Untitled - Majicat - Cat Stevens Scrapbook

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Untitled - Majicat - Cat Stevens Scrapbook
CAT
STEVENS
La lunga strada verso la conoscenza
Nella storia della musica
pop non ci sono casi
analoghi: nessuno, dopo
aver venduto oltre 40
milioni di copie dei suoi
dischi, ha abbandonato le
scene in modo clamoroso
come fece Cat Stevens
alla fine degli anni 70.
Per quasi un trentennio
i suoi fan hanno sperato
contro ogni evidenza in un
ripensamento dell’uomo
che adesso si fa chiamare
Yusuf Islam. I fatti tragici
dell’11 settembre 2001
hanno contribuito a
un evento che si può
definire clamoroso: la
pubblicazione di An
Other Cup, il disco che
riporta sotto i riflettori
un personaggio che ha
evidentemente ancora
molte cose da dire.
di Paolo Vites
I
L’artista un tempo noto
come Cat Stevens in una
foto recente.
Il suo nome è ora Yusuf
Islam e “An Other Cup”
è il suo primo disco
“pop” in 28 anni
44 JAM VIAGGIO NELLA MUSICA
l 21 settembre 2004 un aereo della
United Airlines in volo dall’Inghilterra destinazione Nashville viene improvvisamente fatto atterrare a Bangor, nel
Maine. Motivo: a bordo c’è un passeggero che risulta sulla lista degli indesiderati negli Stati Uniti per possibili legami con
gruppi terroristici islamici. Il suo nome è
Yusuf Islam ma negli anni 70 tutti lo conoscevano come Cat Stevens. Era, come diceva il titolo di una sua canzone di allora,
una pop star. Oggi è solo un cittadino inglese di credo mussulmano impegnato in
diverse iniziative a sostegno della sua religione come la scuola islamica che ha fondato a Londra, ma soprattutto a favore dell’Unicef. Ci sono altresì voci secondo cui,
in passato, ha devoluto somme di denaro al
gruppo terrorista palestinese di Hamas, implicato nella sanguinosa guerra che infesta
i territori palestinesi e israeliani da decenni.
Nel febbraio 2005 il governo americano rilascia una dichiarazione secondo la quale
il motivo dell’espulsione e il conseguente
divieto a entrare nel Paese, durato per quasi un anno (ma il governo americano non
si è mai scusato con lui per l’accaduto), è il
ritrovamento del suo nome tra i sostenitori dell’Islamic Relief Agency, un ente mussulmano benefico di base a Birmingham.
Secondo il governo americano l’associazione farebbe parte della rete internazionale
che finanzia Osama bin Laden e i suoi terroristi.
Più verosimilmente, Cat Stevens, o Yusuf
Islam, è solo una vittima della critica situazione in cui versa tutto il mondo dopo
l’11 settembre 2001. L’eroe di Woodstock,
Country Joe McDonald, ha pensato bene
di scrivere sul suo sito una dedica speciale al proposito: “Cat Stevens used to be my
name / I got famous riding on the Peace
Train / Peace on Earth was my only wish
/ Got me put on the No Fly List / I was a
Rock Star back in ‘The Day’ / Living the
‘Life’ but I changed my ways / Became a
muslim, a religious guy / And that’s reason
why I can’t fly”.
Non è la prima volta che Yusuf Islam si trova coinvolto in questo tipo di situazioni:
quando gli ayatollah iraniani condannarono a morte lo scrittore Salman Rushdie per
il suo libro ritenuto blasfemo I versi satanici, si disse che Stevens avesse approvato tale
condanna. In effetti l’ex cantautore aveva rilasciato una infelice dichiarazione so-
“Puoi non essere
d’accordo con
un filosofo, ma
non puoi non
essere d’accordo
con una bella
canzone”
Yusuf Islam
stenendo che un Paese mussulmano aveva
tutti i diritti di applicare la propria legge. In
seguito alla (giustificata) ondata di sdegno
del mondo occidentale, Yusuf Islam aveva
fatto marcia indietro dicendo che era stata estrapolata una sua dichiarazione senza
tenere conto del resto della sua frase. Anni
prima dell’espulsione dagli Stati Uniti, poi,
Yusuf aveva vissuto una analoga esperienza
quando gli era stato impedito di entrare in
Israele perché anche allora ritenuto un sostenitore dei terroristi palestinesi.
In modo appropriato, uno dei tanti siti
Internet dedicati all’ex musicista riporta, nella sezione FAQ (Frequently Asked
Questions), le seguenti dichiarazioni: “Cat
Stevens non è a favore della Fatwa contro
lo scrittore Salman Rushdie. Cat Stevens
ha dato soldi a favore delle famiglie delle vittime dell’11 settembre. Si è esibito
alla televisione inglese e americana in tributo alle vittime, cantando Peace Train.
Non è un terrorista e non ha mai dato soldi a gruppi terroristici. Ritiene che i terroristi abbiano ‘dirottato’ la sua religione. Non
è d’accordo con loro su nulla”.
Lo stesso Yusuf, a proposito degli attentati alle Twin Towers, ha commentato: “Le
orribili azioni a cui abbiamo assistito negli Stati Uniti hanno profondamente ferito l’umanità. Il terrore su tale scala colpisce tutti su questo piccolo pianeta su cui viviamo. Le mie condoglianze e il mio dolore più grande vanno alle famiglie e agli
amici di coloro che hanno perso le loro vite
in questo tragico attacco”. L’intero ricavato
del cofanetto retrospettivo On The Road To
Find Out pubblicato nel 2001 è stato devoluto ai familiari delle vittime dell’attentato
alle Twin Towers.
Islam durante la recente esibizione al
Fortune Forum di Londra, settembre 2006
JAM VIAGGIO NELLA MUSICA 45
Sono anni che Islam/Stevens è impegnato
in iniziative benefiche, in particolar modo
rivolte ai bambini sofferenti: ha personalmente fondato, nel 1999, Small Kindness,
in associazione con le Nazioni Unite, un
ente che cerca di aiutare gli orfani e le vedove che vivono in territori afflitti dalla
guerra (in particolare l’area balcanica, l’Albania e l’Iraq). È ambasciatore dell’Unicef
e in Inghilterra, sin dagli anni 80, ha fondato quella che è diventata la prima istituzione scolastica per famiglie mussulmane, recentemente riconosciuta dal Governo di
Sua Maestà. Poco dopo essersi convertito,
aveva venduto tutti i suoi strumenti (chitarre, pianoforti, etc.) e i tanti dischi d’oro devolvendo il ricavato in beneficenza. Il 9 novembre 2004 ha ricevuto la prestigiosa onorificenza Man For Peace dalle mani dell’ex
Presidente dell’Unione Sovietica Michail
Gorbaciov, durante una cerimonia tenuta
in Campidoglio a Roma.
Tant’è. Tutto ciò non basta per evitare incidenti come quello accaduto negli Usa o in
Israele. Questo è un mondo ben diverso da
quello che cantava, talvolta con spensierata filosofia hippie, il musicista Cat Stevens.
Verrebbe dire, citando la sua canzone più
famosa, che è proprio un “wild world”…
“Cat Stevens Quits Pop”, intitolava una
breve nota riportata su Rolling Stone del 25
giugno 1981. “Non cerco più gli applausi e la fama” dice Cat Stevens in quell’articoletto. “Ho finalmente capito quanto prive di significato siano cose come quelle”.
Non molti ancora lo sapevano, ma era già
da alcuni anni che il cantante si era convertito all’islamismo. La cosa era trapelata ovviamente sui giornali ma non sembrava questo gran evento. Le rockstar che
“Astral Weeks di Van Morrison è
stato il momento di svolta della mia
carriera” Yusuf Islam
Cat Stevens ai tempi
dei suoi primi successi, 1967
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si convertivano a questa o quella religione, negli anni 70, erano quasi all’ordine
del giorno e proprio in quel periodo Bob
Dylan aveva sconvolto mezzo mondo con
la sua ostentata conversione al cristianesimo. Continuavano però a fare dischi, discussi e contestati, ma erano sempre lì. Per
Cat Stevens, dopo un disco pubblicato ormai quasi solamente per puri obblighi contrattuali, Back On Earth del 1978, sarebbe
invece calato il sipario. “Il creare delle immagini fuori del normale è ciò che rende il
mondo della musica pop così inaccettabile. Cosa sto abbandonando? Giocare d’azzardo, che ti impoverisce; la droga, che ti fa
vedere le cose in modo distorto, e le menzogne, che ti degradano”. Nell’articolo si
riporta che il cantante ha deciso di mettere all’asta le sue chitarre e i suoi pianoforti, amplificatori e dischi d’oro, per devolvere l’eventuale incasso all’Associazione delle
Moschee londinese, cose che nessun altra
rockstar convertita aveva mai fatto.
Una fortissima vena spirituale aveva sempre fatto capolino nelle canzoni di Cat
Stevens, così come è certo che le crisi, i
dubbi e il desiderio di farla finita con il
mondo della musica erano ben presenti in
lui praticamente da sempre. È altrettanto vero però che dopo la grande esplosione
creativa del periodo 1970-73, erano anni
che Cat Stevens non produceva un disco
né una canzone degna della sua fama. E
anche se i suoi album continuavano a vendere tantissimo e il suo ultimo tour, quello mondiale del 1976, era stato un grandissimo successo che aveva fatto il tutto esaurito in grandi arene, la critica (anche quella americana, da sempre la sua più grande
sostenitrice) lo considerava ormai un “peso
morto”.
Verrebbe da chiedersi, a essere maliziosi,
quanto il perenne bisogno di una pienezza
spirituale abbia veramente inciso sul suo ritiro dalle scene, o piuttosto se l’artista, consapevole di aver esaurito la sua vena creativa, avesse intelligentemente abbinato le
due cose per defilarsi, silenziosamente, dalle scene.
Nella bella intervista che è inclusa nel dvd
Majikat, Yusuf Islam dice che, soddisfatto
della conversione, all’inizio del 1980 aveva semplicemente chiesto alla sua casa discografica di poter avere una pausa prima di tornare a incidere un nuovo disco.
La pausa si sarebbe protratta fino all’infinito, complici anche le dure leggi della reli-
gione mussulmana, che non sono contrarie alla musica in sé, ma alla musica intesa come “frivolezza”. Ad esempio la chitarra è considerata uno strumento poco consono ai fedeli, ed è per questo che, anche
quando Stevens recentemente è tornato a
incidere e a esibirsi (pur se non le sue vecchie canzoni), si è sempre limitato al canto
o alle percussioni. Di fatto, dice, non tocca
più una chitarra da oltre vent’anni. Lo spiacevole incidente al Live Aid (Bob Geldof
lo invita ad esibirsi ma chiede che esegua
un brano del vecchio repertorio; Yusuf vuole suonare un brano scritto appositamente
per l’evento; quando Geldof insiste, prende
e se ne va a casa) aumenta la distanza dal
mondo della musica pop. Inciderà solo guide didattiche sulla vita del Profeta o qualche brano (come la splendida God Is The
Light) per compilation a carattere spirituale. Fino al 9 dicembre 2004.
Nel corso di una serata di beneficenza per
l’Unicef, alla Royal Albert Hall di Londra,
infatti, un ospite non annunciato fa il suo
ingresso sul palcoscenico. È Yusuf Islam.
Ma la cosa più sorprendente (in tempi recenti era già apparso dal vivo in manifestazioni musicali come ad esempio il concerto in tributo a Mandela) è che imbraccia
una chitarra, per la prima volta dal 1979,
quando si era esibito in un analogo concerto allo stadio di Wembley, la sua ultima apparizione in un contesto pop. Non
solo. Sul sito del bassista Martin Allcock
(in passato con Fairport Convention e
Jethro Tull, gruppi storici del folk-rock inglese), il 28 dicembre 2004, appaiono una
foto e una notizia che hanno del clamoroso: “Ho appena suonato il basso con Yusuf
Islam, l’artista una volta conosciuto come
Cat Stevens” scrive Allcock. “Un vero onore e un privilegio (...). Ho usato il basso di
Danny Thompson, Claudette. Spero ci saranno altre occasioni per questo storico
progetto. È incredibile, è come se lui non
fosse mai andato via. Una esperienza davvero spirituale”. Nella foto si vede Islam
con jeans e stivaletti a punta, seduto con altri musicisti intento a suonare la chitarra.
Certo un’immagine, look compreso, ben
diversa da quella del predicatore islamico a
cui eravamo abituati negli ultimi vent’anni.
Alcune settimane dopo Allcock conferma
che le session per un nuovo disco del cantautore, per di più con canzoni non strettamente a tema religioso, vanno avanti.
Lo stesso Islam, poco dopo il fermo all’ae-
CURIOSITY KILLED THE CAT
I
Stranezze e fatti poco noti
nella carriera del “Gatto” Stevens
nnanzitutto il nomignolo: vero nome disco “Catch Bull At Four”, racconta della love
Stephen Demetri Georgiu, venne “bat- story che intercorse brevemente nel 1970 tra
tezzato” Cat da una compagna di studi il cantante e Carly Simon, conosciuta dopo
all’università, per via del suo sguardo. A lui che lei aveva fatto da supporter ad alcuni suoi
non piacque mai: dai suoi amici pretendeva di show a Los Angeles. Lei, a sua volta, avrebbe
farsi chiamare Steve.
scritto per lui le canzoni “Legend In Your Own
“The First Cut Is The Deepest” e “Here Comes Time” e “Anticipation”.
My Baby” sono le due migliori composizioni Forse per la prima volta nella storia del web,
del primo Cat Stevens, quello degli anni 60. un artista ha acquisito un website fondato
Benché in quel periodo sia andato in classifi- e diretto dai fan. È successo con www.catste
ca con brani decisamente più sciocchi (come vens.com, da molti anni punto di riferimento
“I Love My Dog” e “Gonna Get Me A Gun”), su Internet per gli appassionati del musicista,
queste due canzoni sono splendidi esempi di che dallo scorso settembre è stato “inglobaballate rock che hanno decisamente superato to” in un sito dallo stesso nome ma gestito
lo spirito dei tempi. La prima, infatti, è stata direttamente dall’artista, con conseguente
ripresa e portata al successo da gente come soppressione di molti spazi come i gruppi di
Rod Stewart e Sheryl Crow, fra gli altri, mentre discussione non moderati.
della seconda si ricorda la versione italiana a Il cantante inglese non è mai stato vittima delcura dei Rokes (“Eccola di nuovo”) nei 60 e la le droghe pesanti, era piuttosto interessato a
recente a cura dei Mavericks. In questa fase un tipo di sostanza stupefacente di tipo “ecodella sua carriera (durata circa un anno, dal logista”. Nel corso del suo ultimo tour, come
1967 alla fine del 1968) Cat Stevens fa un tour ha raccontato lui stesso, infatti usava inalare
con un artista decisamente fuori target: un cer- prima di salire sul palco una dose di ossigeno
to Jimi Hendrix…
puro che aveva come effetto quello di tenerlo
Poco prima dell’incisione del disco della svol- fortemente “su di giri”. Abitudine da lui stesso
ta, “Mona Bone Jackon”, Cat registrò diversi commentata con ironia nel brano (e relativo
demo alla ricerca di un nuovo indirizzo mu- videoclip) “Banapple Gas”.
sicale meno frivolo del precedente. Tra questi Sebbene “Majikat”, pubblicato un paio di
spicca un duetto con un ancora semi scono- anni fa, sia stato il primo dvd (e cd audio) dal
sciuto Elton John (“Honey Man”, pubblicato vivo della carriera – inerente il suo ultimo tour,
per la prima volta ufficialmente nel 2001 nel quello del 1976 – Cat Stevens aveva pubblicacofanetto “On The Road To Find Out”). Nello to un disco dal vivo nel 1974 (“Saturnight”,
stesso disco, nel brano “Katmandu”, è ospi- registrato a Tokio per una serata Unicef) mai
te al flauto quello che il produttore ricorda ristampato su cd, e un homevideo uscito nel
come un “nervosissimo ed emozionato Peter 1994, “Tea For The Tillerman Live”, contenente
Gabriel”.
una performance acustica del 1971.
Tra i fan insospettabili di Cat Stevens, figura
Paolo Vites
un certo Eddie Vedder, frontman dei
Pearl Jam. Nel corso di diverse esibizioni soliste ha infatti suonato il
brano “If You Want To Sing Out, Sing
Out”, mentre con tutto il gruppo
ha eseguito “Trouble” e “Don’t Be
Shy”. Viceversa ci sono anche i fan
che cambiano idea: i 10,000 Maniacs incisero una cover di “Peace
Train” nel loro disco d’esordio “In
My Tribe”. Dopo le infelici dichiarazioni di Yusuf riguardo lo scrittore
Rushdie, fecero rimuovere il brano
Cat Stevens e Carly Sim
on
da ogni ristampa del disco.
durante la loro breve
love
Il brano “Sweet Scarlet”, inciso nel
story, circa 1970
JAM VIAGGIO NELLA MUSICA 47
roporto di Bangor, affermò che stava recandosi a Nashville per incontrare alcuni responsabili di case discografiche locali per
mettere a punto un possibile nuovo disco.
“Volevo tenere la cosa la più nascosta possibile” dice “ma il clamore per la mia espulsione ha fatto sì che le cose andassero diversamente”.
Il 21 marzo 2005 il suo sito ufficiale mette a disposizione un brano, Indian Ocean,
le cui vendite, una volta scaricato, vanno a
favore delle vittime del terribile maremoto del 26 dicembre 2004. La canzone, in
cui Islam si accompagna con la chitarra, è
un colpo basso per tutti i suoi vecchi fan: il
testo non è un semplice insegnamento didattico di fede mussulmana, come le rare
registrazioni da lui effettuate negli ultimi
vent’anni, e musicalmente siamo di fronte
a una ballata quasi in vecchio stile à la Cat
Stevens…
Nello stesso periodo il musicista dichiara
che il motivo fondamentale di questo suo
ritorno alla musica, passo dopo passo (non
dimentichiamo il suo duetto con l’idolo dei
teenager Ronan Keating nel suo vecchio
brano Father And Son, con tanto di partecipazione al relativo videoclip, di alcuni
mesi precedente; non solo: la colonna so-
“Sono come
uno specchio:
voi vedete voi
stessi in me”
Cat Stevens
48 JAM VIAGGIO NELLA MUSICA
nora del serial televisivo Everwood, pubblicata nell’ottobre 2004, vede la presenza di
ben tre brani di Cat Stevens e questa volta non si tratta di idoli per teenager come
il pur bravo Keating. Trouble è infatti interpretata dalla cantautrice cult Kristin Hersh,
già leader del gruppo di rock alternativo
Throwing Muses; Don’t Be Shy è a cura dei
Travis, ultimi esponenti di spicco del brit
pop inglese, e infine Father And Son viene incisa da Leigh Nash, cantante dei texani Sixpence None The Richer) in un mondo lacerato da quella che sembra una guerra di religione, è quello di far vedere che i
mussulmani sono gente come tutti gli altri,
che non vogliono le guerre ma anzi possono misurarsi in pace anche nel campo della musica. Un gesto, insomma, per favorire la comprensione e la distensione. Cat/
Yusuf è chiaramente parte di quel mondo
islamico che vuole il confronto, che mira a
una concezione della propria religione in
chiave moderna, lontana anni luce dal fondamentalismo.
Il 29 maggio 2005 Paul McCartney invita Yusuf Islam a esibirsi nel corso dell’annuale concerto a sostegno della sua associazione che combatte il problema delle
mine antiuomo disseminate su territori un
tempo teatro di guerra. Nel corso della serata esegue Where Do The Children Play,
Peace Train, un brano inedito e, in duetto
con Paul McCartney, All You Need Is Love
dei Beatles. Il ritorno è ormai completato. Manca solo l’annunciato disco di “canzoni pop”.
Quella di Cat Stevens è una storia affascinante. Di fatto, di musicisti ritiratisi per
motivi religiosi dallo show biz in maniera così integrale come lui ha fatto per quasi un trentennio, ne ricordiamo solo due,
e nessuno dei due era una star dello stesso livello mondiale, uno cioè che aveva
venduto qualcosa come quaranta milioni di dischi: Jeremy Spencer, chitarrista dei
Fleetwood Mac che si unisce, nei primi
70, ai Bambini di Dio, e Dan Peek, membro fondatore degli America che anche lui
si unisce ai Bambini di Dio nel momento
in cui il gruppo sta assaporando il massimo
successo commerciale, lasciando entrambi
per sempre il mondo della musica.
Eppure pochi sanno che già nel ‘73, quando Cat Stevens era un star di massimo livello e si esibiva in arene e stadi di tutto il mondo, l’intero ricavato di un con-
Ai tempi degli album “Tea
For The Tillerman”e “Teaser
And The Firecat”, 1971
certo sold out al Madison Square Garden
di New York era stato devoluto in beneficenza. Così come pochi si sono accorti di
quanto le sue canzoni avessero sempre profetizzato una sua clamorosa conversione e
il conseguente ritiro dalle scene, come poi
sarebbe accaduto. Ce ne è una in particolare che sin dal titolo ben sintetizza la grande avventura di questo musicista, e che lui
stesso ama citare quando vuole raccontare
di sé: On The Road To Find Out (Sulla strada per scoprirlo).
Tutta la vita di Cat Stevens è stata una ricerca senza mezzi termini e senza concessioni del senso dell’esistenza e, a differenza di altri grandi convertiti del rock, per lui
questa esigenza è stata sentita così profondamente che, una volta individuata la risposta, ad essa si è abbandonato completamente, senza ripensamenti. Tutto questo
percorso si rintraccia facilmente nei testi
delle sue canzoni.
È poi affascinante, con il senno di poi, pensare come Cat Stevens abbia rischiato di
morire per due volte, nella sua vita, e in
entrambe le occasioni sia rinato in modo
sorprendentemente
nuovo e decisamente cambiato: la prima quando gli eccessi dello star system a cui prende
parte dopo l’esplosione del fenomeno per teenager del primo
Cat Stevens, lo portano al ricovero urgente per tubercolosi (qualcuno parla anche
di disintossicazione dall’eroina); la seconda nel ’75 quando rischia di annegare nell’Oceano Pacifico e misteriosamente viene
portato a riva da un’onda amica.
Una storia affascinante che, dopo un periodo adolescenziale fatto di canzoncine
d’amore (gli anni Sessanta) ma in cui già
si intravede la grande vena musicale – ad
esempio la splendida The First Cut Is The
Deepest –, riflette pienamente il cammino
della sua generazione. Il Cat Stevens, specie quello dei primi tre album successivi al
suo ritorno sulle scene (e cioè Mona Bone
Jakon, Tea For The Tillerman e Teaser And
The Firecat pubblicati nel brevissimo arco
di tempo di meno di due anni, tra l’aprile 1970 e il settembre 1971), oltre a essere
musicalmente splendidi, sono degli autentici manifesti di quel cosiddetto cantautorato intimista – “voce dei dormitori delle ragazze dei college” come fu definito il can-
tante con una punta di sarcasmo – che riflette sulle sconfitte della generazione post
Woodstock con tanta nostalgia per gli ideali hippie di pace & amore, in sintonia con
altri eroi dello stesso periodo storico, e cioè
gente come James Taylor o Joni Mitchell.
Cercando di trovare, nell’impossibilità di
un rapporto di coppia duraturo, la risposta alle inquietudini e al disagio esistenziale. Per quasi tutti quei personaggi, tale sete
di verità si è esaurita con il grande successo e con i privilegi dello stardom; per Cat
Stevens nulla ha potuto spegnerla fino all’eventuale conversione religiosa.
Sono dischi che contengono brani entrati nell’immaginario collettivo di ormai più di una generazione: Wild World,
Moonshadow, Peace Train, Morning Has
Broken, Lady D’Arbanville. A quel trittico di capolavori segue un disco di transizione, il seppur bello Catch Bull At Four,
per poi cominciare una fase artisticamente discendente. Della rock star Cat Stevens
vive infatti pienamente il lifestyle, eccetto l’uso di droghe pesanti: sesso libero alla
grande (vero tombeur de femmes, tra cui
E citando un verso di una sua vecchia canzone, Music (“La musica è una signora che
ancora amo perché mi dà l’aria che respiro”), aggiunge: “Abbiamo bisogno di ogni
tipo di nutrimento. La musica soddisfa e
appaga la fame che abbiamo di una armonia totale. È parte dell’universo di Dio”.
A proposito della decisione di tornare finalmente con un disco “pop”, coprodotto
con Rick Nowels (Madonna, Rod Stewart,
Dido, Corrs), Yusuf/Cat, oltre a sentirsi in
dovere di mostrare come un mussulmano
è un uomo come tutti gli altri (“La politica
distorce ogni cosa” ha detto recentemente
“i mussulmani vogliono solo vivere in pace
come tutti gli altri”), ha raccontato che un
giorno il figlio avrebbe portato in casa una
chitarra (“Un ragazzo dall’enorme talento
musicale” dice con orgoglio il padre). Una
mattina dopo che tutti erano tornati a letto (“Dopo aver detto le preghiere”), Yusuf
avrebbe visto la chitarra appoggiata sul divano. L’avrebbe presa in mano e improvvisamente “fu come l’aprirsi di una diga.
Idee e melodie uscivano in continuazione.
La novità della cosa, e cioè cercare accordi
dimenticati, mi ispirò. Mi sentii come
un novellino senza
nulla da perdere”.
Parte dei nuovi brani sono stati scritti negli ultimi due
anni, alcuni direttamente in studio e altri avrebbero dovuto far parte di un musical intitolato Moonshadow a cui il cantante
avrebbe lavorato negli ultimi tempi.
Aveva promesso un disco non dal contenuto religioso, e in parte l’ha fatto: i brani alternano riflessioni che ricordano i tempi di
Peace Train sulla possibilità per gli uomini di convivere in pace (per Maybe There’s
A World, Yusuf si è lasciato andare a un paragone con la lennoniana Imagine) ad affermazioni spirituali del tipo che è possibile incontrare Dio e vedere la propria vita
cambiata in meglio (Heaven/Where True
Love Goes). Il tutto in modo discreto e con
il tipico stile musicale che aveva fatto di
Cat Stevens una delle voci più amate degli anni 70.
“Gli estremisti prendono alcune cose
delle sacre scritture fuori del loro
contesto. Hanno dirottato la mia
religione” Yusuf Islam
citiamo l’attrice Patty D’Arbanville e la futura signora Taylor, Carly Simon, a cui dedica la bellissima Scarlet), tournée mastodontiche che culminano immancabilmente al Madison Square Garden di New York
e fuga in Brasile per sfuggire al prelievo fiscale. Tutto ciò, come si vede bene nel bel
dvd Majikat relativo al suo ultimo tour,
quello del 1976, lo portano vicino al collasso psico-fisico da cui si salva solo quando il
fratello gli regala una copia del Corano.
In una intervista pubblicata sul Guardian
Unlimited del marzo 2005, Yusuf dice:
“Non credo di aver mai detto che la musica è una cosa blasfema ma avevo bisogno
di interrompere la mia carriera. Avevo trovato quello che cercavo e il Corano mi aveva dato la risposta alle grandi domande della vita. Sarebbe stato ipocrita proseguire
come prima e diventare una pallida imitazione di me stesso. Ma non ho mai detto
che non avrei mai più fatto musica”.
(Il testo di questo articolo è una versione, riveduta, corretta e ampliata, del primo capitolo del libro Le canzoni di Cat Stevens di
Paolo Vites, Editori Riuniti 2005)
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