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Cinema italiano deluso
“GOMORRA” E L’OSCAR: PERCHÉ È STATA UNA MISSIONE IMPOSSIBILE?
La pellicola di Matteo Garrone, tratta dal best-seller di Roberto Saviano, dopo avere
vinto il premio speciale della giuria al Festival di Cannes ed avere trionfato agli
“European Film Awards 2008”, è rimasta inopinatamente fuori persino dalla
preselezione per la cinquina che concorrà al riconoscimento del miglior film straniero
assegnato dalla Academy of Motion Pictures americana. Una ingiustizia o un
ponderato ridimensionamento? Cerchiamo di ragionare sui tanti motivi e i possibili
errori che hanno portato alla mancata ‘nomination’, al di là di certo risibile
sciovinismo tricolore e delle superficiali previsioni di chi pensava già che la vittoria
fosse sicura.
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di Rocco Cesareo
Gomorra di Matteo Garrone fuori dagli Oscar. Purtroppo non si è dovuta attendere neppure la
decisione finale, ossia quando l’Academy of Motion Pictures ha annunciato le ‘nominations’ delle
cinque pellicole che si contenderanno la prestigiosa statuetta dedicata al miglior film straniero.
Gomorra, partito con le migliori intenzioni, si è arreso subito e, seppure a sorpresa, non è neppure
entrato fra i nove film della preselezione (fra le 67 pellicole iniziali) da cui è poi scaturita la
cinquina dei finalisti. Che comprende, come è noto, il favorito Valzer con Bashir dell’israeliano Ari
Folman, che aveva già prevalso su Gomorra ai Golden Globe qualche settimana fa (e facendo già
intuire che per il film di Garrone non sarebbe stata una passeggiata), il tedesco La banda Baader
Meinhof di Uli Edel (a nostro avviso un “ polpettone” sopravvalutato, di quasi tre ore di durata),
l’austriaco Revanche di Götz Spielmann, il giapponese Departures diretto da Yojiro Takita e
soprattutto il francese La classe di Laurent Cantet, già vincitore della Palma d’Oro a Cannes.
Insomma, dire che nel giro Fandango-Procacci si respiri profonda delusione, è dire poco, e come in
ogni commedia che si rispetti ognuno gioca la sua parte: c’è chi si interroga sul perché, chi si lecca
le ferite (in primis produttore e Rai Cinema) e chi già salta sul carro dei detrattori.
Eppure le premesse erano state a dir poco straordinarie. Intanto, lo stratosferico successo del libro di
Roberto Saviano (quasi 2 milioni di copie vendute!) da cui il film è tratto, la copertura mediatica
dello stesso Saviano, (un giovane di neppure trent’anni, già costretto a vivere sotto scorta a causa
delle minacce di morte del feroce clan dei Casalesi ), 33 traduzioni ad oggi del libro in lingua
straniera, il premio “Eti-gli Olimpici” per la versione teatrale dell’opera, 10 milioni di euro di
incasso ed un’infinità di partecipazioni e di riconoscimenti al film in giro per il mondo, un palmares
strabiliante, Grand Prix Speciale della giuria a Cannes, ben cinque statuine (miglior film, regia,
attore protagonista, sceneggiatura e fotografia) agli European Film Awards 2008, il cosiddetto
Oscar europeo, e per gli amanti delle statistiche, pure il fato favorevole: dieci anni prima, nel 1998,
Roberto Benigni con la La vita è bella vinceva gli Oscar Europei, per poi successivamente trionfare
ad Hollywood. Insomma, è proprio il caso di dirlo, pareva una vittoria annunciata.
Anche il mondo politico, di solito distaccato quando non annoiato da tali eventi, si era mostrato
solidale e bi-partizan nell’elogiare il film. Dal ministro per i Beni Culturali Sandro Bondi che
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parlava di “un film duro, intenso, quasi spietato nel guardare una piaga dolorosa del Paese, ma che
può servire per aiutarci a trovare la consapevolezza per guarire da questo tumore”, al sindaco di
Napoli Russo Iervolino: “una denuncia di straordinaria efficacia comunicativa, una potente arma di
lotta contro questa terribile organizzazione criminale”. E poi ancora Ermete Realacci, “Gomorra ha
illuminato un buco nero nella storia del paese” (ma lui finora dove ha vissuto…), pure l’Italia dei
Valori, di certo non avvezza con Oscar e manifestazioni simili, plaudiva con Massimo Donati.
Infine, dulcis in fundo, il vice di Bondi, il sottosegretario Francesco Giro, che bando agli indugi
proclamava: “Ho la ragionevole certezza (?) che Gomorra di Matteo Garrone sarà il tredicesimo
Oscar italiano”.
Di fronte a tale parterre, a giudizi così inoppugnabili, il buon Matteo Garrone aveva scelto,
prudentemente e saggiamente, di tenere un profilo basso, cercando di limitare le interviste, di
smorzare gli animi esagitati da italico furore, cercando di riportare il film al dato iniziale, ossia una
lettura, fra le molte, di una problematica gravissima ed annosa, e che molti prima di lui avevano già
trattato con esiti straordinari. E non a caso, quando la notizia dell’esclusione di Gomorra dalla
cinquina è divenuta pubblica, l’unico a non commentare è stato proprio il regista, forse l’unico
veramente amareggiato, mentre ovunque si è assistito al solito balletto di precisazioni, citazioni,
esternazioni e via discorrendo. Dall’ineffabile sottosegretario Giro (quello della ‘ragionevole
certezza’ della vittoria di Gomorra) che ci gratificava con dotti quanto melensi esempi: “E
comunque non è con l’Oscar che si decide la qualità di un film e di un regista. Chaplin ad esempio
non lo vinse mai, ma solo alla fine della carriera. Ed Orson Welles allora?” (ma appare, davvero,
improprio accostare Garrone ai miti del cinema mondiale); al sempreverde Gian Luigi Rondi che
non ha potuto nascondere la sua delusione: “Una brutta notizia. Proprio un incidente di percorso per
i membri dell’Academy”, mentre si avvolgeva sempre di più nella sua sempre più immacolata
sciarpa bianca…
Ma torniamo al film e cerchiamo di capire cosa possa essere realmente successo, dopo le
innumerevoli attestazioni di stima e di gradimento non solo da parte del pubblico, ma soprattutto di
buona parte della critica internazionale, dalla Bibbia del cinema mondiale “Variety”, al “Los
Angeles Time”, al “New York Times”, tutti stupiti per una esclusione considerata ingiusta e
sorprendente. Ad un primo esame, pare che in barba alla solita cialtroneria di casa nostra, tutto sia
stato fatto nel modo più professionale e soprattutto senza badare a spese. Lo stesso Procacci
ammette di aver fatto ripetutamente su e giù con Los Angeles, di avere presenziato, partecipato,
cenato, come si conviene a qualunque personaggio della buona società, un’infinità di volte, con
grande dispendio di tempo, risorse e, soprattutto, denari. La produzione dunque è assolta. Così,
nonostante il carattere un po’ chiuso e riservato di cui si diceva poc’anzi, anche Garrone ha fatto
con disinvoltura e senza bizzarrie artistico-mondane la sua parte. Assolto pure lui. Poi la Direzione
generale per il cinema, in primis con il suo Direttore Gaetano Blandini, che ha coprodotto il film e
partecipato ai costi di distribuzione e promozione. Ben fatto. Ma vi sono stati altri interventi, ancor
più prestigiosi, in primis quello di Martin Scorsese, a tutti gli effetti sponsor ufficiale del film:
“Gomorrah presented by Martin Scorsese”, così dice il manifesto americano del film e sappiamo
che Scorsese negli Usa è una garanzia. E per concludere una distribuzione americana la IFC, in
assoluto fra le più qualificate per distribuire il cinema europeo negli Usa (infatti fra i nove titoli
della preselezione due sono i suoi). Insomma, verrebbe voglia di sentenziare che tutto è stato fatto
nei migliori dei modi, che non è stato commesso alcun errore e che la cosa più importante, come si
usa dire in questi casi, è partecipare. Insomma il caso è chiuso. Archiviare.
Eppure, a ben vedere, qualche scricchiolio, qualche fastidioso rumore di fondo nella “gioiosa
macchina da guerra” di ochettiana memoria (con solenne, finale “trombatura”) era stato già
avvertito nei mesi precedenti da uditi più sensibili. Non certo quelli dei politici, tutti presi, come
detto, ad esaltare le italiche virtù, e neppure quelli degli addetti ai lavori, con qualche lodevole
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eccezione. Uno di questi, che di Oscar appunto se ne intende, avendone vinti ben tre, era il redivivo
Vittorio Cecchi Gori, da anni più vicino alle cronache rosa e a volte nere. Questa volta il sanguigno
toscanaccio, dopo tante legnate prese, ci aveva visto giusto: “Gomorra? Non è un film adatto agli
Oscar, sa troppo, soprattutto per il gusto d’oltreoceano, di cine-inchiesta mentre gli Oscar, da che
mondo è mondo, hanno sempre premiato il film ‘classico’, quello, per intenderci, con una storia ben
chiara, un inizio ed una fine. Gomorra sa di inchiesta giornalistica, non ha alla base un idea forte,
che volete che importi agli americani dei Casalesi”. Giudizio discutibile fin che volete, ma certo
non privo, nella sua rozza quanto elementare chiarezza, di alcune osservazioni rivelatrici.
Altro elemento di notevole criticità si era rivelata la strategia della pur prestigiosa IFC, ossia la casa
distributrice americana. A parte che il fatto di distribuire ben tre film fra i nove in rimasti
competizione, poteva far nascere qualche sospetto di guerra fratricida, ma ciò che maggiormente
non aveva convinto nella strategia della società, era stata sia la scelta di limitare le “uscite”
pubbliche del film in questo periodo, sia di non avere effettuato una massiccia opera promozionale
nei mesi antecedenti le scelte dei film finalisti. Proprio per il fatto che le sue uscite pubbliche sono
state poche, si doveva capire che Gomorra rischiava di rimanere l’illustre sconosciuto, il capolavoro
di cui tutti parlano a tavola o nei salotti, ma che nessuno ha realmente visto. E non ci riferiamo certo
agli addetti ai lavori, ma a quelle poche centinaia di votanti la cinquina finale del miglior film in
lingua straniera. Tutto questo lavoro promozionale è parso essere, insisto, come inutile, quasi
“fastidioso”, commettendo un grosso sbaglio di percezione. Si è, in sintesi, pensato che il film non
avesse bisogno di alcun, per così dire, “accompagnamento”, quasi parlasse un linguaggio
universale. A parte che ciò non è quasi mai vero, tranne forse per i capolavori assoluti, commettere
un simile sbaglio prospettico di analisi, è tipicamente italiano, fa parte di quel nostro modo di
intendere le cose un po’ alla carlona, quel bisogno ancestrale di avere delle certezze, oltre la
mamma, la pizza e poco altro. E se poi accade, cito una città a caso, che a Berlino il film non venga
apprezzato, il problema è loro, non esiste che qualcuno possa considerare la vicenda talmente
assurda e fuori dal mondo da non essere compresa e quindi considerata. Eppure è andata così.
Forse sarebbe bastato avere qualche certezza in meno, forse sarebbe bastato considerare che negli
ultimi dieci anni, si sono aggiudicati la statuetta titoli come Il falsario e Tsotsi, mentre altre
pellicole, a mio avviso di certo superiori, come No man’s land, Mare dentro, La vita degli altri, il
bellissimo e coraggioso 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, sono rimasti tutte a bocca asciutta.
Insomma, tutto ciò per dire che anche un pivello di pubbliche relazioni (eppure Fandango aveva
ingaggiato il migliore o almeno quello che pare esserlo al momento…) avrebbe compreso che la
strada non era affatto in discesa, tutt’altro. Ripetiamo, a costo di apparire certamente noiosi, che non
c’è stata una vera e propria campagna promozionale (non ci riferiamo, come già detto, alle solite
colazioni di lavoro accompagnate da Martin Scorsese e dal suo endorsement, e peraltro ultimamente
il buon Martin pare non porti neppure fortuna, qualcuno si ricorda cos’era successo con Nuovo
Mondo di Crialese?), ma di un sano e faticoso lavoro per così dire “porta a porta” con tanto di
consegna di dvd a tutti i giurati, facendoli magari sentire importanti, come era solito fare il buon
Harvey Weinstein, uno che di premi se ne intende. Certo, un’importante uscita commerciale
avrebbe aiutato, il non averlo fatto non è stata una buona scelta, perché ha impedito di comparire in
molte classifiche d’incassi, magari con un ottima media per sala, e di farsi maggiormente notare
dagli addetti della giuria. Tutto ciò pare, invece, che la Sony Pictures, produttrice di Valzer con
Bashir (film non meno difficile di Gomorra…) lo abbia fatto, inondando di dvd i giurati.
Per concludere, magari è una bella lezione per il cinema italiano: meno chiacchiere a vuoto e più
duro lavoro di marketing, meno arroganza del genere “possibile che l’Academy non abbia capito ed
apprezzato un film già premiato e riconosciuto da una platea internazionale come quella di
Cannes?”. (Platea internazionale da quando? Lì si parla di nove critici nove, mentre l’Academy è
tutt’altra cosa). Oppure dichiarazioni del tipo “come mai sono entrati in lista tanti film in costume?
Raramente ciò si accompagna a grandi novità”. (Ma perché L’ultimo imperatore di Bertolucci
cos’era, un road movie?). C’è anche chi ha obiettato che “perfino il Messico e la Turchia sono
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entrati nella cinquina e noi no”. Questa è forse l’osservazione più idiota fra le molte, come se la
Turchia ed il Messico non abbiano prodotti autori come Alfonso Cuaron, Guillermo del Toro, e
soprattutto Alejandro Gonzalez Iñárritu, uno degli autori più importanti del momento.
Ho tenuto in fondo alcune considerazioni più generali e che in parte afferiscono, e come potrebbero
non farlo visto lo straordinario successo avuto in patria e all’estero, con il romanzo di Saviano e di
rimando con quello che lo scrittore rappresenta in Italia e non solo da ogni punto di vista. È
indubbio che Roberto Saviano sia diventato un’icona mediatica, in grado di scatenare ogni tipo di
sentimento dall’amore all’odio più sfrenato, e nel contempo un’inesauribile gallina dalle uova
d’oro. Ho già detto, in apertura, del numero strabiliante di copie a tutt’oggi vendute, che ne fanno
un caso unico nell’editoria nazionale. Ma la cosa forse più strabiliante e che probabilmente, addetti
ai lavori a parte, pochi sanno, è che inizialmente Mondadori uscì con appena 5mila copie. In verità,
per gli esordienti un editore, quando vuole “strafare”, arriva a 2mila copie. Se per Gomorra si
decise di partire con un lancio di 5mila copie, ciò può voler dire che la Mondadori aveva una
fiducia sul libro superiore al normale, ma che non c’era da parte di Segrate l’intenzione di fare un
vero e proprio investimento su Roberto Saviano. Del resto, non si trattava di fare una qualche guerra
alla mafia, per questo c’è o meglio c’era gente come Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa. Mondadori
alias Berlusconi fa un altro mestiere, vende libri e più ne vende e meglio è. Ma in Italia sappiamo
che il mestiere di editore non è facile, si pubblicano troppi libri inutili, le librerie sono sommerse da
titoli che arrivano a malapena a mille copie, ed in generale l’italiano è un lettore debole, come
dicono gli esperti in marketing.
E allora che si fa? Si punta sul personaggio. Il libro forse sarebbe addirittura passato inosservato se
non fosse stato per il lancio mediatico del personaggio Roberto Saviano. Ormai il libro non c’entra
più nulla, e forse non ha mai contato molto. Giova ricordare che la scorta a Saviano è stata messa
non dopo la pubblicazione del libro, ma dopo la sua apparizione a Casal di Principe, quando con
grande coraggio ha invitato i ragazzi di Casale a liberarsi dalla feccia camorrista. Quello che fino ad
un momento prima era uno scrittore in erba, si è tramutato di colpo in un feticcio mediatico contro
le mafie. Certamente, un atto di grandissimo coraggio, ma che forse c’entra poco con la letteratura.
E mentre le vendite si gonfiavano con magno gaudio dell’editore, Saviano è finito ovunque su tutte
le grandi reti nazionali, su tutti i giornali, ha ottenuto una collaborazione con l’Espresso, e poi
attraverso l’operazione cinematografica è arrivato fino alle porte di Hollywood. Qui il fenomeno
Saviano si è fermato.
C’è chi dice a causa degli attori camorristi presenti nella pellicola (ben tre sono finiti dietro le
sbarre, l’ultimo Giovanni Venosa, quello che nel film è il capo zona che condanna a morte due
ragazzini troppo intraprendenti, non aveva per nulla un piccolo ruolo nell’organizzazione
criminale). Ma anche l’altro camorrista arrestato, Bernardino Terraciano, era solito partecipare ai
film di Garrone e nell’Imbalsamatore interpretava proprio il ruolo del boss della zona. Ora è
accusato dalla DDA di far parte del gruppo di fuoco del super latitante appena catturato, Giuseppe
Setola. Insomma, ci sono state delle scelte artistiche, di casting, da parte della produzione che
gettano qualche ombra inquietante su tutta l’operazione. Tralasciando il fatto che a distribuire il
film in DVD, contemporaneamente all’uscita in sala, fu la camorra stessa. E qui il punto vero è che
si parla non tanto del classico DVD pirata venduto dai nord africani, ma di un’uscita capillare in
tutte le edicole con tanto di contrassegno Siae!
Tornando, per concludere, alla domanda se veramente lo stop dell’Academy a Gomorra verso la
conquista dell’ambito Oscar, possa essere stata in qualche modo influenzata dalle ultime vicende
occorse a tutti i protagonisti dell’operazione libro-film, credo che una risposta convincente sia
praticamente impossibile. Si dice che la camorra sia ben installata pure in California, e questa
potrebbe essere una spiegazione plausibile, ovvero che qualcuno abbia voluto impedire di dare
eccessiva eco ad una vicenda come quella dei Casalesi, che ha costruito la sua incredibile forza e
fortuna proprio sull’evitare accuratamente ogni apparizione. E non basta certo un’intervista, per
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quanto inopportuna, di un famoso calciatore per condizionare industrie che hanno ben altra forza e
capacità. Forse, è più lecito credere a chi sostiene che siano stati i social network come Facebook
che detengono ormai una grossa forza di indirizzo politico e culturale, a determinare i giudizi finali.
Perché è noto che a centinaia sono nati su Facebook i gruppi anti-Saviano in opposizione alle
migliaia di interventi in suo favore. Insomma, due fazioni contrapposte, quasi speculari, e anche
questo è senz’altro un segno dei tempi.