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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE
Tesi di Laurea
OPERARE CON PERSONE SENZA DIMORA IN UN
CENTRO DI SALUTE MENTALE
Relatore:
Dott.ssa Anna BRUZZONE
Candidata:
Valentina MAZZONI
Anno Accademico 2004-2005
INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………………………………………………...p. 1
I. DEFINIZIONE DEL FENOMENO “SENZA DIMORA”………………………………………..7
I. 1 Povertà e povertà estreme…………………………………………………………………………7
I. 2 Dalla nozione di povertà a quella di esclusione sociale………………………………………….11
I. 3 La persona senza dimora…………………………………………………………………………13
I. 3.1 Definizione: dalla nozione di senza fissa dimora a quella di persona senza dimora….13
I.3.2 Povertà come processo e <<traiettorie biografiche>>. Alcune parole- chiave per l’analisi
del fenomeno………………………………………………………………………………….15
I. 4 Per una lettura del fenomeno: dalla teoria del rientro ad una ipotesi di microfratture…………..25
II. PERSONE SENZA DIMORA E SERVIZI SOCIALI…………………………………………..28
II.1
Rapporto
tra
le
persone
senza
dimora
e
i
servizi
sociali:
problemi
d’accesso……………………………………………………………………………… ………… …...28
II. 1.1 Due sistemi che non comunicano: incomunicabilità tra sistema dei Servizi e sistema
utente………………………………………………………………………………………….30
II. 1.2 Problema di accesso: area della non cittadinanza……………………………………..31
II. 1.3 Assenza di domanda d’aiuto e decodifica della richiesta……………………………..33
II. 2 Modello di welfare e chiave di lettura delle microfratture……………………………………...35
II. 2.1 Welfare system : quadro giuridico-istituzionale e interventi per le povertà estreme....35
II. 2.2 Welfare mix e sussidiarietà orizzontale……………………………………………….40
II. 2. 3 Aspetti problematici nell’assetto dei Servizi…………………………………………44
II. 2.4 Per una nuova chiave di lettura del welfare system: le microfratture ………………..46
II. 3 Welfare locale: rete dei Servizi per le persone senza dimora nell’esperienza genovese……….53
II. 3. 1 Politiche d’intervento a favore delle povertà estreme a Genova e rete istituzionale….53
II. 3. 2 Il Centro di Salute Mentale come punto nevralgico della rete e tutela della salute
mentale della persona senza dimora…………………………………………………………..59
III. SALUTE MENTALE DELLE PERSONE SENZA DIMORA E IPOTESI DI INTERVENTO
INTEGRATO FRA DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE E SERVIZI PER
SENZA DIMORA NELLA RETE GENOVESE……………………………………….p. 62
III. 1 Persone senza dimora e problemi psichiatrici………………………………………………… 62
III.1.1 Il disturbo psichiatrico tra i fattori di rischio e tra le cause dell’aumento del fenomeno
senza dimora……………………………………………………………………………….…65
III. 2 Il C.S.M. di fronte alla multidimensionalità del disagio della persona senza dimora………..66
III.3 Progetto Senza Dimora del D.S.M. della A.S.L. 3 Genovese…………………………………..68
III.3.1 Primo accesso…………………………………………………………………………70
III.3.2 Presa in carico………………………………………………………………………...72
III.3.3 Quale presa in carico è possibile?…………………………………………………….75
III.3.4 Diagnosi psichiatriche relative alle persone senza dimora……………………………76
III. 4 C.S.M. e lavoro di rete…………………………………………………………………………77
III. 5 Risorse della rete istituzionale genovese……………………………………………………….80
III.5.1 Interviste somministrate ad operatori di tre agenzie sul territorio genovese………….80
III.5.2 Rete integrata dei Servizi per senza dimora sul territorio genovese…………………83
III.5.3 Lettura del sistema di rete: tre fasi nel programma di intervento…………………….93
IV. STRATEGIE
E STRUMENTI DEL PROCESSO D’AIUTO: UN’ESPERIENZA DI
ACCOMPAGNAMENTO SOCIALE……………………………………………………...98
IV. 1 Quale bisogno?………………………………………………………………………………...98
IV.2 Quale intervento? Strategie e strumenti del processo d’aiuto………………………………..101
IV.2.1 L’agire metodologico dell’assistente sociale con la persona senza dimora…………101
IV.2.2 Prima il servizio o prima la persona?………………………………………………..107
IV.2.3 Accompagnamento sociale………………………………………………………….108
IV.2.4 Identità come dimensione di benessere: una prospettiva di costruzione dell’identità
nelle relazioni con gli altri…………………………………………………………………..112
IV.2.5 Coping di rete e globalità dell’intervento d’aiuto…………………………………...115
IV.3 Quale processo? Approccio biografico: la persona e la sua storia di vita…………………….117
IV.4 Studio di caso………………………………………………………………………………….122
IV.4.1 Analisi della situazione problematica……………………………………………….122
IV.4.2 Analisi del progetto di aiuto…………………………………………………………126
CONCLUSIONI……………………………………………………………………………………..132
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………………….139
INTRODUZIONE
Persona senza dimora è quella che a tutti noi capita di incontrare per
strada, mentre vive in uno spazio pubblico come se fosse privato, vi improvvisa
un giaciglio per dormire, vi reperisce le risorse per cibarsi, vi sosta in modo
diverso da come ordinariamente ognuno di noi fa.
Non è facile trattenere lo sguardo su una situazione dalla quale nessuno
puo’ intimamente sentirsi escluso.
A questa persona, apparentemente sotto gli occhi di tutti ma sotto lo
sguardo di nessuno in particolare, è dedicato il presente lavoro.
È colui o colei che ha deciso di rendersi impermeabile ad ogni possibile
relazione o contatto umano e ha ispessito il proprio abbigliamento di più giacche,
sacchetti, coperte, fino a coprirsi ogni lembo di pelle; anzi sotto una coperta ha
deciso di mettersi e non è detto che intenda uscire, allo scoperto dei sentimenti,
che nascono nelle relazioni.
“Persona senza dimora” racchiude un’ampia categoria di uomini e di
donne, che hanno perso un legame di affiliazione con la società e sono passati
progressivamente da una situazione di “vulnerabilità” ad una di désaffiliation, per
dirla col sociologo francese R. Castel.
Ma il tema è serio e grave, perché l’itinerario di rinuncia e chiusura della
persona è lento, sofferente, in discesa progressiva, e conduce alla morte.
L’ultima relazione umana è quella con l’erogatore di servizi ed è uno
scambio solo strumentale, in cerca di una gratificazione in un tempo sempre più
breve, dove scompare qualsiasi aspettativa o progettualità per il futuro.
Come fa, allora, l’assistente sociale ad invertire questo percorso di rotta,
restituire attaccamento alla vita a colui/colei la cui prospettiva esistenziale è
l’autodistruzione?
1
L’iniziale curiosità che ha mosso il mio interesse verso le persone senza
dimora è stata l’esigenza, sentita durante la formazione universitaria, di trovare la
possibile applicabilità dei metodi e degli strumenti del servizio sociale ad un
ambito di intervento particolare. Dopo la partecipazione al Corso di formazione
<<Operare con le persone senza dimora>> promosso dall’Associazione San
Marcellino di Genova, ho riscontrato una profonda congruenza del metodo
utilizzato dall’Associazione con i valori, principi e metodi del servizio sociale, in
particolare per il rilievo dato
ad accoglienza, ascolto, autonomia e
autodeterminazione della persona, e sono rimasta interessata dalla complessa
problematica delle persone senza dimora sul versante più introspettivo, in altri
termini, per la profonda somiglianza dell’identità senza dimora con quella di ogni
uomo, individuando per ogni individuo il medesimo bisogno di socialità
(<<Socius>>) accanto a quello di sussistenza (<<Bios>>).
Durante
l’esperienza
di
Tirocinio
Professionale,
conseguita
nel
Dipartimento di Salute Mentale della A.S.L. 3 Genovese, presso il Centro di
Salute Mentale di Genova Bolzaneto, ho sperimentato un’ avvicinamento più
pratico al problema delle persone senza dimora, partecipando ad alcune riunioni
del Gruppo Senza Dimora del Dipartimento, osservando e conducendo parti di
intervento con una persona senza dimora, seguita dal C.S.M., alloggiata in
sistemazione alberghiera.
Nel lavoro della mia tesi cerco di far convergere gli apprendimenti, le
riflessioni e gli esiti delle sperimentazioni pratiche derivate dalle suddette
esperienze formative. Probabilmente esso costituisce un tentativo di comprendere
le possibilità operative più adeguate con le persone senza dimora, a fronte di
un’esperienza formativa ed operativa come assistente sociale tirocinante, che ha
lasciato in me numerosi interrogativi, incertezze e talora anche un senso di
frustrazione rispetto all’aspettativa professionale di ottenere il feed-back di un
buon esito dall’intervento d’aiuto.
Ho voluto considerare l’intervento professionale dell’assistente sociale
all’interno di un determinato contesto operativo di riferimento, scegliendo il
C.S.M., il servizio sanitario pubblico territoriale, che si occupa della tutela della
salute mentale dei cittadini.
2
Peraltro ho introdotto alcuni interrogativi sulla possibilità della psichiatria
di comunità di occuparsi delle persone senza dimora.
Al problema complesso occorre dare una risposta necessariamente
complessa. Pertanto ho tentato di rispondere alla domanda sulle possibilità
operative del Servizio Sociale professionale usando tre prospettive trasversali al
lavoro dell’assistente sociale con persone senza dimora:
1) gli strumenti e i metodi
2) il lavoro di rete ( tentando l’elaborazione personale di uno studio di
come funziona la rete istituzionale genovese di sostegno alla persona senza
dimora, quali soggetti comprende, in particolare le agenzie deputate e il
Dipartimento di Salute Mentale, e la costruzione e proposta di una ricognizione
delle risorse esistenti)
3) infine, il confronto con l’operatività di altri professionisti, che lavorano
in équipe con l’assistente sociale nel progetto d’aiuto per la persona.
Ho cercato dunque di inquadrare il lavoro dell’assistente sociale in un
contesto operativo progressivamente più ampio: il Servizio, la comunità e quindi
la rete, il territorio, il Welfare State.
Andando ad analizzare più nello specifico i contenuti dei singoli capitoli
della tesi, occorre evidenziare una <<circolarità tra la definizione del fenomeno,
gli strumenti di misurazione e le linee di politica sociale messe in campo, nello
studio delle persone senza dimora>>1, nonché le modalità e strategie di
intervento.
La chiave interpretativa da me adottata per analizzare il fenomeno è la
teoria delle “microfratture”, cioè un approccio che considera i progressivi
slittamenti di senso, le rotture biografiche che interessano la personalità nei suoi
livelli psichico e sociale, che conducono la persona alla deriva e all’esclusione
sociale, e possono essere letti nelle singole biografie individuali e studiati, dal
punto di vista sia sociologico che professionale, tramite approccio biografico, con
un metodo di ricerca empatico e non intrusivo.
1
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi, G. Pieretti, a cura di, Servizio Sociale e povertà estreme. Accompagnamento sociale
e persone senza dimora, Angeli, Milano, 2003, p.66.
3
Tale approccio risulta buono per prospettare possibili politiche di welfare
e di intervento professionale.
Le povertà urbane estreme costituiscono un nuovo tema emergente ,
specifico delle società ad alto livello di industrializzazione e di crescita, proprio
perché prodotte da una dilagante condizione di frattura ed uscita dai tradizionali
percorsi di vita.
I sistemi di welfare hanno una difficoltà comune a cogliere le specificità
delle forme e dei percorsi delle stesse in ambiti urbani complessi.
Per alcuni si tratta di un fenomeno prevalentemente urbano, legato al
processo di urbanizzazione, poiché << nelle città le reti di solidarietà tendono a
dissolversi più velocemente e la sopravvivenza del povero diventa competenza
dell’intera città>>2.
Nel Capitolo I, spiego cos’è il fenomeno “senza dimora” e come si puo’
descrivere e comprendere nella società odierna.
Innanzitutto occorre distinguere le povertà estreme dalla povertà: si tratta
di due problematiche diverse che richiedono quadri teorici, metodologie e
strumenti di lettura, nonché interventi di welfare completamente differenti.
Le
povertà
estreme
possono
essere
rimandate
al
concetto
di
<<individualismo negativo, in cui la povertà si combina con la mancanza di
significativi legami sociali, anche se non esistono solide prove empiriche di un
nesso causale di questo genere>>3.
All’uomo sulla strada manca la possibilità di confrontarsi, confermarsi e
riconoscersi nella relazione reciproca, di dare e ricevere in scambi di reciprocità e
di sentirsi partecipe in una dimensione di socialità.
Nel Capitolo II mi soffermo ad analizzare come possono rispondere i
Servizi Sociali al bisogno delle persone emarginate gravi, introducendo il tema
della collaborazione fra servizi pubblici e privati e delle differenti modalità di
accoglienza proposte, rispetto alle possibilità di accesso delle persone.
2
P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa,
Angeli, Milano, 1995, p.37.
3
R. Castel, Les métamorphoses de la question social. Une cronique du salariat, Paris,
Fayard, 1995.
4
<<Il problema che la povertà urbana estrema pone alle istituzioni deputate
al suo trattamento è sempre il medesimo nel tempo: definirla da un lato e
dall’altro prenderla in carico>>4.
Tale difficoltà di “presa” si ravvisa sia nella definizione del fenomeno che
nell’operatività professionale, nel tentativo di trovare delle strategie di metodo per
operare con utenti non-utenti, che ricercano e rifuggono l’aiuto al tempo stesso,
spesso non accedono al servizio e restano “invisibili”.
<<Le istituzioni, pubbliche o private, rifiutano una presa in carico troppo
pesante, perché non vi è presa: l’uomo sulla strada si sottrae, la sua cattiva volontà
è evidente. Non vuole l’inserimento sociale che gli viene proposto>>5.
Pertanto occorre sperimentare politiche di welfare che non richiedano alla
persona senza dimora di <<rientrare>> in parametri di normalità, ma propongano
soluzioni alternative, volte a salvaguardare non solo le condizioni materiali del
soggetto, ma anche ad intervenire in aspetti della sfera psichica e sociale per il
contenimento del processo di abbandono della propria identità e di ogni
motivazione di vita .
Il Capitolo III tratta di come puo’ rispondere al problema delle persone
senza dimora il contesto operativo professionale del Dipartimento di Salute
Mentale della A.S.L. 3, considerato nel più vasto tessuto connettivo della rete
istituzionale
genovese; e di quale rapporto è possibile realizzare tra servizi
(istituzionali) ed associazioni e volontariato (welfare community).
Interrogativo comune a molti è se le persone senza dimora siano sulla
strada a causa di un problema psichiatrico.
Ciò che è bene affermare è che <<le persone senza dimora non sono
malate di mente, la loro condizione non va considerata semplicisticamente come
un effetto di una patologia psichiatrica, anche se una percentuale risulta
effettivamente portatrice di disturbi psichici>>6.
4
M. Foucalt, Storia della follia, Rizzoli, Milano, 1977 (citato in M. Bergamaschi,
Immagine e trattamento delle povertà estreme in una prospettiva storico-sociale, in P. Guidicini,
G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., p.36).
5
P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in
Europa,cit., p.88.
6
F. Pezzoni, G. Lucchini, Persone senza dimora e malattia mentale. Bisogni e servizi, in
<<La Via del Sale>>, II-1, 1998, p.69.
5
Il C.S.M. si configura, quindi, come un punto nevralgico della rete e del
programma di intervento integrato con le agenzie deputate all’aiuto delle persone
senza dimora, affrontando la multidimensionalità del disagio di queste e
orientando l’intervento alla globalità e centralità della persona.
L’interrogativo che resta aperto è se la psichiatria di comunità, che
comprende assistenza a lungo termine, de-istituzionalizzazione, servizi orientati
sui bisogni, promozione dei diritti e dell’ empowerment, e lotta allo stigma, sia in
grado di occuparsi delle persone senza dimora.
Concludo, nel Capitolo IV, con lo studio di un caso, conosciuto dal C.S.M.
di Genova Bolzaneto.
Il caso scelto è significativo e puo’ esemplificare la buona riuscita
dell’intervento professionale dell’assistente sociale con la persona senza dimora
con problemi psichici.
Pur non avendo condotto l’intervento in prima persona, individuo come
puo’
operare
l’équipe
multiprofessionale
del
C.S.M.
nel
progetto
di
accompagnamento sociale e nel coping di rete, in collaborazione con le altre
agenzie deputate, e quali sono le risorse in campo: la persona con la specificità
della sua situazione ed esperienza.
Ringrazio tutti i professionisti, e non, del servizio sociale, che hanno
contribuito al completamento del mio lavoro, suggerendomi preziosi spunti di
riflessione, in particolare Anna Bruzzone, Cristina Lodi, Franca Pezzoni, Danilo
De Luise, Gabriele Verrone e infine gli operatori, che hanno concesso di essere da
me intervistati per il reperimento di informazioni all’interno di un’attività di
ricognizione delle risorse della rete genovese, e sono Valeria Bracco, assistente
sociale presso l’Unità Operativa Cittadini Senza Territorio del Comune di
Genova, Umberto Sante, operatore del Centro d’ascolto Monastero della
Fondazione Auxilium-Caritas Diocesana, e
Francesco Giovenco ed Edoardo
Prandi, operatori presso il Centro d’ascolto dell’Associazione San Marcellino.
Concludo ringraziando R., alla cui storia di vita mi sono ispirata per
elaborare lo studio di un caso.
6
I.
DEFINIZIONE DEL FENOMENO “SENZA DIMORA”
Definire cosa si intende per persona senza dimora è la prima scommessa
per impostare un possibile lavoro teorico e operativo.
La condizione di senza dimora è difficile da capire perché ognuno forse ha
già idea di cosa si sta parlando e normalmente viene in mente l’immagine di colui
o coloro che i mezzi di informazione chiamano barboni, clochard, sans abrì,
senza fissa dimora, homeless.
Essi sono solo alcuni dei nomi comuni coi quali viene designato un
fenomeno di difficile comprensione e difficilmente esprimibile in una categoria
omogenea.
Per inquadrare il fenomeno mi ispiro innanzitutto alla letteratura
sociologica che si è interrogata sui concetti di povertà ed esclusione sociale.
L’attuale globalismo ed il superamento di una società salariale, che
inducono una sempre crescente diffusione di disoccupazione trasversale a tutti gli
strati della popolazione, hanno condotto un sempre crescente numero di persone,
non protette né sostenute , in condizione di isolamento.
Questo nuovo <<individualismo negativo>>1 di massa è caratterizzato
dall’indebolimento delle reti di socialità: un numero crescente di individui si
trova esposto ad una condizione di vulnerabilità2.
Si delinea un “uomo complesso”, le cui situazioni e caratteristiche sono di
sempre più difficile lettura.
I.1 Povertà e povertà estreme
Povero è chiunque abbia bisogno dell’altrui aiuto, sia di tipo materiale, che
nell’anima. Tale semplice definizione rinvia ad una prima distinzione.
1
R. Castel, Les métamorphoses de la question social. Une cronique du salariat, Paris,cit.
C. Francesconi, “Segni” di impoverimento. Riflessioni socio-antropologiche sulla
vulnerabilità, Angeli, Milano, 2003.
2
7
Il sociologo Achille Ardigò ha condotto un’indagine sulla povertà, nel cui
saggio introduttivo compie una importante distinzione fra <<povertà materiali>>
e <<povertà simbolico esistenziali>>3.
Le povertà materiali sono le povertà economiche, le quali vanno distinte a
loro volta in <<povertà assoluta>> e <<povertà relativa>>.
La povertà materiale assoluta designa la difficoltà o impossibilità di
riprodurre la vita materiale.
La povertà relativa si definisce invece per rapporto alla media dei redditi
individuali o familiari; non rinvia più alla radice semantica del termine stesso ,
bensì a problemi di distribuzione o redistribuzione delle risorse economiche e in
particolare dei redditi.
Secondo l’analisi del sociologo e ricercatore Giovanni Pieretti4, in Europa
sino a prima della seconda guerra mondiale il concetto prevalente di povertà era
quello di povertà assoluta, come la condizione di impossibilità dell’individuo di
poter provvedere da se stesso alla sua sussistenza materiale (si ragionava allora
sull’identificazione di un pacchetto di beni di primissima necessità,
che
servissero per riprodurre la vita materiale ).
I welfare systems nacquero a partire dall’idea di risolvere i problemi della
povertà materiale assoluta, cioè lo Stato si impegnava a provvedere, in termini
universalistici, alle necessità vitali di tutti i cittadini.
Ma progressivamente, con l’affermarsi degli stessi welfare systems,
decadde la nozione di povertà assoluta a favore di quella di povertà relativa .
La povertà viene allora definita e calcolata a partire dal reddito pro capite,
per determinare il livello di sostegno economico e sociale che lo Stato deve
assicurare agli individui che hanno bisogno di accedere ai vari servizi di
assistenza.
La nozione di povertà materiale relativa rinvia esclusivamente al reddito: è
povero quel cittadino o quella famiglia o quel gruppo sociale il cui reddito è
3
A. Ardigò, Memoria al Presidente della Commissione “ Indagine studio sulla povertà
in Emilia Romagna”, Bologna, 1987.
4
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit.
8
uguale o inferiore alla metà dei redditi medi rispettivamente individuali o
familiari.
Di conseguenza, lo slittamento dalla nozione di povertà assoluta a quella
di povertà relativa si realizza nel momento in cui , dall’insieme dei beni necessari
per la sussistenza materiale degli individui, si passa a considerare il reddito come
misura della povertà degli individui e del corrispettivo intervento dello Stato.
Tuttavia, assumere la nozione di povertà relativa significa perdere di vista
la complessità delle situazioni soggettive, individuali e contestuali di povertà e di
finire col burocratizzarle.
Ma l’analisi di Pieretti prosegue oltre, muovendo dall’assunto che solo
considerando la differenza tra le nozioni di povertà e povertà estreme si possa
correttamente comprendere il tipo di disagio provato dalle persone senza dimora e
come poterlo adeguatamente affrontare.
A partire dal 1985, anno in cui esce il cosiddetto “Rapporto Gorrieri”5,
stilato dalla commissione presieduta dal Prof. Ermanno Gorrieri, si inizia a parlare
in Italia di “nuove povertà”, una definizione che delinea in termini residuali
povertà distinte dalle povertà classiche , quelle economiche e materiali.
Si tratta di quelle che Ardigò chiama povertà simbolico esistenziali,
<<cioè quelle povertà non ascrivibili unicamente e indirettamente a ragioni
economiche>>6.
Si tratta di un contenitore concettuale che puo’ rappresentare diverse
situazioni, spesso sovrapposte le une alle altre; ma conviene circoscrivere il
campo di indagine alla condizione di senza dimora, pur sapendo che vari altri
problemi, come la tossicodipendenza, l’alcolismo o i disturbi psichici, possono
interessare le persone che vivono per strada.
Prima di fornire una lettura ed una più precisa definizione della persona
senza dimora, è interessante aggiungere alcuni passaggi della riflessione di
Pieretti circa la distinzione tra <<povertà>> e <<povertà estreme>>.
5
La povertà in Italia, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 1985.
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione, in D. De Luise, a cura
di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, Angeli, Milano, 2005, p. 86.
6
9
Ci riferiamo ad una ricerca del 19927, condotta a livello europeo, in cui
furono presi in esame i dati relativi alle povertà estreme in Italia, Francia,
Danimarca e Germania e si sottolineò l’inadeguatezza di leggere e affrontare le
situazioni di povertà estrema secondo lo schema tradizionale di causa-effetto,
dell’evento traumatico come fattore scatenante la condizione di senza dimora e di
ridurre tale disagio esistenziale ad un mero problema materiale di mancanza di
una casa e di un lavoro.
In base a tale contributo è possibile affermare che <<le povertà estreme
non sono riconducibili al modello generale di povertà, intesa come condizione di
vita contraddistinta da soglie ben definite da specifiche entrate e/o consumi>>8.
Le povertà estreme non rappresentano pertanto la fascia più bassa della
povertà.
Infatti le povertà estreme introducono una discontinuità rispetto alle altre
povertà, nel momento in cui esse sono strettamente congiunte a specifiche
motivazioni e comportamenti soggettivi.
Esse qualificano il processo di <<decomposizione ed abbandono del Sé>>
che si realizza nella vita dell’individuo.
Si puo’ dare di <<povertà urbane estreme>> la seguente definizione:
<<una sequenza di rotture biografiche che interessano sia la personalità che il
tessuto sociale. Esiste una sorta di soglia, che potremmo chiamare area di non
ritorno, che contraddistingue l’incapacità - riluttanza di provvedere a se stessi,
definibile come processo di decomposizione ed abbandono del Sé>>9.
La condizione di senza dimora si realizza per progressive microfratture ,
cioè attraverso quotidiani slittamenti di senso, che si producono nell’identità
dell’individuo in rapporto al contesto sociale in cui egli vive.
Le rotture biografiche non devono essere necessariamente identificate con
gli eventi traumatici, perché esse concernono il modo di concepire e di elaborare
la realtà che la persona senza dimora si forma nel corso della sua esistenza.
7
P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in
Europa,cit.
8
Ivi, p. 12.
9
Ivi, p. 12.
10
Il processo di decomposizione e di abbandono del Sé non è una
definizione ontologica, ma situazionale, ed esso si concretizza in tappe che
possono essere descritte e misurate con opportuni indicatori.
La ricerca di Pieretti10 considera un pacchetto di indicatori ed informatori
biografici oggettivati, da usare in test empirici.
Egli denota che tale pacchetto funziona sostanzialmente, cioè misura dei
passaggi, che testimoniano e che scandiscono la perdita dello statuto
epistemologico di soggetto, in progressive tappe intermedie che si riferiscono
innanzitutto alla perdita dell’identità anagrafica: la persona non ha più un
documento di identità, poi non ha più un posto dove ricevere lettere o telefonate,
non ha un conto corrente bancario.
L’indicatore biografico funziona per mezzo di uno schematismo binario ed
è misurabile anche numericamente: cioè la carta d’identità si ha o non si ha,
indirizzo si ha o non si ha, eccetera.
Gli informatori biografici sono invece elementi qualitativi: ad esempio,
registrano se la persona ha passato il giorno del suo compleanno o la notte di
Natale con qualcuno, o no.
Occorre la possibilità di fare una ricerca empatica e non intrusiva, ad
esempio condotta da parte di coloro che tutti i giorni lavorano con le persone
senza dimora, in modo prevalentemente qualitativo ( stando a contatto con le
persone), usando l’ approccio biografico, al fine di fare emergere la varietà delle
situazioni personali individuali, che possono eventualmente allontanarsi
dall’iconografia tradizionale del “barbone”, e ad esempio mettere in luce che chi
ha un lavoro in regola puo’ trovarsi a vivere per strada.
I. 2 Dalla nozione di povertà a quella di esclusione sociale
Le povertà urbane estreme si presentano come fenomeno non omogeneo
né unitario, bensì distinto specificamente dal fenomeno delle altre povertà.
10
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., pp.63 e ss.
11
Appare giustificato il raccordo del fenomeno delle persone senza dimora
alle condizioni di povertà, purché non si attribuisca ad esso un rapporto di causaeffetto.
Piuttosto ci si puo’ riferire ad una << povertà multidimensionale>>11, un
fenomeno diffuso che coinvolge la quasi totalità dei sottosistemi della vita della
persona.
Più recentemente, nel dibattito europeo,
si è affermato un consenso
generalizzato sull’uso della nozione di esclusione sociale, che ha di fatto sostituito
quella di povertà.
Il sociologo Maurizio Bergamaschi rileva che la stessa Comunità Europea,
per definire i gruppi più svantaggiati presenti all’interno dei sui paesi, utilizza il
termine povertà nel Primo e nel Secondo Programma, rispettivamente degli anni
1975-1980 e 1984-1988, mentre passa alla nozione di esclusione sociale nel Terzo
(1989-1994).
Al concetto di povertà si imputa l’incapacità di cogliere la natura dinamica
e processuale delle situazioni che rientrano nel suo campo di applicazione, di cui
sarebbero trascurate tutte le dimensioni, salvo quella economica.
Poiché la nuova questione sociale non si colloca più ai margini della
modernizzazione socio-economica, ma al suo centro, è opportuno descrivere se un
individuo o un gruppo si collochi al centro o alla periferia di una “società
orizzontale”, si collochi in posizione in o out, dentro o fuori. Questi termini vanno
a sostituire quelli di up e down, per indicare che la nuova situazione sociale è
caratterizzata da fragilità del legame sociale e dalla mancanza di integrazione.
Dunque la nozione di esclusione sociale << non coincide con quella di
povertà in quanto include situazioni che evidenziano la dissoluzione del legame
sociale>>12, la frattura fra il dentro e il fuori, e <<permetterebbe da una parte di
rendere conto della multidimensionalità e della cumulatività degli handicap che
caratterizzano sempre di più le nuove situazioni di deprivazione, non riducibili
11
L. Gui, Emarginazione grave e persone senza dimora, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, Angeli, Milano, 1995, p.31.
12
M. Bergamaschi, Servizio sociale e forme emergenti di bisogno, in C. Landuzzi e G.
Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme,cit., p.93.
12
alla mancanza
di risorse economiche , e dall’altra di coglierne il carattere
dinamico>>.
Infine la nozione di esclusione sociale favorisce la consapevolezza di una
minaccia che investe ampie frange della popolazione.
Propongo una definizione del concetto di esclusione che la ricercatrice
Carla Landuzzi riporta da Paolo Guidicini: << la rottura con ogni elemento che
potrebbe confermare la appartenenza al territorio diventa la condizione, implicita
o esplicita, di un processo di individualizzazione spinto all’estremo, verso una
non appartenenza ad alcun luogo, ad alcuna storia comune. Il percorso, o per
meglio dire, il non percorso, si riduce ad un uso contingente e neutro di contesti
da cui si rimane esclusi>>…<< esclusione sostanzialmente dal bene spaziale:
comunità, vicinato, relazionalità, appartenenza>>13.
I. 3 La persona senza dimora
I. 3.1 Definizione: dalla nozione di senza fissa dimora a quella di persona
senza dimora
Si puo’ cercare di comprendere più da vicino il fenomeno delle persone
senza dimora, leggendo alcune delle definizioni che alcuni autori hanno proposto
circa la persona senza dimora.
Luigi Gui, ricercatore universitario nonché docente e assistente sociale,
che da anni si è occupato di studiare l’emarginazione grave, parla di << persone
che hanno perso con essa (la dimora, n.d.a.) il requisito minimale di appartenenza
alla cultura e alla cittadinanza occidentale>>14 .
Non parla di una categoria umana , ma delinea diverse tipologie di persone
accomunate dalla comune condizione di essere prive di una dimora stabile.
13
C. Landuzzi, Un’esclusione globale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio
sociale e povertà estreme, cit., p.84.
14
L. Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p. 12.
13
Ancora definisce la << condizione di una vita fortemente deprivata, che
non imbocca strategie di miglioramento>>15.
Giovanni Pieretti supporta la nozione scelta dalla Federazione Italiana
degli Organismi per le persone senza dimora, la quale, inserendo nell’acronimo
FIO.psd la parola persona senza dimora, intende probabilmente superare il
lessico da questura delle definizioni legislative e amministrative legate all’idea di
vagabondaggio, che proponevano invece la nozione di senza fissa dimora.
Sembra interessante notare, con Pieretti, che le stesse persone senza
dimora raccolte in associazione amano chiamarsi persone senza dimora,
tralasciando l’aggettivo “fissa”.
Il termine senza dimora non significa solo senza casa, assenza di mura
domestiche, ma soprattutto di uno spazio per il Sé.
Quindi persona senza dimora significa “ individuo isolato privo di una casa interna”, di
uno spazio di riflessione interiore, di uno spazio rassicurante che consenta l’elaborazione psichica
della risposta. Insomma potremmo definire la dimora uno “spazio per l’anima”. Anima
nell’accezione greca : Psyché. A una persona senza dimora non manca una casa, manca “la casa”,
il focolare, lo spazio domestico”16.
La condizione senza dimora
…è caratterizzata dall’assenza di appartenenza della persona ad un contesto relazionale
significativo, che è invece necessario allo sviluppo e alla crescita di ogni individuo, per la
strutturazione della sua identità e per una corretta progettazione della sua esistenza17.
Per concludere questa prima illustrazione del fenomeno senza dimora,
sembra interessante evidenziare i prevalenti approcci al problema, desunti dalla
più significativa letteratura dell’ultimo decennio.
15
L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di,
Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.106.
16
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementidi discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.57.
17
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione, in D. De Luise, a cura
di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 86.
14
Innanzitutto si assume una concezione che non riduce il disagio
esistenziale al mero problema materiale della mancanza di una casa o di un
lavoro: esso piuttosto sarebbe generato da una molteplicità di variabili, fra cui
avere o non avere una casa è una delle determinanti.
Si preferisce parlare di esclusione come fenomeno cumulativo e
multidimensionale.
Al contempo è preferibile abbandonare la prospettiva, che in qualche
modo rispecchia da vicino l’autopercezione della persona senza dimora, che tende
a non attribuire a sé la responsabilità del proprio fallimento, che riconduce la
genesi della condizione senza dimora all’evento traumatico. Pertanto occorre
approfondire una trattazione che colga gli aspetti più interiori, <<psichici, cioè
dell’anima>>18, che conducono la persona al fatto concreto di abbandonare le
proprie certezze e andare in strada.
Infine propongo la definizione di persona senza dimora raccolta da un
Rapporto della Caritas Ambrosiana risalente al 2004, che sembra sufficientemente
esaustiva del rendere conto di un fenomeno particolarmente complesso.
Così definisce una persona senza dimora << soggetto in stato di povertà
materiale e immateriale portatore di un disagio complesso, dinamico e
multiforme>>19.
I.3.2 Povertà come processo e << traiettorie biografiche20>>. Alcune
parole chiave per l’analisi del fenomeno
1. Vulnerabilità e désaffiliation
La povertà oggi non è da considerarsi una condizione costante, ma un
problema spiegabile solo all’interno di una complessa dinamica processuale in cui
18
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.59.
19
Caritas Ambrosiana, Terzo rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano, In Dialogo,
Milano, 2004.
20
C. Francesconi, “Segni” di impoverimento. Riflessioni socio-antropologiche sulla
vulnerabilità, cit., p.35.
15
si sviluppa la vita dei soggetti, che puo’ in periodi diversi attraversare sia fasi di
caduta verso situazioni di maggior impoverimento, sia fasi di risalita verso stadi
di stabilità ed integrazione .
Ciò significa che esiste una fascia ben più ampia di soggetti coinvolti nel
fenomeno rispetto a quella comunemente presa in considerazione.
Un numero crescente di individui si trova esposto ad una nuova
condizione di vulnerabilità.
Il sociologo francese Robert Castel, che considerando l’impatto del revenu
minimum d’insertion (reddito minimo d’inserimento) sulle fasce più deboli della
popolazione francese, ha dimostrato come questo strumento di natura economica
non abbia di fatto restituito inserimento sociale alle persone per cui era stato
pensato, elabora il concetto di désaffiliation: la maggior parte delle persone a cui
era indirizzata tale misura di sostegno al reddito sono persone désaffillées, cioè
persone che non si sentono appartenenti al sistema sociale.
Nei confronti delle persone senza dimora, è illusorio pensare di poter dare
loro un’appartenenza sociale significativa solo attraverso misure di carattere
economico, in quanto la
désaffiliation delle persone senza dimora non è
principalmente una mancanza di risorse, quanto piuttosto <<un’incapacità a
trasformare i beni in possibilità di vita>>21.
Désaffiliation è il disconoscimento di paternità del sistema sociale in cui si
vive.
Indica una popolazione priva di uno statuto definito e socialmente
accettato22.
La nozione di désaffiliation non rimanda dunque esclusivamente alla
dimensione economica, o alla densità relazionale, ma è definita dalla
combinazione di due vettori: mancata integrazione occupazionale e isolamento
sociale.
In questo modello l’accento cade sulla rottura del legame sociale,
assicurato dal lavoro e dall’appartenenza ad una comunità.
21
A. K. Sen, Risorse, valori e sviluppo, Bollati- Boringhieri, Torino, 1992.
R.Castel, De l’indigence à l’exclusion, la désaffiliation, in J. Donzelot, Face à
l’exclusion: la modèle francais, Esprit , Paris, 1991.
22
16
Occorre notare che il lavoro risulta vettore di integrazione non in quanto
attività tra le altre che assicura un reddito, ma in quanto fonte di identità e di
appartenenza sociale, attività produttrice di senso per sé e per gli altri.
Circa l’indebolimento della rete primaria, Castel evidenzia, fra le varie
trasformazioni che hanno investito la famiglia, il diffondersi delle famiglie
monoparentali, gli alti tassi di divorzio, di coabitazione al di fuori del matrimonio,
di nascite illegittime, come indici di una possibile dissociazione dell’ordine
familiare.
E’ possibile costruire uno schema tipologico con tre aree generali di
definizione del problema. Gli indicatori presenti nello stesso possono essere
utilizzati per individuare la possibile collocazione dell’individuo in una delle tre
aree distinte.
Le tre aree sono le seguenti:
A) INTEGRAZIONE , cioè inclusione nel sistema sociale
-integrazione lavorativa
-inserimento sociale
B) VULNERABILITA’ , cioè precarietà e fragilità
-precarietà lavorativa
-fragilità relazionale
C) DESAFFILIATION , cioè cronicità come dimensione esistenziale
-assenza di lavoro
-isolamento sociale.
Nell’area
A,
o
dell’integrazione,
si
collocano
individui
che,
indipendentemente dallo status sociale più o meno elevato e dalle disuguaglianze
nei beni e nelle risorse posseduti e spendibili, risultano inclusi nel sistema sociale.
L’area B, o della vulnerabilità, si definisce come possibile luogo di
transizione per carriere individuali incrinate dalla precarietà e fragilità tanto a
livello lavorativo quanto nelle relazioni sociali. Area tradizionalmente esposta al
rischio dell’esclusione, in sistemi di welfare solidi puo’ trasformarsi in un’area in
cui i soggetti trovano una collocazione stabile e duratura.
Nell’area C, o della désaffiliation, si combinano assenza di lavoro e
isolamento sociale. Bisogna aggiungere che la désaffiliation rende quanto mai
17
difficile l’accesso ai servizi, in quanto
gli individui in essa inclusi non
appartengono a quella che alcuni autori definiscono << gruppi a forte
rappresentanza consolidata>>23.
La cronicità come dimensione esistenziale globale appare oggi come
possibile orizzonte nelle carriere personali.
Con il suo modello Castel intende differenziarsi dalle analisi incentrate
sulla logica binaria in / out, inclusione /esclusione, e attirare l’attenzione sulle
situazioni di vulnerabilità che alimentano la zona della désaffiliation.
Mostra come la specificità della situazione attuale risieda nel profilo
sociologico delle persone investite da tali condizioni , piuttosto che nella nuova
diffusione di fenomeni di povertà e di precarietà 24.
Luigi Gui definisce così la vulnerabilità: << letteralmente è l’esposizione
alle ferite. La propria tenuta a fronte delle
provocazioni ricevute (…),
sostanzialmente il rapporto tra la sofferenza a cui far fronte e il dispendio
energetico che quest’azione ci richiede(…).Tale vulnerabilità è soggettiva,
dipende da un insieme di elementi, dalle caratteristiche personali alle esperienze
trascorse>>25.
Si puo’ ipotizzare di considerare la nozione di vulnerabilità come una
chiave di lettura del sistema di vita delle persone senza dimora, cosicché si puo’
spiegare il complesso di problemi legati alla progettualità in vista del
cambiamento.
In tale condizione è difficile scorgere per la persona l’esistenza di bisogni
e della relativa ricerca di soddisfazione; peraltro per la persona “vulnerata” i costi
necessari per ripristinare un equilibrio (minacciato o perduto) si fanno troppo alti.
Puo’ darsi che un equilibrio faticosamente raggiunto, magari in condizioni
che alla maggior parte di noi sembrano invivibili, venga difeso vedendo come
troppo alti i costi necessari per raggiungere un qualche altro tipo di equilibrio.
Tale atteggiamento conduce la persona senza dimora ad auto- confinarsi,
probabilmente per non correre il rischio di perdere l’equilibrio faticosamente
23
P. Guidicini, G. Pieretti, a cura di, I volti della povertà urbana, Angeli, Milano, 1988.
R. Castel, Les métamorphoses de la question social, cit.
25
L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di,
Servizio sociale e povertà estreme, cit. , p.112.
24
18
raggiunto e di ricevere altre risposte dalla società e dalla relazione con altri
generatrici di maggior sofferenza rispetto a quella già sopportata.
2. Adattamento per rinuncia
Luigi Gui propone nella sua analisi della condizione senza dimora il
concetto di adattamento per rinuncia, che peraltro puo’ essere desunto dagli studi
mertoniani di sociologia della devianza.
Dalle teorie struttural-funzionaliste della devianza, che sviluppano il
problema dell’integrazione di tutti i membri di una società attorno ad un sistema
di valori condiviso e considerano il comportamento deviante come patologico,
agìto da parte di colui che male interiorizza le norme condivise e si allontana dal
ruolo previsto dalla società per ciascun individuo a seconda della sua posizione
sociale, il sociologo Merton individua diversi modi possibili di adattamento degli
individui ai valori culturali proposti.
Una di tali modalità di adattamento è la rinuncia, caratterizzata
dall’assenza, nel comportamento della persona, sia di “mete” che di “mezzi”,
dove Merton intende per “mete” <<gli scopi, gli interessi che si presentano come
obiettivi legittimi per tutti i membri della società>>, e per “mezzi” << i modi
legittimi per il raggiungimento delle mete>>26.
Gui definisce l’adattamento per rinuncia come l’abbandono di prospettive
di benessere, pur originariamente auspicate, perché percepite non solo come a sé
negate e irraggiungibili, ma punteggiate da azioni troppo dolorose per poter essere
ancora affrontate.
La persona fa un bilancio in negativo della realtà esterna a sé , i propri
mezzi, le esperienze pregresse, spesso fallimentari, e i desideri soggettivi.
Credo che Gui adotti tale nozione e la ampli con le teorie metodologiche
di Servizio Sociale di Fabio Folgheraiter per indicare un grave fattore di
cronicizzazione della situazione senza dimora, che limita il soggetto nella sua
potenzialità di riscattarsi e ha a che fare con il problema della progettualità.
26
L. Berzano, F. Prina, Sociologia della devianza, Carocci, 2003, p.80.
19
L’atteggiamento recessivo delle persone senza dimora appare come il
tentativo di evitare qualcosa, piuttosto che il desiderio di arrivare ad uno stato
desiderato, e di aggrapparsi all’equilibrio della sopravvivenza.
La nozione è importante per comprendere i passaggi di non- ritorno che
spostano l’identità del soggetto in difficoltà a persona senza futuro.
E’ la situazione di rassegnata accettazione dello stato in cui si trovano,
senza capacità o volontà di fare progetti, oppure con spunti di progettualità
talmente fragili rispetto al peso della situazione in cui si trovano.
La persona piano piano va rinunciando ad alcuni percorsi immaginati, ad
alcune mete desiderate e riduce l’immagine del proprio futuro.
La persona piano piano recede dalla vita : emarginata grave, chiude
l’orizzonte delle proprie possibilità, ha sperimentato un fallimento a più
dimensioni ( il fronte professionale, quello affettivo, quello culturale, quello
dell’equilibrio fisico e organico..), crede di non potercela fare.
Gui scrive << E’ questa una fase molto difficile , in cui la persona sta
giocando la sua identità, sta dibattendosi in una metamorfosi della percezione di
sé. Si tratta di un processo doloroso di passaggio da un’identità auspicata che si va
lasciando, ad un’identità rassegnata che la realtà sociale va confermando>>27.
Ma <<più si chiude e più si soffre>>, l’autostima diminuisce e il senso di
sofferenza e fallimento producono un progressivo slittamento della personalità.
3. Deriva esistenziale come processo identitario
In un progressivo cammino di accumulazione di fallimenti e negazioni di
parti di sé , la persona attraversa una metamorfosi del proprio sé, della propria
identità.
Se è vero che ogni individuo costruisce la sua identità nell’interazione con
gli altri e cresce nell’autostima a partire dalla stima che riceve dalle persone
significative con le quali interagisce, allora la persona senza dimora , quando si
chiude in se stessa, perché timorosa del rapporto con gli altri, si nega tale
27
Ivi, p. 114 .
20
possibilità di crescita e anzi sprofonda in un processo di destrutturazione del
proprio sé.
Lo stigma sociale dall’esterno conferma al soggetto che quello è il suo
limite e tale dovrà restare.
4. Rotture biografiche, decomposizione e abbandono del Sé
Già si è definita la povertà urbana estrema come una sequenza di rotture
biografiche che interessano sia la personalità, che il tessuto sociale. Non si tratta
di eventi traumatici, ma si rimanda a questioni percettive, interiori e intime, modi
di percepire ed elaborare la realtà.
Tale serie di rotture biografiche, che interessano la personalità, il livello
psichico e quello sociale, raggiunge una soglia, un’ area del non ritorno, che
contraddistingue l’incapacità-riluttanza di provvedere a se stessi.
Sono raggiunti e superati passaggi progressivamente ad un livello inferiore
di assestamento, caratterizzato
da una limitazione delle proprie capacità
relazionali e di autodeterminazione, fino alla perdita dello statuto epistemologico
di soggetto.
Tale processo è però scandito da tappe intermedie.
Il processo di decomposizione ed abbandono del sé coincide con il restringimento
relazionale progressivo e con una perdita progressiva di identità, prima di tutto una perdita di
identità anagrafica, perdita dei documenti, ma in realtà una persona senza dimora
progressivamente perde tutte le attrezzature della nostra identità ( Personal Equipements, come si
dice in inglese): una carta d’identità, una patente, un conto corrente bancario, un numero di
telefono, il cellulare…Prima di tutto vengono persi i segni della identità, ma poi vengono perse
progressivamente le relazioni: prima con gli “altri generalizzati”, poi con gli “altri significativi”
(uso la terminologia dell’interazionismo simbolico), poi con i compagni di strada, poi con gli
animali che spesso contraddistinguono la vita di queste persone, fino all’ultima perdita , la più
grossa di tutte: la perdita di relazione con il proprio corpo.
21
Nelle ultime fasi ,quelle che possono avvicinare la persona alla morte
biologica, o ad uno stato molto simile, la persona senza dimora diventa un
<<sistema biopsichico autoreferenziale>>28.
La persona ha abbandonato qualunque motivazione, inclusa quella alla
vita.
5. Identità e identificazione
Luigi Gui riprende alcuni concetti dell’interazionismo simbolico: “l’altro
generalizzato”, l’idea che noi abbiamo dell’idea che gli altri si fanno di noi.
La persona comincia ad accorgersi che una certa idea di sé , una parte
della propria identità non è più proponibile, allora la persona recita un Sé
adeguato alle aspettative altrui e pian piano vede modificare la sua identità e
riceve un etichetta, la sente addosso.
Quando il doppio legame identità/ identificazione, che è tutto da costruire
da parte di ogni soggetto, non si
determina, il soggetto è esposto ad una
condizione di accresciuta vulnerabilità sociale.
In certi individui viene meno la capacità di costruire percorsi di senso
condivisi, mentre la propria condizione di vita viene vissuta in modo sempre più
individuale e autoreferenziale.
La città, la folla, non offrendo più occasioni di identificazione, diviene
semplicemente un contenitore, che conferma anonimato ed estraniazione da
rapporti umani significativi.
Laddove non vi è riscontro né riconoscimento da parte di nessuno, non vi
è più identità né la ragione per avere un nome, un ruolo né un aspetto esteriore
particolare e neppure di curare la propria
persona e si rinforza l’idea che
l’isolamento sia la migliore soluzione.
La persona si caratterizza allora per eccesso di individualità e singolarità e
per la carenza di identificazione di gruppo.
28
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 64.
22
L’assunzione di un distacco psicologico di tipo difensivo, sembra
pregiudicare in molti emarginati l’uscita dalla propria individualità, cosicché
poche alleanze intrecciate hanno un carattere strumentale e contingente, non
mirato a rapporti di mutuo e gratuito aiuto.
6. Parabola discendente: isolamento, vuoto relazionale e morte
La percezione di inadeguatezza personale ad inserirsi come agenti
produttivi nel contesto sociale, vuoi come dato soggettivo o come attribuzione
dall’esterno, spinge le persone senza dimora a scegliere di auto-confinarsi, perché
già confinati in una condizione di abbandono prima ancora psicologico che
materiale.
Si tratta di rapporti di mancato inserimento sociale, o di espulsione, tali da
divenire alla fine negazione di qualunque diritto di cittadinanza.
I senza dimora mon condividono i tempi e gli spazi comuni ai cittadini.
La
persona
vive
un
processo
di
auto-demolizione,
mentre
progressivamente chiude i fronti relazionali fallimentari, mentre si sa che tutti i
sistemi viventi hanno bisogno di scambiare con l’ambiente , in entrata e in uscita,
e su molte dimensioni. La persona ha bisogno di comunicazione reciproca con ciò
che sta fuori di sé: puo’ illudersi che la strategia di minor sofferenza sia chiudere i
canali comunicativi, e così fa perché aprendosi soffre, tuttavia chiudendosi
lentamente muore. Resta il vuoto relazionale.
Mancano le relazioni significative, fondamentali per sentirsi <<sensati>>,
cioè soggetti <<che vanno da qualche parte ed anche che hanno un preciso
significato, un valore riconosciuto, che ne giustifica l’esistenza29>>.
La persona che non è in relazione di condivisone di senso imbocca la
chiusura come ultima strategia rimasta per un equilibrio di benessere possibile,
ma si nega la via ad un autentico benessere.
La persona puo’ raggiungere uno stato di <<impermeabilità dell’io>>,
<<la persona che si impermeabilizza, psicologicamente e fisicamente, (anche
29
L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di,
Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.108.
23
somaticamente) chiude ogni scambio con l’ambiente, producendo attorno a sé
quasi un a crosta difensiva, di vestiti, di lerciume di sacchetti e allora vediamo
l’uomo chiocciola, bozzolo chiuso, che si barrica contro il mondo. Tollera soglie
di dolore comunemente insostenibili>>30.
7. Paradigma vita-morte, autonomia – anomia, realtà - sogno
Adattamento per rinuncia significa anche ravvicinare in un tempo sempre
più breve la propria aspettativa di gratificazione, giorno per giorno, ora per ora,
minuto per minuto, in definitiva negare ogni realistica progettualità per il futuro.
Ciò non significa tuttavia che la persona abbia perso la capacità di sognare
la propria realizzazione; spesso coltiva una sorta di fantasia sulla possibilità di
farcela …in futuro. Ciò significa forse coltivare un’idea di Sé che non debba
misurarsi con la realtà, perché fare i conti con essa ucciderebbe quell’ultima parte
di Sé ideale, che protegge dalla sofferenza autentica, la disperazione.
La persona non si aspetta cambiamenti, li spera inconsciamente; è nella
posizione intermedia tra ineluttabilità delle cose e speranza che gli altri possano
cambiare le cose per lui.
..non rimettere il paradigma vita-morte vuol dire non investire sulla vita, adattarsi ad una
propria incapacità presunta (formazione reattiva del delirio di potenza, del miraggio della
padronanza delle proprie funzioni). Si tratta del binomio autonomia/anomia: l’illusione di
potercela fare da soli, di non necessitare di alcuna dipendenza, di vivere una sbornia di possibilità
possibili. Significa, quasi in ogni caso:
1)
vivere senza lavorare;
2)
stare ubriachi o narcotizzati sempre o quasi;
3)
non avere legami sentimentali e quindi dipendenza dagli affetti;
4)
non avere figli;
5)
dimenticarsi della famiglia di origine.
Questi cinque punti , in forme diverse, appartengono alle biografie delle persone in
povertà urbana estrema con cui siamo entrati in contatto. Non vanno considerati in termini
moralistici ma solo come indicatori di una traiettoria di vita che cerca progressivamente di
30
Ivi, p.116 .
24
liberarsi di qualsiasi relazionalità significativa e di pervenire ad un livello di individualismo, per
così dire, incondizionato31.
L’assenza di impegni fissi, di regole, limiti, di orari, di legami affettivi e
professionali non rendono la persona più libera. Ma, se si studiano le vite e i
percorsi delle persone senza dimora, si verifica che essi fanno esattamente le
stesse cose tutti i giorni e nello stesso piccolo spazio di territorio: si tratta di una
coazione molto forte, che mostra quanto la presunta autonomia sia solo fittizia.
I. 4 Per una lettura del fenomeno: dalla teoria del rientro ad una ipotesi di
microfratture
La teoria del rientro fonda l’intervento sull’ipotesi che l’area della
normalità puo’ essere salvata e guidata al “rientro”.
In passato la condizione di povertà è sempre stata interpretata come un
trauma significativo e attinente alla società, cioè l’ingresso nello stato di povertà,
l’acquisizione dello status di povero e il rientro stesso da una condizione di
povertà si consideravano segnati da avvenimenti traumatici.
Si concepiva dunque l’aiuto come assistenza straordinaria, una tantum,
finalizzata, cioè subordinata al rientro.
Il “rientro” dunque era concepito come parametro valutativo dell’efficacia
della prestazione d’aiuto erogata.
Significa che ad ogni intervento d’aiuto socio-assistenziale attivato dal
sevizio pubblico si richiede un miglioramento effettivo delle condizioni
dell’utente (la spesa pubblica “rientra” in termini di benessere verificabile
nell’utente).
La logica del rientro è tutta interna ad una concezione del servizio in senso
medicalizzante, dove si interviene sugli effetti di un fenomeno in termini di cura,
contrasto al sintomo della malattia, dove il riscontro ottenuto diviene il parametro
valutativo dell’efficacia della prestazione d’aiuto.
31
G. Pieretti, La città degli esclusi: soggetti e strutture, in P. Guidicini, G. Pieretti, a
cura di, Città globale e città degli esclusi, Angeli, Milano, 1998.
25
Il presupposto alla base di tale logica è la presunta provvisorietà delle
condizioni di povertà estrema.
E la persona che non risponde al rientro viene definitivamente dimenticata
e l’emarginazione dai servizi si aggiunge agli elementi che concorrono al
disgregarsi della sua personalità .
Non è possibile pertanto utilizzare una logica del rientro per intervenire in
processi d’aiuto delle persone senza dimora.
Il problema delle povertà estreme diviene quello di percepire le specifiche
situazioni dalle quali trae origine questa scelta di vita.
In atri termini, povertà estrema non si pone come risultato di una generica
condizione di esclusione da determinati livelli di prosperità e consumo, ma come
prodotto di specifiche condizioni di squilibrio fra l’individuo e il proprio
ambiente. Le motivazioni del problema risiedono nelle modalità relazionali
interrotte e nella loro crisi a livello locale, che non puo’ essere risolta seguendo lo
stesso percorso a ritroso.
L’adozione della teoria delle microfratture implica la scelta di strategie
d’intervento completamente avulse da quelle del passato.
La teoria delle microfratture sostiene che la caduta in stato di povertà
estrema non avviene mai come conseguenza di un evento traumatico. Esso puo’
condurre alla povertà, ma non alla povertà estrema.
Il percorso che conduce alla povertà estrema si rivela molto più lungo,
complesso, confuso, disseminato di riassestamenti costanti nei confronti del
mondo esterno.
Il termine microfratture indica che il percorso di vita delle persone senza
dimora , pur segnato da eventi significativi, è punto di arrivo di una situazione
notevolmente protratta nel tempo, caratterizzata da fasi intermedie, la cui
identificazione è molto difficoltosa.
Microfratture sono microvariazioni difficilmente percepite dal soggetto e
dall’esterno, che scandiscono un processo giornaliero lento e irreversibile; sono
alterazioni costanti a cui raramente seguono ricostruzioni funzionali.
Base dell’intervento è allora l’identificazione delle micro situazioni
attraverso cui avanza il processo di decomposizione del Sé, il crescente
26
isolamento e diradamento dei rapporti fino all’impoverimento del sistema dei
rapporti interpersonali e l’assottigliamento dello spazio fisico del contatto, il
restringimento del proprio mondo esteriore : l’universo delle relazioni dei valori
condivisi, contatti, controllo del territorio.
Il problema materiale sicuramente esiste , ma è sempre associato ad altre
variabili. L’identificazione di queste variabili è l’obiettivo da perseguire oggi.
27
II. PERSONE SENZA DIMORA E SERVIZI SOCIALI
II. 1 Rapporto tra le persone senza dimora e i Servizi Sociali: problemi
d’accesso
Le persone senza dimora sono nella condizione di non avere punti di
riferimento relazionali.
Ad una solitudine determinata dall’assenza di relazioni familiari, amicali,
lavorative,
si
affiancano
situazioni
di
assenza
comunicativa
giocate
principalmente sul piano del rapporto coi servizi pubblici e privati.
Per queste persone ottenere un riferimento chiaro e
costante è un
progresso e una chance, perché offre la possibilità di un aggancio e la prospettiva
di uscita da una situazione di grave emarginazione.
Ma tutto questo non è affatto scontato.
Sono molti i nomi coniati dagli autori del panorama italiano che si
occupano del fenomeno “senza dimora” per indicare la condizione di invisibilità
in cui versano le persone in povertà estrema nei confronti del sistema di welfare.
Alcuni di essi sono l’ <<utente che non c’è>>1 oppure gli <<ultimi della
fila>>2 ad indicare che tali persone restano escluse, totalmente o quasi,
dall’accessibilità ai Servizi e ad esse resta negato talora lo status di utente.
Altri autori sottolineano che le persone senza dimora non appartengono a
<< categorie a rappresentanza forte e consolidata>> 3, quali ad esempio i portatori
di handicap e invalidità, i tossicodipendenti, ecc...e che tale mancanza di
riconoscimento di una categoria forte pregiudica l’accesso a beneficiare dei
servizi erogati dalle istituzioni.
<< La mancanza per le persone senza dimora di una specifica
rappresentanza formalmente riconosciuta (dalle Istituzioni ma anche da se stesse)
1
L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit.
Caritas Italiana, Fondazione E. Zancan, a cura di, Gli ultimi della fila, Feltrinelli,
Milano, 1998.
3
P. Guidicini, G. Pieretti, a cura di, I volti della povertà urbana, cit.
2
28
sembra essere l’elemento che determina la relazione patologica fra servizi e
persona: l’utente senza dimora non è abbastanza utente (non usa o non usa bene il
servizio) e non è abbastanza specifico (non appartiene del tutto ad una categoria
tipologica prevalente)>>4.
<<Vi è un’area incerta di utenza che viene palleggiata tra i vari Servizi,
perché non è fino in fondo codificata all’interno di uno spazio istituzionale
preciso, ma ha “tutte le sfortune del mondo”>>5.
Prevalentemente i servizi sono sagomati sui bisogni e le capacità del
cittadino “normale”, colui che sa interloquire col Servizio, presentarsi ad esso e
formulare un richiesta più o meno compiuta, conforme al proprio bisogno e
attendibile da una istituzione che puo’ occuparsi di esso.
I servizi sociali hanno sagomato l’immagine dell’utente sulla falsariga di
quella del cliente del mercato, che si reca individualmente nei luoghi deputati alla
distribuzione dei diversi prodotti, per scegliere e consumare ciò che è considerato
necessario per sé. Il cittadino utente quindi non solo è colui che si avvantaggia
delle prestazioni, ma anche colui che prima è riuscito correttamente a decifrare il
proprio bisogno, il servizio preposto a soddisfarlo e quindi si è recato ad utilizzare
il servizio secondo la prassi più indicata.
Questi passaggi richiedono una buona competenza, perché il potenziale
utente deve decodificare il bisogno , decifrare l’organizzazione sociale per sapere
dove e come ottenere ciò che soddisfa il suo bisogno, accedere ai servizi ponendo
i propri quesiti secondo le modalità tecnico-burocratiche che consentono alle
istituzioni di recepire la domanda.
Conveniamo che <<soggetti sofferenti, socialmente e psicologicamente
isolati, demotivati e passivi, giunti a non essere più né formalmente residenti, né
contribuenti, né clienti, non possono nemmeno divenire utenti>>6.
Spesso realtà e bisogni delle persone senza dimora si colgono per lo più
dalle informazioni raccolte nei servizi per emarginati , che in qualche modo ci
4
L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit. , p.87.
L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di,
Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.119.
6
L. Gui , Emarginazione grave, in << Servizi Sociali>>, Supplemento Dossier 4, Tutela
dei soggetti deboli, XXII- 3, 1995, p. 38.
5
29
descrivono le caratteristiche di utenti selezionati in base alla natura dell’agenzia
erogatrice di prestazioni, senza però farci conoscere chi non accede mai ai Servizi.
II. 1.1 Due sistemi che non comunicano: incomunicabilità tra sistema dei
Servizi e sistema-utente
La persona senza dimora raramente si rivolge ad un servizio, anche
quando è in pericolo di vita; <<vi è un’abdicazione all’aiuto causata dalle
precedenti esperienze di rifiuto, che cumulate, producono l’atteggiamento che si è
chiamato “adattamento per rinuncia”>>7.
Ricordiamo che la persona senza dimora si adatta e diventa capace di
tollerare soglie di dolore comunemente non tollerabili.
A tale fattore attitudinale riconducibile alla personalità della persona senza
dimora ed alla sua predisposizione all’isolamento comunicativo, va aggiunta
l’incapacità dell’attuale sistema dei servizi di andare incontro alla persona senza
dimora.
L’intervento a favore delle persone senza dimora assume un carattere
residuale, poiché non v’è certezza circa la garanzia di presa in carico e di
continuità nella relazione d’aiuto e nella cura.
Il senza dimora non osserva gli orari, non ricorda bene il luogo dove ha
l’appuntamento, commette errori ed omissioni circa giorno e orario di visita.
Si delineano dunque due sistemi, quello dell’utenza senza dimora e quello
dei servizi preposti all’assistenza per l’emarginazione grave adulta, perfettamente
paralleli e non comunicanti fra loro; ciò che si potrebbe chiamare
un’incomunicabilità simmetrica fra <<servizi tipici e utenti atipici>>8.
La modalità organizzativa e comunicativa dei Servizi strutturalmente non
incontra questo tipo di disagio, poiché imposta il modello di accesso ed
erogazione dei servizi sulla base di quello del cliente del mercato, competente nel
decodificare il proprio bisogno e nel richiedere.
7
R. Gnocchi , Il diritto alla salute delle persone senza dimora, in << Prospettive sociali e
sanitarie>>, XXXV- 6, 2005, p. 13.
8
L. Gui, Emarginazione grave e persone senza dimora, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., p. 82.
30
Affrontare una istituzione erogatrice di servizi significa sentirsi capaci e
adeguati nel richiedere, significa conoscere le regole non solo sostanziali, ma
anche formali per ingaggiare questa relazione.
L’elemento di contraddizione che rende inconciliabile la distanza tra i due
soggetti sociali consiste nel fatto che tanto nell’uno (persona senza dimora)
quanto nell’altro (apparato dei servizi socio-sanitari) si esprimono contenuti
formali smentiti sul piano pragmatico.
Ciò genera una vera e propria patologia comunicativa: la persona senza dimora comunica
verbalmente l’assenza di una domanda puntuale, articolata e pressante da rivolgere alle istituzioni,
ponendosi in uno stato di rinuncia da sconfitte, mentre sul piano comunicativo non verbale,
somatico e comportamentale, essa “dice” il suo disagio con estrema evidenza; dall’altro lato
l’organizzazione dei servizi, sul piano formale, dichiara come suoi obiettivi il bene e l’utilità di
“tutti” i cittadini, sul piano pratico fa capire di essere usabile solo dai cittadini che sanno
“difendersi da soli”9.
Si compone così un meccanismo di relazione disfunzionale per cui vi è
coincidenza tra obiettivi pragmatici della persona senza dimora (che ha bisogno
d’aiuto) e obiettivi formali dell’apparato dei servizi (che è preposta ad aiutare
tutti), i quali vengono però entrambi contraddetti dagli obiettivi ufficialmente
dichiarati dalla persona senza dimora ( che afferma di non chiedere altro che la
sopravvivenza) e dagli obiettivi pragmatici dell’istituzione (che accoglie di fatto
chi si adegua al modello organizzativo).
Pare che vi sia un << gap organizzativo per il quale si disattende una
domanda effettiva>>10.
II. 1.2 Problema di accesso: area della non cittadinanza
La difficoltà per le persone senza dimora ad accedere ai servizi è
determinata in primo luogo da barriere formalizzate all’accesso (requisito di
iscrizione anagrafica per la residenza, codice fiscale, tesserino sanitario...).
9
L. Gui, Una prospettiva di lettura dei servizi sociali, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., p.91.
10
Ivi, p.89.
31
Il primo ostacolo che si frappone è il mancato riconoscimento della
residenza anagrafica e la relativa attribuzione del pieno diritto di cittadinanza.
Nel nostro paese, la corretta iscrizione anagrafica rappresenta la
condizione senza la quale decadono anche i benefici del welfare state.
Sono vigenti tutte le categorie amministrative di selezione degli utenti
ispirate alla logica della stabilità.
Il concetto di residenza implica un principio di inclusione-esclusione,
tanto che le persone senza dimora, non avendo un alloggio dove potersi dichiarare
stabilmente alloggiate, risultano anagraficamente non certificabili, non mutuabili,
non censite.
Le persone cosiddette “irreperibili” sono quelle che, non avendo la
residenza anagrafica, neppure presso enti convenzionati con l’Anagrafe comunale
o alberghi, perdono i diritti minimi di cittadinanza ed assistenza.
Vi sono poi barriere all’accesso ai Servizi non formalizzate, cioè ostacoli
culturali e attitudinali: nella logica che orienta i servizi del welfare state permane
una concezione efficientista, secondo la quale ogni servizio incarna un particolare
modello di fruizione: chi utilizza male un servizio, perché non lo conosce o non lo
capisce, non puo’ sfruttarne le potenzialità.
L’utente senza dimora rinuncia dopo i primi tentativi a rivolgersi ai
servizi, perché li sente inadeguati a sé ed egli stesso si sente inadeguato alle
prescrizioni e alle prassi, che essi impongono, non attente alla sostanza ed alla
forma dei suoi bisogni.
La realtà delle persone senza dimora non è compresa in una tipologia
istituzionalmente codificata, né tanto meno consiste in una categoria sociale in
grado di esprimere una domanda collettiva di servizi. Peraltro l’atipicità del loro
stile di vita rispetto alla stabilità anagrafica, ai ruoli sociali e ai modi produttivi di
consumo, li pone fuori della previsionalità dei Servizi perché sostanzialmente
essi risultano privi dei requisiti di cittadinanza caratteristici della nostra cultura.
Sottolineo principalmente due situazioni che determinano l’esclusione
delle persone senza dimora dall’intervento del welfare system:
-coloro che non sono in grado di attivare le necessarie risorse per rientrare
all’interno di un target group non vengono presi in carico
32
-coloro che non intendono accettare il processo di declassamento sociale e
stigmatizzazione connesso alla presa in carico non si rivolgono al servizio e
vivono individualmente la propria condizione di deprivazione.
Le due situazioni definiscono un’area di popolazione che, pur vivendo
una situazione di deprivazione, rimane esclusa all’intervento del welfare system.
<<Si forma quindi un’area della “non cittadinanza” come effetto di
politiche di welfare rivolte in modo specifico alle persone in condizione di
povertà estrema>>11.
L’adduzione di motivazioni, quali l’impossibilità di seguire la persona
perché non in possesso di un domicilio fisso o perché incapace di mantenere
tempi e modalità della relazione definiti dalla struttura, ha condotto alcuni servizi
a ponderare nuove modalità e strategie di intervento capaci di avvicinare ai
servizi territoriali il senza dimora nel rispetto e nella considerazione dei suoi
tempi e capaci di andare incontro alla persona laddove essa “dimora”. Alcuni
Servizi, per far fronte alla domanda sommersa di tutte le persone che di fatto non
accedono al Servizio, hanno attivato, per esempio, il dispositivo di una unità
mobile di strada12.
II. 1.3 Assenza di domanda d’aiuto e decodifica della richiesta
Alcuni introducono il termine di <<anoressia istituzionale>>13 per
caratterizzare la persona senza dimora, ad indicare che, analogamente al problema
dell’anoressia alimentare, coesistono nella persona il bisogno di “nutrirsi” e
l’assoluta assenza della domanda di “cibo” per soddisfare tale bisogno.
Laddove la relazione col Servizio sia di tipo contrattuale, la persona rifiuta
di nutrirsi di tale assistenza , perché avverte insostenibile la relazione stessa. La
persona non chiede nulla, non perché non abbia bisogno, ma perché non riesce a
11
Bergamaschi M., Immagine e trattamento delle povertà estreme in una prospettiva
storico-sociale, in P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in
Europa,cit., p.67.
12
R. Gnocchi , Il diritto alla salute delle persone senza dimora, in << Prospettive sociali
e sanitarie>>, cit., p. 13.
13
A.A. V.V., Essere barboni a Roma, Labos, Ed. T.E.R., Roma, 1987, p.14.
33
stare dentro alla tipologia idealtipica di utente che sa recarsi correttamente al
servizio, contrattare e ottenere.
Nel caso dell’anoressico alimentare generalmente interviene la primary
social network, costituita da familiari e conoscenti, che, per l’immagine che
l’anoressico offre di sé, intuisce la domanda d’aiuto, la reinterpreta e la rivolge a
chi compete, proprio perché il singolo individuo, da solo, ha perso la capacità di
interagire con il contesto sociale più complesso.
Ma nel caso della persona senza dimora vengono a mancare familiari e
conoscenti, che grazie al legame affettivo-psicologico possano esprimere una
domanda di nucleo. E la persona si trova dunque totalmente isolata nell’ assenza
di comunicazione con l’istituzione.
In alcuni casi è la dimensione dell’ associazionismo e del volontariato a
generare canali di accesso alle risorse istituzionali per le persone senza dimora e a
farsi carico di interpretare e tradurre la domanda d’aiuto.
<<La scomparsa di reti primarie familiari ed amicali attorno ai più isolati
suscita l’autocandidatura di altre persone (altrimenti estranee) che si cimentano a
surrogarne, pur in forma parziale, tali presenze mancate.
Seguendo l’analogia con gli anoressici di cibo i volontari andrebbero ad
assumere quella funzione di intuizione del disagio espresso somaticamente dalle
persone senza dimora , di reinterpretazione della domanda d’aiuto, di mediazione
del rapporto con le strutture fonti di risorse>>14.
Generalmente la persona senza dimora non formula alcuna richiesta
specifica al Servizio, oppure avanza richieste non pertinenti, come la richiesta di
alloggio, sussidi, ecc…
Alcuni ritengono che vi sia una fase in cui la persona senza dimora oppone
una qualche resistenza alla stigmatizzazione, recitando una parte il più possibile
“normale” per ottenere lo stretto necessario alla sua sopravvivenza., attivata
principalmente dall’istinto di sopravvivenza più che dalla convinzione di uscire
dalla sua situazione di disagio.
14
L. Gui, Una prospettiva di lettura dei servizi sociali, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., pp.92 e s.
34
La persona allora puo’ presentarsi al Servizio chiedendo di lavorare, forse
recitando a copione la parte del cittadino medio, forse consapevole che, per essere
credibile per la società, è bene presentarsi e rappresentarsi come voglioso di
lavorare.
Pertanto è necessario per l’operatore, in un caso del genere, decodificare
opportunamente la richiesta d’aiuto, considerando che in realtà la persona non
potrà presentarsi all’appuntamento sul posto di lavoro fino a quando non avrà
maturato l’intima convinzione di poter ancora avere una chance di riuscita per la
sua esistenza.
II. 2 Modello di welfare e chiave di lettura delle microfratture
II.2.1 Welfare system: quadro giuridico- istituzionale e interventi per le
povertà estreme
Il quadro giuridico- istituzionale di riferimento per le attuali politiche
sociali di intervento a favore delle povertà estreme è costituito prevalentemente
dalla Legge n. 328/2000 intitolata “Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali”15.
Essa costituisce a livello nazionale il quadro di riferimento normativo per
tutte le politiche sociali in senso stretto.
La “riforma sociale”, emanata dopo decenni di interventi legislativi sparsi
e frastagliati relativi all’assistenza, si propone di improntare principi, finalità e
fondamenti per la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi
sociali.
Precedentemente all’attuale sistema, il welfare italiano era rimasto l’unico
welfare categoriale in Europa. Si intende che esso prevedeva l’erogazione di
benefits a cittadini di categorie a rappresentanza consolidata e garantita (ad
esempio, minore, famiglia di minore, tossicodipendente, portatore di handicap…)
15
Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.265 del 13 novembre
2000- Supplemento Ordinario n. 186.
35
e che l’erogazione di assistenza sulla base delle categorie significava per il
cittadino avere il requisito di appartenere ad una categoria e dimostrarlo.
Prima della legge di riforma dell’assistenza, l’unica categoria mancante,
non prevista né garantita dal welfare system italiano, era quella del <<cittadino
adulto fra i 18 e i 65 anni>>16 non appartenente ad una delle categorie garantite.
Dunque colui che mostrasse tali caratteristiche, pur versando in condizione di
bisogno, non poteva beneficiare di assistenza.
Dunque
<<per
le
persone
senza
dimora
non
esisteva
nessun
riconoscimento legislativo né a livello nazionale né regionale>>17.
La Legge del 2000 sancisce il superamento del modello categoriale e
introduce un <<welfare che funziona secondo il principio del bisogno>>18 e non
costringe il cittadino ad appartenere ad una categoria né a dimostrarlo.
Peraltro, l’impronta della Legge 328 testimonia la maggiore attenzione
verso nuovi dispositivi di intervento per far fronte ad una mutata configurazione
del bisogno.
La riforma assistenziale promuove << universalismo e diritti di
cittadinanza>>19.
Il diritto di accesso alle prestazioni e ai servizi della rete integrata non è
più collegato ad una certa soglia di povertà, ma è predisposto per tutti i cittadini,
<<con priorità di risposta alle persone in stato di povertà, con incapacità totale o
parziale, con difficoltà di inserimento>>20.
Il nuovo modello di welfare universalistico, rivolto alla totalità dei
cittadini, prevede ulteriori interventi selettivi positivi a favore di aree della
popolazione che versano in particolari condizioni di bisogno.
L’articolo 28 della L. 328/00 prevede interventi urgenti per le situazioni di
povertà estrema.
16
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., pp. 55 e s.
17
L. Gui , Emarginazione grave, in << Servizi Sociali>>, Supplemento Dossier 4, Tutela
dei soggetti deboli, cit., p. 35.
18
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 55.
19
D. Mortello, Il sistema integrato di interventi e servizi sociali: le nuove politiche
sociali, in Modulo Assistenza e Servizi Sociali, materiale di supporto al Corso di Politica Sociale,
A.A. 2004-2005, p.12.
20
Ivi, p.12.
36
Esso è il primo riconoscimento di tutela giuridica di quella fascia di
popolazione che si è visto essere di fatto emarginata in modo grave dagli
interventi di welfare e dalla comunicazione coi Servizi.
Sulla scia di una maggiore sensibilità al problema dell’emergente
esclusione sociale e di alcuni interventi legislativi che hanno previsto in Italia la
sperimentazione di misure di sostegno al reddito (RMI, Reddito Minimo di
Inserimento), la Legge 328/00 prevede all’art. 23 la messa a regime del RMI sulla
base degli esiti della sperimentazione avviata nel 1998 e subordinatamente
all’approvazione di una legge ad hoc.
L’attuale Governo, poiché contrario all’introduzione di una simile misura
a livello nazionale, ha demandato alle Regioni l’istituzione di una misura del
genere, limitatamente alle situazioni di povertà estrema e di incapacità al lavoro.
Ma tale misura, che, come gli interventi di assistenza sociale, risulta tra gli
elementi più decentralizzati del sistema di welfare dal punto di vista delle
responsabilità amministrative e di erogazione, resta di fatto gestita a livello locale,
dove l’autonomia è totale e si possono creare differenze intranazionali a livello
regionale e tra Comuni della stessa Regione, anche sull’adozione della misura.
L’assenza di politiche di sostegno al reddito in Italia crea una situazione
profondamente diversa da quelle che sono le tendenze prevalenti a livello
europeo.
L’<<Europa sociale in costruzione>>21 è orientata alla garanzia minima di
risorse a livello universalistico, tra cui in particolare misure di sostegno al reddito
che contrastano la povertà e l’esclusione sociale.
Entro questa cornice, si comprende la raccomandazione 92/441/CEE22, che
nel 1992, ha introdotto il RMI e ha imposto agli Stati dell’Unione Europea di
ratificare la stessa.
Come accennato, in Italia, sulla scia della tendenza ad un welfare
municipale, il D. Lgs. 237/1998 , a ratifica della raccomandazione.., ha introdotto
a titolo di sperimentazione il RMI quale misura di contrasto alla povertà e
21
C. Saraceno , a cura di, Le dinamiche assistenziali in Europa. Sistemi nazionali e locali
di contrasto alla povertà, Il Mulino, Bologna, 2004, p.28.
22
Raccomandazione 92/441/CEE del 24 giugno 1992.
37
all’esclusione sociale in una logica di promozione
delle persone e di forte
integrazione sociale.
Le politiche sul RMI sono state sperimentate in Italia per due anni ed
hanno dato esiti contrastanti, tanto che ad oggi tali politiche sono assenti a livello
nazionale.
Tuttavia, un intervento legislativo come il D.Lgs. 237/1998, culminato
nella disciplina della L. 328/2000, testimonia una forte carica innovativa di
strategia dell’intervento a favore dell’emarginazione grave.
Propongo la lettura di alcuni articoli della Legge 328/2000, interessanti per
comprendere la tutela della fascia di popolazione che interessa la presente ricerca
e per introdurre successivamente il tema della sussidiarietà orizzontale, sul quale
si impernia l’intero testo legislativo e tale da ispirare il modello di welfare mix che
connota le attuali politiche di intervento a favore delle povertà estreme nelle
Amministrazioni locali.
Il catalogo della Legge prevede alcune disposizioni interessanti per la
trattazione del problema delle povertà estreme.
Nell’articolo 22 , intitolato Definizione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali, comma 2 a) , le misure di contrasto alla povertà e di sostegno al
reddito e i servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone
senza fissa dimora figurano al primo posto fra gli interventi che costituiscono il
livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi
nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali.
Immediatamente dopo, segue la Sezione II, intitolata Misure di contrasto
alla povertà e riordino degli emolumenti economici assistenziali, all’interno della
quale all’art. 28 viene istituito il reddito minimo di inserimento come misura
generale di contrasto alla povertà, alla quale ricondurre anche gli altri interventi di
sostegno al reddito, quali gli assegni di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8
agosto 1995, n. 335, e le pensioni sociali.
L’articolo 27 istituisce, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la
Commissione di indagine sulla esclusione sociale. Essa ha il compito di
effettuare, anche in collegamento con analoghe iniziative nell’ambito dell’Unione
Europea, le ricerche e le rilevazioni occorrenti per indagini sulla povertà e
38
sull’emarginazione in Italia, e predisporre per il Governo rapporti e relazioni per
illustrare le conclusioni raggiunte e le proposte formulate.
Infine, l’articolo 28 prevede che venga incrementato il Fondo nazionale
per le politiche sociali per potenziare gli interventi urgenti per le situazioni di
povertà estrema, volti ad assicurare i servizi destinati alle persone che versano in
situazioni di povertà estrema e alle persone senza fissa dimora.
Si ritrovano altri due interventi legislativi interessanti.
L’ Ordinanza del Consiglio dei Ministri n. 18 del 24/01/00 prevede
l’attivazione di interventi specifici contro la povertà e l’esclusione sociale.
Si tratta del primo atto legislativo indirizzato alle persone senza dimora,
che prevede uno specifico fondo a favore dei Comuni per interventi mirati allo
scopo di fronteggiare l’emergenza freddo.
Tale ordinanza, nonostante abbia subito numerose critiche riguardanti il
suo carattere di intervento legato all’emergenza, mostra comunque un inizio di
interesse nei confronti della problematica.
Circa i tentativi di rendere i Servizi più accessibili, attraverso correzioni
che possano agevolare l’incontro con l’utente, è opportuno menzionare la
Circolare del Ministero degli Interni del giugno 1995.
Essa ha indicato la possibilità, per quanto riguarda la residenza anagrafica,
di eleggere il proprio domicilio, in caso di necessità, presso il Comune di
appartenenza.
Si è cercato di sopperire alle problematiche precedenti mediante accordi
con Questura, Enti pubblici e privati, con l’introduzione di residenze fittizie
definite dimore temporanee, presso alcuni Servizi identificati.
All’interno del documento si trova scritto
Il concetto di residenza… è fondato sulla dimora abituale del soggetto sul territorio
comunale, cioè dall’elemento obiettivo di permanenza in tale luogo e soggettivo dell’intenzione di
avervi stabile dimora, rilevata dalle consuetudini di vita e dalle relazioni sociali in presenza di
quello che costituisce il diritto-dovere del cittadino, richiedere ed avere la residenza anagrafica,
non si puo’ assolutamente ipotizzare l’esistenza di una discrezionalità dell’amministrazione
comunale, ma soltanto il dovere di compiere un atto dovuto ancorato all’accertamento obiettivo di
un presupposto di fatto, e cioè la presenza abituale del soggetto sul territorio.
39
Con l’emanazione della circolare si riesce ad avere su tutto il territorio
nazionale una linea di condotta uniforme, evitando un comportamento diseguale
nei confronti dei cittadini a seconda del Comune eletto a proprio domicilio.
Per quanto riguarda la competenza territoriale, in caso di persona
irreperibile fa fede, se possibile, la residenza storica dell’individuo.
II. 2. 2 Welfare mix e sussidiarietà orizzontale
L’art. 1, comma 5 della Legge 328/2000 prevede che
Alla gestione ed all’offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di
soggetti attivi, nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non
lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione , organizzazioni di volontariato,
associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato ed altri soggetti privati. Il
sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della
solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle
forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata.
La Legge 328 promuove un << welfare plurale delle responsabilità>>,
cioè propone un << modello di welfare costruito e sorretto da responsabilità
condivise in una logica di sistema allargato di governo che valorizzi il federalismo
solidale… nel quale, accanto alla promozione e alla regolazione pubblica, convive
la progettazione dei soggetti pubblici e privati, dei soggetti istituzionali e non>>23.
Si afferma pertanto il principio della sussidiarietà orizzontale, principio in
virtù del quale Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni
favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale.
<<Non è più una facoltà dell’ente pubblico avvalersi della collaborazione
dei soggetti terzi, ma diventa un obbligo ed una modalità di governo prevedere
forme di partecipazione attiva>>24.
23
D. Mortello, Il sistema integrato di interventi e servizi sociali: le nuove politiche
sociali, in Modulo Assistenza e Servizi Sociali, cit., pp.12 e s.
24
Ivi,pp.12 e s.
40
Gli attori sociali, per il principio di solidarietà implicito in quello di
sussidiarietà, vengono pertanto coinvolti attivamente lungo tre direttrici:
-programmazione/progettazione dei servizi
-produzione di servizi e prestazioni
-promozione dei diritti di cittadinanza attiva.
Si sviluppano politiche sociali che favoriscono un modello “misto” di
servizi, a cui concorrono non solo le Pubbliche Amministrazioni e la
cooperazione sociale, ma tutto il mondo del volontariato, lo stesso mercato profit
e la comunità locale attraverso le forme varie di cittadinanza attiva (es. gruppi di
auto-aiuto).
Quello delle politiche sociali per le povertà estreme è uno dei settori del
welfare in cui si realizza maggiormente la collaborazione tra pubblico e privato.
La collaborazione tra agenzie pubbliche e private, definita welfare mix, ha cercato
di risolvere alcuni dei problemi del welfare system, puntando alla creazione di
organizzazioni meno burocratiche, più elastiche, adattabili ai reali bisogni degli
individui, con spese minori e con coinvolgimento maggiore delle persone (grazie
al progressivo aumento di gruppi di auto-aiuto).
Si intendono facenti parte del settore pubblico enti ed istituzioni
appartenenti a Stato ed enti locali, sia a livello regionale che statale.
Il concetto di privato sociale, invece, identifica organizzazioni,
associazioni e istituzioni non governative e non profit sia che impieghino
personale retribuito, sia che si tratti di organismi a base volontaria collegati alla
Chiesa o a comunità religiose.
Nella maggior parte dei casi, la parte pubblica si è riservata la
programmazione ed il controllo, lasciando la gestione diretta della produzione dei
servizi al settore privato.
In Italia, a livello locale il settore pubblico rappresenta il principale
finanziatore dei servizi. I servizi privati a volte ricevono sovvenzioni pubbliche
per erogare servizi che vengono appaltati loro, oppure lo Stato sovvenziona
organizzazioni private a patto che operino interventi formalmente strutturati.
Quindi la distribuzione dei servizi avviene secondo un modello misto,
grazie a interventi pubblici e privati.
41
<<L’emergere, e la costante espansione, della realtà privata e volontaria si
colloca nei fatti in quel vuoto relazionale che separa gli emarginati gravi
dall’accesso alle risorse sociali>> 25.
La sua funzione dunque è quella di prolungare i canali di accesso per le
persone senza dimora alle risorse sociali.
<< I servizi pubblici di fronte alla difficile situazione di aver formalmente
recepito la domanda (grazie alla canalizzazione del privato sociale) spesso non
ingaggiano concretamente una relazione d’aiuto diretta>>26 , non negano il
bisogno espresso, ma si dichiarano inadeguati a porvi rimedio.
Il servizio pubblico riesce a farsi carico solo in minima parte di questi
cittadini e fondamentalmente solo in situazioni di emergenza, grazie a servizi
locali molto flessibili o di pronta emergenza. Non sembra al contrario frequente il
ricorso istituzionale coerente e duraturo dei servizi normali, specializzati o
territoriali.
Fa difetto un requisito fondamentale al nostro assetto pubblico dei servizi:
l’inclusione esatta in una delle tipologie di emarginazione normalmente
riconosciute.
Parallelamente il privato sociale (volontariato, cooperazione sociale), che
si è mostrato efficace e sollecito, appare lo strumento più idoneo, flessibile ed
economicamente meno costoso che gli enti locali possono adottare senza dover
sostanzialmente modificare il proprio modello organizzativo e il proprio assetto
dei servizi alla restante parte della popolazione.
Così, l’area di emarginazione, riscoperta e visibilizzata dal privato sociale,
viene affidata a quest’ultimo attraverso una restituzione formale di ruolo: l’ente
locale preposto all’assistenza, nella maggior parte dei casi, attribuisce
all’organismo privato-volontario la funzione di servizio pubblico, attraverso
specifiche convenzioni o erogando contributi economici, in una sorta di ampia
delega a trattare il residuo della casistica sociale saltata dagli uffici pubblici.
25
L. Gui, Emarginazione grave e persone senza dimora, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è,cit., pp. 92 e ss.
26
Ivi, pp. 94 e s.
42
La scappatoia di sovvenzionare il privato sociale permette così , in molti Comuni italiani,
di reagire al disagio più marginale spostando l’intervento dalle singole risposte a domande
individuali di cittadini bisognosi, ad accordi generali tra ente pubblico e soggetti sociali civili
(l’associazionismo solidale) che domandano risorse pubbliche per contrastare in proprio i
problemi emergenti.
In questa direzione, a determinare il peso delle politiche sociali è il peso contrattuale
culturale e politico degli organismi privati che entrano in gioco27.
Nella relazione d’aiuto si tratta sostanzialmente di passare dalla sequenza
più formale utente- operatore pubblico -rete solidale- utente (nella quale l’utente è
il portatore della domanda d’aiuto all’operatore il quale attiva la rete come risorsa
nel suo progetto d’aiuto con l’utente), alla sequenza rete solidale- operatore
pubblico- utente- rete solidale (nella quale la rete segnala il bisogno emergente ed
utilizza il servizio attraverso l’operatore per una risposta più completa).
Le reti solidali divengono il riferimento primo ed ultimo entro cui
l’operatore sviluppa la sua relazione con l’utente, diventando a loro volta utenti e
destinatari dell’intervento d’aiuto; l’utente individuale a sua volta viene riportato
alla funzione di risorsa per la rete cui si annoda.
Quindi << è possibile trovare una risposta che preveda da un lato un
settore pubblico che organizza gli standard essenziali minimi, dall’altro il settore
privato che agisce sul sistema relazionale privato>>28.
L’integrazione di servizi pubblici e privati si riscontra anche al fine di
garantire all’utenza una maggiore flessibilità nell’erogazione delle prestazioni,
così ad esempio i servizi pubblici hanno orari amministrativi, con la chiusura
degli uffici alle 17 e durante i week end. I servizi del volontariato, invece, la cui
apertura è subordinata alla possibilità di coinvolgere del personale volontario,
hanno orari e giorni di apertura diversi secondo la loro prestazione e
l’organizzazione interna.
Una delle conseguenze di questo modello è che talora il contenuto del
servizio viene influenzato dall’identità del soggetto che lo presta, tuttavia le
27
L. Gui , Emarginazione grave, in << Servizi Sociali>>, Supplemento Dossier 4, Tutela
dei soggetti deboli, cit., pp. 38 e s.
28
P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa,
cit., 1995, p.22.
43
prestazioni sono categoriali o non categoriali sia nel pubblico che nel privato,
mentre si ravvisa nel privato la tendenza ad escludere i soggetti più violenti,
mentre il pubblico ha l’obbligo di accoglienza verso chiunque.
Il settore non profit, sia sotto forma di entità non formalizzate di
volontariato, sia sotto forma di progetti sperimentali tende ad essere il principale
promotore di innovazioni .
II. 2. 3 Aspetti problematici nell’assetto dei Servizi
Alcuni autori descrivono gli << effetti perversi >>29 dell’intervento del
welfare locale, cioè il fatto che le politiche sociali contro la povertà estrema di
fatto non pervengono ad eliminare la presenza della povertà estrema nella strada,
la sua visibilità>>.
L’analisi di Bergamaschi30 sottolinea due aspetti:
-la categorizzazione di forme di intervento rivolte specificamente a
persone senza dimora
-interventi sempre più residuali.
L’insieme di interventi specificamente indirizzati a tale popolazione
assume rilevanza marginale rispetto al complesso degli interventi del welfare
system e la residualità dell’assistenza produce declassamento sociale e
stigmatizzazione.
Un’analisi interessante evidenzia che l’uomo della strada deve <<far
carriera nell’istituzione>> e per presentarsi al servizio << deve accettare la
degradazione dei suoi antichi attributi per indossare l’identità di SDF (senza
domicilio fisso). E’ evidentemente una degradazione considerevole, una rinuncia
all’immagine di sé…L’accettazione dello statuto degradato di SDF passa
29
P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa,
cit., p.75.
30
Ivi, p.67.
44
attraverso l’imitazione: si fa come gli altri che sono là..Il ricorso all’alcol, al vino
soprattutto, segnala il cambiamento di stato, l’adesione al nuovo ruolo>>31.
Pieretti denuncia che le persone in povertà estrema hanno un’aspettativa
di vita inferiore a 50 anni.
<< Il fatto che di vita senza dimora si muore è un campanello d’allarme
per i welfare system europei. In tutti i sistemi europei d’assistenza il problema dei
senza dimora è un problema in crescita e il fenomeno si sta estendendo a macchia
d’olio >>32.
Pieretti critica che << il welfare system non è affatto competente per questi
problemi perché affronta le povertà estreme come se fossero l’ultimo gradino
delle povertà tradizionali e quindi con un pacchetto standard che non prevede
delle specificità>>33.
Occorre evidenziare l’elemento, che probabilmente costituisce il maggior
fattore di emarginazione dai servizi, cioè l’ esclusione dalle istituzioni e la
selezione dell’utenza da parte dei servizi.
La FIOpsd indica alcuni meccanismi di esclusione messi in atto dai
Servizi:
-la territorialità: indica nella competenza territoriale la possibilità per la
persona di essere presa in carico da parte dei servizi
-la divisione settoriale fra interventi sanitari e sociali
-la metodologia di intervento che prevede progetti a termine.
Questi meccanismi, pur rispondendo a parametri che possono essere
corretti, determinano la possibilità delle persone di venire escluse da parte del
servizio.
Si attiva un processo di reciproca esclusione : da un lato la struttura tende
in questo modo a selezionare i propri utenti impedendo l’accesso a persone che
non aderiscono ai suoi criteri e dall’altro i senza dimora tendenzialmente si auto
escludono.
31
J. F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P.
Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., pp.84 e
s.
32
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit.,pp. 77 e s.
33
Ivi, p. 78.
45
Le istituzioni ( i centri d’accoglienza in particolare) selezionano la
migliore “clientela”, quella che è valorizzante, quella che puo’ manifestare la
volontà di reinserimento.
Talora la capacità di enunciazione, cioè di raccontare la propria vita,
diventa presupposto per le istituzioni per selezionare i propri clienti .
Le istituzioni pubbliche o private talora rifiutano la presa in carico troppo
pesante; l’istituzione infatti non puo’ accettare la cattiva volontà l’utente (non è
puntuale secondo gli orari degli uffici, è incostante, puo’ essere caratterialmente
alterato, avere un aspetto indecoroso, non si sottopone alle formalità, ecc..) e tutti
i segni che l’accompagnano: il corpo pesante, segnato, che emana odori
sgradevoli, il linguaggio brutale, incoerente, incomprensibile, ripetitivo.
L’alternativa, che l’istituzione propone all’utente che non manifesta la
volontà di reinserirsi e di seguire percorsi predefiniti, progettuali, di socialità, è
l’offerta di servizi legati esclusivamente al <<Bios>>34, al vivere materialmente ,
alla sopravvivenza. << se non vuoi l’inserimento, mangia e vestiti!>>35, ma la
ricerca che espone tale concetto conclude che non si puo’ vivere di solo Bios.
La mancanza di presa in carico, perché la persone senza dimora si sottrae
all’intervento e perché l’istituzione rifiuta una presa in carico, obbliga l’uomo
sulla strada ad essere tale. Ma l’uomo sulla strada non puo’ essere ridotto a Bios,
altrimenti muore.
II. 2.4 Per una nuova chiave di lettura del welfare system: le microfratture
Rispetto ad un approccio che tende a leggere situazioni di povertà estrema
come una sottoclasse della povertà, viene proposta una chiave di lettura
radicalmente diversa.
Tra povertà e povertà estrema non vi è solo una differenza di grado e di
intensità nella deprivazione, ma vi è una distinzione di natura più profonda.
34
J. F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P.
Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., pp.103 e
s.
35
Ivi, p. 103.
46
Si tratta di due universi distinti, che richiedono quadri teorici,
metodologie, strumenti di lettura e interventi di welfare completamente differenti.
Ben diverso è trattare di povertà, per uscire dal cui stato è sempre stata una
questione di mezzi concreti, mentre trattare la povertà estrema significa separarsi
sempre più da una cultura omogenea di bisogni materiali.
La persona senza dimora avanza in una zona di isolamento soggettivo
crescente, che rende sempre meno possibile un’ipotesi di ritorno.
Quindi ogni strategia di politica sociale nei confronti della povertà estrema
deve innanzitutto essere <<subordinata al controllo del processo di isolamento,
scivolamento, di uscita da un qualsiasi gruppo culturalmente e strutturalmente
organizzato>>.
L’intervento deve identificare le <<microfratture>>, cioè <<come il
processo di isolamento – il quale guida il soggetto attraverso condizioni di
progressiva povertà estrema – si produca secondo microvarazioni che
difficilmente vengono percepite sia dal soggetto che dall’esterno>>36.
Dunque due dovrebbero essere gli obiettivi dell’intervento:
-
salvaguardia delle condizioni materiali del soggetto, benché sia
impossibile caricare questo ambito di compiti a volte non realistici, quali ad esempio il
rientro nel mondo del lavoro
-
intervento mirato al contenimento dei processi di decomposizione e
abbandono del Sé, attraverso la lotta contro i motivi che li hanno scatenati e la creazione
del maggior numero possibile di momenti e condizioni di appartenenza e solidarietà 37.
L’intervento interessa in modo crescente aspetti della sfera psichica e sociale:
-
è necessario costruire un sistema di interventi ad hoc contro la povertà
estrema, che sia articolato su diversi livelli operativi in grado di intervenire nelle
dimensioni descritte in precedenza
-
è necessario raggiungere una divisione netta e funzionale dei compiti,
anche considerando che, nel caso specifico, la prevenzione sembra essere fondamentale.
Essa significa identificazione delle motivazioni collegate ai processi di impoverimento
estremo e ai meccanismi di disarticolazione dei rapporti sociali
36
P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa,
cit., pp. 16 e s.
37
Ivi, p. 17.
47
-
è necessario ricercare e identificare costantemente nuovi meccanismi di
impoverimento all’interno di ogni contesto nazionale e soprattutto definire le variabili
che stanno alla base dei processi di rottura
-
riorganizzazione delle metodologie di intervento e politiche formative e
innovative degli operatori sociali per offrire una professionalità adeguata38.
La linea direzionale lungo la quale è opportuno muoversi è la conoscenza
approfondita del fenomeno a livello locale, la conoscenza profonda del problema
delle microfratture e , poiché sappiamo che la povertà estrema è determinata dallo
squilibrio tra persona e ambiente, occorre soprattutto identificare quali sono le
altre variabili, che connotano e determinano il fenomeno, oltre al problema
materiale.
Mettere a punto un intervento significa applicare una strategia in grado di
dare risposta a tali nuove e crescenti situazioni di limitazione della resistenza e
dell’equilibrio personale dell’individuo; significa soprattutto essere in grado di
adattare l’intervento alle situazioni locali di parziale riassorbimento delle rotture.
La creazione di una nuova strategia implica quindi una riaggregazione e
una ricostruzione di condizioni relazionali accettabili fra il soggetto e l’ambiente.
Questo concetto di equilibrio persona /ambiente comprende almeno tre
elementi:
1) Il primo è l’ambiente fisico, in cui il soggetto vive.
L’intervento deve fornire al soggetto un “controllo” e un dominio minimo
sull’ambiente, facendo riferimento a tutte le teorie in tema di ecologia e analisi
dello spazio circa la relazione di interdipendenza con la realtà esterna.
Deve conferire <<il senso del “possesso” (quale percezione di una
potenzialità propria del soggetto all’uso autonomo dello spazio) verso un certo
ambiente>>39.
Il possesso puo’ essere limitato a un raggruppamento ristretto di elementi
connessi alla semplice sussistenza giornaliera (uno spazio in cui vivere, un luogo
in cui disporre le proprie cose, uno spazio in cui reinventare la propria presenza
38
39
Ivi, pp.19 e s.
Ivi, p.24.
48
fisica), mentre
l’assenza di spazi autonomi che siano veramente esclusivi e
privati si rivela critica.
L’intervento è quindi chiamato da un lato ad arrestare il processo di
disorientamento e regresso dall’ambiente, che spesso
caratterizza lo stato di
povertà estrema; dall’altro ad ampliare il senso di spazi relazionali.
2) Il secondo elemento è il senso di comunità. È necessario operare in
modo da giungere ad un <<sistema dove i rapporti siano sempre più di tutti con
tutti>>40. Ovviamente ciò deve investire soprattutto la dimensione relazionale,
non la sfera dei servizi primari.
Comunque , a livello relazionale, il servizio deve cercare di favorire
(magari ricorrendo in maniera preponderante a forze del volontariato di base o
strutture ampiamente decentrate) l’attivazione di un rapporto significativo fra
soggetto e territorio. << “Fare territorio” deve divenire elemento centrale
dell’intervento>>.
Con l’espressione suddetta si fa riferimento all’incapacità della persona di
“fare territorio”: infatti <<il soggetto in povertà estrema puo’ utilizzare diversi
luoghi e a volte spostarsi sul territorio, ma la sua capacità di controllo, gestione,
uso degli spazi tende a diminuire. Lo spazio fisico si fa sempre più esteriore, una
realtà esterna >>41.
3) Il terzo elemento per la costruzione di un equilibrio persona/ambiente è
la
conoscenza del territorio, della comunità o, quando appaia difficilmente
definibile, la conoscenza del meccanismo che porta all’attivazione di una minima
dimensione relazionale.
L’attenzione
ad
<<aree
urbane
significative>>
richiama
aspetti
problematici. Infatti, pur essendo interessante il discorso << a livello astratto sul
ricollegamento fra soggetto e territorio, esso diviene emblematico e ambiguo
quando si prendano in esame aree che non offrono segnali significativi di
aggregazione collegati alla nozione di comunità. Il problema attuale è quello di
40
41
Ivi, p.24.
Ivi, p.18.
49
indagare all’interno delle rotture del tessuto sociale, al fine di ripristinare
solidarietà e meccanismi di appartenenza>>42.
Non si possono applicare politiche di integrazione di tipo tradizionale, ma
occorre dare una lettura del problema senza dimora, che accentui il riverbero
interiore, le microfratture, senza che ciò voglia dire psichiatrizzare o
individualizzare l’approccio, ma piuttosto considerare anche e soprattutto la sfera
intima e la percezione della realtà della persona senza dimora.
Certo ciò significa mettere in campo linee di politica sociale meno sicure e
consolidate delle tradizionali linee, quali l’erogazione di benefits consolidati.
Significa specialmente <<ridare attaccamento alla vita a qualcuno che l’ha
perso43>>.
L’analisi di Luigi Gui44 fa notare un elemento usato nella lettura delle
culture organizzative dei servizi, che puo’ servire per spiegare i fattori originanti
barriere all’accesso per le persone senza dimora ai servizi.
Si tratta dei cosiddetti << codici affettivi>>45 utilizzati dal Servizio
nell’impostare la relazione con l’utente.
È bene sostituire la relazione frontale up-down, dove vi è qualcuno che si
presume capace e competente rispetto a qualcuno che si presume incapace e
impotente, con quella dove non vi sia una netta distinzione tra chi prende e chi
offre.
Il codice che Gui predilige per favorire l’accesso, la presa in carico e
l’accompagnamento sociale delle persone senza dimora è quello fraterno, che
scardina il precedente modello up- down, tra chi eroga e chi riceve, ed instaura un
rapporto laterale, fra pari.
I servizi devono cambiare presupposti: non esiste la cronicità, esiste invece
la cronicizzazione.
42
Ivi,pp.24 e s.
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit.,p p.66 e s.
44
L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di,
Servizio sociale e povertà estreme, cit.,p p.120 e ss.
45
S. Capranico, In che cosa posso servirla, idee e cultura per le organizzazioni di
servizio, Ed. Guerini e associati, Milano, 1992, pp. 63 e ss.
43
50
Occorre staccarsi dall’ottica del rientro e del successo, che si lega ad un
codice affettivo paterno, di tipo up- down , generatore di distanza tra le parti della
relazione e fattore determinante la recessione dal rapporto della persona senza
dimora.
È, dunque, pratica cattiva l’alta soglia, ma anche la soglia inesistente;
infatti gli <<interventi di riduzione del danno (residuali) mirano a tamponare
situazioni di emergenza nel percorso di grave marginalità della persona, ma non
hanno nel lungo periodo la possibilità di invertire il percorso46>>.
Occorre capire l’improbabile accoppiamento della vita delle persone senza
dimora e dei Servizi e passare dall’atteggiamento che stipula che non ci sia nulla
da fare per loro ad uno che tenti invece di entrare nella loro antropologia
attraverso l’uso degli stili comunicativi adatti.
Si propone un intervento di aggancio, fatto in strada, di bassa soglia e la
possibilità successivamente di altri livelli più sofisticati.
Sono sorti in via sperimentale e solo per alcune aree del disagio adulto
servizi definiti a bassa soglia che hanno come caratteristica quella di permettere
alla persona di accedervi senza precisi requisiti d’accesso.
Si cerca in questo modo di incontrare la persona in difficoltà e rimuovere
gli ostacoli che talora non permettono l’incontro.
Il metodo della bassa soglia è quello ritenuto da molti il più idoneo ad
occuparsi del disagio adulto.
Gli interventi di bassa soglia, dove l’intervento si basa sul gioco
relazionale, hanno la capacità di invertire il percorso di marginalità47.
I servizi per le persone senza dimora devono essere facilmente
raggiungibili; vi è la necessità di salvaguardare la persona, tutelare la salute, e
mantenere le condizioni di vita in situazioni minimamente accettabili.
È comunque necessario partire da un approccio meno selettivo e più
accogliente prevedendo in seguito,se possibile, un percorso in evoluzione,
46
G. Invernizzi, Il nuovo albergo popolare di Bergamo, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a
cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit.,p. 136.
47
Ivi, p. 136.
51
cercando in ogni caso di instaurare una relazione anche se basata sull’offerta di
risorse primarie.
Si prevedono tempi lunghi, quanto quelli che sono necessitati alla persona
per scivolare progressivamente in un processo di deriva; e soprattutto si prevede
<<una via diversa per ogni persona>>48.
Infatti non si tratta di privilegiare l’uno o l’altro intervento, ma è questione
di sapere che un tipo di intervento puo’ funzionare su un certo tipo di situazioni e
non altre. Occorre individuare l’obiettivo strategico dell’intervento, sapendo che
adottare interventi di un tipo, con o senza quelli di un altro tipo, puo’ avere esiti
diversi.
<<I servizi e quindi gli operatori sociali devono essere sempre più
consapevoli che, utilizzando risorse di tipo comunitario e nel contempo lavorando
sulle specificità delle condizioni di vita dei singoli, si potrà contribuire a fargli
ritrovare senso>>49.
Occorre
pensare
cambiamenti
nei
modelli
di
intervento
e
nell’organizzazione dei servizi rivolti a fruitori che portano un bisogno nuovo:
<<c’è un bisogno nuovo di sentirsi parte che va continuamente rinegoziato nelle
sue radici fiduciarie di fronte all’individualismo emergente imposto dalle
dinamiche globali>>50.
Come già detto, per una nuova configurazione dell’area del bisogno si è
passati nel corso degli anni 80-90 dalla nozione di povertà a quella di esclusione
sociale.
Le nuove politiche di inserimento sono rivolte non tanto a riparare le
situazioni di svantaggio, quanto invece a promuovere il legame sociale.
48
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., pp.73 e ss.
49
Ivi, p.78.
50
C. Landuzzi, Un’esclusione globale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio
sociale e povertà estreme, cit., p. 87.
52
Le istituzioni specializzate sono organizzate sulla base della divisione fra
dimensione del <<Bios (dal greco vita, pane, poi fame,il desiderio di pane e per
estensione la vita) e del Socius>>51.
Le prime, senza le seconde, riducono la persona a Bios; sono quelle
preposte al mangiare, vestire, dormire. L’istituzione nutre la persona , la veste, le
da’ da dormire , seleziona la clientela sulla base della volontà di reinserimento, al
progetto.
Ma la persona non puo’ essere ridotta a Bios unicamente, altrimenti
morirebbe. Occorre dunque studiare altre istituzioni i cui approcci più innovativi
oltrepassino questa divisione e lavorino anche sulla dimensione del Socius, cioè
della relazionalità, e vadano a lavorare con il <<ventre>>52 delle persone senza
dimora, cioè memoria culture, sentimenti ed emozioni.
Poiché spesso una carica innovativa proviene dal settore non profit, che
introduce pratiche più adeguate ai bisogni dei poveri, poiché l’intervento per le
persone senza dimora avviene principalmente a livello di comunità nel quadro di
un welfare mix, si ritiene che per superare gli effetti perversi della lotta alla
povertà estrema occorra necessariamente la cooperazione/ divisione delle attività
tra soggetti pubblici e privati .
II. 3 Welfare locale: rete dei Servizi
per le persone senza dimora
nell’esperienza genovese
II. 3. 1 Politiche d’intervento a favore delle povertà estreme a Genova e
rete istituzionale53
L’organizzazione dell’intervento per le povertà estreme a livello locale
genovese prevede il delinearsi di un modello di welfare misto dove collaborano il
51
J. F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P.
Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., pp.103 e
s.
52
Ivi, p.103.
53
La fonte principale da cui ho tratto le informazioni è: V. Gallo, Le politiche di
intervento a favore delle povertà estreme, materiale di supporto al Corso di Politica Sociale, A.A.
2004-2005.
53
settore pubblico e il terzo settore ( Associazionismo, Cooperazione sociale,
Volontariato) secondo l’impostazione di una politica di rete.
L’aspetto positivo che connota i rapporti fra pubblico e terzo settore è la
creazione di servizi più agili e flessibili, coerentemente alla realizzazione del
sistema di integrato di interventi e servizi sociali previsto dalla Legge quadro
328/2000.
La rete istituzionale cittadina , attorno alla persona senza dimora,
comprende innanzitutto soggetti facenti parte del settore pubblico.
Primo fra essi è il Comune di Genova, con funzioni di regia, controllo e
coordinamento dei servizi.
L’Ente locale opera attraverso diverse strutture :
-
Distretti Sociali
-
U.O. Cittadini senza territorio (Direzione Servizi alla
persona)
-
Ufficio Coordinamento Inserimenti Lavorativi
-
Anagrafe
La A.S.L. 3 Genovese struttura l’intervento grazie al lavoro di
-
C.S.M
-
Ser.T
-
Ospedali
Anche a Genova, come nella maggior parte delle città italiane, il ruolo
svolto dal Privato Sociale ha un’importanza fondamentale.
Peraltro il privato sociale genovese vanta una competenza riconosciuta a
livello europeo, testimoniata da alcuni progetti specifici legati a ricerche
transnazionali (Progetto <<Testa & piedi>>54 e <<Il sogno di Vladimir>>55
realizzati nell’ambito del programma sostenuto dalla Commissione Europea D.
G.: Occupazione e Affari sociali).
Le tre maggiori agenzie che si occupano di persone senza dimora e
partecipano ad un tavolo tecnico e politico con l’Ente locale sono:
54
Ass. San Marcellino, Fundation S.M. de Porres, Ass. Emmaus de Forback, Testa e
piedi, Unione Europea, 2001.
55
Ass. San Marcellino, Fundation S.M. de Porres, Ass. Emmaus de Forback, Il sogno di
Vladimir, Unione Europea, 2002.
54
-
l’ Associazione San Marcellino
-
l’ Associazione Massoero 2000
-
e la Fondazione Auxilium- Centro d’ascolto Monastero,
della Caritas Diocesana.
Vi sono inoltre numerose altre realtà legate al mondo del volontariato e
della chiesa (Centri d’ascolto vicariali della Caritas Diocesana ).
Associazioni e Fondazioni sono risorse rilevanti per riuscire a costruire un
rapporto basato su legami di reciprocità e per la costruzione di un valore
fondamentale come la comunità.
Il Comune riconosce queste realtà e sostiene talora con contributi
economici specifici servizi da loro offerti.
Si sta sviluppando una modalità di lavoro integrato tra pubblico e privato
nel quale il ruolo del Comune è quello di controllo e coordinamento.
Negli ultimi anni si sono sviluppate trasformazioni, che di seguito
sintetizzo.
Nel 1994 si costituisce un gruppo di coordinamento per i senza dimora ,
formato da Privato Sociale, operatori dei Servizi Sociali Comunali, operatori dei
SerT e dei C.S.M.
Nel 1999 si avvia il processo di trasformazione legato alla necessità di
sviluppare un coordinamento tra i vari servizi che si occupano di persone senza
dimora.
Il progetto viene riformulato all’interno della Conferenza Strategica del
maggio 1999, nella quale Genova aderisce al movimento delle Città educative e
definisce al suo interno un patto per la Città Solidale ed Educativa, chiamato
“Patto per la costruzione di una Conferenza Permanente per le persone senza
dimora”.
Tale patto viene concertato tra forze diverse quali Amministrazione
Comunale di Genova, esercizi sanitari della ASL 3, varie associazioni e gruppi di
volontariato.
Viene ribadita l’importanza della “risorsa cittadino” per costruire
un’identità collettiva ed educare l’individuo al rispetto e alla valorizzazione degli
altri, progettando un miglioramento della qualità della vita di tutti.
55
Tra i nodi problematici viene presa in considerazione l’esigenza di dare
maggiori opportunità a tutti i cittadini e garanzie ai più deboli e uno spazio
specifico è riservato alle persone senza dimora.
All’interno
di
questo
percorso
viene
avviato
il
processo
di
ridimensionamento dell’Asilo Notturno Massoero (la struttura, che un tempo
poteva ospitare 120 persone, oggi permette l’alloggiamento di 20, e 30 durante i
periodi di emergenza).
Nel 2000 il Consiglio dei Ministri eroga un provvedimento conosciuto
come Fondo per l’emergenza freddo.
La deliberazione del Comune
C.C. n. 124 del 23/10/ 2000 è un
provvedimento quadro, di indirizzo e traccia gli indirizzi generali sul sistema di
servizi e interventi per le persone senza dimora , prendendo atto delle
trasformazioni in corso che vedono il Comune recedere progressivamente da una
linea di politica massoerocentrica ad una di concertazione con le agenzie esterne.
Essa sancisce il passaggio definitivo da un’impostazione delle politiche
sociali di tipo “massoerocentrica” ( dal nome dell’asilo notturno comunale
Massoero, struttura di pernottamento dell’Ente locale) ad una politica di rete nella
quale l’Amministrazione Comunale esercita una funzione di regia e di mediazione
in linea integrativa con i dettami della Legge quadro sull’assistenza.
Il sistema presuppone un progetto di reinserimento sociale, lavorativo,
abitativo e relazionale per la persona senza dimora, con la finalità di favorire
percorsi di inclusione sociale e garantire una pluralità di accessi ai cittadini.
È
importante
sottolineare
che
la
delibera
individua
all’interno
dell’Amministrazione Comunale la costituzione di una Unità Operativa Cittadini
senza territorio, che oltre a nomadi e stranieri, si occupa anche di persone senza
dimora.
Essa svolge funzioni di segretariato sociale, trattamento casi, gestione
della rete, accompagnamento e
sostegno della persona fino al percorso di
inclusione sociale.
Le funzioni dell’Amministrazione Comunale sono quindi coordinamento,
monitoraggio, verifica, controllo osservatorio e rilevazione del fenomeno, oltre a
quelle già identificate tra le funzioni dell’unità operativa.
56
Finalità del sistema sono:
-miglioramento della vita personale e collettiva
-riduzione del danno
-garanzia di una pluralità di accessi, accoglienza e metodologie
d’intervento.
Le finalità rispetto alla rete sono:
-coordinamento della rete
-progettazione concertata
-osservatorio e rilevazione del fenomeno
-referenza istituzionale.
Percorsi in atto sono:
- Supervisione e Valutazione del Progetto STIEGA (Sistema Territoriale
degli interventi per l’emarginazione adulta), un percorso di supervisione
complessiva, condotto dalla FIOpsd, di cui anche il Comune fa parte.
La Federazione Italiana Organismi per le Persone senza dimora si è
costituita legalmente nel 1990; raggruppa e rappresenta organismi che a livello
locale erogano servizi per le persone senza dimora e ha fra i suoi obiettivi
promuovere il coordinamento tra le realtà pubbliche e private che operano nel
settore.
-Tavolo di concertazione politico.
La delibera dell’aprile 2004 “ Prime linee guida per una politica a favore
della grave emarginazione adulta” fatta di concerto da Privato Sociale e Direzione
dei Servizi alla persona-Servizi Sociali Cittadini, approva un documento
programmatico, scritto e firmato dalle diverse organizzazioni, dal quale si legge
che gli elementi fondanti sono:
-centralità della persona (combattere cronicità e garantire sopravvivenza)
-approccio multidimensionale al bisogno
-progetto con la persona
-prevenzione
-coesione sociale.
Gli elementi per la definizione della programmazione sono favorire il
diritto a
57
-salute
-alloggiamento
-accesso
-lavoro.
Dunque, diversi soggetti, sia pubblici che privati, collaborano per
sostenere la persona nel soddisfacimento di bisogni primari e nel percorso di
reinserimento sociale.
Attorno alla persona puo’ essere formulato un progetto, più o meno
definito, che prevede la presa in carico da parte di un Servizio e l’intervento più o
meno consistente degli altri attori della rete.
La collaborazione si sostanzia in un coordinamento delle risorse,
nell’invio e nella segnalazione di un ente da parte di un altro.
La rete degli enti che si occupano di persone senza dimora si realizza
attraverso alcune riunioni.
Ogni 15 giorni si tiene un Coordinamento, un Tavolo “tecnico” cui
partecipano:
-il Distretto Sociale Centro Est
-l’Ufficio Cittadini senza territorio
-il Privato Sociale, che consta di Associazione San Marcellino,
Associazione Massoero 2000, Fondazione Auxilium.
Essi discutono sui casi comuni e su quelli che non hanno un progetto ben
definito. La finalità è quella di evitare interventi doppi e di coniugare le risorse,
stabilendo chi deve intervenire e quali interventi deve prestare.
La rete si riunisce in un Tavolo “operativo”, cui partecipano i responsabili
delle strutture suddette, e in un Tavolo “politico” che intende stimolare il dibattito
politico e affrontare le questioni di pregnante interesse.
Vi è ancora un Tavolo di monitoraggio dell’intero sistema e infine un
gruppo di riflessione, guidato dal C.S.M. di Via Peschiera, che si riunisce ogni
trimestre.
La rete attorno alla persona non comprende solo le Agenzie che si
occupano di persone senza dimora, ma coinvolge molti altri soggetti.
58
II. 3. 2 Il Centro di Salute Mentale come punto nevralgico della rete e
tutela della salute mentale della persona senza dimora
All’interno della rete territoriale attorno alla persona senza dimora si
distingue un Servizio preposto alla tutela della salute mentale del cittadino.
Il C.S.M. è una delle strutture territoriali del Dipartimento di Salute
Mentale della A.S.L. 3 Genovese.
All’interno della rete dei Servizi attorno alla persona senza dimora esso si
distingue per essere un Servizio specialistico, a cui possono accedere le persone
che presentano disturbi psichiatrici, ed un servizio territoriale, cioè ubicato sul
territorio di uno specifico Distretto Sanitario e comprendente l’utenza facente
capo a tale Distretto, cioè residente sullo stesso territorio.
Il D.S.M. puo’ intervenire a livello riabilitativo laddove la persona senza
dimora riporti disturbi psichiatrici medio- gravi.
Altrimenti puo’ intervenire a livello preventivo su situazioni di grave
deprivazione economica e neuro-cognitiva per evitare che le stesse generino
fenomeni di “senza dimora” ( ad esempio attraverso politiche aziendali rivolte a
prevenire gli sfratti).
Il D.P.R. 10-11-1999, Approvazione del Progetto-Obiettivo “Tutela della
Salute Mentale” 1998-2000,
atto specifico di indirizzo, previsto dal Piano
Sanitario Nazionale 1998-2000 per supportare le linee d’azione relative ad una
delle “tematiche ad alta complessità”, la salute mentale, nella parte relativa agli
obiettivi e interventi, indica al punto c) come obiettivo di salute: la “prevenzione
terziaria ovvero riduzione delle conseguenze disabilitanti attraverso la
ricostruzione del tessuto affettivo, relazionale e sociale delle persone affette da
disturbi mentali, tramite interventi volti all’attivazione delle risorse (quantunque
residuali) degli individui e del contesto di appartenenza”.
Tra gli interventi prioritari emerge: “ Nella progettazione delle attività atte
a contrastare la diffusione dei disturbi mentali, i servizi di salute mentale, pur
senza trascurare la domanda portatrice di disturbi medio-lievi, devono dare,
nell’arco del triennio, priorità ad interventi di prevenzione, cura e riabilitazione
dei disturbi mentali gravi, da cui possono derivare disabilità tali da compromettere
59
l’autonomia e l’esercizio dei diritti di cittadinanza, con alto rischio di
cronicizzazione e di emarginazione sociale.
A questo fine occorre : assicurare la presa in carico e la risposta ai bisogni
di tutte le persone malate o comunque portatrici di una domanda di intervento.”
Per dare reale efficacia agli interventi a in favore delle persone con
disturbi mentali gravi, è necessario predisporre un quadro programmatico e
organizzativo che punti alla coordinazione strategica di tutti i soggetti coinvolti.(
Le politiche e programmi di salute)
Si tratta, da un lato di ottimizzare l’organizzazione e la coordinazione dei
servizi formali e informali deputati alla tutela della salute mentale; dall’altro di
definire strategie innovative che abbiano le caratteristiche di una sorta di “patto
per la salute mentale” stipulato tra molteplici attori (sanitari e sociali, pubblici e
privati, enti locali, forme della cittadinanza attiva, risorse del territorio), e volto
alla valorizzazione delle risorse umane, materiali, territoriali.
Il Centro di salute mentale è la sede organizzativa dell’équipe degli
operatori e la sede del coordinamento degli interventi di prevenzione cura e
riabilitazione e reinserimento sociale, nel territorio di competenza, tramite anche
l’attività funzionale con le attività dei distretti.
In particolare il CSM svolge attività di accoglienza, analisi della domanda
e attività diagnostica; definizione e attuazione di programmi terapeuticoriabilitativi e socio-riabilitativi personalizzati, con le modalità proprie
dell’approccio integrato, tramite interventi ambulatoriali, domiciliari, di “rete”, ed
eventualmente anche residenziali, nella strategia della continuità terapeutica (…).
Il Piano socio-sanitario Regionale 2003/2005 pone tra le azioni funzionali
agli obiettivi di salute mentale Promuovere prevenzione terziaria , ovvero ridurre
le conseguenze disabilitanti delle patologie più gravi, attraverso il recupero
relazionale, sociale e il miglioramento della qualità di vita dei sofferenti psichici e
del nucleo familiare di appartenenza.
60
Salute mentale della persona senza dimora, aggancio al territorio e
accesso alla rete
Emerge la difficoltosa visibilità delle persone senza dimora nei classici
luoghi deputati alla cura . Le istituzioni da esse stesse preferite sono gli ospedali,
ma raramente in essi la persona senza dimora puo’ trovare accoglienza e inoltre il
SSN in Italia non è accessibile a quelle persone per cui è difficile andare dal
medico di base, quando lo hanno, fare la richiesta, pagare il ticket, prendere un
appuntamento, aspettare la dita e presentarsi.
In molte persone senza dimora l’affievolirsi della tensione alla ricerca di
una casa di un lavoro della sicurezza si accompagna alla caduta di significato
anche del bisogno /valore della salute.
I veri “barboni” si curano da soli nel senso che accettano e sopportano il
loro star-male come un compagno di vita.
La salute e l’accesso a servizi pubblici preposti alla tutela della salute,
come il CSM, puo’ diventare allora un pretesto di aggancio ai servizi territoriali e
di segnalazione alla rete dei servizi per la persona senza dimora.
Persone che tendono a fuggire rapporti continuativi, non si prendono cura
di sé in modo autentico, quando cominciano a farlo si possono considerare
“agganciati” , cioè possiamo dire che sono entrati in una rete di rapporti
interpersonali e comunitari, in una primary social network che restituisce un
senso, valore alla salute.
La rete, nel perseguire l’inclusione sociale della persona, favorisce
innanzitutto l’aggancio delle stesse ai servizi territoriali, come base per lavorare
con esse in un progetto di sostegno sul territorio, fino ad arrivare in alcuni casi ad
interventi di domiciliarità e sostegno all’abitare.
61
III.
SALUTE
MENTALE
DELLE
PERSONE
SENZA
DIMORA E IPOTESI DI INTERVENTO INTEGRATO FRA
DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE E SERVIZI PER
SENZA DIMORA NELLA RETE GENOVESE
Occorre riflettere sulla posizione degli operatori della psichiatria di fronte
ai temi del disagio sociale.
La condizione dei senza dimora, come fenomeno di marginalità ed
esclusione, è intrecciata ad altre forme di disagio, comprese, in primis, quelle
relative alla compromissione della salute mentale.
La posizione da assumere nei confronti di una realtà così complessa è
<<irriducibile tanto allo specifico sociale, quanto allo specifico psicologico>>1.
III.1 Persone senza dimora e problemi psichiatrici
Innanzitutto va sfatato il luogo comune che afferma che le persone vivono
per strada prevalentemente per problemi psichiatrici. Probabilmente puo’
pronunciarlo chi si ritiene escluso dalla possibilità di cadere in tale processo di
impoverimento, rispondente ad un <<bisogno di rassicurazione da parte delle
persone cosiddette normali, che in tal modo, tentano di esorcizzare un disagio che
li spaventa>>2.
Studi epidemiologici e clinici hanno evidenziato ormai da tempo che le
persone senza dimora non si trovano in tale condizione né per una libera scelta
individuale, dettata dal rifiuto delle costrizioni della società, né per loro particolari
caratteristiche psicopatologiche.
1
B. D’Avanzo , La psichiatria di fronte agli homeless. Approcci, problemi e linee
interpretative nella letteratura scientifica, in Lettera- Percorsi bibliografici in psichiatria, Istituto
di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano, XXV- Aprile 1999,pp. 1 e s.
2
F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di,
San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 102.
62
Attualmente si ritiene che un percorso a spirale discendente, attraverso la
successiva rottura dei punti familiari e sociali, porti al progressivo isolamento e
ritiro, fino al punto di rinunciare a chiedere attivamente qualsiasi forma d’aiuto.
L’eventuale presenza nel soggetto senza dimora di una
patologia
psichiatrica puo’ essere sia un fattore causale sia una conseguenza della vita senza
dimora.
I vari autori sottolineano inoltre la difficoltà a censire le persone senza
dimora e ad avere una visione sufficientemente articolata e differenziata del
fenomeno del senza dimora con problemi psichici.
L’analisi del fenomeno presenta alcune problematiche preliminari.
Innanzitutto si incontra una prima difficoltà di ordine epidemiologico ,
nella definizione, campionatura e diagnosi della problematica di cui la persona
soffre.
Quanto alla campionatura dell’andamento delle malattie, si evidenzia il
problema che generalmente le persone senza dimora non si rivolgono al servizio
sanitario locale; pertanto si devono interrogare i servizi di prima accoglienza, cui
esse si rivolgono, per avere un quadro attendibile delle patologie che le
colpiscono.
Quanto alla diagnosi, <<i problemi di rilevazione dei disturbi psichiatrici
riguardano sia la difficoltà di formulare delle diagnosi psichiatriche affidabili sia
l’impossibilità
a capire se il disagio psichico eventualmente rilevato è una
malattia psichiatrica o una reazione di adattamento ad una condizione di vita
altamente stressante>>3.
Per avere una diagnosi attendibile è necessaria un’osservazione prolungata
della persona. Nel caso di persona senza dimora affetto da disturbi psichiatrici
questo è piuttosto difficile, perché generalmente è un revolving door, cioè una
persona che entra ed esce rapidamente dai reparti psichiatrici. In altri casi le
persone affermano di avere avuto già tre o quattro diagnosi psichiatriche,mentre
durante i colloqui non manifestano alcun sintomo psichiatrico evidente.
3
G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della
letteratura e alcune indicazioni operative, in <<Rivista sperimentale di Freniatria>>, CXX- 6,
1996, p.1202.
63
In altri casi ancora, le persone hanno alcuni disturbi seppur non sufficienti
per delineare una diagnosi predefinita.
Altra difficoltà è la determinazione della causa del disturbo psichiatrico
della persona senza dimora, che ci consente di formulare la domanda che
interroga molti di coloro che si occupano di persone senza dimora: il disturbo è la
causa o l’effetto della sua situazione di “senza dimora”?
Una delle difficoltà maggiori evidenziate dalla Dott.ssa Franca Pezzoni,
nell’esporre la sua esperienza di lavoro di psichiatra nel C.S.M. di Genova della
zona Centro, è che <<nelle persone senza dimora i bisogni primari sono talmente
preponderanti da soffocare tutto il resto; cioè hanno tali problemi immediati di
vitto, alloggio e malattie fisiche , che la loro patologia psichiatrica vera e propria
si manifesta solo dopo alcuni mesi di frequentazione del Servizio>>4.
Nella letteratura specializzata si parla di una sindrome da shelterization5,
facendo riferimento alla sindrome da shelter, cioè da dormitorio pubblico.
E’ una sindrome che assomiglia a quella della persona che è stata a lungo in un ospedale
psichiatrico; provoca in lei passività, perdita totale dell’iniziativa, dipendenza e delega totale
all’ambiente, isolamento, assunzione di ruoli negativi, regressione e bassa autostima.
La persona, fissata in una simile condizione, perde qualsiasi riferimento progettuale per la
sua vita.
Tutta una serie di traumi e rinunce hanno condotto la persona a non riuscire a percepirsi
in una condizione diversa da quella in cui si trova e nemmeno a desiderarla. E progressivamente
essa giunge ad una perdita della identità e della progettualità.
In conclusione, quindi, nella maggioranza dei casi, è difficile distinguere nelle persone
senza dimora
tra disturbi psichiatrici preesistenti e sintomi dovuti al tipo di vita che esse
6
conducono .
4
F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di,
San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 103.
5
J. Grunberg, P. F. Eagle , Shelterization: how the Homeless adapt to shelter living, in
<<Hospital & Community Psychiatry>> 41, 521-5, 1990.
6
F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di,
San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., pp. 103 e s.
64
III.1.1 Il disturbo psichiatrico tra i fattori di rischio
e tra le cause
dell’aumento del fenomeno senza dimora
Problematica comunque aperta è quale peso abbia il disturbo psichiatrico
nel fenomeno della vaganza.
Allo stato attuale degli studi e delle rilevazioni non è possibile trarre
conclusioni definitive circa i fattori causali del fenomeno e molti degli
interrogativi restano irrisolti.
È opportuno tuttavia far notare che gli studi in merito hanno cambiato il
loro orientamento.
Fino ad alcuni decenni fa l’attenzione era posta quasi esclusivamente sulle
variabili individuali e si riteneva che all’origine del vagabondaggio fossero
<<scelte ed atteggiamenti devianti: rifiuto del lavoro e delle responsabilità,
trasgressione delle regole e delle norme sociali.
Attualmente
trova
maggior
consenso
un
modello
esplicativo
multifattoriale, nel quale la presenza di situazioni sfavorevoli esterne al singolo
individuo da un lato ed eventi di vita soggettivamente negativi o stressanti
dall’altro aumenta il rischio che una persona ha di iniziare una vita senza
dimora>>7.
Il sociologo Berzano8 parla di percorsi di esclusione dove una rete di
eventi critici si intreccia, potenziando così gli effetti di destrutturazione
biografica, con le capacità personali di ciascun individuo: pertanto ci sono
soggetti che , pur dinnanzi ad eventi traumatici, restano ancora reattivi e tali da
elaborare diversi livelli di equilibrio esistenziale, seppur per esigenze minime di
vita; altri soggetti invece vivono la deprivazione in modo passivo e ciò aggrava la
deprivazione stessa in un processo cumulativo che si radicalizza ed autoproduce,
rendendo sempre più deboli le capacità del soggetto di progettarsi nel tempo.
Un problema specifico riguarda quale rapporto vi sia tra i processi di deistituzionalizzazione e vaganza di persone affette da disturbi psichiatrici gravi.
7
G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della
letteratura e alcune indicazioni operative, cit., p.1204.
8
L. Berzano, Introduzione agli atti del Convegno Senza tetto né legge, a cura di M.
Pellegrino, V. Verzieri , Edizioni Gruppo Abele, Bologna , 1990.
65
La de-istituzionalizzazione fu sostenuta dall’idea che pazienti psichiatrici
cronici e gravi, sofferenti di malattie serie come la schizofrenia o le psicosi
maniaco-depressive, potessero essere trattati ugualmente bene in programmi
comunitari piuttosto che nelle istituzioni.
Per alcuni le dimissioni dagli ospedali psichiatrici, conseguenti al processo
di de-istituzionalizzazione, avviato in Italia con la Legge cosiddetta Basaglia9,
sono state l’inizio inevitabile di una carriera senza dimora, in quanto la deistituzionalizzazione sarebbe stata condotta originariamente <<senza una
pianificazione seria , trasferendo in comunità non adeguatamente preparate
migliaia di ammalati provenienti dagli ospedali psichiatrici>>10.
III. 2 Il C.S.M. di fronte alla
multidimensionalità del disagio
della
persona senza dimora
La caratteristica del Centro di Salute Mentale, che lo distingue dalle
strutture preposte ad erogare servizi specificamente alle persone senza dimora, è
che esso si rivolge invece, in un determinato bacino territoriale, alla pluralità dei
cittadini, che presentino problemi psichiatrici.
L’utenza senza dimora non rappresenta pertanto la totalità degli utenti
afferenti al C.S.M., ma costituisce una cospicua presenza, specie nei Centri di
Salute Mentale ubicati in zone limitrofe al centro cittadino, dove si concentra il
fenomeno “senza dimora”. Il CSM di Via Peschiera, al quale afferisce la
popolazione del Centro storico di Genova e pertanto di tutti coloro che trovano un
rifugio più tollerante e anonimo nel suo territorio e ricevono l’accoglienza di
diverse strutture assistenziali (dormitori, mense..) e di diversi enti di volontariato,
nonché di due stazioni ferroviarie e locali vuoti e abbandonati , registra l’accesso,
sul totale dell’utenza del Servizio, del 5% di utenza senza dimora.11
9
Legge 13 maggio 1978, n. 180 “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e
obbligatori”.
10
G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della
letteratura e alcune indicazioni operative, cit., p. 1205.
11
Campione rilevato nel 1999. L. Ferrannini, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza
dimora: interventi psichiatrici e di salute mentale, Dipartimento Salute Mentale A.S.L. 3
Genovese, 30/09/1999.
66
Da tale situazione nasce l’esigenza da parte del C.S.M. di studiare ipotesi
di intervento relative all’utenza senza dimora, che, talora più dell’utenza ordinaria
con problemi psichiatrici, provoca angoscia all’operatore, e di trovare canali
comunicativi forti con le agenzie che si occupano prevalentemente e
specificamente di persone senza dimora e possono mettere a disposizione
un’esperienza e una competenza professionali consolidate.
Spesso prima d’ora gli interventi concreti sulle povertà estreme nei nostri
welfare system sono stati individualistici, hanno considerato cioè solo l’individuo
sia come bersaglio sia come risorsa, mentre i modelli di intervento erano standard,
giocandosi nel rapporto soggetto-individuo.
Il nuovo welfare mix permette ai soggetti in condizione di esclusione di
sperimentare un possibile percorso di inclusione con modalità differenziate e
comunque considerando gli altri, vicini, lontani, generalizzati e/o significativi
come bersaglio o come risorsa.
Il fenomeno del senza dimora è molto complesso e non puo’ essere né
chiarito né tanto meno risolto con strumenti di tipo esclusivamente psichiatrico.
<< I diversi approcci alla malattia risultano validi ed efficaci purché
inseriti in un piano d’azione orientato a fornire un aiuto globale (…) che deve
condurre gli operatori ad evitare analisi di semplice causa/effetto orientandosi
viceversa verso un’interpretazione della storia della persona e della sua
evoluzione psichica>>12.
Alcuni autori sostengono che i limiti e i rischi di una psichiatria, che
continua ad operare nell’ambito delle persone senza dimora (con disturbi psichici)
esclusivamente secondo il modello medico della malattia e della sua cura e vede i
disturbi psichici esclusivamente come il segno di una malattia organica presente
all’interno dell’individuo, sono << da una parte la medicalizzazione di problemi
che sono in gran parte di origine sociale ed economica, dall’altra l’abbandono e la
deresponsabilizzazione>>13.
12
F. Battiston, L’assistenza ai malati psichiatrici, in <<Prospettive Sociali e Sanitarie>>
, 3, 2003.
13
G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della
letteratura e alcune indicazioni operative, cit., pp.1200 e s.
67
Essere senza dimora è una condizione, non una malattia o l’effetto di una
patologia psichiatrica preesistente, non l’espressione di una particolare “natura”
della persona che l’avrebbe indotta ad assumere questo tipo di vita. Le ipotesi più
recenti parlano dell’incontro tra una vulnerabilità personale e ripetuti lifestressful events, dal quale risulta un adattamento per rinuncia ad una situazione di
degrado dalla quale è sempre più difficile uscire.
Sono gli operatori degli enti del privato sociale che si rivolgono al DSM,
che si configura come servizio di secondo livello, quando valutano che la persona
abbia disturbi psichiatrici gravi, tali da ostacolare il progetto di accoglienza e da
richiedere cure specifiche.
Le persone senza dimora presentano sempre comunque una multiproblematicità del
disagio ed esprimono bisogni che possono essere soddisfatti solo da una gamma di Servizi a
diversi livelli. La possibilità di individuare risposte efficaci per questa utenza richiede una
collaborazione fra Servizi, con chiarezza di compiti e di confini di ciascuna delle componenti del
sistema di offerta.
In quest’ottica si possono ipotizzare Servizi a bassa soglia con prestazioni mirate e a
termine, che soddisfino i bisogni di base, Servizi più selettivi con progetti di residenzialità più
prolungata senza connotazione sanitaria, e Servizi rivolti a persone che, dopo l’accoglienza fornita
da questa rete di risorse, hanno evidenziato problematiche sanitarie e psichiatriche particolarmente
definite e gravi e che necessitano di interventi specifici ed assistenza continuativa.
I rapporti fra i Servizi possono poi essere formalizzati e legittimati con protocolli d’intesa
e operativi, per la formulazione e l’attuazione di progetti specifici basati su un’organizzazione di
rete14.
III.3 Progetto Senza Dimora del D.S.M. della A.S.L. 3 Genovese
Su mandato del Comitato esecutivo del D.S.M. della A.S.L. 3 Genovese
nel maggio 2000 è stato istituito un gruppo dipartimentale per la definizione di un
progetto per le persone senza dimora con problemi psichici.
Obiettivo del gruppo è stata la definizione di procedure ed interventi per
questa particolare tipologia di utenza: criteri di attribuzione e di presa in a carico
14
L. Ferrannini, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora: interventi psichiatrici e
di salute mentale, Dipartimento Salute Mentale A.S.L. 3 Genovese, 30/09/1999.
68
dei casi, competenza sulle urgenze, personale necessario per l’attuazione del
progetto, rapporti con la rete dei servizi per senza dimora, rilevazione ed analisi
del problema psichiatrico.
Questo progetto è inserito nel più generale processo di ridefinizione dei
servizi
per i senza dimora, sollecitato dal Comune di Genova attraverso
l’istituzione di un gruppo misto di lavoro che ha visto la partecipazione, oltre che
del Comune stesso, della A.S.L. 3 Genovese (DSM, SerT, Medicina di base) e di
tutte le associazioni del privato sociale e del volontariato che si occupano di tale
problematica, e volto a decentrare le funzioni dei servizi e a contrastare il
mantenimento del disagio in un unico territorio, anche attraverso un’opera di
ridimensionamento dell’asilo Notturno Massoero.
Il progetto del DSM è stato presentato e approvato nel consiglio direttivo
della A.S.L. 3 del 21/03/01, il quale ha approvato il progetto e le procedure per la
presa in carico e ha confermato il gruppo interzonale con compiti previsti dal
progetto stesso; ha inoltre fornito indicazioni in merito all’opportunità di definire
meglio i rapporti tra DSM e circuito delle persone senza dimora e di incontri di
sensibilizzazione sul tema all’interno dello stesso DSM.
Il progetto appuntato dal DSM genovese privilegia tematiche alternative,
rispetto ai modelli d’intervento tipicamente psichiatrici, come il lavoro di
affiancamento, la flessibilità, il potenziamento del lavoro di rete, quali risorse
indispensabili per ricostruire i punti di riferimento identitari della persona senza
dimora.
Il progetto apre in premessa con alcune considerazioni culturali che
configurano il problema senza dimora come <<realtà complessa, che si configura
come l’esito finale di un processo di marginalità che, attraverso sradicamenti
successivi, porta all’isolamento ed alla esclusione sociale>>.
Il livello di esclusione, il disagio ed il bisogno puo’ essere molto
differenziato, a seconda di come la persona sviluppa il proprio percorso di
sofferenza e disagio.
69
Si aggiunge la difficoltà di riconoscere e definire con chiarezza eventuali e spesso
presenti disturbi psichiatrici, sia per la difficile rilevazione della sintomatologia psichiatrica, , sia
per la complessità delle situazioni e la carenza di riferimenti ambientali, sociali e familiari .
Prescindendo dalla diagnosi psichiatrica spesso il DSM è chiamato in causa per problemi
non collegati agli aspetti della sofferenza del Senza dimora e al suo bisogno, ma alla sofferenza
del sociale che si sente invaso e limitato dal fenomeno dei senza dimora15.
Fra i principali interlocutori dei CSM rispetto alle persone senza dimora,
segnalanti, invianti od operanti nel settore, si trovano privati, condomini,
negozi,ecc, Ospedali, Comune (Distretti sociali e U.O. Cittadini senza territorio),
Servizi confinanti della A.S.L., come il SerT, Ass. S. Marcellino, Centro
d’Ascolto Monastero, Centri d’ascolto Caritas, Comunità di S.Egidio, Massoero
2000.
Viene riconfermata la necessità che l’intervento finalizzato all’inclusione
sociale dei senza dimora coinvolga, in un sistema di rete, tutte le strutture del
pubblico e del privato interessate al problema, specie il Comune, ente cui compete
l’intervento socio-assistenziale per rispondere ai bisogni primari della persona
senza dimora, con o senza problemi psichici, come per tutte le persone in stato di
necessità economica; e, all’interno della Sanità, anche i servizi confinanti con il
DSM . Infatti il problema dei SD coinvolge tutta la comunità sociale e non solo un
settore specialistico.
III.3.1 Primo accesso
Si sottolinea come sia quasi del tutto assente l’afflusso spontaneo della
persona al servizio; dunque i principali canali di accesso sono:
1)
invio o accompagnamento da parte di altri enti o servizi che
sono già intervenuti: Distretti sociali del Comune, altri servizi o istituzioni,
Privato sociale, Volontariato (Centri d’ascolto)
15
Documento conclusivo del Progetto Senza Dimora prodotto dal gruppo dipartimentale
Senza Dimora, DSM, A.S.L. 3 (21/11/2000).
70
2)
richieste di intervento identificabili come azioni di controllo
sociale riferite al disagio causato dalla presenza o dai comportamenti dei
senza dimora.
Le segnalazioni pervenute riguardano situazioni anche molto diverse. In alcuni casi si
tratta di comportamenti in qualche modo “disturbanti” messi in atto da persone che stazionano nei
giardini pubblici e che non avanzano richieste di sorta, in altri casi l’intervento è invece
concordato con le associazioni, per utenti già seguiti con altre forme di assistenza e per i quali è
necessaria una terapia psichiatrica specifica.
Ci troviamo pertanto di fronte a persone che si trovano in vari stadi del loro percorso:
alcune sembrano pervenute a un livello più “grave” di perdita dell’iniziativa e della capacità di
formulare progetti e richieste , altre sono ancora in grado di rivolgersi in modo attivo ad enti che
operano nel campo senza dimora. (…)
Tale condizione di maggiore o minore passività si rispecchia nei dati numerici relativi
alle segnalazioni: solo il 12% degli utenti si rivolge al Servizio in prima persona, l’88% è inviato o
fisicamente accompagnato da operatori di servizi sia pubblici che privati (centri ascolto, SerT,
servizi del Comune)16.
In tale fase di primo accesso al CSM, si prevede una procedura di “filtro
psichiatrico”, cioè l’attuazione di un colloquio filtro, che è momento di prima
conoscenza e valutazione diagnostica del senza dimora, sia rispetto alla patologia,
sia rispetto alla situazione sociale . Esso avviene secondo la prassi operativa di
ogni singolo servizio.
Passaggio successivo è la statuizione della presa in carico o il rinvio del
soggetto, in assenza di patologia psichiatrica, alle agenzie deputate.
È opportuno approfondire l’aspetto della richiesta.
Le persone senza dimora che arrivano al CSM appartengono a quel gruppo di utenti che
è in grado, come già detto, di formulare qualche tipo di richiesta, perché già passati attraverso una
situazione di accoglienza a bassa soglia, e successivamente aiutati a rivolgersi a noi (CSM).
Coloro che riescono ad arrivare alle porte del Servizio, portando ed evidenziando in
qualche modo un proprio bisogno, dimostrano di aver mantenuto o ripristinato una certa
aggressività attiva che offre un aggancio per la relazione, e di saper mettere in atto una capacità di
adattamento, seppur minima, che permette loro di accettare il rapporto istituzionale. Adattamento
71
che puo’ derivare dalla consapevolezza della necessità di allinearsi su un minimo di regole per
ottenere qualche cosa, o dal lavoro di preparazione fatto dall’inviante, o da entrambe le cose.
Dall’analisi delle domande portate al Servizio si è evidenziato che il 65% riguardava una
richiesta di alloggio, il 21% richieste di denaro, il 14% richieste di assistenza generica. Di tutti
solo il 10% esprimeva la necessità di un aiuto di tipo terapeutico.
È chiaro che indigenza, abbandono, sofferenza psichica, disagio relazionale si intersecano
in modo “confusionale” nel soggetto sd, il quale riesce ad esprimere , nel mare del disagio globale,
solo la punta dell’iceberg rappresentata dal bisogno impellente.
Il primo contatto attivo acquista significato nel momento in cui il Servizio si rende
capace di creare una alleanza con la persona, attraverso operatori capaci di un ascolto paziente ed
empatico, finalizzato a condividere un cammino verso l’identificazione del bisogno di cura
psichiatrica, e l’accettazione dell’intervento terapeutico- riabilitativo17.
L’accesso si costituisce dunque come delicato momento di confine tra
bisogno individuale ed offerta possibile.
Ai servizi con bassa soglia di accesso, i cui vincoli per l’accesso sono minimi e la totalità
dei servizi è gratuita, puo’ arrivare un’utenza più diffusa, ma anche più debole, con poche risorse e
poche capacità di auto-gestione.
I servizi pubblici in genere non possono considerarsi a bassa soglia di accesso. Presentano
infatti barriere di carattere strutturale.
Per poter arginare od evitare questi rischi è necessario introdurre nell’accesso a bassa
soglia una composizione di relazione all’interno della quale il senza dimora ottenga un
riconoscimento di dignità e di competenze. Offrire e progettare quindi un percorso che partendo
dalla prestazione immediata, si pone obiettivi a breve termine e valutazione frequente del
cammino intrapreso, percorso negoziato, concordato e condiviso con la persona senza dimora18.
III.3.2 Presa in carico
Il trattamento offerto al senza dimora puo’ prevedere tutte le prestazioni
attivabili
dal
servizio
stesso
(trattamento
16
psichiatrico:
farmacologico,
G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora e salute mentale: un approccio
integrato fra DSM e servizi per senza dimora, Dipartimento Salute Mentale A.S.L. 3 Genovese.
17
Ibidem.
18
L. Ferrannini, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora: interventi psichiatrici e
di salute mentale, cit.
72
psicoterapeutico) attraverso l’accesso a tutte le risorse con le modalità e prassi in
atto per tutti i pazienti.
In particolare viene ravvisata l’importanza di articolare interventi
diversificati e a tal fine di definire una mini-équipe multiprofessionale di
riferimento alla persona in carico (come per i casi complessi).
Inoltre si sottolinea la necessità di stabilire un progetto congiunto con
l’inviante e altri servizi di competenza confinante, indicando nella metodologia
del lavoro di rete la più adatta a tali situazioni.
Le problematiche emerse nell’individuare una procedura di presa in carico
pongono al primo posto in complessità quella della residenza anagrafica.
Infatti le persone senza dimora che accedono ai C.S.M. sono generalmente
in possesso di residenza anagrafica, perché giunte al CSM su invio di un servizio
a bassa soglia , che già si è fatto carico di verificare la residenza e superare tale
problema amministrativo, cioè, in mancanza di essa, di procedere con
l’attribuzione di una residenza fittizia.
Si considera residenza amministrativa l’iscrizione anagrafica di una
persona, in genere senza dimora, presso Strutture che , su accordo con il ComuneAnagrafe e in genere su richiesta di Servizi Sociali, si rendono disponibili per dare
alle persone la possibilità di acquisire titolo alle prestazioni socio-assistenziali e
previdenziali cui non potrebbero accedere senza residenza anagrafica.
Una persona non residente puo’ risultare anagraficamente:
-irreperibile, se non ha residenza attuale, ma esiste una residenza storica
documentabile
-negativo, se non ha mai avuto alcuna iscrizione in quel Comune, né
presente né storica
-emigrato, se ha una residenza storica, ma si è trasferito ad altro Comune.
Residenze amministrative possono essere concesse da :
1 Comune- V. Ilva 3 UNI
2 Monastero- Sal. Nuova Nostra Signora del Monte
3 San Marcellino- Piazza San Marcellino, 1
4 C.I.R.S- Sal. S. Girolamo
5 Istituti (convivenze)
73
6 Alberghi.
Le richieste di concessione di tali residenze possono provenire dai servizi
pubblici, le strutture stesse per i propri utenti, Massoero, gli utenti stessi; infine
come prassi regolare per gli inserimenti nelle convivenze.
Tali residenze hanno però solo finalità assistenziali (far acquisire alla
persona il diritto di cittadinanza), senza alcun reale riferimento territoriale.
Pertanto si presentano alcuni problemi circa i criteri di definizione della
presa in carico:
-per i C.S.M. e gli S.P.D.C. : si concentrano i casi in quei territori in cui
vengono concesse il maggior numero di residenze. Risulta un sovraccarico di casi
per i servizi ubicati nei territori in cui si trovano le agenzie o enti che concedono
residenze amministrative(centro storico, San Fruttuoso)
-per il Sociale: i Distretti sociali di riferimento alla residenza anagrafica
mostrano alcune rigidità ad accettare la stessa, ne conseguente la difficoltà alla
collaborazione e all’intervento integrato.
Pertanto sono stati disposti criteri di definizione della competenza
territoriale: si deve ricorrere alla residenza storica della persona per
l’assegnazione del caso al CSM competente, anche per quanto riguarda le
residenze in alberghi. In assenza di questa o per soggetti provenienti da altri
Comuni, si procede con un sistema di turnazione tra i vari servizi gestito dal
Responsabile del Gruppo Multiprofessionale esperto.
Se la residenza amministrativa è stata richiesta da un Servizio pubblico,
fa fede l’accordo verbale, in vigore da tempo, per cui tale Servizio continua a
seguire il proprio utente.
Per le situazioni di urgenza sanitaria, invece, risponde il CSM nel cui
territorio si verifica l’urgenza, secondo una logica di territorializzazione
dell’intervento.
Tra gli interventi praticati dal CSM figurano anche quelli di residenzialità,
sui quali merita riflettere, in quanto sono rivolti ad aiutare la persona a perseguire
una stabilità abitativa.
Si prevedono interventi di residenzialità sociale.
74
La carenza di risorse induce ad utilizzare l’ospitalità presso strutture
alberghiere , a volte in modo improprio. L’accesso ad assegnazioni di alloggio di
edilizia popolare è difficilissimo e finora non è stato possibile coinvolgere il
Comune in una progettualità tesa ad affrontare il problema abitativo in modo
globale.
Circa la residenzialità psichiatrica, non si ritiene opportuna la creazione di
strutture residenziali ad hoc per senza dimora, mentre esistono quelle che
rientrano, a seconda degli obiettivi per la persona, nelle offerte residenziali del
DSM (CT, CAUP).
Sono prevalentemente il sostegno intensivo sociale, il sostegno intensivo
farmacologico e gli interventi socio-riabilitativi a poter contribuire al
raggiungimento di una stabilità abitativa in persone senza dimora con problemi
psichici, in un programma di assegnazione alloggio.
Non sono funzionali invece la copertura economica globale, né la
psicoterapia di gruppo.
III.3.3 Quale presa in carico è possibile?
Il ruolo della psichiatria nei nuovi scenari e programmi di assistenza per
persone senza dimora è clinico, esperto di complessità, collaborante con
amministratori pubblici per la programmazione di interventi, partecipante in
azioni di protezione legale per s.d. (diritti di cittadinanza).
Per la psichiatria dei senza dimora è vincente un programma di tipo
territoriale .
Il programma d’intervento per persone senza dimora risultato più efficace
è il <<servizio a libero accesso con interventi individualizzati, cioè un servizio
territoriale con libero accesso, che non attua alcun tipo di selezione all’utenza , i
cui programmi di intervento sono flessibili, individualizzati a partire dai bisogni
espressi dal singolo paziente e particolarmente attenti alle necessità primarie:
alloggio, vestiario, alimentazione e salute. I trattamenti vanno dal colloquio
75
individuale alla riabilitazione finalizzata ad un aumento delle abilità
quotidiane19>>.
Il Progetto SD definisce un Protocollo terapeutico20:
1) accesso al CSM facilitato, possibilmente “accompagnato” dal segnalante
2)valutazione diagnostica
-clinica (psichiatra/psicologo)
-sociale (assistente sociale)
3)presa in carico da mini èquipe multiprofessionale (psichiatra, infermiere,a.s.)
4)interventi terapeutici “interni”al servizio:
-psico-farmacologici (somministrazione terapia)
-ricostruzione delle storie di vita, mirate alla restituzione
-previdenziali, socio-assistenziali (aiuto gestione denaro)
-accesso alle risorse terapeutiche e riabilitative del Servizio (gruppi per border line,
psicotici, alcolisti, ecc…, centro diurno, CAUP, CT)
-ricerca e riavvicinamento alla rete familiare e sociale, con tempi e progetti sempre
concordati con l’utente
5) interventi esterni al servizio:
-servizio sanitario: identificazione e contatti con il medico di base; ospedali generali, P.S.,
SPDC per ricoveri programmati in risposta ai frequenti problemi di convalescenza e spese per
farmaci e protesi varie
-giudice tutelare- Tutore- Magistratura
6) lavoro di rete: attivazione , utilizzo, gestione della rete composta da Servizio inviante,
altre risorse coinvolte, mini-équipe del CSM , specie attraverso incontri regolari e periodici per
progettazione e piano intervento concordati, identificazione del “gestore” del caso, valutazione e
verifica.
III.3.5 Diagnosi psichiatriche relative alle persone senza dimora
In un campione di riferimento circa gli utenti senza dimora afferenti al
CSM, si rileva che il 50% sono affetti da psicosi, il 25% da depressione ed il
restante 25% da disturbi di personalità21.
19
G.Bolongaro, T. Maranesi, Senza dimora e salute mentale: revisione critica della
letteratura e alcune indicazioni operative, cit., p.1209.
20
Protocollo terapeutico prodotto dal gruppo dipartimentale Senza Dimora, DSM, A.S.L.
3 (24/10/2002).
76
Nel caso delle donne, l’80% soffre di disturbi di natura psicotica.
Se si riscontra questo dato con quelli di alcune ricerche condotte in altri paesi, si puo’
riscontrare una forte similitudine.
Inoltre accanto a problemi di natura psichiatrica, generalmente in queste persone si
riscontrano altre problematiche , per
esempio l’alcolismo, che complicano ulteriormente la
patologia di cui ciascuna di esse soffre.
La percentuale relativa alle doppie diagnosi sono divise più o meno equamente, cioè
schizofrenia e alcolismo, depressione e alcolismo, disturbo di personalità e alcolismo. In taluni
casi poi si arriva alle triplici diagnosi, come deficit mentale-psicosi-alcolismo; oppure
tossicodipendenza-psicosi-alcolismo.
L’alcol diventa un fattore di cronicizzazione e di peggioramento da tutti i punti di vista ,
nel senso che , quando la persona non ha nessun altro obiettivo che arrivare a fine giornata,
assumendo alcool, distoglie il suo sguardo dalla gravità del suo disagio22.
La formulazione di una diagnosi consente un primo inquadramento e dal
punto di vista istituzionale la possibilità di erogare prestazioni sia sanitarie che
sociali.
Emerge in ogni caso la necessità di un sostegno multiplo e di un costante
accompagnamento nelle varie fasi dell’intervento, dal primo contatto a tutto il
periodo della presa in carico.
III.4 C.S.M. e lavoro di rete
Per il C.S.M. non è possibile produrre in modo autonomo una <<risposta
efficace alla pluralità dei bisogni della persona senza dimora>>23.
È irrinunciabile un lavoro condotto in rete con le istituzioni e con altri enti
o associazioni che operano nel campo; infatti un solo interlocutore per la persona
non puo’ pretendere di attivare e supportare da solo il cambiamento della persona
senza dimora.
21
Campione rilevato nel 1999 con censimento. L. Ferranini, G. Lucchini, F. Pezzoni,
Persone senza dimora: interventi psichiatrici e di salute mentale, cit.
22
F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di,
San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p.106.
23
F. Pezzoni, G. Lucchini, Persone senza fissa dimora e malattia mentale. Bisogni e
Servizi, in << La Via del Sale>>, cit., pp.75 e s.
77
Non puo’ un unico ente o servizio prendersi totalmente a carico una
persona, occupandosi di tutti i suoi bisogni.
Ciò puo’ essere discutibile specie se si tratta di pazienti border line , in quanto si
rischierebbe di attivare in essi delle dinamiche conflittuali e di rottura della relazione.
Pertanto, soprattutto con questo tipo di pazienti, è importante instaurare una relazione che
non sia di forte dipendenza rispetto ad un’unica persona o rispetto ad un unico ente, per non
attivare in essi dei comportamenti di aggressività o rifiuto.
Nell’esperienza di collaborazione fra il C.S.M. di Via Peschiera e il Centro d’ascolto di
San Marcellino si è constatato come sia più facile ottenere risultati positivi quando l’utente non si
rapporta esclusivamente ad un solo ente , ma all’uno e all’altro, che gli permette di gestire e
tollerare meglio la dipendenza24.
Le risposte del CSM, in relazione alle richieste delle persone senza
dimora, sono differenziate: di tipo assistenziale, oppure interventi terapeutici e
socio-riabilitativi integrati, o nessuno, in caso di abbandono da parte dell’utente.
In ogni caso la parola chiave è << risposta integrata >>.
<< I vari servizi che operano nel settore possono essere spinti da
motivazioni diverse a seconda della propria mission: umanitarie, religiose, etiche,
politico-istituzionali, e si confrontano quindi con il problema con angolatura di
visioni ed approcci differenti. Esiste però un obiettivo primario condivisibile e di
fatto condiviso: migliorare la qualità della vita della persona senza dimora>>25.
Sulla
spinta
di
questo
obiettivo,
<<
pare
necessario
lavorare
nell’integrazione del lavoro tra chi si occupa di queste problematiche , cioè nella
direzione della collaborazione e non della dispersione delle risorse e degli
interventi>> perché << la possibilità di mettere in gioco il maggior numero di
risorse possibili diventa l’unico strumento terapeutico possibile>>26.
L’entrata in gioco, nella relazione d’aiuto, di più soggetti (utente, Servizio
pubblico e privato) permette innanzitutto di trasformare la relazione da rapporto
unidirezionale /assistenziale a situazione di scambio e reciprocità costruttiva.
24
F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di,
San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., pp. 110 e s.
25
G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora e salute mentale: un approccio
integrato fra DSM e servizi per senza dimora, cit.
78
Contemporaneamente il mantenimento, da parte di ogni Servizio, della
propria specificità di approccio e risposta, permette una specie di autoselezione
naturale in cui l’utente si rivolge al tipo di intervento e relazione più adatta a sé.
Se la cultura della presa in carico globale offre una garanzia di
riconoscimento della persona nella sua interezza e di conseguenza produce una
risposta olistica, d’altro lato puo’ indurre nell’utente un rischio di dipendenza e
accettazione passiva di aiuti.
L’approccio ambulatoriale, all’opposto, quello di diagnosticare e curare,
potrebbe magari anche guarire, ma lasciare intoccati gli altri aspetti del disagio e
dell’emarginazione.
Integrazione significa:
-combinare queste due culture, attraverso la condivisione delle conoscenze
e la collaborazione nell’attività, per ammortizzare gli aspetti di rischio e
valorizzare al massimo gli aspetti positivi
-ottimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili attraverso la creazione di
una rete , non per “imbrigliare” la persona, ma sostenerla in modo intelligente.
Questa scelta operativa è diventata una realtà quotidiana nel lavoro a
favore delle persone senza dimora nella realtà genovese, che vede la
collaborazione fra DSM , Comune- U.O. Cittadini senza territorio, Centri e
Associazioni di volontariato quali San Marcellino, Monastero, Centri d’ascolto
della Caritas.
Non mancano difficoltà e timori: di intrusioni o scarico di responsabilità,
che però sono superati dallo sforzo continuo di conoscenza reciproca,
condivisione delle esperienze, progettazione integrata, ipotesi di protocolli
operativi.
Solo lavorare insieme garantisce risultati apprezzabili.
Questo modello di intervento non vuole creare una risposta unica e
unificata, anzi riconosce l’utilità e l’importanza di mantenere setting , funzioni e
compiti separati e differenziati, in modo che la persona acquisisca e usi la capacità
di decidere cosa portare, di e dove, possa scegliere un interlocutore privilegiato
26
F. Zanelli, Servizi per senza fissa dimora e malati psichiatrici, Convegno << Persone
senza dimora e psichiatria>>, Brescia, 18 ottobre 1996.
79
senza il timore di perdere l’aiuto degli altri soggetti, impari a far fruttare insieme
risorse diverse, sappia che in ogni Servizio c’è qualcuno che la conosce e
riconosce.
III. 5 Risorse della rete istituzionale genovese
<<I problemi presentati dalle persone senza dimora sono tanto complessi
da richiedere risposte complesse erogabili da sistemi complessi, che possono
essere costituiti solo da reti di servizi altamente integrati e progettualmente
collaboranti>>27.
Propongo una classificazione dei servizi per le persone senza dimora
presenti sul territorio genovese, finalizzata ad illustrare la politica di intervento
integrata a livello locale, promossa dagli enti della rete formale e informale,
pubblici e privati, da me elaborata e desunta dalle interviste, che ho condotto
durante l’esperienza di Tirocinio Professionale.
Le interviste sono state somministrate a operatori delle tre maggiori
agenzie che si occupano di persone senza dimora nella rete dei servizi pubblici e
del Privato Sociale.
III.5.1 Interviste somministrate ad operatori di tre agenzie sul territorio
genovese
Per rilevare i dati di seguito riportati ho utilizzato lo strumento conoscitivo
dell’intervista qualitativa di tipo semi-strutturato.
Essa è uno strumento di rilevazione mediante interrogazione, << rivolta a
soggetti scelti sulla base di un piano di rilevazione in un numero consistente
avente finalità di tipo conoscitivo guidata dall’intervistatore sulla base di uno
schema flessibile e non standardizzato di interrogazione>>28.
27
S. Borghetti, La salute mentale degli homeless: un percorso di psichiatria di strada, in
<< Prospettive Sociali e Sanitarie>>, XXXII- 17, 2002, p. 20.
28
P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 1999, p.
405.
80
Mi è sembrato interessante usare tale metodo per accedere, attraverso la
voce di un operatore, alla descrizione di alcuni contesti organizzativi che sono
interessanti per il mio studio sui servizi per le persone senza dimora, potendo
accedere alla prospettiva del soggetto studiato e di cogliere le sue categorie
mentali, percezioni, motivi delle sue azioni.
Le interviste sono state da me condotte durante l’esperienza di Tirocinio
Professionale (A.A. 2004-2005) svolta presso la A.S.L. 3 Genovese, nel C.S.M.
della Zona 3, all’interno di un’attività , nel quadro del Progetto Senza Dimora del
DSM, suggerita e pianificata insieme all’ assistente sociale Supervisore Cristina
Lodi, finalizzata principalmente a conoscere i servizi per le persone senza dimora
e rilevare una ricognizione delle risorse esistenti sul territorio genovese.
I soggetti intervistati sono operatori che nelle strutture di riferimento si
occupano prevalentemente di persone senza dimora e sono ordinari interlocutori
del C.S.M. in merito alla comunicazione e gestione di alcune prese in carico in
comune, e sono:
-un educatore, presso Centro d’ascolto dell’Associazione San Marcellino
-un’ assistente sociale presso l’Unità Operativa Cittadini senza territorioComune di Genova.
-un operatore presso Centro d’ascolto Monastero- Fondazione Auxilium,
Caritas Diocesana.
Le interviste sono state condotte nel marzo 2005.
L’interrogazione da me formulata consta di otto domande aperte:
1)
Quali finalità persegue il Servizio (cultura , valori) ?
2)
Qual’ è l’atteggiamento degli operatori nei confronti dell’utenza?
Come sono impostati i rapporti?
3)
Quali interventi opera il servizio (servizi, prestazioni…)? Quali tipi
di progetti attiva?
4)
A quale utenza si rivolge il Servizio? Quale utenza ha realmente
accesso?
5)
Com’è organizzato il Servizio? Quali sono le sue risorse? Com’è
impostato il lavoro di rete con le altre agenzie che si occupano del
problema? Quali sono quelle con cui collabora il Servizio?
81
6)
Come avviene la pubblicizzazione del servizio e della possibilità
di accesso?
7)
Quali sono le modalità di accesso al servizio?
8)
Quale percezione ha l’utenza del Servizio?
Tale <<traccia>>, rivolta ad ottenere dalla voce dell’intervistato una
descrizione abbastanza completa del Servizio presso cui lavora,
si ispira al
29
modello di analisi organizzativa di Richard Normann , che descrive un sistema
olistico di management del servizio, costituito da cinque elementi interconnessi
utili per descrivere o analizzare il sistema organizzativo stesso, in particolare:
-segmento di mercato: particolari tipi di clienti per cui è stato progettato l’intero sistema
dei servizi
-concetto di servizio: vantaggi assicurati al cliente
-sistema di erogazione del servizio
-personale
-immagine: strumento informativo mediante cui il management puo’ influenzare il suo
personale, clienti, ecc…
-cultura e filosofia, comprende i principi generali mediante i quali è controllato,
mantenuto e sviluppato il processo sociale che conduce all’erogazione di servizi a vantaggio dei
clienti.
Ho formulato dunque le domande attorno ai suddetti elementi, affinché
l’intervista potesse essere diretta su alcuni problemi interessanti per poter
comprendere e descrivere l’operato e la natura organizzativa di tre importanti
agenzie, al fine di produrre una ricognizione sintetica di risorse.
Il materiale emerso puo’ essere utilizzato per approfondire vari aspetti
interessanti dell’operato di alcuni professionisti con le persone senza dimora, ma
all’interno di questo lavoro mi interressa, piuttosto che soffermarmi ad analizzare
il pur interessantissimo operato della singola agenzia o l’analisi di taluni aspetti
significativi, porre in evidenza il lavoro integrato della rete e quindi l’insieme
delle risorse esistenti sul territorio genovese.
29
R. Normann, Service Management: Strategy and Leadereship in Service Business,
1984, trad.it. La gestione strategica dei servizi, Etas, Sonzogno,1985, p. 58.
82
Pertanto do restituzione del materiale da me raccolto in una sintesi
elaborata in tabelle, fornendo un quadro sintetico delle risorse della rete formale.
III.5.2 Rete integrata dei Servizi per senza dimora sul territorio genovese
Propongo un’analisi del funzionamento effettivo della rete genovese ed
una ricognizione delle risorse e dei servizi offerti alle persone senza dimora,
puntando un fuoco d’attenzione sull’istanza integrativa sentita e perseguita dalla
rete stessa.
Propongo alcuni schemi sinottici per illustrare sinteticamente e
complessivamente i servizi esistenti in varie aree di intervento (Accoglienza,
Alloggiamento, ecc…).
Sono riassunti i principali servizi, interventi e progetti rivolti alle persone
senza dimora, erogati prevalentemente dalle tre agenzie che si occupano del
problema:
-Associazione San Marcellino
-Unità Operativa Cittadini senza territorio
-Centro d’ascolto Monastero- Fondazione Auxilium.
Ogni intervento è presentato in tabella rispetto a otto voci (struttura e
ubicazione, utenza e bisogno, numero di posti, ente gestore, descrizione, accesso,
finalità) e comparato ad interventi dello stesso tipo, per porre in risalto come
effettivamente venga garantita dalla rete una <<pluralità di accessi, accoglienza e
metodologie d’intervento>>30.
Si intende fornire una visione d’insieme dei diversi servizi presenti ed
integrati, raggruppati e suddivisi all’interno di diverse aree d’intervento o
tipologie.
Ho adottato una prima generale suddivisione fra:
1.
Servizi di Prima accoglienza, cosiddetti a bassa soglia:
predispongono cioè un accesso generalmente libero; rispetto alle categorie
che di seguito introdurrò, dedotte dalla letteratura, essi espletano
83
prevalentemente le prime due fasi del programma di intervento per la
persona : fase di definizione del bisogno (o osservativa) e fase conoscitiva
della persona nella relazione
2. Servizi di Seconda accoglienza: presuppongono una relazione di
accompagnamento e presa in carico della persona; espletano la terza funzione del
programma di intervento, cioè la strutturazione di un percorso individualizzato,
rispetto a quattro dimensioni <<CASA, LAVORO, RAPPORTI SOCIALI,
PROBLEMATICHE VARIE>>, su cui si ricostruisce il recupero dell’individuo,
finalizzato ad educare la persona alla capacità di concatenare i vari bisogni31.
1. Servizi di Prima accoglienza
Tab. 1 Servizi di Prima accoglienza nell’area della PRONTA ACCOGLIENZA
Servizi,
interventi,
progetti
Struttura e Utenza
ubicazione bisogno
e Num. posti
Pronta
accoglienza
Centro
Accesso
d’ascolto
libero
San
Marcellino
Vico San
Marcellino
presso
CanonicaSala
d’attesa
_
Pronta
Accoglienza
Centro
Accesso
d’ascolto
libero
Monastero
Sal. N.S.
del
Monte,2
_
Ente gestore
Descrizione
Ass.
San Filtro
fra
Marcellino
operatori di
colloquio
e
utenza
Comprende:
-registrazione
utente
-distribuzione
buoni-doccia
-distribuzione
ingresso
diurni
-distribuzione
toeletta
-segreteria
settore
Animazione
Caritas
DiocesanaFondazione
AuxiliumCentro
d’ascolto
Monastero
30
Accesso
Finalità
Lunedì,
martedì,
giovedì,
venerdì
ore 9-12
<<
Prima
porta
d’accesso
per
le
persone, che
ricevono
accoglienza
e
ascolto.
Ciò serve ad
instaurare e
costruire la
relazione>>
(dall’intervis
ta)
Accoglienza,
fiducia,
sostegno
Delibera C.C. n. 124 del 23/10/ 2000.
S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., p.156.
31
84
Tab. 2 Servizi di Prima accoglienza nell’area ACCOGLIENZA, ASCOLTO,
SEGRETARIATO SOCIALE
Servizi,
interventi,
progetti
Struttura e Utenza
ubicazione
bisogno
Primo
colloquio
di
accoglienza e
ascolto
Centro
d’ascolto
San
Marcellino
Vico
San
Marcellino
presso
Canonica
e Num.posti
Accesso
libero
Accesso su
invio dalla
rete o da
altri soggetti
pubblici
o
privati
_
Accoglienza- Ufficio
Segretariato
Cittadini
Sociale
senza
territorio
V. Ilva, 3
Accesso
libero
_
Accoglienza,
Segretariato
Sociale,
Distribuzione
biglietti
treno,
Residenze
Protette
Famiglie di
passaggio
con minori
No minori
_
Ufficio
Cittadini
senza
territorio
V.Ilva, 3
Ente gestore
Descrizione
Accesso
Ass.
San Coordinamento Lunedì,
Marcellino
dei Servizi
martedì,
Sono
giovedì,
disponibili 4 venerdì
operatori
ore 9-12
(educatori,
psicologi,
maschi,
femmine)
Registrazione
nome
e
cognome
dell’utente
e
individuazione
del bisogno
Comune di
Martedì ore
Genova9-10
Direzione
Per telefono
Servizi alla
Giovedì ore
Persona14-15
U.O.
Cittadini
senza
territorio
Comune di
GenovaDirezione
Servizi alla
PersonaU.O.
Cittadini
senza
territorio
85
Finalità
<<Instaurare
la relazione
che
nei
diversi casi
puo’
condurre la
persona ad
un percorso
di sostegno
Primo
accesso,
definizione
del bisogno,
conoscenza
Primo
accesso,
definizione
del bisogno,
conoscenza
Tab. 3 Servizi di Prima accoglienza nell’area SOCIALITA’ e MENSA
Servizi,
interventi,
progetti
Struttura
e Utenza
ubicazione
bisogno
e Num. posti
Ente gestore
Descrizione
Accesso
Finalità
Relazione di
socialità
Centro
diurno
Archivolto
Accesso
Vico
libero
S.Marcellino,
10
N.r.
Ass.
San Servizi
Marcellino
-doccia
-colazione
-lavanderia
Lunedì,
martedì,
giovedì,
venerdì
ore 10-12
Centro
diurno
pomeridiano
La Svolta
Vico
S.Marcellino
N.r.
LunedìRelazione di
sabato
ore socialità
15-18
Accoglienza
diurna
La Casetta
Accesso
N.r.
Sal. N.S. del diretto
Monte, 2
Anche
persone
tossicodipendenti
Mensa
Sal. N.S. del Acceso
N.r.
Monte,2
diretto
No
tossicodipendenti
Ass.
San Bar “bianco”
Marcellino
(non
vengono
offerti
alcolici)
Caritas
Si chiede il
Diocesana–
rispetto delle
Fondazione
cose e delle
Auxiliumpersone
Centro
Sono
d’ascolto
disponibili
Monastero
operatori di
accoglienza e
ascolto
e
sono offerti
servizi di:
lavanderia,
vestiario,
deposito
bagagli,
doccia
Orientamento
ai Sevizi per
le
persone
tossicodipendenti
Caritas
Dopo almeno
Diocesana15 giorni di
Fondazione
permanenza
Auxiliumsi chiede di
Centro
prendere
d’ascolto
contatto per
Monastero.
formalizzare
Convenzione l’inserimento
con Comune in mensa
di GenovaDirezione
Servizi alla
persona-U.O.
Cittadini
senza
territorio
Accesso
libero
Bisogno
socialità
di
86
LunedìRelazione di
sabato
ore accoglienza,
14.30-17.30 accettazione
della persona
per stimolare
nella stessa
una
maggiore
elaborazione
di dignità di
se stessa
Lunedìdomenica
Pranzo e
cena
Socialità
Tab. 4 Servizi di Prima accoglienza nell’area ACCOGLIENZA NOTTURNA
Servizi,
interventi,
progetti
Struttura
ubicazione
e Utenza e bisogno
Num.posti
Alloggiamento Archivolto
No
10
notturno
Vico
tossicodipendenti, (maschili)
S.Marcellino,10 No
extracomunitari
Alloggiamento Asilo Notturno Accesso
libero 20
notturno
Massoero
persone italiane o (maschili)
Vico Palla,4
facenti parte U.E.
No
tossicodipendenti
Ente
gestore
Descrizione
Accesso
Ass. San Permanenza
Marcellino per 15 giorni.
Riaccoglienza
possibile
dopo un mese
dalla
dimissione
Comune di Permanenza
Genovaper 15 giorni
Direzione
rinnovabili su
Servizi alla progetto.
PersonaRiaccoglienza
U.O.
dopo un mese
Cittadini
dalla
senza
dimissione
territorio
Finalità
Ingresso Accoglienza,
ore
conoscenza
19.30-22
Uscita
entro ore
7.15
Ingresso
entro ore
23
Tab. 5 Servizi di Prima accoglienza nell’area EMERGENZA
Servizi,
interventi,
progetti
Unità
strada
Struttura e Utenza
ubicazione
bisogno
di Una presso Emergenza
P.S.
Osp. freddo
Galliera
Interventi
economici
una tantum
Ufficio
Cittadini
senza
territorio
V.Ilva, 3
Farmacia
Canonica
San
Marcellino
Grave
emergenza
e Num.posti
Ente gestore
Ass. Massoero
2000.
Convenzione
con Comune
di
GenovaDirezione
Servizi
alla
Persona-U.O.
Cittadini
senza
territorio
Comune
di
GenovaDirezione
Servizi
alla
Persona-U.O.
Cittadini
senza
territorio
Ass.
san
Marcellino
87
Descrizione
Accesso
Finalità
Due sere alla Aggancio e
settimana
sicurezza
Domenica
ore
10-11
dopo Messa
2. Servizi di Seconda accoglienza
Tab. 6 Servizi di Seconda accoglienza nell’area alloggiativa DORMITORIO
Servizi,interventi, Struttura e Utenza
progetti
ubicazione
bisogno
Alloggiamento
Angolo
notturno
e Num.posti
Ente gestore
Descrizione
(maschili)
Ass.
San Permanenza
Marcellino
per tre mesi
rinnovabili.
Si chiede :
-sobrietà
-condizioni
decorose
-puntualità
26 tot. con Ass.
San Permanenza
Angolo
Marcellino
per tre mesi
(maschili)
rinnovabili.
Si chiede :
-sobrietà
-condizioni
decorose
-puntualità
6
Ass.
San
(femminili) Marcellino
Alloggiamento
notturno
Gradino
Alloggiamento
notturno
Treccia
Alloggiamento
notturno
Dormitorio Persone con 15
Sal. N.S. del progetto
Monte,2
Caritas
DiocesanaFondazione
AuxiliumCentro
d’ascolto
Monastero
Accesso
Finalità
Ingresso ore Socialità
19.30-20.30 Contrattualità
Cena
insieme
Ingresso ore Socialità
19.30-20.30 Contrattualità
Cena
insieme
Ingresso ore Socialità
19.30-20.30 Contrattualità
Cena
insieme
Si chiede :
Adesione a
-non essere
progetto
alterati
riabilitativo
-pulizia
-rispetto
orari
Comprende
servizio
mensa
Tab. 7 Servizi di Seconda accoglienza nell’area alloggiativa COMUNITA’
Servizi,interventi,
progetti
Struttura e Utenza e Num.posti
ubicazione bisogno
Ente
gestore
Comunità
Boschetto
N.R.
Via della
Crocetta,3
8
Ass. San
(maschili)
Marcellino
in stanze
doppie
Apprendimento
dall’
esperienza
Fiducia
Comunità
Ponte
N.R.
Via della
Crocetta,3
9
(maschili)
Permanenza
N.R.
ore 17.30-8
del mattino
Simulazione
della
vita
quotidiana
Sistema
ternario
di
compiti
Ass. San Unico
N.R.
Marcellino vincolo: cena
insieme
Permanenza a
tempo
indeterminato,
senza
esclusione
della
possibilità di
andare
in
alloggio
assistito
Apprendimento
dall’
esperienza
Fiducia
88
Descrizione
Accesso
Finalità
Tab. 8 Servizi di
ASSISTITI
Seconda accoglienza nell’area alloggiativa
Servizi,interventi,
progetti
Struttura e Utenza
ubicazione
bisogno
Alloggi assistiti
N.R.
Alloggi assistiti
N.R.
e Num.posti
Accesso su Singolo
invio dalla
rete
Ente gestore Descrizione
ALLOGGI
Accesso
Ass.
san Contratto tipo N.R.
Marcellino
residence
+servizi
Visite
domiciliari di
verifica
dell’esprienza
Caritas
N.R.
DiocesanaFondazione
AuxiliumCentro
d’ascolto
Monastero
N.R.
Finalità
Autonomia
Adesione a
progetto
riabilitativo
Tab. 9 Servizi di Seconda accoglienza nell’area LAVORO
Servizi,interventi,
progetti
Struttura
ubicazione
Educazione al lavoro
Laboratori:
-lavanderia
-pulizia
-kambusa
-cucina
-manutenzione
Educazione al lavoro
Borse -lavoro
Educazione al lavoro
Borse-lavoro
e Utenza e Num.posti
bisogno
Persone
che
vivono in
casa da
sole
Lavoro in rete con Ufficio
l’U.C.I.L.(Inserimento
Cittadini senza
lavorativo)
territorio
V.Ilva, 3
89
Ente gestore
Descrizione
Accesso
Ass.
san Retribuzione
Marcellino
con
un’indennità
di presenza
Copertura
assicurativa
Inail
N.R.
Ass.
San Retribuzione
Marcellino
con
un’indennità
di
presenza
Copertura
assicurativa
Inail
Caritas
DiocesanaFondazione
AuxiliumCentro
d’ascolto
Monastero
Comune di
Genova
N.R.
Finalità
N.R.
Sala
d’attesa
con
turno
numerato
ore 1011
Ricostruzione
identità
professionale
Tab.10 Servizi di Seconda accoglienza nell’area ACCOMPAGNAMENTO E
PRESA IN CARICO
Servizi,interventi,
progetti
Definizione
Progetto
riabilitativo
Definizione
Progetto
riabilitativo
Struttura e Utenza
ubicazione bisogno
del Centro
socio- d’ascolto
Monastero
Sal. N.S.
del
Monte,2
del Centro
socio- d’ascolto
San
Marcellino
Vico San
Marcellino
presso
Canonica
e Num.posti Ente gestore
Colloqui
di
chiarificazione
e sostegno al
progetto
(la
persona esprime
il
bisogno
all’operatore) o
accesso
su
segnalazione di
un ente che
conosce
la
persona
_
Colloqui
con
persone
che
hanno avviato
un percorso già
appoggiato
dalla rete e sono
prese in carico
dall’Ass. San
Marcellino
Ufficio
Cittadini
senza
territorio
V. Ilva, 3
La persona è
seguita da uno
dei
4
operatori.
Il
progetto
puo’ essere:
1)assistenziale
2)di reinserimento.
Se la persona
è
stata
segnalata da
un ente della
rete:
-Ente
segnalante
mantiene
la
presa in carico
se c’è già un
progetto.
Chiede
interventi
come
inserimento in
dormitorio o
mensa
-se non c’è
progetto, CdA
prende
in
carico
la
persona
San La
persona
non
è
necessariadi mente inserita
in struttura ,
ma
è
in
relazione
significativa
con
l’Associazione
San
Ass.
Marcellino
Comune
di
GenovaDirezione Servizi
alla Persona-U.O.
Cittadini
senza
territorio
AccompagnaUfficio
mento per inoltro Cittadini
domande sociali
senza
territorio
V.Ilva, 3
Interventi domiciliari
Caritas
DiocesanaFondazione
AuxiliumCentro d’ascolto
Monastero
Ass.
Marcellino
Colloquio
settimanale
verifica
Animazione
Descrizione
Persone
che
hanno raggiunto
un buon livello
di
territorializzazione
Comune
di
GenovaDirezione Servizi
alla Persona-U.O.
Cittadini
senza
territorio
90
Domande di:
-casa popolare
-carta
d’identità
-pensione
libretto
sanitario
Accesso
Finalità
N.R.
1)progetto
assistenziale
(pensione,
sussidio…)
2) progetto di
reinserimento
(lavoro,
alloggio
autonomo…)
Educare
la
persona
all’emergere
delle proprie
risorse
Lunedì,
martedì,
giovedì,
venerdì
Ore 9-12
Socialità
Sala
d’attesa
con turno
numerato
ore 10-11
Aggancio
territoriale =
ai
Servizi
Territoriali
Tab.11
Servizi
AMMINISTRATIVA
di
Servizi,interventi,
progetti
Struttura e Utenza
ubicazione
bisogno
Concessione
residenze
anagrafiche+
servizio posta
Ufficio
Cittadini
senza
territorio
V.Ilva,3
Concessione
residenze
anagrafiche+
servizio posta
Concessione
residenze
anagrafiche+
servizio posta
Seconda
accoglienza
e Num.posti
nell’area
RESIDENZA
Ente gestore
Descrizione
Accesso
Finalità
_
Comune di
GenovaDirezione
Servizi alla
PersonaU.O.
Cittadini
senza
territorio.
Convenzione
con
Anagrafe
Ci
sono
scadenze di
controllo
della posta.
Il mancato
rispetto
comporta la
perdita della
residenza
Martedì e
venerdì
mattina per
controllo
posta
Accesso
diritti
di
cittadinanza
Centro
d’ascolto
San
Marcellino
Vico
San
Marcellino
presso
Canonica
_
Ass.
San
Marcellino.
Convenzione
con
Anagrafe
Obbligo di
presentarsi
al
Centro
d’ascolto
una volta al
mese
Centro
Persone con
d’ascolto
progetto
Monastero
Sal.
N.S.
del Monte,2
_
Caritas
DiocesanaFondazione
AuxiliumCentro
d’ascolto
Monastero.
Convenzione
con
Anagrafe
Lunedì,
Accesso
martedì,
diritti
di
giovedì,
cittadinanza
venerdì
ore 9-12
Per
controllare
la
posta
basta
rivolgersi
agli
operatori di
accoglienza
Accesso
diritti
di
cittadinanza
Persone
irreperibili
o
persone
cancellate
(che hanno
perso i diritti
di
cittadinanza).
Il servizio di
posta
è
prestato alle
persone che
hanno
un
progetto
91
3. Popolazione bersaglio
Soggetto destinatario dei Servizi di cui si raccoglie una sintesi in questa
ricerca è la cosiddetta utenza delle persone senza dimora.
All’interno di questa nomenclatura rientra una pluralità di soggetti, che
presenta situazioni diversificate.
Ho raccolto le diverse voci con cui gli operatori delle tre Agenzie genovesi
definiscono l’utenza cui si rivolge il loro Servizio.
L’operatore del Centro d’ascolto dell’Associazione San Marcellino usa il
termine di “persone senza dimora” parlando delle <<persone che hanno
sviluppato un sentimento di désaffiliation>>. Ricomprende in generale le
famiglie povere, che non hanno il sostentamento di una fonte di reddito.
L’assistente sociale che opera nell’Ufficio Cittadini senza territorio del
Comune di Genova parla di <<persone in situazione di grave emarginazione ed
esclusione sociale con difficoltà economica, abitativa e lavorativa>>. Tra di esse
distingue le cosiddette persone di passaggio, che attendono di rientrare nel
Comune di provenienza; le persone senza dimora, che vivono per strada e sono
chiamate comunemente “barboni”; le persone che iniziano un percorso di
esclusione
conseguente alla perdita di residenza; le persone irreperibili o
cancellate, che hanno perso l’accesso ai diritti di cittadinanza.
L’assistente sociale mette in rilievo un aspetto della personalità degli
utenti, che il Servizio considera come presupposto del suo lavoro: la difficoltà e
talora l’incapacità delle persone di rivolgersi ai Servizi territoriali.
Il Centro d’ascolto Monastero rivolge i suoi interventi alle persone senza
dimora, italiane o facenti parte della Comunità Europea. Un operatore descrive le
problematiche portate dagli utenti del Servizio e le distingue in due sfere: una è
“materiale” ed è legata al bisogno di vestirsi, cibarsi, dormire e lavarsi; l’altra è
“relazionale” ed è connessa al bisogno di relazionarsi, di essere sostenuti, di
essere incoraggiati e accompagnati al reinserimento sociale.
Gli interventi tentano di dare una risposta congiunta alle due sfere di
problematiche.
92
Si promuove il lavoro di rete, l’integrazione dei servizi e la comunicazione
fra gli stessi, affinché ogni servizio, con le sue caratteristiche specifiche non sia
isolato dal flusso comunicativo e dalla continua opportunità di riflessione sul
lavoro in atto e sul progetto con la persona.
Tale sistema, che garantisce all’individuo una pluralità di accessi e
interventi, pone in primo piano la centralità della persona e l’adozione di strategie
di intervento integrate.
III.5.3 Lettura del sistema di rete: tre fasi nel programma di intervento
L’intento presente è fornire un apporto teorico al sistema integrato di rete
appena illustrato e da me proposto.
Secondo un’analisi interessante32, un ipotetico programma di intervento,
che mira a promuovere la sicurezza sociale e una nuova cultura della solidarietà,
anziché un sistema assistenzialistico di prestazioni di servizi, si sviluppa, in tre
fasi:
1) Nuova definizione del bisogno
Finché gli interventi sono diretti ad alcuni bisogni della persona senza
dimora, quelli espressi, generalmente connessi alla sopravvivenza, la politica resta
assistenziale e consolida o crea cronicizzazione.
Pertanto non dev’essere la persona a cercare il Servizio, ma quest’ultimo
ad avvicinarsi alla persona e al suo ambiente di vita.
In questo senso si orientano, ad esempio, le attuali sperimentazioni di
psichiatria di strada, << un intervento che (…) rivolge la sua attenzione a soggetti
privi di rapporto con i servizi territoriali muovendosi verso quei contesti di
emarginazione sociale in cui essi si trovano a vivere>>33.
32
S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., p.156.
33
S. Borghetti, La salute mentale degli homeless: un percorso di psichiatria di strada,
cit., p. 19.
93
Quindi punto di partenza per una nuova definizione del bisogno diventa il
territorio, quale <<luogo di raccolta dei “sintomi”>>34, al fine di osservare e di
poter descrivere le condizioni e i comportamenti, sia individuali che collettivi,
rispetto ai processi di vita quotidiana della persona senza dimora e del rapporto
con << il “luogo” che per lungo tempo lo ha accudito, rifocillato e sollecitato a
relazioni significative. (…) Infatti il rapporto individuo/territorio è determinato
dalle rappresentazioni simboliche che influiscono sui processi e sugli accadimenti
che avvengono nello stesso>>35.
A tal fine devono essere istituiti <<centri di osservazione con la specifica
funzione di operare a contatto con la quotidianità>>36.
Si puo’ usare il metodo dell’osservazione partecipante, operata da una o
più equipe, che abbiano come punto di riferimento la strada, piuttosto che
identificare il centro di osservazione in un luogo fisico.
L’intervento prevede operatori sociali “di strada”che entrino in contatto
con le persone senza dimora , rompendo le barriere che spesso isolano i senza
dimora dal contesto circostante, che tengano colloqui informali o conversazioni
libere, collocati in luoghi interessanti come stazioni F.S. giardini pubblici, mense,
dormitori.
È importante sottolineare che il bisogno espresso al Servizio spesso non
coincide con il bisogno reale, che puo’ emergere solo se si instaura un certo
legame con l’operatore, che la persona senza dimora riconosca innanzitutto come
“amico”.
Tale lavoro deve poi essere comunicato costantemente a tutti i Servizi
operanti nel settore, per informarli sui dati derivanti dall’osservazione attiva.
A Genova tale osservazione viene svolta prevalentemente dai servizi del
Privato Sociale.
L’Unità Operativa Cittadini senza territorio del Comune di Genova
finanzia l’intervento di una Unità di strada, gestita dall’Ass. Massoero 2000, che
34
S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., p. 157.
35
R. Gnocchi , Il diritto alla salute delle persone senza dimora, in << Prospettive sociali
e sanitarie>>,cit., pp. 14 e s.
94
interviene per l’emergenza freddo due sere alla settimana e persegue soprattutto la
finalità dell’aggancio e della sicurezza. Si colloca presso l’ospedale Galliera (atrio
del Pronto Soccorso), ricettacolo notturno di alcune persone che rinnegano i
servizi di accoglienza notturna predisposti dalle strutture cittadine e trovano un
riparo provvisorio sostitutivo a quello che potevano trovare tempo fa negli atrii
delle stazioni FS, oggi chiusi.
2) Fase conoscitiva
Prevede l’istituzione sul territorio di <<servizi “filtro”, cioè servizi di
prima accoglienza strutturata, che hanno principalmente la funzione di dare una
prima risposta ai bisogni presentati dalle persone senza dimora>>37, dove si tenta
di promuovere la cultura dell’ascolto e dell’accoglienza, superare quella
meramente assistenzialistica, ponendo invece le basi per un incontro con la
persona in luogo di significati condivisi e la costruzione di una relazione
significativa.
Così ad esempio il Centro d’ascolto dell’Associazione San Marcellino
opera con il Centro di prima accoglienza notturna secondo un doppio legame, due
linee parallele distinte:
-soddisfacimento delle richieste che sottendono la mancanza di beni di
prima necessità (mangiare, dormire, vestirsi, lavarsi)
con funzione di primo
contatto o aggancio
-lavoro con la persona per conoscerla meglio e , a seconda dei casi, inizio
di un percorso individuale segnato da microprogetti personalizzati collocati entro
un quadro più generale di recupero. È la linea che più difficilmente viene seguita
dalle persone senza dimora croniche, coloro che per l’età avanzata , per i danni
psicologici subiti nel tempo dall’assunzione di sostanze alcoliche , per le
conflittuali situazioni familiari sociali non sono disposte a mettere a repentaglio
l’equilibrio della sopravvivenza.
36
S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., p. 157.
37
Ivi, p.158.
95
Non solo le strutture di prima accoglienza espletano la funzione
conoscitiva; una parte della stessa viene svolta in ognuna delle strutture che
ospitano persone senza dimora specie la prima accoglienza notturna, nel tentativo
di <<dare avvio ad un cammino di recupero>>38.
I punti chiave di tale delicata fase sono << porre attenzione alla persona
singola per elaborare micro-progetti individualizzati>>39, cioè lavorare con la
persona per elaborare micro-progetti fattibili per essa, quotidianamente,
pazientemente contrattando e non chiedendo alle persone più di quanto possono
dare per non farle scontrare con altre delusioni-fallimenti che potrebbero segnare
un regresso indelebile.
Significa costruire sulla forza della persona stessa.
Ad esempio, circa il problema lavoro, le persone hanno interiorizzato ritmi
diversi da quelli del comune lavoratore dipendente e dunque non si puo’ proporre
loro, magari dopo un periodo di inattività protratto per anni, l’impiego in un
lavoro a tempio pieno, perché si va incontro ad un fallimento.
Occorre invece pensare un percorso a tappe, consono ai tempi
dell’individuo, e articolate sulle varie dimensioni rilevanti su cui si costruisce il
recupero dell’individuo, cioè renderlo capace di concatenare i vari bisogni.
3) Evidenziazione di diverse tappe del percorso individualizzato relative a
quattro dimensioni:
-
CASA
-
LAVORO
-
RAPPORTI SOCIALI
-
PROBLEMATICHE
Rispetto alle quattro dimensioni, possono essere individuate quattro aree
in cui si collocano i diversi servizi organizzati dalla rete delle istituzioni: per la
CASA centri accoglienza e alloggiamento, per il LAVORO laboratori ed
inserimenti, per i RAPPORTI SOCIALI animazione e centri diurni, per le varie
38
Ivi, p. 159.
Ivi, p. 160.
39
96
PROBLEMATICHE Club Alcolisti in Trattamento per alcol, CSM per problemi
psichici, SerT per tossicodipendenze, ecc.
Durante tutto il percorso la persona è sempre sostenuta dall’attività del
Centro d’ascolto tramite colloqui periodici, durante cui si cerca di tracciare il
percorso svolto, i progressi e i problemi personali e /o relazionali per trovare
insieme una soluzione. E durante cui la persona valuta la possibilità o meno di
proseguire il suo percorso presso altre strutture in tappe successive.
Il percorso di recupero verso l’autonomia è difficile e intrapreso e
raggiunto solo da alcuni, ma non impossibile.
Essenziale è tuttavia che l’operatore sappia con chiarezza a quali persone
la struttura puo’ rivolgere un percorso d’aiuto.
Il percorso di recupero dev’essere individualizzato e calibrato sulle
singolari possibilità del soggetto, tuttavia è essenziale che il soggetto faccia parte
di un gruppo ristretto nel quale anche gli altri membri del gruppo stiano facendo
un percorso analogo al suo.
97
IV. STRATEGIE
D’AIUTO:
E STRUMENTI DEL PROCESSO
UN’ESPERIENZA
DI
ACCOMPAGNAMENTO
SOCIALE
IV. 1 Quale bisogno?
Occorre iniziare l’analisi sulle possibilità di intervento professionale con le
persone senza dimora, con problemi psichici, da una breve riflessione sul concetto
di benessere per l’uomo e su alcune premesse antropologiche.
Secondo la prospettiva relazionale studiata da Fabio Folgheraiter1 e
riproposta da Luigi Gui2, il benessere è una meta, una tensione, una vicenda
quotidianamente ritentata. Puo’ essere definito, in termini multidimensionali e
dinamici, come il conseguimento di mete esistenziali progressive mai definite.
O ancora, puo’ essere il << migliore equilibrio possibile ma dinamico>>3:
ogni uomo si muove per il conseguimento di mete esistenziali per prove ed errori,
scegliendo di seguire gli apprendimenti selezionati dall’esperienza, e ricerca
possibili realizzazioni su tutte le dimensioni che compongono la persona.
Dal punto di vista istituzionale, cioè dal punto di vista delle concezioni di
benessere perseguite dal welfare state, il well being, o “star bene in termini
soggettivi”, si è trasferito progressivamente e concettualmente sul terreno della
immaterialità.
Dagli anni ’80 si inizia a considerare una concezione di benessere, che
non attiene solo al godimento di beni, ma si puo’ riferire a concetti come
<<mondo vitale>>4, per indicare un <<luogo di costruzione di senso, produzione
di relazioni solidali ed affettivamente nutritive entro cui ciascuno comprende sé e
1
F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete, Franco
Angeli, Milano, 1998.
2
L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di,
Servizio sociale e povertà estreme, cit., pp. 103 e ss.
3
Ivi, p. 103.
4
A. Ardigò, Crisi di governabilità e mondi vitali, Cappelli, Bologna, 1980.
98
il significato delle sue azioni, grazie all’attribuzione condivisa con altri>>5, in
altre parole, un tipo di soggettività particolare che puo’ essere considerata come il
<<benessere generato entro le relazioni>>6.
Gui pone a fondamento della sua analisi la premessa indispensabile che
l’uomo è un <<soggetto sensato>>7 e quanto più realizza questa sua condizione
ontologica tanto meglio sta.
Soggetto è <<qualcuno che si distingue per individualità da una
numerosità indistinta ed è dotato di una sua propria autodeterminazione
e
capacità di iniziativa>>; è dotato di senso << colui che va conseguendo le mete
verso cui cammina>> e <<colui che condivide un’attribuzione con altri>>8.
Pertanto ciò che viene a caratterizzare in buona parte il benessere di una
persona è poter rispecchiare il proprio senso nel con-senso altrui.
A questo punto occorre considerare la condizione della persona senza
dimora.
Si parla di multidimensionalità del disagio della persona senza dimora per
indicare che essa riporta un equilibrio vacillante contemporaneamente su molti
fronti.
Qui è opportuno chiedersi cosa determina il passaggio da una condizione
di vulnerabilità, come esposizione a fallimenti, traumi , lutti, insuccessi, ad una di
désaffiliation o povertà estrema.
Il sociologo Nicola Negri introduce i concetti di <<dotazione originaria>>
e <<capacità di riconversione>>9; la prima rappresenta la dotazione di risorse data
con cui si affronta la vita; la seconda è la capacità di aggiornare le competenze,
trasformare le potenzialità in ulteriori opportunità, adattare le risorse alle richieste
dell’ambiente.
Le persone senza dimora hanno già in partenza una dotazione carente,
prevalentemente sul piano delle relazioni affettive significative, cui conseguono la
difficoltà di comporre equilibri di benessere ed il processo di adattamento per
5
L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di,
Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 105.
6
Ivi, p.105.
7
Ivi, p.107.
8
Ivi, p.108.
9
N. Negri, Reti di rischio e percorsi nella povertà, in << Tra>>, II-1,1989.
99
rinuncia. Ciò significa che la persona senza dimora mette in atto preferenze
adattive: <<per ridurre la frustrazione derivante dal fatto di avere esigenze che
non riesce a soddisfare, la persona è portata a riformulare le proprie preferenze
adeguandole
alla
situazione
e
alle
possibilità
ritenute
effettivamente
realizzabili>>10, in un meccanismo che opera sulle preferenze, attraverso cui
vengono selezionate le opzioni.
Infatti una persona che ha una buona capacità di riconversione in genere
apprende dall’esperienza , scarta le situazioni di fallimento e sceglie altre
strategie.
Alcune persone invece vanno rinunciando ad alcuni percorsi immaginati,
alcune mete desiderate, e riducono l’immagine del loro futuro e delle proprie
prospettive.
Come strategia di un equilibrio di benessere possibile, la persona senza
dimora chiude i <<fronti di transazioni fallimentari>>11 con l’altro generalizzato,
ma in tale processo subisce un cambio di identità, una metamorfosi della
percezione di sé da un’identità auspicata, che è faticoso o spaventoso affrontare,
ad una rassegnata, che la realtà sociale va confermando.
Cala l’autostima e il senso del fallimento fa slittare progressivamente
verso un altro Sé.
La persona, chiudendo lo scambio con l’ambiente, soffre e muore. Crea il
vuoto relazionale attorno a sé.
Lungi da << individuare catene deterministiche>>12 sui perché qualcuno
finisce per strada, Gui registra che frequentemente si compongono fra loro alcuni
fattori che accomunano l’esperienza delle persone senza dimora.
Queste persone sembrano accomunate più dalla mancanza di qualcosa (“dimora” come
luogo materiale e soprattutto come riferimento dell’identità relazionale) che non da una presunta
natura individuale che le porta ad una forma di vita marginale e svantaggiosa. (…)
10
A. Meo, Vite in bilico. Sociologia della reazione a eventi spiazzanti, Liguori, Napoli,
2000, p.139.
11
L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di,
Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.115.
12
Ivi, p.110.
100
La persona senza dimora si puo’ considerare uno straniero nella società in cui vive (…)
Residenza e domicilio sono i due concetti fondamentali che esprimono l’appartenenza ad un luogo
dove si esercitano diritti e doveri, dimora invece rappresenta livelli minimi di collegamenti e
riferimenti.
(…) Viene spontaneo considerare come suo primo problema la mancanza di casa e la vita
in strada. Di fatto però la casa diventa dimora quando diventa spazio che accoglie e genera
esperienze e relazioni, collocazione e racconto della storia di una persona. Il problema del senza
dimora si colloca, prima che nella carenza di casa, nella assenza di relazioni e legami, e spesso
nella incapacità od impossibilità di stabilirli e/o reggerli13.
Si sta male quando mancano relazioni significative con gli altri,
fondamentali per sentirsi “sensati”. Perché il soggetto, non essendo in relazione di
condivisione di senso, non è sensato e sta male, si nega la via di un autentico
benessere.
IV.2 Quale intervento? Strategie e strumenti del processo d’aiuto
IV.2.1 L’agire metodologico dell’assistente sociale con la persona senza
dimora
Il Servizio Sociale professionale figura fra i principali strumenti garantiti
dalla Legge quadro 328/2000. All’articolo 22 esso è citato fra le prestazioni che
devono essere attuate in ogni ambito territoriale; è un’attività diretta a valorizzare
le risorse individuali e collettive nell’ambito di processi comunitari.
Il Servizio Sociale è una professione complessa e multifunzionale, che ha
come oggetto l’aiuto individualizzato e promozionale, per la gestione efficace
della relazione tra bisogni, problemi e risorse dell’utenza, considerata nel contesto
di vita familiare, sociale e comunitario.
Lo scopo principale della professione è l’aiuto all’utenza nella ricerca del
proprio benessere, attraverso la promozione e l’acquisizione delle risorse
individuali, collettive ed istituzionali.
13
F. Pezzoni, G. Lucchini, Persone senza fissa dimora e malattia mentale. Bisogni e
Servizi, in <<La Via del Sale>>, cit., pp.67 e 71.
101
L’assistente sociale favorisce i processi di inclusione sociale delle
persone, pertanto puo’ essere ritenuta a buona ragione da molti << lo strumento
tecnico più efficace per l’intervento>>14 con le persone senza dimora, che
progressivamente hanno sperimentato un processo di esclusione sociale e
marginalità.
La figura professionale è nata inizialmente basando il suo operato sul
rapporto individuo/povertà,
ma progressivamente ha dovuto poter leggere il
contesto nella sua globalità, cercando di aumentare le conoscenze sulla società ,
sulla comunità e sul territorio e pertanto non limitare le modalità assistenziali al
soccorso materiale, bensì prevedere altri strumenti tecnici rivolti all’empowerment
della persona.
Pertanto include nel suo operato il perseguimento di obiettivi di
personalizzazione e umanizzazione delle prestazioni, al fine di superare il rischio
della stigmatizzazione e dell’emarginazione, e obiettivi di autonomia ed
autodeterminazione della persona e di rivitalizzazione del suo contesto sociale.
Esercita un controllo sugli aspetti processuali dell’aiuto e del suo progetto,
e conferma la centralità della relazione interpersonale professionale nel processo
d’aiuto, rendendola parte essenziale del setting di Servizio Sociale.
Infine contestualizza tale processo all’interno di una dimensione
comunitaria, avendo come referente non solo l’individuo o il gruppo, ma anche la
comunità, nell’insieme delle sue aggregazioni sociali.
Altro perno dell’operato professionale dell’assistente sociale è, oltre il
lavoro di comunità, il lavoro di rete, finalizzato alla costruzione ed al sostegno di
un sistema di rete attorno alla persona ed al potenziamento dei “nodi” della stessa
e delle sue connessioni.
Negli ultimi anni si è passati da un’assistenza maggiormente basata
sull’organizzazione centralizzata ad un’assistenza prevalentemente territoriale,
che si sviluppa maggiormente nel contatto con l’utenza.
14
C. Landuzzi, G. Pieretti, Servizio sociale e povertà estreme: l’approccio
dell’accompagnamento sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà
estreme, cit., p. 42.
102
Occorre sempre di più individuare un’identità di Servizio Sociale
specialistica ed esperta sul tema dell’emarginazione, della vulnerabilità e della
povertà estrema.
Non è facile tratteggiare i contorni e i limiti del lavoro professionale
dell’assistente sociale con le persone senza dimora, poiché esso si articola
prevalentemente nel lavoro “a tutto tondo” con la comunità , il territorio, le
aggregazioni sociali, il privato sociale, il volontariato, dove spesso sono le
relazioni significative con una pluralità di soggetti, spesso i volontari, a costituire
l’elemento di buona riuscita dell’intervento, dove la persona puo’ di fatto
sperimentare la positività delle relazioni.
E neppure è facile considerare la professionalità dell’assistente sociale,
prescindendo dal lavoro in équipe con le altre professionalità, con cui l’assistente
sociale opera in contesti organizzativi come il Centro di Salute Mentale.
Tuttavia è possibile cercare di puntare un faro sull’operato dell’assistente
sociale e considerare i metodi e gli strumenti che tale professionista puo’
adoperare.
L’assistente sociale, che opera in un Centro di Salute Mentale, viene a
contatto prevalentemente con persone senza dimora che hanno già avuto un
sostegno e stabilito un aggancio con i servizi a bassa soglia, che hanno
predisposto loro alcuni mezzi di sostentamento e strutture di alloggiamento
temporaneo.
Spesso la persona si presenta al Servizio con una domanda di casa, o
lavoro, o pensione, e spesso presenta un quadro sintomatologico che riporta ad un
disturbo psichico.
Il lavoro dell’assistente sociale necessariamente comincia prima del
momento dell’accesso, dato che è rivolto a potenziare i legami di rete con le altre
agenzie sul territorio, che si occupano di persone senza dimora, e a favorire la
reticolazione affinché la persona possa essere segnalata o accompagnata al
servizio.
Contestualmente alla fase dell’accesso e dell’accoglienza della persona,
l’assistente sociale puo’ supportare la valutazione diagnostica del medico
psichiatra con una valutazione della situazione di tipo sociale della persona .
103
All’interno della presa in carico della persona da parte di un’équipe
multiprofessionale, composta da psichiatra ed infermiere, oltre che dall’assistente
sociale, quest’ultimo professionista rivolge il proprio operato sul sostegno
intensivo sociale e sull’intervento socio-riabilitativo.
Oltre al tipo di intervento esterno al Servizio, che consiste sostanzialmente
nel lavoro di rete con altre istituzioni, l’assistente sociale presta alcuni interventi
“interni al Servizio”, che si pongono come interventi
finalizzati alla
riabilitazione, ma possono realizzarsi a seconda dei diversi casi in interventi di
riduzione del danno o mantenimento.
Gli interventi possono essere la ricostruzione delle storie di vita
individuali per riallacciare i legami spezzati dalla désaffiliation, oppure interventi
previdenziali socio-assistenziali, come l’aiuto nella gestione del denaro, e
l’accompagnamento per domande di assegnazione alloggio o inserimento
lavorativo o verifica pensionistica.
L’assistente sociale puo’ sostenere la persona nel mantenimento e nella
cura di sé e della propria immagine.
L’assistente sociale permette l’accesso alle risorse del servizio, la
partecipazione a gruppi di auto-aiuto riferiti a problemi specifici o l’accesso a
servizi ambulatoriali.
Accompagna i rapporti eventuali con gli organi della vicenda processuale,
ad esempio Giudice Tutelare, Tutore, Magistratura.
Infine, propone
e sostiene la ricerca ed il riavvicinamento alla rete
familiare e sociale , con tempi e progetti sempre concordati con l’utente.
L’assistente sociale è chiamato/a ad instaurare una relazione e a
mantenerla,
esercitando
prevalentemente
le
tecniche
dell’accoglienza
e
dell’ascolto, peraltro ha degli strumenti tecnici per poter mettere in connessione
la persona con le risorse istituzionali e sociali.
La relazione interpersonale diventa pertanto lo strumento principe di
mantenimento della relazione fra persona e servizio, e occorre che l’assistente
sociale sappia, nel corso della consulenza e del colloquio, per favorire la buona
riuscita degli stessi, instaurare un clima di fiducia, affinché l’utente si senta
accettato anche per le sue fragilità ed i suoi limiti.
104
Importante, all’interno della relazione d’aiuto, è che, da parte
dell’assistente sociale, sia usato un atteggiamento non direttivo e neppure
autoriferito (mi riferisco alla eccessiva attenzione alla proprie aspettative ), ma
che l’operatore aiuti la persona a risolvere ciò che essa coglie come un problema,
cercando di trovare soluzioni adeguate alla crescita della persona, affinché
l’individuo sia prima di tutto consapevole dei suoi bisogni e sappia utilizzare
tutte le risorse a sua disposizione.
Spesso la relazione comincia con obiettivi minimi quale la verifica del
rispetto degli appuntamenti presi per i colloqui.
La relazione dev’essere disciplinata per non cadere nella manipolazione.
È una relazione che peraltro richiede <<attento monitoraggio, condotto
attraverso un continuo lavoro formativo nella supervisione e nella autovalutazione, al fine di verificare anche le proprie aspettative e motivazioni, la
capacità di sopportare le frustrazioni>>15, pur evitando situazioni di cronicità.
L’unica possibilità di avviare un percorso inverso alla traiettoria in discesa
è tentare la strada di un percorso relazionale fatto con la persona, nel quale
l’assistente sociale deve mettere in conto la possibilità di ricaduta e fallimento, in
un cammino che si gradua su piccoli passi, fatto anche di retrocessioni ed
apparenti fallimenti.
Per l’assistente sociale
<<inciampi>>, ricostruire
si tratta di gestire creativamente tali
protagonismo, empowerment e fiducia, in percorsi
dove gli elementi suddetti scarseggiano.
Se il percorso, gli obiettivi raggiunti lo consentono, si ricercano le basi per
raggiungere ulteriori obiettivi, sempre concordati, che è bene che la persona possa
conseguire attraverso la realizzazione di compiti definiti, concordati insieme
all’assistente sociale, affinché siano condivisi dalla persona e ritenuti fattibili. Ciò
permette alla persona di impegnarsi per la realizzazione di un compito preciso e
avere la possibilità di verificare l’esito della sua azione costruttiva.
La relazione dev’essere richiesta e costruita in conformità alla biografia
individuale, in un lavoro innanzitutto duale, estendendosi parallelamente a livello
di rete.
15
Ivi, p.24.
105
<<La relazionalità cura la progressiva perdita relazionale su cui si delinea
il processo di decomposizione ed abbandono del Sé>>16.
In genere, la presa in carico prevede tempi molto lunghi per la
ricomposizione di fratture profonde . Ciò comporta che il Servizio Sociale sia
costantemente portato a riflettere su sé, a valutare il processo e a monitorare i
<<rischi di cronicizzazione dell’utente, del maternage e dello scarico>>.
Il concetto di guarigione, sia nel sociale che nello psichico, ha contorni
sfumati, pertanto <<occorre rientrare nella logica della non linearità, della vita
fatta di alti e bassi, pur tuttavia conservando necessariamente degli obiettivi,
ricostruendo necessariamente il setting dell’assistente sociale, sollecitato ad
acquisire profonde competenze relazionali>>17.
Propongo di seguito alcune riflessioni su interrogativi che gli operatori
sociali possono porsi nel lavoro con le persone senza dimora e l’illustrazione di
alcuni strumenti di metodo usati dall’assistente sociale, trasversalmente, per la
realizzazione di una buona relazione di fiducia con persone senza dimora, come
l’accompagnamento sociale, la ricostruzione delle storie di vita delle persone e dei
loro oggetti interiori e il coping di rete.
<<Paradossalmente, la determinazione dell’esatta diagnosi psichiatrica
non è determinante per l’impostazione ed il successo dell’intervento>>18.
Infatti non esiste un’unica patologia determinata che conduce la persona a
vivere per strada. <<La condizione senza dimora invece è il risultato da un lato di
un atteggiamento rinunciatario; dall’altro di un atteggiamento eccessivamente
aggressivo e conflittuale che conduce la persona a fare terra bruciata attorno a
sé>>19.
Piuttosto occorre che l’intervento sia orientato a migliorare le capacità
comunicative e relazionali con le persone senza dimora con problemi psichici e ad
introdurre un approccio metodologicamente corretto nell’attività con esse.
16
Pieretti G., Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi, G. Pieretti, a cura di, Servizio Sociale e povertà estreme,cit., p.75.
17
Ivi, p.26.
18
F. Zanelli, Servizi per senza fissa dimora e malati psichiatrici, Convegno << Persone
senza dimora e psichiatria>>, cit.
19
F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di,
San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., pp. 107 e s.
106
IV.2.2 Prima il servizio o prima la persona?
<<La condizione necessaria della sua efficacia è che qualsiasi intervento
sia centrato sulla persona e non sui singoli problemi o sulle singole patologie che
essa soffre, infatti il vero disagio della persona è esistenziale e nessuna “terapia
sul bisogno” puo’ affrontarlo efficacemente>>20.
<<Le strutture di accoglienza e i vari servizi devono essere dei contesti
relazionali in cui la persona possa sentirsi accolta ed amata per quello che è,
sperimentarsi come degna di valore e di stima>>21.
Solo dalla stima infatti puo’ nascere il <<desiderio di una rinnovata
conoscenza di se stessa e di una rinnovata gestione ed organizzazione della
propria esistenza >>22.
Non tutti i servizi possono adottare livelli relazionali di bassa soglia e non
tutti prevedono modalità di accesso non selettive, ma per tentare di suscitare un
nuovo desiderio di vita occorre muoversi in tale direzione.
La relazione d’aiuto non si riduce a dare cose, risposte , servizi, ma
comincia con l’ascolto e, a partire dall’ascolto di ciò che la persona dice, valuta in
seguito quale proposta avanzare a chi vive per strada.
Al centro occorre mettere la persona, non il suo bisogno.
La richiesta ed il bisogno vengono presi in considerazione nella misura in
cui la loro presa in carico promuove effettivamente la dignità della persona
accolta.
La centralità della persona accolta e della relazione con lei sono di gran
lunga più importanti delle risposte preconfezionate ai loro bisogni.
La relazione d’aiuto pertanto è finalizzata ad abilitare o riabilitare risorse e
capacità positive di attivarsi, nella persona, <<per dare autonomamente risposte
20
L. Gui, L’accompagnamento sociale, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino:
operare con le persone senza dimora, cit., p. 96.
21
A. Remondini S.J. , La relazione con la persona senza dimora, in D. De Luise, a cura
di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 59.
22
Ivi, p.59.
107
adeguate alla sua situazione di disagio>>23. Si persegue così l’autonomia
responsabile della persona.
Padre Remondini è stato Presidente della FIOpsd e per anni ha operato con
persone senza dimora all’interno dell’Associazione San Marcellino. In un suo
intervento24 ha fatto notare che, davanti alla domanda, non serve immediatamente
rispondere, bensì cercare di capire di più quello che la persona chiede.
La restituzione dell’accoglienza ricevuta puo’ determinare col tempo
l’accoglienza da parte della persona. C’è reciprocità: << se uno si sente accolto,
col tempo accoglie>>.
Propone un lavoro faticoso, che richiede all’operatore di mettersi a
contatto con la sofferenza dell’altro, ma dice che, quando avviene uno scambio di
profondità , la persona non è più la destinataria di un servizio, ma è aiutata a
scoprire che ha già tutto quello che le serve. Ciò è forse un’ ipotesi di intervento
che capovolge la prospettiva di chi considera la persona senza dimora come “non
persona”, che non sa chi è.
IV.2.3 Accompagnamento sociale
Caduta la prospettiva funzionalista di interventi di riabilitazione e
reinserimento entro parametri di normalità data per sani, le categorie dell’agio e
del disagio rientrano entro i confini sfumati della normalità detta “vulnerabile”.
In essa i soggetti perseguono, ciascuno originalmente, le loro mete di benessere
ecologico (composizione multidimensionale e dinamica), azzardando tentativi,
sperimentando successi e sconfitte.
Coloro che precipitano nella rinuncia al proprio benessere, dopo catene
cumulative di sconfitte esistenziali, subiscono una metamorfosi di identità entro
cui si stabilizza l’emarginazione più grave.
23
Ivi, p.62.
A. Remondini S.J. , L’incontro con la persona senza dimora, 17/04/2004, Corso
Operare con le persone senza dimora, Ass. San Marcellino, Edizione 2003-2004.
24
108
Più che offerte di prestazioni, in tal caso, è opportuno partire da itinerari di
riconoscimento e restituzione di identità costruttive, attraverso itinerari di
accompagnamento sociale, nella valenza dell’affiancamento.
<<L’approccio dell’accompagnamento sociale , al di là delle singole
strategie adottate di volta in volta, consiste prima di ogni cosa nel ridare
attaccamento alla vita alle persone. Non importa se viene giocata ad esempio
anche in via iniziale la carta del lavoro o la carta della casa, le due carte classiche
giocate nell’approccio più tradizionale.
In questo caso vengono
giocate come mezzo e non come fine
dell’intervento, magari in sede di aggancio della persona, ma l’obiettivo è di
ridare attaccamento alla vita e senso della vita>>25.
Allora l’approccio dell’accompagnamento sociale significa non più solo
benefits, erogazione di sussidi, ma erogazione di servizi di prima accoglienza
(mense, letto, docce) e poi di integrazione (laboratori lavoro, alloggi protetti). Ma
attraverso tutto questo è bene aiutare a
sviluppare nei soggetti processi di
maturazione e di crescita umana e sociale in cui l’operatore è lo strumento
prevalente.
L’accompagnamento è stato sempre uno dei compiti essenziali del servizio
sociale, insito nella presa in carico dell’utente, spesso inteso e considerato in
chiave paternalistica.
Supportato dall’aggettivo “sociale”, si declina nell’approccio di aiuto alle
persone senza dimora.
Approccio emergente negli ultimi anni, si fonda su assistenza tradizionale
e sul lavoro sociale di comunità.
Si trova traccia del termine nella Legge quadro 328/200026 , all’articolo 22
a).
L’idea di accompagnamento sociale va mantenuta legata alla prospettiva
dell’affiancamento.
25
G. Pieretti, Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il servizio sociale, in
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.70.
26
Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali”, cit.
109
Per cercare di comprendere questo approccio di intervento è bene riferirsi
ai codici affettivi studiati fra gli altri da Sergio Capranico27.
Il codice interessante per lavorare con persone senza dimora è quello
<<fraterno>>, ma è bene spiegare il perché dell’esclusione dei codici
<<materno>> e <<paterno>> da questo tipo di intervento.
Il codice affettivo paterno, evocando immagini tipizzate dell’autorità
maschile, indica una comunicazione fra utenti e servizi nella quale il servizio
eroga prestazioni a fronte della capacità dell’utente
di fare buon uso delle
prestazioni erogate. Si avvicina alla logica del rientro, come adeguamento alla
normalità. Il rapporto è contrattuale.
Questo codice, applicato alla relazione d’aiuto con emarginati gravi,
incontra alcune difficoltà, infatti una persona che si percepisca fallimentare
rispetto alla capacità progettuale, e va cercando quel minimo utile necessario per
sopravvivere oggi per oggi (infatti si restringe, nella sua vita, il termine di ricerca
di soddisfazione del proprio benessere), non è in grado di restituire alcun esito
garantito in questa contrattazione.
Lo scambio frontale con i servizi pubblici, dove la relazione è up-down, è
così insostenibile che la persona preferisce non cercarla.
Un altro modo di comunicare coi servizi è quello riferibile al codice
materno, che evoca invece uno stile assistenziale ablativo: non chiede niente a chi
abbia bisogno, se non che abbia veramente bisogno. Poiché non esige né
contraccambio né cambiamento, l’utente rischia di confermarsi nella condizione
permanente di bisognoso aiutato.
L’esito di tale tipo di intervento bassa soglia puo’ essere passivizzante
poiché la relazione fra servizio e persona è frontale di tipo asimmetrico, in cui una
parte si presume sempre capace di offrire (dunque superiore, generosa, potente)
ed un’altra parte chiede sempre, incapace di autosufficienza e dunque in posizione
di minorità.
Il codice più interessante per operare con persone senza dimora , più
adatto ad instaurare una relazione d’aiuto duratura, è il codice affettivo fraterno,
27
S. Capranico, In che cosa posso servirla, idee e cultura per le organizzazioni di
servizio, cit., pp. 63 e ss.
110
fra pari, fra fratelli in senso idealtipico. Non prevede una relazione disparitaria
dove uno degli interlocutori esercita una posizione superiore all’altro, bensì un
cammino di prospettiva che i due stanno percorrendo insieme. Non vi è netta
distinzione fra chi prende e chi offre; non si presume l’altro come erogatore di
qualcosa, bensì interlocutore che non risponde risolvendo, ma si pone affianco. La
capacità che il fratello possiede è la condivisione, la possibilità di osservare nella
stessa prospettiva.
Per entrare in rapporto, non si attende una richiesta esplicita e formale
d’aiuto per un problema specifico, ma si riconosce la persona per quello che é.
Ciò richiede la disponibilità a mettersi in ascolto per affrontare il problema
della sofferenza e per comprendere che <<le persone ci dicono di cosa hanno
bisogno>>28.
Ci si mette affianco accettando di permanere nella stessa condizione,
pronti a rinforzare ogni piccolo sforzo di progettazione e di azione congruente.
Ciò è molto diverso da assumere la posizione di colui che presume di
avere una capacità di risposta.
L’intervento deve operare su tre dimensioni29, rispetto alle quali la persona
senza dimora si sente deprivata:
- Dimensione affettiva, riappropriazione del significato esistenziale di
dimora come luogo dove ciascun individuo vive una propria intimità, i suoi spazi
di libertà, la possibilità di costruire le sue relazioni al di là degli obblighi sociali
…luogo degli affetti a partire dal quale ciascun individuo costruisce la sua
identità…spazio di riproduzione del proprio “sé” affettivo ed esistenziale.
Le persone senza dimora devono poter riscoprire la propria nicchia
esistenziale, luogo dove riprodurre se stessi in termini rassicuranti, dove poter
ritrovare se stessi.
28
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p. 28.
L. Gui, L’accompagnamento sociale, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino:
operare con le persone senza dimora, cit., pp.97 e ss.
29
111
Ciò, che si sviluppa nella possibilità di un cammino prevalentemente
interiore della persona, puo’ essere incoraggiato e sostenuto da una relazione
d’aiuto con altre persone.
-Dimensione sociale, dove l’individuo esibisce se stesso e trova conferma
del suo essere accettato e accettabile, luogo di incontro degli altri. Ma l’assenza di
uno spazio intimo espone il soggetto ad essere costantemente sotto lo sguardo
altrui e di conseguenza viene a mancare una relazione sociale adeguata dove la
persona possa trovare conferma della propria identità personale.
- Dimensione comunitaria
è lo spazio di appartenenza alla comunità particolare di uomini entro cui
si è riconosciuti identificati e stimati, rete specifica e fonte di relazioni
privilegiate.
Aiutare la persona senza dimora significa lavorare sulle tre dimensioni
Ciò si traduce per l’istituzione e l’operatore che accoglie la persona senza
dimora in domande quali: quale dimensione la persona sta ritrovando
nell’accoglienza che stiamo offrendo? Ha la possibilità di intimità con sé e con il
suo profondo? Puo’ sperimentare una significativa appartenenza comunitaria?
IV.2.4 Identità come dimensione di benessere: una prospettiva di
costruzione dell’identità nelle relazioni con gli altri
Premesso che ogni intervento deve abilitare nella persona , nel rispetto
delle sue possibilità concrete, la capacità di dare significato alla sua esperienza e
alla sua identità, cosa significa il porsi affianco e il riconoscimento della persona
in termini di costruzione dell’identità?
L’identità è fortemente condizionata dal riconoscimento da parte degli
altri ed ha una dimensione relazionale ed intersoggettiva, pertanto si costruisce
nella relazione interpersonale.
112
C’è una connessione tra la <<carriera relazionale>>, intesa come la
<<sequenza di cambiamenti che investono la rete di relazioni di un individuo>> e
la <<carriera morale>> intesa come <<i mutamenti riferibili alla dimensione dello
sviluppo del Sé>>30.
La nostra identità è quantomeno il frutto della dinamica fra una parte
propria, perfettamente originale e una che si costituisce nella relazione con gli
altri.
Quanto più una persona ha un’identità riconosciuta, apprezzabile,
significativa e costruttiva, tanto più essa si trova in una condizione di benessere
interiore relazionale.
L’incontro con un'altra persona, che la riconosce, determina l’inizio di un
processo di distinzione soggettiva, che ha bisogno di riflettersi nello sguardo,
nelle parole e nei pensieri di un altro, cioè offre la possibilità di senso nella
scoperta del consenso altrui.
Persone erranti in condizione di anonimato arrivano a perdere anche il
nome, che è un’attribuzione altrui, e se nessuno le chiama perde valore anche
l’ultimo segnale della loro individuale e particolare identità.
Solo quando qualcuno le chiama e richiama possono dare continuità alla
loro identità.
Nella continuità della relazione con l’altro, nell’affiancamento, dove non
vi è una netta distinzione fra chi prende e chi offre, bensì vi è condivisione, cioè
la possibilità di osservare nella stessa prospettiva , nel riscontro interattivo,
avviene che la realtà va distinguendosi dalla fantasia irrealistica e si apre la via del
progetto.
Luigi Gui costruisce uno schema intitolato “L’appartenenza alle reti di
relazione”31 dove delinea un possibile percorso di costruzione dell’identità
personale.
30
A. Meo, Vite in bilico, cit., p.14.
L. Gui, L’accompagnamento sociale, Corso Operare con le persone senza dimora, Ass.
San Marcellino, Edizione 2003-2004.
e L. Gui, L’accompagnamento sociale, in D. De Luise, a cura di, San Marcellino:
operare con le persone senza dimora, cit., p. 99 e ss.
31
113
Essere qualcuno è il livello di un’<<identità riconosciuta>>. Ma tale
identità puo’ progressivamente essere significativa, apprezzabile, costruttiva,
secondo che su tre piani ( affettivo, sociale, economico) vengano sviluppate
diverse dimensioni.
È interessante soffermarsi specialmente sul piano affettivo studiato da Gui.
Già si è detto che il riconoscimento affettivo suppone che ci sia una
persona che conosce il soggetto e che torna a dirgli chi è, così ad esempio il
nome non si è dato da noi stessi ma sono stati gli altri, i nostri genitori.
L’identità personale quindi è legata all’incontro con gli altri, al
riconoscimento che gli altri riservano.
Questo livello di identità, così vicino alla percezione di noi stessi, è
precariamente affidato agli altri al punto che se da loro non venisse più usato essa
si dissolverebbe.
Essere riconosciuti per quello che si è , piuttosto che solo a condizione di
esibire se stessi per le parti accettabili, è un altro aspetto necessario perché la
persona cresca nell’autostima e nella sicurezza di sé.
Proseguendo nella lettura di un percorso possibile di costruzione
dell’identità personale attraverso la relazione, si trova il passaggio successivo di
un’<<identità significativa>>, con cui si intende che l’esistenza della persona
lascia il segno nella vita di qualcun altro. Infatti non si ha solamente bisogno di
sapere che qualcuno riconosce , ma anche di sapere che nella relazione con l’altro
la propria esistenza lasci tracce in quella altrui.
<<Identità apprezzabile>> è basata sulla reciprocità, lo scambio reciproco
di stima. La ricerca di legami di reciprocità è una preoccupazione forte nella
nostra vita verso il benessere. Lo scambio relazionale reciproco, tra gli individui,
produce un’eccedenza relazionale che si rende capace di generare nuove relazioni,
nuove reciprocità.
Perché poi la persona confermi un’identità sociale, sul piano sociale, non
basta lo scambio interpersonale, ma occorre il ruolo, cioè una forma di
riconoscimento sociale, l’aspettativa altrui che un soggetto svolga una serie di
azioni complementari ai ruoli altrui. Dal punto di vista dell’esercizio del ruolo
sociale, l’apprezzabilità si puo’ apprezzare nella competenza riconosciuta.
114
Infine <<identità costruttiva>> significa disponibilità da parte della
persona ad investire nella realtà sociale e relazionale le sue qualità e le sue
competenze, per generare un cambiamento costruttivo.
Secondo Gui, occorre ricercare un equilibrio fra le diverse colonne dello
schema, che rappresentano i tre diversi piani rispetto ai quali si puo’ progredire,
infatti se si registra uno sbilanciamento eccessivo fra le diverse colonne, la
persona si espone ad una vulnerabilità crescente finché tutto non crolla.
IV.2.5 Coping di rete e globalità dell’intervento d’aiuto
L’approccio dell’affiancamento prevede di incorniciare il soggetto in una
rete di relazioni che lo riconoscono e riconoscendolo si aspettano una serie di sue
azioni costruttive e complementari ai ruoli altrui. Da qui sorge forse la possibilità
di intraprendere un chance progettuale per l’utente e per l’assistente sociale, che
puo’ operare per il cambiamento dello stile di vita della persona.
Occorre trattare i soggetti non singolarmente, proponendo o imponendo
loro di cambiare la loro condizione, ma operare negli intrecci di relazioni
all’interno di una rete che cambia.
Infatti il disagio del singolo non puo’ trovare mutamento né
miglioramento finché l’intero carico di tale trasformazione posa prevalentemente
sulla sua capacità di cambiare, e finché si adotta l’approccio terapeutico
patologizzante che sostiene che la persona abbia problemi solo suoi e deficit
disfunzionali.
Occorre costruire << una reticolazione di rapporti fortemente orientata
all’affiancamento, che coinvolga il soggetto più in difficoltà all’interno di un
processo di riconoscimento di valore e di una nuova identità. Tutte le persone
implicate in questa interazione vanno modificandosi come sistema. Se il soggetto
più disagiato rientra dentro una rete e addirittura questa rete va addensandosi con
le caratteristiche del sistema, allora questo sistema, e la persona in esso, hanno
nuove possibilità di maturazione>>32.
32
L.Gui, Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di,
Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.125.
115
È importante sottolineare che per far fronte alla possibile crisi della
relazione d’aiuto duale, della persona con un operatore o un Servizio, sorge la
necessità di lavorare in rete.
Dinnanzi alla complessità del disagio della persona occorre proporre un
intervento globale che sappia motivare la persona ad un suo stile di vita.
Lavorare in rete significa <<fare interagire molteplici competenze sul
progetto di vita della persona per aiutarla a fare unità della sua esperienza e a
migliorare e stabilizzare la qualità della sua vita>>33.
Occorre accogliere la persona nel suo insieme e non a partire dal problema
specifico che esprime, ma innanzitutto in quanto persona.
Infatti dare risposte parziali a problemi parziali non risolve il disagio
complessivo delle persone senza dimora. Piuttosto occorre accompagnarle a fare i
conti con il proprio disagio affettivo e relazionale.
Si puo’ aiutare ad affrontare il problema specifico (ad esempio, la
dipendenza dall’ alcol) ma soprattutto aiutare la persona a portare i suoi problemi
sul piano della consapevolezza .
La complessità del disagio consiste nel fatto che la persona vive i cinque
problemi (lavoro, casa, alcol, relazioni, salute) tutti insieme. Viene spontaneo
chiedersi: da dove cominciamo?
La risposta che Alberto Remondini34 preferisce dare è che la persona ,
nella sua complessità, è una sola; dunque occorre accogliere la persona nella sua
interezza, porla al centro dell’intervento, senza precipitarsi a rispondere al primo
problema posto.
Occorre offrire occasioni si sperimentazione che possano aiutare la
persona a capirsi.
Al problema complesso occorre rispondere con un intervento molto
qualificato, che affini gli strumenti tecnici e relazionali, e aiutare l’altro a rendersi
conto delle sue capacità, risorse, limiti, attraverso un intervento educativo.
33
A. Remondini S.J. , La relazione con la persona senza dimora, in D. De Luise, a cura
di, San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., p. 61.
34
A. Remondini S.J. , L’incontro con la persona senza dimora, 17/04/2004, cit.
116
In
questa
prospettiva,
è
l’intera
comunità
territoriale,
in
cui
l’organizzazione dei servizi è inserita, a vitalizzarsi con strategie volte al
cambiamento della qualità dei rapporti sociali.
L’ambiente è inteso come utente collettivo nella sua composizione varia di strutture,
risorse, ruoli e rapporti umani.
Si tratta di attivare una funzione di servizio sociale
che orienti i sottosistemi di
condivisione nella loro funzione nutritiva dei singoli membri.
Infatti se le persone senza dimora sono gravemente deprivate di affettività, significatività,
cultura, ruolo sociale e produttivo, qualifiche sociali di cittadinanza, prima ancora che di salute,
cibo, casa e denaro, non vi è prestazione ricostruttiva se non innestata in quegli ambienti
relazionali entro cui tali “beni” vengono prodotti.
L’operatore sociale che si occupi di persone in stato di grave emarginazione è costretto ad
entrare in rete, rompere la sua presunta unicità operativa nella conduzione dei casi, aprire la
solitudine duale del suo lavoro con gli utenti e costruire il suo processo d’aiuto con un nuovo
“utente plurale”, sistema complesso unitariamente oggetto/soggetto dell’aiuto:
(…) in esso il vagare e il nascondersi di individui “slegati” e senza dimora non è che il
segno (potremmo dire il sintomo) di una sofferenza da trattare nella pluralità delle interrelazioni.
(…) Se nel contesto sociale esistono fattori emarginanti, nello stesso contesto sono
rintracciabili potenzialità di accoglienza35 .
<<L’assistente sociale ha come referente non solo l’utente singolo o il
gruppo, ma anche la comunità cioè l’insieme delle aggregazioni sociali presenti
sul territorio, la popolazione nel suo complesso, gli organismi di partecipazione
popolare e utenziale; quelli che vengono chiamati soggetti collettivi>>36.
IV.3 Quale processo? Approccio biografico: la persona e la sua storia di
vita
Tra le metodologie di conoscenza per delineare percorsi operativi, puo’
essere utilizzato lo strumento delle storie di vita, che aiuta a << cogliere l’aspetto
35
L. Gui, Una prospettiva di lettura dei servizi sociali, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., pp. 106 e s.
36
C. Landuzzi , G. Pieretti, Servizio sociale e povertà estreme: l’approccio
dell’accompagnamento sociale, in C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà
estreme, cit., p.16.
117
più soggettivo e intrinseco nel vissuto delle persone, sottolineando gli intrecci
temporali tra passato, presente e futuro>>37.
Si tratta di uno strumento sociologico e storico del metodo qualitativo, che
ha per oggetto la vita vissuta della persona e permette il passaggio dalla
considerazione di una categoria astratta alla attenzione al percorso individuale di
una persona con un dato nome.
L’approccio biografico permette di comprendere il senso che la persona
da’ alla sua storia; puo’ essere utile con le persone senza dimora perché imparino
a dare valore e significato alla propria identità e alla propria esperienza vissuta .
L’operatore
attraverso
la
narrazione
della
persona
puo’
scoprire
la
rappresentazione che la persona ha di sé.
La persona attraverso la storia di vita puo’ rileggere l’oggi in base al
passato e <<in base al racconto della storia di vita mette in rilievo il proprio
codice di cui offre una chiave interpretativa>>38; a mio avviso, è aiutata a
ripercorrere una ricostruzione del proprio processo identitario.
Attraverso le storie di vita si possono isolare le regolarità e le fratture che
hanno caratterizzato il percorso storico, l’agire sociale di ciascun individuo,
analizzare << l’intrecciarsi del tempo storicamente e socialmente dato con la
coscienza del tempo, dei processi storici con le identità di individui e gruppi>> 39.
Ma soprattutto, poiché <<non esiste una causa precisa che conduce
nell’area dell’emarginazione grave ma un insieme di “life- stressfull events”, con
le storie di vita è possibile cogliere questi plurimi eventi traumatici, “lenta discesa
verso il fondo”, progressivo venir meno dell’identità individuale>>40.
In allineamento ai più recenti studi in tema di persone senza dimora, che si
basano sul “processo” di evoluzione crescente del disagio e del relativo degrado
sui piani fisico e relazionale, Luigi Gui ritiene che in base ai racconti delle loro
storie di vita, è facile rintracciare in emarginati e persone senza dimora il
caratteristico riaffiorare dei cosiddetti “punti di rottura”.
37
S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., p. 130.
38
Ivi, p.133.
39
Ivi, p.133.
40
Ivi, p.134.
118
Si osserva che nella narrazione degli avvenimenti incorsigli le persone
mettono in luce un “evento catastrofico” a partire dal quale leggono la propria
storia, un evento che puo’ essere di varia natura: la malattia, lo sfratto, la perdita
del posto di lavoro, l’emigrazione, la rottura del nucleo familiare, più o meno
gravi, che <<sommati ad altri fattori già esistenti, comportano il rischio che la
persona superi la soglia del non ritorno>>41.
La possibilità di raccontarsi da parte della persona (ricorrendo all’ascolto
dell’assistente sociale) costituisce l’elemento portante dell’intervento prima e
quasi più degli interventi pratici.
Alcuni autori42 definiscono il raccontare di sé come atto terapeutico, in
quanto offre la possibilità di ri-conoscersi, di entrare in contatto, vincendo la
paura, con zone fino ad allora inaccessibili di sé.
I soggetti intervistati, man mano che riferiscono la propria esperienza,
possono fare contemporaneamente anche il punto della situazione: <<una sorta di
autoriflessione sul percorso della propria vita>>, e riappropriarsi della loro storia,
<<collegando e spiegando i legami tra fatti, luoghi, tempi>>43.
Spesso le persone nel raccontare non seguono un ordine cronologico, ma
l’ordine logico impresso nella loro mente.
Lo strumento della storia di vita si colloca sul piano della rilevazione della
dimensione intima della percezione della realtà e della propria identità, e pertanto
puo’ aiutare la persona ad invertire e a contrastare la propria rappresentazione che
isolamento ed estraniazione dai rapporti significativi siano le migliori soluzioni e
ad abbandonare la considerazione della propria vita in termini autoreferenziali.
Infatti, <<raccontare la propria vita, presentarsi con una facciata, in
pubblico, in privato, nell’intimità, è la base delle relazioni ordinarie>>44.
41
L.Gui, a cura di, L’utente che non c’è, cit., p. 29.
P. Jedlowsky, Storie comuni: la narrazione nella vita quotidiana, Bruno Mondadori,
Milano, pp.110 e ss.
e D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina, Milano,
2001, pp. 43 e ss.
43
S. Tiso, Dalle storie di vita ipotesi per nuovi servizi, in L.Gui, a cura di, L’utente che
non c’è, cit., p. 135.
44
J. F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P.
Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit., p. 99.
42
119
<<Gli interventi sociali possono sollecitare gli esclusi a rileggere la
propria vita, ad accoglierla, a darle significato anche alle parti peggiori, a quelle
più oscure; poi si potrà metter mano ad un nuovo progetto, con possibili scelte di
significato e di valore>>45.
L’approccio biografico da sempre è in sintonia con i valori del servizio
sociale; recentemente è oggetto di approfondimento in quanto metodo di lavoro
che permette la ricostruzione delle carriere, l’entrare in contatto con la
complessità della persona e della sua vicenda, con il suo punto di vista ed il senso
che essa dà agli eventi della propria vita.
Per il servizio sociale la questione si pone in termini di utilizzo, sia nel
rapporto individuale sia nello studio e nella ricerca di servizio sociale.
Se il diario cronologico, contenuto in cartella, permette di ricostruire gli
eventi, interventi e scambi relazionali a partire dalla presa in carico, rimane
esclusa la storia di vita o parte di essa, che la persona in carico racconta al
servizio e costituisce uno strumento metodologico molto importante per la
comprensione dell’individualità della persona, della sua storia e dei processi in
cui è coinvolta.
<<Lo strumento proposto per la raccolta delle storie di vita tiene conto ,
oltre che dell’aspetto diacronico, anche delle diverse carriere, intese come
percorso nei diversi ambiti che , seppur collegati, sono distinguibili nell’insieme
di ciascuna storia di vita>>46 .
Laura Bini, in un intervento47 come docente ospite in un seminario di
Servizio Sociale, presso l’Università di Genova, propone lo strumento delle
carriere socio-assistenziali, al fine di registrare i passaggi delle persone attraverso
i servizi, i loro processi di trasformazione dell’ identità “morale” (riferibile allo
sviluppo del sé), ad esempio a seguito di processi di etichettamento, al fine di
ricostruire le cartelle delle persone che entrano in contatto con i servizi e le loro
storie di vita.
45
46
C. Landuzzi e G. Pieretti, a cura di, Servizio sociale e povertà estreme, cit., p.27.
L. Bini, La documentazione di servizio sociale, Carocci, Roma, 2003, pp. 91 e ss.
47
L. Bini, Seminario di studio del 23.05.05, Corso di Laurea in Servizio Sociale,
Università degli Studi di Genova, A.A.2004-2005.
120
Si parla di “carriera” per intendere una serie di eventi che segnano un
percorso all’interno delle diverse dimensioni della vita, e si distinguono le
carriere: familiare, scolastico- lavorativa, abitativa, professionale, sanitaria, socioassistenziale, deviante e morale. Quest’ultima, la carriera morale, riassume la
dimensione dell’identità, ciò che noi pensiamo di essere e come gli altri ci
definiscono.
Una ricerca interessante48 espone il punto di vista della persona senza
dimora, la propria percezione di sé. Denota come il processo di destrutturazione
della propria identità diventi irreversibile, quando la persona si identifica con il
gruppo senza dimora, quando si sente “senza dimora”, facente parte di quella
categoria.
Puo’ essere interessante studiare e valutare le abitudini e i comportamenti
delle persone senza dimora e la loro progressiva identificazione nell’identità di
“senza dimora”.
È opportuno ricostruire le carriere degli utenti per tentare di riconoscere a
quale livello del processo, della carriera morale, si trova la persona in un dato
momento, al fine di capire cosa e come l’assistente sociale deve valutare.
Si ricorda che una delle principali competenze caratterizzanti l’identità
professionale dell’assistente sociale è quella di saper valutare i processi, che nello
specifico possono essere processi di vulnerabilità sociale, di crescita e
cambiamento o di costruzione dell’identità.
Allora possono scaturire domande come “Quanto
la dipendenza
dell’utente dal servizio crea e determina in esso un depotenziamento,
cronicizzazione?” o “Quanto il servizio sociale riflette sul problema?” e si puo’
aprire la strada della riflessività e della auto-valutazione professionale.
Nel leggere le storie di vita, si trovano fratture identitarie precedenti
all’accesso ai servizi, molto precoci, che hanno significato di fatto nella vita delle
persone, etichettamenti molto precoci.
Meglio si puo’ comprendere, allora, che di fronte a perdite, più o meno
precoci, di legami affettivi da parte della persona, occorre intervenire con la
48
A. Meo, Vite in bilico. Sociologia della reazione a eventi spiazzanti, cit.
121
ricostruzione di un legame affettivo di affiancamento, cioè di una relazione che
tiene la persona radicata, la accoglie.
Il servizio sociale puo’, quindi, instaurare una relazione che permetta di
entrare in rapporto con la sofferenza dell’altro, per aiutarlo a fronteggiare gli
eventi nuovi, e infine puo’ riflettere su cosa significhi per la persona assumere
l’identità di assistito.
IV.4 Studio di caso
Propongo lo studio49 del caso di una donna senza dimora conosciuta dal
Servizio di Salute Mentale di Genova Bolzaneto.
È un caso di cui non mi sono occupata personalmente, ma che mi sembra
significativo per illustrare il tipo di rapporto instaurato dalla persona con il
Servizio ed il tipo di progetto d’aiuto, intrapreso dal Servizio con la persona, che
vede la collaborazione ed il lavoro in rete dei servizi pubblici e del privato
sociale, e infine l’intervento nello stesso di più figure professionali.
È importante notare come la persona sia stata accompagnata in un
percorso di affiancamento che ha richiesto, e tuttora richiede, tempi lunghi e la
pianificazione concordata di obiettivi chiari e ridotti.
Emerge peraltro l’espressione del bisogno di accettazione, accoglienza e
affiancamento della persona per essere aiutata a percorrere con gradualità un
processo di maturazione e riscoperta delle proprie capacità e l’acquisizione di una
maggiore autonomia.
IV.4.1 Analisi della situazione problematica
1. Composizione del nucleo familiare
R. vive sola, dopo la separazione dal marito e la morte della madre.
R. è nata nel 1946.
49
Raineri, Il Tirocinio di Servizio Sociale, Angeli, 2003.
122
Si è sposata nel 1980; si è separata e il marito si è trasferito fuori Genova
portando con sé i figli avuti insieme.
Dopo la separazione, ha vissuto con la madre fino alla morte di lei, nel
1988. Dopo quel momento è finita per strada; per alcuni anni R. è andata incontro
ad un progressivo degrado psico-fisico con aggravamento della tendenza
all’abuso alcolico e la progressiva deriva sociale.
La paziente per molti anni ha vissuto senza fissa dimora, riuscendo a
sopravvivere grazie alla prostituzione.
2. Anamnesi
Dal 1991 è stata seguita dal Centro di Salute Mentale di Via Peschiera a
seguito di una diagnosi di psicosi cronica.
Gli interventi a suo favore disposti dal CSM sono stati prevalentemente di
natura socio- assistenziale:
-avvio della pratica di riconoscimento di invalidità civile
-presentazione della domanda di alloggio popolare
-erogazione di un sussidio economico continuativo utilizzato per il
pagamento dell’affitto dell’alloggio assistito dell’Associazione San Marcellino, in
cui R. ha vissuto dal 1997 al 2000.
Inoltre sono stati disposti ricoveri ospedalieri per problemi di ordine
internistico e, a periodi, terapia farmacologica.
R. manifesta depressione, diabete, obesità, ipertensione. È stata presa in
carico ed aiutata attraverso sussidi e terapie.
Ha sempre sofferto di depressione alternata a momenti di euforia legati
all’abuso di alcol e accompagnati da episodi violenti contro sé e gli altri.
Episodicamente si sono verificate crisi d’ansia con timore da parte della
paziente di perdere il controllo dei propri impulsi e manifestazioni autolesive, che
peraltro non hanno comportato ricovero in ambito specialistico.
Su invio del C.S.M. di Via Peschiera, è stata seguita dal 1992
dall’Associazione San Marcellino, presso la quale dopo un lungo periodo di vita
marginale, senza dimora, ha ottenuto la residenza anagrafica.
123
R. ha sempre fatto riferimento all’Associazione San Marcellino per il
sostegno a problemi economici e per temporanei alloggiamenti.
Progressivamente ha ridotto notevolemente il consumo di alcol, grazie al
sostegno e la partecipazione ad un Club Alcolisti in Trattamento, e ha creato con
gli operatori del Centro d’ascolto di San Marcellino e del CSM rapporti affettivi
sempre più intensi.
La ricomparsa periodica di un ex convivente, che la convinceva a tornare
a vivere con lui, instaurando un rapporto di forte dipendenza e ricatto affettivo,
comportava periodicamente l’interruzione dei rapporti con i servizi di riferimento
e solitamente comportava nella paziente un blocco dell’autonomia, che la rendeva
incapace di occuparsi anche di atti molto semplici, come la pulizia di sé.
Tale relazione determinò il fallimento di due inserimenti in alloggio
protetto, nonché la sottomissione della donna a violenze e maltrattamenti, per cui
spesso veniva picchiata e cacciata di casa improvvisamente.
Nel 1997 dopo l’ultimo episodio di violenza, R. è stata reinserita con
successo in un alloggio assistito. Ciò ha posto termine ad un lungo periodo di
precarietà alloggiativa e, unitamente al superamento della dipendenza alcolica ed
a uno stile di vita più equilibrato, ha consentito il raggiungimento di un discreto
compenso psichico.
Dal 1994 circa ha interrotto l’uso di sostanze alcoliche ottenendo un
discreto miglioramento delle condizioni psico-fisiche (pur in presenza di diabete,
per cui è seguita da specialisti).
Nel 1999 le è stata assegnata una casa del Comune, in cui si è stabilita
definitivamente nel febbraio 2000, fissando lì la propria residenza anagrafica.
L’associazione San Marcellino costituisce per la paziente da anni un punto
di riferimento solido e importante, e che anche dal punto di vista pratico continua
a svolgere un ruolo fondamentale ( ritiro e gestione del sussidio assegnato alla
paziente, pagamento affitto e bollette, aiuto e disbrigo pratiche varie), sostegno e
contenimento per affrontare i problemi quotidiani.
Frequenta il centro diurno, l’area dell’animazione. Mantiene con l’amico
ex convivente rapporti corretti ed amichevoli, pur sapendo che è preferibile non
coinvolgersi troppo.
124
Nel 26/11/00 viene segnalata al Centro di Salute mentale di Bolzaneto per
una presa in carico globale.
3. Richiesta iniziale
Il caso è stato segnalato dal C.S.M. di Via Peschiera a causa del
trasferimento di competenza territoriale, dovuto all’assegnazione di un alloggio
popolare a Bolzaneto e al contestuale cambio di residenza anagrafica.
Motivo dell’urgenza è che la signora preferisce ricevere un sussidio dal
CSM. Richiede una pensione ed un lavoro. Infatti si ritiene che il problema
dominante sia quello economico.
La diagnosi psichiatrica iniziale è psicosi cronica, turbe dell’umore, tratti
borderline di personalità, pregresso alcolismo.
Tali condizioni comportano la totale incapacità della paziente di svolgere
un’attività lavorativa.
Di conseguenza, oltre ad un sostegno psichiatrico, la paziente necessita di
un intervento sociale.
L’aspettativa principale del segnalante che si è rivolto al servizio è il
mantenimento della collaborazione con l’Associazione San Marcellino, che da
anni accompagna la persona e gestisce la sua situazione.
4. Assessment o valutazione iniziale
Le informazioni sono state raccolte dalle seguenti fonti: il segnalante
(C.S.M.), utente e altri operatori di servizi sia pubblici che privati, nella
documentazione rilevata nella cartella clinica.
Infatti la donna da lungo tempo è seguita sia dall’Associazione San
Marcellino sia dal Centro d’ascolto di Bolzaneto.
Tali servizi da anni collaborano e lavorano in rete per sostenere la
complessa situazione della paziente.
125
IV.4.2 Analisi del progetto di aiuto
Valutata la situazione, si decide la prosecuzione dell’intervento di rete, già
avviato, che coinvolge oltre il CSM anche San Marcellino, agenzia privata che si
occupa specificamente di persone senza dimora, il Distretto Sociale di Bolzaneto
e numerosi altri enti di carattere privato.
Il progetto prevede:
-intervento socio-assistenziale: in cui sono coinvolti le strutture: mensa a
Pontedecimo, Centro d’ascolto di Bolzaneto
-intervento socio-riabilitativo: in cui sono coinvolti l’Associazione San
Marcellino; il Comune per la sistemazione alloggiativa grazie all’assegnazione di
una casa
-intervento terapeutico: CSM e Medicina di base.
Il Centro di Salute Mentale di Bolzaneto opera attraverso la presa in carico
da parte di un équipe multiprofessionale, composta dall’assistente sociale, che
gestisce gli interventi di natura sociale, previdenziale e assistenziale, il medico
psichiatra e l’infermiere che si occupano rispettivamente della terapia
farmacologia (trattamento con ansiolitici ed antidepressivi) e della sua
somministrazione.
Una causa di sofferenza per la paziente è la solitudine; per questo si ritiene
necessario il mantenimento del legame positivo e stabile che la paziente è riuscita
a stabilire con il Centro di Salute Mentale.
Si ritiene inoltre importante proteggere l’equilibrio raggiunto e i progressi
ottenuti nel corso degli anni.
La paziente non fa più uso di alcolici e dopo anni di vita senza dimora, da
lungo tempo mantiene e gestisce autonomamente una propria abitazione.
Si ritiene necessario ed importante il sostegno comune, in modo che la
paziente possa mantenere le significative mete raggiunte.
Rispetto
al
problema
economico,
la
signora
viene
dichiarata
permanentemente inabile al lavoro pertanto percepisce una pensione di invalidità
civile con cui vive.
126
Nel 2003 è sottoposta ad ordine di carcerazione per espiare la pena
conseguente a furto aggravato risalente al 1995, ma viene infine sottoposta con
buon esito alla misura alternativa di affidamento al Servizio Sociale , attraverso
cui si presume la sua risocializzazione. È interessante notare che per tale
frangente di intervento il Servizio Sociale professionale è chiamato ad esercitare
una funzione di controllo sociale, in quanto, tra le prescrizioni imposte dalla
misura sanzionatoria rieducativa,
è prevista anche la prosecuzione del
programma terapeutico e socio-riabilitativo stabilito dal DSM, nonché il
mantenimento costante ed adeguato del rapporto con il Centro di Salute Mentale e
l’Associazione San Marcellino. Pertanto l’assistente sociale è tenuta a mantenere i
rapporti con il Centro di Servizio Sociale Adulti del Ministero di Giustizia, ed
esercitare una funzione di agente della risocializzazione e rieducazione in campo
penitenziario.
Altro intervento terapeutico interno al Servizio è l’accesso alle risorse
terapeutiche e riabilitative del servizio, come un Gruppo per donne.
Elaborazione personale
La paziente ha un passato di grande sofferenza, la perdita degli affetti e
l’allontanamento dei figli, l’abuso di alcol, la vita in strada.
Ritengo che abbia fatto grandi progressi, e che necessiti di legami affettivi
stabili, che trova con gli operatori del servizio di salute mentale e gli altri enti che
si occupano di lei.
È necessario continuare affinché oltre al mantenimento delle mete
raggiunte si possano raggiungerne altre da individuare durante il processo d’aiuto.
La paziente ha acquistato nel tempo la capacità di considerare dimora un
alloggio; progressivamente è stata riabilitata ad alcune capacità e risorse, che
erano state sommerse, come la cura di sé e della sua immagine, e competenze
quali il provvedere al farsi da mangiare o prendersi cura di una casa.
Tali traguardi sono particolarmente significativi, tenuto conto della
certificazione medica, da cui si evince un quadro di grave compromissione della
127
salute mentale presentata dalla signora e peggiorata nell’ultimo anno dal 2004 al
2005.
Dal diario cronologico compilato dagli operatori del CSM di Bolzaneto
emerge che la donna in talune occasioni si presenta al servizio << arrabbiata, in
collera, rivendicativa>>. I medici scrivono che è <<disforica>>, ansiosa. Si
ritrova l’atteggiamento di clamorosità tipico di alcune persone senza dimora: si
manifesta con urli, proteste, aggressività verbale.
Nonostante tutto, si comprende comunque che la persona riesce ad avere
una relazione duratura non solo con gli operatori del CSM ma anche con altri
servizi.
Aumenta la sua affezione, riesce ad esprimere alcuni sentimenti come il
senso di solitudine.
Emerge l’ampia reticolazione della rete di sostegno cui la persona puo’
riferirsi, con cui i rapporti si sono consolidati nel tempo.
A mio avviso, il processo d’aiuto è andato a buon fine perché si è
costituita negli anni una forte rete di sostegno attorno alla persona.
Grazie alla possibilità di interloquire con più soggetti operanti in rete ed
ottenere sempre più consapevolezza dei propri bisogni e dei propri progressi,o
anche delle regressioni, la persona ha probabilmente potuto riappropriarsi
progressivamente della propria esperienza, darle valore, dare unità e continuità ai
suoi bisogni, rileggere la propria storia di vita ed aprirsi ad una nuova capacità di
progettare la sua vita a più lungo termine.
Ciò è stato possibile anche grazie alla possibilità di accedere a più servizi,
che hanno saputo dare nel tempo un continuo sostegno e contenimento per
affrontare i problemi , e interloquire con diversi operatori, che la riconoscono e la
aiutano a riconoscersi, e con i quali progettare piccoli passi.
Coping è la capacità di fronteggiamento degli eventi della vita, che
comporta una ridefinizione dell’identità.
Per <<fronteggiamento o addattamento attivo>> si intende <<l’insieme dei
modi e delle strategie con cui gli individui reagiscono e si adattano alla situazioni
128
difficili in cui si imbattono>>50. Tale capacità di coping è connaturata all’essere
umano e costringe a ridefinire, ristrutturare la nostra identità. Se l’identità è
riconosciuta socialmente, le fatiche richieste alla persona sono minori.
La persona “vulnerata”, che presenta una capacità di fronteggiamento
sopita o ridotta, puo’ ottenere risultati positivi dal coping di rete, innanzitutto
come base di condivisione del problema e successivamente come strategia di
risoluzione dello stesso.
È importante sottolineare la funzione dell’autostima come risorsa
principale per attivare strategie di coping.
Con la crescita dell’autostima, l’immagine positiva di sé e delle proprie
capacità, che viene rimandata in una dimensione relazionale, la persona puo’
attivarsi a superare alcuni problemi.
Punti forti della relazione d’aiuto e dell’atteggiamento professionale sono:
la capacità di trovare un punto di partenza e un obiettivo minimo comune al fine
di
permettere
l’attiva
collaborazione
della
persona,
la
continuità,
l’accompagnamento sociale, il rispetto dei tempi della persona e la contrattazione
continua rispetto ai singoli microprogetti, ai singoli compiti in funzione del
raggiungimento di mete che la persona ritiene soddisfacenti per sé.
La relazione interpersonale con l’operatore costituisce lo strumento
principe dell’intervento d’aiuto in quanto puo’ ridurre le difese regressive e di
ritiro della persona e costituire un’esperienza positiva tesa a favorire la capacità di
rapportarsi positivamente ed integrarsi con altri.
Nel caso studiato, si è potuto registrare un buon esito nella capacità degli
operatori di istaurare una relazione di fiducia, e della paziente di aprirsi alla
relazione stessa, nonostante le sue difficoltà connesse al disturbo psichiatrico di
personalità.
I pazienti che soffrono di questo tipo di disturbi utilizzano spesso meccanismi di difesa
primitivi, in special modo quelli della scissione e della proiezione.
Dividono nettamente la persone e le cose in buone e cattive. Se tutti i rapporti sono
impostati su questo tipo di divisione , la persona non riuscirà a seguire un percorso
sufficientemente stabile ; per esempio prima o poi si sentirà , a torto o a ragione, non accettata o
50
Meo A., Vite in bilico, cit., p.4.
129
non soddisfatta nelle sue richieste e allora abbandonerà il posto di lavoro, per cercarne un altro in
cui tutte le sue aspettative potranno essere soddisfatte. Anche i rapporti personali e familiari non
potranno avere una sufficiente stabilità e continuità.
Anche la dispersione dell’identità, tipica del disturbo borderline, rende problematica la
continuità delle relazioni umane e la capacità del soggetto di dare continuità ai suoi impegni. Il
soggetto che non ha un nucleo della personalità abbastanza stabile andrà incontro a delle
oscillazioni piuttosto pesanti tra il senso di autostima e quello di frustrazione sia nell’ambito delle
relazioni affettive che in quello lavorativo. Reggere un’attività lavorativa, reggere un rapporto
affettivo sarà, per il suo precario equilibrio psichico, molto difficile.
Le persone che soffrono questo tipo di disturbo quando vivono una difficoltà invece di
attendersi un aiuto dall’esterno si aspettano un rifiuto ancora peggiore. Per questo probabilmente
quando si rapportano con un servizio o con una persona con cui dovrebbero instaurare una
relazione d’aiuto, queste persone attivano dei comportamenti contraddittori che sono da una parte
richiesta d’aiuto, dall’altra di rifiuto. (…) Sono persone che spesso nell’infanzia hanno vissuto un
conflitto tra la necessità di chiedere aiuto e il fatto di venire maltrattati. Il genitore di solito era
malato o depresso o alcolista o disturbato o violento, per cui la persona da cui si voleva ricevere
aiuto di fatto era quella che creava problemi51.
Quando la persona gravemente emarginata sia disposta ad aprirsi ad una
relazione interpersonale significativa con una persona che si candida ad offrirle
aiuto, si da avvio ad un percorso indeterminato nei suoi obiettivi, esiti e modalità.
Sono le persone coinvolte a determinarlo, strada facendo, con il necessario
collegamento iniziale, un punto minimo di contatto da cui partire, attraverso la
condivisione continua degli obiettivi da raggiungere e la contrattazione sul
progetto. Occorre rispettare la gradualità dei tempi dell’intervento, e considerare
ciò che la persona puo’ vedere come compito finalizzato al raggiungimento di un
obiettivo, per il superamento di un problema che sente come suo.
Il tipo di aggancio è spesso legato ai bisogni primari impellenti che spingono la persona e
affievoliscono gli aspetti patologici e i sintomi, che si evidenziano spesso solo in un momento
successivo.
All’operatore sono richieste pazienza e capacità di attesa. Ai ritorni del paziente, che
spesso dopo un primo contatto scompare per ripresentarsi solo successivamente, è necessario
presentare un atteggiamento di non chiusura, senza pressioni, senza rigidità o al contrario eccesso
51
F. Pezzoni, Problemi psichiatrici e persone senza dimora, in D. De Luise, a cura di,
San Marcellino: operare con le persone senza dimora, cit., pp. 107 e ss.
130
di concessioni. Il rapporto istituzionale va sperimentato a piccole dosi, ad esempio nel dare
appuntamenti e nel chiederne il rispetto. È importante anche il rispetto della “privacy” con persone
che ormai sembrano solo “pubbliche”. (…)
Il rapporto inizia quando si arriva ad una situazione di non belligeranza da ambo le parti,
trovando quindi una base comune di intesa, un punto di partenza che trovi d’accordo operatore e
persona nel riconoscimento di un obiettivo minimo comune e di una risorsa esistente su cui
ognuno è disposto ad impegnarsi52.
52
L. Ferrannini, G. Lucchini, F. Pezzoni, Persone senza dimora: interventi psichiatrici e
di salute mentale, cit.
131
CONCLUSIONI
Negli anni si è modificato il tradizionale concetto di povertà e si è passati
da una lettura del fenomeno esclusivamente legata a difficoltà economiche, fino
ad una progressiva considerazione del rischio di esclusione sociale per
problematiche relazionali e di disagio sociale.
Oltre alle persone che si trovano nella condizione di essere effettivamente
escluse, sono in aumento continuo quelle che sono in un’area definita da Robert
Castel di “vulnerabilità”, e pertanto sono a rischio di diventare senza dimora.
Non appartengono ad una categoria specifica, ma hanno provenienze
sociali e familiari diverse.
Il problema si pone con particolare evidenza per un sistema di welfare che
non sempre riesce a garantire una risposta adeguata a tutti i cittadini e spesso non
raggiunge le persone che vivono in condizioni di marginalità ed hanno difficoltà a
far valere i propri diritti di cittadinanza.
Pertanto l’apparato normativo-istituzionale, che in Italia è
costituito
prevalentemente dalla Legge quadro 328/2000, accoglie necessariamente una
nuova e più ampia definizione del bisogno dei cittadini.
La categoria della “povertà” non offre una visione dinamica del bisogno. E’ necessario
adottare l’ “esclusione sociale” quale dimensione dinamica e temporale del bisogno che consente
di vedere attraverso quale percorso si perviene alla situazione di disagio, a partire da quale
contesto e a seguito di quale evento.
L’esclusione sociale risulta da un processo che vede il cumularsi di eventi e circostanze
che si risolvono in uno stato di isolamento e di estraniazione che, per incapacità di reazione, dura
nel tempo interessando anche più generazioni.
Si distinguono tre ambiti in cui generalmente si produce esclusione sociale:
-quello della reciprocità e della socialità (indebolimento delle famiglie, invecchiamento,
individualismo)
-quello del lavoro (fattore di reddito, ma anche di identità e di ruolo sociale)
132
-quello del welfare, ossia dei servizi, che spesso sono poco accessibili socialmente e
culturalmente e sono poco appropriati verso i bisogni e le strategie dell’utente.
(…)
I processi di esclusione sociale possono essere letti alla luce di tre fattori:
-condizioni di partenza, cioè risorse, capacità di utilizzarle e mobilitarle
-eventi problematici sopravvenienti, il cui impatto dipende da quantità, intensità, ritmo
con cui si presentano
-strategie di fronteggiamento/ risposte: le strategie familiari evidenziano la capacità di
riorganizzare ruoli e rapporti e la capacità di accedere a risorse esterne (rete familiare, amicale, dei
servizi), dipendente dai modelli culturali di riferimento1.
Tale definizione, che accentua la multidimensionalità del disagio delle
persone emarginate gravi e la rileva nei suoi aspetti processuali, permette di
occuparsi della dimensione più intima e personale che caratterizza le povertà
urbane estreme.
È opinione ormai diffusa fra gli studiosi epidemiologi e clinici che le
persone senza dimora non si trovano a vivere sulla strada né per una libera scelta
individuale, dettata dal rifiuto delle costrizioni della società, né per loro particolari
caratteristiche psicopatologiche.
L’eventuale presenza nel soggetto di una patologia psichiatrica puo’ essere
sia un fattore causale sia una conseguenza della vita senza dimora stessa.
Attualmente si ritiene che un percorso a spirale discendente, attraverso la
successiva rottura dei punti familiari e sociali, porti al progressivo isolamento e
ritiro, fino al punto di rinunciare a chiedere attivamente qualsiasi forma d’aiuto.
Alcuni studiosi introducono il concetto di processo di decomposizione e
abbandono del Sé e lo attribuiscono al percorso esistenziale delle persone senza
dimora. Esso coincide con il progressivo restringimento relazionale del soggetto,
la perdita progressiva della propria identità e lo slittamento continuo,
impercettibile e talora irreversibile verso un’ identità altra, senza dimora,
connesso all’abbandono di qualunque motivazione, inclusa quella alla vita.
1
D. Mortello, Il sistema integrato di interventi e servizi sociali: le nuove politiche sociali,
in Modulo Assistenza e Servizi Sociali, materiale di supporto al Corso di Politica Sociale, cit.,
pp.7 e s.
133
Solo un intervento che si struttura sulle risorse comunitarie, sul tessuto
sociale e la collaborazione attiva di più soggetti, è in grado di modificare la
situazione senza dimora, che difficilmente puo’ incentrarsi sul cambiamento a
livello individuale.
Le politiche sociali, che prevalgono a livello locale, a favore delle povertà
estreme sono il perseguimento di una politica di rete e la gestione di un sistema di
welfare mix basato sulla collaborazione delle agenzie pubbliche e private, affinché
la persona possa essere sostenuta da una rete di soggetti disposti ad instaurare con
essa una relazione d’aiuto.
È molto importante che il lavoro integrato sia supportato da un progetto
comune, predisposto dal Servizio, che prende in carico la persona, e condiviso
dalle diverse agenzie, che la accompagnano , al fine di tutelare la centralità della
persona e la globalità dell’intervento d’aiuto.
La risorsa principale di tale sistema è la garanzia per la persona di una
pluralità di accessi, in modo da non determinare la costruzione di relazioni
eccessivamente totalizzanti e generatrici di dipendenza, che la persona potrebbe
non essere in grado di sostenere.
Bisogna rivalutare la centralità della persona e considerarla non solo come
portatrice di bisogni, bensì come individuo unico, rispettando la sua specificità ed
il suo modo di interagire con il mondo esterno.
Sono
necessari
interventi
specifici,
diversificati,
che
puntino
sull’accompagnamento sociale, per favorire gradualmente il reinserimento ed il
recupero delle capacità personali e di relazione del soggetto.
L’intervento professionale dell’assistente sociale si colloca nella
dimensione dell’affiancamento, che presuppone l’abbandono di aspettative di
risultato a breve termine, e si costruisce nella relazione interpersonale con la
persona, esercitando soprattutto le tecniche dell’ascolto e dell’accoglienza, e
sviluppando un intervento centrato sull’utente, mirato a valorizzare le sue risorse
e potenzialità di dare una soluzione al proprio problema.
Le aspettative dell’assistente sociale possono essere minime, partendo da
obiettivi ridotti per poi riscoprire via via le potenzialità del soggetto.
134
Gli obiettivi iniziali partono necessariamente dalla sopravvivenza della
persona per poi procedere alla riacquisizione dei diritti fondamentali di individuo
e al recupero della dignità umana, nonché progressivamente al soddisfacimento
del più inespresso bisogno di socialità e relazione.
Si differenziano i contesti operativi, dove possono essere perseguiti
obiettivi differenti, all’interno dei quali tuttavia l’assistente sociale favorisce
processi di inclusione sociale e tenta di promuovere un sistema di cambiamento,
puntando prevalentemente sulla dimensione comunitaria, piuttosto che sulla
possibilità e la capacità di rinnovamento del singolo individuo.
L’intervento professionale perseguito nel Centro di Salute Mentale è un
intervento orientato alla riabilitazione.
Ho capito che quelle con le persone senza dimora sono situazioni
problematiche in cui occorre procedere con cautela, rispettando prima di tutto il
punto di vista della persona, la sua necessità di gradualità e di tempi lunghi per
maturare una propria consapevolezza del proprio particolare bisogno e problema,
e di ricostruzione della sua identità e dignità di uomo.
Occorre mettere da parte l’atteggiamento professionale autoriferito alle
proprie aspettative e paure e sviluppare piuttosto un atteggiamento meno
interventista, che predilige l’ascolto attivo, l’attesa dei tempi necessari alla
persona per formulare le proprie richieste, piuttosto che l’erogazione di risposte
assistenziali preconfezionate a bisogni predefiniti.
Occorre procedere lungo un percorso per nulla predeterminato, cercando
un minimo punto di contatto per costruire una relazione di fiducia con la persona
e accompagnarla a situazioni di maggiore benessere.
La relazione interpersonale diventa lo strumento d’aiuto principale, e in
questo caso è molto più difficile da instaurare e mantenere. Pertanto richiede di
essere disciplinata più che la relazione con altri utenti.
Ma la relazione duale non è sufficiente.
L’intervento professionale dell’assistente sociale del C.S.M. si muove
parallelamente al lavoro di un équipe formata da altri professionisti, in particolare
il medico e l’infermiere, al fine di offrire un tentativo di risposta
pluridimensionale e complessa, che si sviluppa su diversi fronti relazionali, e
135
permette agli operatori di confrontare il loro operato su casi complessi, e
supervisionarlo costantemente.
Le finalità della relazione d’aiuto con la persona senza dimora possono
essere riassunte come segue:
-essere protagonisti di una lenta riattivazione affettiva e relazionale, primo e necessario
passo verso il raggiungimento dei due più avanzati obiettivi seguenti
-essere aiutati a “rientrare” o entrare nelle rete dei servizi e riacquisire l’esercizio dei
diritti di cittadinanza (ad esempio attraverso l’acquisizione della residenza anagrafica o la stipula
di un contratto di lavorativo)
-venire gradualmente posti di fronte alla consapevolezza di un proprio disagio psichico
-essere aiutati ad applicare e riattivare le funzioni di “memoria-sintesi-progettualità” dei
propri percorsi biografici appoggiandosi alle funzioni “memoria-sintesi-progettualità” degli
operatori
-abituarsi o riabituarsi a coordinate spazio, tempo e “oggetto” costanti, in
contrapposizione all’estrema e disorientante mutevolezza di tali varianti fondamentali nella vita
sulla strada2.
Quale possibilità di cambiamento, dunque?
Probabilmente la persona senza dimora vive il cambiamento come una
fuga di presenza, una rottura col passato.
Ogni volta che si allontana dalla sua storia, interviene un cambiamento di alloggio. Per
arrivare nella strada, è stato necessario abbandonare l’ultimo alloggio, degradarlo, chiuderlo o
esserne espulso. L’uomo sulla strada ne ha perso o gettato la chiave. L’alloggio nel senso fisico, è
anche il quadro in cui si iscrivono tutte le rotture (in particolare con la famiglia). È l’ultima
rottura.
Ciò che scompare con l’ultimo alloggio sono i mobili, il letto, la sedia, il tavolo, la
biancheria, gli utensili della cucina, la porta per separare il dentro e il fuori, è la chiave. L’uomo
sulla strada è l’uomo senza chiave.
In effetti, l’alloggio non è solamente uno spazio. Implica la socialità (il vicinato),
l’intimità, la domesticità. E’ per questo che non è sufficiente ridare un alloggio: bisogna che
l’uomo sulla strada ne senta il bisogno, che abbia la capacità di gestirlo3.
2
S. Borghetti, La salute mentale degli homeless: un percorso di psichiatria di strada, in
<<Prospettive Sociali e Sanitarie>>, cit., p. 20.
136
La persona ha cumulato una serie di sconfitte relazionali, di adattamenti
progressivi di rinuncia, che l’ hanno portata a rinunciare a mete auspicate
adattandosi a subire stati di sofferenza e frustrazione.
Quali strumenti ha l’assistente sociale per agire sul cambiamento?
Innanzitutto l’assistente sociale sostiene il proprio intervento con i valori
del servizio sociale, l’ascolto, l’accoglienza e persegue come principali obiettivi
autodeterminazione e autonomia nel rapporto diretto con la persona, ma mai
tralascia la dimensione comunitaria e l’ambiente in cui è inserito l’intervento
d’aiuto, nonché la relazione tra persona e suo ambiente di vita. Pertanto gran parte
dell’intervento si sviluppa sul potenziamento della rete e delle sue connessioni
attorno alla persona.
Occorre operare negli intrecci di relazioni all’interno di una rete, che
cambia.
Infatti il disagio del singolo non puo’ trovare mutamento né
miglioramento finché l’intero carico di tale trasformazione posa prevalentemente
sulla sua capacità di cambiare, e finché si adotta l’approccio terapeutico
patologizzante, che sostiene che la persona abbia problemi solo suoi e deficit
disfunzionali.
Tutte le persone implicate in questa interazione vanno modificandosi come
sistema. Se il soggetto più disagiato rientra dentro una rete e addirittura questa
rete va addensandosi con le caratteristiche del sistema, allora questo sistema, e la
persona in esso, hanno nuove possibilità di maturazione.
L’approccio dell’accompagnamento sociale capovolge completamente la
prospettiva di analisi e lavoro: operatore e persona senza dimora crescono
entrambi, entrambi cambiano e intraprendono insieme un percorso, secondo
l’adozione di un codice relazionale fraterno, che promuove pertanto la parità e
l’affiancamento laterale del soggetto, dimenticando la prospettiva up-down di
codici relazionali più tradizionali.
3
J.F. Laè, C. Lanzarini, N. Murard, Tra rotture e perdita del sé: l’homme à la rue, P.
Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, a cura di, Povertà urbane estreme in Europa, cit. ,p.79.
137
È fondamentale per l’assistente sociale condurre un intervento con la
persona, dove gli obiettivi siano concordati e le mete condivise, per aiutare
effettivamente la persona a individuare le mete che possano comportare per lei il
raggiungimento di un benessere autentico.
Solo in tale condivisione di senso e significato, la persona puo’ forse
recuperare la sua identità .
Luigi Gui definisce “problema” la difficoltà a far fronte ad un compito
percepito come tale; è dunque essenziale partire dall’obiettivo dell’assunzione di
consapevolezza della persona del proprio problema, affinché possano modificarsi
successivamente i suoi orizzonti ed essi si possano allontanare dalla ricerca di
gratificazione immediata o auto-distruzione, affinché le prospettive di benessere,
cioè di equilibrio dinamico fra le parti di sé, siano sempre più congrue alle
aspettative più intime e reali.
Diventa allora possibile operare con una chance progettuale per il
cambiamento dello stile di vita della persona ed un miglioramento della qualità di
vita della stessa.
138
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che vivono in strada, CISU, Roma, 2004.
Zanelli, F., Servizi per senza fissa dimora e malati psichiatrici, Convegno
<<Persone senza dimora e psichiatria>>, Brescia, 18 ottobre 1996.
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Grazie a …
Grazie a mia mamma e mio papà, le mie sorelle, Federica, Caterina e
Rebecca. Grazie alle nonne, Sylvia e Antonio, Francesca e Costantino. Grazie
alle mie cugine e ai miei cugini, in particolare Lucia. Grazie alle mie amiche,
Cecilia, Sara, Michela, Valeria, Chiara, Annalisa, Cecce, Giulia, Madda, Marta,
Ginevra e Giuditta, Federica e Michela. Grazie alle mie compagne di corso, in
particolare Anna, Michela, Silvia, Valentina, Sabrina, Michela e Cristiana,
Daniela, Anna M., Elena e Raffaella. Grazie a Mai, Betta Piazza, Cristina Lodi,
Danilo De Luise ed Edoardo Prandi. Grazie alla Professoressa Anna Bruzzone.
Grazie a Sr. Hind e Sr. Annamaria, a Don Marino e a Don Fra.
E poi grazie a tutte le persone che ho incontrato in questi anni, Anna V.,
Ilaria, Marina, Ilde, Giada, Alberto e Nicoletta, Claudio Risso, le amiche della
biblioteca, Paola, Manuela, Alessandra, Francesca, Elena, Francesca e tanti altri.
Grazie!