La Collazione Ereditaria.

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La Collazione Ereditaria.
La Collazione Ereditaria.
Avv. Monica La Rocca
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La collazione è l’atto con il quale determinati soggetti, che hanno accettato l’eredità
conferiscono alla massa ereditaria le liberalità ricevute in vita dal defunto.
L’art. 737 c.c. dispone che i figli legittimi e naturali e i loro discendenti legittimi e naturali
e il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che
hanno ricevuto in vita dal defunto per donazione, direttamente o indirettamente, salvo che
il defunto non li abbia da ciò dispensati.
La collazione può essere effettuata per imputazione o mediante conferimento in natura.
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Nella prima forma il bene donato non passa alla massa ereditaria ma nella determinazione del
relictum e nella formazione della porzione di ciascun coerede si tiene conto del valore e, in
conseguenza, la porzione che sarebbe spettata al coerede donatario viene ridotta in misura pari
al valore del bene donato e trattenuto. In questo caso la stima del bene donato si fa avuto
riguardo al valore che il bene aveva al momento dell’apertura della successione e non al
momento della divisione ereditaria.
La collazione mediante conferimento in natura è, invece, l’ipotesi cd. eccezionale di collazione
e consiste nella restituzione effettiva del bene alla massa ereditaria.
Il donatario che conferisce ha il diritto al rimborso del valore delle migliorie apportate al bene,
nei limiti del loro valore al tempo dell’apertura della successione, e il diritto al rimborso delle
spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa nonché il rimborso dei
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deterioramenti a lui imputabili.
Per quanto riguarda invece i frutti e gli interessi, l’art. 745 c.c. dispone che i frutti delle cose e
gli interessi sulle somme soggette a collazione non sono dovuti che dal giorno in cui si è
aperta la successione.
Sono obbligati a conferire i figli legittimi e naturali, i loro discendenti legittimi e naturali e il
coniuge che concorrono alla successione. I soggetti tenuti alla collazione devono appartenere
alle categorie appena esposte, assunto lo status di coerede, essere donatari.
Oggetto della collazione sono soltanto le donazioni, sia dirette che indirette. Non sono
soggette a collazione le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per la
malattia, ne quelle ordinarie fatte per l’abbigliamento o per le nozze.
DISPENSA DALLA COLLAZIONE.
La dispensa dalla collazione, espressamente prevista dall’art. 737 c.c., è il negozio giuridico
con il quale il donante esonera il donatario dall’obbligo di conferire ai coeredi ciò che ha
ricevuto dal defunto per donazione.
La norma vuole riconfermare il principio dell’intangibilità della quota di riserva. Ai sensi del
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II comma dell’art. 737 c.c. la dispensa da collazione non produce effetto se non nei limiti della
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quota disponibile. Pertanto, qualora la dispensa dovesse comportare lesione della legittima, il
donatario sarà tenuto a conferire quanto ricevuto in eccedenza rispetto alla disponibile.
La dispensa dalla collazione, secondo una impostazione, fa si che il rapporto collatizio non
sorga e che, pertanto, ai fini della collazione, la liberalità dispensata viene del tutto ignorata. In
presenza di dispensa, la successione e la divisione si svolgono in tutto e per tutto come se la
donazione dispensata non vi fosse mai stata e come se il bene fosse uscito definitivamente dal
patrimonio del defunto per qualsiasi altra causa non liberale.
Qualora la dispensa dovesse comportare lesione di legittima, il donatario sarà tenuto a
conferire quanto ricevuto in eccedenza.
Dunque l’effetto pratico della dispensa dalla collazione è solo quello di far ritenere al coerede
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la liberalità, senza dover né restituire il bene in natura né riversare nell’asse il valore in denaro.
L’unica efficacia costante che la detta dispensa sortisce è dunque quello di evitare che il
coerede debba effettuare nei fatti l’imputazione mediante il versamento di denaro o la
restituzione in natura dell’immobile donato, ferma restando che essendo la stessa in conto
legittima e, solo per l’eccedenza, a valere sulla disponibile, questa deve essere senz’altro
valutata al fine di accertare se il valore del donatum sia pari o superiore alla legittima e, in
caso di esubero, il suo conteggio nella quota disponibile.
I TEORIA: Quindi, la dispensa dalla collazione non sottrae il donatario agli effetti di
un’eventuale azione di riduzione che venga esercitata contro di lui dagli altri riservatari al fine
di recuperare la quota parte dei beni donati in eccedenza della disponibile. Conseguentemente
il donatario dispensato dall’obbligo di collazione può ritenere la donazione fino alla
concorrenza della quota disponibile e della quota di riserva.
II TEORIA: Secondo altra interpretazione l’art. 737 cod. civ. sta a significare che qualora la
donazione ecceda il limite della disponibile, la dispensa opera solo per la parte ammessa dalla
legge, mentre la porzione eccedente deve essere conferita ai coeredi collatizi per la divisione,
senza necessità di domanda da parte di alcuno. In tal modo l’art. 737, II co., cod. civ. privando
di effetto la dispensa, oltre il limite della disponibile, consente di eliminare la necessità
dell’azione di riduzione e di pervenire al medesimo risultato anche decorso il termine
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decennale di prescrizione dell’azione di riduzione.
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E’ di tutta evidenza che accettare la prima o la seconda teoria non è senza rilievo pratico.
Nell’ambito di tale dibattito giova richiamare un indirizzo della Suprema Corte, che con
puntuale, illuminante e coerente motivazione si pone in una posizione per così dire intermedia.
Secondo il Supremo Collegio, è vero che l’azione di riduzione contro il coerede donatario –
coniuge o discendete del de cuius – presuppone che egli sia stato dispensato dalla collazione;
altrimenti, il solo meccanismo della collazione sarebbe sufficiente per fare conseguire ad ogni
coerede la porzione che gli spetta sulla eredità, senza bisogno di ricorrere nei confronti del
coerede donatario alla specifica tutela che la legge appresta per la quota di legittima. A tale
tutela specifica sarebbe invece indispensabile ricorrere quando il coerede donatario è stato
dispensato dalla collazione e la donazione intacchi la quota di legittima degli altri. In tal caso
infatti solo con l’azione di riduzione è possibile obbligare il donatario a conferire ai legittimari
la eccedenza, in modo da reintegrare la legittima loro spettante (artt. 555, 737 cod. civ.).
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Ciò non significa, secondo la Corte, che il rigetto dell’azione di riduzione (per prescrizione)
pregiudichi la decisione sugli effetti della dispensa in una divisione ereditaria alla quale
partecipano eredi legittimari. Infatti la partecipazione del legittimario alla successione ab
intestato ha effetti suoi propri che prescindono dalla proposizione dell’azione di riduzione. In
ogni caso il donatum non è del tutto estraneo alla successione e il donatario non può ritenersi
partecipante alla divisione del relictum come se egli non avesse ricevuto quelle donazioni, o
come se avesse ricevuto quei beni a titolo diverso dalla donazione. Una diversa interpretazione
troverebbe un ostacolo insormontabile nell’art. 553 cod. civ..
Infatti, per il collegio, in base a quest’ultima norma, anche nel caso in cui i successori siano
tutti legittimari, il legittimario, essendo chiamato alla successione ad intestato sul relictum in
una quota non inferiore alla sua quota di riserva, non ha alcun bisogno, per ottenere quanto
riservatogli, di ricorrere all’azione di riduzione delle donazioni ai sensi dell’art. 555 cod. civ.,
qualora il relictum sia sufficiente a coprire la quota predetta la quale risulta dalla riunione
fittizia tra relictum e donatum. Questa operazione, non essendo finalizzata soltanto
all’attuazione della riduzione, deve essere compiuta non solo quando si debba procedere a tale
azione ma in ogni caso di concorso di legittimari nella successione, al fine di determinare la
quota di riserva spettante a ciascuno di essi. Da ciò consegue che, nel caso di successione di
figli legittimi, la dispensa dalla collazione relativa alle donazioni effettuate in favore di uno dei
coeredi, se da una lato comporta che la successione e la divisione (secondo le quote previste
di prescrizione dell’azione di riduzione, possa opporsi il limite costituito dall’intangibilità
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dall’art. 556 cod. civ.) debbano essere limitate al relictum, senza che a detta dispensa, nel caso
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della legittima, dall’altro non esclude che la porzione spettante sul relictum al coerede
donatario debba essere ridotta di quanto necessario ad integrare la quota di riserva spettante (in
base all’operazione predetta) agli altri coeredi, ferma peraltro – in forza della prescrizione
dell’azione di riduzione – l’inattaccabilità della donazione anche nel caso in cui il relictum non
sia sufficiente all’integrazione della quota di riserva.
PRINCIPIO DI INTANGIBILITA’ DELLA LEGITTIMA.
Il diritto alla legittima non può essere, in alcun modo, sacrificato dal testatore. Esso è un diritto
intangibile. L’art. 549 c.c. dispone che il testatore non può imporre pesi e condizioni sulla
quota spettante ai legittimari, salva l’applicazione delle norme relative alla divisione ereditaria.
A sostegno della intangibilità della legittima il nostro ordinamento ha predisposto due forme
di tutela: la prima consiste nell’attribuzione al legittimario della facoltà di esercitare l’azione
di riduzione contro le disposizioni lesive; la seconda è data dall’art. 549 c.c. che, come si è
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visto, vieta l’imposizione di pesi e condizioni sulla quota spettante ai legittimari.
TRE AZIONI A TUTELA DEI LEGITTIMARI.
Il nostro codice civile agli artt. 553-564 tratta della tutela dei legittimari, denominandola
“reintegrazione della quota riservata i legittimari”.
Questa tutela consta di tre azioni autonome, ancorché strettamente connesse:
a) Azione di riduzione in senso stretto;
b) Azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte;
c) Azione di restituzione contro i terzi acquirenti.
La prima azione ha lo scopo di far dichiarare l’inefficacia (totale o parziale) delle disposizioni
testamentarie e delle donazioni, le quali eccedano la quota di cui il testatore poteva disporre.
La seconda e terza azione, successive alla prima, hanno lo scopo di recuperare al patrimonio
del legittimario i beni oggetto delle disposizioni lesive, rese inefficaci dall’azione di riduzione.
IL CALCOLO DELLA LEGITTIMA.
Al fine di determinare la quota di legittima occorre procedere alle tre operazioni previste
dall’art. 556 c.c.
a) Formazione della massa dei beni relitti. È necessario, ai fini di quest’operazione,
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accertare quali beni il defunto ha lasciato morendo e determinare il valore che essi
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avevano al momento della morte, perché è in questo momento che si fissa il diritto del
legittimario.
b) Detrazione dei debiti: è un’operazione di mero calcolo che si fa sulla carta. I debiti
non sono soltanto quelli contratti dal defunto ma anche quelli sorti in occasione della
morte: spese funerarie, di sepoltura, per la pubblicazione del testamento, per
l’apposizione dei sigilli etc.
c) Riunione fittizia delle donazioni: Al valore netto dei beni relitti risultante dalle due
operazioni precedenti, si aggiungono u beni di cui il defunto ha disposto in vita a titolo
di donazione. Questa operazione viene denominata riunione fittizia proprio perché ha
carattere contabile. Il valore dei beni viene calcolato in base al valore dei beni al
momento dell’apertura della successione. Non sono soggette a riunione fittizia le
spese di mena tenimento, di educazione, le spese fatte per l’abbigliamento e per le
nozze.
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Non si sottrae alla riunione fittizia (che è un calcolo puramente aritmetico) la donazione
effettuata con dispensa dalla collazione; in nessun modo il donante può impedire che le
donazioni da lui fatte in vita siano fittiziamente riunite ai sensi dell’art. 556 c.c.
L’AZIONE DI RIDUZIONE.
L’azione di riduzione è, dunque, il mezzo specifico concesso al legittimario per far dichiarare
nei suoi confronti l’inefficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che hanno
leso i suoi diritti intangibili alla quota di legittima.
Secondo la dottrina dominante si tratterebbe di un’azione inefficacia successiva, totale o
parziale, dell’atto di disposizione. La sentenza di riduzione non attua il trasferimento dei beni
al patrimonio del defunto, ma opera in modo tale che il trasferimento posto in essere dal
defunto con le disposizioni lesive si consideri non avvenuto nei confronti del legittimario.
ORDINE DELLE RIDUZIONI.
Il legislatore stabilisce un ordine in cui si deve procedere alla riduzione delle fattispecie lesive
della legittima: prima si procede alla riduzione delle quote legali ab intestato; poi si passa alla
riduzione delle disposizioni testamentarie, e, infine, se neanche con queste disposizioni si
riesce ad integrare la legittima, si procederà alla riduzione delle donazioni.
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CONDIZIONE PER L’ESERCIZIO DELL’AZIONE DI RIDUZIONE.
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L’art. 564 c.c. prevede due condizioni per il legittimario che intende agire in riduzione:
l’accettazione con beneficio di inventario (salvo eccezioni) e la imputazione di tutto ciò che
egli ha ricevuto, per successione o donazione, dal defunto.
Infatti, l’art. 564 c.c. recita: il legittimario che non ha accettato l’eredità con beneficio di
inventario non può chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati, salvo che le donazioni e i
legati siano stati fatti a persone chiamate come coeredi, ancorché abbiano rinunziato
all’eredità.
Il II comma dell’art. 564 c.c. stabilisce: “ in ogni caso il legittimario che domanda la riduzione
di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le
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donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato”.
TERMINE DI PRESCRIZIONE DELL’AZIONE DI RIDUZIONE.
Il termine di prescrizione relativo all’esercizio dell’azione di riduzione è decennale.
Orientamenti contrastanti si registrano sia in dottrina che in giurisprudenza circa il momento in
cui inizia a decorrere il termine per la prescrizione decennale per l’esercizio dell’azione di
riduzione.
I primi orientamenti erano favorevoli a considerare come momento iniziale quello
corrispondente all’apertura della successione (quindi dalla morte del de cuis) (si veda nello
stesso senso la sentenza 4230/1987 per la quale non ha rilievo l’individuazione del momento
in cui il legittimario ha scoperto la lesione della propria quota di riserva).
Successivamente l’orientamento si è spostato nel senso di considerare come momento iniziale
del decorso del termine quello corrispondente alla pubblicazione del testamento (quindi
successivo alla morte del de cuius) (si veda nello stesso senso la sentenza 5920/1999).
Soltanto da tale momento, che determina una presunzione iuris tantum di conoscenza delle
disposizioni lesive, i legittimari sono in condizione di far valere il loro diritto e richiedere la
riduzione delle disposizioni lesive della propria quota di riserva, atteso che, da tale data, salvo
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prova contraria, sono a conoscenza della lesione.
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Su tale punto è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite che ha risolto i contrasti in
materia, ritenendo il momento iniziale del decorso del termine di prescrizione quello
corrispondente al momento in cui sorge nel legittimario l’interesse ad agire e, quindi, nel caso
di disposizione testamentaria, nel momento in cui l’erede designato dal de cuius accetta
l’eredità, mentre, nel caso di donazione, il termine di prescrizione comincia a decorrere dal
momento dell’apertura della successione (morte del de cuis) in quanto in quel momento si
perfeziona la lesività della donazione nei confronti del legittimario.
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