicare.
• Sotto questo profilo, l’atto di discorso PRECEDE SEMPRE la lingua (sia nella pratica concreta del parlante,
sia come dato osservabile) anche se questa si pone come principio d’ordine dei fatti linguistici, perchè la
lingua è una ricostruzione che il linguista fa a posteriori, mentre l'interazione discorsiva fra i parlanti è un
fatto immediatamente osservabile.
• Infatti la lingua in quanto sistema di convenzioni necessarie, che regolano l’esercizio della facoltà di
linguaggio, si configura come un PATRIMONIO di regole e di conoscenze (di COMPETENZE) depositato
nella mente dei parlanti che appartengono a una stessa comunità, attraverso la PRATICA LINGUISTICA cioè
ripetuti atti di discorso che assegnano un carattere stabile e in qualche misura ripetitivo a quegli aspetti
individuali.
• Separare i due assi della lingua e del discorso permette al tempo stesso di distinguere ciò che è SOCIALE
da ciò che è INDIVIDUALE. Ricordiamo WITTGENSTEIN: non si può seguire una regola privatamente;
seguire delle regole linguistiche è sempre un fatto SOCIALE e PUBBLICO, mentre può essere individuale un
pensiero, un contenuto, un’esperienza.
6e. Arbitrarietà e linearità
• Saussure è stato il primo linguista a identificare e definire quelli che possono essere considerati i due
PRINCIPI FONDAMENTALI per il funzionamento della lingua, cioè l’ARBITRARIETA’ del segno linguistico e la
LINEARITA’ del significante.
• Dire che la parola (o la lingua come sistema di segni) sono ARBITRARIE equivale a dire che esse sono
IMMOTIVATE o INDIPENDENTI, cioè che non esiste un motivo logico o naturale che lega fra loro le due
facce del segno, cioè il significante al significato.
• Questo principio si manifesta ad almeno tre livelli:
• In relazione al singolo segno, cioè nel rapporto fra SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO.
• In relazione alla lingua come sistema di segni, cioè nel rapporto fra un segno e tutti gli altri.
• Nel rapporto fra la lingua e la realtà di cui le espressioni linguistiche parlano, per come esso emerge nel confronto
fra lingue diverse.
• Accanto all’arbitrarietà, l’altro grande principio individuato da Saussure riguarda la LINEARITA’ DEL
SIGNIFICANTE, cioè il fatto che le parti di cui il significante è composto (i suoni delle parole parlate, le
forme grafiche che compongono le parole scritte, la sequenza di parole nelle frasi e delle frasi nei discorsi
e nei testi) vengono LE UNE DOPO LE ALTRE secondo una successione LINEARE, mentre i contenuti posso
essere presenti TUTTI INSIEME nella mente di chi parla.
• La riflessione sul linguaggio è certamente più antica rispetto a Saussurre e in ambito filosofico certi spunti
e certe nozioni risalgono alle origini del pensiero (p.es. Platone e Aristotele), anche in relazione al primo
dei due principi qui esaminati (che può essere associato alla CONVENZIONALITA’ del linguaggio). Tuttavia
solo grazie al linguista ginevrino tali nozioni vengono inserite in una costruzione teorica complessiva che
permette di studiare le lingue in chiave teorica e scientificamente attendibile.
6f. Generalizzazione della linguistica: la semiologia
• Ricapitolando quanto detto finora, la lingua è un SISTEMA DI SEGNI atti a esprimere idee, ovvero
contenuti mentali di varia natura. In questo è molto simile a tanti altri sistemi di comunicazione di cui
l’uomo dispone, come ad esempio, la segnaletica stradale, il codice Morse, il Braille, i sistemi di segni per i
non udenti, e così via. Inoltre la lingua è confrontabile con tutte le altre istituzioni sociali, giuridiche e
politiche: semplicemente essa è il più importante e completo sistema di comunicazione che si pone a
fondamento di tutte le altre istituzioni sociali, perchè queste sussistono solo in quanto il possesso della
lingua permette di definirle e stabilirne le regole di funzionamento.
• La centralità della lingua tra i fatti umani porta quindi Saussure a ipotizzare una SCIENZA PIU’ GENERALE
della linguistica, che studia TUTTI I SISTEMI DI SEGNI in generale, verbali e non verbali, che dovrebbe far
parte della PSICOLOGIA SOCIALE. Questa scienza generale prende il nome di SEMIOLOGIA, dal greco
SEMEION che significa segno (ma anche SEMIOTICA significa la stessa cosa, solo che richiama la radice
anglosassone e l’altro padre fondatore di questa disciplina, cioè l’americano C.S. PEIRCE). Pertanto la
linguistica è parte della semiologia, anche se si pone come il suo nucleo centrale e più solido.
• L’insegnamento saussurriano ha quindi dato luogo a un orientamento di pensiero, detto
STRUTTURALISMO che, facendo perno sulla linguistica, ne ha varcato i confini, interessando anche la
PSICOLOGIA (PIAGET), l’ANTROPOLOGIA (LEVY-STRAUSS) e le SCIENZE SOCIALI in generale. Negli anni
Sessanta la sfida posta da Saussure ha poi riguardato il tentativo di generalizzare le regole già elaborate
dalla linguistica ad altri campi, come ad esempio il cinema (ricordiamo ad esempio Ch. Metz, il quale
definisce il cinema un LINGUAGGIO SENZA LINGUA).
7a. L’apprendimento della lingua
• L’apprendimento della LINGUA MATERNA è un fatto NATURALE, nel senso che avviene in modo spontaneo
e senza alcuno sforzo consapevole, a differenza dell’apprendimento di una L2 (lingua seconda o lingua
straniera) in cui si verifica una forma di intervento “artificiale” all’interno di quei meccanismi naturali. Nei
due diversi casi sono infatti coinvolti diversi gradi di sviluppo cognitivo, diversi tipi di conoscenze
pregresse e diverse forme di input linguistico ambientale.
• L’apprendimento della LINGUA MATERNA è un PROCESSO PRIMARIO sotto due diversi punti di vista: è
cronologicamente il primo ad avere luogo, ed è il più importante in tutti i sensi, in quanto accompagna lo
sviluppo cognitivo e sociale del bambino, a differenza dell’apprendimento di L2 che invece avviene da
adulti, cioè quando le strutture cognitive e di interazione sociale sono già mature.
• Ciò non esclude che l’apprendimento di L2 implichi l’acquisizione di aspetti e proprietà specifiche di quella
lingua, che sono inevitabilmente diversi dagli omologhi della lingua materna, ma il nuovo apprendimento
interviene su strutture cognitive già formate e organizzate in L1. Così come risulterà già sviluppata la
socializzazione dell’individuo, specie per quel che riguarda la sua IDENTITA’ personale e in quanto
membro di una comunità sociale.
• Inoltre nell’apprendimento di L1 il bambino procede DAI SIGNIFICATI ALLA LINGUA, nel senso che egli
coglie prima ciò che viene inteso, l’elemento di SIGNIFICATO, e poi ciò che viene detto, la parola. Nel fare
questo il bambino applica inconsciamente dei processi di riduzione della complessità della situazione
comunicativa, che consentono di cogliere immediatamente gli aspetti semanticamente più evidenti e più
semplici, rinviando a fasi successive lo sviluppo delle capacità più complesse.
• Infine la RITUALITA’ e la RIPETITIVITA’ giocano un ruolo determinante nell’acquisizione di L1, poichè
incidono direttamente sullo sviluppo del sistema nervoso e quindi sulla capacità di organizzare
cognitivamente l’esperienza.
7b. L’apprendimento di una L2
• A differenza della lingua materna (L1), l’apprendimento di una L2 può avvenire in una notevole varietà di
situazioni, che hanno grande influenza sul processo stesso di apprendimento. Il fatto di trasferirsi nel
Paese straniero di cui si intende imparare la lingua, la durata della permanenza in esso (transitoria o per
tutta la vita), le aspettative e le motivazioni legate a tale permanenza sono tutti fattori determinanti
nell’apprendimento, così come lo sono l’ETA’ di chi impara, la quantità e la qualità dell’ESPOSIZIONE a L2,
la natura dei CONTENUTI appresi, e così via.
• In questo campo un punto di riferimento è costituito dal lavoro di KLEIN (1986), che riassume la suddetta
molteplicità di fattori nelle seguenti componenti del processo di apprendimento, esaminate dal versante
del soggetto che impara:
• Lo SCOPO e le RAGIONI che spingono ad apprendere una lingua straniera: equivalente della nozione di
MOTIVAZIONE, che però ha un rilievo esclusivamente psicologico, mentre in questo caso sono coinvolti aspetti
SOCIO-LINGUISTICI che richiamano la già citata nozione di BISOGNO COMUNICATIVO.
• Le CAPACITA’ LINGUISTICHE possedute dall’apprendente, intese sia nel senso di PREDISPOSIZIONE
all’apprendimento di una nuova lingua, sia nel senso di CONOSCENZE LINGUISTICHE già possedute.
• Il TIPO DI ACCESSO a L2, nel senso del TIPO DI INPUT con cui il discente viene in contatto, che è quantitativamente
e qualitativamente variabile, così come le OCCASIONI (formali o informali) di comunicazione che gli sono offerte.
• Tutti questi elementi influenzano: lo sviluppo del processo di apprendimento e la sua struttura; il tempo
richiesto da tale processo; i risultati ottenuti. Inoltre individuare i suddetti fattori permette di stabilire
quali di essi possono essere modificati, stimolati, accelerati o corretti da un INTERVENTO PEDAGOGICO
MIRATO, e quali invece non sono influenzabili dall’azione didattica. La quantità e la qualità dell’input
linguistico, e la selezione delle occasioni di comunicazione rientrano nella prima categoria; le motivazioni,
le capacità individuali e le conoscenze pregresse, l’attitudine all’apprendimento rientrano evidentemente
nel secondo ambito.
7c. Teorie sull’apprendimento di L2
• Se lo studio sui fenomeni legati all’acquisizione di una seconda lingua, oltre alla
lingua materna, ha alcuni secoli di storia, l’elaborazione sistematica di teorie che
spieghino in maniera scientifica tali fenomeni risale alla seconda metà del ‘900.
• Ciò fa sì che le ricerche inerenti tale argomento siano ancora relativamente poche,
benchè caratterizzate da un interesse crescente, e incapaci di dare un’immagine
univoca e unitaria di tale fenomeno, anche a causa della sua intrinseca complessità e
della conseguente difficoltà a generalizzare e confrontare i risultati ottenuti da
ciascuna teoria.
• Il primo elemento di divergenza riguarda l’opportunità di studiare congiuntamente o
meno l’apprendimento di L2 in CONTESTO NATURALE (p. es. lavoratori stranieri
emigrati in un Paese diverso da quello di origine) o in CONTESTO ISTITUZIONALE (p.
es. insegnamento di L2 in ambito scolastico).
• Inoltre la diversità fra le varie teorie disponibili riflette il differente approccio
disciplinare che ognuna di esse adotta, essendo fondamentalmente tre le
prospettive dominanti: PSICOLOGICA, LINGUISTICA, SOCIOLOGICA.
8a. Il comportamentismo e l’analisi contrastiva
• Fino alla metà del secolo da poco trascorso, il COMPORTAMENTISMO era l’approccio teorico dominante in campo
psicologico e, a maggior ragione, in relazione a un argomento specifico come l’apprendimento linguistico. Il caposaldo
principale di questa teoria, elaborata soprattutto da J. WATSON e B. SKINNER, riguardava il fatto che la SPIEGAZIONE
PSICOLOGICA del comportamento umano (ma anche delle altre specie viventi), per essere SCIENTIFICA, doveva basarsi
ESCLUSIVAMENTE sull’analisi di dati osservabili cioè, fondamentalmente, gli STIMOLI ambientali cui il soggetto è
sottoposto e le RISPOSTE comportamentali osservabili.
• Tutta la spiegazione del comportamento avrebbe quindi dovuto basarsi sull’analisi delle correlazioni sistematiche fra
stimoli e risposte, tralasciando di conseguenza entità mentali non direttamente osservabili, come le RAPPRESENTAZIONI
e le REGOLE per la loro elaborazione (che invece diventeranno dominanti nelle proposte teoriche successive al tramonto
del comportamentismo). Perfino la nozione di MENTE, in quanto sfugge all’osservazione diretta, viene considerata con
grande sospetto e giudicata non scientifica dai comportamentisti.
• L’APPRENDIMENTO linguistico viene dunque spiegato in termini di ABITUDINI che si formano tramite la RIPETUTA
ASSOCIAZIONE di stimoli e risposte cui segue un RINFORZO POSITIVO. Analogamente l’apprendimento di L2 imita quello
di L1, nel senso che vengono a crearsi NUOVE ABITUDINI che entrano in competizione e, a un certo punto, superano
quelle legate alla lingua madre. In ciò hanno un ruolo anche l’IMITAZIONE, la MEMORIZZAZIONE e l’attivazione
MECCANICA di strutture di L2: come se il soggetto trasferisse alla seconda lingua le strutture, le forme e i significati
appresi nella lingua madre.
• L’ANALISI CONTRASTIVA consiste dunque nel«lo studio parallelo di due lingue, condotto con uno stesso metodo e
mettendo in evidenza gli stessi fatti, o l’assenza, o la presenza, degli stessi fatti» (Weinreich 1963). Tale analisi persegue
poi l’obiettivo pedagoggico di MIGLIORARE L’INSEGNAMENTO, intervenendo su fattori quali la pianificazione del corso, la
scelta delle tecniche e dei materiali didattici, la correzione degli errori.
• L’ultimo punto è forse il più importante poichè, se l’apprendimento di L2 viene spiegato in termini di DIFFERENZE con L1,
l’esistenza di errori è indice di una difficoltà cje il discente non ha ancora superato. L’errore viene infatti spiegato in
termini di INTERFERENZA o TRANSFER NEGATIVO fra le due lingue: negli aspetti in cui esse si somigliano l’apprendimento
sarà facilitato, là dove le lingue differiscono l’apprendimento risulterà ostacolato e l’errore è indice di tale difficoltà.
• Tale impostazione si basa su un modello LINEARE e CUMULATIVO nell’acquisizione delle conoscenze e si basa su tecniche
di controllo rigido della produzione del discente e, soprattutto di correzione dell’errore.
8b. Chomsky e l’ipotesi innatista
• Dopo almeno 30 anni in cui era stato il paradigma dominante in psicologia, il comportamentismo entrò in
crisi nel 1959, in seguito alla recensione che N. CHOMSKY fece de IL COMPORTAMENTO VERBALE, opera
capitale di Skinner. In quella recensione Chomsky dimostrava, in buona sostanza, che se l’apprendimento
della lingua madre fosse guidato esclusivamente da una correlazione fra stimoli e risposte, nessun
bambino potrebbe apprendere la lingua come effettivamente fa: per spiegare tale fenomeno occorre
invece postulare dei MECCANISMI INNATI.
• Tali meccanismi, che fanno dunque parte della dotazione BIOLOGICA di cui l’uomo è fornito, consistono in
regole universali che determinano a priori quali strutture grammaticali possono essere acquisite e
sviluppate (la GRAMMATICA UNIVERSALE o GENERATIVO-TRASFORMAZIONALE) e stanno quindi alla base
dell’apprendimento e dell’uso di qualsiasi lingua. Senza tale meccanismo innato, detto LANGUAGE
ACQUISITION DEVICE (LAD), l’apprendimento di una lingua, sia L1 che L2, non sarebbe possibile poichè lo
stimolo ambientale da solo non sarebbe sufficiente a spiegarlo (argomento della povertà dello stimolo).
• All’interno di tale quadro anche gli errori che caratterizzano i processi di apprendimento sono indice
appunto del carattere NATURALE di tale fenomeno, cioè del fatto che l’uomo è naturalmente predisposto
a imparare una o più lingue. Ciò permette di spiegare soprattutto due aspetti dell’apprendimento
linguistico che sfuggono all’ipotesi comportamentista: la capacità di comprendere correttamente frasi mai
ascoltate prima; la rapidità con cui, durante una certa fase dell’apprendimento linguistico, vengono
acquisite nuove forme lessicali e nuove forme morfosintattiche.
8c. L’interlingua e la “rivalutazione” dell’errore
• La concezione chomskyana determina una riconsiderazione dell’errore linguistico, che viene visto non più
soltanto come conseguenza dell’interferenza negativa di L1, ma anche come conseguenze delle strategie
di apprendimento, del tutto naturali, che il discente mette in campo nel corso del suo processo di
apprendimento. Se è fondata l’idea per cui L1 interferisce (positivamente o negativamente) con
l’apprendimento di L2, allora si dovrà ammettere che anche le informazioni acquisite in L2 interferiscono
con l’acquisizione di nuova informazione.
• L’INTERLINGUA (SELINKER 1972) è quindi un grado intermedio di L2 che il discente possiede quando non
ha ancora acquisito la piena competenza di L2, e che risente sia dell’influenza di L1 che delle peculiari
esperienze in cui si verifica l’apprendimento di L2. Per certi versi si tratta di una lingua a sè stante, per
quanto instabile, dotata di una sua grammatica sistematica che evolve man mano che l’apprendimento
procede, ma che non coincide nè con la grammatica di L1 nè con quella di L2.
• Questa nozione è conseguenza della teoria chomskyana in quanto lo sviluppo dell’interlingua è frutto
degli stessi meccanismi che fanno parte della grammatica universale, e che governano l’acquisizione di L1,
adattati alle situazioni individuali, contingenti e particolari in cui l’apprendimento avviene. In altri termini,
l’interlingua si adegua ai bisogni comunicativi del discente, è inizialmente governata da principi funzionali
di EFFICIENZA ed ECONOMIA, ed evolve finchè la competenza che egli consegue non è del tutto adeguata
ai suoi scopi comunicativi, e a quel punto si arresta.
• Quando tale mescolanza riguarda intere comunità che entrano in contatto a causa, ad esempio, di scambi
commerciali, si crea una forma di interlingua collettiva, detta PIDGIN, il cui uso è limitato ai luoghi
geografici e alle circostanze empiriche in cui tale contatto avviene. Quando il pidgin si afferma, si diffonde
e viene trasmesso a una generazione di parlanti successiva, che lo acquisisce come L1, si ha la
CREOLIZZAZIONE.
• Tale quadro dà inoltre l’idea dell’apprendimento come di un processo ATTIVO e CREATIVO, che si basa
fortemente su ipotesi linguistiche che il discente formula, e di cui successivamente trova conferme o
smentite, e che mantiene finchè esse si rivelano adeguate a soddisfare i suoi bisogni comunicativi.
8d. Altre teorie
• Accanto ai modelli presentati, in cui la spiegazione dell’apprendimento di una L2 discende
coerentemente dalle teorie dominanti in campo psicologico e linguistico, esistono altre ipotesi
teoriche influenti non riconducibili alle prospettive citate.
• Il modello INTERAZIONISTA pone in primo piano il ruolo dell’INTERAZIONE comunicativa nello
sviluppo dell’interlingua, spostando così il piano dell’analisi dalla produzione del discente
all’input linguistico cui egli viene esposto.
• L’ipotesi AMBIENTALISTA, o dell’ACCULTURAZIONE (Schumann 1978), pone attenzione su
alcuni fattori psicosociali che condizionano il processo di apprendimento, come il fatto che la
L2 venga appresa per motivi STRUMENTALI (p.es. nel caso di lavoratori stranieri che usano L2
solo in ambito lavorativo), confinandone l’uso a circostanze e bisogni comunicativi limitati.
• L’orientamento SOCIOCULTURALE, che pone al centro le nozioni di apprendimento SITUATO e
COLLABORATIVO, comporta un’autentica riconsiderazione del ruolo dell’apprendente, non più
figura solitaria che impara L2 attraverso processi individuali, ma soggetto più o meno
integrato nel contesto SOCIALE e CULTURALE in cui si parla L2, dando così rilievo alle
compoenenti PRAGMATICHE dell’APPRENDIMENTO SITUATO. Tale contesto assegna inoltre un
grande rilievo alla nozione di AMBIENTE di apprendimento, che può essere un luogo reale o
virtuale, e al ruolo delle nuove tecnologie informatiche usate in ambito pedagogico.
9a. La descrizione di una lingua
• Accanto a una descrizione FORMALE dei fenomeni linguistici, che applica a essi un rigore metodologico assimilabile a
quello delle SCIENZE NATURALI (la linguistica come studio SCIENTIFICO della lingua, intesa quale SISTEMA DI REGOLE),
per le finalità proprie della DIDATTICA delle lingue e delle questioni connesse all’INSEGNAMENTO, è necessario invece
sviluppare un approccio diverso, in quanto quello formale si rivela inadeguato a tali problematiche.
• La didattica della lingua ha infatti lo scopo di affinare le capacità d’USO delle forme linguistiche in contesti e situazioni
determinati e variabili, che influenzano le caratteristiche FUNZIONALI del sistema linguistico, ovvero di quella parte di
tale sistema che il parlante utilizza.
• Ciò comporta una revisione della nozione di GRAMMATICA, cui deve essere attribuita un’accezione più ampia di quella
già esaminata, tale cioè da includere SCHEMI DI ORGANIZZAZIONE non solo delle forme linguistiche, ma anche della
CULTURA, dell’AZIONE UMANA, dell’INTERAZIONE SOCIALE. La grammatica si può quindi considerare parte di un più
ampio spettro di risorse, che soggiacciono all’organizzazione della vita sociale e mostrano la pervasività del linguaggio
nelle interazioni sociali.
• I livelli (già visti) fonologico, morfologico, sintattico e semantico, cui si aggiunge quello PRAGMATICO e, seguendo Leech
(1983), quello DISCORSIVO.
• É inoltre possibile ordinare i significati secondo una scala di CONVENZIONALITA’, in cui i significati formali esprimeranno il
grado massimo di convenzionalità, mentre i significati meno formali, cioè più legati ad aspetti pragmatici e discorsivi,
saranno meno convenzionali e quindi meno PREVEDIBILI.
• Pertanto, in un contesto teorico che rivaluta la dimensione della PAROLE (cioè dell’ATTO LINGUISTICO) e dell’influenza
che le DINAMCIHE SOCIALI hanno sull’USO delle forme linguistiche, alla nozione di COMPETENZA LINGUISTICA va
affiancata quella di COMPETENZA COMUNICATIVA, elaborata dall’antropologo e linguista HYMES (1972).
• A lui si deve un modello che esamina l’EVENTO LINGUISTICO, il modello detto SPEAKING, acronimo di: S (situation), P
(participants), E (ends=fini o scopi), A (act sequences = sequenze di atti), k (key = chiave), I (instrumenatlities = mezzi o
strumenti), N (norm = norme di interazione), G (genre = genere testuale).
9b. La pragmatica
• La pragmatica studia la produzione di ENUNCIATI come una forma di AZIONE umana, detta
appunto ATTO LINGUISTICO. Essa ha come sfondo la FILOSOFIA ANALITICA, ossia
l’orientamento filosofico che attribuisce al linguaggio un ruolo centrale nella formulazione e
nella conseguente risoluzione dei problemi filosofici, tanto che uno dei presupposti più
rilevanti di tale orientamento consiste proprio nell’ANALISI delle espressioni linguistiche nelle
quali è formulato un certo tipo di problema filosofico.
• All’interno di tale orientamento, la TEORIA DEGLI ATTI LINGUISTICI fu formulata da J. AUSTIN
(1962) e sviluppata da J. SEARLE (1969), nell’ambito della cosiddetta filosofia del linguaggio
ordinario. I precedenti più antichi di tale teoria risalgono agli STOICI (cfr. Wierzbicka 1991),
mentre fra i filosofi analitici influenti va menzionato perlomeno anche L. WITTGENSTEIN
(TRACTATUS LOGICO-PHILOSOPHICUS, la lingua come IMMAGINE del mondo; RICERCHE
FILOSOFICHE: il linguaggio come GIOCO e come FORMA DI VITA).
• Identificare la produzione di un enunciato con un atto linguistico, significa identificare i
seguenti tre aspetti:
• ATTO LOCUTIVO, l’enunciazione vera e propria e il contenuto che essa veicola;
• ATTO ILLOCUTIVO (o FORZA ILLOCUTIVA): il TIPO di atto linguistico, cioè richiesta, ordine, preghiera,
espressione di un timore, un desiderio, un’aspettativa; è espresso dal VERBO PERFORMATIVO che
sta alla base dell’atto;
• ATTO PERLOCUTIVO: gli effetti che tale atto sortisce sul destinatario.
9c. La pragmatica II
• Da questa teoria derivano due diversi approcci allo studio degli EVENTI DISCORSIVI, ossia
al problema del “come fare cose con le parole”, per usare il titolo del celebre libro di
Austin. L’ANALISI DELLA CONVERSAZIONE inserisce l’analisi di testi e discorsi in una cornice
transazionale più ampia della frase, sulla base di un parallelismo di fondo fra struttura
SINTATTICA e struttura DISCORSIVA, che mira a individuare le REGOLARITA’ soggiacenti al
comportamento linguistico su prodotti di dimensione più ampia della frase. Adotta la
PROSPETTIVA DEL PARLANTE, focalizzando quindi l’attenzione su ciò che di volta in volta è
rilevante ai fini della comprensione del discorso, a livello locale e circostanziale.
• L’ANALISI CRTICA DEL DISCORSO respinge invece proprio la centralità delle regole
grammaticali e delle massime o principi conversazionali, su cui si fonda il primo approccio,
per porre l’attenzione sui processi INFERENZIALI che permettono agli individui di produrre
e comprendere enunciati, facendo peraltro riferimento a parametri o dimensioni non
immanenti alla lingua, collegati ai comportamenti linguistici. Essa adotta la PROSPETTIVA
DELL’OSSERVATORE del prodotto discorsivo o testuale.
• I due approcci non sono incompatibili fra loro, anzi sono complementari in quanto ognuno
dei due rimedia ai limiti dell’altro preso singolarmente. Il primo fornisce infatti una
conoscenza dichiarativa e ispirata a regole, l’altro una invece conoscenza di tipo
procedurale.
10a. La descrizione dei processi comunicativi
• La lingua, oltrechè come oggetto di studio e analisi può essere esaminata secondo una prospettiva diversa, e cioè in
termini di PROCESSI COMUNICATIVI, ossia come «strumento di coordinamento tra i partecipanti a uno stesso EVENTO
LINGUISTICO» (Duranti 1992).
• Tale prospettiva si basa sulla concezione di comunicazione elaborata da P. WATZLAWICK (1971), che include sia gli aspetti
prettamenti linguistici, sia quelli non linguistici, metacomunicativi, relazionali, sociali e culturali.
• Questa teoria, che è PRAGMATICA in senso PSICOLOGICO, descrive la comunicazione umana sulla base di alcuni
ASSIOMI:
•
•
•
•
•
Non si può non comunicare. Nel senso che qualsiasi tipo di azione, linguistica e non linguistica, ha sempre un significato in quanto è
interpretabile da parte dell’interlocutore.
Ogni atto comunicativo presenta sia un aspetto contenutistico che un aspetto relazionale. Il secondo determina il primo diventando
un fattore METACOMUNICATIVO.
La natura di un rapporto interattivo è definita dal flusso comunicativo tra i partecipanti. Nel senso che la comunicazione non serve
soltanto a scambiare contenuti ma anche a definire I RUOLI e a far evolvere le RELAZIONI.
La comunicazione umana si avvale di una MODALITA’ DIGITALE (sintassi logica complessa ma semantica inadeguata: comunicazione
VERBALE) e una MODALITA’ ANALOGICA (semantica adeguata, sintassi logica inadeguata: comunicazione non verbale).
Gli scambi comunicativi possono essere SIMMETRICI o COMPLEMENTARI, in base al tipo di rapporto, paritetico o non paritetico, fra gli
interlocutori.
• Il modello elaborato da Watzlawick serve a rendere conto del fatto che la comunicazione non serve solo a scambiare
informazioni sulla realtà, ma anche a esporre un punto di vista e una interpretazione di essa, a instaurare una relazione
con l’interlocutore e a coinvolgerlo nel proprio punto di vista, in altri termini a modificare la realtà stessa.
• Tutto ciò implica una estrema variabilità di situazioni, individui, tempi e luoghi, strati sociali e culturali che influenzano e
condizionaqno lo scambio comunicativo e che la sociolinguistica elabora attraverso la nozione di VARIETA’ LINGUISTICA.
• La stessa FORZA PRAGMATICA degli enunciati, a differenza del contenuto astratto delle frasi che li costituiscono, è
funzione del CONTESTO in cui essi vengono prodotti e ricevuti. Per contesto si intende sia l’AMBIENTE IMMEDIATO
dell’interazione, ivi comprese le relazioni interpersonali esistenti fra gli interlocutori, sia lo SFONDO CULTURALE più
ampio.
10 b. Le abilità linguistiche primarie
•
I processi di codifica, trasmissione e decodifica che caratterizzano la
comunicazione umana possono essere riferiti alle quattro ABILITA’
PRIMARIE, cioè ascoltare, parlare, leggere e scrivere. Come illustrato
nel grafico a fianco, essi sono collegati ai due assi della
ricezione/produzione e dell’oralità/scrittura.
•
Le due abilità produttive, parlare e scrivere, differiscono non solo per la
stabilità del supporto, ma soprattutto per il grado di controllo che il
soggetto ha della produzione linguistica, e per il fatto che la COESIONE
e la COERENZA testuali nel parlato sono affidate a risorse paratestuali,
come la PROSODIA, che invece ovviamente manca nello scritto, che
invece è più pianificato e corretto anche perchè non può avvalersi del
feedback dell’interlocutore.
•
•
Riguardo ai processi ricettivi, e fatte salve le differenze fra oralità e
scrittura viste prima, sono centrali le attività mentali connesse alla
COMPRENSIONE, cioè la capacità di ANDARE OLTRE l’informazione
fornita integrandola con quella già posseduta (Bruner 1957). Di ciò si è
occupata sia la TEORIA DELLA GESTALT che le SCIENZE COGNITIVE: in
particolare secondo R. SCHANK (1992) tali processi sono riconducibili
all’ANALISI dell’enunciato e alla capacità di COMPIERE INFERENZE a
partire dall’enunciato, colmando quindi gli spazi che esso lascia vuoti e
identificando gli SCOPI dell’interlocutore.
Evidentemente nella pratica concreta le quattro abilità primarie si
trovano a essere INTEGRATE in molti modi, mentre l’avvento dei NUOVI
MEDIA contribuisce a ridefinire il panorama, poichè emergono nuove
forme di comunicazione (chat, sms, vari tipi di messaggerie) che ad
esempio rendono più sfumato il confine fra oralità e scriittura.
PRODUZIONE
Parlare
Scrivere
ORALITA’
SCRITTURA
Capire
Leggere
RICEZIONE
11. La pedagogia linguistica
• L’intento di fondo della pedagogia linguistica consiste nell’individuare il miglior metodo didattico, cioè il
metodo più efficace nel conseguire i risultati dell’insegnamento. Tuttavia è illusorio pensare che una
ricerca di questo tipo possa avere buon esito, poichè qualsiasi metodo avrà successo soltanto se presterà
la dovuta attenzione ai dettagli e alle particolarità della specifica situazione di insegnamento, e se sarà
sufficientemente elastico da adattarsi a essa, specie in relazione a quegli elementi che NON SONO
generalizzabili.
• E allora la conoscenza dei metodi pedagogici e degli orientamenti prevalenti in pedagogia serve
all’insegnante da “cassetta degli attrezzi”, cioè da insieme di strumenti teorici e applicativi, fra i quali
compiere delle SCELTE, individuando fra le varia possibilità didattiche che gli si offrono, quelle più rilevanti
e adatte in funzione della situazione concreta in cui egli si trova a operare.
• Vale allora la pena di tenere presente l’evoluzione della didattica delle LINGUE STRANIERE, che dal
dopoguerra a oggi ha attraversato tre tappe, di cui le prime due centrate sui contenuti dell’insegnamento,
la terza focalizzata invece sul discente. In particolare:
• La prima tappa ha riguardato la descrizione degli elementi linguistici, GRAMMATICALI e LESSICALI, oggetto
dell’insegnamento/apprendimento;
• La seconda ha riguardato invece la COMPETENZA comunicativa nel suo complesso, cioè la capacità di condurre a
termine con successo gli ATTI COMUNICATIVI;
• La terza tappa è invece focalizzata sui PROFILI INDIVIDUALI del soggetto che apprende, e sulla conseguente attività
di INDIVIDUALIZZAZIONE dell’apprendimento. Ciò ha fatto sì che gli orientamenti più recenti abbiano dato peso
maggiore alle componenti psicologica e psicolinguistica dei processi di apprendimento.
12.
Il
nesso
lingua-cultura
• Gli spazi entro i quali oggi si realizzano le relazioni comunicative e sociali sono sempre più
spesso contrassegnati da una dimensione INTERCULTURALE. Se ciò era vero anche nel
passato, nel mondo contemporaneo le relazioni inter-etniche e inter-culturali si sono
notevolmente intensificate, anche a causa di motivi di natura sociale, economica e politica, fra
cui spiccano gli imponenti FLUSSI MIGRATORI.
• Tutto questo ha importanti conseguenze non soltanto sulla formazione e ridefinizione delle
IDENTITA’ PERSONALI e CULTURALI, ma anche sulle specifiche esigenze del campo
pedagogico, sempre più impegnato nell’EDUCAZIONE INTERCULTURALE quale area educativa
specifica, cui si affianca un più generale fenomeno di “culturalizzazione” dell’insegnamento
linguistico.
• E’ dunque necessario riconoscere la CULTURA come l’entità astratta che presiede alla
produzione e comprensione di significati, la cui centralità viene rafforzata nei casi
problematici del contatto INTERCULTURALE, ove evidentemente le culture coinvolte sono due,
quella materna e quella del Paese straniero in cui il parlante si trova inserito.
• Ciò implica che la COMPETENZA COMUNICATIVA in prospettiva INTERCULTURALE debba avere
dimensioni più ampie e integrare alle competenze prettamente linguistiche nuove
consapevolezze e capacità relazionali. Ne deriva il progressivo allargamento di orizzonte da
competenza LINGUISTICA a competenza COMUNICATIVA, a competenza in CULTURA2, a
competenza INTERCULTURALE.
13. L’educazione ai nuovi media
• L’avvento dei cosiddetti NUOVI MEDIA, principalmente il World Wide Web (cioè Internet: identificabile col protocollo
TCP/IP), e quelli ancor più recenti basati ad esempio su piattaforma mobile (tablet, smartphone, etc.) ha trasformato il
panorama mediatico e del mondo della comunicazione, le forme di relazione sociale, gli stili di vita, le abitudini di
consumo. Naturalmente questo cambiamento epocale investe anche le TECNOLOGIE DIDATTICHE, poichè «i media non
sono ‘veicoli’ ma ‘ambienti’ del sapere, del saper fare, dell’essere, del sentire [...], agenti di una nuova sensibilità sociale,
culturale, esistenziale» (Maragliano 1999).
• Il fenomeno risulta particolarmente evidente fra i giovani europei nella fascia d’età fra i 15 e i 30 anni, che hanno un
accesso quasi quotidiano a Internet e grandissima familiarità con modalità specifiche di comunicazioni, quali i SOCIAL
NETWORKS (Facebook, Twitter, etc.) i diversi tipi di MESSAGING (SMS, Messenger, Skype, etc.), nonchè forme altrettanto
specifiche quali le chat-lines, Youtube, Wikipedia, etc. Ossia tutte forme che rappresentano una vera e propria “sfida
pedagogica”, nel senso della comprensione di tali fenomeni e dei meccanismi che stanno alla base di essi, allo scopo di
valorizzare le opprtunità didattiche che essi offrono.
• La COMUNICAZIONE MEDIATA DAL COMPUTER (CMC) è dunque il settore che si occupa degli AMBIENTI DI
APPRENDIMENTO basati sul PC, e delle risorse, delle forme di pensiero e di comunicazione, e delle strategie didattiche
connesse alle nuove tecnologie, nonchè degli effetti che esse manifestano sull’evoluzione del ruolo dell’insegnante e del
discente.
• In questo campo, la principale distinzione riguarda fra le modalità di interazione SINCRONA, basata cioè sulla
COMPRESENZA SPAZIO-TEMPORALE dei diversi interlocutori, che è la forma di interazione tipica di un ambiente di
apprendimento tradizionale, come l’aula scolastica, e che viene realizzata con tencologie di tipo ON-LINE: p. es. Le IRC
(INTERNET RELAY CHATS).
• La seconda modalità di comunicazione è invece ASINCRONA, nel senso che non prevede la compresenza degli
interlocutori e la simultaneità della loro interazione, ottimizzando l’utilizzo delle risorse tecnologiche del sistema e anche
di tempo degli utenti. Esempi di questa modalità sono i BLOG oppure l’e-mail.
• Una caratteristica utile a distinguere la didattica a distanza basata su tecnologie CMC è l’uso della scrittura a posto
dell’oralità, con tutti i vantaggi (stabilità vs. volatilità, assenza vs. presenza di elementi PARAVERBALI) e gli svantaggi
(maggior controllo delle forme scritte e conseguente maggior “reticenza” o “timidezza”. Da notare infine come le formse
scritte in uso nella CMC siano in realtà ibridate con l’oralità.
14a. Jakobson e gli aspetti linguistici
della traduzione
• R. Jakobson, linguista russo influenzato dallo STRUTTURALISMO saussurriano e dal pensiero di HUSSERL, contribuì
all’affermarsi della CONCEZIONE FUNZIONALE del linguaggio e allo sviluppo del FORMALISMO RUSSO, ma ebbe un ruolo
anche nella fondazione del CIRCOLO LINGUISTICO DI PRAGA. Trasferitosi negli Stati Uniti, insegnò a New York, Harvard e
al MIT.
• Elaborò un modello elementare di comunicazione, basato cioè sugli elementi essenziali dell’atto comunicativo e le loro
funzioni (Mittente, Destinatario, Codice, Canale, Messaggio, Referente), quindi un modello che manifesta i primi tratti di
convergenza con la TEORIA MATEMATICA DELL’INFORMAZIONE (Shannon, Weaver 1948), da cui sarebbe poi derivata la
più vasta convergenza fra linguistica e cibernetica, che avrebbe dato luogo alle SCIENZE COGNITIVE.
• Riguardo al problema della TRADUZIONE si rifà, fra gli altri, a CH. S. PEIRCE: «il senso di una parola altro non è che la
TRASPOSIZIONE di esso in un altro segno che può essere sostituito a quella parola, specialmente in un altro segno “nel
quale si trovi sviluppata più completamente”».
• La TRADUZIONE può essere: a) ENDOLINGUISTICA, o riformulazione quando i segni linguistici di partenza vengono
interpretati per mezzo di altri segni della stessa lingua; b) INTERLINGUISTICA, o traduzione propriamente detta, in cui i
segni di partenza vengono interpretati da segni appartenenti a una lingua d’arrivo diversa da quella di partenza;
INTERSEMIOTICA, o trasmutazione, consiste nell’interpretare i segni linguistici con sistemi di segni non linguistici.
• Ciò implica che nella traduzione, ma nemmeno in caso di sinonimia, non vi è mai EQUIVALENZA ASSOLUTA fra i termini:
casomai l’equivalenza potrà esserci fra interi messaggi o porzioni testuali. La sfida del traduttore, così come del linguista
teorico, consisterà dunque nell’individuare L’EQUIVALENZA NELLA DIFFERENZA, padroneggiando certe CORNICI
METALINGUISTICHE che permettono di adattare le forme del linguaggio oggetto alle condizioni d’uso effettive.
14b. Traduzione e interpretazione in
Jakobson e Peirce
• In Jakobson i vari tipi di traduzione sono ricondotti alla generalità della nozione peirceana di
interpretazione. Dal canto suo, Peirce chiarisce l’interpretazione servendosi della nozione di traduzione: il
significato di un segno viene espresso interpretandolo, cioè “traducendolo”, in un altro segno dal
significato equivalente.
• Alla luce della MASSIMA PRAGMATICA, l’equivalenza traduttiva (fra espressioni della stessa lingua, o di
lingue diverse) va intesa in termini di IDENTITA’ DI CONSEGUENZE (semantiche e pragmatiche) che le due
espressioni, di partenza e di arrivo, implicano. Quindi il meccanismo traduttivo-interpretativo all’opera
nella traduzione da una lingua all’altra, è in realtà in funzione anche nella stessa lingua quando si dà una
definizione, un chiarimento, una parafrasi.
• Del resto anche secondo GADAMER (prospettiva ERMENEUTICA) la traduzione è una forma di DIALOGO
ERMENEUTICO, ossia finalizzato alla COMPRENSIONE della parola altrui, ossia del testo o discorso di
partenza. E in fondo anche HEIDEGGER afferma la sostanziale identità di traduzione e interpretazione
poichè, più in generale per tradurre in maniera appropriata occorre avere ben compreso il testo di
partenza, e quindi occorre prima interpretarlo.
• Le nozioni di NEGOZIAZIONE e di SCELTA TRADUTTIVA: «Una buona traduzione [letteraria] è sempre un
contributo critico alla comprensione dell’opera tradotta. Una traduzione indirizza sempre a un certo tipo
di lettura dell’opera, come fa la critica propriamente detta perchè, se il traduttore ha negoziato scegliendo
di porre attenzione A CERTI LIVELLI DEL TESTO, ha in tal modo automaticamente focalizzato su quelli
l’attenzione del lettore. Anche in questo senso le traduzioni della stessa opera si integrano fra loro, perchè
spesso ci portano a vedere l’originale sotto punti di vista diversi [...] Non si può tradurre Dante, in qualsiasi
lingua, prima di aver preso una decisione interpretativa circa il testo italiano».
15a. I principi dell’interpretazione
consecutiva
•
L’interpretazione, sia la simultanea (IS) sia la consecutiva (IC), sono forme di comunicazione interlinguistiche a TRE TERMINI, in cui
l’interprete rappresenta l’elemento INTERMEDIO, un autentico “mediatore”, fra un soggetto che PRODUCE informazioni in una lingua di
partenza (LP) e uno o più soggetti DESTINATARI delle stesse, parlanti una lingua di arrivo (LA) diversa da quella di partenza. Pertanto l’atto
interpretativo non ha un fine in se stesso, ma è finalizzato al corretto funzionamento di una catena comunicativa, di cui l’interprete è appunto
l’anello intermedio, che non ha autonoma iniziativa nella fase di ideazione e produzione del messaggio, nè è lui stesso il destinatario ultimo
di esso.
•
Ne deriva che il discorso dell’interprete è interamente una RICOSTRUZIONE DEL SENSO del discorso di partenza e sua trasposizione nella
lingua d’arrivo, il che comporta un notevole impiego di risorse cognitive tanto nella fase PASSIVA dell’ascolto e della comprensione del
discorso di partenza, tanto nella fase ATTIVA di riformulazione del senso nel discorso di arrivo. Nell’IC, a differenza dell’IS, questi due
momenti risultano separati e distanziati temporalmente, presentando una fisionomia autonoma e facendo così emergere in maniera più
nitida eventuali carenze nella fase della comprensione.
•
«L’IC è in primo luogo un’OPERAZIONE MENTALE e in secondo luogo un’OPERAZIONE INTERLINGUISTICA; essa comprende poi una terza
componente, la PRISE DE NOTE appunto, che delle prime due operazioni rappresenta suppporto e complemento integrativo. [...] E’ peraltro
indubbio che nella grande maggioranza dei casi l’interprete deve effettuare l’interpretazione anche con l’ausilio della pagina di appunti
poichè non è realistico supporre che si possa memorizzare un discorso prolungato con la completezza, l’accuratezza, la sequenzialità richieste
da una IC di qualità impeccabile che non si arresti a una sintesi pur efficace dei contenuti trasmessi; inoltre, alcuni momenti discorsuali
devono essere fissati sulla carta perchè sono oggetto non tanto di comprensione quanto di pura facoltà mnestica e rischiano perciò di essere
troppo evanenscenti, di stemperarsi in risonanze non più recuperabili dalla memoria a breve termine (è il caso di nomi propri, qualifiche,
date, cifre, etc.)» (p. 232-233).
•
Ciò significa che la presa di note, pur essenziale dal punto di vista pratico, è una operazione comunque subordinata alla fase cognitiva di
ascolto e comprensione e alla fase linguistica di trasposizione nella lingua di arrivo, pertanto l’apprendimento dell’IC NON CONSISTE nella
messa a punto di repertorio più o meno ricco e variegato di simboli, ideogrammi e abbreviazioni, nè di una “TAVOLA DI CONVERSIONE” che
tradurrebbe ogni parola della lingua in un tratto sulla carta. L’annotazione grafica è dunque lo strumento che permette di fissare in maniera
stabile un contenuto già adeguatamente elaborato a livello mentale.
15b. L’interpretazione consecutiva II
• Il primo requisito che l’interprete di consecutiva è tenuto a sviluppare e affinare è una ADEGUATA CAPACITA’ DI ASCOLTO.
Se in circostanze ordinarie questo tipo di attività non presenta problemi di sorta, specie in una conversazione
monolingue rivolta direttamente all’interlocutore, in IC le complicazioni derivano dal carattere interlinguistico della
conversazione e dal fatto che essa NON SI RIVOLGE all’interprete, che è soltanto l’intermediario fra i due interlocutori.
Quindi «una tecnica di ascolto funzionale all’interpretazione va ripensata e riorganizzata secondo parametri e
meccanismi parzialmente inediti: [...] ascoltare comprendendo per poi riformulare un discorso non è lo stesso che
sentire un discorso» (p. 235).
• E’ dunque richiesto un addestramento all’ASCOLTO ATTIVO E SELETTIVO, all’elaborazione di significati e concetti
captando ciò che l’oratore “VUOLE DIRE” e visualizzando mentalmente i contenuti espressi e i loro rapporti di
dipendenza, PRIMA di procedere all’annotazione grafica. Ne consegue che l’investimento cognitivo dovrà essere
organizzato secondo tali fasi, e quindi concentrato prima sull’ascolto del discorso, dopo sulla comprensione del senso
secondo un percorso interpretativo dapprima INTRALINGUISTICO e solo successivamente INTERLINGUISTICO.
• Sarà pertanto opportuno che l’allievo sviluppi ed eserciti SEPARATAMENTE e SEQUENZIALMENTE queste diverse fasi
cognitive, per far sì che ognuna si consolidi autonomamente e senza l’interferenza delle altre. In particolare si dovrà
insistere sulla capacità di seguire un ragionamento nella sua complessità, concentrandosi sui passaggi a maggiore
DENSITA’ INFORMATIVA, filtrando le parti meno ricche o essenziali sul piano informativo, individuando soprattutto una
COSTELLAZIONE DI RELAZIONI LOGICHE, l’ossatura di NESSI DISCORSIVI che connettono i diversi blocchi informativi,
visualizzando infine una CONFIGURAZIONE GERARCHICA del discorso.
• Tutte le abilità fin qui illustrate vanno acquisite ed esercitate INDIPENDENTEMENTE dalla presa di note e PRIMA di
procedere a essa, anche perchè una volta consolidate esse rappresentano una sorta di CAPITALE COGNITIVO spendibile
in ogni tipo di compito interpretativo, e la possibilità di affinarle separatemente è ciò che rende l’IC propedeutica alla IS
dove questa possibilità è invece preclusa. Evidentemente la prima fase di addestramento in tal senso può essere svolta in
regime intralinguistico, verificando ad esempio le capacità di riformulazione di un discorso presentato nella stessa lingua
(L1 o L2). Inoltre è importante imparare a dosare autonomamente il ritmo di restituzione del discorso, autoregolando le
proprie prestazioni cognitive in funzione del tipo di sforzo richiesto.
15c. Osservazioni didattiche
• Solo quando si avrà ragionevole certezza che l’allievo sia in grado di riprodurre oralmente il discorso di
partenza, sia entro la stessa lingua che trasponendolo in una lingua diversa, ma soprattutto cogliendo gli
ELEMENTI PORTANTI dell’informazione, cioè i NESSI LOGICI e i rapporti di dipendenza gerarchica fra
blocchi informativi, solo allora sarà possibile procedere oltre. E cioè procedere all’IC vera e propria, anche
con l’ausilio della presa di note.
• Va ancora una volta sottolineato come si tenda a SOVRASTIMARE l’importanza della presa di note che è
senz’altro una fase importante, ma NON DECISIVA, dell’IC in quanto le lacune in fase di ascolto,
comprensione, (ri)organizzazione semantica del discorso e trasposizione nella lingua di arrivo NON SONO
RIMEDIABILI con una presa di note per quanto accurata ed efficiente.
• Vediamo pertanto le FUNZIONI e i LIMITI di tale sistema. «La strutturazione del sistema di pris de notes di
un interprete, del SUO PROPRIO sistema di note, è un processo progressivo, che giunge a maturazione in
tempi non brevi, che può essere sottoposto a revisione parziale in ogni momento e che, soprattutto, è
AFFIDATO ALLA PERSONALITA’ DI CIASCUNO. Le note vengono in effetti organizzate secondo i meccanismi
di ragionamento propri a ciascun individuo, il che esclude l’imposizione dogmatica di soluzioni a validità
universale ed esclude altresì la possibilità di mutuare da altri un determinato sistema proprio perchè i
modelli di funzionamento del pensiero (induttivo/deduttivo; analitico/sintetico) VARIANO DA SOGGETTO
A SOGGETTO» (p. 238).
• Tale tecnica è dunque il PUNTO DI ARRIVO di una complessa mobilitazione di risorse cognitive che sta a
monte di essa, è una “STAMPELLA” per la memoria, ma spesso gli allievi tendono ad attribuire a essa i loro
iniziali insuccessi in IC che invece sono dovuti a carenze sul piano cognittivo e semantico, tanto che si
osserva un netto peggioramento qualitativo e quantitativo nella restituzione al momento in cui si passa
alla fase “carta e penna”.
15d. Alcune linee guida
• Trattandosi di una tecnica come tante altre, anche la presa di note risponde a principi metodologici generali, che ogni
allievo dovrà acquisire e personalizzare in funzione delle proprie capacità cognitive, mnestiche e semantiche, oltrechè
linguistiche, ma che prevede delle LINEE GUIDA di portata sufficientemente generale.
• Alcune di esse riguardano l’ORGANIZZAZIONE DELLA PAGINA, che andrà divisa a metà da una LINEA VERTICALE per
facilitare la stessa suddivisione dello spazio della pagina. E’ anche utile adottare uno stile di scrittura che abbia un
andamento in OBLIQUO e DALL’ALTO VERSO IL BASSO, la cosiddetta scrittura in DÉCALAGE-VERTICALISME che rende
massimamente nitida ed efficace la VISUALIZZAZIONE e inequivoca la lettura, poichè permette di cogliere “a colpo
d’occhio” tutto ciò che è stato tracciato sulla pagina.
• Ne deriva un’alternanza ordinata di “pieni” e “vuoti” che esprimono il significato da trasporre e da delimitare con un rigo
orizzontale a conclusione di ciascun segmento, che circoscrive ogni unità concettuale corrispondente a una singola parte
del discorso.
• Ognuna delle caselle grafiche così individuate, cui corrisponde una “casella” dello spazio mentale, dovrà contenere gli
elementi costitutivi dell’ENUNCIATO MINIMO, cioè un AGENTE + un PREDICATO + un eventuale COMPLEMENTO, secondo
lo schema SVC che si può rappresentare in termini molto semplificati come “chi fa che cosa”. A questi elementi essenziali
andranno ovviamente aggiunti tutti quegli aspetti accessori che conferiscono completezza, correttezza e accuratezza al
discorso-interprete.
• E’ importante poi acquisire rapidamente certi AUTOMATISMI DI ANNOTAZIONE, da applicare progressivamente senza
sforzo consapevole, che esprimano le strutture sintattico-discorsive più frequenti, come ad esempio la negativa e
l’interrogativa, il passato e il futuro rispetto a un presente di riferimento, l’attenuazione e l’enfasi.
• Ma l’aspetto principale che va reso in maniera fedele ed efficiente riguarda l’ARTICOLAZIONE LOGICA FRA ENUNCIATI,
avvalendosi di artifici che permettano di individuare e riprodurre in maniera efficace i rapporti di DIPENDENZA
FUNZIONALE che determinano la COERENZA e la COESIONE fra le sequenze di proposizioni.
• Resta il fatto che l’ulteriore affinamento di tale tecnica, al di là dell’acquisizione delle linee guida molto generali qui
accennate, passa per: 1) la personalizzazione del repertorio di simboli ed espedienti grafici; 2) l’adeguamento alla
circostanza interpretativa e soprattutto alla complessità del contenuto del discorso di partenza; 3) lo sfondo di
conoscenze più o meno specialistiche che l’interprete è tenuto ad avere.
16a. Lo sviluppo morfologico del codice di IC
•
«La lingua dell’annotazione è un codice di segni che consente di fissare su carta il RICORDO OPPORTUNAMENTE ORGANIZZATO di quanto viene
COMPRESO e RIELABORATO SEMANTICAMENTE per poter riprodurre un discorso EQUIVALENTE in lingua d’arrivo (LA). É pertanto un CODICE
LINGUISTICO-CONCETTUALE: ovvero un sistema che attiva CONTENUTI SEMANTICI MEMORIZZATI da parte del suo utente, composto da elementi
derivanti dalle lingue naturali spesso impiegati in FUNZIONE METALINGUISTICA e di elementi DEVERBALIZZATI, simboli, che esprimono idee singole o
correlate. La definizione di presa di appunti come SISTEMA implica il concetto di attività STRUTTURATA, UNITARIA e COERENTE, organizzata in base a
propri principi costitutivi e regolativi. In questo senso, pertanto, l’IC non si basa su un’iconografia casuale o un’estermporanea forma di annotazione» (p.
245).
•
Pertanto l’organizzazione di un SISTEMA di annotazione grafica, la sua unitarietà e coerenza, sono requisiti che rispondono alle stesse esigenze di
EFFICIENZA COMUNICATIVA con l’impiego MINIMO di risorse linguistiche e cognitive che sta alla base, ad esempio, del principio della DOPPIA
ARTICOLAZIONE, enunciato da A. MARTINET (1977) e tipico appunto delle lingue verbali. In tal senso, l’annotazione grafica in IC è una sorta di “DISCORSO
IN DUE FASI”: una prima fase dell’interprete con se stesso, durante l’annotazione; la seconda fase dell’interprete con il pubblico durante la rilettura.
•
La prese di appunti si basa dunque su una STRATEGIA DI MEMORIZZAZIONE che potremmo dire “A DOPPIO BINARIO” dato che essa attiva da un lato una
forma di RITENZIONE MNEMONICA conseguente all’elaborazione semantica, dall’altro una forma di RITENZIONE MATERIALE a supporto della prima, che
però NON SOSTITUISCE l’elaborazione cognitivo-semantico-mnestica.
•
«Entrambe le forme di fissazione e rievocazione delle informazioni sono in costante INTERAZIONE ed entrambe DIPENDONO DALLA COMPRENSIONE: non
si può ricordare, E PERTANTO E’ INUTILE TRASCRIVERE , ciò che non si comprende appieno al momento dell’ascolto. È per questo che tutti gli autori
concordano sulla necessità di RAFFORZARE NELLO STUDENTE LA CAPACITà DI ASCOLTO, ANALISI E RIEVOCAZIONE ORALE DEL DISCORSO ORIGINALE prima
di cimentarsi nella presa di appunti. Ogni individuo, in base alla SUA forma mentis e alla SUA cultura, ha il proprio modo di comprendere e memorizzare le
informazioni. Quindi, verosimilmente, svilupperà un SUO “sistema” di annotazione» (p. 246).
•
Va inoltre sottolineato il fatto che la trascrizione, puntando al SENSO COMPLESSIVO DEL DISCORSO e all’INTENZIONE COMUNICATIVA dell’oratore, non
deve mirare a trascrivere parola per parola, come fosse una forma di stenografia, essendo piuttosto «una TECNICA ATTIVA di SELEZIONE e FISSAZIONE
degli elementi costitutivi del discorso desunti dall’incessante ANALISI SEMANTICA e svincolati dalla struttura morfo-sintattica di LP» (p. 248).
•
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, la tecnica di presa di appunti è stata oggetto di una descrizione teorica e modellizzazione sistematica,
derivante anche dalla proficua convergenza fra discipline diverse come la linguistica, la psicologia cognitiva e la psicolinguistica. In particolare, si è diffusa
l’idea secondo cui l’annotazione sia composta da segni tratti sia dalle lingue naturali che da altri sistemi simbolici convenzionali, combinando dunque
LETTERALITA’ e SIMBOLIZZAZIONE; mentre, per quanto riguarda l’acquisizione del “lessico” dell’IC, si consiglia di fare riferimento a repertori simbolici già
consolidati, da organizzare secondo i “classici” criteri di BREVITA’, VISIBILITA’ e CHIAREZZA.
•
Da segnalare inoltre l’approccio COGNITIVO, PROCEDURALE e FUNZIONALE proposto da KIRCHHOFF (1979) in cui, ancora una volta, il sistema di
annotazione è PARTE INTEGRANTE di un meccanismo di immagazzinamento delle informazioni che procede in parallelo all’elaborazione semantica delle
informazioni: «in questa impostazione, le fasi continue e simultanee di decodifica, stoccaggio delle occorrenze e ricodifica interlinguistica caratteristiche
dell’interpretazione sono l’analogo di un sistema di elaborazione delle informazioni AUTOREGOLANTE e STABILE», la cui modellizzazione si ispira alla
teoria cibernetica dell’informazione elaborata da WIENER (1948).
16b. L’approccio al segno
• Uno dei principali problemi “operativi” che si incontrano nell’acquisire ed elaborare la “nuova lingua”
costituita dal sistema di presa di note, (che si configura come una sorta di INTERLINGUA o LESSICO
MENTALE) consiste nel tipo di APPROCCIO AL SEGNO che si può avere nello sviluppo morfologico del
codice.
• Si può avere pertanto un APPROCCIO SEMANTICO, per elaborare i SINTAGMI LESSICALI cioè associazioni
stabili e coerenti fra espressione e contenuto avvalendosi p.es. della TRIPARTIZIONE PEIRCEANA fra
INDICE, ICONA e SIMBOLO.
• Oppure si può avere un APPROCCIO ANALITICO al segno, che punta a rendere stabile la relazione fra
FORMA e FUNZIONE: «una volta compresa la funzione di un’occorrenza sul piano sintagmatico, come
fissare le informazioni fattuali con occorrenza uno a uno, come diffeerenziare e dare rilievo ai
connettori logico-semantici, come fissare le valenze pragmatiche colte al momento dell’enunciazione,
come differenziare informazioni principali e secondarie, come cristallizzare gli elementi percepiti come
ijmportanti ma non completamente decodificati al momento dell’ascolto, come indicare il tempo e il
modo dell’azione» (p. 262).
• L’ultimo approccio possibile al segno è quello PROCEDURALE, che tende a riprodurre la struttura
sintattica dell’enunciato, in modo da riflettere sulla carta la COESIONE e la COERENZA testuale del
discorso di partenza, preservando l’intenzione comunicativa del parlante.