ZONE A POTENZIALE RISCHIO DI LIQUEFAZIONE A SEGUITO DI

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ZONE A POTENZIALE RISCHIO DI LIQUEFAZIONE A SEGUITO DI
ZONE A POTENZIALE RISCHIO DI LIQUEFAZIONE A SEGUITO DI SISMA
Raffaele Solustri CNI – Consiglio Nazionale Ingegneri
RELAZIONE INTRODUTTIVA
La liquefazione dei sedimenti è uno dei fenomeni più evidenti che possono essere
causati da un terremoto in zone caratterizzate da importanti spessori di depositi
prevalentemente costituiti da sedimenti granulari.
Il termine liquefazione indica una repentina perdita di resistenza al taglio e rigidezza
del terreno, causata dai carichi ciclici dinamici indotti da un terremoto a seguito della
propagazione delle onde sismiche verso la superficie.
Alla base del fenomeno c’è un incremento delle pressioni interstiziali per effetto delle
vibrazioni sismiche e durante tale processo si ha una caduta drastica talvolta fino
anche all’annullamento della resistenza al taglio del terreno e quindi in definitiva una
perdita di capacità portante del terreno.
Fattori predisponenti alla liquefazione – fattori scatenanti la liquefazione
L’esperienza ha dimostrato che il fenomeno si manifesta quando sono verificate
simultaneamente alcune condizioni che riguardano la predisposizione del terreno al
verificarsi del fenomeno (fattori predisponenti) e alcune condizioni che riguardano la
caratteristica della condizione sismica (fattori scatenanti).
La probabilità che un deposito raggiunga le condizioni per la liquefazione dipende
dalla composizione granulometrica, dalle proprietà geotecniche dei terreni e dalle
condizioni di drenaggio.
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Si possono ritenere potenzialmente liquefacibili quei depositi sciolti che presentano le
seguenti caratteristiche:
o granulometricamente sono sabbie da fini a medie con contenuto in fine variabile
generalmente dallo 0 al 25%;
o si trovano sotto falda;
o sono da poco a mediamente addensati;
o si trovano a profondità relativamente basse (di solito inferiori ai 10-15 metri).
E’ evidente che la suscettibilità di un terreno alla liquefazione va rapportata a quello
che potrebbe essere l’evento scatenante.
La probabilità che un deposito raggiunga le condizioni per la liquefazione dipende
anche dalle caratteristiche delle vibrazioni sismiche, dalla storia delle sollecitazioni
sismiche e dall’età del deposito stesso.
Si è osservato che anche depositi sciolti con media-bassa predisposizione possono
subire liquefazione se interessati da un terremoto con una magnitudo e una durata
sufficientemente elevate.
Effetti della liquefazione
Per far decrescere la pressione in eccesso, il deposito liquefatto cerca una via di fuga
spingendo verso zone a minore pressione, ovvero verso l’alto, attraverso fratture o
condotti, di neoformazione o preesistenti, sia naturali che artificiali (come ad esempio
i pozzi per l’acqua).
Invece, in superficie la liquefazione si manifesta con vulcanetti (vulcanelli) di
sabbia/limo, frequentemente allineati lungo le fratture di risalita.
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Gli edifici e tutte le opere antropiche (ponti, strade etc.) possono essere danneggiati
da tale fenomeno.
Infatti, se le fondazioni di un edificio poggiano su uno strato che si liquefa, il
sostegno di quel livello viene a mancare (si comporta come un fluido e non più come
un solido).
Allo stesso tempo anche la sabbia che risale verso la superficie può causare cedimenti
e danni ad un edificio sovrastante a seguito della forte pressione esercitata.
Casi storici di liquefazione
I fenomeni di liquefazione sono stati osservati in tutto il mondo a seguito di forti
terremoti:
o dal terremoto di San Francisco in California del 1906 (18 aprile, M = 8,3),
o a quello dell’Alaska (1964) dove si sono innescate numerose frane,
o al terremoto di Niigata in Giappone del 1964 (16 giugno, M = 7,5), dove a causa
della perdita di resistenza al taglio si è verificato lo sprofondamento di alcuni
edifici e nel caso di un ponte a campate, semplicemente appoggiate, ha ceduto la
spalla e con effetto domino, tutte le campate,
o al terremoto di Izmit in Turchia nel 1999 (17 agosto, M = 7,4),
o sino ai recenti terremoti del 2010 (3 settembre, M = 7,0) e 2011 (22 febbraio, M =
6,3) di Christchurch (M = 6,3), in Nuova Zelanda.
Anche in Italia sono stati riportati fenomeni di liquefazione a seguito di forti eventi
sismici come in occasione del terremoto:
del 1915 nella piana del Fucino,
del 1980 in Irpinia,
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sino al terremoto avvenuto a L’Aquila nel 2009, dove vulcanelli di sabbia liquefatta
sono comparsi nella piana del fiume Aterno e sono stati studiati sia in termini di
caratteristiche geotecniche che per fini paleosismologici e quindi per il
riconoscimento e la caratterizzazione di eventi sismici del passato fortunatamente
questi fenomeni hanno destato interesse solo in ambito scientifico perché sono
avvenuti lontano da centri abitati e non hanno prodotto danni alle costruzioni. Mentre
la particolarità dei terremoti Emiliani di maggio 2012 è stata quella della diffusione di
effetti di liquefazione anche in centri abitati dove si sono verificati danni ingenti.
Infatti, numerosi fenomeni di liquefazione hanno interessato la pianura emiliana,
soprattutto in corrispondenza di antichi corsi d’acqua abbandonati (paleoalvei),
particolarmente rilevanti in alcuni centri della provincia di Ferrara, San Carlo, Fraz.
di S. Agostino e Mirabello, dove hanno causato la temporanea inagibilità di alcuni
edifici, la chiusura di alcune strade e l’interruzione di alcuni servizi per la rottura
delle reti.
I sopralluoghi del 24 e 25 maggio effettuati dalla Protezione Civile Nazionale e
Regionale, in località S. Carlo hanno permesso di evidenziare diversi effetti di tipo
geotecnico provocati dal sisma.
In gran parte dell’abitato sono state rilevate importanti fuoriuscite di sabbia attraverso
i pozzi per l’emungimento dell’acqua.
Laddove la sabbia non ha via d’uscita preferenziale costituita dai pozzi, sono state
osservate forti venute di acqua e terreno: in forma di vulcanelli, all’esterno degli
edifici, in forma di sollevamento del pavimento nei piani seminterrati e piano terra
degli edifici, con trasporto prevalente del terreno di fondazione più superficiale, in
genere fine, e parte del sottostante strato di terreno grossolano liquefatto.
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In corrispondenza degli antichi argini fluviali, le fuoriuscite di sabbia, sia esterne che
interne agli edifici, sono state accompagnate da diffusi fenomeni di instabilità locale e
globali, con conseguenze talora gravi sulla stabilità degli edifici presenti.
Nelle aree pianeggianti si sono formate fratture profonde, talora caratterizzate da
dislocazione solo orizzontali anche decimetriche, talora anche dislocazioni verticali
da centimetriche a decimetriche.
Gli edifici circostanti hanno subito conseguenti rotazioni e cedimenti.
Per quanto riguarda la natura geologica dei siti le zone a più alto rischio sono i letti di
fiume antiche e recenti, paludi, terreni di bonifica, argini, pianure di esondazione,
spiagge, zone dunari, ecc.
L’evidenza sperimentale ha mostrato che la liquefazione tende a ripetersi negli stessi
siti dove si è storicamente manifestata.
Da quanto detto risulta chiaro che la pericolosità alla liquefazione dipende non solo
dalla natura del terreno ma anche dalle caratteristiche geometriche e strutturali delle
costruzioni; infatti la pericolosità varia a seconda delle relazioni che si stabiliscono
tra le sollecitazioni preesistenti al terremoto e le sollecitazioni indotte dal terremoto
stesso.
Normativa
La normativa antisismica, intendendo con ciò sia la classificazione sismica del
territorio nazionale sia la normativa tecnica e progettuale, fa un primo passo con la
legge n.64 del 2 febbraio 1974.
La successiva evoluzione in materia di classificazione sismica vede anche
l’aggiornamento periodico delle norme tecniche.
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Ma è con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.3274/2003, “Primi
elementi in materia di criteri per la classificazione sismica del territorio nazionale e di
normative tecniche per le costruzioni in zona sismica” che vengono introdotte alcune
norme tecniche ed in particolare la norma “Requisiti del sito di costruzione e terreno
di fondazione”, sulla base della quale “…dovrà essere accertato che il sito di
costruzione e i terreni di fondazione siano esenti da pericoli di instabilità da pendii,
liquefazione, eccessivo addensamento in caso di terremoto, nonché rottura di faglia in
superficie”.
Con l’OPCM 3274 le verifiche alla liquefazione venivano richieste quando la falda
freatica è superficiale e il terreno comprende strati estesi o lenti spesse di sabbie
sciolte sotto falda, mentre potevano essere omesse in alcune condizioni che
dipendevano dalla suscettibilità dei depositi.
Comunque è con il DM 14.01.20008 che vengono meglio definiti criteri e
metodologie particolareggiate per le verifiche alla liquefazione:
“Il sito presso il quale è ubicato il manufatto deve essere stabile nei confronti della
liquefazione, intendendo con tale termine quei fenomeni associati alla perdita di
resistenza al taglio o ad accumulo di deformazioni plastiche in terreni saturi
prevalentemente sabbiosi, sollecitati da azioni cicliche e dinamiche che agiscono in
condizioni non drenate”.
Il DM 14.01.2008 e la relativa circolare stabiliscono anche alcuni dei criteri di
riferimento per l’esclusione della verifica alla liquefazione e fornisce un’indicazione
sulle metodologie da impiegare nel caso il sito venga riconosciuto a rischio; in
particolare vengono elencati 5 criteri da impiegare come riferimento al fine di
individuare la potenziale liquefacibilità dei terreni del sito indagato. I primi due
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riguardano il terremoto di progetto (eventi sismici attesi ed accelerazioni massime
attese) i rimanenti tre la suscettibilità dei depositi sciolti.
Quando nessuna delle condizioni risulti soddisfatta e il terreno di fondazione
comprende strati estesi o lenti spesse di sabbie sciolte sotto falda, occorre valutare il
coefficiente di sicurezza alla liquefazione alle profondità in cui sono presenti i terreni
potenzialmente liquefacibili.
Salvo utilizzare procedure di analisi avanzate, la verifica può essere effettuata con
metodologie di tipo storico-empirico in cui il coefficiente di sicurezza viene definito
dal rapporto tra la resistenza disponibile alla liquefazione e la sollecitazione indotta
dal terremoto in progetto. L’adeguatezza del margine di sicurezza nei confronti della
liquefazione deve essere valutata e motivata dal progettista.
Conclusioni
Fondamentalmente il rischio di liquefazione può essere affrontato secondo due
approcci differenti e in parte complementari.
Si può agire a livello strutturale, trasferendo il carico dell’opera in profondità con
l’adozione di fondazioni su pali, oppure aumentando la resistenza alle azioni laterali,
nel caso di muri e diaframmi, con l’uso di tiranti e ancoraggi di diverso tipo.
Si tratta cioè di intervenire aumentando la capacità di resistenza della struttura agli
effetti della liquefazione.
In alternativa, o in aggiunta, è possibile agire tentando di migliorare le caratteristiche
geotecniche del sito, abbattendo in maniera significativa la suscettibilità alla
liquefazione dei terreni a rischio.
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Questo può essere fatto incrementando il grado di addensamento dei livelli
liquefacibili o modificandone la composizione granulometrica e il grado di
saturazione.
In conclusione, la mia breve relazione
ha voluto essere un’introduzione alle
problematiche specifiche del fenomeno della liquefazione, che, in maniera
approfondita e in dettaglio saranno trattate dai relatori che mi seguiranno.
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