IL NONNO, LA ITALA E LA REGINA MARGHERITA

Transcript

IL NONNO, LA ITALA E LA REGINA MARGHERITA
IL NONNO, LA ITALA E LA REGINA MARGHERITA
Alberto Balloco fu per una quindicina d’anni responsabile tecnico della Itala e in
tale qualità “firmò” le vetture che diedero il nome della Casa torinese fama
mondiale. Fra queste primeggiano la 35/45 HP protagonista del raid Pechino-Parigi
e alcuni modelli da turismo entrati a far parte del “garage reale”. La nipote Beatrice
Balloco rievoca la figura del grande progettista.
Molto si è scritto in questi ultimi tempi sulla Itala, la vettura che l’estate scorsa ha
ripercorso lo stesso massacrante raid Pechino-Parigi che già l’aveva vista vittoriosa
nel 1907, ottantadue anni prima. Poco si sa invece degli uomini che la progettarono e
realizzarono e che sono rimasti sempre dietro le quinte pur avendo ogni diritto di
essere considerati artefici di quell’impresa, non meno di quanto lo siano stati i tre
protagonisti del raid, Scipione Borghese, Ettore Guizzardi e Luigi Barbini, saliti
all’onore della rabbia.
Vi è una casa, a Torino, in pieno quartiere Crocetta uno dei più eleganti della città,
che sembra appartenere a un paesaggio del primo Novecento. I gradini che
conducono all’entrata,l’elegante monogramma AB in stile libety sulla porta a vetri, il
giardino ombroso e pieno di angoli nascosti, le cassette delle lettere ancora in legno e
ottone: tutto contribuisce a lasciar gustare un’atmosfera che sembra essersi imposta al
tempo. Non c’è bisogno che la giovane padrona di casa, Beatrice Balloco, nipote del
grande tecnico e progettista della Itala Alberto Balloco, dice di aver lasciato tutto
come ai tempi di suo nonno.
“Sono cresciuta in questa casa, come mio padre Alessandro, come vi cresceranno i
miei figli e quelli di mio fratello Alberto. E’ una casa in cui si sono succedute varie
generazioni di Balloco: da bambini scappavamo in soffitta per giocare di nascosto
con un oscuro macchinario lasciato lì dal nonno, che abbiamo scoperto anni più tardi
essere la prima costruzione auto-acetilogena. Era grazie a quella macchina che già
all’inizio del secolo si poteva illuminare tutto il primo piano della casa”.
- Lei ha conosciuto suo nonno Alberto?
“Purtroppo no poiché, nato nel 1878, è morto già nel 1944, molto prima che io
nascessi. Ma queste stanze traboccano di vecchie foto, lettere, oggetti, invenzioni che
parlano di lui”.
- Perciò lei sa molto della sua vita…
“Certamente, anche perché in famiglia se ne è sempre parlato molto, era una figura
mitica. Ed è stato molto bello confrontare l’idea che noi bambini ce ne eravamo fatti
con la realtà di cui ci siamo resi conto da adulti, scoprire che era una personalità
ancora più affascinante di quanto noi credessimo”.
- Come sono stati i suoi esordi in campo automobilistico?
“Si è laureato al Politecnico, quindi è entrato in contatto con i fratelli Ceirano,
onnipresenti in tutto ciò che a Torino all’inizio del secolo, ha riguardato l’automobile.
Quando uno dei fratelli fondò l’Itala, nel 1904, mio nonno lo seguì, diventando ben
presto direttore tecnico”.
- Si occupava perciò della progettazione dei motori e dei telai.
“Esattamente. Penso che la struttura di un ufficio tecnico di quell’epoca non si
discostasse molto da quella attuale. Vi era un responsabile della progettazione, mio
nonno appunto, alcuni disegnatori e i “particolarismi”, cioè coloro ce dovevano
scomporre il progetto nei suoi più minuti particolari, in senso che l’officina sapesse
anche come andava costruito il più piccolo dei bulloni. La differenza con oggi penso
risieda nelle dimensioni e nella specializzazione di ciascun ufficio, ma non
nell’organizzazione generale”.
- Quali sono stati i suoi studi più importanti?
“Studiò un cambio speciale, con la presa diretta, di cui però non è rimasto quasi nulla.
Brevettò l’avviamento automatico: un avvenimento cioè ancora a manovella ma con
un anticipo automatico del magnete che causava una scintilla più forte, in grado di
accendersi anche con motore freddo. Sperimentò anche un motore a corsa variabile,
in cui il movimento dei pistoni variava a seconda dello sforzo”.
- La sua realizzazione più importante fu però il motore avalve
“Era un motore rivoluzionario, a cui l’Itala deve molto della sua fortuna. Non è
neanche complicato: non mi è stato difficile capirne il funzionamento, anche se non
sono ingegnere. Basta guardare gli schizzi del nonno. La differenza con un motore
tradizionale risiedeva nel sistema di distribuzione che invece di avvenire tramite
valvole era assicurata da due finestre poste su due camicie rotanti una sull’altra.
Quando, mediante la rotazione, le finestre coincidevano tra di loro si verificava il
flusso della miscela aria/benzina, oppure il deflusso dei gas di scarico. Con la
continuazione della rotazione, le finestre non coincidevano più e il flusso, o il
deflusso, per quel cilindro si arrestava”.
- Lei ha ereditato da suo nonno Alberto la grande passione che lui aveva per la
meccanica?
“Per la meccanica in particolare, no: ma certamente ho ereditato la passione di voler
capire come funzionano certi meccanismi. E’ un vizio di famiglia: anche se tra i miei
antenati ci sono stati più umanisti che tecnici, non è mai venuta meno la curiosità per
qualsiasi tipo di automatismo, in senso lato. Un bisnonno, medico ginecologo,
sembrava avesse scoperto il modo per determinare il sesso dei nascituri. Purtroppo si
portò nella tomba il segreto della sua scoperta, se scoperta fu. Ma per tornare al
motore avalve, non pochi difetti ne impedirono l’adozione su vasta scala. Era per
esempio molto difficoltoso lo smontaggio, e perciò ogni operazione di pulizia, messa
a punto o riparazione, tanto che fu abbandonato dalla stessa Itala”.
- Suo nonno progettò anche il modello Itala 35/45 HP, divenuto indimenticabile
grazie alla vittoria del raid Pechino-Parigi. All’esemplare che compì il raid
furono apportate modifiche sostanziali rispetto a quelli della produzione di
serie?
“Non di ordine meccanico. Il nonno certamente rinforzò il telaio, forse lo allungò per
riuscire a ricavare, nella parte posteriore, spazio per il terzo posto destinato a Luigi
Barbini, per la ruota di scorta e per il serbatoio. Era molto orgoglioso di quella
vettura, ma forse perché era una delle preferite della Regina Margherita (che ne tenne
una nel garage reale per lunghi anni) più che per la vittoria nella corsa diventata poi
così famosa”.
- Di cosa si occupò ancora all’Itala?
“Studiò a lungo, e fu uno tra i primi in Italia, l’impiego degli acciai speciali sulle
vetture di serie. Riuscì a realizzare delle leghe che rispetto a quelle in uso all’epoca
erano più resistenti sia al tempo, sia alle alte temperature. Progettò anche un veicolo
fuoristrada, chiamato “Muletto”. Fu utilizzato dall’esercito durante la grande guerra,
anche per le manovre al fronte. E progettò inoltre parecchi motori d’aviazione”.
- Sono studi che testimoniano un insieme di interessi eclettici.
“Direi proprio di si: recentemente ho scoperto in soffitta un motore che doveva, nelle
intenzioni del nonno, equipaggiare una bicicletta. E’ anche rimasto un suo disegno
che ne mostra il funzionamento: un motorino sistemato sulla parte anteriore della
bici, con una catena che trasmette il movimento alla ruota anteriore. Qualcosa di
simile all’attuale Velosolex”.
- Perché nel 1919 lasciò l’Itala? Era tra le più grandi e prestigiose marche
italiane, in grado di impensierire non poco la Fiat, soprattutto nel campo delle
vetture di lusso…
“In realtà il periodo più fulgido per l’Itala fu quello precedente alla prima guerra
mondiale. Al termine del conflitto si presentarono enormi problemi di riconversione
industriale, complicati da commesse militari prodotte troppo tardi e perciò mai
pagate…”
- Corse voce che per fronteggiare questa situazione si acquisissero le macchine
danneggiate dalla guerra per ripararle e rivenderle, magari tacendo che si
trattava di vetture “rigenerate”.
“Che ci sia del vero o no in questa voce, resta il fatto che la gestione del dopoguerra
non risultò troppo ortodossa agli occhi di mio nonno. Decise infatti di trasferirsi
infatti alle Officine di Savigliano dove restò fino all’anno della sua morte, avvenuta
nel 1944. Inizialmente si occupò di motori d’aviazione, quindi di tutta la produzione,
essendo diventato nel frattempo direttore generale tecnico”.
- Non fu contattato da nessun’altra industria automobilistica?
“Certamente si,ma ignoro perché non accettò le varie proposte che sicuramente gli
giunsero”.
- Ma il distacco dall’Itala era stato tempestoso? Le risulta che vi furono liti,porte
sbattute?
“No, fu un allontanamento mediato, pacato e silenzioso. Mio nonno era un
gentiluomo. E piemontese, per giunta”.
(intervista effettuata nel 1990)
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino