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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE Tesi di Laurea OPERARE CON PERSONE SENZA DIMORA IN UN CENTRO DI SALUTE MENTALE Relatore: Dott.ssa Anna BRUZZONE Candidata: Valentina MAZZONI Anno Accademico 2004-2005 INDICE INTRODUZIONE…………………………………………………………………………………...p. 1 I. DEFINIZIONE DEL FENOMENO “SENZA DIMORA”………………………………………..7 I. 1 Povertà e povertà estreme…………………………………………………………………………7 I. 2 Dalla nozione di povertà a quella di esclusione sociale………………………………………….11 I. 3 La persona senza dimora…………………………………………………………………………13 I. 3.1 Definizione: dalla nozione di senza fissa dimora a quella di persona senza dimora….13 I.3.2 Povertà come processo e <<traiettorie biografiche>>. Alcune parole- chiave per l’analisi del fenomeno………………………………………………………………………………….15 I. 4 Per una lettura del fenomeno: dalla teoria del rientro ad una ipotesi di microfratture…………..25 II. PERSONE SENZA DIMORA E SERVIZI SOCIALI…………………………………………..28 II.1 Rapporto tra le persone senza dimora e i servizi sociali: problemi d’accesso……………………………………………………………………………… ………… …...28 II. 1.1 Due sistemi che non comunicano: incomunicabilità tra sistema dei Servizi e sistema utente………………………………………………………………………………………….30 II. 1.2 Problema di accesso: area della non cittadinanza……………………………………..31 II. 1.3 Assenza di domanda d’aiuto e decodifica della richiesta……………………………..33 II. 2 Modello di welfare e chiave di lettura delle microfratture……………………………………...35 II. 2.1 Welfare system : quadro giuridico-istituzionale e interventi per le povertà estreme....35 II. 2.2 Welfare mix e sussidiarietà orizzontale……………………………………………….40 II. 2. 3 Aspetti problematici nell’assetto dei Servizi…………………………………………44 II. 2.4 Per una nuova chiave di lettura del welfare system: le microfratture ………………..46 II. 3 Welfare locale: rete dei Servizi per le persone senza dimora nell’esperienza genovese……….53 II. 3. 1 Politiche d’intervento a favore delle povertà estreme a Genova e rete istituzionale….53 II. 3. 2 Il Centro di Salute Mentale come punto nevralgico della rete e tutela della salute mentale della persona senza dimora…………………………………………………………..59 III. SALUTE MENTALE DELLE PERSONE SENZA DIMORA E IPOTESI DI INTERVENTO INTEGRATO FRA DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE E SERVIZI PER SENZA DIMORA NELLA RETE GENOVESE……………………………………….p. 62 III. 1 Persone senza dimora e problemi psichiatrici………………………………………………… 62 III.1.1 Il disturbo psichiatrico tra i fattori di rischio e tra le cause dell’aumento del fenomeno senza dimora……………………………………………………………………………….…65 III. 2 Il C.S.M. di fronte alla multidimensionalità del disagio della persona senza dimora………..66 III.3 Progetto Senza Dimora del D.S.M. della A.S.L. 3 Genovese…………………………………..68 III.3.1 Primo accesso…………………………………………………………………………70 III.3.2 Presa in carico………………………………………………………………………...72 III.3.3 Quale presa in carico è possibile?…………………………………………………….75 III.3.4 Diagnosi psichiatriche relative alle persone senza dimora……………………………76 III. 4 C.S.M. e lavoro di rete…………………………………………………………………………77 III. 5 Risorse della rete istituzionale genovese……………………………………………………….80 III.5.1 Interviste somministrate ad operatori di tre agenzie sul territorio genovese………….80 III.5.2 Rete integrata dei Servizi per senza dimora sul territorio genovese…………………83 III.5.3 Lettura del sistema di rete: tre fasi nel programma di intervento…………………….93 IV. STRATEGIE E STRUMENTI DEL PROCESSO D’AIUTO: UN’ESPERIENZA DI ACCOMPAGNAMENTO SOCIALE……………………………………………………...98 IV. 1 Quale bisogno?………………………………………………………………………………...98 IV.2 Quale intervento? Strategie e strumenti del processo d’aiuto………………………………..101 IV.2.1 L’agire metodologico dell’assistente sociale con la persona senza dimora…………101 IV.2.2 Prima il servizio o prima la persona?………………………………………………..107 IV.2.3 Accompagnamento sociale………………………………………………………….108 IV.2.4 Identità come dimensione di benessere: una prospettiva di costruzione dell’identità nelle relazioni con gli altri…………………………………………………………………..112 IV.2.5 Coping di rete e globalità dell’intervento d’aiuto…………………………………...115 IV.3 Quale processo? Approccio biografico: la persona e la sua storia di vita…………………….117 IV.4 Studio di caso………………………………………………………………………………….122 IV.4.1 Analisi della situazione problematica……………………………………………….122 IV.4.2 Analisi del progetto di aiuto…………………………………………………………126 CONCLUSIONI……………………………………………………………………………………..132 BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………………….139 INTRODUZIONE Persona senza dimora è quella che a tutti noi capita di incontrare per strada, mentre vive in uno spazio pubblico come se fosse privato, vi improvvisa un giaciglio per dormire, vi reperisce le risorse per cibarsi, vi sosta in modo diverso da come ordinariamente ognuno di noi fa. Non è facile trattenere lo sguardo su una situazione dalla quale nessuno puo’ intimamente sentirsi escluso. A questa persona, apparentemente sotto gli occhi di tutti ma sotto lo sguardo di nessuno in particolare, è dedicato il presente lavoro. È colui o colei che ha deciso di rendersi impermeabile ad ogni possibile relazione o contatto umano e ha ispessito il proprio abbigliamento di più giacche, sacchetti, coperte, fino a coprirsi ogni lembo di pelle; anzi sotto una coperta ha deciso di mettersi e non è detto che intenda uscire, allo scoperto dei sentimenti, che nascono nelle relazioni. “Persona senza dimora” racchiude un’ampia categoria di uomini e di donne, che hanno perso un legame di affiliazione con la società e sono passati progressivamente da una situazione di “vulnerabilità” ad una di désaffiliation, per dirla col sociologo francese R. Castel. Ma il tema è serio e grave, perché l’itinerario di rinuncia e chiusura della persona è lento, sofferente, in discesa progressiva, e conduce alla morte. L’ultima relazione umana è quella con l’erogatore di servizi ed è uno scambio solo strumentale, in cerca di una gratificazione in un tempo sempre più breve, dove scompare qualsiasi aspettativa o progettualità per il futuro. Come fa, allora, l’assistente sociale ad invertire questo percorso di rotta, restituire attaccamento alla vita a colui/colei la cui prospettiva esistenziale è l’autodistruzione? 1 L’iniziale curiosità che ha mosso il mio interesse verso le persone senza dimora è stata l’esigenza, sentita durante la formazione universitaria, di trovare la possibile applicabilità dei metodi e degli strumenti del servizio sociale ad un ambito di intervento particolare. Dopo la partecipazione al Corso di formazione <<Operare con le persone senza dimora>> promosso dall’Associazione San Marcellino di Genova, ho riscontrato una profonda congruenza del metodo utilizzato dall’Associazione con i valori, principi e metodi del servizio sociale, in particolare per il rilievo dato ad accoglienza, ascolto, autonomia e autodeterminazione della persona, e sono rimasta interessata dalla complessa problematica delle persone senza dimora sul versante più introspettivo, in altri termini, per la profonda somiglianza dell’identità senza dimora con quella di ogni uomo, individuando per ogni individuo il medesimo bisogno di socialità (<<Socius>>) accanto a quello di sussistenza (<<Bios>>). Durante l’esperienza di Tirocinio Professionale, conseguita nel Dipartimento di Salute Mentale della A.S.L. 3 Genovese, presso il Centro di Salute Mentale di Genova Bolzaneto, ho sperimentato un’ avvicinamento più pratico al problema delle persone senza dimora, partecipando ad alcune riunioni del Gruppo Senza Dimora del Dipartimento, osservando e conducendo parti di intervento con una persona senza dimora, seguita dal C.S.M., alloggiata in sistemazione alberghiera. Nel lavoro della mia tesi cerco di far convergere gli apprendimenti, le riflessioni e gli esiti delle sperimentazioni pratiche derivate dalle suddette esperienze formative. Probabilmente esso costituisce un tentativo di comprendere le possibilità operative più adeguate con le persone senza dimora, a fronte di un’esperienza formativa ed operativa come assistente sociale tirocinante, che ha lasciato in me numerosi interrogativi, incertezze e talora anche un senso di frustrazione rispetto all’aspettativa professionale di ottenere il feed-back di un buon esito dall’intervento d’aiuto. Ho voluto considerare l’intervento professionale dell’assistente sociale all’interno di un determinato contesto operativo di riferimento, scegliendo il C.S.M., il servizio sanitario pubblico territoriale, che si occupa della tutela della salute mentale dei cittadini. 2 Peraltro ho introdotto alcuni interrogativi sulla possibilità della psichiatria di comunità di occuparsi delle persone senza dimora. Al problema complesso occorre dare una risposta necessariamente complessa. Pertanto ho tentato di rispondere alla domanda sulle possibilità operative del Servizio Sociale professionale usando tre prospettive trasversali al lavoro dell’assistente sociale con persone senza dimora: 1) gli strumenti e i metodi 2) il lavoro di rete ( tentando l’elaborazione personale di uno studio di come funziona la rete istituzionale genovese di sostegno alla persona senza dimora, quali soggetti comprende, in particolare le agenzie deputate e il Dipartimento di Salute Mentale, e la costruzione e proposta di una ricognizione delle risorse esistenti) 3) infine, il confronto con l’operatività di altri professionisti, che lavorano in équipe con l’assistente sociale nel progetto d’aiuto per la persona. Ho cercato dunque di inquadrare il lavoro dell’assistente sociale in un contesto operativo progressivamente più ampio: il Servizio, la comunità e quindi la rete, il territorio, il Welfare State. Andando ad analizzare più nello specifico i contenuti dei singoli capitoli della tesi, occorre evidenziare una <<circolarità tra la definizione del fenomeno, gli strumenti di misurazione e le linee di politica sociale messe in campo, nello studio delle persone senza dimora>>1, nonché le modalità e strategie di intervento. La chiave interpretativa da me adottata per analizzare il fenomeno è la teoria delle “microfratture”, cioè un approccio che considera i progressivi slittamenti di senso, le rotture biografiche che interessano la personalità nei suoi livelli psichico e sociale, che conducono la persona alla deriva e all’esclusione sociale, e possono essere letti nelle singole biografie individuali e studiati, dal punto di vista sia sociologico che professionale, tramite approccio biografico, con un metodo di ricerca empatico e non intrusivo. 1 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi, G. Pieretti, a cura di, Servizio Sociale e povertà estreme. Accompagnamento sociale e persone senza dimora, Angeli, Milano, 2003, p.66. 3 Tale approccio risulta buono per prospettare possibili politiche di welfare e di intervento professionale. Le povertà urbane estreme costituiscono un nuovo tema emergente , specifico delle società ad alto livello di industrializzazione e di crescita, proprio perché prodotte da una dilagante condizione di frattura ed uscita dai tradizionali percorsi di vita. I sistemi di welfare hanno una difficoltà comune a cogliere le specificità delle forme e dei percorsi delle stesse in ambiti urbani complessi. Per alcuni si tratta di un fenomeno prevalentemente urbano, legato al processo di urbanizzazione, poiché << nelle città le reti di solidarietà tendono a dissolversi più velocemente e la sopravvivenza del povero diventa competenza dell’intera città>>2. Nel Capitolo I, spiego cos’è il fenomeno “senza dimora” e come si puo’ descrivere e comprendere nella società odierna. Innanzitutto occorre distinguere le povertà estreme dalla povertà: si tratta di due problematiche diverse che richiedono quadri teorici, metodologie e strumenti di lettura, nonché interventi di welfare completamente differenti. Le povertà estreme possono essere rimandate al concetto di <<individualismo negativo, in cui la povertà si combina con la mancanza di significativi legami sociali, anche se non esistono solide prove empiriche di un nesso causale di questo genere>>3. All’uomo sulla strada manca la possibilità di confrontarsi, confermarsi e riconoscersi nella relazione reciproca, di dare e ricevere in scambi di reciprocità e di sentirsi partecipe in una dimensione di socialità. Nel Capitolo II mi soffermo ad analizzare come possono rispondere i Servizi Sociali al bisogno delle persone emarginate gravi, introducendo il tema della collaborazione fra servizi pubblici e privati e delle differenti modalità di accoglienza proposte, rispetto alle possibilità di accesso delle persone. 2 P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, Angeli, Milano, 1995, p.37. 3 R. Castel, Les métamorphoses de la question social. Une cronique du salariat, Paris, Fayard, 1995. 4 <<Il problema che la povertà urbana estrema pone alle istituzioni deputate al suo trattamento è sempre il medesimo nel tempo: definirla da un lato e dall’altro prenderla in carico>>4. Tale difficoltà di “presa” si ravvisa sia nella definizione del fenomeno che nell’operatività professionale, nel tentativo di trovare delle strategie di metodo per operare con utenti non-utenti, che ricercano e rifuggono l’aiuto al tempo stesso, spesso non accedono al servizio e restano “invisibili”. <<Le istituzioni, pubbliche o private, rifiutano una presa in carico troppo pesante, perché non vi è presa: l’uomo sulla strada si sottrae, la sua cattiva volontà è evidente. Non vuole l’inserimento sociale che gli viene proposto>>5. Pertanto occorre sperimentare politiche di welfare che non richiedano alla persona senza dimora di <<rientrare>> in parametri di normalità, ma propongano soluzioni alternative, volte a salvaguardare non solo le condizioni materiali del soggetto, ma anche ad intervenire in aspetti della sfera psichica e sociale per il contenimento del processo di abbandono della propria identità e di ogni motivazione di vita . Il Capitolo III tratta di come puo’ rispondere al problema delle persone senza dimora il contesto operativo professionale del Dipartimento di Salute Mentale della A.S.L. 3, considerato nel più vasto tessuto connettivo della rete istituzionale genovese; e di quale rapporto è possibile realizzare tra servizi (istituzionali) ed associazioni e volontariato (welfare community). Interrogativo comune a molti è se le persone senza dimora siano sulla strada a causa di un problema psichiatrico. Ciò che è bene affermare è che <<le persone senza dimora non sono malate di mente, la loro condizione non va considerata semplicisticamente come un effetto di una patologia psichiatrica, anche se una percentuale risulta effettivamente portatrice di disturbi psichici>>6. 4 M. Foucalt, Storia della follia, Rizzoli, Milano, 1977 (citato in M. Bergamaschi, Immagine e trattamento delle povertà estreme in una prospettiva storico-sociale, in P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., p.36). 5 P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa,cit., p.88. 6 F. Pezzoni, G. Lucchini, Persone senza dimora e malattia mentale. Bisogni e servizi, in <<La Via del Sale>>, II-1, 1998, p.69. 5 Il C.S.M. si configura, quindi, come un punto nevralgico della rete e del programma di intervento integrato con le agenzie deputate all’aiuto delle persone senza dimora, affrontando la multidimensionalità del disagio di queste e orientando l’intervento alla globalità e centralità della persona. L’interrogativo che resta aperto è se la psichiatria di comunità, che comprende assistenza a lungo termine, de-istituzionalizzazione, servizi orientati sui bisogni, promozione dei diritti e dell’ empowerment, e lotta allo stigma, sia in grado di occuparsi delle persone senza dimora. Concludo, nel Capitolo IV, con lo studio di un caso, conosciuto dal C.S.M. di Genova Bolzaneto. Il caso scelto è significativo e puo’ esemplificare la buona riuscita dell’intervento professionale dell’assistente sociale con la persona senza dimora con problemi psichici. Pur non avendo condotto l’intervento in prima persona, individuo come puo’ operare l’équipe multiprofessionale del C.S.M. nel progetto di accompagnamento sociale e nel coping di rete, in collaborazione con le altre agenzie deputate, e quali sono le risorse in campo: la persona con la specificità della sua situazione ed esperienza. Ringrazio tutti i professionisti, e non, del servizio sociale, che hanno contribuito al completamento del mio lavoro, suggerendomi preziosi spunti di riflessione, in particolare Anna Bruzzone, Cristina Lodi, Franca Pezzoni, Danilo De Luise, Gabriele Verrone e infine gli operatori, che hanno concesso di essere da me intervistati per il reperimento di informazioni all’interno di un’attività di ricognizione delle risorse della rete genovese, e sono Valeria Bracco, assistente sociale presso l’Unità Operativa Cittadini Senza Territorio del Comune di Genova, Umberto Sante, operatore del Centro d’ascolto Monastero della Fondazione Auxilium-Caritas Diocesana, e Francesco Giovenco ed Edoardo Prandi, operatori presso il Centro d’ascolto dell’Associazione San Marcellino. Concludo ringraziando R., alla cui storia di vita mi sono ispirata per elaborare lo studio di un caso. 6 I. DEFINIZIONE DEL FENOMENO “SENZA DIMORA” Definire cosa si intende per persona senza dimora è la prima scommessa per impostare un possibile lavoro teorico e operativo. La condizione di senza dimora è difficile da capire perché ognuno forse ha già idea di cosa si sta parlando e normalmente viene in mente l’immagine di colui o coloro che i mezzi di informazione chiamano barboni, clochard, sans abrì, senza fissa dimora, homeless. Essi sono solo alcuni dei nomi comuni coi quali viene designato un fenomeno di difficile comprensione e difficilmente esprimibile in una categoria omogenea. Per inquadrare il fenomeno mi ispiro innanzitutto alla letteratura sociologica che si è interrogata sui concetti di povertà ed esclusione sociale. L’attuale globalismo ed il superamento di una società salariale, che inducono una sempre crescente diffusione di disoccupazione trasversale a tutti gli strati della popolazione, hanno condotto un sempre crescente numero di persone, non protette né sostenute , in condizione di isolamento. Questo nuovo <<individualismo negativo>>1 di massa è caratterizzato dall’indebolimento delle reti di socialità: un numero crescente di individui si trova esposto ad una condizione di vulnerabilità2. Si delinea un “uomo complesso”, le cui situazioni e caratteristiche sono di sempre più difficile lettura. I.1 Povertà e povertà estreme Povero è chiunque abbia bisogno dell’altrui aiuto, sia di tipo materiale, che nell’anima. Tale semplice definizione rinvia ad una prima distinzione. 1 R. Castel, Les métamorphoses de la question social. Une cronique du salariat, Paris,cit. C. Francesconi, “Segni” di impoverimento. Riflessioni socio-antropologiche sulla vulnerabilità, Angeli, Milano, 2003. 2 7 Il sociologo Achille Ardigò ha condotto un’indagine sulla povertà, nel cui saggio introduttivo compie una importante distinzione fra <<povertà materiali>> e <<povertà simbolico esistenziali>>3. Le povertà materiali sono le povertà economiche, le quali vanno distinte a loro volta in <<povertà assoluta>> e <<povertà relativa>>. La povertà materiale assoluta designa la difficoltà o impossibilità di riprodurre la vita materiale. La povertà relativa si definisce invece per rapporto alla media dei redditi individuali o familiari; non rinvia più alla radice semantica del termine stesso , bensì a problemi di distribuzione o redistribuzione delle risorse economiche e in particolare dei redditi. Secondo l’analisi del sociologo e ricercatore Giovanni Pieretti4, in Europa sino a prima della seconda guerra mondiale il concetto prevalente di povertà era quello di povertà assoluta, come la condizione di impossibilità dell’individuo di poter provvedere da se stesso alla sua sussistenza materiale (si ragionava allora sull’identificazione di un pacchetto di beni di primissima necessità, che servissero per riprodurre la vita materiale ). I welfare systems nacquero a partire dall’idea di risolvere i problemi della povertà materiale assoluta, cioè lo Stato si impegnava a provvedere, in termini universalistici, alle necessità vitali di tutti i cittadini. Ma progressivamente, con l’affermarsi degli stessi welfare systems, decadde la nozione di povertà assoluta a favore di quella di povertà relativa . La povertà viene allora definita e calcolata a partire dal reddito pro capite, per determinare il livello di sostegno economico e sociale che lo Stato deve assicurare agli individui che hanno bisogno di accedere ai vari servizi di assistenza. La nozione di povertà materiale relativa rinvia esclusivamente al reddito: è povero quel cittadino o quella famiglia o quel gruppo sociale il cui reddito è 3 A. Ardigò, Memoria al Presidente della Commissione “ Indagine studio sulla povertà in Emilia Romagna”, Bologna, 1987. 4 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit. 8 uguale o inferiore alla metà dei redditi medi rispettivamente individuali o familiari. Di conseguenza, lo slittamento dalla nozione di povertà assoluta a quella di povertà relativa si realizza nel momento in cui , dall’insieme dei beni necessari per la sussistenza materiale degli individui, si passa a considerare il reddito come misura della povertà degli individui e del corrispettivo intervento dello Stato. Tuttavia, assumere la nozione di povertà relativa significa perdere di vista la complessità delle situazioni soggettive, individuali e contestuali di povertà e di finire col burocratizzarle. Ma l’analisi di Pieretti prosegue oltre, muovendo dall’assunto che solo considerando la differenza tra le nozioni di povertà e povertà estreme si possa correttamente comprendere il tipo di disagio provato dalle persone senza dimora e come poterlo adeguatamente affrontare. A partire dal 1985, anno in cui esce il cosiddetto “Rapporto Gorrieri”5, stilato dalla commissione presieduta dal Prof. Ermanno Gorrieri, si inizia a parlare in Italia di “nuove povertà”, una definizione che delinea in termini residuali povertà distinte dalle povertà classiche , quelle economiche e materiali. Si tratta di quelle che Ardigò chiama povertà simbolico esistenziali, <<cioè quelle povertà non ascrivibili unicamente e indirettamente a ragioni economiche>>6. Si tratta di un contenitore concettuale che puo’ rappresentare diverse situazioni, spesso sovrapposte le une alle altre; ma conviene circoscrivere il campo di indagine alla condizione di senza dimora, pur sapendo che vari altri problemi, come la tossicodipendenza, l’alcolismo o i disturbi psichici, possono interessare le persone che vivono per strada. Prima di fornire una lettura ed una più precisa definizione della persona senza dimora, è interessante aggiungere alcuni passaggi della riflessione di Pieretti circa la distinzione tra <<povertà>> e <<povertà estreme>>. 5 La povertà in Italia, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 1985. G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, Angeli, Milano, 2005, p. 86. 6 9 Ci riferiamo ad una ricerca del 19927, condotta a livello europeo, in cui furono presi in esame i dati relativi alle povertà estreme in Italia, Francia, Danimarca e Germania e si sottolineò l’inadeguatezza di leggere e affrontare le situazioni di povertà estrema secondo lo schema tradizionale di causa-effetto, dell’evento traumatico come fattore scatenante la condizione di senza dimora e di ridurre tale disagio esistenziale ad un mero problema materiale di mancanza di una casa e di un lavoro. In base a tale contributo è possibile affermare che <<le povertà estreme non sono riconducibili al modello generale di povertà, intesa come condizione di vita contraddistinta da soglie ben definite da specifiche entrate e/o consumi>>8. Le povertà estreme non rappresentano pertanto la fascia più bassa della povertà. Infatti le povertà estreme introducono una discontinuità rispetto alle altre povertà, nel momento in cui esse sono strettamente congiunte a specifiche motivazioni e comportamenti soggettivi. Esse qualificano il processo di <<decomposizione ed abbandono del Sé>> che si realizza nella vita dell’individuo. Si puo’ dare di <<povertà urbane estreme>> la seguente definizione: <<una sequenza di rotture biografiche che interessano sia la personalità che il tessuto sociale. Esiste una sorta di soglia, che potremmo chiamare area di non ritorno, che contraddistingue l’incapacità - riluttanza di provvedere a se stessi, definibile come processo di decomposizione ed abbandono del Sé>>9. La condizione di senza dimora si realizza per progressive microfratture , cioè attraverso quotidiani slittamenti di senso, che si producono nell’identità dell’individuo in rapporto al contesto sociale in cui egli vive. Le rotture biografiche non devono essere necessariamente identificate con gli eventi traumatici, perché esse concernono il modo di concepire e di elaborare la realtà che la persona senza dimora si forma nel corso della sua esistenza. 7 P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa,cit. 8 Ivi, p. 12. 9 Ivi, p. 12. 10 Il processo di decomposizione e di abbandono del Sé non è una definizione ontologica, ma situazionale, ed esso si concretizza in tappe che possono essere descritte e misurate con opportuni indicatori. La ricerca di Pieretti10 considera un pacchetto di indicatori ed informatori biografici oggettivati, da usare in test empirici. Egli denota che tale pacchetto funziona sostanzialmente, cioè misura dei passaggi, che testimoniano e che scandiscono la perdita dello statuto epistemologico di soggetto, in progressive tappe intermedie che si riferiscono innanzitutto alla perdita dell’identità anagrafica: la persona non ha più un documento di identità, poi non ha più un posto dove ricevere lettere o telefonate, non ha un conto corrente bancario. L’indicatore biografico funziona per mezzo di uno schematismo binario ed è misurabile anche numericamente: cioè la carta d’identità si ha o non si ha, indirizzo si ha o non si ha, eccetera. Gli informatori biografici sono invece elementi qualitativi: ad esempio, registrano se la persona ha passato il giorno del suo compleanno o la notte di Natale con qualcuno, o no. Occorre la possibilità di fare una ricerca empatica e non intrusiva, ad esempio condotta da parte di coloro che tutti i giorni lavorano con le persone senza dimora, in modo prevalentemente qualitativo ( stando a contatto con le persone), usando l’ approccio biografico, al fine di fare emergere la varietà delle situazioni personali individuali, che possono eventualmente allontanarsi dall’iconografia tradizionale del “barbone”, e ad esempio mettere in luce che chi ha un lavoro in regola puo’ trovarsi a vivere per strada. I. 2 Dalla nozione di povertà a quella di esclusione sociale Le povertà urbane estreme si presentano come fenomeno non omogeneo né unitario, bensì distinto specificamente dal fenomeno delle altre povertà. 10 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., pp.63 e ss. 11 Appare giustificato il raccordo del fenomeno delle persone senza dimora alle condizioni di povertà, purché non si attribuisca ad esso un rapporto di causaeffetto. Piuttosto ci si puo’ riferire ad una << povertà multidimensionale>>11, un fenomeno diffuso che coinvolge la quasi totalità dei sottosistemi della vita della persona. Più recentemente, nel dibattito europeo, si è affermato un consenso generalizzato sull’uso della nozione di esclusione sociale, che ha di fatto sostituito quella di povertà. Il sociologo Maurizio Bergamaschi rileva che la stessa Comunità Europea, per definire i gruppi più svantaggiati presenti all’interno dei sui paesi, utilizza il termine povertà nel Primo e nel Secondo Programma, rispettivamente degli anni 1975-1980 e 1984-1988, mentre passa alla nozione di esclusione sociale nel Terzo (1989-1994). Al concetto di povertà si imputa l’incapacità di cogliere la natura dinamica e processuale delle situazioni che rientrano nel suo campo di applicazione, di cui sarebbero trascurate tutte le dimensioni, salvo quella economica. Poiché la nuova questione sociale non si colloca più ai margini della modernizzazione socio-economica, ma al suo centro, è opportuno descrivere se un individuo o un gruppo si collochi al centro o alla periferia di una “società orizzontale”, si collochi in posizione in o out, dentro o fuori. Questi termini vanno a sostituire quelli di up e down, per indicare che la nuova situazione sociale è caratterizzata da fragilità del legame sociale e dalla mancanza di integrazione. Dunque la nozione di esclusione sociale << non coincide con quella di povertà in quanto include situazioni che evidenziano la dissoluzione del legame sociale>>12, la frattura fra il dentro e il fuori, e <<permetterebbe da una parte di rendere conto della multidimensionalità e della cumulatività degli handicap che caratterizzano sempre di più le nuove situazioni di deprivazione, non riducibili 11 L. Gui, Emarginazione grave e persone senza dimora, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, Angeli, Milano, 1995, p.31. 12 M. Bergamaschi, Servizio sociale e forme emergenti di bisogno, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme,cit., p.93. 12 alla mancanza di risorse economiche , e dall’altra di coglierne il carattere dinamico>>. Infine la nozione di esclusione sociale favorisce la consapevolezza di una minaccia che investe ampie frange della popolazione. Propongo una definizione del concetto di esclusione che la ricercatrice Carla Landuzzi riporta da Paolo Guidicini: << la rottura con ogni elemento che potrebbe confermare la appartenenza al territorio diventa la condizione, implicita o esplicita, di un processo di individualizzazione spinto all’estremo, verso una non appartenenza ad alcun luogo, ad alcuna storia comune. Il percorso, o per meglio dire, il non percorso, si riduce ad un uso contingente e neutro di contesti da cui si rimane esclusi>>…<< esclusione sostanzialmente dal bene spaziale: comunità, vicinato, relazionalità, appartenenza>>13. I. 3 La persona senza dimora I. 3.1 Definizione: dalla nozione di senza fissa dimora a quella di persona senza dimora Si puo’ cercare di comprendere più da vicino il fenomeno delle persone senza dimora, leggendo alcune delle definizioni che alcuni autori hanno proposto circa la persona senza dimora. Luigi Gui, ricercatore universitario nonché docente e assistente sociale, che da anni si è occupato di studiare l’emarginazione grave, parla di << persone che hanno perso con essa (la dimora, n.d.a.) il requisito minimale di appartenenza alla cultura e alla cittadinanza occidentale>>14 . Non parla di una categoria umana , ma delinea diverse tipologie di persone accomunate dalla comune condizione di essere prive di una dimora stabile. 13 C. Landuzzi, Un’esclusione globale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.84. 14 L. Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p. 12. 13 Ancora definisce la << condizione di una vita fortemente deprivata, che non imbocca strategie di miglioramento>>15. Giovanni Pieretti supporta la nozione scelta dalla Federazione Italiana degli Organismi per le persone senza dimora, la quale, inserendo nell’acronimo FIO.psd la parola persona senza dimora, intende probabilmente superare il lessico da questura delle definizioni legislative e amministrative legate all’idea di vagabondaggio, che proponevano invece la nozione di senza fissa dimora. Sembra interessante notare, con Pieretti, che le stesse persone senza dimora raccolte in associazione amano chiamarsi persone senza dimora, tralasciando l’aggettivo “fissa”. Il termine senza dimora non significa solo senza casa, assenza di mura domestiche, ma soprattutto di uno spazio per il Sé. Quindi persona senza dimora significa “ individuo isolato privo di una casa interna”, di uno spazio di riflessione interiore, di uno spazio rassicurante che consenta l’elaborazione psichica della risposta. Insomma potremmo definire la dimora uno “spazio per l’anima”. Anima nell’accezione greca : Psyché. A una persona senza dimora non manca una casa, manca “la casa”, il focolare, lo spazio domestico”16. La condizione senza dimora …è caratterizzata dall’assenza di appartenenza della persona ad un contesto relazionale significativo, che è invece necessario allo sviluppo e alla crescita di ogni individuo, per la strutturazione della sua identità e per una corretta progettazione della sua esistenza17. Per concludere questa prima illustrazione del fenomeno senza dimora, sembra interessante evidenziare i prevalenti approcci al problema, desunti dalla più significativa letteratura dell’ultimo decennio. 15 L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.106. 16 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementidi discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.57. 17 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 86. 14 Innanzitutto si assume una concezione che non riduce il disagio esistenziale al mero problema materiale della mancanza di una casa o di un lavoro: esso piuttosto sarebbe generato da una molteplicità di variabili, fra cui avere o non avere una casa è una delle determinanti. Si preferisce parlare di esclusione come fenomeno cumulativo e multidimensionale. Al contempo è preferibile abbandonare la prospettiva, che in qualche modo rispecchia da vicino l’autopercezione della persona senza dimora, che tende a non attribuire a sé la responsabilità del proprio fallimento, che riconduce la genesi della condizione senza dimora all’evento traumatico. Pertanto occorre approfondire una trattazione che colga gli aspetti più interiori, <<psichici, cioè dell’anima>>18, che conducono la persona al fatto concreto di abbandonare le proprie certezze e andare in strada. Infine propongo la definizione di persona senza dimora raccolta da un Rapporto della Caritas Ambrosiana risalente al 2004, che sembra sufficientemente esaustiva del rendere conto di un fenomeno particolarmente complesso. Così definisce una persona senza dimora << soggetto in stato di povertà materiale e immateriale portatore di un disagio complesso, dinamico e multiforme>>19. I.3.2 Povertà come processo e << traiettorie biografiche20>>. Alcune parole chiave per l’analisi del fenomeno 1. Vulnerabilità e désaffiliation La povertà oggi non è da considerarsi una condizione costante, ma un problema spiegabile solo all’interno di una complessa dinamica processuale in cui 18 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.59. 19 Caritas Ambrosiana, Terzo rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano, In Dialogo, Milano, 2004. 20 C. Francesconi, “Segni” di impoverimento. Riflessioni socio-antropologiche sulla vulnerabilità, cit., p.35. 15 si sviluppa la vita dei soggetti, che puo’ in periodi diversi attraversare sia fasi di caduta verso situazioni di maggior impoverimento, sia fasi di risalita verso stadi di stabilità ed integrazione . Ciò significa che esiste una fascia ben più ampia di soggetti coinvolti nel fenomeno rispetto a quella comunemente presa in considerazione. Un numero crescente di individui si trova esposto ad una nuova condizione di vulnerabilità. Il sociologo francese Robert Castel, che considerando l’impatto del revenu minimum d’insertion (reddito minimo d’inserimento) sulle fasce più deboli della popolazione francese, ha dimostrato come questo strumento di natura economica non abbia di fatto restituito inserimento sociale alle persone per cui era stato pensato, elabora il concetto di désaffiliation: la maggior parte delle persone a cui era indirizzata tale misura di sostegno al reddito sono persone désaffillées, cioè persone che non si sentono appartenenti al sistema sociale. Nei confronti delle persone senza dimora, è illusorio pensare di poter dare loro un’appartenenza sociale significativa solo attraverso misure di carattere economico, in quanto la désaffiliation delle persone senza dimora non è principalmente una mancanza di risorse, quanto piuttosto <<un’incapacità a trasformare i beni in possibilità di vita>>21. Désaffiliation è il disconoscimento di paternità del sistema sociale in cui si vive. Indica una popolazione priva di uno statuto definito e socialmente accettato22. La nozione di désaffiliation non rimanda dunque esclusivamente alla dimensione economica, o alla densità relazionale, ma è definita dalla combinazione di due vettori: mancata integrazione occupazionale e isolamento sociale. In questo modello l’accento cade sulla rottura del legame sociale, assicurato dal lavoro e dall’appartenenza ad una comunità. 21 A. K. Sen, Risorse, valori e sviluppo, Bollati- Boringhieri, Torino, 1992. R.Castel, De l’indigence à l’exclusion, la désaffiliation, in J. Donzelot, Face à l’exclusion: la modèle francais, Esprit , Paris, 1991. 22 16 Occorre notare che il lavoro risulta vettore di integrazione non in quanto attività tra le altre che assicura un reddito, ma in quanto fonte di identità e di appartenenza sociale, attività produttrice di senso per sé e per gli altri. Circa l’indebolimento della rete primaria, Castel evidenzia, fra le varie trasformazioni che hanno investito la famiglia, il diffondersi delle famiglie monoparentali, gli alti tassi di divorzio, di coabitazione al di fuori del matrimonio, di nascite illegittime, come indici di una possibile dissociazione dell’ordine familiare. E’ possibile costruire uno schema tipologico con tre aree generali di definizione del problema. Gli indicatori presenti nello stesso possono essere utilizzati per individuare la possibile collocazione dell’individuo in una delle tre aree distinte. Le tre aree sono le seguenti: A) INTEGRAZIONE , cioè inclusione nel sistema sociale -integrazione lavorativa -inserimento sociale B) VULNERABILITA’ , cioè precarietà e fragilità -precarietà lavorativa -fragilità relazionale C) DESAFFILIATION , cioè cronicità come dimensione esistenziale -assenza di lavoro -isolamento sociale. Nell’area A, o dell’integrazione, si collocano individui che, indipendentemente dallo status sociale più o meno elevato e dalle disuguaglianze nei beni e nelle risorse posseduti e spendibili, risultano inclusi nel sistema sociale. L’area B, o della vulnerabilità, si definisce come possibile luogo di transizione per carriere individuali incrinate dalla precarietà e fragilità tanto a livello lavorativo quanto nelle relazioni sociali. Area tradizionalmente esposta al rischio dell’esclusione, in sistemi di welfare solidi puo’ trasformarsi in un’area in cui i soggetti trovano una collocazione stabile e duratura. Nell’area C, o della désaffiliation, si combinano assenza di lavoro e isolamento sociale. Bisogna aggiungere che la désaffiliation rende quanto mai 17 difficile l’accesso ai servizi, in quanto gli individui in essa inclusi non appartengono a quella che alcuni autori definiscono << gruppi a forte rappresentanza consolidata>>23. La cronicità come dimensione esistenziale globale appare oggi come possibile orizzonte nelle carriere personali. Con il suo modello Castel intende differenziarsi dalle analisi incentrate sulla logica binaria in / out, inclusione /esclusione, e attirare l’attenzione sulle situazioni di vulnerabilità che alimentano la zona della désaffiliation. Mostra come la specificità della situazione attuale risieda nel profilo sociologico delle persone investite da tali condizioni , piuttosto che nella nuova diffusione di fenomeni di povertà e di precarietà 24. Luigi Gui definisce così la vulnerabilità: << letteralmente è l’esposizione alle ferite. La propria tenuta a fronte delle provocazioni ricevute (…), sostanzialmente il rapporto tra la sofferenza a cui far fronte e il dispendio energetico che quest’azione ci richiede(…).Tale vulnerabilità è soggettiva, dipende da un insieme di elementi, dalle caratteristiche personali alle esperienze trascorse>>25. Si puo’ ipotizzare di considerare la nozione di vulnerabilità come una chiave di lettura del sistema di vita delle persone senza dimora, cosicché si puo’ spiegare il complesso di problemi legati alla progettualità in vista del cambiamento. In tale condizione è difficile scorgere per la persona l’esistenza di bisogni e della relativa ricerca di soddisfazione; peraltro per la persona “vulnerata” i costi necessari per ripristinare un equilibrio (minacciato o perduto) si fanno troppo alti. Puo’ darsi che un equilibrio faticosamente raggiunto, magari in condizioni che alla maggior parte di noi sembrano invivibili, venga difeso vedendo come troppo alti i costi necessari per raggiungere un qualche altro tipo di equilibrio. Tale atteggiamento conduce la persona senza dimora ad auto- confinarsi, probabilmente per non correre il rischio di perdere l’equilibrio faticosamente 23 P. Guidicini, G. Pieretti, a cura di, I volti della povertà urbana, Angeli, Milano, 1988. R. Castel, Les métamorphoses de la question social, cit. 25 L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit. , p.112. 24 18 raggiunto e di ricevere altre risposte dalla società e dalla relazione con altri generatrici di maggior sofferenza rispetto a quella già sopportata. 2. Adattamento per rinuncia Luigi Gui propone nella sua analisi della condizione senza dimora il concetto di adattamento per rinuncia, che peraltro puo’ essere desunto dagli studi mertoniani di sociologia della devianza. Dalle teorie struttural-funzionaliste della devianza, che sviluppano il problema dell’integrazione di tutti i membri di una società attorno ad un sistema di valori condiviso e considerano il comportamento deviante come patologico, agìto da parte di colui che male interiorizza le norme condivise e si allontana dal ruolo previsto dalla società per ciascun individuo a seconda della sua posizione sociale, il sociologo Merton individua diversi modi possibili di adattamento degli individui ai valori culturali proposti. Una di tali modalità di adattamento è la rinuncia, caratterizzata dall’assenza, nel comportamento della persona, sia di “mete” che di “mezzi”, dove Merton intende per “mete” <<gli scopi, gli interessi che si presentano come obiettivi legittimi per tutti i membri della società>>, e per “mezzi” << i modi legittimi per il raggiungimento delle mete>>26. Gui definisce l’adattamento per rinuncia come l’abbandono di prospettive di benessere, pur originariamente auspicate, perché percepite non solo come a sé negate e irraggiungibili, ma punteggiate da azioni troppo dolorose per poter essere ancora affrontate. La persona fa un bilancio in negativo della realtà esterna a sé , i propri mezzi, le esperienze pregresse, spesso fallimentari, e i desideri soggettivi. Credo che Gui adotti tale nozione e la ampli con le teorie metodologiche di Servizio Sociale di Fabio Folgheraiter per indicare un grave fattore di cronicizzazione della situazione senza dimora, che limita il soggetto nella sua potenzialità di riscattarsi e ha a che fare con il problema della progettualità. 26 L. Berzano, F. Prina, Sociologia della devianza, Carocci, 2003, p.80. 19 L’atteggiamento recessivo delle persone senza dimora appare come il tentativo di evitare qualcosa, piuttosto che il desiderio di arrivare ad uno stato desiderato, e di aggrapparsi all’equilibrio della sopravvivenza. La nozione è importante per comprendere i passaggi di non- ritorno che spostano l’identità del soggetto in difficoltà a persona senza futuro. E’ la situazione di rassegnata accettazione dello stato in cui si trovano, senza capacità o volontà di fare progetti, oppure con spunti di progettualità talmente fragili rispetto al peso della situazione in cui si trovano. La persona piano piano va rinunciando ad alcuni percorsi immaginati, ad alcune mete desiderate e riduce l’immagine del proprio futuro. La persona piano piano recede dalla vita : emarginata grave, chiude l’orizzonte delle proprie possibilità, ha sperimentato un fallimento a più dimensioni ( il fronte professionale, quello affettivo, quello culturale, quello dell’equilibrio fisico e organico..), crede di non potercela fare. Gui scrive << E’ questa una fase molto difficile , in cui la persona sta giocando la sua identità, sta dibattendosi in una metamorfosi della percezione di sé. Si tratta di un processo doloroso di passaggio da un’identità auspicata che si va lasciando, ad un’identità rassegnata che la realtà sociale va confermando>>27. Ma <<più si chiude e più si soffre>>, l’autostima diminuisce e il senso di sofferenza e fallimento producono un progressivo slittamento della personalità. 3. Deriva esistenziale come processo identitario In un progressivo cammino di accumulazione di fallimenti e negazioni di parti di sé , la persona attraversa una metamorfosi del proprio sé, della propria identità. Se è vero che ogni individuo costruisce la sua identità nell’interazione con gli altri e cresce nell’autostima a partire dalla stima che riceve dalle persone significative con le quali interagisce, allora la persona senza dimora , quando si chiude in se stessa, perché timorosa del rapporto con gli altri, si nega tale 27 Ivi, p. 114 . 20 possibilità di crescita e anzi sprofonda in un processo di destrutturazione del proprio sé. Lo stigma sociale dall’esterno conferma al soggetto che quello è il suo limite e tale dovrà restare. 4. Rotture biografiche, decomposizione e abbandono del Sé Già si è definita la povertà urbana estrema come una sequenza di rotture biografiche che interessano sia la personalità, che il tessuto sociale. Non si tratta di eventi traumatici, ma si rimanda a questioni percettive, interiori e intime, modi di percepire ed elaborare la realtà. Tale serie di rotture biografiche, che interessano la personalità, il livello psichico e quello sociale, raggiunge una soglia, un’ area del non ritorno, che contraddistingue l’incapacità-riluttanza di provvedere a se stessi. Sono raggiunti e superati passaggi progressivamente ad un livello inferiore di assestamento, caratterizzato da una limitazione delle proprie capacità relazionali e di autodeterminazione, fino alla perdita dello statuto epistemologico di soggetto. Tale processo è però scandito da tappe intermedie. Il processo di decomposizione ed abbandono del sé coincide con il restringimento relazionale progressivo e con una perdita progressiva di identità, prima di tutto una perdita di identità anagrafica, perdita dei documenti, ma in realtà una persona senza dimora progressivamente perde tutte le attrezzature della nostra identità ( Personal Equipements, come si dice in inglese): una carta d’identità, una patente, un conto corrente bancario, un numero di telefono, il cellulare…Prima di tutto vengono persi i segni della identità, ma poi vengono perse progressivamente le relazioni: prima con gli “altri generalizzati”, poi con gli “altri significativi” (uso la terminologia dell’interazionismo simbolico), poi con i compagni di strada, poi con gli animali che spesso contraddistinguono la vita di queste persone, fino all’ultima perdita , la più grossa di tutte: la perdita di relazione con il proprio corpo. 21 Nelle ultime fasi ,quelle che possono avvicinare la persona alla morte biologica, o ad uno stato molto simile, la persona senza dimora diventa un <<sistema biopsichico autoreferenziale>>28. La persona ha abbandonato qualunque motivazione, inclusa quella alla vita. 5. Identità e identificazione Luigi Gui riprende alcuni concetti dell’interazionismo simbolico: “l’altro generalizzato”, l’idea che noi abbiamo dell’idea che gli altri si fanno di noi. La persona comincia ad accorgersi che una certa idea di sé , una parte della propria identità non è più proponibile, allora la persona recita un Sé adeguato alle aspettative altrui e pian piano vede modificare la sua identità e riceve un etichetta, la sente addosso. Quando il doppio legame identità/ identificazione, che è tutto da costruire da parte di ogni soggetto, non si determina, il soggetto è esposto ad una condizione di accresciuta vulnerabilità sociale. In certi individui viene meno la capacità di costruire percorsi di senso condivisi, mentre la propria condizione di vita viene vissuta in modo sempre più individuale e autoreferenziale. La città, la folla, non offrendo più occasioni di identificazione, diviene semplicemente un contenitore, che conferma anonimato ed estraniazione da rapporti umani significativi. Laddove non vi è riscontro né riconoscimento da parte di nessuno, non vi è più identità né la ragione per avere un nome, un ruolo né un aspetto esteriore particolare e neppure di curare la propria persona e si rinforza l’idea che l’isolamento sia la migliore soluzione. La persona si caratterizza allora per eccesso di individualità e singolarità e per la carenza di identificazione di gruppo. 28 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 64. 22 L’assunzione di un distacco psicologico di tipo difensivo, sembra pregiudicare in molti emarginati l’uscita dalla propria individualità, cosicché poche alleanze intrecciate hanno un carattere strumentale e contingente, non mirato a rapporti di mutuo e gratuito aiuto. 6. Parabola discendente: isolamento, vuoto relazionale e morte La percezione di inadeguatezza personale ad inserirsi come agenti produttivi nel contesto sociale, vuoi come dato soggettivo o come attribuzione dall’esterno, spinge le persone senza dimora a scegliere di auto-confinarsi, perché già confinati in una condizione di abbandono prima ancora psicologico che materiale. Si tratta di rapporti di mancato inserimento sociale, o di espulsione, tali da divenire alla fine negazione di qualunque diritto di cittadinanza. I senza dimora mon condividono i tempi e gli spazi comuni ai cittadini. La persona vive un processo di auto-demolizione, mentre progressivamente chiude i fronti relazionali fallimentari, mentre si sa che tutti i sistemi viventi hanno bisogno di scambiare con l’ambiente , in entrata e in uscita, e su molte dimensioni. La persona ha bisogno di comunicazione reciproca con ciò che sta fuori di sé: puo’ illudersi che la strategia di minor sofferenza sia chiudere i canali comunicativi, e così fa perché aprendosi soffre, tuttavia chiudendosi lentamente muore. Resta il vuoto relazionale. Mancano le relazioni significative, fondamentali per sentirsi <<sensati>>, cioè soggetti <<che vanno da qualche parte ed anche che hanno un preciso significato, un valore riconosciuto, che ne giustifica l’esistenza29>>. La persona che non è in relazione di condivisone di senso imbocca la chiusura come ultima strategia rimasta per un equilibrio di benessere possibile, ma si nega la via ad un autentico benessere. La persona puo’ raggiungere uno stato di <<impermeabilità dell’io>>, <<la persona che si impermeabilizza, psicologicamente e fisicamente, (anche 29 L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.108. 23 somaticamente) chiude ogni scambio con l’ambiente, producendo attorno a sé quasi un a crosta difensiva, di vestiti, di lerciume di sacchetti e allora vediamo l’uomo chiocciola, bozzolo chiuso, che si barrica contro il mondo. Tollera soglie di dolore comunemente insostenibili>>30. 7. Paradigma vita-morte, autonomia – anomia, realtà - sogno Adattamento per rinuncia significa anche ravvicinare in un tempo sempre più breve la propria aspettativa di gratificazione, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, in definitiva negare ogni realistica progettualità per il futuro. Ciò non significa tuttavia che la persona abbia perso la capacità di sognare la propria realizzazione; spesso coltiva una sorta di fantasia sulla possibilità di farcela …in futuro. Ciò significa forse coltivare un’idea di Sé che non debba misurarsi con la realtà, perché fare i conti con essa ucciderebbe quell’ultima parte di Sé ideale, che protegge dalla sofferenza autentica, la disperazione. La persona non si aspetta cambiamenti, li spera inconsciamente; è nella posizione intermedia tra ineluttabilità delle cose e speranza che gli altri possano cambiare le cose per lui. ..non rimettere il paradigma vita-morte vuol dire non investire sulla vita, adattarsi ad una propria incapacità presunta (formazione reattiva del delirio di potenza, del miraggio della padronanza delle proprie funzioni). Si tratta del binomio autonomia/anomia: l’illusione di potercela fare da soli, di non necessitare di alcuna dipendenza, di vivere una sbornia di possibilità possibili. Significa, quasi in ogni caso: 1) vivere senza lavorare; 2) stare ubriachi o narcotizzati sempre o quasi; 3) non avere legami sentimentali e quindi dipendenza dagli affetti; 4) non avere figli; 5) dimenticarsi della famiglia di origine. Questi cinque punti , in forme diverse, appartengono alle biografie delle persone in povertà urbana estrema con cui siamo entrati in contatto. Non vanno considerati in termini moralistici ma solo come indicatori di una traiettoria di vita che cerca progressivamente di 30 Ivi, p.116 . 24 liberarsi di qualsiasi relazionalità significativa e di pervenire ad un livello di individualismo, per così dire, incondizionato31. L’assenza di impegni fissi, di regole, limiti, di orari, di legami affettivi e professionali non rendono la persona più libera. Ma, se si studiano le vite e i percorsi delle persone senza dimora, si verifica che essi fanno esattamente le stesse cose tutti i giorni e nello stesso piccolo spazio di territorio: si tratta di una coazione molto forte, che mostra quanto la presunta autonomia sia solo fittizia. I. 4 Per una lettura del fenomeno: dalla teoria del rientro ad una ipotesi di microfratture La teoria del rientro fonda l’intervento sull’ipotesi che l’area della normalità puo’ essere salvata e guidata al “rientro”. In passato la condizione di povertà è sempre stata interpretata come un trauma significativo e attinente alla società, cioè l’ingresso nello stato di povertà, l’acquisizione dello status di povero e il rientro stesso da una condizione di povertà si consideravano segnati da avvenimenti traumatici. Si concepiva dunque l’aiuto come assistenza straordinaria, una tantum, finalizzata, cioè subordinata al rientro. Il “rientro” dunque era concepito come parametro valutativo dell’efficacia della prestazione d’aiuto erogata. Significa che ad ogni intervento d’aiuto socio-assistenziale attivato dal sevizio pubblico si richiede un miglioramento effettivo delle condizioni dell’utente (la spesa pubblica “rientra” in termini di benessere verificabile nell’utente). La logica del rientro è tutta interna ad una concezione del servizio in senso medicalizzante, dove si interviene sugli effetti di un fenomeno in termini di cura, contrasto al sintomo della malattia, dove il riscontro ottenuto diviene il parametro valutativo dell’efficacia della prestazione d’aiuto. 31 G. Pieretti, La città degli esclusi: soggetti e strutture, in P. Guidicini, G. Pieretti, a cura di, Città globale e città degli esclusi, Angeli, Milano, 1998. 25 Il presupposto alla base di tale logica è la presunta provvisorietà delle condizioni di povertà estrema. E la persona che non risponde al rientro viene definitivamente dimenticata e l’emarginazione dai servizi si aggiunge agli elementi che concorrono al disgregarsi della sua personalità . Non è possibile pertanto utilizzare una logica del rientro per intervenire in processi d’aiuto delle persone senza dimora. Il problema delle povertà estreme diviene quello di percepire le specifiche situazioni dalle quali trae origine questa scelta di vita. In atri termini, povertà estrema non si pone come risultato di una generica condizione di esclusione da determinati livelli di prosperità e consumo, ma come prodotto di specifiche condizioni di squilibrio fra l’individuo e il proprio ambiente. Le motivazioni del problema risiedono nelle modalità relazionali interrotte e nella loro crisi a livello locale, che non puo’ essere risolta seguendo lo stesso percorso a ritroso. L’adozione della teoria delle microfratture implica la scelta di strategie d’intervento completamente avulse da quelle del passato. La teoria delle microfratture sostiene che la caduta in stato di povertà estrema non avviene mai come conseguenza di un evento traumatico. Esso puo’ condurre alla povertà, ma non alla povertà estrema. Il percorso che conduce alla povertà estrema si rivela molto più lungo, complesso, confuso, disseminato di riassestamenti costanti nei confronti del mondo esterno. Il termine microfratture indica che il percorso di vita delle persone senza dimora , pur segnato da eventi significativi, è punto di arrivo di una situazione notevolmente protratta nel tempo, caratterizzata da fasi intermedie, la cui identificazione è molto difficoltosa. Microfratture sono microvariazioni difficilmente percepite dal soggetto e dall’esterno, che scandiscono un processo giornaliero lento e irreversibile; sono alterazioni costanti a cui raramente seguono ricostruzioni funzionali. Base dell’intervento è allora l’identificazione delle micro situazioni attraverso cui avanza il processo di decomposizione del Sé, il crescente 26 isolamento e diradamento dei rapporti fino all’impoverimento del sistema dei rapporti interpersonali e l’assottigliamento dello spazio fisico del contatto, il restringimento del proprio mondo esteriore : l’universo delle relazioni dei valori condivisi, contatti, controllo del territorio. Il problema materiale sicuramente esiste , ma è sempre associato ad altre variabili. L’identificazione di queste variabili è l’obiettivo da perseguire oggi. 27 II. PERSONE SENZA DIMORA E SERVIZI SOCIALI II. 1 Rapporto tra le persone senza dimora e i Servizi Sociali: problemi d’accesso Le persone senza dimora sono nella condizione di non avere punti di riferimento relazionali. Ad una solitudine determinata dall’assenza di relazioni familiari, amicali, lavorative, si affiancano situazioni di assenza comunicativa giocate principalmente sul piano del rapporto coi servizi pubblici e privati. Per queste persone ottenere un riferimento chiaro e costante è un progresso e una chance, perché offre la possibilità di un aggancio e la prospettiva di uscita da una situazione di grave emarginazione. Ma tutto questo non è affatto scontato. Sono molti i nomi coniati dagli autori del panorama italiano che si occupano del fenomeno “senza dimora” per indicare la condizione di invisibilità in cui versano le persone in povertà estrema nei confronti del sistema di welfare. Alcuni di essi sono l’ <<utente che non c’è>>1 oppure gli <<ultimi della fila>>2 ad indicare che tali persone restano escluse, totalmente o quasi, dall’accessibilità ai Servizi e ad esse resta negato talora lo status di utente. Altri autori sottolineano che le persone senza dimora non appartengono a << categorie a rappresentanza forte e consolidata>> 3, quali ad esempio i portatori di handicap e invalidità, i tossicodipendenti, ecc...e che tale mancanza di riconoscimento di una categoria forte pregiudica l’accesso a beneficiare dei servizi erogati dalle istituzioni. << La mancanza per le persone senza dimora di una specifica rappresentanza formalmente riconosciuta (dalle Istituzioni ma anche da se stesse) 1 L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit. Caritas Italiana, Fondazione E. Zancan, a cura di, Gli ultimi della fila, Feltrinelli, Milano, 1998. 3 P. Guidicini, G. Pieretti, a cura di, I volti della povertà urbana, cit. 2 28 sembra essere l’elemento che determina la relazione patologica fra servizi e persona: l’utente senza dimora non è abbastanza utente (non usa o non usa bene il servizio) e non è abbastanza specifico (non appartiene del tutto ad una categoria tipologica prevalente)>>4. <<Vi è un’area incerta di utenza che viene palleggiata tra i vari Servizi, perché non è fino in fondo codificata all’interno di uno spazio istituzionale preciso, ma ha “tutte le sfortune del mondo”>>5. Prevalentemente i servizi sono sagomati sui bisogni e le capacità del cittadino “normale”, colui che sa interloquire col Servizio, presentarsi ad esso e formulare un richiesta più o meno compiuta, conforme al proprio bisogno e attendibile da una istituzione che puo’ occuparsi di esso. I servizi sociali hanno sagomato l’immagine dell’utente sulla falsariga di quella del cliente del mercato, che si reca individualmente nei luoghi deputati alla distribuzione dei diversi prodotti, per scegliere e consumare ciò che è considerato necessario per sé. Il cittadino utente quindi non solo è colui che si avvantaggia delle prestazioni, ma anche colui che prima è riuscito correttamente a decifrare il proprio bisogno, il servizio preposto a soddisfarlo e quindi si è recato ad utilizzare il servizio secondo la prassi più indicata. Questi passaggi richiedono una buona competenza, perché il potenziale utente deve decodificare il bisogno , decifrare l’organizzazione sociale per sapere dove e come ottenere ciò che soddisfa il suo bisogno, accedere ai servizi ponendo i propri quesiti secondo le modalità tecnico-burocratiche che consentono alle istituzioni di recepire la domanda. Conveniamo che <<soggetti sofferenti, socialmente e psicologicamente isolati, demotivati e passivi, giunti a non essere più né formalmente residenti, né contribuenti, né clienti, non possono nemmeno divenire utenti>>6. Spesso realtà e bisogni delle persone senza dimora si colgono per lo più dalle informazioni raccolte nei servizi per emarginati , che in qualche modo ci 4 L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit. , p.87. L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.119. 6 L. Gui , Emarginazione grave, in << Servizi Sociali>>, Supplemento Dossier 4, Tutela dei soggetti deboli, XXII- 3, 1995, p. 38. 5 29 descrivono le caratteristiche di utenti selezionati in base alla natura dell’agenzia erogatrice di prestazioni, senza però farci conoscere chi non accede mai ai Servizi. II. 1.1 Due sistemi che non comunicano: incomunicabilità tra sistema dei Servizi e sistema-utente La persona senza dimora raramente si rivolge ad un servizio, anche quando è in pericolo di vita; <<vi è un’abdicazione all’aiuto causata dalle precedenti esperienze di rifiuto, che cumulate, producono l’atteggiamento che si è chiamato “adattamento per rinuncia”>>7. Ricordiamo che la persona senza dimora si adatta e diventa capace di tollerare soglie di dolore comunemente non tollerabili. A tale fattore attitudinale riconducibile alla personalità della persona senza dimora ed alla sua predisposizione all’isolamento comunicativo, va aggiunta l’incapacità dell’attuale sistema dei servizi di andare incontro alla persona senza dimora. L’intervento a favore delle persone senza dimora assume un carattere residuale, poiché non v’è certezza circa la garanzia di presa in carico e di continuità nella relazione d’aiuto e nella cura. Il senza dimora non osserva gli orari, non ricorda bene il luogo dove ha l’appuntamento, commette errori ed omissioni circa giorno e orario di visita. Si delineano dunque due sistemi, quello dell’utenza senza dimora e quello dei servizi preposti all’assistenza per l’emarginazione grave adulta, perfettamente paralleli e non comunicanti fra loro; ciò che si potrebbe chiamare un’incomunicabilità simmetrica fra <<servizi tipici e utenti atipici>>8. La modalità organizzativa e comunicativa dei Servizi strutturalmente non incontra questo tipo di disagio, poiché imposta il modello di accesso ed erogazione dei servizi sulla base di quello del cliente del mercato, competente nel decodificare il proprio bisogno e nel richiedere. 7 R. Gnocchi , Il diritto alla salute delle persone senza dimora, in << Prospettive sociali e sanitarie>>, XXXV- 6, 2005, p. 13. 8 L. Gui, Emarginazione grave e persone senza dimora, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p. 82. 30 Affrontare una istituzione erogatrice di servizi significa sentirsi capaci e adeguati nel richiedere, significa conoscere le regole non solo sostanziali, ma anche formali per ingaggiare questa relazione. L’elemento di contraddizione che rende inconciliabile la distanza tra i due soggetti sociali consiste nel fatto che tanto nell’uno (persona senza dimora) quanto nell’altro (apparato dei servizi socio-sanitari) si esprimono contenuti formali smentiti sul piano pragmatico. Ciò genera una vera e propria patologia comunicativa: la persona senza dimora comunica verbalmente l’assenza di una domanda puntuale, articolata e pressante da rivolgere alle istituzioni, ponendosi in uno stato di rinuncia da sconfitte, mentre sul piano comunicativo non verbale, somatico e comportamentale, essa “dice” il suo disagio con estrema evidenza; dall’altro lato l’organizzazione dei servizi, sul piano formale, dichiara come suoi obiettivi il bene e l’utilità di “tutti” i cittadini, sul piano pratico fa capire di essere usabile solo dai cittadini che sanno “difendersi da soli”9. Si compone così un meccanismo di relazione disfunzionale per cui vi è coincidenza tra obiettivi pragmatici della persona senza dimora (che ha bisogno d’aiuto) e obiettivi formali dell’apparato dei servizi (che è preposta ad aiutare tutti), i quali vengono però entrambi contraddetti dagli obiettivi ufficialmente dichiarati dalla persona senza dimora ( che afferma di non chiedere altro che la sopravvivenza) e dagli obiettivi pragmatici dell’istituzione (che accoglie di fatto chi si adegua al modello organizzativo). Pare che vi sia un << gap organizzativo per il quale si disattende una domanda effettiva>>10. II. 1.2 Problema di accesso: area della non cittadinanza La difficoltà per le persone senza dimora ad accedere ai servizi è determinata in primo luogo da barriere formalizzate all’accesso (requisito di iscrizione anagrafica per la residenza, codice fiscale, tesserino sanitario...). 9 L. Gui, Una prospettiva di lettura dei servizi sociali, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p.91. 10 Ivi, p.89. 31 Il primo ostacolo che si frappone è il mancato riconoscimento della residenza anagrafica e la relativa attribuzione del pieno diritto di cittadinanza. Nel nostro paese, la corretta iscrizione anagrafica rappresenta la condizione senza la quale decadono anche i benefici del welfare state. Sono vigenti tutte le categorie amministrative di selezione degli utenti ispirate alla logica della stabilità. Il concetto di residenza implica un principio di inclusione-esclusione, tanto che le persone senza dimora, non avendo un alloggio dove potersi dichiarare stabilmente alloggiate, risultano anagraficamente non certificabili, non mutuabili, non censite. Le persone cosiddette “irreperibili” sono quelle che, non avendo la residenza anagrafica, neppure presso enti convenzionati con l’Anagrafe comunale o alberghi, perdono i diritti minimi di cittadinanza ed assistenza. Vi sono poi barriere all’accesso ai Servizi non formalizzate, cioè ostacoli culturali e attitudinali: nella logica che orienta i servizi del welfare state permane una concezione efficientista, secondo la quale ogni servizio incarna un particolare modello di fruizione: chi utilizza male un servizio, perché non lo conosce o non lo capisce, non puo’ sfruttarne le potenzialità. L’utente senza dimora rinuncia dopo i primi tentativi a rivolgersi ai servizi, perché li sente inadeguati a sé ed egli stesso si sente inadeguato alle prescrizioni e alle prassi, che essi impongono, non attente alla sostanza ed alla forma dei suoi bisogni. La realtà delle persone senza dimora non è compresa in una tipologia istituzionalmente codificata, né tanto meno consiste in una categoria sociale in grado di esprimere una domanda collettiva di servizi. Peraltro l’atipicità del loro stile di vita rispetto alla stabilità anagrafica, ai ruoli sociali e ai modi produttivi di consumo, li pone fuori della previsionalità dei Servizi perché sostanzialmente essi risultano privi dei requisiti di cittadinanza caratteristici della nostra cultura. Sottolineo principalmente due situazioni che determinano l’esclusione delle persone senza dimora dall’intervento del welfare system: -coloro che non sono in grado di attivare le necessarie risorse per rientrare all’interno di un target group non vengono presi in carico 32 -coloro che non intendono accettare il processo di declassamento sociale e stigmatizzazione connesso alla presa in carico non si rivolgono al servizio e vivono individualmente la propria condizione di deprivazione. Le due situazioni definiscono un’area di popolazione che, pur vivendo una situazione di deprivazione, rimane esclusa all’intervento del welfare system. <<Si forma quindi un’area della “non cittadinanza” come effetto di politiche di welfare rivolte in modo specifico alle persone in condizione di povertà estrema>>11. L’adduzione di motivazioni, quali l’impossibilità di seguire la persona perché non in possesso di un domicilio fisso o perché incapace di mantenere tempi e modalità della relazione definiti dalla struttura, ha condotto alcuni servizi a ponderare nuove modalità e strategie di intervento capaci di avvicinare ai servizi territoriali il senza dimora nel rispetto e nella considerazione dei suoi tempi e capaci di andare incontro alla persona laddove essa “dimora”. Alcuni Servizi, per far fronte alla domanda sommersa di tutte le persone che di fatto non accedono al Servizio, hanno attivato, per esempio, il dispositivo di una unità mobile di strada12. II. 1.3 Assenza di domanda d’aiuto e decodifica della richiesta Alcuni introducono il termine di <<anoressia istituzionale>>13 per caratterizzare la persona senza dimora, ad indicare che, analogamente al problema dell’anoressia alimentare, coesistono nella persona il bisogno di “nutrirsi” e l’assoluta assenza della domanda di “cibo” per soddisfare tale bisogno. Laddove la relazione col Servizio sia di tipo contrattuale, la persona rifiuta di nutrirsi di tale assistenza , perché avverte insostenibile la relazione stessa. La persona non chiede nulla, non perché non abbia bisogno, ma perché non riesce a 11 Bergamaschi M., Immagine e trattamento delle povertà estreme in una prospettiva storico-sociale, in P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa,cit., p.67. 12 R. Gnocchi , Il diritto alla salute delle persone senza dimora, in << Prospettive sociali e sanitarie>>, cit., p. 13. 13 A.A. V.V., Essere barboni a Roma, Labos, Ed. T.E.R., Roma, 1987, p.14. 33 stare dentro alla tipologia idealtipica di utente che sa recarsi correttamente al servizio, contrattare e ottenere. Nel caso dell’anoressico alimentare generalmente interviene la primary social network, costituita da familiari e conoscenti, che, per l’immagine che l’anoressico offre di sé, intuisce la domanda d’aiuto, la reinterpreta e la rivolge a chi compete, proprio perché il singolo individuo, da solo, ha perso la capacità di interagire con il contesto sociale più complesso. Ma nel caso della persona senza dimora vengono a mancare familiari e conoscenti, che grazie al legame affettivo-psicologico possano esprimere una domanda di nucleo. E la persona si trova dunque totalmente isolata nell’ assenza di comunicazione con l’istituzione. In alcuni casi è la dimensione dell’ associazionismo e del volontariato a generare canali di accesso alle risorse istituzionali per le persone senza dimora e a farsi carico di interpretare e tradurre la domanda d’aiuto. <<La scomparsa di reti primarie familiari ed amicali attorno ai più isolati suscita l’autocandidatura di altre persone (altrimenti estranee) che si cimentano a surrogarne, pur in forma parziale, tali presenze mancate. Seguendo l’analogia con gli anoressici di cibo i volontari andrebbero ad assumere quella funzione di intuizione del disagio espresso somaticamente dalle persone senza dimora , di reinterpretazione della domanda d’aiuto, di mediazione del rapporto con le strutture fonti di risorse>>14. Generalmente la persona senza dimora non formula alcuna richiesta specifica al Servizio, oppure avanza richieste non pertinenti, come la richiesta di alloggio, sussidi, ecc… Alcuni ritengono che vi sia una fase in cui la persona senza dimora oppone una qualche resistenza alla stigmatizzazione, recitando una parte il più possibile “normale” per ottenere lo stretto necessario alla sua sopravvivenza., attivata principalmente dall’istinto di sopravvivenza più che dalla convinzione di uscire dalla sua situazione di disagio. 14 L. Gui, Una prospettiva di lettura dei servizi sociali, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., pp.92 e s. 34 La persona allora puo’ presentarsi al Servizio chiedendo di lavorare, forse recitando a copione la parte del cittadino medio, forse consapevole che, per essere credibile per la società, è bene presentarsi e rappresentarsi come voglioso di lavorare. Pertanto è necessario per l’operatore, in un caso del genere, decodificare opportunamente la richiesta d’aiuto, considerando che in realtà la persona non potrà presentarsi all’appuntamento sul posto di lavoro fino a quando non avrà maturato l’intima convinzione di poter ancora avere una chance di riuscita per la sua esistenza. II. 2 Modello di welfare e chiave di lettura delle microfratture II.2.1 Welfare system: quadro giuridico- istituzionale e interventi per le povertà estreme Il quadro giuridico- istituzionale di riferimento per le attuali politiche sociali di intervento a favore delle povertà estreme è costituito prevalentemente dalla Legge n. 328/2000 intitolata “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”15. Essa costituisce a livello nazionale il quadro di riferimento normativo per tutte le politiche sociali in senso stretto. La “riforma sociale”, emanata dopo decenni di interventi legislativi sparsi e frastagliati relativi all’assistenza, si propone di improntare principi, finalità e fondamenti per la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali. Precedentemente all’attuale sistema, il welfare italiano era rimasto l’unico welfare categoriale in Europa. Si intende che esso prevedeva l’erogazione di benefits a cittadini di categorie a rappresentanza consolidata e garantita (ad esempio, minore, famiglia di minore, tossicodipendente, portatore di handicap…) 15 Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.265 del 13 novembre 2000- Supplemento Ordinario n. 186. 35 e che l’erogazione di assistenza sulla base delle categorie significava per il cittadino avere il requisito di appartenere ad una categoria e dimostrarlo. Prima della legge di riforma dell’assistenza, l’unica categoria mancante, non prevista né garantita dal welfare system italiano, era quella del <<cittadino adulto fra i 18 e i 65 anni>>16 non appartenente ad una delle categorie garantite. Dunque colui che mostrasse tali caratteristiche, pur versando in condizione di bisogno, non poteva beneficiare di assistenza. Dunque <<per le persone senza dimora non esisteva nessun riconoscimento legislativo né a livello nazionale né regionale>>17. La Legge del 2000 sancisce il superamento del modello categoriale e introduce un <<welfare che funziona secondo il principio del bisogno>>18 e non costringe il cittadino ad appartenere ad una categoria né a dimostrarlo. Peraltro, l’impronta della Legge 328 testimonia la maggiore attenzione verso nuovi dispositivi di intervento per far fronte ad una mutata configurazione del bisogno. La riforma assistenziale promuove << universalismo e diritti di cittadinanza>>19. Il diritto di accesso alle prestazioni e ai servizi della rete integrata non è più collegato ad una certa soglia di povertà, ma è predisposto per tutti i cittadini, <<con priorità di risposta alle persone in stato di povertà, con incapacità totale o parziale, con difficoltà di inserimento>>20. Il nuovo modello di welfare universalistico, rivolto alla totalità dei cittadini, prevede ulteriori interventi selettivi positivi a favore di aree della popolazione che versano in particolari condizioni di bisogno. L’articolo 28 della L. 328/00 prevede interventi urgenti per le situazioni di povertà estrema. 16 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., pp. 55 e s. 17 L. Gui , Emarginazione grave, in << Servizi Sociali>>, Supplemento Dossier 4, Tutela dei soggetti deboli, cit., p. 35. 18 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 55. 19 D. Mortello, Il sistema integrato di interventi e servizi sociali: le nuove politiche sociali, in Modulo Assistenza e Servizi Sociali, materiale di supporto al Corso di Politica Sociale, A.A. 2004-2005, p.12. 20 Ivi, p.12. 36 Esso è il primo riconoscimento di tutela giuridica di quella fascia di popolazione che si è visto essere di fatto emarginata in modo grave dagli interventi di welfare e dalla comunicazione coi Servizi. Sulla scia di una maggiore sensibilità al problema dell’emergente esclusione sociale e di alcuni interventi legislativi che hanno previsto in Italia la sperimentazione di misure di sostegno al reddito (RMI, Reddito Minimo di Inserimento), la Legge 328/00 prevede all’art. 23 la messa a regime del RMI sulla base degli esiti della sperimentazione avviata nel 1998 e subordinatamente all’approvazione di una legge ad hoc. L’attuale Governo, poiché contrario all’introduzione di una simile misura a livello nazionale, ha demandato alle Regioni l’istituzione di una misura del genere, limitatamente alle situazioni di povertà estrema e di incapacità al lavoro. Ma tale misura, che, come gli interventi di assistenza sociale, risulta tra gli elementi più decentralizzati del sistema di welfare dal punto di vista delle responsabilità amministrative e di erogazione, resta di fatto gestita a livello locale, dove l’autonomia è totale e si possono creare differenze intranazionali a livello regionale e tra Comuni della stessa Regione, anche sull’adozione della misura. L’assenza di politiche di sostegno al reddito in Italia crea una situazione profondamente diversa da quelle che sono le tendenze prevalenti a livello europeo. L’<<Europa sociale in costruzione>>21 è orientata alla garanzia minima di risorse a livello universalistico, tra cui in particolare misure di sostegno al reddito che contrastano la povertà e l’esclusione sociale. Entro questa cornice, si comprende la raccomandazione 92/441/CEE22, che nel 1992, ha introdotto il RMI e ha imposto agli Stati dell’Unione Europea di ratificare la stessa. Come accennato, in Italia, sulla scia della tendenza ad un welfare municipale, il D. Lgs. 237/1998 , a ratifica della raccomandazione.., ha introdotto a titolo di sperimentazione il RMI quale misura di contrasto alla povertà e 21 C. Saraceno , a cura di, Le dinamiche assistenziali in Europa. Sistemi nazionali e locali di contrasto alla povertà, Il Mulino, Bologna, 2004, p.28. 22 Raccomandazione 92/441/CEE del 24 giugno 1992. 37 all’esclusione sociale in una logica di promozione delle persone e di forte integrazione sociale. Le politiche sul RMI sono state sperimentate in Italia per due anni ed hanno dato esiti contrastanti, tanto che ad oggi tali politiche sono assenti a livello nazionale. Tuttavia, un intervento legislativo come il D.Lgs. 237/1998, culminato nella disciplina della L. 328/2000, testimonia una forte carica innovativa di strategia dell’intervento a favore dell’emarginazione grave. Propongo la lettura di alcuni articoli della Legge 328/2000, interessanti per comprendere la tutela della fascia di popolazione che interessa la presente ricerca e per introdurre successivamente il tema della sussidiarietà orizzontale, sul quale si impernia l’intero testo legislativo e tale da ispirare il modello di welfare mix che connota le attuali politiche di intervento a favore delle povertà estreme nelle Amministrazioni locali. Il catalogo della Legge prevede alcune disposizioni interessanti per la trattazione del problema delle povertà estreme. Nell’articolo 22 , intitolato Definizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, comma 2 a) , le misure di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito e i servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora figurano al primo posto fra gli interventi che costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali. Immediatamente dopo, segue la Sezione II, intitolata Misure di contrasto alla povertà e riordino degli emolumenti economici assistenziali, all’interno della quale all’art. 28 viene istituito il reddito minimo di inserimento come misura generale di contrasto alla povertà, alla quale ricondurre anche gli altri interventi di sostegno al reddito, quali gli assegni di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e le pensioni sociali. L’articolo 27 istituisce, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Commissione di indagine sulla esclusione sociale. Essa ha il compito di effettuare, anche in collegamento con analoghe iniziative nell’ambito dell’Unione Europea, le ricerche e le rilevazioni occorrenti per indagini sulla povertà e 38 sull’emarginazione in Italia, e predisporre per il Governo rapporti e relazioni per illustrare le conclusioni raggiunte e le proposte formulate. Infine, l’articolo 28 prevede che venga incrementato il Fondo nazionale per le politiche sociali per potenziare gli interventi urgenti per le situazioni di povertà estrema, volti ad assicurare i servizi destinati alle persone che versano in situazioni di povertà estrema e alle persone senza fissa dimora. Si ritrovano altri due interventi legislativi interessanti. L’ Ordinanza del Consiglio dei Ministri n. 18 del 24/01/00 prevede l’attivazione di interventi specifici contro la povertà e l’esclusione sociale. Si tratta del primo atto legislativo indirizzato alle persone senza dimora, che prevede uno specifico fondo a favore dei Comuni per interventi mirati allo scopo di fronteggiare l’emergenza freddo. Tale ordinanza, nonostante abbia subito numerose critiche riguardanti il suo carattere di intervento legato all’emergenza, mostra comunque un inizio di interesse nei confronti della problematica. Circa i tentativi di rendere i Servizi più accessibili, attraverso correzioni che possano agevolare l’incontro con l’utente, è opportuno menzionare la Circolare del Ministero degli Interni del giugno 1995. Essa ha indicato la possibilità, per quanto riguarda la residenza anagrafica, di eleggere il proprio domicilio, in caso di necessità, presso il Comune di appartenenza. Si è cercato di sopperire alle problematiche precedenti mediante accordi con Questura, Enti pubblici e privati, con l’introduzione di residenze fittizie definite dimore temporanee, presso alcuni Servizi identificati. All’interno del documento si trova scritto Il concetto di residenza… è fondato sulla dimora abituale del soggetto sul territorio comunale, cioè dall’elemento obiettivo di permanenza in tale luogo e soggettivo dell’intenzione di avervi stabile dimora, rilevata dalle consuetudini di vita e dalle relazioni sociali in presenza di quello che costituisce il diritto-dovere del cittadino, richiedere ed avere la residenza anagrafica, non si puo’ assolutamente ipotizzare l’esistenza di una discrezionalità dell’amministrazione comunale, ma soltanto il dovere di compiere un atto dovuto ancorato all’accertamento obiettivo di un presupposto di fatto, e cioè la presenza abituale del soggetto sul territorio. 39 Con l’emanazione della circolare si riesce ad avere su tutto il territorio nazionale una linea di condotta uniforme, evitando un comportamento diseguale nei confronti dei cittadini a seconda del Comune eletto a proprio domicilio. Per quanto riguarda la competenza territoriale, in caso di persona irreperibile fa fede, se possibile, la residenza storica dell’individuo. II. 2. 2 Welfare mix e sussidiarietà orizzontale L’art. 1, comma 5 della Legge 328/2000 prevede che Alla gestione ed all’offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi, nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione , organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato ed altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata. La Legge 328 promuove un << welfare plurale delle responsabilità>>, cioè propone un << modello di welfare costruito e sorretto da responsabilità condivise in una logica di sistema allargato di governo che valorizzi il federalismo solidale… nel quale, accanto alla promozione e alla regolazione pubblica, convive la progettazione dei soggetti pubblici e privati, dei soggetti istituzionali e non>>23. Si afferma pertanto il principio della sussidiarietà orizzontale, principio in virtù del quale Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale. <<Non è più una facoltà dell’ente pubblico avvalersi della collaborazione dei soggetti terzi, ma diventa un obbligo ed una modalità di governo prevedere forme di partecipazione attiva>>24. 23 D. Mortello, Il sistema integrato di interventi e servizi sociali: le nuove politiche sociali, in Modulo Assistenza e Servizi Sociali, cit., pp.12 e s. 24 Ivi,pp.12 e s. 40 Gli attori sociali, per il principio di solidarietà implicito in quello di sussidiarietà, vengono pertanto coinvolti attivamente lungo tre direttrici: -programmazione/progettazione dei servizi -produzione di servizi e prestazioni -promozione dei diritti di cittadinanza attiva. Si sviluppano politiche sociali che favoriscono un modello “misto” di servizi, a cui concorrono non solo le Pubbliche Amministrazioni e la cooperazione sociale, ma tutto il mondo del volontariato, lo stesso mercato profit e la comunità locale attraverso le forme varie di cittadinanza attiva (es. gruppi di auto-aiuto). Quello delle politiche sociali per le povertà estreme è uno dei settori del welfare in cui si realizza maggiormente la collaborazione tra pubblico e privato. La collaborazione tra agenzie pubbliche e private, definita welfare mix, ha cercato di risolvere alcuni dei problemi del welfare system, puntando alla creazione di organizzazioni meno burocratiche, più elastiche, adattabili ai reali bisogni degli individui, con spese minori e con coinvolgimento maggiore delle persone (grazie al progressivo aumento di gruppi di auto-aiuto). Si intendono facenti parte del settore pubblico enti ed istituzioni appartenenti a Stato ed enti locali, sia a livello regionale che statale. Il concetto di privato sociale, invece, identifica organizzazioni, associazioni e istituzioni non governative e non profit sia che impieghino personale retribuito, sia che si tratti di organismi a base volontaria collegati alla Chiesa o a comunità religiose. Nella maggior parte dei casi, la parte pubblica si è riservata la programmazione ed il controllo, lasciando la gestione diretta della produzione dei servizi al settore privato. In Italia, a livello locale il settore pubblico rappresenta il principale finanziatore dei servizi. I servizi privati a volte ricevono sovvenzioni pubbliche per erogare servizi che vengono appaltati loro, oppure lo Stato sovvenziona organizzazioni private a patto che operino interventi formalmente strutturati. Quindi la distribuzione dei servizi avviene secondo un modello misto, grazie a interventi pubblici e privati. 41 <<L’emergere, e la costante espansione, della realtà privata e volontaria si colloca nei fatti in quel vuoto relazionale che separa gli emarginati gravi dall’accesso alle risorse sociali>> 25. La sua funzione dunque è quella di prolungare i canali di accesso per le persone senza dimora alle risorse sociali. << I servizi pubblici di fronte alla difficile situazione di aver formalmente recepito la domanda (grazie alla canalizzazione del privato sociale) spesso non ingaggiano concretamente una relazione d’aiuto diretta>>26 , non negano il bisogno espresso, ma si dichiarano inadeguati a porvi rimedio. Il servizio pubblico riesce a farsi carico solo in minima parte di questi cittadini e fondamentalmente solo in situazioni di emergenza, grazie a servizi locali molto flessibili o di pronta emergenza. Non sembra al contrario frequente il ricorso istituzionale coerente e duraturo dei servizi normali, specializzati o territoriali. Fa difetto un requisito fondamentale al nostro assetto pubblico dei servizi: l’inclusione esatta in una delle tipologie di emarginazione normalmente riconosciute. Parallelamente il privato sociale (volontariato, cooperazione sociale), che si è mostrato efficace e sollecito, appare lo strumento più idoneo, flessibile ed economicamente meno costoso che gli enti locali possono adottare senza dover sostanzialmente modificare il proprio modello organizzativo e il proprio assetto dei servizi alla restante parte della popolazione. Così, l’area di emarginazione, riscoperta e visibilizzata dal privato sociale, viene affidata a quest’ultimo attraverso una restituzione formale di ruolo: l’ente locale preposto all’assistenza, nella maggior parte dei casi, attribuisce all’organismo privato-volontario la funzione di servizio pubblico, attraverso specifiche convenzioni o erogando contributi economici, in una sorta di ampia delega a trattare il residuo della casistica sociale saltata dagli uffici pubblici. 25 L. Gui, Emarginazione grave e persone senza dimora, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è,cit., pp. 92 e ss. 26 Ivi, pp. 94 e s. 42 La scappatoia di sovvenzionare il privato sociale permette così , in molti Comuni italiani, di reagire al disagio più marginale spostando l’intervento dalle singole risposte a domande individuali di cittadini bisognosi, ad accordi generali tra ente pubblico e soggetti sociali civili (l’associazionismo solidale) che domandano risorse pubbliche per contrastare in proprio i problemi emergenti. In questa direzione, a determinare il peso delle politiche sociali è il peso contrattuale culturale e politico degli organismi privati che entrano in gioco27. Nella relazione d’aiuto si tratta sostanzialmente di passare dalla sequenza più formale utente- operatore pubblico -rete solidale- utente (nella quale l’utente è il portatore della domanda d’aiuto all’operatore il quale attiva la rete come risorsa nel suo progetto d’aiuto con l’utente), alla sequenza rete solidale- operatore pubblico- utente- rete solidale (nella quale la rete segnala il bisogno emergente ed utilizza il servizio attraverso l’operatore per una risposta più completa). Le reti solidali divengono il riferimento primo ed ultimo entro cui l’operatore sviluppa la sua relazione con l’utente, diventando a loro volta utenti e destinatari dell’intervento d’aiuto; l’utente individuale a sua volta viene riportato alla funzione di risorsa per la rete cui si annoda. Quindi << è possibile trovare una risposta che preveda da un lato un settore pubblico che organizza gli standard essenziali minimi, dall’altro il settore privato che agisce sul sistema relazionale privato>>28. L’integrazione di servizi pubblici e privati si riscontra anche al fine di garantire all’utenza una maggiore flessibilità nell’erogazione delle prestazioni, così ad esempio i servizi pubblici hanno orari amministrativi, con la chiusura degli uffici alle 17 e durante i week end. I servizi del volontariato, invece, la cui apertura è subordinata alla possibilità di coinvolgere del personale volontario, hanno orari e giorni di apertura diversi secondo la loro prestazione e l’organizzazione interna. Una delle conseguenze di questo modello è che talora il contenuto del servizio viene influenzato dall’identità del soggetto che lo presta, tuttavia le 27 L. Gui , Emarginazione grave, in << Servizi Sociali>>, Supplemento Dossier 4, Tutela dei soggetti deboli, cit., pp. 38 e s. 28 P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., 1995, p.22. 43 prestazioni sono categoriali o non categoriali sia nel pubblico che nel privato, mentre si ravvisa nel privato la tendenza ad escludere i soggetti più violenti, mentre il pubblico ha l’obbligo di accoglienza verso chiunque. Il settore non profit, sia sotto forma di entità non formalizzate di volontariato, sia sotto forma di progetti sperimentali tende ad essere il principale promotore di innovazioni . II. 2. 3 Aspetti problematici nell’assetto dei Servizi Alcuni autori descrivono gli << effetti perversi >>29 dell’intervento del welfare locale, cioè il fatto che le politiche sociali contro la povertà estrema di fatto non pervengono ad eliminare la presenza della povertà estrema nella strada, la sua visibilità>>. L’analisi di Bergamaschi30 sottolinea due aspetti: -la categorizzazione di forme di intervento rivolte specificamente a persone senza dimora -interventi sempre più residuali. L’insieme di interventi specificamente indirizzati a tale popolazione assume rilevanza marginale rispetto al complesso degli interventi del welfare system e la residualità dell’assistenza produce declassamento sociale e stigmatizzazione. Un’analisi interessante evidenzia che l’uomo della strada deve <<far carriera nell’istituzione>> e per presentarsi al servizio << deve accettare la degradazione dei suoi antichi attributi per indossare l’identità di SDF (senza domicilio fisso). E’ evidentemente una degradazione considerevole, una rinuncia all’immagine di sé…L’accettazione dello statuto degradato di SDF passa 29 P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., p.75. 30 Ivi, p.67. 44 attraverso l’imitazione: si fa come gli altri che sono là..Il ricorso all’alcol, al vino soprattutto, segnala il cambiamento di stato, l’adesione al nuovo ruolo>>31. Pieretti denuncia che le persone in povertà estrema hanno un’aspettativa di vita inferiore a 50 anni. << Il fatto che di vita senza dimora si muore è un campanello d’allarme per i welfare system europei. In tutti i sistemi europei d’assistenza il problema dei senza dimora è un problema in crescita e il fenomeno si sta estendendo a macchia d’olio >>32. Pieretti critica che << il welfare system non è affatto competente per questi problemi perché affronta le povertà estreme come se fossero l’ultimo gradino delle povertà tradizionali e quindi con un pacchetto standard che non prevede delle specificità>>33. Occorre evidenziare l’elemento, che probabilmente costituisce il maggior fattore di emarginazione dai servizi, cioè l’ esclusione dalle istituzioni e la selezione dell’utenza da parte dei servizi. La FIOpsd indica alcuni meccanismi di esclusione messi in atto dai Servizi: -la territorialità: indica nella competenza territoriale la possibilità per la persona di essere presa in carico da parte dei servizi -la divisione settoriale fra interventi sanitari e sociali -la metodologia di intervento che prevede progetti a termine. Questi meccanismi, pur rispondendo a parametri che possono essere corretti, determinano la possibilità delle persone di venire escluse da parte del servizio. Si attiva un processo di reciproca esclusione : da un lato la struttura tende in questo modo a selezionare i propri utenti impedendo l’accesso a persone che non aderiscono ai suoi criteri e dall’altro i senza dimora tendenzialmente si auto escludono. 31 J. F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., pp.84 e s. 32 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit.,pp. 77 e s. 33 Ivi, p. 78. 45 Le istituzioni ( i centri d’accoglienza in particolare) selezionano la migliore “clientela”, quella che è valorizzante, quella che puo’ manifestare la volontà di reinserimento. Talora la capacità di enunciazione, cioè di raccontare la propria vita, diventa presupposto per le istituzioni per selezionare i propri clienti . Le istituzioni pubbliche o private talora rifiutano la presa in carico troppo pesante; l’istituzione infatti non puo’ accettare la cattiva volontà l’utente (non è puntuale secondo gli orari degli uffici, è incostante, puo’ essere caratterialmente alterato, avere un aspetto indecoroso, non si sottopone alle formalità, ecc..) e tutti i segni che l’accompagnano: il corpo pesante, segnato, che emana odori sgradevoli, il linguaggio brutale, incoerente, incomprensibile, ripetitivo. L’alternativa, che l’istituzione propone all’utente che non manifesta la volontà di reinserirsi e di seguire percorsi predefiniti, progettuali, di socialità, è l’offerta di servizi legati esclusivamente al <<Bios>>34, al vivere materialmente , alla sopravvivenza. << se non vuoi l’inserimento, mangia e vestiti!>>35, ma la ricerca che espone tale concetto conclude che non si puo’ vivere di solo Bios. La mancanza di presa in carico, perché la persone senza dimora si sottrae all’intervento e perché l’istituzione rifiuta una presa in carico, obbliga l’uomo sulla strada ad essere tale. Ma l’uomo sulla strada non puo’ essere ridotto a Bios, altrimenti muore. II. 2.4 Per una nuova chiave di lettura del welfare system: le microfratture Rispetto ad un approccio che tende a leggere situazioni di povertà estrema come una sottoclasse della povertà, viene proposta una chiave di lettura radicalmente diversa. Tra povertà e povertà estrema non vi è solo una differenza di grado e di intensità nella deprivazione, ma vi è una distinzione di natura più profonda. 34 J. F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., pp.103 e s. 35 Ivi, p. 103. 46 Si tratta di due universi distinti, che richiedono quadri teorici, metodologie, strumenti di lettura e interventi di welfare completamente differenti. Ben diverso è trattare di povertà, per uscire dal cui stato è sempre stata una questione di mezzi concreti, mentre trattare la povertà estrema significa separarsi sempre più da una cultura omogenea di bisogni materiali. La persona senza dimora avanza in una zona di isolamento soggettivo crescente, che rende sempre meno possibile un’ipotesi di ritorno. Quindi ogni strategia di politica sociale nei confronti della povertà estrema deve innanzitutto essere <<subordinata al controllo del processo di isolamento, scivolamento, di uscita da un qualsiasi gruppo culturalmente e strutturalmente organizzato>>. L’intervento deve identificare le <<microfratture>>, cioè <<come il processo di isolamento – il quale guida il soggetto attraverso condizioni di progressiva povertà estrema – si produca secondo microvarazioni che difficilmente vengono percepite sia dal soggetto che dall’esterno>>36. Dunque due dovrebbero essere gli obiettivi dell’intervento: - salvaguardia delle condizioni materiali del soggetto, benché sia impossibile caricare questo ambito di compiti a volte non realistici, quali ad esempio il rientro nel mondo del lavoro - intervento mirato al contenimento dei processi di decomposizione e abbandono del Sé, attraverso la lotta contro i motivi che li hanno scatenati e la creazione del maggior numero possibile di momenti e condizioni di appartenenza e solidarietà 37. L’intervento interessa in modo crescente aspetti della sfera psichica e sociale: - è necessario costruire un sistema di interventi ad hoc contro la povertà estrema, che sia articolato su diversi livelli operativi in grado di intervenire nelle dimensioni descritte in precedenza - è necessario raggiungere una divisione netta e funzionale dei compiti, anche considerando che, nel caso specifico, la prevenzione sembra essere fondamentale. Essa significa identificazione delle motivazioni collegate ai processi di impoverimento estremo e ai meccanismi di disarticolazione dei rapporti sociali 36 P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., pp. 16 e s. 37 Ivi, p. 17. 47 - è necessario ricercare e identificare costantemente nuovi meccanismi di impoverimento all’interno di ogni contesto nazionale e soprattutto definire le variabili che stanno alla base dei processi di rottura - riorganizzazione delle metodologie di intervento e politiche formative e innovative degli operatori sociali per offrire una professionalità adeguata38. La linea direzionale lungo la quale è opportuno muoversi è la conoscenza approfondita del fenomeno a livello locale, la conoscenza profonda del problema delle microfratture e , poiché sappiamo che la povertà estrema è determinata dallo squilibrio tra persona e ambiente, occorre soprattutto identificare quali sono le altre variabili, che connotano e determinano il fenomeno, oltre al problema materiale. Mettere a punto un intervento significa applicare una strategia in grado di dare risposta a tali nuove e crescenti situazioni di limitazione della resistenza e dell’equilibrio personale dell’individuo; significa soprattutto essere in grado di adattare l’intervento alle situazioni locali di parziale riassorbimento delle rotture. La creazione di una nuova strategia implica quindi una riaggregazione e una ricostruzione di condizioni relazionali accettabili fra il soggetto e l’ambiente. Questo concetto di equilibrio persona /ambiente comprende almeno tre elementi: 1) Il primo è l’ambiente fisico, in cui il soggetto vive. L’intervento deve fornire al soggetto un “controllo” e un dominio minimo sull’ambiente, facendo riferimento a tutte le teorie in tema di ecologia e analisi dello spazio circa la relazione di interdipendenza con la realtà esterna. Deve conferire <<il senso del “possesso” (quale percezione di una potenzialità propria del soggetto all’uso autonomo dello spazio) verso un certo ambiente>>39. Il possesso puo’ essere limitato a un raggruppamento ristretto di elementi connessi alla semplice sussistenza giornaliera (uno spazio in cui vivere, un luogo in cui disporre le proprie cose, uno spazio in cui reinventare la propria presenza 38 39 Ivi, pp.19 e s. Ivi, p.24. 48 fisica), mentre l’assenza di spazi autonomi che siano veramente esclusivi e privati si rivela critica. L’intervento è quindi chiamato da un lato ad arrestare il processo di disorientamento e regresso dall’ambiente, che spesso caratterizza lo stato di povertà estrema; dall’altro ad ampliare il senso di spazi relazionali. 2) Il secondo elemento è il senso di comunità. È necessario operare in modo da giungere ad un <<sistema dove i rapporti siano sempre più di tutti con tutti>>40. Ovviamente ciò deve investire soprattutto la dimensione relazionale, non la sfera dei servizi primari. Comunque , a livello relazionale, il servizio deve cercare di favorire (magari ricorrendo in maniera preponderante a forze del volontariato di base o strutture ampiamente decentrate) l’attivazione di un rapporto significativo fra soggetto e territorio. << “Fare territorio” deve divenire elemento centrale dell’intervento>>. Con l’espressione suddetta si fa riferimento all’incapacità della persona di “fare territorio”: infatti <<il soggetto in povertà estrema puo’ utilizzare diversi luoghi e a volte spostarsi sul territorio, ma la sua capacità di controllo, gestione, uso degli spazi tende a diminuire. Lo spazio fisico si fa sempre più esteriore, una realtà esterna >>41. 3) Il terzo elemento per la costruzione di un equilibrio persona/ambiente è la conoscenza del territorio, della comunità o, quando appaia difficilmente definibile, la conoscenza del meccanismo che porta all’attivazione di una minima dimensione relazionale. L’attenzione ad <<aree urbane significative>> richiama aspetti problematici. Infatti, pur essendo interessante il discorso << a livello astratto sul ricollegamento fra soggetto e territorio, esso diviene emblematico e ambiguo quando si prendano in esame aree che non offrono segnali significativi di aggregazione collegati alla nozione di comunità. Il problema attuale è quello di 40 41 Ivi, p.24. Ivi, p.18. 49 indagare all’interno delle rotture del tessuto sociale, al fine di ripristinare solidarietà e meccanismi di appartenenza>>42. Non si possono applicare politiche di integrazione di tipo tradizionale, ma occorre dare una lettura del problema senza dimora, che accentui il riverbero interiore, le microfratture, senza che ciò voglia dire psichiatrizzare o individualizzare l’approccio, ma piuttosto considerare anche e soprattutto la sfera intima e la percezione della realtà della persona senza dimora. Certo ciò significa mettere in campo linee di politica sociale meno sicure e consolidate delle tradizionali linee, quali l’erogazione di benefits consolidati. Significa specialmente <<ridare attaccamento alla vita a qualcuno che l’ha perso43>>. L’analisi di Luigi Gui44 fa notare un elemento usato nella lettura delle culture organizzative dei servizi, che puo’ servire per spiegare i fattori originanti barriere all’accesso per le persone senza dimora ai servizi. Si tratta dei cosiddetti << codici affettivi>>45 utilizzati dal Servizio nell’impostare la relazione con l’utente. È bene sostituire la relazione frontale up-down, dove vi è qualcuno che si presume capace e competente rispetto a qualcuno che si presume incapace e impotente, con quella dove non vi sia una netta distinzione tra chi prende e chi offre. Il codice che Gui predilige per favorire l’accesso, la presa in carico e l’accompagnamento sociale delle persone senza dimora è quello fraterno, che scardina il precedente modello up- down, tra chi eroga e chi riceve, ed instaura un rapporto laterale, fra pari. I servizi devono cambiare presupposti: non esiste la cronicità, esiste invece la cronicizzazione. 42 Ivi,pp.24 e s. G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit.,p p.66 e s. 44 L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit.,p p.120 e ss. 45 S. Capranico, In che cosa posso servirla, idee e cultura per le organizzazioni di servizio, Ed. Guerini e associati, Milano, 1992, pp. 63 e ss. 43 50 Occorre staccarsi dall’ottica del rientro e del successo, che si lega ad un codice affettivo paterno, di tipo up- down , generatore di distanza tra le parti della relazione e fattore determinante la recessione dal rapporto della persona senza dimora. È, dunque, pratica cattiva l’alta soglia, ma anche la soglia inesistente; infatti gli <<interventi di riduzione del danno (residuali) mirano a tamponare situazioni di emergenza nel percorso di grave marginalità della persona, ma non hanno nel lungo periodo la possibilità di invertire il percorso46>>. Occorre capire l’improbabile accoppiamento della vita delle persone senza dimora e dei Servizi e passare dall’atteggiamento che stipula che non ci sia nulla da fare per loro ad uno che tenti invece di entrare nella loro antropologia attraverso l’uso degli stili comunicativi adatti. Si propone un intervento di aggancio, fatto in strada, di bassa soglia e la possibilità successivamente di altri livelli più sofisticati. Sono sorti in via sperimentale e solo per alcune aree del disagio adulto servizi definiti a bassa soglia che hanno come caratteristica quella di permettere alla persona di accedervi senza precisi requisiti d’accesso. Si cerca in questo modo di incontrare la persona in difficoltà e rimuovere gli ostacoli che talora non permettono l’incontro. Il metodo della bassa soglia è quello ritenuto da molti il più idoneo ad occuparsi del disagio adulto. Gli interventi di bassa soglia, dove l’intervento si basa sul gioco relazionale, hanno la capacità di invertire il percorso di marginalità47. I servizi per le persone senza dimora devono essere facilmente raggiungibili; vi è la necessità di salvaguardare la persona, tutelare la salute, e mantenere le condizioni di vita in situazioni minimamente accettabili. È comunque necessario partire da un approccio meno selettivo e più accogliente prevedendo in seguito,se possibile, un percorso in evoluzione, 46 G. Invernizzi, Il nuovo albergo popolare di Bergamo, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit.,p. 136. 47 Ivi, p. 136. 51 cercando in ogni caso di instaurare una relazione anche se basata sull’offerta di risorse primarie. Si prevedono tempi lunghi, quanto quelli che sono necessitati alla persona per scivolare progressivamente in un processo di deriva; e soprattutto si prevede <<una via diversa per ogni persona>>48. Infatti non si tratta di privilegiare l’uno o l’altro intervento, ma è questione di sapere che un tipo di intervento puo’ funzionare su un certo tipo di situazioni e non altre. Occorre individuare l’obiettivo strategico dell’intervento, sapendo che adottare interventi di un tipo, con o senza quelli di un altro tipo, puo’ avere esiti diversi. <<I servizi e quindi gli operatori sociali devono essere sempre più consapevoli che, utilizzando risorse di tipo comunitario e nel contempo lavorando sulle specificità delle condizioni di vita dei singoli, si potrà contribuire a fargli ritrovare senso>>49. Occorre pensare cambiamenti nei modelli di intervento e nell’organizzazione dei servizi rivolti a fruitori che portano un bisogno nuovo: <<c’è un bisogno nuovo di sentirsi parte che va continuamente rinegoziato nelle sue radici fiduciarie di fronte all’individualismo emergente imposto dalle dinamiche globali>>50. Come già detto, per una nuova configurazione dell’area del bisogno si è passati nel corso degli anni 80-90 dalla nozione di povertà a quella di esclusione sociale. Le nuove politiche di inserimento sono rivolte non tanto a riparare le situazioni di svantaggio, quanto invece a promuovere il legame sociale. 48 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., pp.73 e ss. 49 Ivi, p.78. 50 C. Landuzzi, Un’esclusione globale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 87. 52 Le istituzioni specializzate sono organizzate sulla base della divisione fra dimensione del <<Bios (dal greco vita, pane, poi fame,il desiderio di pane e per estensione la vita) e del Socius>>51. Le prime, senza le seconde, riducono la persona a Bios; sono quelle preposte al mangiare, vestire, dormire. L’istituzione nutre la persona , la veste, le da’ da dormire , seleziona la clientela sulla base della volontà di reinserimento, al progetto. Ma la persona non puo’ essere ridotta a Bios unicamente, altrimenti morirebbe. Occorre dunque studiare altre istituzioni i cui approcci più innovativi oltrepassino questa divisione e lavorino anche sulla dimensione del Socius, cioè della relazionalità, e vadano a lavorare con il <<ventre>>52 delle persone senza dimora, cioè memoria culture, sentimenti ed emozioni. Poiché spesso una carica innovativa proviene dal settore non profit, che introduce pratiche più adeguate ai bisogni dei poveri, poiché l’intervento per le persone senza dimora avviene principalmente a livello di comunità nel quadro di un welfare mix, si ritiene che per superare gli effetti perversi della lotta alla povertà estrema occorra necessariamente la cooperazione/ divisione delle attività tra soggetti pubblici e privati . II. 3 Welfare locale: rete dei Servizi per le persone senza dimora nell’esperienza genovese II. 3. 1 Politiche d’intervento a favore delle povertà estreme a Genova e rete istituzionale53 L’organizzazione dell’intervento per le povertà estreme a livello locale genovese prevede il delinearsi di un modello di welfare misto dove collaborano il 51 J. F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., pp.103 e s. 52 Ivi, p.103. 53 La fonte principale da cui ho tratto le informazioni è: V. Gallo, Le politiche di intervento a favore delle povertà estreme, materiale di supporto al Corso di Politica Sociale, A.A. 2004-2005. 53 settore pubblico e il terzo settore ( Associazionismo, Cooperazione sociale, Volontariato) secondo l’impostazione di una politica di rete. L’aspetto positivo che connota i rapporti fra pubblico e terzo settore è la creazione di servizi più agili e flessibili, coerentemente alla realizzazione del sistema di integrato di interventi e servizi sociali previsto dalla Legge quadro 328/2000. La rete istituzionale cittadina , attorno alla persona senza dimora, comprende innanzitutto soggetti facenti parte del settore pubblico. Primo fra essi è il Comune di Genova, con funzioni di regia, controllo e coordinamento dei servizi. L’Ente locale opera attraverso diverse strutture : - Distretti Sociali - U.O. Cittadini senza territorio (Direzione Servizi alla persona) - Ufficio Coordinamento Inserimenti Lavorativi - Anagrafe La A.S.L. 3 Genovese struttura l’intervento grazie al lavoro di - C.S.M - Ser.T - Ospedali Anche a Genova, come nella maggior parte delle città italiane, il ruolo svolto dal Privato Sociale ha un’importanza fondamentale. Peraltro il privato sociale genovese vanta una competenza riconosciuta a livello europeo, testimoniata da alcuni progetti specifici legati a ricerche transnazionali (Progetto <<Testa & piedi>>54 e <<Il sogno di Vladimir>>55 realizzati nell’ambito del programma sostenuto dalla Commissione Europea D. G.: Occupazione e Affari sociali). Le tre maggiori agenzie che si occupano di persone senza dimora e partecipano ad un tavolo tecnico e politico con l’Ente locale sono: 54 Ass. San Marcellino, Fundation S.M. de Porres, Ass. Emmaus de Forback, Testa e piedi, Unione Europea, 2001. 55 Ass. San Marcellino, Fundation S.M. de Porres, Ass. Emmaus de Forback, Il sogno di Vladimir, Unione Europea, 2002. 54 - l’ Associazione San Marcellino - l’ Associazione Massoero 2000 - e la Fondazione Auxilium- Centro d’ascolto Monastero, della Caritas Diocesana. Vi sono inoltre numerose altre realtà legate al mondo del volontariato e della chiesa (Centri d’ascolto vicariali della Caritas Diocesana ). Associazioni e Fondazioni sono risorse rilevanti per riuscire a costruire un rapporto basato su legami di reciprocità e per la costruzione di un valore fondamentale come la comunità. Il Comune riconosce queste realtà e sostiene talora con contributi economici specifici servizi da loro offerti. Si sta sviluppando una modalità di lavoro integrato tra pubblico e privato nel quale il ruolo del Comune è quello di controllo e coordinamento. Negli ultimi anni si sono sviluppate trasformazioni, che di seguito sintetizzo. Nel 1994 si costituisce un gruppo di coordinamento per i senza dimora , formato da Privato Sociale, operatori dei Servizi Sociali Comunali, operatori dei SerT e dei C.S.M. Nel 1999 si avvia il processo di trasformazione legato alla necessità di sviluppare un coordinamento tra i vari servizi che si occupano di persone senza dimora. Il progetto viene riformulato all’interno della Conferenza Strategica del maggio 1999, nella quale Genova aderisce al movimento delle Città educative e definisce al suo interno un patto per la Città Solidale ed Educativa, chiamato “Patto per la costruzione di una Conferenza Permanente per le persone senza dimora”. Tale patto viene concertato tra forze diverse quali Amministrazione Comunale di Genova, esercizi sanitari della ASL 3, varie associazioni e gruppi di volontariato. Viene ribadita l’importanza della “risorsa cittadino” per costruire un’identità collettiva ed educare l’individuo al rispetto e alla valorizzazione degli altri, progettando un miglioramento della qualità della vita di tutti. 55 Tra i nodi problematici viene presa in considerazione l’esigenza di dare maggiori opportunità a tutti i cittadini e garanzie ai più deboli e uno spazio specifico è riservato alle persone senza dimora. All’interno di questo percorso viene avviato il processo di ridimensionamento dell’Asilo Notturno Massoero (la struttura, che un tempo poteva ospitare 120 persone, oggi permette l’alloggiamento di 20, e 30 durante i periodi di emergenza). Nel 2000 il Consiglio dei Ministri eroga un provvedimento conosciuto come Fondo per l’emergenza freddo. La deliberazione del Comune C.C. n. 124 del 23/10/ 2000 è un provvedimento quadro, di indirizzo e traccia gli indirizzi generali sul sistema di servizi e interventi per le persone senza dimora , prendendo atto delle trasformazioni in corso che vedono il Comune recedere progressivamente da una linea di politica massoerocentrica ad una di concertazione con le agenzie esterne. Essa sancisce il passaggio definitivo da un’impostazione delle politiche sociali di tipo “massoerocentrica” ( dal nome dell’asilo notturno comunale Massoero, struttura di pernottamento dell’Ente locale) ad una politica di rete nella quale l’Amministrazione Comunale esercita una funzione di regia e di mediazione in linea integrativa con i dettami della Legge quadro sull’assistenza. Il sistema presuppone un progetto di reinserimento sociale, lavorativo, abitativo e relazionale per la persona senza dimora, con la finalità di favorire percorsi di inclusione sociale e garantire una pluralità di accessi ai cittadini. È importante sottolineare che la delibera individua all’interno dell’Amministrazione Comunale la costituzione di una Unità Operativa Cittadini senza territorio, che oltre a nomadi e stranieri, si occupa anche di persone senza dimora. Essa svolge funzioni di segretariato sociale, trattamento casi, gestione della rete, accompagnamento e sostegno della persona fino al percorso di inclusione sociale. Le funzioni dell’Amministrazione Comunale sono quindi coordinamento, monitoraggio, verifica, controllo osservatorio e rilevazione del fenomeno, oltre a quelle già identificate tra le funzioni dell’unità operativa. 56 Finalità del sistema sono: -miglioramento della vita personale e collettiva -riduzione del danno -garanzia di una pluralità di accessi, accoglienza e metodologie d’intervento. Le finalità rispetto alla rete sono: -coordinamento della rete -progettazione concertata -osservatorio e rilevazione del fenomeno -referenza istituzionale. Percorsi in atto sono: - Supervisione e Valutazione del Progetto STIEGA (Sistema Territoriale degli interventi per l’emarginazione adulta), un percorso di supervisione complessiva, condotto dalla FIOpsd, di cui anche il Comune fa parte. La Federazione Italiana Organismi per le Persone senza dimora si è costituita legalmente nel 1990; raggruppa e rappresenta organismi che a livello locale erogano servizi per le persone senza dimora e ha fra i suoi obiettivi promuovere il coordinamento tra le realtà pubbliche e private che operano nel settore. -Tavolo di concertazione politico. La delibera dell’aprile 2004 “ Prime linee guida per una politica a favore della grave emarginazione adulta” fatta di concerto da Privato Sociale e Direzione dei Servizi alla persona-Servizi Sociali Cittadini, approva un documento programmatico, scritto e firmato dalle diverse organizzazioni, dal quale si legge che gli elementi fondanti sono: -centralità della persona (combattere cronicità e garantire sopravvivenza) -approccio multidimensionale al bisogno -progetto con la persona -prevenzione -coesione sociale. Gli elementi per la definizione della programmazione sono favorire il diritto a 57 -salute -alloggiamento -accesso -lavoro. Dunque, diversi soggetti, sia pubblici che privati, collaborano per sostenere la persona nel soddisfacimento di bisogni primari e nel percorso di reinserimento sociale. Attorno alla persona puo’ essere formulato un progetto, più o meno definito, che prevede la presa in carico da parte di un Servizio e l’intervento più o meno consistente degli altri attori della rete. La collaborazione si sostanzia in un coordinamento delle risorse, nell’invio e nella segnalazione di un ente da parte di un altro. La rete degli enti che si occupano di persone senza dimora si realizza attraverso alcune riunioni. Ogni 15 giorni si tiene un Coordinamento, un Tavolo “tecnico” cui partecipano: -il Distretto Sociale Centro Est -l’Ufficio Cittadini senza territorio -il Privato Sociale, che consta di Associazione San Marcellino, Associazione Massoero 2000, Fondazione Auxilium. Essi discutono sui casi comuni e su quelli che non hanno un progetto ben definito. La finalità è quella di evitare interventi doppi e di coniugare le risorse, stabilendo chi deve intervenire e quali interventi deve prestare. La rete si riunisce in un Tavolo “operativo”, cui partecipano i responsabili delle strutture suddette, e in un Tavolo “politico” che intende stimolare il dibattito politico e affrontare le questioni di pregnante interesse. Vi è ancora un Tavolo di monitoraggio dell’intero sistema e infine un gruppo di riflessione, guidato dal C.S.M. di Via Peschiera, che si riunisce ogni trimestre. La rete attorno alla persona non comprende solo le Agenzie che si occupano di persone senza dimora, ma coinvolge molti altri soggetti. 58 II. 3. 2 Il Centro di Salute Mentale come punto nevralgico della rete e tutela della salute mentale della persona senza dimora All’interno della rete territoriale attorno alla persona senza dimora si distingue un Servizio preposto alla tutela della salute mentale del cittadino. Il C.S.M. è una delle strutture territoriali del Dipartimento di Salute Mentale della A.S.L. 3 Genovese. All’interno della rete dei Servizi attorno alla persona senza dimora esso si distingue per essere un Servizio specialistico, a cui possono accedere le persone che presentano disturbi psichiatrici, ed un servizio territoriale, cioè ubicato sul territorio di uno specifico Distretto Sanitario e comprendente l’utenza facente capo a tale Distretto, cioè residente sullo stesso territorio. Il D.S.M. puo’ intervenire a livello riabilitativo laddove la persona senza dimora riporti disturbi psichiatrici medio- gravi. Altrimenti puo’ intervenire a livello preventivo su situazioni di grave deprivazione economica e neuro-cognitiva per evitare che le stesse generino fenomeni di “senza dimora” ( ad esempio attraverso politiche aziendali rivolte a prevenire gli sfratti). Il D.P.R. 10-11-1999, Approvazione del Progetto-Obiettivo “Tutela della Salute Mentale” 1998-2000, atto specifico di indirizzo, previsto dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 per supportare le linee d’azione relative ad una delle “tematiche ad alta complessità”, la salute mentale, nella parte relativa agli obiettivi e interventi, indica al punto c) come obiettivo di salute: la “prevenzione terziaria ovvero riduzione delle conseguenze disabilitanti attraverso la ricostruzione del tessuto affettivo, relazionale e sociale delle persone affette da disturbi mentali, tramite interventi volti all’attivazione delle risorse (quantunque residuali) degli individui e del contesto di appartenenza”. Tra gli interventi prioritari emerge: “ Nella progettazione delle attività atte a contrastare la diffusione dei disturbi mentali, i servizi di salute mentale, pur senza trascurare la domanda portatrice di disturbi medio-lievi, devono dare, nell’arco del triennio, priorità ad interventi di prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi mentali gravi, da cui possono derivare disabilità tali da compromettere 59 l’autonomia e l’esercizio dei diritti di cittadinanza, con alto rischio di cronicizzazione e di emarginazione sociale. A questo fine occorre : assicurare la presa in carico e la risposta ai bisogni di tutte le persone malate o comunque portatrici di una domanda di intervento.” Per dare reale efficacia agli interventi a in favore delle persone con disturbi mentali gravi, è necessario predisporre un quadro programmatico e organizzativo che punti alla coordinazione strategica di tutti i soggetti coinvolti.( Le politiche e programmi di salute) Si tratta, da un lato di ottimizzare l’organizzazione e la coordinazione dei servizi formali e informali deputati alla tutela della salute mentale; dall’altro di definire strategie innovative che abbiano le caratteristiche di una sorta di “patto per la salute mentale” stipulato tra molteplici attori (sanitari e sociali, pubblici e privati, enti locali, forme della cittadinanza attiva, risorse del territorio), e volto alla valorizzazione delle risorse umane, materiali, territoriali. Il Centro di salute mentale è la sede organizzativa dell’équipe degli operatori e la sede del coordinamento degli interventi di prevenzione cura e riabilitazione e reinserimento sociale, nel territorio di competenza, tramite anche l’attività funzionale con le attività dei distretti. In particolare il CSM svolge attività di accoglienza, analisi della domanda e attività diagnostica; definizione e attuazione di programmi terapeuticoriabilitativi e socio-riabilitativi personalizzati, con le modalità proprie dell’approccio integrato, tramite interventi ambulatoriali, domiciliari, di “rete”, ed eventualmente anche residenziali, nella strategia della continuità terapeutica (…). Il Piano socio-sanitario Regionale 2003/2005 pone tra le azioni funzionali agli obiettivi di salute mentale Promuovere prevenzione terziaria , ovvero ridurre le conseguenze disabilitanti delle patologie più gravi, attraverso il recupero relazionale, sociale e il miglioramento della qualità di vita dei sofferenti psichici e del nucleo familiare di appartenenza. 60 Salute mentale della persona senza dimora, aggancio al territorio e accesso alla rete Emerge la difficoltosa visibilità delle persone senza dimora nei classici luoghi deputati alla cura . Le istituzioni da esse stesse preferite sono gli ospedali, ma raramente in essi la persona senza dimora puo’ trovare accoglienza e inoltre il SSN in Italia non è accessibile a quelle persone per cui è difficile andare dal medico di base, quando lo hanno, fare la richiesta, pagare il ticket, prendere un appuntamento, aspettare la dita e presentarsi. In molte persone senza dimora l’affievolirsi della tensione alla ricerca di una casa di un lavoro della sicurezza si accompagna alla caduta di significato anche del bisogno /valore della salute. I veri “barboni” si curano da soli nel senso che accettano e sopportano il loro star-male come un compagno di vita. La salute e l’accesso a servizi pubblici preposti alla tutela della salute, come il CSM, puo’ diventare allora un pretesto di aggancio ai servizi territoriali e di segnalazione alla rete dei servizi per la persona senza dimora. Persone che tendono a fuggire rapporti continuativi, non si prendono cura di sé in modo autentico, quando cominciano a farlo si possono considerare “agganciati” , cioè possiamo dire che sono entrati in una rete di rapporti interpersonali e comunitari, in una primary social network che restituisce un senso, valore alla salute. La rete, nel perseguire l’inclusione sociale della persona, favorisce innanzitutto l’aggancio delle stesse ai servizi territoriali, come base per lavorare con esse in un progetto di sostegno sul territorio, fino ad arrivare in alcuni casi ad interventi di domiciliarità e sostegno all’abitare. 61 III. SALUTE MENTALE DELLE PERSONE SENZA DIMORA E IPOTESI DI INTERVENTO INTEGRATO FRA DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE E SERVIZI PER SENZA DIMORA NELLA RETE GENOVESE Occorre riflettere sulla posizione degli operatori della psichiatria di fronte ai temi del disagio sociale. La condizione dei senza dimora, come fenomeno di marginalità ed esclusione, è intrecciata ad altre forme di disagio, comprese, in primis, quelle relative alla compromissione della salute mentale. La posizione da assumere nei confronti di una realtà così complessa è <<irriducibile tanto allo specifico sociale, quanto allo specifico psicologico>>1. III.1 Persone senza dimora e problemi psichiatrici Innanzitutto va sfatato il luogo comune che afferma che le persone vivono per strada prevalentemente per problemi psichiatrici. Probabilmente puo’ pronunciarlo chi si ritiene escluso dalla possibilità di cadere in tale processo di impoverimento, rispondente ad un <<bisogno di rassicurazione da parte delle persone cosiddette normali, che in tal modo, tentano di esorcizzare un disagio che li spaventa>>2. Studi epidemiologici e clinici hanno evidenziato ormai da tempo che le persone senza dimora non si trovano in tale condizione né per una libera scelta individuale, dettata dal rifiuto delle costrizioni della società, né per loro particolari caratteristiche psicopatologiche. 1 B. D’Avanzo , La psichiatria di fronte agli homeless. Approcci, problemi e linee interpretative nella letteratura scientifica, in Lettera- Percorsi bibliografici in psichiatria, Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano, XXV- Aprile 1999,pp. 1 e s. 2 F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 102. 62 Attualmente si ritiene che un percorso a spirale discendente, attraverso la successiva rottura dei punti familiari e sociali, porti al progressivo isolamento e ritiro, fino al punto di rinunciare a chiedere attivamente qualsiasi forma d’aiuto. L’eventuale presenza nel soggetto senza dimora di una patologia psichiatrica puo’ essere sia un fattore causale sia una conseguenza della vita senza dimora. I vari autori sottolineano inoltre la difficoltà a censire le persone senza dimora e ad avere una visione sufficientemente articolata e differenziata del fenomeno del senza dimora con problemi psichici. L’analisi del fenomeno presenta alcune problematiche preliminari. Innanzitutto si incontra una prima difficoltà di ordine epidemiologico , nella definizione, campionatura e diagnosi della problematica di cui la persona soffre. Quanto alla campionatura dell’andamento delle malattie, si evidenzia il problema che generalmente le persone senza dimora non si rivolgono al servizio sanitario locale; pertanto si devono interrogare i servizi di prima accoglienza, cui esse si rivolgono, per avere un quadro attendibile delle patologie che le colpiscono. Quanto alla diagnosi, <<i problemi di rilevazione dei disturbi psichiatrici riguardano sia la difficoltà di formulare delle diagnosi psichiatriche affidabili sia l’impossibilità a capire se il disagio psichico eventualmente rilevato è una malattia psichiatrica o una reazione di adattamento ad una condizione di vita altamente stressante>>3. Per avere una diagnosi attendibile è necessaria un’osservazione prolungata della persona. Nel caso di persona senza dimora affetto da disturbi psichiatrici questo è piuttosto difficile, perché generalmente è un revolving door, cioè una persona che entra ed esce rapidamente dai reparti psichiatrici. In altri casi le persone affermano di avere avuto già tre o quattro diagnosi psichiatriche,mentre durante i colloqui non manifestano alcun sintomo psichiatrico evidente. 3 G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della letteratura e alcune indicazioni operative, in <<Rivista sperimentale di Freniatria>>, CXX- 6, 1996, p.1202. 63 In altri casi ancora, le persone hanno alcuni disturbi seppur non sufficienti per delineare una diagnosi predefinita. Altra difficoltà è la determinazione della causa del disturbo psichiatrico della persona senza dimora, che ci consente di formulare la domanda che interroga molti di coloro che si occupano di persone senza dimora: il disturbo è la causa o l’effetto della sua situazione di “senza dimora”? Una delle difficoltà maggiori evidenziate dalla Dott.ssa Franca Pezzoni, nell’esporre la sua esperienza di lavoro di psichiatra nel C.S.M. di Genova della zona Centro, è che <<nelle persone senza dimora i bisogni primari sono talmente preponderanti da soffocare tutto il resto; cioè hanno tali problemi immediati di vitto, alloggio e malattie fisiche , che la loro patologia psichiatrica vera e propria si manifesta solo dopo alcuni mesi di frequentazione del Servizio>>4. Nella letteratura specializzata si parla di una sindrome da shelterization5, facendo riferimento alla sindrome da shelter, cioè da dormitorio pubblico. E’ una sindrome che assomiglia a quella della persona che è stata a lungo in un ospedale psichiatrico; provoca in lei passività, perdita totale dell’iniziativa, dipendenza e delega totale all’ambiente, isolamento, assunzione di ruoli negativi, regressione e bassa autostima. La persona, fissata in una simile condizione, perde qualsiasi riferimento progettuale per la sua vita. Tutta una serie di traumi e rinunce hanno condotto la persona a non riuscire a percepirsi in una condizione diversa da quella in cui si trova e nemmeno a desiderarla. E progressivamente essa giunge ad una perdita della identità e della progettualità. In conclusione, quindi, nella maggioranza dei casi, è difficile distinguere nelle persone senza dimora tra disturbi psichiatrici preesistenti e sintomi dovuti al tipo di vita che esse 6 conducono . 4 F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 103. 5 J. Grunberg, P. F. Eagle , Shelterization: how the Homeless adapt to shelter living, in <<Hospital & Community Psychiatry>> 41, 521-5, 1990. 6 F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., pp. 103 e s. 64 III.1.1 Il disturbo psichiatrico tra i fattori di rischio e tra le cause dell’aumento del fenomeno senza dimora Problematica comunque aperta è quale peso abbia il disturbo psichiatrico nel fenomeno della vaganza. Allo stato attuale degli studi e delle rilevazioni non è possibile trarre conclusioni definitive circa i fattori causali del fenomeno e molti degli interrogativi restano irrisolti. È opportuno tuttavia far notare che gli studi in merito hanno cambiato il loro orientamento. Fino ad alcuni decenni fa l’attenzione era posta quasi esclusivamente sulle variabili individuali e si riteneva che all’origine del vagabondaggio fossero <<scelte ed atteggiamenti devianti: rifiuto del lavoro e delle responsabilità, trasgressione delle regole e delle norme sociali. Attualmente trova maggior consenso un modello esplicativo multifattoriale, nel quale la presenza di situazioni sfavorevoli esterne al singolo individuo da un lato ed eventi di vita soggettivamente negativi o stressanti dall’altro aumenta il rischio che una persona ha di iniziare una vita senza dimora>>7. Il sociologo Berzano8 parla di percorsi di esclusione dove una rete di eventi critici si intreccia, potenziando così gli effetti di destrutturazione biografica, con le capacità personali di ciascun individuo: pertanto ci sono soggetti che , pur dinnanzi ad eventi traumatici, restano ancora reattivi e tali da elaborare diversi livelli di equilibrio esistenziale, seppur per esigenze minime di vita; altri soggetti invece vivono la deprivazione in modo passivo e ciò aggrava la deprivazione stessa in un processo cumulativo che si radicalizza ed autoproduce, rendendo sempre più deboli le capacità del soggetto di progettarsi nel tempo. Un problema specifico riguarda quale rapporto vi sia tra i processi di deistituzionalizzazione e vaganza di persone affette da disturbi psichiatrici gravi. 7 G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della letteratura e alcune indicazioni operative, cit., p.1204. 8 L. Berzano, Introduzione agli atti del Convegno Senza tetto né legge, a cura di M. Pellegrino, V. Verzieri , Edizioni Gruppo Abele, Bologna , 1990. 65 La de-istituzionalizzazione fu sostenuta dall’idea che pazienti psichiatrici cronici e gravi, sofferenti di malattie serie come la schizofrenia o le psicosi maniaco-depressive, potessero essere trattati ugualmente bene in programmi comunitari piuttosto che nelle istituzioni. Per alcuni le dimissioni dagli ospedali psichiatrici, conseguenti al processo di de-istituzionalizzazione, avviato in Italia con la Legge cosiddetta Basaglia9, sono state l’inizio inevitabile di una carriera senza dimora, in quanto la deistituzionalizzazione sarebbe stata condotta originariamente <<senza una pianificazione seria , trasferendo in comunità non adeguatamente preparate migliaia di ammalati provenienti dagli ospedali psichiatrici>>10. III. 2 Il C.S.M. di fronte alla multidimensionalità del disagio della persona senza dimora La caratteristica del Centro di Salute Mentale, che lo distingue dalle strutture preposte ad erogare servizi specificamente alle persone senza dimora, è che esso si rivolge invece, in un determinato bacino territoriale, alla pluralità dei cittadini, che presentino problemi psichiatrici. L’utenza senza dimora non rappresenta pertanto la totalità degli utenti afferenti al C.S.M., ma costituisce una cospicua presenza, specie nei Centri di Salute Mentale ubicati in zone limitrofe al centro cittadino, dove si concentra il fenomeno “senza dimora”. Il CSM di Via Peschiera, al quale afferisce la popolazione del Centro storico di Genova e pertanto di tutti coloro che trovano un rifugio più tollerante e anonimo nel suo territorio e ricevono l’accoglienza di diverse strutture assistenziali (dormitori, mense..) e di diversi enti di volontariato, nonché di due stazioni ferroviarie e locali vuoti e abbandonati , registra l’accesso, sul totale dell’utenza del Servizio, del 5% di utenza senza dimora.11 9 Legge 13 maggio 1978, n. 180 “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. 10 G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della letteratura e alcune indicazioni operative, cit., p. 1205. 11 Campione rilevato nel 1999. L. Ferrannini, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora: interventi psichiatrici e di salute mentale, Dipartimento Salute Mentale A.S.L. 3 Genovese, 30/09/1999. 66 Da tale situazione nasce l’esigenza da parte del C.S.M. di studiare ipotesi di intervento relative all’utenza senza dimora, che, talora più dell’utenza ordinaria con problemi psichiatrici, provoca angoscia all’operatore, e di trovare canali comunicativi forti con le agenzie che si occupano prevalentemente e specificamente di persone senza dimora e possono mettere a disposizione un’esperienza e una competenza professionali consolidate. Spesso prima d’ora gli interventi concreti sulle povertà estreme nei nostri welfare system sono stati individualistici, hanno considerato cioè solo l’individuo sia come bersaglio sia come risorsa, mentre i modelli di intervento erano standard, giocandosi nel rapporto soggetto-individuo. Il nuovo welfare mix permette ai soggetti in condizione di esclusione di sperimentare un possibile percorso di inclusione con modalità differenziate e comunque considerando gli altri, vicini, lontani, generalizzati e/o significativi come bersaglio o come risorsa. Il fenomeno del senza dimora è molto complesso e non puo’ essere né chiarito né tanto meno risolto con strumenti di tipo esclusivamente psichiatrico. << I diversi approcci alla malattia risultano validi ed efficaci purché inseriti in un piano d’azione orientato a fornire un aiuto globale (…) che deve condurre gli operatori ad evitare analisi di semplice causa/effetto orientandosi viceversa verso un’interpretazione della storia della persona e della sua evoluzione psichica>>12. Alcuni autori sostengono che i limiti e i rischi di una psichiatria, che continua ad operare nell’ambito delle persone senza dimora (con disturbi psichici) esclusivamente secondo il modello medico della malattia e della sua cura e vede i disturbi psichici esclusivamente come il segno di una malattia organica presente all’interno dell’individuo, sono << da una parte la medicalizzazione di problemi che sono in gran parte di origine sociale ed economica, dall’altra l’abbandono e la deresponsabilizzazione>>13. 12 F. Battiston, L’assistenza ai malati psichiatrici, in <<Prospettive Sociali e Sanitarie>> , 3, 2003. 13 G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della letteratura e alcune indicazioni operative, cit., pp.1200 e s. 67 Essere senza dimora è una condizione, non una malattia o l’effetto di una patologia psichiatrica preesistente, non l’espressione di una particolare “natura” della persona che l’avrebbe indotta ad assumere questo tipo di vita. Le ipotesi più recenti parlano dell’incontro tra una vulnerabilità personale e ripetuti lifestressful events, dal quale risulta un adattamento per rinuncia ad una situazione di degrado dalla quale è sempre più difficile uscire. Sono gli operatori degli enti del privato sociale che si rivolgono al DSM, che si configura come servizio di secondo livello, quando valutano che la persona abbia disturbi psichiatrici gravi, tali da ostacolare il progetto di accoglienza e da richiedere cure specifiche. Le persone senza dimora presentano sempre comunque una multiproblematicità del disagio ed esprimono bisogni che possono essere soddisfatti solo da una gamma di Servizi a diversi livelli. La possibilità di individuare risposte efficaci per questa utenza richiede una collaborazione fra Servizi, con chiarezza di compiti e di confini di ciascuna delle componenti del sistema di offerta. In quest’ottica si possono ipotizzare Servizi a bassa soglia con prestazioni mirate e a termine, che soddisfino i bisogni di base, Servizi più selettivi con progetti di residenzialità più prolungata senza connotazione sanitaria, e Servizi rivolti a persone che, dopo l’accoglienza fornita da questa rete di risorse, hanno evidenziato problematiche sanitarie e psichiatriche particolarmente definite e gravi e che necessitano di interventi specifici ed assistenza continuativa. I rapporti fra i Servizi possono poi essere formalizzati e legittimati con protocolli d’intesa e operativi, per la formulazione e l’attuazione di progetti specifici basati su un’organizzazione di rete14. III.3 Progetto Senza Dimora del D.S.M. della A.S.L. 3 Genovese Su mandato del Comitato esecutivo del D.S.M. della A.S.L. 3 Genovese nel maggio 2000 è stato istituito un gruppo dipartimentale per la definizione di un progetto per le persone senza dimora con problemi psichici. Obiettivo del gruppo è stata la definizione di procedure ed interventi per questa particolare tipologia di utenza: criteri di attribuzione e di presa in a carico 14 L. Ferrannini, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora: interventi psichiatrici e di salute mentale, Dipartimento Salute Mentale A.S.L. 3 Genovese, 30/09/1999. 68 dei casi, competenza sulle urgenze, personale necessario per l’attuazione del progetto, rapporti con la rete dei servizi per senza dimora, rilevazione ed analisi del problema psichiatrico. Questo progetto è inserito nel più generale processo di ridefinizione dei servizi per i senza dimora, sollecitato dal Comune di Genova attraverso l’istituzione di un gruppo misto di lavoro che ha visto la partecipazione, oltre che del Comune stesso, della A.S.L. 3 Genovese (DSM, SerT, Medicina di base) e di tutte le associazioni del privato sociale e del volontariato che si occupano di tale problematica, e volto a decentrare le funzioni dei servizi e a contrastare il mantenimento del disagio in un unico territorio, anche attraverso un’opera di ridimensionamento dell’asilo Notturno Massoero. Il progetto del DSM è stato presentato e approvato nel consiglio direttivo della A.S.L. 3 del 21/03/01, il quale ha approvato il progetto e le procedure per la presa in carico e ha confermato il gruppo interzonale con compiti previsti dal progetto stesso; ha inoltre fornito indicazioni in merito all’opportunità di definire meglio i rapporti tra DSM e circuito delle persone senza dimora e di incontri di sensibilizzazione sul tema all’interno dello stesso DSM. Il progetto appuntato dal DSM genovese privilegia tematiche alternative, rispetto ai modelli d’intervento tipicamente psichiatrici, come il lavoro di affiancamento, la flessibilità, il potenziamento del lavoro di rete, quali risorse indispensabili per ricostruire i punti di riferimento identitari della persona senza dimora. Il progetto apre in premessa con alcune considerazioni culturali che configurano il problema senza dimora come <<realtà complessa, che si configura come l’esito finale di un processo di marginalità che, attraverso sradicamenti successivi, porta all’isolamento ed alla esclusione sociale>>. Il livello di esclusione, il disagio ed il bisogno puo’ essere molto differenziato, a seconda di come la persona sviluppa il proprio percorso di sofferenza e disagio. 69 Si aggiunge la difficoltà di riconoscere e definire con chiarezza eventuali e spesso presenti disturbi psichiatrici, sia per la difficile rilevazione della sintomatologia psichiatrica, , sia per la complessità delle situazioni e la carenza di riferimenti ambientali, sociali e familiari . Prescindendo dalla diagnosi psichiatrica spesso il DSM è chiamato in causa per problemi non collegati agli aspetti della sofferenza del Senza dimora e al suo bisogno, ma alla sofferenza del sociale che si sente invaso e limitato dal fenomeno dei senza dimora15. Fra i principali interlocutori dei CSM rispetto alle persone senza dimora, segnalanti, invianti od operanti nel settore, si trovano privati, condomini, negozi,ecc, Ospedali, Comune (Distretti sociali e U.O. Cittadini senza territorio), Servizi confinanti della A.S.L., come il SerT, Ass. S. Marcellino, Centro d’Ascolto Monastero, Centri d’ascolto Caritas, Comunità di S.Egidio, Massoero 2000. Viene riconfermata la necessità che l’intervento finalizzato all’inclusione sociale dei senza dimora coinvolga, in un sistema di rete, tutte le strutture del pubblico e del privato interessate al problema, specie il Comune, ente cui compete l’intervento socio-assistenziale per rispondere ai bisogni primari della persona senza dimora, con o senza problemi psichici, come per tutte le persone in stato di necessità economica; e, all’interno della Sanità, anche i servizi confinanti con il DSM . Infatti il problema dei SD coinvolge tutta la comunità sociale e non solo un settore specialistico. III.3.1 Primo accesso Si sottolinea come sia quasi del tutto assente l’afflusso spontaneo della persona al servizio; dunque i principali canali di accesso sono: 1) invio o accompagnamento da parte di altri enti o servizi che sono già intervenuti: Distretti sociali del Comune, altri servizi o istituzioni, Privato sociale, Volontariato (Centri d’ascolto) 15 Documento conclusivo del Progetto Senza Dimora prodotto dal gruppo dipartimentale Senza Dimora, DSM, A.S.L. 3 (21/11/2000). 70 2) richieste di intervento identificabili come azioni di controllo sociale riferite al disagio causato dalla presenza o dai comportamenti dei senza dimora. Le segnalazioni pervenute riguardano situazioni anche molto diverse. In alcuni casi si tratta di comportamenti in qualche modo “disturbanti” messi in atto da persone che stazionano nei giardini pubblici e che non avanzano richieste di sorta, in altri casi l’intervento è invece concordato con le associazioni, per utenti già seguiti con altre forme di assistenza e per i quali è necessaria una terapia psichiatrica specifica. Ci troviamo pertanto di fronte a persone che si trovano in vari stadi del loro percorso: alcune sembrano pervenute a un livello più “grave” di perdita dell’iniziativa e della capacità di formulare progetti e richieste , altre sono ancora in grado di rivolgersi in modo attivo ad enti che operano nel campo senza dimora. (…) Tale condizione di maggiore o minore passività si rispecchia nei dati numerici relativi alle segnalazioni: solo il 12% degli utenti si rivolge al Servizio in prima persona, l’88% è inviato o fisicamente accompagnato da operatori di servizi sia pubblici che privati (centri ascolto, SerT, servizi del Comune)16. In tale fase di primo accesso al CSM, si prevede una procedura di “filtro psichiatrico”, cioè l’attuazione di un colloquio filtro, che è momento di prima conoscenza e valutazione diagnostica del senza dimora, sia rispetto alla patologia, sia rispetto alla situazione sociale . Esso avviene secondo la prassi operativa di ogni singolo servizio. Passaggio successivo è la statuizione della presa in carico o il rinvio del soggetto, in assenza di patologia psichiatrica, alle agenzie deputate. È opportuno approfondire l’aspetto della richiesta. Le persone senza dimora che arrivano al CSM appartengono a quel gruppo di utenti che è in grado, come già detto, di formulare qualche tipo di richiesta, perché già passati attraverso una situazione di accoglienza a bassa soglia, e successivamente aiutati a rivolgersi a noi (CSM). Coloro che riescono ad arrivare alle porte del Servizio, portando ed evidenziando in qualche modo un proprio bisogno, dimostrano di aver mantenuto o ripristinato una certa aggressività attiva che offre un aggancio per la relazione, e di saper mettere in atto una capacità di adattamento, seppur minima, che permette loro di accettare il rapporto istituzionale. Adattamento 71 che puo’ derivare dalla consapevolezza della necessità di allinearsi su un minimo di regole per ottenere qualche cosa, o dal lavoro di preparazione fatto dall’inviante, o da entrambe le cose. Dall’analisi delle domande portate al Servizio si è evidenziato che il 65% riguardava una richiesta di alloggio, il 21% richieste di denaro, il 14% richieste di assistenza generica. Di tutti solo il 10% esprimeva la necessità di un aiuto di tipo terapeutico. È chiaro che indigenza, abbandono, sofferenza psichica, disagio relazionale si intersecano in modo “confusionale” nel soggetto sd, il quale riesce ad esprimere , nel mare del disagio globale, solo la punta dell’iceberg rappresentata dal bisogno impellente. Il primo contatto attivo acquista significato nel momento in cui il Servizio si rende capace di creare una alleanza con la persona, attraverso operatori capaci di un ascolto paziente ed empatico, finalizzato a condividere un cammino verso l’identificazione del bisogno di cura psichiatrica, e l’accettazione dell’intervento terapeutico- riabilitativo17. L’accesso si costituisce dunque come delicato momento di confine tra bisogno individuale ed offerta possibile. Ai servizi con bassa soglia di accesso, i cui vincoli per l’accesso sono minimi e la totalità dei servizi è gratuita, puo’ arrivare un’utenza più diffusa, ma anche più debole, con poche risorse e poche capacità di auto-gestione. I servizi pubblici in genere non possono considerarsi a bassa soglia di accesso. Presentano infatti barriere di carattere strutturale. Per poter arginare od evitare questi rischi è necessario introdurre nell’accesso a bassa soglia una composizione di relazione all’interno della quale il senza dimora ottenga un riconoscimento di dignità e di competenze. Offrire e progettare quindi un percorso che partendo dalla prestazione immediata, si pone obiettivi a breve termine e valutazione frequente del cammino intrapreso, percorso negoziato, concordato e condiviso con la persona senza dimora18. III.3.2 Presa in carico Il trattamento offerto al senza dimora puo’ prevedere tutte le prestazioni attivabili dal servizio stesso (trattamento 16 psichiatrico: farmacologico, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora e salute mentale: un approccio integrato fra DSM e servizi per senza dimora, Dipartimento Salute Mentale A.S.L. 3 Genovese. 17 Ibidem. 18 L. Ferrannini, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora: interventi psichiatrici e di salute mentale, cit. 72 psicoterapeutico) attraverso l’accesso a tutte le risorse con le modalità e prassi in atto per tutti i pazienti. In particolare viene ravvisata l’importanza di articolare interventi diversificati e a tal fine di definire una mini-équipe multiprofessionale di riferimento alla persona in carico (come per i casi complessi). Inoltre si sottolinea la necessità di stabilire un progetto congiunto con l’inviante e altri servizi di competenza confinante, indicando nella metodologia del lavoro di rete la più adatta a tali situazioni. Le problematiche emerse nell’individuare una procedura di presa in carico pongono al primo posto in complessità quella della residenza anagrafica. Infatti le persone senza dimora che accedono ai C.S.M. sono generalmente in possesso di residenza anagrafica, perché giunte al CSM su invio di un servizio a bassa soglia , che già si è fatto carico di verificare la residenza e superare tale problema amministrativo, cioè, in mancanza di essa, di procedere con l’attribuzione di una residenza fittizia. Si considera residenza amministrativa l’iscrizione anagrafica di una persona, in genere senza dimora, presso Strutture che , su accordo con il ComuneAnagrafe e in genere su richiesta di Servizi Sociali, si rendono disponibili per dare alle persone la possibilità di acquisire titolo alle prestazioni socio-assistenziali e previdenziali cui non potrebbero accedere senza residenza anagrafica. Una persona non residente puo’ risultare anagraficamente: -irreperibile, se non ha residenza attuale, ma esiste una residenza storica documentabile -negativo, se non ha mai avuto alcuna iscrizione in quel Comune, né presente né storica -emigrato, se ha una residenza storica, ma si è trasferito ad altro Comune. Residenze amministrative possono essere concesse da : 1 Comune- V. Ilva 3 UNI 2 Monastero- Sal. Nuova Nostra Signora del Monte 3 San Marcellino- Piazza San Marcellino, 1 4 C.I.R.S- Sal. S. Girolamo 5 Istituti (convivenze) 73 6 Alberghi. Le richieste di concessione di tali residenze possono provenire dai servizi pubblici, le strutture stesse per i propri utenti, Massoero, gli utenti stessi; infine come prassi regolare per gli inserimenti nelle convivenze. Tali residenze hanno però solo finalità assistenziali (far acquisire alla persona il diritto di cittadinanza), senza alcun reale riferimento territoriale. Pertanto si presentano alcuni problemi circa i criteri di definizione della presa in carico: -per i C.S.M. e gli S.P.D.C. : si concentrano i casi in quei territori in cui vengono concesse il maggior numero di residenze. Risulta un sovraccarico di casi per i servizi ubicati nei territori in cui si trovano le agenzie o enti che concedono residenze amministrative(centro storico, San Fruttuoso) -per il Sociale: i Distretti sociali di riferimento alla residenza anagrafica mostrano alcune rigidità ad accettare la stessa, ne conseguente la difficoltà alla collaborazione e all’intervento integrato. Pertanto sono stati disposti criteri di definizione della competenza territoriale: si deve ricorrere alla residenza storica della persona per l’assegnazione del caso al CSM competente, anche per quanto riguarda le residenze in alberghi. In assenza di questa o per soggetti provenienti da altri Comuni, si procede con un sistema di turnazione tra i vari servizi gestito dal Responsabile del Gruppo Multiprofessionale esperto. Se la residenza amministrativa è stata richiesta da un Servizio pubblico, fa fede l’accordo verbale, in vigore da tempo, per cui tale Servizio continua a seguire il proprio utente. Per le situazioni di urgenza sanitaria, invece, risponde il CSM nel cui territorio si verifica l’urgenza, secondo una logica di territorializzazione dell’intervento. Tra gli interventi praticati dal CSM figurano anche quelli di residenzialità, sui quali merita riflettere, in quanto sono rivolti ad aiutare la persona a perseguire una stabilità abitativa. Si prevedono interventi di residenzialità sociale. 74 La carenza di risorse induce ad utilizzare l’ospitalità presso strutture alberghiere , a volte in modo improprio. L’accesso ad assegnazioni di alloggio di edilizia popolare è difficilissimo e finora non è stato possibile coinvolgere il Comune in una progettualità tesa ad affrontare il problema abitativo in modo globale. Circa la residenzialità psichiatrica, non si ritiene opportuna la creazione di strutture residenziali ad hoc per senza dimora, mentre esistono quelle che rientrano, a seconda degli obiettivi per la persona, nelle offerte residenziali del DSM (CT, CAUP). Sono prevalentemente il sostegno intensivo sociale, il sostegno intensivo farmacologico e gli interventi socio-riabilitativi a poter contribuire al raggiungimento di una stabilità abitativa in persone senza dimora con problemi psichici, in un programma di assegnazione alloggio. Non sono funzionali invece la copertura economica globale, né la psicoterapia di gruppo. III.3.3 Quale presa in carico è possibile? Il ruolo della psichiatria nei nuovi scenari e programmi di assistenza per persone senza dimora è clinico, esperto di complessità, collaborante con amministratori pubblici per la programmazione di interventi, partecipante in azioni di protezione legale per s.d. (diritti di cittadinanza). Per la psichiatria dei senza dimora è vincente un programma di tipo territoriale . Il programma d’intervento per persone senza dimora risultato più efficace è il <<servizio a libero accesso con interventi individualizzati, cioè un servizio territoriale con libero accesso, che non attua alcun tipo di selezione all’utenza , i cui programmi di intervento sono flessibili, individualizzati a partire dai bisogni espressi dal singolo paziente e particolarmente attenti alle necessità primarie: alloggio, vestiario, alimentazione e salute. I trattamenti vanno dal colloquio 75 individuale alla riabilitazione finalizzata ad un aumento delle abilità quotidiane19>>. Il Progetto SD definisce un Protocollo terapeutico20: 1) accesso al CSM facilitato, possibilmente “accompagnato” dal segnalante 2)valutazione diagnostica -clinica (psichiatra/psicologo) -sociale (assistente sociale) 3)presa in carico da mini èquipe multiprofessionale (psichiatra, infermiere,a.s.) 4)interventi terapeutici “interni”al servizio: -psico-farmacologici (somministrazione terapia) -ricostruzione delle storie di vita, mirate alla restituzione -previdenziali, socio-assistenziali (aiuto gestione denaro) -accesso alle risorse terapeutiche e riabilitative del Servizio (gruppi per border line, psicotici, alcolisti, ecc…, centro diurno, CAUP, CT) -ricerca e riavvicinamento alla rete familiare e sociale, con tempi e progetti sempre concordati con l’utente 5) interventi esterni al servizio: -servizio sanitario: identificazione e contatti con il medico di base; ospedali generali, P.S., SPDC per ricoveri programmati in risposta ai frequenti problemi di convalescenza e spese per farmaci e protesi varie -giudice tutelare- Tutore- Magistratura 6) lavoro di rete: attivazione , utilizzo, gestione della rete composta da Servizio inviante, altre risorse coinvolte, mini-équipe del CSM , specie attraverso incontri regolari e periodici per progettazione e piano intervento concordati, identificazione del “gestore” del caso, valutazione e verifica. III.3.5 Diagnosi psichiatriche relative alle persone senza dimora In un campione di riferimento circa gli utenti senza dimora afferenti al CSM, si rileva che il 50% sono affetti da psicosi, il 25% da depressione ed il restante 25% da disturbi di personalità21. 19 G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della letteratura e alcune indicazioni operative, cit., p.1209. 20 Protocollo terapeutico prodotto dal gruppo dipartimentale Senza Dimora, DSM, A.S.L. 3 (24/10/2002). 76 Nel caso delle donne, l’80% soffre di disturbi di natura psicotica. Se si riscontra questo dato con quelli di alcune ricerche condotte in altri paesi, si puo’ riscontrare una forte similitudine. Inoltre accanto a problemi di natura psichiatrica, generalmente in queste persone si riscontrano altre problematiche , per esempio l’alcolismo, che complicano ulteriormente la patologia di cui ciascuna di esse soffre. La percentuale relativa alle doppie diagnosi sono divise più o meno equamente, cioè schizofrenia e alcolismo, depressione e alcolismo, disturbo di personalità e alcolismo. In taluni casi poi si arriva alle triplici diagnosi, come deficit mentale-psicosi-alcolismo; oppure tossicodipendenza-psicosi-alcolismo. L’alcol diventa un fattore di cronicizzazione e di peggioramento da tutti i punti di vista , nel senso che , quando la persona non ha nessun altro obiettivo che arrivare a fine giornata, assumendo alcool, distoglie il suo sguardo dalla gravità del suo disagio22. La formulazione di una diagnosi consente un primo inquadramento e dal punto di vista istituzionale la possibilità di erogare prestazioni sia sanitarie che sociali. Emerge in ogni caso la necessità di un sostegno multiplo e di un costante accompagnamento nelle varie fasi dell’intervento, dal primo contatto a tutto il periodo della presa in carico. III.4 C.S.M. e lavoro di rete Per il C.S.M. non è possibile produrre in modo autonomo una <<risposta efficace alla pluralità dei bisogni della persona senza dimora>>23. È irrinunciabile un lavoro condotto in rete con le istituzioni e con altri enti o associazioni che operano nel campo; infatti un solo interlocutore per la persona non puo’ pretendere di attivare e supportare da solo il cambiamento della persona senza dimora. 21 Campione rilevato nel 1999 con censimento. L. Ferranini, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora: interventi psichiatrici e di salute mentale, cit. 22 F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p.106. 23 F. Pezzoni, G. Lucchini, Persone senza fissa dimora e malattia mentale. Bisogni e Servizi, in << La Via del Sale>>, cit., pp.75 e s. 77 Non puo’ un unico ente o servizio prendersi totalmente a carico una persona, occupandosi di tutti i suoi bisogni. Ciò puo’ essere discutibile specie se si tratta di pazienti border line , in quanto si rischierebbe di attivare in essi delle dinamiche conflittuali e di rottura della relazione. Pertanto, soprattutto con questo tipo di pazienti, è importante instaurare una relazione che non sia di forte dipendenza rispetto ad un’unica persona o rispetto ad un unico ente, per non attivare in essi dei comportamenti di aggressività o rifiuto. Nell’esperienza di collaborazione fra il C.S.M. di Via Peschiera e il Centro d’ascolto di San Marcellino si è constatato come sia più facile ottenere risultati positivi quando l’utente non si rapporta esclusivamente ad un solo ente , ma all’uno e all’altro, che gli permette di gestire e tollerare meglio la dipendenza24. Le risposte del CSM, in relazione alle richieste delle persone senza dimora, sono differenziate: di tipo assistenziale, oppure interventi terapeutici e socio-riabilitativi integrati, o nessuno, in caso di abbandono da parte dell’utente. In ogni caso la parola chiave è << risposta integrata >>. << I vari servizi che operano nel settore possono essere spinti da motivazioni diverse a seconda della propria mission: umanitarie, religiose, etiche, politico-istituzionali, e si confrontano quindi con il problema con angolatura di visioni ed approcci differenti. Esiste però un obiettivo primario condivisibile e di fatto condiviso: migliorare la qualità della vita della persona senza dimora>>25. Sulla spinta di questo obiettivo, << pare necessario lavorare nell’integrazione del lavoro tra chi si occupa di queste problematiche , cioè nella direzione della collaborazione e non della dispersione delle risorse e degli interventi>> perché << la possibilità di mettere in gioco il maggior numero di risorse possibili diventa l’unico strumento terapeutico possibile>>26. L’entrata in gioco, nella relazione d’aiuto, di più soggetti (utente, Servizio pubblico e privato) permette innanzitutto di trasformare la relazione da rapporto unidirezionale /assistenziale a situazione di scambio e reciprocità costruttiva. 24 F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., pp. 110 e s. 25 G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora e salute mentale: un approccio integrato fra DSM e servizi per senza dimora, cit. 78 Contemporaneamente il mantenimento, da parte di ogni Servizio, della propria specificità di approccio e risposta, permette una specie di autoselezione naturale in cui l’utente si rivolge al tipo di intervento e relazione più adatta a sé. Se la cultura della presa in carico globale offre una garanzia di riconoscimento della persona nella sua interezza e di conseguenza produce una risposta olistica, d’altro lato puo’ indurre nell’utente un rischio di dipendenza e accettazione passiva di aiuti. L’approccio ambulatoriale, all’opposto, quello di diagnosticare e curare, potrebbe magari anche guarire, ma lasciare intoccati gli altri aspetti del disagio e dell’emarginazione. Integrazione significa: -combinare queste due culture, attraverso la condivisione delle conoscenze e la collaborazione nell’attività, per ammortizzare gli aspetti di rischio e valorizzare al massimo gli aspetti positivi -ottimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili attraverso la creazione di una rete , non per “imbrigliare” la persona, ma sostenerla in modo intelligente. Questa scelta operativa è diventata una realtà quotidiana nel lavoro a favore delle persone senza dimora nella realtà genovese, che vede la collaborazione fra DSM , Comune- U.O. Cittadini senza territorio, Centri e Associazioni di volontariato quali San Marcellino, Monastero, Centri d’ascolto della Caritas. Non mancano difficoltà e timori: di intrusioni o scarico di responsabilità, che però sono superati dallo sforzo continuo di conoscenza reciproca, condivisione delle esperienze, progettazione integrata, ipotesi di protocolli operativi. Solo lavorare insieme garantisce risultati apprezzabili. Questo modello di intervento non vuole creare una risposta unica e unificata, anzi riconosce l’utilità e l’importanza di mantenere setting , funzioni e compiti separati e differenziati, in modo che la persona acquisisca e usi la capacità di decidere cosa portare, di e dove, possa scegliere un interlocutore privilegiato 26 F. Zanelli, Servizi per senza fissa dimora e malati psichiatrici, Convegno << Persone senza dimora e psichiatria>>, Brescia, 18 ottobre 1996. 79 senza il timore di perdere l’aiuto degli altri soggetti, impari a far fruttare insieme risorse diverse, sappia che in ogni Servizio c’è qualcuno che la conosce e riconosce. III. 5 Risorse della rete istituzionale genovese <<I problemi presentati dalle persone senza dimora sono tanto complessi da richiedere risposte complesse erogabili da sistemi complessi, che possono essere costituiti solo da reti di servizi altamente integrati e progettualmente collaboranti>>27. Propongo una classificazione dei servizi per le persone senza dimora presenti sul territorio genovese, finalizzata ad illustrare la politica di intervento integrata a livello locale, promossa dagli enti della rete formale e informale, pubblici e privati, da me elaborata e desunta dalle interviste, che ho condotto durante l’esperienza di Tirocinio Professionale. Le interviste sono state somministrate a operatori delle tre maggiori agenzie che si occupano di persone senza dimora nella rete dei servizi pubblici e del Privato Sociale. III.5.1 Interviste somministrate ad operatori di tre agenzie sul territorio genovese Per rilevare i dati di seguito riportati ho utilizzato lo strumento conoscitivo dell’intervista qualitativa di tipo semi-strutturato. Essa è uno strumento di rilevazione mediante interrogazione, << rivolta a soggetti scelti sulla base di un piano di rilevazione in un numero consistente avente finalità di tipo conoscitivo guidata dall’intervistatore sulla base di uno schema flessibile e non standardizzato di interrogazione>>28. 27 S. Borghetti, La salute mentale degli homeless: un percorso di psichiatria di strada, in << Prospettive Sociali e Sanitarie>>, XXXII- 17, 2002, p. 20. 28 P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 1999, p. 405. 80 Mi è sembrato interessante usare tale metodo per accedere, attraverso la voce di un operatore, alla descrizione di alcuni contesti organizzativi che sono interessanti per il mio studio sui servizi per le persone senza dimora, potendo accedere alla prospettiva del soggetto studiato e di cogliere le sue categorie mentali, percezioni, motivi delle sue azioni. Le interviste sono state da me condotte durante l’esperienza di Tirocinio Professionale (A.A. 2004-2005) svolta presso la A.S.L. 3 Genovese, nel C.S.M. della Zona 3, all’interno di un’attività , nel quadro del Progetto Senza Dimora del DSM, suggerita e pianificata insieme all’ assistente sociale Supervisore Cristina Lodi, finalizzata principalmente a conoscere i servizi per le persone senza dimora e rilevare una ricognizione delle risorse esistenti sul territorio genovese. I soggetti intervistati sono operatori che nelle strutture di riferimento si occupano prevalentemente di persone senza dimora e sono ordinari interlocutori del C.S.M. in merito alla comunicazione e gestione di alcune prese in carico in comune, e sono: -un educatore, presso Centro d’ascolto dell’Associazione San Marcellino -un’ assistente sociale presso l’Unità Operativa Cittadini senza territorioComune di Genova. -un operatore presso Centro d’ascolto Monastero- Fondazione Auxilium, Caritas Diocesana. Le interviste sono state condotte nel marzo 2005. L’interrogazione da me formulata consta di otto domande aperte: 1) Quali finalità persegue il Servizio (cultura , valori) ? 2) Qual’ è l’atteggiamento degli operatori nei confronti dell’utenza? Come sono impostati i rapporti? 3) Quali interventi opera il servizio (servizi, prestazioni…)? Quali tipi di progetti attiva? 4) A quale utenza si rivolge il Servizio? Quale utenza ha realmente accesso? 5) Com’è organizzato il Servizio? Quali sono le sue risorse? Com’è impostato il lavoro di rete con le altre agenzie che si occupano del problema? Quali sono quelle con cui collabora il Servizio? 81 6) Come avviene la pubblicizzazione del servizio e della possibilità di accesso? 7) Quali sono le modalità di accesso al servizio? 8) Quale percezione ha l’utenza del Servizio? Tale <<traccia>>, rivolta ad ottenere dalla voce dell’intervistato una descrizione abbastanza completa del Servizio presso cui lavora, si ispira al 29 modello di analisi organizzativa di Richard Normann , che descrive un sistema olistico di management del servizio, costituito da cinque elementi interconnessi utili per descrivere o analizzare il sistema organizzativo stesso, in particolare: -segmento di mercato: particolari tipi di clienti per cui è stato progettato l’intero sistema dei servizi -concetto di servizio: vantaggi assicurati al cliente -sistema di erogazione del servizio -personale -immagine: strumento informativo mediante cui il management puo’ influenzare il suo personale, clienti, ecc… -cultura e filosofia, comprende i principi generali mediante i quali è controllato, mantenuto e sviluppato il processo sociale che conduce all’erogazione di servizi a vantaggio dei clienti. Ho formulato dunque le domande attorno ai suddetti elementi, affinché l’intervista potesse essere diretta su alcuni problemi interessanti per poter comprendere e descrivere l’operato e la natura organizzativa di tre importanti agenzie, al fine di produrre una ricognizione sintetica di risorse. Il materiale emerso puo’ essere utilizzato per approfondire vari aspetti interessanti dell’operato di alcuni professionisti con le persone senza dimora, ma all’interno di questo lavoro mi interressa, piuttosto che soffermarmi ad analizzare il pur interessantissimo operato della singola agenzia o l’analisi di taluni aspetti significativi, porre in evidenza il lavoro integrato della rete e quindi l’insieme delle risorse esistenti sul territorio genovese. 29 R. Normann, Service Management: Strategy and Leadereship in Service Business, 1984, trad.it. La gestione strategica dei servizi, Etas, Sonzogno,1985, p. 58. 82 Pertanto do restituzione del materiale da me raccolto in una sintesi elaborata in tabelle, fornendo un quadro sintetico delle risorse della rete formale. III.5.2 Rete integrata dei Servizi per senza dimora sul territorio genovese Propongo un’analisi del funzionamento effettivo della rete genovese ed una ricognizione delle risorse e dei servizi offerti alle persone senza dimora, puntando un fuoco d’attenzione sull’istanza integrativa sentita e perseguita dalla rete stessa. Propongo alcuni schemi sinottici per illustrare sinteticamente e complessivamente i servizi esistenti in varie aree di intervento (Accoglienza, Alloggiamento, ecc…). Sono riassunti i principali servizi, interventi e progetti rivolti alle persone senza dimora, erogati prevalentemente dalle tre agenzie che si occupano del problema: -Associazione San Marcellino -Unità Operativa Cittadini senza territorio -Centro d’ascolto Monastero- Fondazione Auxilium. Ogni intervento è presentato in tabella rispetto a otto voci (struttura e ubicazione, utenza e bisogno, numero di posti, ente gestore, descrizione, accesso, finalità) e comparato ad interventi dello stesso tipo, per porre in risalto come effettivamente venga garantita dalla rete una <<pluralità di accessi, accoglienza e metodologie d’intervento>>30. Si intende fornire una visione d’insieme dei diversi servizi presenti ed integrati, raggruppati e suddivisi all’interno di diverse aree d’intervento o tipologie. Ho adottato una prima generale suddivisione fra: 1. Servizi di Prima accoglienza, cosiddetti a bassa soglia: predispongono cioè un accesso generalmente libero; rispetto alle categorie che di seguito introdurrò, dedotte dalla letteratura, essi espletano 83 prevalentemente le prime due fasi del programma di intervento per la persona : fase di definizione del bisogno (o osservativa) e fase conoscitiva della persona nella relazione 2. Servizi di Seconda accoglienza: presuppongono una relazione di accompagnamento e presa in carico della persona; espletano la terza funzione del programma di intervento, cioè la strutturazione di un percorso individualizzato, rispetto a quattro dimensioni <<CASA, LAVORO, RAPPORTI SOCIALI, PROBLEMATICHE VARIE>>, su cui si ricostruisce il recupero dell’individuo, finalizzato ad educare la persona alla capacità di concatenare i vari bisogni31. 1. Servizi di Prima accoglienza Tab. 1 Servizi di Prima accoglienza nell’area della PRONTA ACCOGLIENZA Servizi, interventi, progetti Struttura e Utenza ubicazione bisogno e Num. posti Pronta accoglienza Centro Accesso d’ascolto libero San Marcellino Vico San Marcellino presso CanonicaSala d’attesa _ Pronta Accoglienza Centro Accesso d’ascolto libero Monastero Sal. N.S. del Monte,2 _ Ente gestore Descrizione Ass. San Filtro fra Marcellino operatori di colloquio e utenza Comprende: -registrazione utente -distribuzione buoni-doccia -distribuzione ingresso diurni -distribuzione toeletta -segreteria settore Animazione Caritas DiocesanaFondazione AuxiliumCentro d’ascolto Monastero 30 Accesso Finalità Lunedì, martedì, giovedì, venerdì ore 9-12 << Prima porta d’accesso per le persone, che ricevono accoglienza e ascolto. Ciò serve ad instaurare e costruire la relazione>> (dall’intervis ta) Accoglienza, fiducia, sostegno Delibera C.C. n. 124 del 23/10/ 2000. S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p.156. 31 84 Tab. 2 Servizi di Prima accoglienza nell’area ACCOGLIENZA, ASCOLTO, SEGRETARIATO SOCIALE Servizi, interventi, progetti Struttura e Utenza ubicazione bisogno Primo colloquio di accoglienza e ascolto Centro d’ascolto San Marcellino Vico San Marcellino presso Canonica e Num.posti Accesso libero Accesso su invio dalla rete o da altri soggetti pubblici o privati _ Accoglienza- Ufficio Segretariato Cittadini Sociale senza territorio V. Ilva, 3 Accesso libero _ Accoglienza, Segretariato Sociale, Distribuzione biglietti treno, Residenze Protette Famiglie di passaggio con minori No minori _ Ufficio Cittadini senza territorio V.Ilva, 3 Ente gestore Descrizione Accesso Ass. San Coordinamento Lunedì, Marcellino dei Servizi martedì, Sono giovedì, disponibili 4 venerdì operatori ore 9-12 (educatori, psicologi, maschi, femmine) Registrazione nome e cognome dell’utente e individuazione del bisogno Comune di Martedì ore Genova9-10 Direzione Per telefono Servizi alla Giovedì ore Persona14-15 U.O. Cittadini senza territorio Comune di GenovaDirezione Servizi alla PersonaU.O. Cittadini senza territorio 85 Finalità <<Instaurare la relazione che nei diversi casi puo’ condurre la persona ad un percorso di sostegno Primo accesso, definizione del bisogno, conoscenza Primo accesso, definizione del bisogno, conoscenza Tab. 3 Servizi di Prima accoglienza nell’area SOCIALITA’ e MENSA Servizi, interventi, progetti Struttura e Utenza ubicazione bisogno e Num. posti Ente gestore Descrizione Accesso Finalità Relazione di socialità Centro diurno Archivolto Accesso Vico libero S.Marcellino, 10 N.r. Ass. San Servizi Marcellino -doccia -colazione -lavanderia Lunedì, martedì, giovedì, venerdì ore 10-12 Centro diurno pomeridiano La Svolta Vico S.Marcellino N.r. LunedìRelazione di sabato ore socialità 15-18 Accoglienza diurna La Casetta Accesso N.r. Sal. N.S. del diretto Monte, 2 Anche persone tossicodipendenti Mensa Sal. N.S. del Acceso N.r. Monte,2 diretto No tossicodipendenti Ass. San Bar “bianco” Marcellino (non vengono offerti alcolici) Caritas Si chiede il Diocesana– rispetto delle Fondazione cose e delle Auxiliumpersone Centro Sono d’ascolto disponibili Monastero operatori di accoglienza e ascolto e sono offerti servizi di: lavanderia, vestiario, deposito bagagli, doccia Orientamento ai Sevizi per le persone tossicodipendenti Caritas Dopo almeno Diocesana15 giorni di Fondazione permanenza Auxiliumsi chiede di Centro prendere d’ascolto contatto per Monastero. formalizzare Convenzione l’inserimento con Comune in mensa di GenovaDirezione Servizi alla persona-U.O. Cittadini senza territorio Accesso libero Bisogno socialità di 86 LunedìRelazione di sabato ore accoglienza, 14.30-17.30 accettazione della persona per stimolare nella stessa una maggiore elaborazione di dignità di se stessa Lunedìdomenica Pranzo e cena Socialità Tab. 4 Servizi di Prima accoglienza nell’area ACCOGLIENZA NOTTURNA Servizi, interventi, progetti Struttura ubicazione e Utenza e bisogno Num.posti Alloggiamento Archivolto No 10 notturno Vico tossicodipendenti, (maschili) S.Marcellino,10 No extracomunitari Alloggiamento Asilo Notturno Accesso libero 20 notturno Massoero persone italiane o (maschili) Vico Palla,4 facenti parte U.E. No tossicodipendenti Ente gestore Descrizione Accesso Ass. San Permanenza Marcellino per 15 giorni. Riaccoglienza possibile dopo un mese dalla dimissione Comune di Permanenza Genovaper 15 giorni Direzione rinnovabili su Servizi alla progetto. PersonaRiaccoglienza U.O. dopo un mese Cittadini dalla senza dimissione territorio Finalità Ingresso Accoglienza, ore conoscenza 19.30-22 Uscita entro ore 7.15 Ingresso entro ore 23 Tab. 5 Servizi di Prima accoglienza nell’area EMERGENZA Servizi, interventi, progetti Unità strada Struttura e Utenza ubicazione bisogno di Una presso Emergenza P.S. Osp. freddo Galliera Interventi economici una tantum Ufficio Cittadini senza territorio V.Ilva, 3 Farmacia Canonica San Marcellino Grave emergenza e Num.posti Ente gestore Ass. Massoero 2000. Convenzione con Comune di GenovaDirezione Servizi alla Persona-U.O. Cittadini senza territorio Comune di GenovaDirezione Servizi alla Persona-U.O. Cittadini senza territorio Ass. san Marcellino 87 Descrizione Accesso Finalità Due sere alla Aggancio e settimana sicurezza Domenica ore 10-11 dopo Messa 2. Servizi di Seconda accoglienza Tab. 6 Servizi di Seconda accoglienza nell’area alloggiativa DORMITORIO Servizi,interventi, Struttura e Utenza progetti ubicazione bisogno Alloggiamento Angolo notturno e Num.posti Ente gestore Descrizione (maschili) Ass. San Permanenza Marcellino per tre mesi rinnovabili. Si chiede : -sobrietà -condizioni decorose -puntualità 26 tot. con Ass. San Permanenza Angolo Marcellino per tre mesi (maschili) rinnovabili. Si chiede : -sobrietà -condizioni decorose -puntualità 6 Ass. San (femminili) Marcellino Alloggiamento notturno Gradino Alloggiamento notturno Treccia Alloggiamento notturno Dormitorio Persone con 15 Sal. N.S. del progetto Monte,2 Caritas DiocesanaFondazione AuxiliumCentro d’ascolto Monastero Accesso Finalità Ingresso ore Socialità 19.30-20.30 Contrattualità Cena insieme Ingresso ore Socialità 19.30-20.30 Contrattualità Cena insieme Ingresso ore Socialità 19.30-20.30 Contrattualità Cena insieme Si chiede : Adesione a -non essere progetto alterati riabilitativo -pulizia -rispetto orari Comprende servizio mensa Tab. 7 Servizi di Seconda accoglienza nell’area alloggiativa COMUNITA’ Servizi,interventi, progetti Struttura e Utenza e Num.posti ubicazione bisogno Ente gestore Comunità Boschetto N.R. Via della Crocetta,3 8 Ass. San (maschili) Marcellino in stanze doppie Apprendimento dall’ esperienza Fiducia Comunità Ponte N.R. Via della Crocetta,3 9 (maschili) Permanenza N.R. ore 17.30-8 del mattino Simulazione della vita quotidiana Sistema ternario di compiti Ass. San Unico N.R. Marcellino vincolo: cena insieme Permanenza a tempo indeterminato, senza esclusione della possibilità di andare in alloggio assistito Apprendimento dall’ esperienza Fiducia 88 Descrizione Accesso Finalità Tab. 8 Servizi di ASSISTITI Seconda accoglienza nell’area alloggiativa Servizi,interventi, progetti Struttura e Utenza ubicazione bisogno Alloggi assistiti N.R. Alloggi assistiti N.R. e Num.posti Accesso su Singolo invio dalla rete Ente gestore Descrizione ALLOGGI Accesso Ass. san Contratto tipo N.R. Marcellino residence +servizi Visite domiciliari di verifica dell’esprienza Caritas N.R. DiocesanaFondazione AuxiliumCentro d’ascolto Monastero N.R. Finalità Autonomia Adesione a progetto riabilitativo Tab. 9 Servizi di Seconda accoglienza nell’area LAVORO Servizi,interventi, progetti Struttura ubicazione Educazione al lavoro Laboratori: -lavanderia -pulizia -kambusa -cucina -manutenzione Educazione al lavoro Borse -lavoro Educazione al lavoro Borse-lavoro e Utenza e Num.posti bisogno Persone che vivono in casa da sole Lavoro in rete con Ufficio l’U.C.I.L.(Inserimento Cittadini senza lavorativo) territorio V.Ilva, 3 89 Ente gestore Descrizione Accesso Ass. san Retribuzione Marcellino con un’indennità di presenza Copertura assicurativa Inail N.R. Ass. San Retribuzione Marcellino con un’indennità di presenza Copertura assicurativa Inail Caritas DiocesanaFondazione AuxiliumCentro d’ascolto Monastero Comune di Genova N.R. Finalità N.R. Sala d’attesa con turno numerato ore 1011 Ricostruzione identità professionale Tab.10 Servizi di Seconda accoglienza nell’area ACCOMPAGNAMENTO E PRESA IN CARICO Servizi,interventi, progetti Definizione Progetto riabilitativo Definizione Progetto riabilitativo Struttura e Utenza ubicazione bisogno del Centro socio- d’ascolto Monastero Sal. N.S. del Monte,2 del Centro socio- d’ascolto San Marcellino Vico San Marcellino presso Canonica e Num.posti Ente gestore Colloqui di chiarificazione e sostegno al progetto (la persona esprime il bisogno all’operatore) o accesso su segnalazione di un ente che conosce la persona _ Colloqui con persone che hanno avviato un percorso già appoggiato dalla rete e sono prese in carico dall’Ass. San Marcellino Ufficio Cittadini senza territorio V. Ilva, 3 La persona è seguita da uno dei 4 operatori. Il progetto puo’ essere: 1)assistenziale 2)di reinserimento. Se la persona è stata segnalata da un ente della rete: -Ente segnalante mantiene la presa in carico se c’è già un progetto. Chiede interventi come inserimento in dormitorio o mensa -se non c’è progetto, CdA prende in carico la persona San La persona non è necessariadi mente inserita in struttura , ma è in relazione significativa con l’Associazione San Ass. Marcellino Comune di GenovaDirezione Servizi alla Persona-U.O. Cittadini senza territorio AccompagnaUfficio mento per inoltro Cittadini domande sociali senza territorio V.Ilva, 3 Interventi domiciliari Caritas DiocesanaFondazione AuxiliumCentro d’ascolto Monastero Ass. Marcellino Colloquio settimanale verifica Animazione Descrizione Persone che hanno raggiunto un buon livello di territorializzazione Comune di GenovaDirezione Servizi alla Persona-U.O. Cittadini senza territorio 90 Domande di: -casa popolare -carta d’identità -pensione libretto sanitario Accesso Finalità N.R. 1)progetto assistenziale (pensione, sussidio…) 2) progetto di reinserimento (lavoro, alloggio autonomo…) Educare la persona all’emergere delle proprie risorse Lunedì, martedì, giovedì, venerdì Ore 9-12 Socialità Sala d’attesa con turno numerato ore 10-11 Aggancio territoriale = ai Servizi Territoriali Tab.11 Servizi AMMINISTRATIVA di Servizi,interventi, progetti Struttura e Utenza ubicazione bisogno Concessione residenze anagrafiche+ servizio posta Ufficio Cittadini senza territorio V.Ilva,3 Concessione residenze anagrafiche+ servizio posta Concessione residenze anagrafiche+ servizio posta Seconda accoglienza e Num.posti nell’area RESIDENZA Ente gestore Descrizione Accesso Finalità _ Comune di GenovaDirezione Servizi alla PersonaU.O. Cittadini senza territorio. Convenzione con Anagrafe Ci sono scadenze di controllo della posta. Il mancato rispetto comporta la perdita della residenza Martedì e venerdì mattina per controllo posta Accesso diritti di cittadinanza Centro d’ascolto San Marcellino Vico San Marcellino presso Canonica _ Ass. San Marcellino. Convenzione con Anagrafe Obbligo di presentarsi al Centro d’ascolto una volta al mese Centro Persone con d’ascolto progetto Monastero Sal. N.S. del Monte,2 _ Caritas DiocesanaFondazione AuxiliumCentro d’ascolto Monastero. Convenzione con Anagrafe Lunedì, Accesso martedì, diritti di giovedì, cittadinanza venerdì ore 9-12 Per controllare la posta basta rivolgersi agli operatori di accoglienza Accesso diritti di cittadinanza Persone irreperibili o persone cancellate (che hanno perso i diritti di cittadinanza). Il servizio di posta è prestato alle persone che hanno un progetto 91 3. Popolazione bersaglio Soggetto destinatario dei Servizi di cui si raccoglie una sintesi in questa ricerca è la cosiddetta utenza delle persone senza dimora. All’interno di questa nomenclatura rientra una pluralità di soggetti, che presenta situazioni diversificate. Ho raccolto le diverse voci con cui gli operatori delle tre Agenzie genovesi definiscono l’utenza cui si rivolge il loro Servizio. L’operatore del Centro d’ascolto dell’Associazione San Marcellino usa il termine di “persone senza dimora” parlando delle <<persone che hanno sviluppato un sentimento di désaffiliation>>. Ricomprende in generale le famiglie povere, che non hanno il sostentamento di una fonte di reddito. L’assistente sociale che opera nell’Ufficio Cittadini senza territorio del Comune di Genova parla di <<persone in situazione di grave emarginazione ed esclusione sociale con difficoltà economica, abitativa e lavorativa>>. Tra di esse distingue le cosiddette persone di passaggio, che attendono di rientrare nel Comune di provenienza; le persone senza dimora, che vivono per strada e sono chiamate comunemente “barboni”; le persone che iniziano un percorso di esclusione conseguente alla perdita di residenza; le persone irreperibili o cancellate, che hanno perso l’accesso ai diritti di cittadinanza. L’assistente sociale mette in rilievo un aspetto della personalità degli utenti, che il Servizio considera come presupposto del suo lavoro: la difficoltà e talora l’incapacità delle persone di rivolgersi ai Servizi territoriali. Il Centro d’ascolto Monastero rivolge i suoi interventi alle persone senza dimora, italiane o facenti parte della Comunità Europea. Un operatore descrive le problematiche portate dagli utenti del Servizio e le distingue in due sfere: una è “materiale” ed è legata al bisogno di vestirsi, cibarsi, dormire e lavarsi; l’altra è “relazionale” ed è connessa al bisogno di relazionarsi, di essere sostenuti, di essere incoraggiati e accompagnati al reinserimento sociale. Gli interventi tentano di dare una risposta congiunta alle due sfere di problematiche. 92 Si promuove il lavoro di rete, l’integrazione dei servizi e la comunicazione fra gli stessi, affinché ogni servizio, con le sue caratteristiche specifiche non sia isolato dal flusso comunicativo e dalla continua opportunità di riflessione sul lavoro in atto e sul progetto con la persona. Tale sistema, che garantisce all’individuo una pluralità di accessi e interventi, pone in primo piano la centralità della persona e l’adozione di strategie di intervento integrate. III.5.3 Lettura del sistema di rete: tre fasi nel programma di intervento L’intento presente è fornire un apporto teorico al sistema integrato di rete appena illustrato e da me proposto. Secondo un’analisi interessante32, un ipotetico programma di intervento, che mira a promuovere la sicurezza sociale e una nuova cultura della solidarietà, anziché un sistema assistenzialistico di prestazioni di servizi, si sviluppa, in tre fasi: 1) Nuova definizione del bisogno Finché gli interventi sono diretti ad alcuni bisogni della persona senza dimora, quelli espressi, generalmente connessi alla sopravvivenza, la politica resta assistenziale e consolida o crea cronicizzazione. Pertanto non dev’essere la persona a cercare il Servizio, ma quest’ultimo ad avvicinarsi alla persona e al suo ambiente di vita. In questo senso si orientano, ad esempio, le attuali sperimentazioni di psichiatria di strada, << un intervento che (…) rivolge la sua attenzione a soggetti privi di rapporto con i servizi territoriali muovendosi verso quei contesti di emarginazione sociale in cui essi si trovano a vivere>>33. 32 S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p.156. 33 S. Borghetti, La salute mentale degli homeless: un percorso di psichiatria di strada, cit., p. 19. 93 Quindi punto di partenza per una nuova definizione del bisogno diventa il territorio, quale <<luogo di raccolta dei “sintomi”>>34, al fine di osservare e di poter descrivere le condizioni e i comportamenti, sia individuali che collettivi, rispetto ai processi di vita quotidiana della persona senza dimora e del rapporto con << il “luogo” che per lungo tempo lo ha accudito, rifocillato e sollecitato a relazioni significative. (…) Infatti il rapporto individuo/territorio è determinato dalle rappresentazioni simboliche che influiscono sui processi e sugli accadimenti che avvengono nello stesso>>35. A tal fine devono essere istituiti <<centri di osservazione con la specifica funzione di operare a contatto con la quotidianità>>36. Si puo’ usare il metodo dell’osservazione partecipante, operata da una o più equipe, che abbiano come punto di riferimento la strada, piuttosto che identificare il centro di osservazione in un luogo fisico. L’intervento prevede operatori sociali “di strada”che entrino in contatto con le persone senza dimora , rompendo le barriere che spesso isolano i senza dimora dal contesto circostante, che tengano colloqui informali o conversazioni libere, collocati in luoghi interessanti come stazioni F.S. giardini pubblici, mense, dormitori. È importante sottolineare che il bisogno espresso al Servizio spesso non coincide con il bisogno reale, che puo’ emergere solo se si instaura un certo legame con l’operatore, che la persona senza dimora riconosca innanzitutto come “amico”. Tale lavoro deve poi essere comunicato costantemente a tutti i Servizi operanti nel settore, per informarli sui dati derivanti dall’osservazione attiva. A Genova tale osservazione viene svolta prevalentemente dai servizi del Privato Sociale. L’Unità Operativa Cittadini senza territorio del Comune di Genova finanzia l’intervento di una Unità di strada, gestita dall’Ass. Massoero 2000, che 34 S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p. 157. 35 R. Gnocchi , Il diritto alla salute delle persone senza dimora, in << Prospettive sociali e sanitarie>>,cit., pp. 14 e s. 94 interviene per l’emergenza freddo due sere alla settimana e persegue soprattutto la finalità dell’aggancio e della sicurezza. Si colloca presso l’ospedale Galliera (atrio del Pronto Soccorso), ricettacolo notturno di alcune persone che rinnegano i servizi di accoglienza notturna predisposti dalle strutture cittadine e trovano un riparo provvisorio sostitutivo a quello che potevano trovare tempo fa negli atrii delle stazioni FS, oggi chiusi. 2) Fase conoscitiva Prevede l’istituzione sul territorio di <<servizi “filtro”, cioè servizi di prima accoglienza strutturata, che hanno principalmente la funzione di dare una prima risposta ai bisogni presentati dalle persone senza dimora>>37, dove si tenta di promuovere la cultura dell’ascolto e dell’accoglienza, superare quella meramente assistenzialistica, ponendo invece le basi per un incontro con la persona in luogo di significati condivisi e la costruzione di una relazione significativa. Così ad esempio il Centro d’ascolto dell’Associazione San Marcellino opera con il Centro di prima accoglienza notturna secondo un doppio legame, due linee parallele distinte: -soddisfacimento delle richieste che sottendono la mancanza di beni di prima necessità (mangiare, dormire, vestirsi, lavarsi) con funzione di primo contatto o aggancio -lavoro con la persona per conoscerla meglio e , a seconda dei casi, inizio di un percorso individuale segnato da microprogetti personalizzati collocati entro un quadro più generale di recupero. È la linea che più difficilmente viene seguita dalle persone senza dimora croniche, coloro che per l’età avanzata , per i danni psicologici subiti nel tempo dall’assunzione di sostanze alcoliche , per le conflittuali situazioni familiari sociali non sono disposte a mettere a repentaglio l’equilibrio della sopravvivenza. 36 S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p. 157. 37 Ivi, p.158. 95 Non solo le strutture di prima accoglienza espletano la funzione conoscitiva; una parte della stessa viene svolta in ognuna delle strutture che ospitano persone senza dimora specie la prima accoglienza notturna, nel tentativo di <<dare avvio ad un cammino di recupero>>38. I punti chiave di tale delicata fase sono << porre attenzione alla persona singola per elaborare micro-progetti individualizzati>>39, cioè lavorare con la persona per elaborare micro-progetti fattibili per essa, quotidianamente, pazientemente contrattando e non chiedendo alle persone più di quanto possono dare per non farle scontrare con altre delusioni-fallimenti che potrebbero segnare un regresso indelebile. Significa costruire sulla forza della persona stessa. Ad esempio, circa il problema lavoro, le persone hanno interiorizzato ritmi diversi da quelli del comune lavoratore dipendente e dunque non si puo’ proporre loro, magari dopo un periodo di inattività protratto per anni, l’impiego in un lavoro a tempio pieno, perché si va incontro ad un fallimento. Occorre invece pensare un percorso a tappe, consono ai tempi dell’individuo, e articolate sulle varie dimensioni rilevanti su cui si costruisce il recupero dell’individuo, cioè renderlo capace di concatenare i vari bisogni. 3) Evidenziazione di diverse tappe del percorso individualizzato relative a quattro dimensioni: - CASA - LAVORO - RAPPORTI SOCIALI - PROBLEMATICHE Rispetto alle quattro dimensioni, possono essere individuate quattro aree in cui si collocano i diversi servizi organizzati dalla rete delle istituzioni: per la CASA centri accoglienza e alloggiamento, per il LAVORO laboratori ed inserimenti, per i RAPPORTI SOCIALI animazione e centri diurni, per le varie 38 Ivi, p. 159. Ivi, p. 160. 39 96 PROBLEMATICHE Club Alcolisti in Trattamento per alcol, CSM per problemi psichici, SerT per tossicodipendenze, ecc. Durante tutto il percorso la persona è sempre sostenuta dall’attività del Centro d’ascolto tramite colloqui periodici, durante cui si cerca di tracciare il percorso svolto, i progressi e i problemi personali e /o relazionali per trovare insieme una soluzione. E durante cui la persona valuta la possibilità o meno di proseguire il suo percorso presso altre strutture in tappe successive. Il percorso di recupero verso l’autonomia è difficile e intrapreso e raggiunto solo da alcuni, ma non impossibile. Essenziale è tuttavia che l’operatore sappia con chiarezza a quali persone la struttura puo’ rivolgere un percorso d’aiuto. Il percorso di recupero dev’essere individualizzato e calibrato sulle singolari possibilità del soggetto, tuttavia è essenziale che il soggetto faccia parte di un gruppo ristretto nel quale anche gli altri membri del gruppo stiano facendo un percorso analogo al suo. 97 IV. STRATEGIE D’AIUTO: E STRUMENTI DEL PROCESSO UN’ESPERIENZA DI ACCOMPAGNAMENTO SOCIALE IV. 1 Quale bisogno? Occorre iniziare l’analisi sulle possibilità di intervento professionale con le persone senza dimora, con problemi psichici, da una breve riflessione sul concetto di benessere per l’uomo e su alcune premesse antropologiche. Secondo la prospettiva relazionale studiata da Fabio Folgheraiter1 e riproposta da Luigi Gui2, il benessere è una meta, una tensione, una vicenda quotidianamente ritentata. Puo’ essere definito, in termini multidimensionali e dinamici, come il conseguimento di mete esistenziali progressive mai definite. O ancora, puo’ essere il << migliore equilibrio possibile ma dinamico>>3: ogni uomo si muove per il conseguimento di mete esistenziali per prove ed errori, scegliendo di seguire gli apprendimenti selezionati dall’esperienza, e ricerca possibili realizzazioni su tutte le dimensioni che compongono la persona. Dal punto di vista istituzionale, cioè dal punto di vista delle concezioni di benessere perseguite dal welfare state, il well being, o “star bene in termini soggettivi”, si è trasferito progressivamente e concettualmente sul terreno della immaterialità. Dagli anni ’80 si inizia a considerare una concezione di benessere, che non attiene solo al godimento di beni, ma si puo’ riferire a concetti come <<mondo vitale>>4, per indicare un <<luogo di costruzione di senso, produzione di relazioni solidali ed affettivamente nutritive entro cui ciascuno comprende sé e 1 F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete, Franco Angeli, Milano, 1998. 2 L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., pp. 103 e ss. 3 Ivi, p. 103. 4 A. Ardigò, Crisi di governabilità e mondi vitali, Cappelli, Bologna, 1980. 98 il significato delle sue azioni, grazie all’attribuzione condivisa con altri>>5, in altre parole, un tipo di soggettività particolare che puo’ essere considerata come il <<benessere generato entro le relazioni>>6. Gui pone a fondamento della sua analisi la premessa indispensabile che l’uomo è un <<soggetto sensato>>7 e quanto più realizza questa sua condizione ontologica tanto meglio sta. Soggetto è <<qualcuno che si distingue per individualità da una numerosità indistinta ed è dotato di una sua propria autodeterminazione e capacità di iniziativa>>; è dotato di senso << colui che va conseguendo le mete verso cui cammina>> e <<colui che condivide un’attribuzione con altri>>8. Pertanto ciò che viene a caratterizzare in buona parte il benessere di una persona è poter rispecchiare il proprio senso nel con-senso altrui. A questo punto occorre considerare la condizione della persona senza dimora. Si parla di multidimensionalità del disagio della persona senza dimora per indicare che essa riporta un equilibrio vacillante contemporaneamente su molti fronti. Qui è opportuno chiedersi cosa determina il passaggio da una condizione di vulnerabilità, come esposizione a fallimenti, traumi , lutti, insuccessi, ad una di désaffiliation o povertà estrema. Il sociologo Nicola Negri introduce i concetti di <<dotazione originaria>> e <<capacità di riconversione>>9; la prima rappresenta la dotazione di risorse data con cui si affronta la vita; la seconda è la capacità di aggiornare le competenze, trasformare le potenzialità in ulteriori opportunità, adattare le risorse alle richieste dell’ambiente. Le persone senza dimora hanno già in partenza una dotazione carente, prevalentemente sul piano delle relazioni affettive significative, cui conseguono la difficoltà di comporre equilibri di benessere ed il processo di adattamento per 5 L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 105. 6 Ivi, p.105. 7 Ivi, p.107. 8 Ivi, p.108. 9 N. Negri, Reti di rischio e percorsi nella povertà, in << Tra>>, II-1,1989. 99 rinuncia. Ciò significa che la persona senza dimora mette in atto preferenze adattive: <<per ridurre la frustrazione derivante dal fatto di avere esigenze che non riesce a soddisfare, la persona è portata a riformulare le proprie preferenze adeguandole alla situazione e alle possibilità ritenute effettivamente realizzabili>>10, in un meccanismo che opera sulle preferenze, attraverso cui vengono selezionate le opzioni. Infatti una persona che ha una buona capacità di riconversione in genere apprende dall’esperienza , scarta le situazioni di fallimento e sceglie altre strategie. Alcune persone invece vanno rinunciando ad alcuni percorsi immaginati, alcune mete desiderate, e riducono l’immagine del loro futuro e delle proprie prospettive. Come strategia di un equilibrio di benessere possibile, la persona senza dimora chiude i <<fronti di transazioni fallimentari>>11 con l’altro generalizzato, ma in tale processo subisce un cambio di identità, una metamorfosi della percezione di sé da un’identità auspicata, che è faticoso o spaventoso affrontare, ad una rassegnata, che la realtà sociale va confermando. Cala l’autostima e il senso del fallimento fa slittare progressivamente verso un altro Sé. La persona, chiudendo lo scambio con l’ambiente, soffre e muore. Crea il vuoto relazionale attorno a sé. Lungi da << individuare catene deterministiche>>12 sui perché qualcuno finisce per strada, Gui registra che frequentemente si compongono fra loro alcuni fattori che accomunano l’esperienza delle persone senza dimora. Queste persone sembrano accomunate più dalla mancanza di qualcosa (“dimora” come luogo materiale e soprattutto come riferimento dell’identità relazionale) che non da una presunta natura individuale che le porta ad una forma di vita marginale e svantaggiosa. (…) 10 A. Meo, Vite in bilico. Sociologia della reazione a eventi spiazzanti, Liguori, Napoli, 2000, p.139. 11 L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.115. 12 Ivi, p.110. 100 La persona senza dimora si puo’ considerare uno straniero nella società in cui vive (…) Residenza e domicilio sono i due concetti fondamentali che esprimono l’appartenenza ad un luogo dove si esercitano diritti e doveri, dimora invece rappresenta livelli minimi di collegamenti e riferimenti. (…) Viene spontaneo considerare come suo primo problema la mancanza di casa e la vita in strada. Di fatto però la casa diventa dimora quando diventa spazio che accoglie e genera esperienze e relazioni, collocazione e racconto della storia di una persona. Il problema del senza dimora si colloca, prima che nella carenza di casa, nella assenza di relazioni e legami, e spesso nella incapacità od impossibilità di stabilirli e/o reggerli13. Si sta male quando mancano relazioni significative con gli altri, fondamentali per sentirsi “sensati”. Perché il soggetto, non essendo in relazione di condivisione di senso, non è sensato e sta male, si nega la via di un autentico benessere. IV.2 Quale intervento? Strategie e strumenti del processo d’aiuto IV.2.1 L’agire metodologico dell’assistente sociale con la persona senza dimora Il Servizio Sociale professionale figura fra i principali strumenti garantiti dalla Legge quadro 328/2000. All’articolo 22 esso è citato fra le prestazioni che devono essere attuate in ogni ambito territoriale; è un’attività diretta a valorizzare le risorse individuali e collettive nell’ambito di processi comunitari. Il Servizio Sociale è una professione complessa e multifunzionale, che ha come oggetto l’aiuto individualizzato e promozionale, per la gestione efficace della relazione tra bisogni, problemi e risorse dell’utenza, considerata nel contesto di vita familiare, sociale e comunitario. Lo scopo principale della professione è l’aiuto all’utenza nella ricerca del proprio benessere, attraverso la promozione e l’acquisizione delle risorse individuali, collettive ed istituzionali. 13 F. Pezzoni, G. Lucchini, Persone senza fissa dimora e malattia mentale. Bisogni e Servizi, in <<La Via del Sale>>, cit., pp.67 e 71. 101 L’assistente sociale favorisce i processi di inclusione sociale delle persone, pertanto puo’ essere ritenuta a buona ragione da molti << lo strumento tecnico più efficace per l’intervento>>14 con le persone senza dimora, che progressivamente hanno sperimentato un processo di esclusione sociale e marginalità. La figura professionale è nata inizialmente basando il suo operato sul rapporto individuo/povertà, ma progressivamente ha dovuto poter leggere il contesto nella sua globalità, cercando di aumentare le conoscenze sulla società , sulla comunità e sul territorio e pertanto non limitare le modalità assistenziali al soccorso materiale, bensì prevedere altri strumenti tecnici rivolti all’empowerment della persona. Pertanto include nel suo operato il perseguimento di obiettivi di personalizzazione e umanizzazione delle prestazioni, al fine di superare il rischio della stigmatizzazione e dell’emarginazione, e obiettivi di autonomia ed autodeterminazione della persona e di rivitalizzazione del suo contesto sociale. Esercita un controllo sugli aspetti processuali dell’aiuto e del suo progetto, e conferma la centralità della relazione interpersonale professionale nel processo d’aiuto, rendendola parte essenziale del setting di Servizio Sociale. Infine contestualizza tale processo all’interno di una dimensione comunitaria, avendo come referente non solo l’individuo o il gruppo, ma anche la comunità, nell’insieme delle sue aggregazioni sociali. Altro perno dell’operato professionale dell’assistente sociale è, oltre il lavoro di comunità, il lavoro di rete, finalizzato alla costruzione ed al sostegno di un sistema di rete attorno alla persona ed al potenziamento dei “nodi” della stessa e delle sue connessioni. Negli ultimi anni si è passati da un’assistenza maggiormente basata sull’organizzazione centralizzata ad un’assistenza prevalentemente territoriale, che si sviluppa maggiormente nel contatto con l’utenza. 14 C. Landuzzi, G. Pieretti, Servizio sociale e povertà estreme: l’approccio dell’accompagnamento sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 42. 102 Occorre sempre di più individuare un’identità di Servizio Sociale specialistica ed esperta sul tema dell’emarginazione, della vulnerabilità e della povertà estrema. Non è facile tratteggiare i contorni e i limiti del lavoro professionale dell’assistente sociale con le persone senza dimora, poiché esso si articola prevalentemente nel lavoro “a tutto tondo” con la comunità , il territorio, le aggregazioni sociali, il privato sociale, il volontariato, dove spesso sono le relazioni significative con una pluralità di soggetti, spesso i volontari, a costituire l’elemento di buona riuscita dell’intervento, dove la persona puo’ di fatto sperimentare la positività delle relazioni. E neppure è facile considerare la professionalità dell’assistente sociale, prescindendo dal lavoro in équipe con le altre professionalità, con cui l’assistente sociale opera in contesti organizzativi come il Centro di Salute Mentale. Tuttavia è possibile cercare di puntare un faro sull’operato dell’assistente sociale e considerare i metodi e gli strumenti che tale professionista puo’ adoperare. L’assistente sociale, che opera in un Centro di Salute Mentale, viene a contatto prevalentemente con persone senza dimora che hanno già avuto un sostegno e stabilito un aggancio con i servizi a bassa soglia, che hanno predisposto loro alcuni mezzi di sostentamento e strutture di alloggiamento temporaneo. Spesso la persona si presenta al Servizio con una domanda di casa, o lavoro, o pensione, e spesso presenta un quadro sintomatologico che riporta ad un disturbo psichico. Il lavoro dell’assistente sociale necessariamente comincia prima del momento dell’accesso, dato che è rivolto a potenziare i legami di rete con le altre agenzie sul territorio, che si occupano di persone senza dimora, e a favorire la reticolazione affinché la persona possa essere segnalata o accompagnata al servizio. Contestualmente alla fase dell’accesso e dell’accoglienza della persona, l’assistente sociale puo’ supportare la valutazione diagnostica del medico psichiatra con una valutazione della situazione di tipo sociale della persona . 103 All’interno della presa in carico della persona da parte di un’équipe multiprofessionale, composta da psichiatra ed infermiere, oltre che dall’assistente sociale, quest’ultimo professionista rivolge il proprio operato sul sostegno intensivo sociale e sull’intervento socio-riabilitativo. Oltre al tipo di intervento esterno al Servizio, che consiste sostanzialmente nel lavoro di rete con altre istituzioni, l’assistente sociale presta alcuni interventi “interni al Servizio”, che si pongono come interventi finalizzati alla riabilitazione, ma possono realizzarsi a seconda dei diversi casi in interventi di riduzione del danno o mantenimento. Gli interventi possono essere la ricostruzione delle storie di vita individuali per riallacciare i legami spezzati dalla désaffiliation, oppure interventi previdenziali socio-assistenziali, come l’aiuto nella gestione del denaro, e l’accompagnamento per domande di assegnazione alloggio o inserimento lavorativo o verifica pensionistica. L’assistente sociale puo’ sostenere la persona nel mantenimento e nella cura di sé e della propria immagine. L’assistente sociale permette l’accesso alle risorse del servizio, la partecipazione a gruppi di auto-aiuto riferiti a problemi specifici o l’accesso a servizi ambulatoriali. Accompagna i rapporti eventuali con gli organi della vicenda processuale, ad esempio Giudice Tutelare, Tutore, Magistratura. Infine, propone e sostiene la ricerca ed il riavvicinamento alla rete familiare e sociale , con tempi e progetti sempre concordati con l’utente. L’assistente sociale è chiamato/a ad instaurare una relazione e a mantenerla, esercitando prevalentemente le tecniche dell’accoglienza e dell’ascolto, peraltro ha degli strumenti tecnici per poter mettere in connessione la persona con le risorse istituzionali e sociali. La relazione interpersonale diventa pertanto lo strumento principe di mantenimento della relazione fra persona e servizio, e occorre che l’assistente sociale sappia, nel corso della consulenza e del colloquio, per favorire la buona riuscita degli stessi, instaurare un clima di fiducia, affinché l’utente si senta accettato anche per le sue fragilità ed i suoi limiti. 104 Importante, all’interno della relazione d’aiuto, è che, da parte dell’assistente sociale, sia usato un atteggiamento non direttivo e neppure autoriferito (mi riferisco alla eccessiva attenzione alla proprie aspettative ), ma che l’operatore aiuti la persona a risolvere ciò che essa coglie come un problema, cercando di trovare soluzioni adeguate alla crescita della persona, affinché l’individuo sia prima di tutto consapevole dei suoi bisogni e sappia utilizzare tutte le risorse a sua disposizione. Spesso la relazione comincia con obiettivi minimi quale la verifica del rispetto degli appuntamenti presi per i colloqui. La relazione dev’essere disciplinata per non cadere nella manipolazione. È una relazione che peraltro richiede <<attento monitoraggio, condotto attraverso un continuo lavoro formativo nella supervisione e nella autovalutazione, al fine di verificare anche le proprie aspettative e motivazioni, la capacità di sopportare le frustrazioni>>15, pur evitando situazioni di cronicità. L’unica possibilità di avviare un percorso inverso alla traiettoria in discesa è tentare la strada di un percorso relazionale fatto con la persona, nel quale l’assistente sociale deve mettere in conto la possibilità di ricaduta e fallimento, in un cammino che si gradua su piccoli passi, fatto anche di retrocessioni ed apparenti fallimenti. Per l’assistente sociale <<inciampi>>, ricostruire si tratta di gestire creativamente tali protagonismo, empowerment e fiducia, in percorsi dove gli elementi suddetti scarseggiano. Se il percorso, gli obiettivi raggiunti lo consentono, si ricercano le basi per raggiungere ulteriori obiettivi, sempre concordati, che è bene che la persona possa conseguire attraverso la realizzazione di compiti definiti, concordati insieme all’assistente sociale, affinché siano condivisi dalla persona e ritenuti fattibili. Ciò permette alla persona di impegnarsi per la realizzazione di un compito preciso e avere la possibilità di verificare l’esito della sua azione costruttiva. La relazione dev’essere richiesta e costruita in conformità alla biografia individuale, in un lavoro innanzitutto duale, estendendosi parallelamente a livello di rete. 15 Ivi, p.24. 105 <<La relazionalità cura la progressiva perdita relazionale su cui si delinea il processo di decomposizione ed abbandono del Sé>>16. In genere, la presa in carico prevede tempi molto lunghi per la ricomposizione di fratture profonde . Ciò comporta che il Servizio Sociale sia costantemente portato a riflettere su sé, a valutare il processo e a monitorare i <<rischi di cronicizzazione dell’utente, del maternage e dello scarico>>. Il concetto di guarigione, sia nel sociale che nello psichico, ha contorni sfumati, pertanto <<occorre rientrare nella logica della non linearità, della vita fatta di alti e bassi, pur tuttavia conservando necessariamente degli obiettivi, ricostruendo necessariamente il setting dell’assistente sociale, sollecitato ad acquisire profonde competenze relazionali>>17. Propongo di seguito alcune riflessioni su interrogativi che gli operatori sociali possono porsi nel lavoro con le persone senza dimora e l’illustrazione di alcuni strumenti di metodo usati dall’assistente sociale, trasversalmente, per la realizzazione di una buona relazione di fiducia con persone senza dimora, come l’accompagnamento sociale, la ricostruzione delle storie di vita delle persone e dei loro oggetti interiori e il coping di rete. <<Paradossalmente, la determinazione dell’esatta diagnosi psichiatrica non è determinante per l’impostazione ed il successo dell’intervento>>18. Infatti non esiste un’unica patologia determinata che conduce la persona a vivere per strada. <<La condizione senza dimora invece è il risultato da un lato di un atteggiamento rinunciatario; dall’altro di un atteggiamento eccessivamente aggressivo e conflittuale che conduce la persona a fare terra bruciata attorno a sé>>19. Piuttosto occorre che l’intervento sia orientato a migliorare le capacità comunicative e relazionali con le persone senza dimora con problemi psichici e ad introdurre un approccio metodologicamente corretto nell’attività con esse. 16 Pieretti G., Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi, G. Pieretti, a cura di, Servizio Sociale e povertà estreme,cit., p.75. 17 Ivi, p.26. 18 F. Zanelli, Servizi per senza fissa dimora e malati psichiatrici, Convegno << Persone senza dimora e psichiatria>>, cit. 19 F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., pp. 107 e s. 106 IV.2.2 Prima il servizio o prima la persona? <<La condizione necessaria della sua efficacia è che qualsiasi intervento sia centrato sulla persona e non sui singoli problemi o sulle singole patologie che essa soffre, infatti il vero disagio della persona è esistenziale e nessuna “terapia sul bisogno” puo’ affrontarlo efficacemente>>20. <<Le strutture di accoglienza e i vari servizi devono essere dei contesti relazionali in cui la persona possa sentirsi accolta ed amata per quello che è, sperimentarsi come degna di valore e di stima>>21. Solo dalla stima infatti puo’ nascere il <<desiderio di una rinnovata conoscenza di se stessa e di una rinnovata gestione ed organizzazione della propria esistenza >>22. Non tutti i servizi possono adottare livelli relazionali di bassa soglia e non tutti prevedono modalità di accesso non selettive, ma per tentare di suscitare un nuovo desiderio di vita occorre muoversi in tale direzione. La relazione d’aiuto non si riduce a dare cose, risposte , servizi, ma comincia con l’ascolto e, a partire dall’ascolto di ciò che la persona dice, valuta in seguito quale proposta avanzare a chi vive per strada. Al centro occorre mettere la persona, non il suo bisogno. La richiesta ed il bisogno vengono presi in considerazione nella misura in cui la loro presa in carico promuove effettivamente la dignità della persona accolta. La centralità della persona accolta e della relazione con lei sono di gran lunga più importanti delle risposte preconfezionate ai loro bisogni. La relazione d’aiuto pertanto è finalizzata ad abilitare o riabilitare risorse e capacità positive di attivarsi, nella persona, <<per dare autonomamente risposte 20 L. Gui, L’accompagnamento sociale, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 96. 21 A. Remondini S.J. , La relazione con la persona senza dimora, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 59. 22 Ivi, p.59. 107 adeguate alla sua situazione di disagio>>23. Si persegue così l’autonomia responsabile della persona. Padre Remondini è stato Presidente della FIOpsd e per anni ha operato con persone senza dimora all’interno dell’Associazione San Marcellino. In un suo intervento24 ha fatto notare che, davanti alla domanda, non serve immediatamente rispondere, bensì cercare di capire di più quello che la persona chiede. La restituzione dell’accoglienza ricevuta puo’ determinare col tempo l’accoglienza da parte della persona. C’è reciprocità: << se uno si sente accolto, col tempo accoglie>>. Propone un lavoro faticoso, che richiede all’operatore di mettersi a contatto con la sofferenza dell’altro, ma dice che, quando avviene uno scambio di profondità , la persona non è più la destinataria di un servizio, ma è aiutata a scoprire che ha già tutto quello che le serve. Ciò è forse un’ ipotesi di intervento che capovolge la prospettiva di chi considera la persona senza dimora come “non persona”, che non sa chi è. IV.2.3 Accompagnamento sociale Caduta la prospettiva funzionalista di interventi di riabilitazione e reinserimento entro parametri di normalità data per sani, le categorie dell’agio e del disagio rientrano entro i confini sfumati della normalità detta “vulnerabile”. In essa i soggetti perseguono, ciascuno originalmente, le loro mete di benessere ecologico (composizione multidimensionale e dinamica), azzardando tentativi, sperimentando successi e sconfitte. Coloro che precipitano nella rinuncia al proprio benessere, dopo catene cumulative di sconfitte esistenziali, subiscono una metamorfosi di identità entro cui si stabilizza l’emarginazione più grave. 23 Ivi, p.62. A. Remondini S.J. , L’incontro con la persona senza dimora, 17/04/2004, Corso Operare con le persone senza dimora, Ass. San Marcellino, Edizione 2003-2004. 24 108 Più che offerte di prestazioni, in tal caso, è opportuno partire da itinerari di riconoscimento e restituzione di identità costruttive, attraverso itinerari di accompagnamento sociale, nella valenza dell’affiancamento. <<L’approccio dell’accompagnamento sociale , al di là delle singole strategie adottate di volta in volta, consiste prima di ogni cosa nel ridare attaccamento alla vita alle persone. Non importa se viene giocata ad esempio anche in via iniziale la carta del lavoro o la carta della casa, le due carte classiche giocate nell’approccio più tradizionale. In questo caso vengono giocate come mezzo e non come fine dell’intervento, magari in sede di aggancio della persona, ma l’obiettivo è di ridare attaccamento alla vita e senso della vita>>25. Allora l’approccio dell’accompagnamento sociale significa non più solo benefits, erogazione di sussidi, ma erogazione di servizi di prima accoglienza (mense, letto, docce) e poi di integrazione (laboratori lavoro, alloggi protetti). Ma attraverso tutto questo è bene aiutare a sviluppare nei soggetti processi di maturazione e di crescita umana e sociale in cui l’operatore è lo strumento prevalente. L’accompagnamento è stato sempre uno dei compiti essenziali del servizio sociale, insito nella presa in carico dell’utente, spesso inteso e considerato in chiave paternalistica. Supportato dall’aggettivo “sociale”, si declina nell’approccio di aiuto alle persone senza dimora. Approccio emergente negli ultimi anni, si fonda su assistenza tradizionale e sul lavoro sociale di comunità. Si trova traccia del termine nella Legge quadro 328/200026 , all’articolo 22 a). L’idea di accompagnamento sociale va mantenuta legata alla prospettiva dell’affiancamento. 25 G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.70. 26 Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, cit. 109 Per cercare di comprendere questo approccio di intervento è bene riferirsi ai codici affettivi studiati fra gli altri da Sergio Capranico27. Il codice interessante per lavorare con persone senza dimora è quello <<fraterno>>, ma è bene spiegare il perché dell’esclusione dei codici <<materno>> e <<paterno>> da questo tipo di intervento. Il codice affettivo paterno, evocando immagini tipizzate dell’autorità maschile, indica una comunicazione fra utenti e servizi nella quale il servizio eroga prestazioni a fronte della capacità dell’utente di fare buon uso delle prestazioni erogate. Si avvicina alla logica del rientro, come adeguamento alla normalità. Il rapporto è contrattuale. Questo codice, applicato alla relazione d’aiuto con emarginati gravi, incontra alcune difficoltà, infatti una persona che si percepisca fallimentare rispetto alla capacità progettuale, e va cercando quel minimo utile necessario per sopravvivere oggi per oggi (infatti si restringe, nella sua vita, il termine di ricerca di soddisfazione del proprio benessere), non è in grado di restituire alcun esito garantito in questa contrattazione. Lo scambio frontale con i servizi pubblici, dove la relazione è up-down, è così insostenibile che la persona preferisce non cercarla. Un altro modo di comunicare coi servizi è quello riferibile al codice materno, che evoca invece uno stile assistenziale ablativo: non chiede niente a chi abbia bisogno, se non che abbia veramente bisogno. Poiché non esige né contraccambio né cambiamento, l’utente rischia di confermarsi nella condizione permanente di bisognoso aiutato. L’esito di tale tipo di intervento bassa soglia puo’ essere passivizzante poiché la relazione fra servizio e persona è frontale di tipo asimmetrico, in cui una parte si presume sempre capace di offrire (dunque superiore, generosa, potente) ed un’altra parte chiede sempre, incapace di autosufficienza e dunque in posizione di minorità. Il codice più interessante per operare con persone senza dimora , più adatto ad instaurare una relazione d’aiuto duratura, è il codice affettivo fraterno, 27 S. Capranico, In che cosa posso servirla, idee e cultura per le organizzazioni di servizio, cit., pp. 63 e ss. 110 fra pari, fra fratelli in senso idealtipico. Non prevede una relazione disparitaria dove uno degli interlocutori esercita una posizione superiore all’altro, bensì un cammino di prospettiva che i due stanno percorrendo insieme. Non vi è netta distinzione fra chi prende e chi offre; non si presume l’altro come erogatore di qualcosa, bensì interlocutore che non risponde risolvendo, ma si pone affianco. La capacità che il fratello possiede è la condivisione, la possibilità di osservare nella stessa prospettiva. Per entrare in rapporto, non si attende una richiesta esplicita e formale d’aiuto per un problema specifico, ma si riconosce la persona per quello che é. Ciò richiede la disponibilità a mettersi in ascolto per affrontare il problema della sofferenza e per comprendere che <<le persone ci dicono di cosa hanno bisogno>>28. Ci si mette affianco accettando di permanere nella stessa condizione, pronti a rinforzare ogni piccolo sforzo di progettazione e di azione congruente. Ciò è molto diverso da assumere la posizione di colui che presume di avere una capacità di risposta. L’intervento deve operare su tre dimensioni29, rispetto alle quali la persona senza dimora si sente deprivata: - Dimensione affettiva, riappropriazione del significato esistenziale di dimora come luogo dove ciascun individuo vive una propria intimità, i suoi spazi di libertà, la possibilità di costruire le sue relazioni al di là degli obblighi sociali …luogo degli affetti a partire dal quale ciascun individuo costruisce la sua identità…spazio di riproduzione del proprio “sé” affettivo ed esistenziale. Le persone senza dimora devono poter riscoprire la propria nicchia esistenziale, luogo dove riprodurre se stessi in termini rassicuranti, dove poter ritrovare se stessi. 28 C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 28. L. Gui, L’accompagnamento sociale, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., pp.97 e ss. 29 111 Ciò, che si sviluppa nella possibilità di un cammino prevalentemente interiore della persona, puo’ essere incoraggiato e sostenuto da una relazione d’aiuto con altre persone. -Dimensione sociale, dove l’individuo esibisce se stesso e trova conferma del suo essere accettato e accettabile, luogo di incontro degli altri. Ma l’assenza di uno spazio intimo espone il soggetto ad essere costantemente sotto lo sguardo altrui e di conseguenza viene a mancare una relazione sociale adeguata dove la persona possa trovare conferma della propria identità personale. - Dimensione comunitaria è lo spazio di appartenenza alla comunità particolare di uomini entro cui si è riconosciuti identificati e stimati, rete specifica e fonte di relazioni privilegiate. Aiutare la persona senza dimora significa lavorare sulle tre dimensioni Ciò si traduce per l’istituzione e l’operatore che accoglie la persona senza dimora in domande quali: quale dimensione la persona sta ritrovando nell’accoglienza che stiamo offrendo? Ha la possibilità di intimità con sé e con il suo profondo? Puo’ sperimentare una significativa appartenenza comunitaria? IV.2.4 Identità come dimensione di benessere: una prospettiva di costruzione dell’identità nelle relazioni con gli altri Premesso che ogni intervento deve abilitare nella persona , nel rispetto delle sue possibilità concrete, la capacità di dare significato alla sua esperienza e alla sua identità, cosa significa il porsi affianco e il riconoscimento della persona in termini di costruzione dell’identità? L’identità è fortemente condizionata dal riconoscimento da parte degli altri ed ha una dimensione relazionale ed intersoggettiva, pertanto si costruisce nella relazione interpersonale. 112 C’è una connessione tra la <<carriera relazionale>>, intesa come la <<sequenza di cambiamenti che investono la rete di relazioni di un individuo>> e la <<carriera morale>> intesa come <<i mutamenti riferibili alla dimensione dello sviluppo del Sé>>30. La nostra identità è quantomeno il frutto della dinamica fra una parte propria, perfettamente originale e una che si costituisce nella relazione con gli altri. Quanto più una persona ha un’identità riconosciuta, apprezzabile, significativa e costruttiva, tanto più essa si trova in una condizione di benessere interiore relazionale. L’incontro con un'altra persona, che la riconosce, determina l’inizio di un processo di distinzione soggettiva, che ha bisogno di riflettersi nello sguardo, nelle parole e nei pensieri di un altro, cioè offre la possibilità di senso nella scoperta del consenso altrui. Persone erranti in condizione di anonimato arrivano a perdere anche il nome, che è un’attribuzione altrui, e se nessuno le chiama perde valore anche l’ultimo segnale della loro individuale e particolare identità. Solo quando qualcuno le chiama e richiama possono dare continuità alla loro identità. Nella continuità della relazione con l’altro, nell’affiancamento, dove non vi è una netta distinzione fra chi prende e chi offre, bensì vi è condivisione, cioè la possibilità di osservare nella stessa prospettiva , nel riscontro interattivo, avviene che la realtà va distinguendosi dalla fantasia irrealistica e si apre la via del progetto. Luigi Gui costruisce uno schema intitolato “L’appartenenza alle reti di relazione”31 dove delinea un possibile percorso di costruzione dell’identità personale. 30 A. Meo, Vite in bilico, cit., p.14. L. Gui, L’accompagnamento sociale, Corso Operare con le persone senza dimora, Ass. San Marcellino, Edizione 2003-2004. e L. Gui, L’accompagnamento sociale, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 99 e ss. 31 113 Essere qualcuno è il livello di un’<<identità riconosciuta>>. Ma tale identità puo’ progressivamente essere significativa, apprezzabile, costruttiva, secondo che su tre piani ( affettivo, sociale, economico) vengano sviluppate diverse dimensioni. È interessante soffermarsi specialmente sul piano affettivo studiato da Gui. Già si è detto che il riconoscimento affettivo suppone che ci sia una persona che conosce il soggetto e che torna a dirgli chi è, così ad esempio il nome non si è dato da noi stessi ma sono stati gli altri, i nostri genitori. L’identità personale quindi è legata all’incontro con gli altri, al riconoscimento che gli altri riservano. Questo livello di identità, così vicino alla percezione di noi stessi, è precariamente affidato agli altri al punto che se da loro non venisse più usato essa si dissolverebbe. Essere riconosciuti per quello che si è , piuttosto che solo a condizione di esibire se stessi per le parti accettabili, è un altro aspetto necessario perché la persona cresca nell’autostima e nella sicurezza di sé. Proseguendo nella lettura di un percorso possibile di costruzione dell’identità personale attraverso la relazione, si trova il passaggio successivo di un’<<identità significativa>>, con cui si intende che l’esistenza della persona lascia il segno nella vita di qualcun altro. Infatti non si ha solamente bisogno di sapere che qualcuno riconosce , ma anche di sapere che nella relazione con l’altro la propria esistenza lasci tracce in quella altrui. <<Identità apprezzabile>> è basata sulla reciprocità, lo scambio reciproco di stima. La ricerca di legami di reciprocità è una preoccupazione forte nella nostra vita verso il benessere. Lo scambio relazionale reciproco, tra gli individui, produce un’eccedenza relazionale che si rende capace di generare nuove relazioni, nuove reciprocità. Perché poi la persona confermi un’identità sociale, sul piano sociale, non basta lo scambio interpersonale, ma occorre il ruolo, cioè una forma di riconoscimento sociale, l’aspettativa altrui che un soggetto svolga una serie di azioni complementari ai ruoli altrui. Dal punto di vista dell’esercizio del ruolo sociale, l’apprezzabilità si puo’ apprezzare nella competenza riconosciuta. 114 Infine <<identità costruttiva>> significa disponibilità da parte della persona ad investire nella realtà sociale e relazionale le sue qualità e le sue competenze, per generare un cambiamento costruttivo. Secondo Gui, occorre ricercare un equilibrio fra le diverse colonne dello schema, che rappresentano i tre diversi piani rispetto ai quali si puo’ progredire, infatti se si registra uno sbilanciamento eccessivo fra le diverse colonne, la persona si espone ad una vulnerabilità crescente finché tutto non crolla. IV.2.5 Coping di rete e globalità dell’intervento d’aiuto L’approccio dell’affiancamento prevede di incorniciare il soggetto in una rete di relazioni che lo riconoscono e riconoscendolo si aspettano una serie di sue azioni costruttive e complementari ai ruoli altrui. Da qui sorge forse la possibilità di intraprendere un chance progettuale per l’utente e per l’assistente sociale, che puo’ operare per il cambiamento dello stile di vita della persona. Occorre trattare i soggetti non singolarmente, proponendo o imponendo loro di cambiare la loro condizione, ma operare negli intrecci di relazioni all’interno di una rete che cambia. Infatti il disagio del singolo non puo’ trovare mutamento né miglioramento finché l’intero carico di tale trasformazione posa prevalentemente sulla sua capacità di cambiare, e finché si adotta l’approccio terapeutico patologizzante che sostiene che la persona abbia problemi solo suoi e deficit disfunzionali. Occorre costruire << una reticolazione di rapporti fortemente orientata all’affiancamento, che coinvolga il soggetto più in difficoltà all’interno di un processo di riconoscimento di valore e di una nuova identità. Tutte le persone implicate in questa interazione vanno modificandosi come sistema. Se il soggetto più disagiato rientra dentro una rete e addirittura questa rete va addensandosi con le caratteristiche del sistema, allora questo sistema, e la persona in esso, hanno nuove possibilità di maturazione>>32. 32 L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.125. 115 È importante sottolineare che per far fronte alla possibile crisi della relazione d’aiuto duale, della persona con un operatore o un Servizio, sorge la necessità di lavorare in rete. Dinnanzi alla complessità del disagio della persona occorre proporre un intervento globale che sappia motivare la persona ad un suo stile di vita. Lavorare in rete significa <<fare interagire molteplici competenze sul progetto di vita della persona per aiutarla a fare unità della sua esperienza e a migliorare e stabilizzare la qualità della sua vita>>33. Occorre accogliere la persona nel suo insieme e non a partire dal problema specifico che esprime, ma innanzitutto in quanto persona. Infatti dare risposte parziali a problemi parziali non risolve il disagio complessivo delle persone senza dimora. Piuttosto occorre accompagnarle a fare i conti con il proprio disagio affettivo e relazionale. Si puo’ aiutare ad affrontare il problema specifico (ad esempio, la dipendenza dall’ alcol) ma soprattutto aiutare la persona a portare i suoi problemi sul piano della consapevolezza . La complessità del disagio consiste nel fatto che la persona vive i cinque problemi (lavoro, casa, alcol, relazioni, salute) tutti insieme. Viene spontaneo chiedersi: da dove cominciamo? La risposta che Alberto Remondini34 preferisce dare è che la persona , nella sua complessità, è una sola; dunque occorre accogliere la persona nella sua interezza, porla al centro dell’intervento, senza precipitarsi a rispondere al primo problema posto. Occorre offrire occasioni si sperimentazione che possano aiutare la persona a capirsi. Al problema complesso occorre rispondere con un intervento molto qualificato, che affini gli strumenti tecnici e relazionali, e aiutare l’altro a rendersi conto delle sue capacità, risorse, limiti, attraverso un intervento educativo. 33 A. Remondini S.J. , La relazione con la persona senza dimora, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 61. 34 A. Remondini S.J. , L’incontro con la persona senza dimora, 17/04/2004, cit. 116 In questa prospettiva, è l’intera comunità territoriale, in cui l’organizzazione dei servizi è inserita, a vitalizzarsi con strategie volte al cambiamento della qualità dei rapporti sociali. L’ambiente è inteso come utente collettivo nella sua composizione varia di strutture, risorse, ruoli e rapporti umani. Si tratta di attivare una funzione di servizio sociale che orienti i sottosistemi di condivisione nella loro funzione nutritiva dei singoli membri. Infatti se le persone senza dimora sono gravemente deprivate di affettività, significatività, cultura, ruolo sociale e produttivo, qualifiche sociali di cittadinanza, prima ancora che di salute, cibo, casa e denaro, non vi è prestazione ricostruttiva se non innestata in quegli ambienti relazionali entro cui tali “beni” vengono prodotti. L’operatore sociale che si occupi di persone in stato di grave emarginazione è costretto ad entrare in rete, rompere la sua presunta unicità operativa nella conduzione dei casi, aprire la solitudine duale del suo lavoro con gli utenti e costruire il suo processo d’aiuto con un nuovo “utente plurale”, sistema complesso unitariamente oggetto/soggetto dell’aiuto: (…) in esso il vagare e il nascondersi di individui “slegati” e senza dimora non è che il segno (potremmo dire il sintomo) di una sofferenza da trattare nella pluralità delle interrelazioni. (…) Se nel contesto sociale esistono fattori emarginanti, nello stesso contesto sono rintracciabili potenzialità di accoglienza35 . <<L’assistente sociale ha come referente non solo l’utente singolo o il gruppo, ma anche la comunità cioè l’insieme delle aggregazioni sociali presenti sul territorio, la popolazione nel suo complesso, gli organismi di partecipazione popolare e utenziale; quelli che vengono chiamati soggetti collettivi>>36. IV.3 Quale processo? Approccio biografico: la persona e la sua storia di vita Tra le metodologie di conoscenza per delineare percorsi operativi, puo’ essere utilizzato lo strumento delle storie di vita, che aiuta a << cogliere l’aspetto 35 L. Gui, Una prospettiva di lettura dei servizi sociali, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., pp. 106 e s. 36 C. Landuzzi , G. Pieretti, Servizio sociale e povertà estreme: l’approccio dell’accompagnamento sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.16. 117 più soggettivo e intrinseco nel vissuto delle persone, sottolineando gli intrecci temporali tra passato, presente e futuro>>37. Si tratta di uno strumento sociologico e storico del metodo qualitativo, che ha per oggetto la vita vissuta della persona e permette il passaggio dalla considerazione di una categoria astratta alla attenzione al percorso individuale di una persona con un dato nome. L’approccio biografico permette di comprendere il senso che la persona da’ alla sua storia; puo’ essere utile con le persone senza dimora perché imparino a dare valore e significato alla propria identità e alla propria esperienza vissuta . L’operatore attraverso la narrazione della persona puo’ scoprire la rappresentazione che la persona ha di sé. La persona attraverso la storia di vita puo’ rileggere l’oggi in base al passato e <<in base al racconto della storia di vita mette in rilievo il proprio codice di cui offre una chiave interpretativa>>38; a mio avviso, è aiutata a ripercorrere una ricostruzione del proprio processo identitario. Attraverso le storie di vita si possono isolare le regolarità e le fratture che hanno caratterizzato il percorso storico, l’agire sociale di ciascun individuo, analizzare << l’intrecciarsi del tempo storicamente e socialmente dato con la coscienza del tempo, dei processi storici con le identità di individui e gruppi>> 39. Ma soprattutto, poiché <<non esiste una causa precisa che conduce nell’area dell’emarginazione grave ma un insieme di “life- stressfull events”, con le storie di vita è possibile cogliere questi plurimi eventi traumatici, “lenta discesa verso il fondo”, progressivo venir meno dell’identità individuale>>40. In allineamento ai più recenti studi in tema di persone senza dimora, che si basano sul “processo” di evoluzione crescente del disagio e del relativo degrado sui piani fisico e relazionale, Luigi Gui ritiene che in base ai racconti delle loro storie di vita, è facile rintracciare in emarginati e persone senza dimora il caratteristico riaffiorare dei cosiddetti “punti di rottura”. 37 S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p. 130. 38 Ivi, p.133. 39 Ivi, p.133. 40 Ivi, p.134. 118 Si osserva che nella narrazione degli avvenimenti incorsigli le persone mettono in luce un “evento catastrofico” a partire dal quale leggono la propria storia, un evento che puo’ essere di varia natura: la malattia, lo sfratto, la perdita del posto di lavoro, l’emigrazione, la rottura del nucleo familiare, più o meno gravi, che <<sommati ad altri fattori già esistenti, comportano il rischio che la persona superi la soglia del non ritorno>>41. La possibilità di raccontarsi da parte della persona (ricorrendo all’ascolto dell’assistente sociale) costituisce l’elemento portante dell’intervento prima e quasi più degli interventi pratici. Alcuni autori42 definiscono il raccontare di sé come atto terapeutico, in quanto offre la possibilità di ri-conoscersi, di entrare in contatto, vincendo la paura, con zone fino ad allora inaccessibili di sé. I soggetti intervistati, man mano che riferiscono la propria esperienza, possono fare contemporaneamente anche il punto della situazione: <<una sorta di autoriflessione sul percorso della propria vita>>, e riappropriarsi della loro storia, <<collegando e spiegando i legami tra fatti, luoghi, tempi>>43. Spesso le persone nel raccontare non seguono un ordine cronologico, ma l’ordine logico impresso nella loro mente. Lo strumento della storia di vita si colloca sul piano della rilevazione della dimensione intima della percezione della realtà e della propria identità, e pertanto puo’ aiutare la persona ad invertire e a contrastare la propria rappresentazione che isolamento ed estraniazione dai rapporti significativi siano le migliori soluzioni e ad abbandonare la considerazione della propria vita in termini autoreferenziali. Infatti, <<raccontare la propria vita, presentarsi con una facciata, in pubblico, in privato, nell’intimità, è la base delle relazioni ordinarie>>44. 41 L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p. 29. P. Jedlowsky, Storie comuni: la narrazione nella vita quotidiana, Bruno Mondadori, Milano, pp.110 e ss. e D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina, Milano, 2001, pp. 43 e ss. 43 S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p. 135. 44 J. F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., p. 99. 42 119 <<Gli interventi sociali possono sollecitare gli esclusi a rileggere la propria vita, ad accoglierla, a darle significato anche alle parti peggiori, a quelle più oscure; poi si potrà metter mano ad un nuovo progetto, con possibili scelte di significato e di valore>>45. L’approccio biografico da sempre è in sintonia con i valori del servizio sociale; recentemente è oggetto di approfondimento in quanto metodo di lavoro che permette la ricostruzione delle carriere, l’entrare in contatto con la complessità della persona e della sua vicenda, con il suo punto di vista ed il senso che essa dà agli eventi della propria vita. Per il servizio sociale la questione si pone in termini di utilizzo, sia nel rapporto individuale sia nello studio e nella ricerca di servizio sociale. Se il diario cronologico, contenuto in cartella, permette di ricostruire gli eventi, interventi e scambi relazionali a partire dalla presa in carico, rimane esclusa la storia di vita o parte di essa, che la persona in carico racconta al servizio e costituisce uno strumento metodologico molto importante per la comprensione dell’individualità della persona, della sua storia e dei processi in cui è coinvolta. <<Lo strumento proposto per la raccolta delle storie di vita tiene conto , oltre che dell’aspetto diacronico, anche delle diverse carriere, intese come percorso nei diversi ambiti che , seppur collegati, sono distinguibili nell’insieme di ciascuna storia di vita>>46 . Laura Bini, in un intervento47 come docente ospite in un seminario di Servizio Sociale, presso l’Università di Genova, propone lo strumento delle carriere socio-assistenziali, al fine di registrare i passaggi delle persone attraverso i servizi, i loro processi di trasformazione dell’ identità “morale” (riferibile allo sviluppo del sé), ad esempio a seguito di processi di etichettamento, al fine di ricostruire le cartelle delle persone che entrano in contatto con i servizi e le loro storie di vita. 45 46 C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.27. L. Bini, La documentazione di servizio sociale, Carocci, Roma, 2003, pp. 91 e ss. 47 L. Bini, Seminario di studio del 23.05.05, Corso di Laurea in Servizio Sociale, Università degli Studi di Genova, A.A.2004-2005. 120 Si parla di “carriera” per intendere una serie di eventi che segnano un percorso all’interno delle diverse dimensioni della vita, e si distinguono le carriere: familiare, scolastico- lavorativa, abitativa, professionale, sanitaria, socioassistenziale, deviante e morale. Quest’ultima, la carriera morale, riassume la dimensione dell’identità, ciò che noi pensiamo di essere e come gli altri ci definiscono. Una ricerca interessante48 espone il punto di vista della persona senza dimora, la propria percezione di sé. Denota come il processo di destrutturazione della propria identità diventi irreversibile, quando la persona si identifica con il gruppo senza dimora, quando si sente “senza dimora”, facente parte di quella categoria. Puo’ essere interessante studiare e valutare le abitudini e i comportamenti delle persone senza dimora e la loro progressiva identificazione nell’identità di “senza dimora”. È opportuno ricostruire le carriere degli utenti per tentare di riconoscere a quale livello del processo, della carriera morale, si trova la persona in un dato momento, al fine di capire cosa e come l’assistente sociale deve valutare. Si ricorda che una delle principali competenze caratterizzanti l’identità professionale dell’assistente sociale è quella di saper valutare i processi, che nello specifico possono essere processi di vulnerabilità sociale, di crescita e cambiamento o di costruzione dell’identità. Allora possono scaturire domande come “Quanto la dipendenza dell’utente dal servizio crea e determina in esso un depotenziamento, cronicizzazione?” o “Quanto il servizio sociale riflette sul problema?” e si puo’ aprire la strada della riflessività e della auto-valutazione professionale. Nel leggere le storie di vita, si trovano fratture identitarie precedenti all’accesso ai servizi, molto precoci, che hanno significato di fatto nella vita delle persone, etichettamenti molto precoci. Meglio si puo’ comprendere, allora, che di fronte a perdite, più o meno precoci, di legami affettivi da parte della persona, occorre intervenire con la 48 A. Meo, Vite in bilico. Sociologia della reazione a eventi spiazzanti, cit. 121 ricostruzione di un legame affettivo di affiancamento, cioè di una relazione che tiene la persona radicata, la accoglie. Il servizio sociale puo’, quindi, instaurare una relazione che permetta di entrare in rapporto con la sofferenza dell’altro, per aiutarlo a fronteggiare gli eventi nuovi, e infine puo’ riflettere su cosa significhi per la persona assumere l’identità di assistito. IV.4 Studio di caso Propongo lo studio49 del caso di una donna senza dimora conosciuta dal Servizio di Salute Mentale di Genova Bolzaneto. È un caso di cui non mi sono occupata personalmente, ma che mi sembra significativo per illustrare il tipo di rapporto instaurato dalla persona con il Servizio ed il tipo di progetto d’aiuto, intrapreso dal Servizio con la persona, che vede la collaborazione ed il lavoro in rete dei servizi pubblici e del privato sociale, e infine l’intervento nello stesso di più figure professionali. È importante notare come la persona sia stata accompagnata in un percorso di affiancamento che ha richiesto, e tuttora richiede, tempi lunghi e la pianificazione concordata di obiettivi chiari e ridotti. Emerge peraltro l’espressione del bisogno di accettazione, accoglienza e affiancamento della persona per essere aiutata a percorrere con gradualità un processo di maturazione e riscoperta delle proprie capacità e l’acquisizione di una maggiore autonomia. IV.4.1 Analisi della situazione problematica 1. Composizione del nucleo familiare R. vive sola, dopo la separazione dal marito e la morte della madre. R. è nata nel 1946. 49 Raineri, Il Tirocinio di Servizio Sociale, Angeli, 2003. 122 Si è sposata nel 1980; si è separata e il marito si è trasferito fuori Genova portando con sé i figli avuti insieme. Dopo la separazione, ha vissuto con la madre fino alla morte di lei, nel 1988. Dopo quel momento è finita per strada; per alcuni anni R. è andata incontro ad un progressivo degrado psico-fisico con aggravamento della tendenza all’abuso alcolico e la progressiva deriva sociale. La paziente per molti anni ha vissuto senza fissa dimora, riuscendo a sopravvivere grazie alla prostituzione. 2. Anamnesi Dal 1991 è stata seguita dal Centro di Salute Mentale di Via Peschiera a seguito di una diagnosi di psicosi cronica. Gli interventi a suo favore disposti dal CSM sono stati prevalentemente di natura socio- assistenziale: -avvio della pratica di riconoscimento di invalidità civile -presentazione della domanda di alloggio popolare -erogazione di un sussidio economico continuativo utilizzato per il pagamento dell’affitto dell’alloggio assistito dell’Associazione San Marcellino, in cui R. ha vissuto dal 1997 al 2000. Inoltre sono stati disposti ricoveri ospedalieri per problemi di ordine internistico e, a periodi, terapia farmacologica. R. manifesta depressione, diabete, obesità, ipertensione. È stata presa in carico ed aiutata attraverso sussidi e terapie. Ha sempre sofferto di depressione alternata a momenti di euforia legati all’abuso di alcol e accompagnati da episodi violenti contro sé e gli altri. Episodicamente si sono verificate crisi d’ansia con timore da parte della paziente di perdere il controllo dei propri impulsi e manifestazioni autolesive, che peraltro non hanno comportato ricovero in ambito specialistico. Su invio del C.S.M. di Via Peschiera, è stata seguita dal 1992 dall’Associazione San Marcellino, presso la quale dopo un lungo periodo di vita marginale, senza dimora, ha ottenuto la residenza anagrafica. 123 R. ha sempre fatto riferimento all’Associazione San Marcellino per il sostegno a problemi economici e per temporanei alloggiamenti. Progressivamente ha ridotto notevolemente il consumo di alcol, grazie al sostegno e la partecipazione ad un Club Alcolisti in Trattamento, e ha creato con gli operatori del Centro d’ascolto di San Marcellino e del CSM rapporti affettivi sempre più intensi. La ricomparsa periodica di un ex convivente, che la convinceva a tornare a vivere con lui, instaurando un rapporto di forte dipendenza e ricatto affettivo, comportava periodicamente l’interruzione dei rapporti con i servizi di riferimento e solitamente comportava nella paziente un blocco dell’autonomia, che la rendeva incapace di occuparsi anche di atti molto semplici, come la pulizia di sé. Tale relazione determinò il fallimento di due inserimenti in alloggio protetto, nonché la sottomissione della donna a violenze e maltrattamenti, per cui spesso veniva picchiata e cacciata di casa improvvisamente. Nel 1997 dopo l’ultimo episodio di violenza, R. è stata reinserita con successo in un alloggio assistito. Ciò ha posto termine ad un lungo periodo di precarietà alloggiativa e, unitamente al superamento della dipendenza alcolica ed a uno stile di vita più equilibrato, ha consentito il raggiungimento di un discreto compenso psichico. Dal 1994 circa ha interrotto l’uso di sostanze alcoliche ottenendo un discreto miglioramento delle condizioni psico-fisiche (pur in presenza di diabete, per cui è seguita da specialisti). Nel 1999 le è stata assegnata una casa del Comune, in cui si è stabilita definitivamente nel febbraio 2000, fissando lì la propria residenza anagrafica. L’associazione San Marcellino costituisce per la paziente da anni un punto di riferimento solido e importante, e che anche dal punto di vista pratico continua a svolgere un ruolo fondamentale ( ritiro e gestione del sussidio assegnato alla paziente, pagamento affitto e bollette, aiuto e disbrigo pratiche varie), sostegno e contenimento per affrontare i problemi quotidiani. Frequenta il centro diurno, l’area dell’animazione. Mantiene con l’amico ex convivente rapporti corretti ed amichevoli, pur sapendo che è preferibile non coinvolgersi troppo. 124 Nel 26/11/00 viene segnalata al Centro di Salute mentale di Bolzaneto per una presa in carico globale. 3. Richiesta iniziale Il caso è stato segnalato dal C.S.M. di Via Peschiera a causa del trasferimento di competenza territoriale, dovuto all’assegnazione di un alloggio popolare a Bolzaneto e al contestuale cambio di residenza anagrafica. Motivo dell’urgenza è che la signora preferisce ricevere un sussidio dal CSM. Richiede una pensione ed un lavoro. Infatti si ritiene che il problema dominante sia quello economico. La diagnosi psichiatrica iniziale è psicosi cronica, turbe dell’umore, tratti borderline di personalità, pregresso alcolismo. Tali condizioni comportano la totale incapacità della paziente di svolgere un’attività lavorativa. Di conseguenza, oltre ad un sostegno psichiatrico, la paziente necessita di un intervento sociale. L’aspettativa principale del segnalante che si è rivolto al servizio è il mantenimento della collaborazione con l’Associazione San Marcellino, che da anni accompagna la persona e gestisce la sua situazione. 4. Assessment o valutazione iniziale Le informazioni sono state raccolte dalle seguenti fonti: il segnalante (C.S.M.), utente e altri operatori di servizi sia pubblici che privati, nella documentazione rilevata nella cartella clinica. Infatti la donna da lungo tempo è seguita sia dall’Associazione San Marcellino sia dal Centro d’ascolto di Bolzaneto. Tali servizi da anni collaborano e lavorano in rete per sostenere la complessa situazione della paziente. 125 IV.4.2 Analisi del progetto di aiuto Valutata la situazione, si decide la prosecuzione dell’intervento di rete, già avviato, che coinvolge oltre il CSM anche San Marcellino, agenzia privata che si occupa specificamente di persone senza dimora, il Distretto Sociale di Bolzaneto e numerosi altri enti di carattere privato. Il progetto prevede: -intervento socio-assistenziale: in cui sono coinvolti le strutture: mensa a Pontedecimo, Centro d’ascolto di Bolzaneto -intervento socio-riabilitativo: in cui sono coinvolti l’Associazione San Marcellino; il Comune per la sistemazione alloggiativa grazie all’assegnazione di una casa -intervento terapeutico: CSM e Medicina di base. Il Centro di Salute Mentale di Bolzaneto opera attraverso la presa in carico da parte di un équipe multiprofessionale, composta dall’assistente sociale, che gestisce gli interventi di natura sociale, previdenziale e assistenziale, il medico psichiatra e l’infermiere che si occupano rispettivamente della terapia farmacologia (trattamento con ansiolitici ed antidepressivi) e della sua somministrazione. Una causa di sofferenza per la paziente è la solitudine; per questo si ritiene necessario il mantenimento del legame positivo e stabile che la paziente è riuscita a stabilire con il Centro di Salute Mentale. Si ritiene inoltre importante proteggere l’equilibrio raggiunto e i progressi ottenuti nel corso degli anni. La paziente non fa più uso di alcolici e dopo anni di vita senza dimora, da lungo tempo mantiene e gestisce autonomamente una propria abitazione. Si ritiene necessario ed importante il sostegno comune, in modo che la paziente possa mantenere le significative mete raggiunte. Rispetto al problema economico, la signora viene dichiarata permanentemente inabile al lavoro pertanto percepisce una pensione di invalidità civile con cui vive. 126 Nel 2003 è sottoposta ad ordine di carcerazione per espiare la pena conseguente a furto aggravato risalente al 1995, ma viene infine sottoposta con buon esito alla misura alternativa di affidamento al Servizio Sociale , attraverso cui si presume la sua risocializzazione. È interessante notare che per tale frangente di intervento il Servizio Sociale professionale è chiamato ad esercitare una funzione di controllo sociale, in quanto, tra le prescrizioni imposte dalla misura sanzionatoria rieducativa, è prevista anche la prosecuzione del programma terapeutico e socio-riabilitativo stabilito dal DSM, nonché il mantenimento costante ed adeguato del rapporto con il Centro di Salute Mentale e l’Associazione San Marcellino. Pertanto l’assistente sociale è tenuta a mantenere i rapporti con il Centro di Servizio Sociale Adulti del Ministero di Giustizia, ed esercitare una funzione di agente della risocializzazione e rieducazione in campo penitenziario. Altro intervento terapeutico interno al Servizio è l’accesso alle risorse terapeutiche e riabilitative del servizio, come un Gruppo per donne. Elaborazione personale La paziente ha un passato di grande sofferenza, la perdita degli affetti e l’allontanamento dei figli, l’abuso di alcol, la vita in strada. Ritengo che abbia fatto grandi progressi, e che necessiti di legami affettivi stabili, che trova con gli operatori del servizio di salute mentale e gli altri enti che si occupano di lei. È necessario continuare affinché oltre al mantenimento delle mete raggiunte si possano raggiungerne altre da individuare durante il processo d’aiuto. La paziente ha acquistato nel tempo la capacità di considerare dimora un alloggio; progressivamente è stata riabilitata ad alcune capacità e risorse, che erano state sommerse, come la cura di sé e della sua immagine, e competenze quali il provvedere al farsi da mangiare o prendersi cura di una casa. Tali traguardi sono particolarmente significativi, tenuto conto della certificazione medica, da cui si evince un quadro di grave compromissione della 127 salute mentale presentata dalla signora e peggiorata nell’ultimo anno dal 2004 al 2005. Dal diario cronologico compilato dagli operatori del CSM di Bolzaneto emerge che la donna in talune occasioni si presenta al servizio << arrabbiata, in collera, rivendicativa>>. I medici scrivono che è <<disforica>>, ansiosa. Si ritrova l’atteggiamento di clamorosità tipico di alcune persone senza dimora: si manifesta con urli, proteste, aggressività verbale. Nonostante tutto, si comprende comunque che la persona riesce ad avere una relazione duratura non solo con gli operatori del CSM ma anche con altri servizi. Aumenta la sua affezione, riesce ad esprimere alcuni sentimenti come il senso di solitudine. Emerge l’ampia reticolazione della rete di sostegno cui la persona puo’ riferirsi, con cui i rapporti si sono consolidati nel tempo. A mio avviso, il processo d’aiuto è andato a buon fine perché si è costituita negli anni una forte rete di sostegno attorno alla persona. Grazie alla possibilità di interloquire con più soggetti operanti in rete ed ottenere sempre più consapevolezza dei propri bisogni e dei propri progressi,o anche delle regressioni, la persona ha probabilmente potuto riappropriarsi progressivamente della propria esperienza, darle valore, dare unità e continuità ai suoi bisogni, rileggere la propria storia di vita ed aprirsi ad una nuova capacità di progettare la sua vita a più lungo termine. Ciò è stato possibile anche grazie alla possibilità di accedere a più servizi, che hanno saputo dare nel tempo un continuo sostegno e contenimento per affrontare i problemi , e interloquire con diversi operatori, che la riconoscono e la aiutano a riconoscersi, e con i quali progettare piccoli passi. Coping è la capacità di fronteggiamento degli eventi della vita, che comporta una ridefinizione dell’identità. Per <<fronteggiamento o addattamento attivo>> si intende <<l’insieme dei modi e delle strategie con cui gli individui reagiscono e si adattano alla situazioni 128 difficili in cui si imbattono>>50. Tale capacità di coping è connaturata all’essere umano e costringe a ridefinire, ristrutturare la nostra identità. Se l’identità è riconosciuta socialmente, le fatiche richieste alla persona sono minori. La persona “vulnerata”, che presenta una capacità di fronteggiamento sopita o ridotta, puo’ ottenere risultati positivi dal coping di rete, innanzitutto come base di condivisione del problema e successivamente come strategia di risoluzione dello stesso. È importante sottolineare la funzione dell’autostima come risorsa principale per attivare strategie di coping. Con la crescita dell’autostima, l’immagine positiva di sé e delle proprie capacità, che viene rimandata in una dimensione relazionale, la persona puo’ attivarsi a superare alcuni problemi. Punti forti della relazione d’aiuto e dell’atteggiamento professionale sono: la capacità di trovare un punto di partenza e un obiettivo minimo comune al fine di permettere l’attiva collaborazione della persona, la continuità, l’accompagnamento sociale, il rispetto dei tempi della persona e la contrattazione continua rispetto ai singoli microprogetti, ai singoli compiti in funzione del raggiungimento di mete che la persona ritiene soddisfacenti per sé. La relazione interpersonale con l’operatore costituisce lo strumento principe dell’intervento d’aiuto in quanto puo’ ridurre le difese regressive e di ritiro della persona e costituire un’esperienza positiva tesa a favorire la capacità di rapportarsi positivamente ed integrarsi con altri. Nel caso studiato, si è potuto registrare un buon esito nella capacità degli operatori di istaurare una relazione di fiducia, e della paziente di aprirsi alla relazione stessa, nonostante le sue difficoltà connesse al disturbo psichiatrico di personalità. I pazienti che soffrono di questo tipo di disturbi utilizzano spesso meccanismi di difesa primitivi, in special modo quelli della scissione e della proiezione. Dividono nettamente la persone e le cose in buone e cattive. Se tutti i rapporti sono impostati su questo tipo di divisione , la persona non riuscirà a seguire un percorso sufficientemente stabile ; per esempio prima o poi si sentirà , a torto o a ragione, non accettata o 50 Meo A., Vite in bilico, cit., p.4. 129 non soddisfatta nelle sue richieste e allora abbandonerà il posto di lavoro, per cercarne un altro in cui tutte le sue aspettative potranno essere soddisfatte. Anche i rapporti personali e familiari non potranno avere una sufficiente stabilità e continuità. Anche la dispersione dell’identità, tipica del disturbo borderline, rende problematica la continuità delle relazioni umane e la capacità del soggetto di dare continuità ai suoi impegni. Il soggetto che non ha un nucleo della personalità abbastanza stabile andrà incontro a delle oscillazioni piuttosto pesanti tra il senso di autostima e quello di frustrazione sia nell’ambito delle relazioni affettive che in quello lavorativo. Reggere un’attività lavorativa, reggere un rapporto affettivo sarà, per il suo precario equilibrio psichico, molto difficile. Le persone che soffrono questo tipo di disturbo quando vivono una difficoltà invece di attendersi un aiuto dall’esterno si aspettano un rifiuto ancora peggiore. Per questo probabilmente quando si rapportano con un servizio o con una persona con cui dovrebbero instaurare una relazione d’aiuto, queste persone attivano dei comportamenti contraddittori che sono da una parte richiesta d’aiuto, dall’altra di rifiuto. (…) Sono persone che spesso nell’infanzia hanno vissuto un conflitto tra la necessità di chiedere aiuto e il fatto di venire maltrattati. Il genitore di solito era malato o depresso o alcolista o disturbato o violento, per cui la persona da cui si voleva ricevere aiuto di fatto era quella che creava problemi51. Quando la persona gravemente emarginata sia disposta ad aprirsi ad una relazione interpersonale significativa con una persona che si candida ad offrirle aiuto, si da avvio ad un percorso indeterminato nei suoi obiettivi, esiti e modalità. Sono le persone coinvolte a determinarlo, strada facendo, con il necessario collegamento iniziale, un punto minimo di contatto da cui partire, attraverso la condivisione continua degli obiettivi da raggiungere e la contrattazione sul progetto. Occorre rispettare la gradualità dei tempi dell’intervento, e considerare ciò che la persona puo’ vedere come compito finalizzato al raggiungimento di un obiettivo, per il superamento di un problema che sente come suo. Il tipo di aggancio è spesso legato ai bisogni primari impellenti che spingono la persona e affievoliscono gli aspetti patologici e i sintomi, che si evidenziano spesso solo in un momento successivo. All’operatore sono richieste pazienza e capacità di attesa. Ai ritorni del paziente, che spesso dopo un primo contatto scompare per ripresentarsi solo successivamente, è necessario presentare un atteggiamento di non chiusura, senza pressioni, senza rigidità o al contrario eccesso 51 F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., pp. 107 e ss. 130 di concessioni. Il rapporto istituzionale va sperimentato a piccole dosi, ad esempio nel dare appuntamenti e nel chiederne il rispetto. È importante anche il rispetto della “privacy” con persone che ormai sembrano solo “pubbliche”. (…) Il rapporto inizia quando si arriva ad una situazione di non belligeranza da ambo le parti, trovando quindi una base comune di intesa, un punto di partenza che trovi d’accordo operatore e persona nel riconoscimento di un obiettivo minimo comune e di una risorsa esistente su cui ognuno è disposto ad impegnarsi52. 52 L. Ferrannini, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora: interventi psichiatrici e di salute mentale, cit. 131 CONCLUSIONI Negli anni si è modificato il tradizionale concetto di povertà e si è passati da una lettura del fenomeno esclusivamente legata a difficoltà economiche, fino ad una progressiva considerazione del rischio di esclusione sociale per problematiche relazionali e di disagio sociale. Oltre alle persone che si trovano nella condizione di essere effettivamente escluse, sono in aumento continuo quelle che sono in un’area definita da Robert Castel di “vulnerabilità”, e pertanto sono a rischio di diventare senza dimora. Non appartengono ad una categoria specifica, ma hanno provenienze sociali e familiari diverse. Il problema si pone con particolare evidenza per un sistema di welfare che non sempre riesce a garantire una risposta adeguata a tutti i cittadini e spesso non raggiunge le persone che vivono in condizioni di marginalità ed hanno difficoltà a far valere i propri diritti di cittadinanza. Pertanto l’apparato normativo-istituzionale, che in Italia è costituito prevalentemente dalla Legge quadro 328/2000, accoglie necessariamente una nuova e più ampia definizione del bisogno dei cittadini. La categoria della “povertà” non offre una visione dinamica del bisogno. E’ necessario adottare l’ “esclusione sociale” quale dimensione dinamica e temporale del bisogno che consente di vedere attraverso quale percorso si perviene alla situazione di disagio, a partire da quale contesto e a seguito di quale evento. L’esclusione sociale risulta da un processo che vede il cumularsi di eventi e circostanze che si risolvono in uno stato di isolamento e di estraniazione che, per incapacità di reazione, dura nel tempo interessando anche più generazioni. Si distinguono tre ambiti in cui generalmente si produce esclusione sociale: -quello della reciprocità e della socialità (indebolimento delle famiglie, invecchiamento, individualismo) -quello del lavoro (fattore di reddito, ma anche di identità e di ruolo sociale) 132 -quello del welfare, ossia dei servizi, che spesso sono poco accessibili socialmente e culturalmente e sono poco appropriati verso i bisogni e le strategie dell’utente. (…) I processi di esclusione sociale possono essere letti alla luce di tre fattori: -condizioni di partenza, cioè risorse, capacità di utilizzarle e mobilitarle -eventi problematici sopravvenienti, il cui impatto dipende da quantità, intensità, ritmo con cui si presentano -strategie di fronteggiamento/ risposte: le strategie familiari evidenziano la capacità di riorganizzare ruoli e rapporti e la capacità di accedere a risorse esterne (rete familiare, amicale, dei servizi), dipendente dai modelli culturali di riferimento1. Tale definizione, che accentua la multidimensionalità del disagio delle persone emarginate gravi e la rileva nei suoi aspetti processuali, permette di occuparsi della dimensione più intima e personale che caratterizza le povertà urbane estreme. È opinione ormai diffusa fra gli studiosi epidemiologi e clinici che le persone senza dimora non si trovano a vivere sulla strada né per una libera scelta individuale, dettata dal rifiuto delle costrizioni della società, né per loro particolari caratteristiche psicopatologiche. L’eventuale presenza nel soggetto di una patologia psichiatrica puo’ essere sia un fattore causale sia una conseguenza della vita senza dimora stessa. Attualmente si ritiene che un percorso a spirale discendente, attraverso la successiva rottura dei punti familiari e sociali, porti al progressivo isolamento e ritiro, fino al punto di rinunciare a chiedere attivamente qualsiasi forma d’aiuto. Alcuni studiosi introducono il concetto di processo di decomposizione e abbandono del Sé e lo attribuiscono al percorso esistenziale delle persone senza dimora. Esso coincide con il progressivo restringimento relazionale del soggetto, la perdita progressiva della propria identità e lo slittamento continuo, impercettibile e talora irreversibile verso un’ identità altra, senza dimora, connesso all’abbandono di qualunque motivazione, inclusa quella alla vita. 1 D. Mortello, Il sistema integrato di interventi e servizi sociali: le nuove politiche sociali, in Modulo Assistenza e Servizi Sociali, materiale di supporto al Corso di Politica Sociale, cit., pp.7 e s. 133 Solo un intervento che si struttura sulle risorse comunitarie, sul tessuto sociale e la collaborazione attiva di più soggetti, è in grado di modificare la situazione senza dimora, che difficilmente puo’ incentrarsi sul cambiamento a livello individuale. Le politiche sociali, che prevalgono a livello locale, a favore delle povertà estreme sono il perseguimento di una politica di rete e la gestione di un sistema di welfare mix basato sulla collaborazione delle agenzie pubbliche e private, affinché la persona possa essere sostenuta da una rete di soggetti disposti ad instaurare con essa una relazione d’aiuto. È molto importante che il lavoro integrato sia supportato da un progetto comune, predisposto dal Servizio, che prende in carico la persona, e condiviso dalle diverse agenzie, che la accompagnano , al fine di tutelare la centralità della persona e la globalità dell’intervento d’aiuto. La risorsa principale di tale sistema è la garanzia per la persona di una pluralità di accessi, in modo da non determinare la costruzione di relazioni eccessivamente totalizzanti e generatrici di dipendenza, che la persona potrebbe non essere in grado di sostenere. Bisogna rivalutare la centralità della persona e considerarla non solo come portatrice di bisogni, bensì come individuo unico, rispettando la sua specificità ed il suo modo di interagire con il mondo esterno. Sono necessari interventi specifici, diversificati, che puntino sull’accompagnamento sociale, per favorire gradualmente il reinserimento ed il recupero delle capacità personali e di relazione del soggetto. L’intervento professionale dell’assistente sociale si colloca nella dimensione dell’affiancamento, che presuppone l’abbandono di aspettative di risultato a breve termine, e si costruisce nella relazione interpersonale con la persona, esercitando soprattutto le tecniche dell’ascolto e dell’accoglienza, e sviluppando un intervento centrato sull’utente, mirato a valorizzare le sue risorse e potenzialità di dare una soluzione al proprio problema. Le aspettative dell’assistente sociale possono essere minime, partendo da obiettivi ridotti per poi riscoprire via via le potenzialità del soggetto. 134 Gli obiettivi iniziali partono necessariamente dalla sopravvivenza della persona per poi procedere alla riacquisizione dei diritti fondamentali di individuo e al recupero della dignità umana, nonché progressivamente al soddisfacimento del più inespresso bisogno di socialità e relazione. Si differenziano i contesti operativi, dove possono essere perseguiti obiettivi differenti, all’interno dei quali tuttavia l’assistente sociale favorisce processi di inclusione sociale e tenta di promuovere un sistema di cambiamento, puntando prevalentemente sulla dimensione comunitaria, piuttosto che sulla possibilità e la capacità di rinnovamento del singolo individuo. L’intervento professionale perseguito nel Centro di Salute Mentale è un intervento orientato alla riabilitazione. Ho capito che quelle con le persone senza dimora sono situazioni problematiche in cui occorre procedere con cautela, rispettando prima di tutto il punto di vista della persona, la sua necessità di gradualità e di tempi lunghi per maturare una propria consapevolezza del proprio particolare bisogno e problema, e di ricostruzione della sua identità e dignità di uomo. Occorre mettere da parte l’atteggiamento professionale autoriferito alle proprie aspettative e paure e sviluppare piuttosto un atteggiamento meno interventista, che predilige l’ascolto attivo, l’attesa dei tempi necessari alla persona per formulare le proprie richieste, piuttosto che l’erogazione di risposte assistenziali preconfezionate a bisogni predefiniti. Occorre procedere lungo un percorso per nulla predeterminato, cercando un minimo punto di contatto per costruire una relazione di fiducia con la persona e accompagnarla a situazioni di maggiore benessere. La relazione interpersonale diventa lo strumento d’aiuto principale, e in questo caso è molto più difficile da instaurare e mantenere. Pertanto richiede di essere disciplinata più che la relazione con altri utenti. Ma la relazione duale non è sufficiente. L’intervento professionale dell’assistente sociale del C.S.M. si muove parallelamente al lavoro di un équipe formata da altri professionisti, in particolare il medico e l’infermiere, al fine di offrire un tentativo di risposta pluridimensionale e complessa, che si sviluppa su diversi fronti relazionali, e 135 permette agli operatori di confrontare il loro operato su casi complessi, e supervisionarlo costantemente. Le finalità della relazione d’aiuto con la persona senza dimora possono essere riassunte come segue: -essere protagonisti di una lenta riattivazione affettiva e relazionale, primo e necessario passo verso il raggiungimento dei due più avanzati obiettivi seguenti -essere aiutati a “rientrare” o entrare nelle rete dei servizi e riacquisire l’esercizio dei diritti di cittadinanza (ad esempio attraverso l’acquisizione della residenza anagrafica o la stipula di un contratto di lavorativo) -venire gradualmente posti di fronte alla consapevolezza di un proprio disagio psichico -essere aiutati ad applicare e riattivare le funzioni di “memoria-sintesi-progettualità” dei propri percorsi biografici appoggiandosi alle funzioni “memoria-sintesi-progettualità” degli operatori -abituarsi o riabituarsi a coordinate spazio, tempo e “oggetto” costanti, in contrapposizione all’estrema e disorientante mutevolezza di tali varianti fondamentali nella vita sulla strada2. Quale possibilità di cambiamento, dunque? Probabilmente la persona senza dimora vive il cambiamento come una fuga di presenza, una rottura col passato. Ogni volta che si allontana dalla sua storia, interviene un cambiamento di alloggio. Per arrivare nella strada, è stato necessario abbandonare l’ultimo alloggio, degradarlo, chiuderlo o esserne espulso. L’uomo sulla strada ne ha perso o gettato la chiave. L’alloggio nel senso fisico, è anche il quadro in cui si iscrivono tutte le rotture (in particolare con la famiglia). È l’ultima rottura. Ciò che scompare con l’ultimo alloggio sono i mobili, il letto, la sedia, il tavolo, la biancheria, gli utensili della cucina, la porta per separare il dentro e il fuori, è la chiave. L’uomo sulla strada è l’uomo senza chiave. In effetti, l’alloggio non è solamente uno spazio. Implica la socialità (il vicinato), l’intimità, la domesticità. E’ per questo che non è sufficiente ridare un alloggio: bisogna che l’uomo sulla strada ne senta il bisogno, che abbia la capacità di gestirlo3. 2 S. Borghetti, La salute mentale degli homeless: un percorso di psichiatria di strada, in <<Prospettive Sociali e Sanitarie>>, cit., p. 20. 136 La persona ha cumulato una serie di sconfitte relazionali, di adattamenti progressivi di rinuncia, che l’ hanno portata a rinunciare a mete auspicate adattandosi a subire stati di sofferenza e frustrazione. Quali strumenti ha l’assistente sociale per agire sul cambiamento? Innanzitutto l’assistente sociale sostiene il proprio intervento con i valori del servizio sociale, l’ascolto, l’accoglienza e persegue come principali obiettivi autodeterminazione e autonomia nel rapporto diretto con la persona, ma mai tralascia la dimensione comunitaria e l’ambiente in cui è inserito l’intervento d’aiuto, nonché la relazione tra persona e suo ambiente di vita. Pertanto gran parte dell’intervento si sviluppa sul potenziamento della rete e delle sue connessioni attorno alla persona. Occorre operare negli intrecci di relazioni all’interno di una rete, che cambia. Infatti il disagio del singolo non puo’ trovare mutamento né miglioramento finché l’intero carico di tale trasformazione posa prevalentemente sulla sua capacità di cambiare, e finché si adotta l’approccio terapeutico patologizzante, che sostiene che la persona abbia problemi solo suoi e deficit disfunzionali. Tutte le persone implicate in questa interazione vanno modificandosi come sistema. Se il soggetto più disagiato rientra dentro una rete e addirittura questa rete va addensandosi con le caratteristiche del sistema, allora questo sistema, e la persona in esso, hanno nuove possibilità di maturazione. L’approccio dell’accompagnamento sociale capovolge completamente la prospettiva di analisi e lavoro: operatore e persona senza dimora crescono entrambi, entrambi cambiano e intraprendono insieme un percorso, secondo l’adozione di un codice relazionale fraterno, che promuove pertanto la parità e l’affiancamento laterale del soggetto, dimenticando la prospettiva up-down di codici relazionali più tradizionali. 3 J.F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit. ,p.79. 137 È fondamentale per l’assistente sociale condurre un intervento con la persona, dove gli obiettivi siano concordati e le mete condivise, per aiutare effettivamente la persona a individuare le mete che possano comportare per lei il raggiungimento di un benessere autentico. Solo in tale condivisione di senso e significato, la persona puo’ forse recuperare la sua identità . Luigi Gui definisce “problema” la difficoltà a far fronte ad un compito percepito come tale; è dunque essenziale partire dall’obiettivo dell’assunzione di consapevolezza della persona del proprio problema, affinché possano modificarsi successivamente i suoi orizzonti ed essi si possano allontanare dalla ricerca di gratificazione immediata o auto-distruzione, affinché le prospettive di benessere, cioè di equilibrio dinamico fra le parti di sé, siano sempre più congrue alle aspettative più intime e reali. Diventa allora possibile operare con una chance progettuale per il cambiamento dello stile di vita della persona ed un miglioramento della qualità di vita della stessa. 138 BIBLIOGRAFIA AA. VV., Essere barboni a Roma, Labos, Ed. T.E.R., Roma, 1987. Anderson, N., Hobo. Il vagabondo. Sociologia dell’uomo senza dimora, Donzelli, Roma, 1997. Ardigò, A., Crisi di governabilità e mondi vitali, Cappelli, Bologna, 1980. 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Grazie a Sr. Hind e Sr. Annamaria, a Don Marino e a Don Fra. E poi grazie a tutte le persone che ho incontrato in questi anni, Anna V., Ilaria, Marina, Ilde, Giada, Alberto e Nicoletta, Claudio Risso, le amiche della biblioteca, Paola, Manuela, Alessandra, Francesca, Elena, Francesca e tanti altri. Grazie!