Le vicende della proposta di Regolamento sui porti, che
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Le vicende della proposta di Regolamento sui porti, che
Federazione Nazionale Agenti Raccomandatari Marittimi e Mediatori Marittimi Accettare la “nuova normalità” Considerazioni sull’attuale fase del mercato marittimo-portuale Trieste, 20 giugno 2014 di Sergio Bologna 1 Alla ricerca disperata di indizi che possono annunciare una decisa ripresa dell’economia mondiale, sia le grandi istituzioni internazionali (IMF, World Bank, OCSE ecc.) sia gli istituti di ricerca più accreditati continuano ad inseguire l’evoluzione del PIL, dei traffici e degli scambi, giorno per giorno, mese per mese, trimestre per trimestre, alternando gridolini di gioia quando gli indici si muovono appena appena all’insù e sospiri di sconforto non appena ritornano a scendere.1 “One year ago 2013 was proclaimed to be a year with stronger growth than the [year] we had just left”, ha dichiarato Peter Sand, chief shipping analyst del Baltic International Maritime Council, “Today, we are predicting the same thing in 2014, which is estimated to be just as good as 2013 was supposed to be.” Le previsioni non si fanno mai su una serie di dati temporali a breve, solo l’osservazione di una serie storica di almeno due-tre anni, può indicare una tendenza di fondo. Bene hanno fatto quindi l’OCSE e il WTO a segnalare che, sulla base dei dati riguardanti il rapporto tra crescita del PIL globale e crescita del commercio internazionale degli ultimi sei/sette anni, si osserva un profondo cambiamento che potrebbe essere di natura strutturale e non semplicemente congiunturale.2 Mentre prima della recessione ad ogni punto di crescita del PIL globale corrispondevano due punti di crescita del commercio internazionale, dal 2011 in poi ciò non avviene, le due grandezze sembrano procedere in parallelo, con uno scarto solo del 25% circa a favore del commercio mondiale.3 E questa, a detta del BIMCO, is a bad news for shipping. Presentando l’ultima edizione delle Trade Statistics, il 14 aprile 2014, il direttore generale del WTO ha dichiarato: “It’s clear that trading is 1 Le continue delusioni ed i continui aggiustamenti di previsioni smentite dalla realtà hanno indotto anche le più coriacee istituzioni internazionali a cautelarsi con “se” e con “ma” ad ogni affermazione, v. l’ultimo World Economic Outlook, April 2014 del FMI che fonda le sue previsioni su una serie di assunti tutti da dimostrare, come l’abbassamento dei prezzi del greggio nel corso del 2014 e del 2015 e la stabilità dei cambi. 2 U.N., World Economic Situation and Prospects 2014. 3 “Since the dip in 2009, world trade has recovered to reach 26% of GDP in 2011 but has stayed at that level since then, breaking out of the progressive pre-crisis trend. Despite the fact that world trade keeps growing in value and volume, this potential new trend is bad news for shipping, as it could dampen growth in shipping demand in the long term”, BIMCO, Dry Bulk Shipping: market outlook 2014. 2 going to improve as the world economy improves. But I know that just waiting for an automatic increase in trade will not be enough for WTO members”.4 In effetti guardando questi tre grafici, la differenza tra il ciclo che si è concluso con il 2008 e gli anni successivi è evidente, ciononostante il WTO persiste con il suo ottimismo di maniera e prevede una crescita del commercio mondiale del 4,7% nel 2014 e del 5,3% nel 2015: Tavola 1 Growth in the volume of the world merchandise trade and GDP, 2005-2015, Annual % change Fonte: WTO Secretariat (2014 e 2015 sono previsioni) Tavola 2 10-year moving average of world trade, GDP and trade/GDP, 1990-2015, Average Annual % change (left) and ratio (right) 4 WTO, International Trade Statistics, 2013. L’edizione contiene alcune importanti novità: “The new data highlight, for example, that trade in intermediate goods is just as concentrated among large players as overall trade. The ten largest merchandise traders constitute nearly 60 per cent of world trade and about half of world trade in intermediate goods. Many of these global value or production chains are organized by a multinational enterprise. For US multinationals, one-third of their exchanges take place within the multinational.” 3 Fonte: WTO Secretariat Tavola 3 Deviation of world merchandise export volume from pre-crisis trends, 2005-2015, percent Fonte: WTO Secretariat Evidentemente le lezioni della storia sono servite a ben poco: nel 1938, a dieci anni dallo scoppio della grande crisi del ’29, il volume degli scambi internazionali era inferiore a quello del 1914, malgrado gli enormi progressi nel campo della produzione con la catena di montaggio, i consumi di massa, le innovazioni nel campo chimico, energetico, agricolo ecc.. Ha ragione Krugmann a sottolineare per “Il Sole 24 Ore” che le formule di politica monetaria (più o meno quantitative easing, più o meno inflazione) non rispecchiano scelte più o meno razionali ma interessi economici. I detentori di grandi fortune finanziarie, quelli che rappresentano lo 0,1% della 4 popolazione USA, sono sempre stati contrari a politiche inflazionistiche che aumentavano i salari e facilitavano una ripresa.5 Invece di inseguire gli alti e bassi settimanali degli indici economici, dovremmo accettare che ormai l’economia mondiale si muove secondo un nuovo paradigma e che il ritorno a tassi di crescita pre-crisi è, appunto, wishful thinking. Se diamo ascolto ai guru dell’economia, ne troviamo diversi, di opposte tendenze, dall’ex Segretario al Tesoro Larry Summers a Paul Krugmann stesso, dall’editorialista del Financial Times Martin Wolf al suo collega Wolfgang Munchnau, che ritengono assai probabile per l’Occidente capitalistico un periodo di lunga stagnazione e di deflazione: “mentre tutti si aspettano un ritorno alla normalità, con una ripresa, prima o poi, dell’economia, tale ripresa potrebbe non esserci in alcun modo e la stagnazione registrata negli ultimi cinque anni potrebbe diventare la nuova normalità (the new normal) dei prossimi decenni per le economie occidentali”.6 Tutte le stime del Fondo monetario Internazionale per il 2014 sono state riviste al ribasso. 7 La sola cosa che si può dire è che negli ultimi cinque anni tutte le previsioni – nessuna fonte esclusa – che hanno calcolato crescite moderate o pressoché inesistenti per l’Europa hanno sbagliato meno di quelle che hanno calcolato crescite elevate. Questo non significa che si debba esser pessimisti per partito preso, ciò che conta è inserire ogni previsione in un contesto generale che vede un forte cambiamento di paradigma. Ma non basta, è ora di sbarazzarsi di alcuni luoghi comuni la cui ripetizione rischia di far diventare buon senso delle perfette idiozie o verità delle plateali bugie. Si pensi per esempio al problema del credit crunch ed alla tesi che la mancata ripresa dell’economia italiana sia dovuta alla riluttanza delle banche nel concedere crediti alle imprese. Sarà vero per il mondo della piccola impresa, per la miriade di microimprese che non possono più scontare le fatture in banca e rischiano di chiudere per un ritardo nei pagamenti. Ma quando mai la grande impresa, soprattutto nel settore immobiliare e delle costruzioni, ha avuto problemi ad aprire linee di credito presso il sistema bancario italiano? Il problema è che le imprese italiane quotate in Borsa, secondo l’ultima 5 “La politica monetaria in realtà non è una materia tecnica, immune da condizionamenti politici: un'inflazione moderata può essere benefica per l'occupazione, specialmente quando un Paese sta cercando di smaltire un forte indebitamento, ma è venefica per lo 0,1% più ricco degli americani; e questo fatto finisce per influire in misura rilevante sulla discussione”, Paul Krugmann su www.argomenti/ilsole24ore.com, del 20 aprile 2014. 6 La crisi e il ruolo delle banche centrali, di Vincenzo Comito, su www.sbilanciamoci.info. 7 DynaLiners Monthly, novembre 2013, p. 5. Anche l’ultimo World Economic Outlook, aprile 2014, riporta numerose correzioni al ribasso. 5 edizione dello studio Mediobanca sui conti economici di 2035 imprese italiane, invece di investire hanno distribuito dividendi 8 Fonte: Mediobanca, www.mbres.it Il 61% del fatturato di queste società è prodotto estero su estero. Queste sono le imprese che assorbono le maggiori risorse dal welfare (leggi Cassa Integrazione) e restituiscono al Paese le briciole. Qui stanno le lobbies dell’informazione e della comunicazione, qui sta l’influenza sulla politica, in mezzo a queste imprese si trovano i responsabili delle sofferenze del credito bancario. Credit crunch o debt insolvency? Molto diverso è il quadro delle medie imprese, che costituiscono la parte “sana” del sistema produttivo italiano. 8 Mediobanca, Dati cumulativi di 2035 società italiane (2013). 6 Fonte: Mediobanca, www.mbres.it I cosiddetti “rischi” che minacciano la crescita di un Paese o di una regione economica, sono in realtà circostanze strutturali determinate da comportamenti specifici degli attori “forti” sul mercato. Il sistema marittimo-portuale non ne è esente. Il container Il 2013 è stato l’anno in cui sono entrate in servizio nel settore dei container le navi giganti da 16.000 e 18.000 Teu. Nel Northern Range erano in grado di accoglierle sia Le Havre che Rotterdam, sia Anversa che Bremerhaven, non Amburgo per insufficienti fondali e la forte opposizione civile ad ulteriori dragaggi dell’Elba. Anche se per ragioni d’immagine o di pubblicità una volta ci è arrivata, scarica, la “Marco Polo” della CMA CGM, il limite massimo di Amburgo è per navi da 15.000 Teu.9 Malgrado questo, l’anno 2013 si è chiuso con i risultati riportati nel grafico, positivi per Amburgo, negativi per quei porti che sono meglio attrezzati per accogliere le navi giganti. I risultati migliori, in termini di volumi, Amburgo li ha ottenuti grazie ai traffici di transhipment con il Baltico, infatti l’incremento delle relazioni con i porti di quella regione è stato del 10,1%, con quelli della Svezia e della Polonia del 21%, con i porti 9 Thomas Riber Knudsen, responsabile per la regione Asia-Pacifico di Maersk Line, ha dichiarato a “Lloyd’s List” del 16.04. 2014, che solo due porti sono già in grado di accogliere le loro navi classe Triple E a pieno carico, perché dotati di fondali, lunghezza banchina, gru e piazzali sufficienti: Yantian e Tanjung Pelepas. Le navi quindi viaggiano con carico massimo attorno ai 16.000 Teu. 7 della Russia del 6,4%.10 Sembra che queste performances Amburgo le abbia ottenute con una spregiudicata politica di sconti, in particolare per le navi più grandi e questo può aver determinato la reazione di Rotterdam, che ha pubblicato uno studio in cui si dimostrava che la politica tariffaria di Anversa ed Amburgo, resa possibile dai finanziamenti pubblici, aveva danneggiato il porto olandese. 11 In realtà Rotterdam aveva fatto lo stesso qualche anno fa, riuscendo a strappare ad Amburgo il ricco boccone rappresentato dal transhipment verso le repubbliche baltiche e la Russia. Questa guerra a colpi di sconti, vecchia come il cucco, dimostra però che i porti del Nord hanno commesso lo stesso errore delle compagnie marittime creando una sovracapacità, messa in luce dallo studio Adstrat già nel 2012, che induce necessariamente ad abbassare le tariffe per reggere la concorrenza, in una spirale dove ad un aumento degli investimenti in infrastrutture non corrispondono né un aumento di redditività, né un aumento degli introiti. E quanto questo aumento di capacità sia stato rilevante e del tutto insensato rispetto alla domanda lo dimostra il flop del porto di Wilhelmshaven. Se s’interrogano gli operatori portuali tedeschi su questa iniziativa risponderanno che sì è vero, lo Jade Weser Port ha deluso le aspettative, ma basterà attendere qualche anno e si vedrà come anche Wilhelmshaven sarà pieno di container. Intanto però il 29 marzo 2014 una nota della direzione di Eurogate informava che era stato raggiunto un accordo con il sindacato ver.di per garantire una transizione dallo stato attuale di mancanza di traffico a quando si saprà con certezza se l’alleanza P3 intende mantenere la promessa di due servizi sullo Jade Weser Port. Le maestranze, esaurito il periodo di cassa integrazione, rinunciano al 15% del salario base ed Eurogate s’impegna a mantenere l’occupazione attuale per un anno.12 Non solo i porti hanno dovuto stringere la cinghia, il contraccolpo più negativo del gigantismo lo hanno avuto certi terminal su due fronti: una maggiore pressione sui 10 PORTnews, 03-2014, notiziario online dell’Autorità portuale di Amburgo. Il numero 7 del 2014 della stessa pubblicazione riportava una crescita dei Teu pari all’8% (+10% quelli con il Far East) nel primo trimestre 2014 ed una crescita anche nelle merci in colli e nelle merci alla rinfusa, un exploit che pone Amburgo ormai in diretta concorrenza con Rotterdam. 11 “Rotterdam, by far the largest container hub in Europe, reported a second year of decline in box numbers. It handled 11.66m teu in 2013, down 1.7% on 2012, due to the economic crisis and because rival German port Hamburg won back some feeder traffic” in Lower gowth is the new norm for box ports, by Roger Hailey, in “Lloyd’s List” del 24.01.2014. 12 Eurogate, Pressemitteilung Wilhelmshaven 29.03.2014. Vale la pena di leggere anche l’intervista del nuovo management di Wilhelmshaven alla “Deutsche Verkehrzeitung”, DVZ, 8 aprile 2014. Nell’area logistica un solo cliente che per di più li ha denunciati per canoni eccessivi. 8 costi determinata da una richiesta più insistente delle compagnie di poter godere di tariffe minori e servizi migliori, un utilizzo meno efficiente delle risorse in seguito ai forti alti e bassi determinati dal gigantismo navale, che penalizza soprattutto i terminal meno flessibili e fa “sballare” la loro programmazione, moltiplicando gli effetti di disruption della catena logistica non previste, com’è stato il caso dei gravi ritardi delle navi a causa del prolungato maltempo tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. In quella occasione il porto di Amburgo si vide costretto ad emettere un comunicato speciale, una specie di edizione straordinaria del suo bollettino, per avvertire i clienti della situazione ed in particolare per invitarli alla cautela nel mandare all’imbarco i container in export, che stavano intasando i terminal. Maggiori traffici quindi non sempre comportano maggiori guadagni. La rivista “informare” nel numero del 27 marzo 2014 ha riportato i risultati economici del principale terminalista di Amburgo, la società pubblica HHLA, che ha avuto nel 2013 un calo del 25% dell’utile netto rispetto al 2012, pur avendo aumentato i movimenti del 4,4% ed i traffici intermodali addirittura del 18%. L’utile operativo si è ridotto del 15% ed il fatturato è aumentato del 2%. Si è portata a casa comunque un profitto di 54,3 milioni di euro su un fatturato di 1,15 miliardi, bilancio pur sempre positivo ma sconcertante dal punto di vista del rapporto volumi/redditività. In mancanza di rendiconti finanziari dettagliati (molti terminal nel Nord appartengono a global terminal operators che presentano bilanci consolidati) è troppo presto per dire che la sovracapacità e il gigantismo sono responsabili di una diminuzione della redditività dei terminal ma tutto lascia pensare che sia così. Il sovradimensionamento delle infrastrutture nel Nordeuropa è stato determinato, oltre che dalle attese prodotte dal gigantismo navale, da previsioni di traffico troppo ottimistiche.13 Il porto di Amburgo sino all’altroieri si muoveva con un orizzonte 2025 di 25 milioni di Teu, a gennaio ha presentato uno studio nel quale tale previsione era ridimensionata non poco: 15 milioni di Teu, un taglio del 40%. 14 13 Drewry valuta che un aumento di capacità di 1 mln di Teu comporta mediamente un costo d’infrastruttura e di equipment di 350 mln di dollari, v. Global Container Terminal Operators, 2013. 14 E’ vero, come dice de Langen che le previsioni di traffico fatte dai grandi porti del Nord e dai loro consulenti erano fatte coi piedi ma anche le alternative che lui propone rischiano di esser superficiali; per esempio propone di calcolare i volumi in base alla popolazione, ma sarebbe assai più logico calcolarli in base al reddito pro capite, con l’avvertenza che in società dalle forti ineguaglianze, ove il reddito medio pro capite è influenzato da un altissimo reddito di una parte minima della popolazione, mentre la stragrande maggioranza ha un reddito di sopravvivenza, la struttura dei consumi e la tipologia dei beni in transito nei porti sarà ben diversa di quella di un paese di analogo reddito medio pro capite ma ben distribuito tra le varie fasce sociali. Molto giuste tuttavia sono alcune sue osservazioni, come quella che i porti di transhipment dovrebbero esser lasciati fuori dai calcoli previsionali. 9 Eurogate, il maggiore gruppo europeo, ha potuto chiudere con un attivo di 61 mln di euro l’anno 2013, grazie soprattutto alle sue attività mediterranee ed a certe dismissioni di attività non core, i suoi terminal al Nord hanno avuto una flessione dell’1,2% malgrado la buona performance di Amburgo (i terminal italiani ormai movimentano 6,4 mln di Teu sui 14 totali del gruppo). L’ebitda è aumentato dell’1,7% e il capitale proprio è diminuito dell’1%. 15 Cosco Pacific, malgrado l’incremento dei volumi, ha visto i profitti ridotti dell’1%.16 A ben guardare, i numeri positivi di APM Terminals, che ha aumentato il fatturato del 3% e l’ebitda dello 0,6%, sono dovuti più che altro agli introiti da costruzione, il fatturato prodotto dall’attività strettamente portuale è aumentato di 60 mln USD su un totale di 3mld 210mln ed è prodotto, come sappiamo, in maggior parte dal servizio a navi del medesimo gruppo, mentre il fatturato prodotto da attività inland è diminuito di 87mln USD rispetto al 2012.17 La cessione da parte di MSC e di CMA CGM di quote delle loro società di terminal dovrebbe indurci a riflettere sull’effettiva convenienza finanziaria di gestire direttamente delle concessioni portuali da parte degli armatori. La convenienza operativa sembra prevalere. Anche l’appello rivolto da Muhammed al-Muallem di DP World agli altri grandi terminalisti globali di cercare una sorta di alleanza o perlomeno di collaborare per far fronte ai rischi posti dal gigantismo, è sintomo di una certa preoccupazione.18 Detto questo, l’industria terminalistica nel suo complesso, osservata nella sua dimensione globale, è ancora un settore di attività dove i margini di utile sono dell’ordine di 35-45% di ebitda, tali da attirare molti investitori, soprattutto in mercati emergenti come l’Africa sudoccidentale, l’America Latina, il Far East, i Caraibi, l’Europa dell’est.19 “Dobbiamo abituarci all’idea di un nuovo paradigma”, ha dichiarato il capo di PSA, Tan Chong Meng, “quello caratterizzato da una più stretta cooperazione tra compagnie di navigazione (…) lo squilibrio tra domanda e offerta, la sovracapacità delle flotte, congelando i noli, intaccano la redditività delle compagnie marittime e quindi i porti saranno sottoposti a una maggiore pressione per dare un servizio migliore a prezzi competitivi (…) l’entrata in servizio delle meganavi produrrà a cascata l’arrivo di navi più grandi ed anche i porti che non sono in prima linea 15 Eurogate, Pressemitteilung, 8.04.2014. Despite the increase in terminal volumes, Hong Kong-listed Cosco Pacific saw profit from this sector dip 1% to $187m, citing an “upward pressure on costs”, Jing Yang su “Lloyd’s List” del 26 marzo 2014. 16 17 18 19 AP Moeller Maersk A/S, Annual Report 2013, p. 39. Max Tingyao Lin, Megahub of the world unite, urges DP World, “Lloyd’s List”, 9.04.2014. Drewry, Global Terminal Operators. Annual Report 2013. 10 dovranno adeguare le proprie strutture e prepararsi a rispondere alle nuove aspettative di servizio”. 20 Nel primo trimestre del 2014 il clima depresso di questi anni del settore del container ha dato segni di cambiamento. Ad alimentare l’ottimismo sono stati anche i risultati del gruppo AP Moeller, che ha presentato i conti economici dell’anno finanziario 2013; Maersk Line è tornata a produrre utili. 21 Il ritorno a questi risultati positivi è stato determinato soprattutto con risparmi sul costo del carburante, ottenuti con ottimizzazione del network, slow steaming, retrofitting (modifiche al bulbo di prora), mentre i vantaggi provenienti dagli eco-ships della classe Triple E sono ancora molto limitati e potranno dispiegarsi solo quando sarà completato il rinnovo della flotta. 22 CMA CGM ha con successo ristrutturato il suo debito ed il Fondo francese d’investimenti (Bpifrance, Banque publique d’investissement) ha dato manforte al magnate turco Yildirim nel riportare a galla la compagnia.23 Di MSC come d’abitudine non si sa nulla, mentre altre compagnie, da Hanjin a Zim, da K Line a Hapag LLoyd, da Cosco a NOL, hanno presentato dei risultati negativi o molto negativi. 24 Hapag LLoyd e CSAV hanno portato a termine la fusione e già si parla di incorporare anche NOL. Per quanto aumentati qua e là, i noli sono rimasti depressi, se ne prevede un leggero miglioramento nel corso del 2014 o una loro sostanziale stabilità. 25 Molto interessanti le dichiarazioni di Rodolphe Saadé alla Conferenza dei Global Liner di Amburgo. Ha osservato che i tre soci della P3 non solo sono tutti europei ma sono tutti tre delle aziende familiari, questo alla lunga é incompatibile con la struttura di governance e con la trasmissione di know how di un’azienda di dimensioni mondiali; inoltre l’industria dello shipping nel container, secondo lui, ormai lavora con dei 20 Lloyd’s List, New normal for global box ports, 16 dicembre 2013. AP Moeller-Maersk A/S, Annual Report 2013 e Group Annual report 2013, presentati il 27 febbraio 2014. Il profitto generato dalla compagnia di navigazione è di 1,5 mld di dollari, grazie a una riduzione del 10% del costo per Feu e malgrado un declino del 7,2% del nolo medio per Feu, la capacità della flotta è rimasta quasi stagnante (+ O,2%) ma il numero delle navi è diminuito. Il gruppo ha beneficiato di circa 3 mld di dollari di disinvestimenti nel settore della GDO e di un altro miliardo circa proveniente dalla vendita di 15 supercisterne (v. Dynaliners 02.2014. Abstract). 22 Max Tingyao Lin su “LLoyd’s List” del 10.04.2014, Maersk sells green virtues as it cuts operating costs. 23 CMA CGM, 2013 Results. Sustained Expansion and Solid Performance, presentati il 31 marzo 2014. Rimane quasi stabile il fatturato (-0,1%), diminuisce l’EBIT del 26,9%, aumentano gli utili grazie alla cessione di una quota di Terminal Link, la riduzione di costo per Teu è del 5,3% ma il fatturato medio per Teu è diminuito del 7,1% con un aumento dei volumi del 7,5%. 24 Interessante l’analisi comparata della struttura finanziaria di due compagnie, come NOL e OOIL, condotta da Drewry Maritime Equity Research, v. “LLoyd’s List”, A tale of two carrier, 7 aprile 2014. NOL ha USD 32 mln di reddito operativo e 45 milioni di interessi sul debito. 25 Freight rate set to improve by Lucy Smith, su “Lloyd’s List” del 1 aprile 2014 21 11 margini così ristretti per cui é necessario un cambiamento del modello di business.26 Saadé però non ha fatto menzione dell’altro fattore di rischio, quello legato ai cambiamenti nella finanza mondiale dello shipping, dove ai tradizionali investitori europei si sono sostituiti gli equity funds americani ed asiatici, che ordinano navi a più non posso, approfittando dei bassi prezzi di costruzione, per rivenderle quanto prima. Ha perfettamente ragione Teo Song Sieng, Presidente del Singapore Maritime Institute, a dichiarare: “Ships are as cheap as they can be… equity funds build vessels so they can sell at higher prices a few years later….. That gets me very worried…You see something like a bubble in real estates and commodities.” La scelta giusta invece è quella di focalizzarsi “on the ‘softer side’ of shipping such as customer service and information technology.”27 E’ quello che andiamo dicendo da tempo. Dopo la bolla un’altra bolla? Nel mondo della finanza dello shipping si assiste ad un cambiamento epocale. Gli investitori tradizionali, colpiti duramente dalla crisi, si ritirano dal settore e cercano di riparare i danni cedendo i loro crediti inesigibili al mercato secondario. Secondo Stoltenberg, del settore finance shipping di Deutsche Bank, nei prossimi due anni le banche dovranno rifinanziare 35 mld di euro di prestiti, 80% dei quali a carico di banche europee.28 HSH Nordbank chiude il 2013 con una perdita globale di 1 mld di dollari, 780 dei quali attribuibili al suo portafoglio nello shipping. Royal Bank of Scotland, Commerzbank, Dansk Skibskredit, Nordea, pur con perdite inferiori, vanno nella stessa direzione ma il vuoto lasciato da loro ormai viene riempito gradatamente dai nuovi protagonisti asiatici e dei paesi del Golfo. Nigel Anton di Standard Charterers, in un’intervista a “Lloyd’s List” del 3 aprile 2014, traccia uno scenario veramente interessante. La sua società, nata dalla fusione di due gloriose istituzioni vittoriane, 26 Janet Porter su « Lloyd’’s List »del 9.04.2014, P3 gears up for July start as carriers wait for China’s approval. 27 Owners urged to avoid allure of cheap money, Max Tingyao Lin su “Lloyd’s List”, 09 aprile 2014. 28 “HSH Nordbank reported 9 billion euros of bad shipping debt, or about 43 percent of its loans to the industry, in fourth-quarter earnings published last week. Non-performing shipping loans at Commerzbank, Germany’s second-biggest bank, amounted to about 3.9 billion euros at the end of 2013, or 27 percent of the 14 billion euros in total lending, according to the company”, Bloomberg News, Shipping banks face increased refinance risk, Deutsche Bank says di Nicholas Brautlecht, 17.04.2014, riportato da www.businessweek.com. 12 nel 2007 non aveva nemmeno un dollaro investito nello shipping, oggi è esposta per 5,5mld. I migliori clienti li ha in Cina, a Hong Kong, in Malesia, negli Emirati, sono operatori specializzati nel dry bulk, nell’off shore, nel settore oil and gas, nei servizi di supporto. Si tratta di un universo di operatori che non si rivolgeva alle banche locali ma si affidava agli specialisti tedeschi, norvegesi, danesi, britannici. Ora che questi sono in ritirata, banche come la DBS di Singapore, la Overseas Chinese Banking Corp, la Maybank malese, sono pronte a rimpiazzarle. Ma non bisogna sottovalutare il ruolo delle istituzioni cinesi, la China Development Bank, l’Industrial and Commercial Bank of China, il China Merchants Bank Leasing, né tantomeno quello delle agenzie di credito alle esportazioni, cinesi e coreane. Sul fronte dei paesi del Golfo, Qatar National Bank, Arab Banking Corp ed altre, magari sotto la regìa di Deutsche Bank, offrono un supporto finanziario alle compagnie marittime locali, come UASC. E per completare il quadro va ricordato che il private equity ha pompato 13mld di dollari nello shipping nel 2013, a fronte di quasi zero nel 2007. 29 Malgrado questa intensa attività ”di sostituzione” da parte del mondo bancario asiatico ed arabo, le banche europee detengono ancora tre quarti della torta nel mercato della finanza dello shipping mondiale, un mercato valutato 475mld di dollari. Cedendo i loro crediti al mercato secondario in USA, le banche europee sembrano aver realizzato buoni affari (si parla di un credito di 100 dollari ceduto a 93). 30 I compratori dal canto loro sperano di realizzare anch’essi lauti guadagni una volta che la ripresa si sia avviata. Essi possono trasformare i loro crediti in quote azionarie delle compagnie che si stanno ristrutturando oppure rivenderli, appena il loro valore aumenta in seguito ad una ripresa del mercato. Ancora una volta, mentre i fondamentali dell’economia reale stentano ad imboccare la via della ripresa, i folletti della finanza accelerano il ritmo delle loro danze. La finanziarizzazione del settore cresce e con essa le aspettative di guadagni a breve termine. E’ appena il caso di sottolineare che ciò avviene in diverse tipologie di traffico meno che nel container, dove la prospettiva di una rivalutazione degli asset sembra lontana. 29 David Osler, Asian and Gulf Banks on the rise in shipping finance, “Lloyd’s List”, 3.04.2014. 30 “Secondary market sales of shipping loans are increasingly commonplace, as many traditional European shipping banks scale back their exposure to the industry. This may well prove to be an important ship finance trend in 2014, driven by growing bank aversion to risk as a result of regulatory pressure and buyer realisation that things are looking up for shipping, and that they have to get on the bandwagon before it is too late. If this is the case, it represents many significant risks to shipowners, who in the worst case could face the loss of their companies if they are in reorganisation”, in David Osler, Growing secondary market for shipping loans, “Lloyd’s List”, 25.03.2014. 13 Il 2014, l’anno della P3 Dopo il via libera all’alleanza P3 dato anche dalle autorità europee, dopo quello della Federal Maritime Commission, le probabilità che si passi dalle parole ai fatti sono aumentate. Quali dovrebbero essere le conseguenze dell’ingresso sul mercato della triplice alleanza? - Una maggiore selezione dei porti - Una maggiore pressione sui terminal in termini di richiesta di qualità del servizio - Una minore regolarità nelle operazioni di handling - Un forte impatto sui servizi di trasferimento delle unità di carico alle destinazioni inland - Un aumento del transhipment - Un riposizionamento dei servizi diretti nel Nordeuropa - Una drastica riduzione dei servizi diretti nel Mediterraneo - Un aumento dei noli con una riduzione dei margini dei grandi operatori logistici (che in questi anni sono stati i maggiori beneficiari della competizione tra compagnie) - Un’ulteriore concentrazione delle compagnie marittime e dei servizi tramite Alleanze (ingresso di Evergreen nella CKYH) o fusioni (Hapag LLoyd e CSAV) o pool management (nel settore delle cisterne e delle gasiere, v. Mitsui Osk Line) - Un altro passo in avanti del gigantismo (CSCL ha ordinato navi da 19.000 Teu). Permanendo l’incognita sui volumi, sembra probabile che l’innalzamento dei livelli competitivi possa cominciare a produrre le prime vittime, con il crollo o perlomeno il ritiro di alcune compagnie dal mercato del container, per spostarsi magari su altri segmenti di mercato in questo momento molto più promettenti dal punto di vista della redditività, come il trasporto di gas liquido. E’ proprio il caso di MOL che, scossa dalla perdita di “MOL Comfort”, la nave da 8.000 Teu che si è spezzata in due prima di inabissarsi con tutto il carico al largo dello Yemen, e dal timore che le altre cinque gemelle subissero analoghi cedimenti strutturali, concentra le sue risorse nel gas liquido con una previsione di ordini per 60 navi (di cui 10 già fissati) in modo da intercettare la domanda dell’industria energetica giapponese e di altri paesi, che conta 14 sui rifornimenti USA, dopo che le esportazioni di gas sono state liberalizzate anche verso paesi che non hanno trattati di libero scambio con gli Stati Uniti.31 In termini di volumi trasportati in container pieni, con 127,02 milioni di Teu il 2013 è stato ancora al di sotto dei livelli del 2011, i container in export sono diminuiti in quasi tutte le direttrici tranne che per l’Europa e il Far East, mentre quelli in import sono aumentati ovunque tranne che in America Latina, dove si è avuta una lieve decrescita. 32 L’andamento dell’import/export europeo sembra indicare una tendenza nettamente positiva (in queste statistiche sono esclusi i traffici feeder, quindi i dati dovrebbero essere immuni dalle distorsioni del transhipment). 31 Mitsui OSK Line plans USD 8,5 bn investment in 60 LNG carriers, by Max Tingyao Lin, su “Lloyd’s List”, 14.03.2014. 32 Dynaliners Weekly, 14 febbraio 2014. 15 Fonte: Dynaliners Weekly, 07 2014. Può darsi che a livello globale ci sia una ripresa ma se l’incremento dei volumi di traffico è modesto, sul 4%, come previsto dai maggiori attori, risulta insufficiente a garantire quella espansione del mercato che può permettere anche alle compagnie più deboli di sopravvivere.33 Quindi, in uno scenario di crescita modesta, chi – come la P3 - dispone di una forza sufficiente a coprire l’offerta sul piano globale e può godere di un livello di efficienza in grado di garantire un differenziale di costo consistente, si trova a possedere un vantaggio competitivo in grado di mettere in grave difficoltà i concorrenti. Andrebbe fatta una riflessione sul fatto che le compagnie in maggiori difficoltà sono tutte appartenenti a paesi del Far East, giapponesi e coreane in primo luogo ma anche cinesi, mentre le società europee sembrano più solide e stringono l’alleanza destinata ad esercitare un’indubbia egemonia. Uno studio di Oxford Economics commissionato dall’European Shipowners Association, riportato da “Lloyd’sList”, ha quantificato l’impatto economico del settore marittimo nell’Unione Europea e nella Norvegia.34 L’industria europea dello shipping impiega direttamente 590.000 persone, 4/5 delle quali a bordo e nell’indotto un altro mezzo milione, contribuisce al PIL europeo con 149 mld di euro. Grecia e Germania sono i due stati con le flotte maggiori. Dal 2005 la flotta ha avuto un’espansione del 70% grazie soprattutto a sovvenzioni e tonnage tax. 33 Nei primi tre mesi dell’anno il traffico container Asia-Europa è stato molto irregolare, iniziato bene a gennaio, è calato fortemente a febbraio per risalire a marzo con un + 13,7% (+ 13,3% Nordeuropea, + 14,1% Mediterraneo e Mar Nero), v. Burke&Novi, “Flash News”, 2 giugno 2014. 34 Janet Porter, State aid and tonnaeg tax transform European shipping, 2.04.2014. 16 Tornando alla P3, sarà interessante vedere come reggeranno all’urto compagnie che hanno puntato su una specializzazione, sia in termini di trade lane che in termini di tipologia di traffico, rinunciando al gigantismo. Il pensiero corre a Hamburg Süd che si è specializzata sui traffici di frutta ed alimentari deperibili, dotando le sue navi di un numero elevatissimo di plug in per i container reefer.35 Ma negli ultimi tempi anche Maersk e MSC avevano provveduto sulle loro navi ad aumentare la capacità di trasporto refrigerato, se uniscono le forze alla CMA CGM nella P3 saranno in grado di mettere in campo un’offerta sul refrigerato alla quale Hamburg Süd da sola farà difficoltà a rispondere. Questo può accadere nel medio periodo, l’alleanza P3 avrà bisogno di un po’ di tempo per rodarsi, nell’immediato l’arrivo massiccio della prima ondata di ULCC nel container36 ha provocato una “cascata” di navi da 8.000 Teu sulle rotte nord-sud, che erano ancora redditizie, deprimendone i noli e creando non pochi problemi ad alcuni specialisti di nicchia, che reggevano bene ed oggi si trovano a doversi leccare le ferite (in Italia ne abbiamo qualcuno). Un altro punto è quello di chiedersi quali scelte farà la P3 in termini di porti di transhipment, in particolare nel Mediterraneo. Finora ciascuna compagnia aveva i suoi, ora che si tratta di accorparli, qualcuno di questi potrebbe saltare.37 Drewry ritiene che si possa parlare di due fasce di porti di transhipment nel West Med: la prima fascia comprenderebbe Malta, Algeciras e Valencia, la seconda Cagliari, Taranto, Malaga e Tanger Med, con Gioia Tauro in bilico tra l’una e l’altra ma con possibilità di finire piuttosto nella seconda, mentre nell’East Med, di fronte all’egemonia di Port Said e del Pireo “cinese”, altri porti come Damietta sarebbero destinati all’emarginazione, mentre Ambarli, porto di destinazione finale, si starebbe affermando anche come porto di transhipment per il Mar Nero. L’universo delle commodities che non viaggia in container Se spostiamo lo sguardo verso altre tipologie di traffico, l’egemonia europea scompare e le compagnie del Far East appaiono in tutta la loro potenza. Se la flotta della P3, una volta ridotta, sarà di 255 navi, la Mitsui da sola possiede 229 petroliere, oltre alle gasiere ed ai product tanker. Stiamo parlando quindi di colossi che non dipendono certo dal mercato del container. Nel dry bulk sembra che si stia raggiungendo un 35 Le navi più grandi della compagnia, della classe “Cap San”, da 9.600 Teu, sono dotate di 2.100 attacchi per container reefer, v. PORTnews, 04-2014. 36 ULCC può stare per Ultralarge container, car o crude carrier. 37 Drewry, Container Forecaster, 3Q13, pp. 10-13. 17 maggior equilibrio, favorito da una crescita della domanda, dopo l’enorme divario tra flotta in esercizio e flotta in ordine di qualche anno fa. Fonte: www.hellenicshippingnews.org Gli osservatori riportano segnali positivi anche per quanto riguarda i grandi mercati del minerale di ferro e del carbone, che nell’ultimo decennio hanno segnato una forte concentrazione. Per il minerale di ferro Australia e Brasile rappresentano l’origine del 71% dei flussi, Cina e Giappone il 75% delle destinazioni, per il carbone Australia e Indonesia costituiscono il 65% delle esportazioni, Europa, Cina e Giappone insieme il 53% delle importazioni. 38 Ma proprio l’estrema concentrazione dei flussi fa sì che eventuali sommovimenti di natura politica nei paesi grandi esportatori o importatori producano uno sconquasso che si ripercuote a livello globale.39 E’ il caso dell’Indonesia, maggior esportatore mondiale di nickel ed uno dei maggiori di bauxite, che ha posto delle restrizioni all’esportazione di unprocessed nickel ore in quanto intende salvaguardare da un lato la sua industria mineraria e dall’altro appropriarsi delle fasi di prima lavorazione. E’ il caso dell’Ucraina e delle tensioni nella regione del Mar Nero, che rischiano di avere dei contraccolpi sull’esportazione di cereali e sulle esportazioni di urea (il 6% dell’export mondiale di questo prodotto proviene dall’Ucraina). E’ il caso 38 Logistique et transport de vracs, sous la direction de Yann Alix e Romuald Lacoste, edizioni EMS, Cormelles-le-Royal, 2014. 39 “I traffici di rinfuse secche in Asia sono sempre più influenzate dalle politiche dei governi, India e Indonesia in particolare, piuttosto che da offerta e domanda di mercati”, in “Flash News”, Burke&Novi, 12 maggio 2014. 18 del carbone colombiano. Lo scontro titanico che ha opposto il produttore brasiliano Vale e il sistema siderurgico cinese, l’installazione di terminal di transhipment (da Valemax a Capesize) nelle Filippine a Subic Bay e in altre località mondiali, hanno messo in evidenza come il problema del gigantismo nel dry bulk investa ormai l’Africa dopo la Cina e il Giappone. 40 Secondo Alix e Lacoste solo Rotterdam e Taranto sembrano in Europa in grado di poter accogliere una nave di classe Valemax. Dietro ci sono gli interessi della Cina come potenza mondiale che, se da un lato non vuole dipendere totalmente da un fornitore anche sul piano del trasporto, dall’altro non intende subire delle limitazioni alla sua politica di espansione neo-coloniale in Africa. Quanto questi turbamenti del mercato possano aver influito sul crollo dei noli delle Capesize e sulla buona tenuta di quelli delle Handysize non è chiaro. “Gli ultimi anni sono stati a memoria d’uomo i più duri per i proprietari di cisterne”, ha dichiarato un esponente della società Banchero&Costa a “LLoyd’s List”, dopo la presentazione di un rapporto in cui si sottolinea la contraddizione tra un mercato delle Very Large Crude Carrier che non dà cenni di ripresa e una nuova ondata di ordini, tanto che, scherzando, “Lloyd’s List” si chiede se l’acronimo VLCC non stia per Very Large Crisis Coming.41 La volatilità dei noli ha raggiunto livelli impressionanti, si passa da 60.000 USD/giorno a 10.000 per un voyage charter.42 Ma la riapertura dei terminal libici apre nuove prospettive. Anche il mercato dei product tanker che si era animato per le lunghe distanze dall’Africa all’Asia può essere soffocato sul nascere se ritorna la sovracapacità. Questo è un segmento in grande trasformazione man mano che si ridisegna la mappa delle raffinerie a livello mondiale.43 A metà aprile George Iliopulos, un broker intervistato da www.hellenicshipping, così sintetizzava la situazione del primo trimestre 2014: “se cerchiamo di riassumere la situazione in termini di noli marittimi dobbiamo dire che il mercato del Dry Bulk non ha risposto alle alte aspettative seguite al mini rally della fine del 2013, ma al tempo stesso c’è un sacco di gente che crede fermamente che il mercato avrà una ripresa nel 2014 e che i noli andranno all’insù. Segno di questo ottimismo è il fiorente mercato dell’usato che coinvolge anche navi con una certa anzianità (…) se si guardano le cose 40 Lo scontro nasce dal rifiuto in un primo tempo delle autorità cinesi di accogliere navi giganti della classe Valemax, costringendo il gruppo minerario brasiliano che le detiene a escogitare dei terminal di transhipment e dei terminal flottanti di allibo. 41 Is a Very Large Crisis Coming?, Hal Brown su “Lloyd’s List” del 14 aprile 2014 42 Volatility is the watchword for VLCCs this year, Hal Brown su “Lloyd’s List”, 11 febbraio 2014. 43 Long-haul product tanker trades shrouded in uncertainty, says Poten, Hal Bown su Lloyd’s List”, 17 marzo 2014. 19 da vicino si può osservare che, a parte le navi di proprietà giapponese, quelle che vengono messe in vendita sono state acquistate a prezzi assai bassi nel 2012 e 2013, quindi c’è chi aspetta di fare dei buoni guadagni rivendendole. Una Panamax di sette anni, venduta a 18 mln di dollari l’agosto scorso può raggiungere i 26 mln di dollari sul mercato dell’usato oggi. Quindi se i noli in effetti rimangono depressi il valore degli asset non ha seguito lo stesso andamento.” Secondo VesselsValue.com nel 2013 sarebbero stati conclusi 578 passaggi di proprietà nell’usato per un valore complessivo di 7.386mln di dollari. La parte del leone spetta all’armamento greco che ha rafforzato la sua posizione in testa alla classifica mondiale. Segnali interessanti giungono da quelli che vengono considerati mercati di nicchia o ad alta specializzazione, come il mercato dei chemical tanker per il trasporto di acido solforico, acido fosforico, olio di palma, metanolo, toluolo, benzene, stirene, xilolo sulle rotte Medio Oriente-Asia, Rotterdam-Asia, Houston-Asia e Singapore-Rotterdam, Sudest asiatico-Europa.44 Particolarmente promettenti le prospettive dei traffici di olio di palma. Secondo Banchero e Costa citati da Lloyd’s List, le navi in ordine rappresentano solo il 5% della flotta esistente e l’8% del tonnellaggio esistente, con una crescita del mercato prevista tra il 4 e il 5% per il 2014 e 2015. Ormai la flotta di navi specializzate, secondo Burke&Novi, avrebbe superato le 400 unità, mentre altre 120 sono in ordine. 45 Sono navi costose che richiedono cantieri specializzati i quali, secondo DVB Bank, non riescono a strappare margini sufficienti dato l’attuale livello dei prezzi. Che dire di fronte a questo panorama per certi aspetti inquietante, per altri stimolante? La finanziarizzazione del mercato delle commodities sommata a quella dello shipping producono una situazione di instabilità permanente, alla quale tuttavia il settore è abituato sin dalla nascita, si potrebbe dire. Il Vecchio Continente si trova in una posizione che rischia di diventare sempre più marginale rispetto ai grandi flussi delle direttrici di traffico più importanti, la Cina, la Russia, gli Stati Uniti, le tre superpotenze si giocano una partita planetaria, nella quale il ruolo della finanza diventa sempre più decisivo. Orizzonti nuovi si schiudono invece su settori come quello del gas liquido, un mercato che è riservato ai pochi in grado di sopportare i necessari investimenti. La portualità italiana ha degli operatori con un ottimo know how nel settore delle commodities, affiliati o meno a grandi gruppi ma con volumi 44 45 Smart money moves to chemical tanker market, “Lloyd’s List”, 26 marzo 2014. “Flash News”, cit.. 20 modesti. Il cluster marittimo-portuale invece, a livello di broker, di agenti, di proprietari di naviglio e di società di logistica (Coeclerici è un esempio) può schierare delle imprese di livello mondiale. La regolazione, la sicurezza, l’ambiente Di fronte all’accresciuta sensibilità delle popolazioni per i problemi ambientali, di fronte agli evidenti disastri prodotti dai cambiamenti climatici, le autorità di regolazione si sentono legittimate, spesso su pressioni degli stessi governi, ad assumere provvedimenti ed a proporre normative più severe, che incidono pesantemente sui costi operativi delle compagnie di navigazione. Ormai stanno entrando in vigore le nuove normative riguardanti l’acqua di zavorra e l’utilizzo di combustibili a basso contenuto di zolfo nelle aree SECA, si sta per trovare un accordo con i caricatori e gli spedizionieri per pesare i container prima dell’imbarco, 46 le stesse organizzazioni sindacali oggi sono più esigenti man mano che la conflittualità nel settore dei trasporti in generale aumenta di anno in anno, segno che le condizioni di esercizio della prestazione lavorativa sono tutt’altro che soddisfacenti. Il rispetto delle norme dell’Allegato VI del MARPOL potrà avere conseguenze rilevanti sulle compagnie le cui navi percorrono il Baltico, il Mare del Nord, l’English Channel, le coste dell’America del Nord e le acque dei Carabi. Il costo dell’utilizzo di combustibili a basso contenuto di zolfo, l’installazione dei dispositivi per l’abbattimento dei gas esausti (scrubber), le eventuali modifiche ai motori, ai serbatoi, alle caldaie, così come la necessità di ricorrere a personale di bordo con una maggiore competenza nelle operazioni di fuel switching – sono tutti elementi che possono avere un’incidenza rilevante sui costi. Secondo “LLoyd’s List” non sembra che né gli stati interessati né soprattutto l’armamento abbiano chiara consapevolezza che le norme entreranno in vigore alla fine dell’anno in corso, e che debbono trovarsi preparati ad applicarle e farle applicare.47 Ed è sempre dovuto alla maggiore cautela delle autorità di regolazione se 46 Janet Porter, IMO gives go-ahead to mandatory container weight checks, “Lloyd’s List”, 19 maggio 2014. 47 “The majority of ships operating in, or periodically entering, an emission control area do not have an exhaust gas cleaning system, a scrubber, so will be forced to use fuel that has less than 0.1% sulphur content. These are distillate fuels and on average about $300 more expensive per tonne than the fuel oils that can now be used in ECAs”, in Craig Eason, Get tough on SOx rules enforcement, “Lloyd’s List”, 14 maggio 2014. 21 la P3 invece di iniziare i servizi congiunti a luglio, come preannunciato in varie occasioni, deve ora rimandarli all’autunno. 48 Occorre rendersi conto che lo shipping ormai non può più vivere di rendita sull’affermazione di essere la modalità più sostenibile, tesi questa che fino a cinque/sei anni fa sembrava indiscutibile ma che oggi viene messa in discussione continuamente, si veda l’ultima ricerca Enea sulle emissioni da combustibile marino nel Mediterraneo. Nell’opinione pubblica si è affermata una visione diversa dello shipping, è inutile contrastarla con campagne di comunicazione, occorre prendere dei provvedimenti e cambiare il modus operandi. Purtroppo le normative che impongono dei vincoli sono spesso redatte da personale tecnicamente impreparato e rischiano di risultare gravose e inutili sul piano pratico. Non sempre però le preoccupazioni di ordine ambientale portano ad un aggravio dei costi industriali. Maersk Line, impegnandosi nella riduzione delle emissioni a livello di CO2, applicando su larga scala lo slow steaming, modificando il bulbo di prora in decine di sue navi, ha ottenuto un forte risparmio sul consumo e sui costi di carburante, ciò che in definitiva gli ha consentito di tornare a fare utili. Ci auguriamo che la rivoluzione energetica che si profila con un impiego massiccio di combustibili meno inquinanti, in particolare con il gas, possa portare ad un miglioramento complessivo della sostenibilità ambientale. I pesanti investimenti necessari saranno un banco di prova per la sostenibilità economica di molte relazioni di traffico. Talento e competenza, fattori di successo e di civiltà In un contesto di tale complessità, occorre avere grande talento, spregiudicatezza e fortuna per riuscire ad offrire all’armamento un servizio all’altezza dei tempi difficili che stiamo attraversando. Il settore marittimo-portuale è un settore capital intensive per definizione, una nave è un hardware che s’impone per le sue dimensioni fisiche, analogamente un porto, che è una struttura invasiva, spesso difficilmente conciliabile con un sistema urbano. Oggi invece, qui a Trieste, ci troviamo a dover affrontare i problemi di gestione di una risorsa immateriale, di una competenza professionale che rientra a pieno titolo nell’economia della conoscenza, quindi ci dobbiamo muovere su un terreno affascinante e al tempo stesso insidioso, perché i suoi contorni sono sfumati ed i parametri della sua economics incerti. Affascinante perché l’economia della conoscenza ci permette di mettere l’uomo, la risorsa umana, al centro. Affascinante perché il sistema delle professioni, il loro statuto, è uno dei problemi più complessi 48 Janet Porter, P3 delays start date from July until the autumn, “Lloyd’s List”, 21 maggio 2014. 22 che deve affrontare una civiltà in termini di formazione e manutenzione dei saperi, in termini di riconoscimento della proprietà intellettuale. Affascinante perché il sistema delle professioni è sempre stato l’asse portante della civiltà borghese, la vera spina dorsale della cultura borghese dell’Occidente. 49 Il primo ad aver tentato una definizione di economia della conoscenza e ad aver coniato la parola knowledge worker è stato un viennese emigrato in America e diventato uno dei massimi profeti della cultura del management, autorità indiscussa in tutte le business school, Peter Drucker, “the man who invented the management” come lo definì Business Week. Aveva cominciato la sua carriera ad Amburgo, lavorando da un trader del cotone, l’ambiente marittimo-portuale, il mercato delle commodities gli erano dunque familiari. Ma i suoi biografi riportano una riflessione che egli aveva fatto dopo aver ascoltato le lezioni di Keynes a Londra, “capii che Keynes ed i brillanti studenti che frequentavano dei suoi corsi, erano interessati al comportamento delle merci, while I was interested in the behaviour of people”.50 E’ dalle persone che si deve partire se si vuol portare a buon fine un progetto imprenditoriale. Diventato consulente delle maggiori multinazionali americane, Peter Drucker fu tra i primi a cogliere la portata della rivoluzione informatica ma invece di diventare una delle tante vittime dell’ideologia tecnocratica, invece di propagare la falsa credenza che la macchina può sostituire il cervello dell’uomo, egli approfondì ulteriormente la sua riflessione sulle competenze professionali, convinto che qualunque hardware funziona solo se segue le istruzioni di un software. Ho richiamato queste considerazioni generali sul lavoro di conoscenza perché la professione di agente marittimo mi pare contenga in sé alcune delle peculiarità più interessanti di questo modo di lavorare, nato inizialmente come attività di professionisti indipendenti o individuali e sviluppatosi sempre più in forme aziendali con crescente grado di complessità, dove occorrono doti di manager, capacità di governo delle risorse umane, oltre che competenze tecniche specifiche. Come tutte le 49 Il sistema delle professioni e le problematiche della knowledge economy formano il mio secondo ambito d’interessi accanto a quello su trasporti e logistica; mi permetto pertanto di rimandare alla raccolta di saggi “Il lavoro autonomo di seconda generazione”, Feltrinelli Milano 1997, a cura di S. Bologna e A. Fumagalli, al volume “Ceti medi senza futuro?”, Derive&Approdi, Roma 2007 ed al più recente “Vita da freelance. I lavoratori della conoscenza e il loro futuro”, di S. Bologna e D. Banfi, Feltrinelli, Milano 2011, in particolare il secondo capitolo “Da gentiluomini a mercenari. L’ideologia del professionalismo e la sua crisi” (pp. 4587). Questo spiega il mio impegno associativo nell’Associazione Consulenti Terziario Avanzato (www.actainrete.it) ed a livello europeo nell’European Forum of Independent Professionals (www.efip.org). 50 www.druckerinstitute.com 23 attività di servizio, è un mestiere, quello dell’agente marittimo, che richiede grandi doti relazionali, contraddistinto dall’ampiezza dell’orizzonte in cui deve operare, un orizzonte veramente planetario, fatto di migliaia di segmenti di mercato, ciascuno con le proprie caratteristiche, si tratti della tipologia di commodity, di nave, di trade, di porto, si tratti di mercato del lavoro marittimo o di quello delle forniture di materiale specializzato. Un orizzonte che permette però a questa professione, come ad altre del cluster marittimo, di sfuggire alla morsa, ai condizionamenti di una situazione locale, privilegio questo particolarmente prezioso se la situazione locale, come quella italiana oggi, è di crisi strutturale. La premessa che un’attività che richiede competenze specifiche possa svilupparsi nel tempo e consolidare la propria posizione nell’economia di un territorio dipende in gran parte dal sistema educativo e della formazione professionale. Nel caso specifico, io mi chiedo però se il punto critico è la formazione professionale in senso stretto – qui alcuni passi avanti si sono fatti con l’istituzione degli istituti tecnici di logistica oppure quella che Drucker chiamava la allgemeine Bildung, la formazione di cultura generale, dove per cultura generale io intenderei anche la conoscenza delle leggi o almeno del perché della logistica. I giovani d’oggi sono abituati a percepire la globalizzazione attraverso il filone turistico, attraverso la facilità di spostarsi da un luogo all’altro del pianeta, io penso invece che senza un’infarinatura di quel che significa “logistica” sia difficile capire sia il mondo della produzione che quello del consumo oggi e ritengo che qualunque professione del cluster marittimo-portuale avrebbe da guadagnare se potesse muoversi in un habitat dove la logistica facesse parte del senso comune. L’altro valore che uno sviluppo adeguato delle professioni deve essere in grado di riconoscere è l’etica, non solo quella, ovvia, che ci riporta ai codici deontologici – ma che è sancita in maniera sintetica però sufficientemente chiara anche dall’art. 2222 del Codice Civile – bensì l’etica intesa come responsabilità sociale dell’impresa, terreno questo assai delicato in particolare quando entriamo nella sfera del settore dell’armamento navale, dove purtroppo persistono, a danno delle imprese migliori e più innovative, di quelle maggiormente rispettose delle norme tecniche e dei regolamenti internazionali, dei comportamenti che non esiterei a definire criminali. Ed è da qui che vorrei partire per soffermarmi brevemente sulla situazione del mercato marittimo-portuale, nel quadro della regolazione europea ed internazionale. Noi viviamo oggi nell’epoca dell’idolatria del mercato ma al tempo stesso vediamo 24 riprodursi dei comportamenti che lo stanno uccidendo, comprensibili quando si parla di “spiriti animali” meno comprensibili quando si parla di scelte politiche. Dopo un periodo di prolungata stagnazione l’economia marittima sembra ripartire, trainata dalla ripresa di certe correnti di traffico e da certe innovazioni, in particolare nel campo dell’energia. Ma su questa ripresa incombe la minaccia di una situazione nella quale la presenza di nuovi attori può determinare dei turbamenti che rendono ingestibile un’azione degli operatori – e sono la maggioranza – che lavorano ancora seguendo dei criteri, appunto, di mercato, cioè le leggi della domanda e dell’offerta. Il pericolo che corre oggi il settore marittimo, anche se non è il solo, è quello che la sua finanziarizzazione cresca al punto da raggiungere un grado di trasparenza (o d’intelligibilità) pari a zero perché offuscato dalle pratiche puramente speculative di nuovi soggetti che si sono sostituiti a quelli finanziari tradizionali. L’industria dell’armamento e i settori ad essa connessi avrebbero potuto godere di una prosperità senza precedenti nell’epoca della globalizzazione se non avessero avuto l’imprudenza di danneggiare se stessi con un’offerta di stiva del tutto inadeguata alla domanda, in un circolo vizioso fatto di facilitazioni fiscali avventate e sovvenzioni alla cantieristica impudenti. Quello che mi preoccupa, in una situazione in cui l’investimento invece di essere buona pratica imprenditoriale diventa gioco d’azzardo, è la svalorizzazione delle competenze che ciò comporta con sé, perché si crea un habitat del tutto ostile allo sviluppo dell’economia della conoscenza, dove quello che conta è la qualità di un processo decisionale a supporto di un’attività economica, non la posta di una scommessa su un tavolo da gioco. L’appello quindi alla responsabilità sociale dell’impresa non diventa un fervorino edificante ma una necessità, pena la definitiva sparizione dell’assetto sociale che bene o male ha retto dall’Ottocento ad oggi. Simmetricamente devastante rispetto alla speculazione sugli asset è la spinta alla deregulation che troppo spesso avviene da parte delle autorità politiche, si pensi – per non andare lontano - alla situazione oggi nell’autotrasporto europeo. Per anni abbiamo dedicato sforzi e risorse in modo da favorire l’aggregazione delle imprese, in modo da promuovere la creazione di aziende strutturate dotate di capitali da investire in mezzi e sistemi di controllo per diventare partner importanti dell’impresa industriale ed oggi con la liberalizzazione selvaggia, con la mancanza di controlli sul cabotaggio, abbiamo creato una situazione dove le prime a soffrire sono proprio le aziende più strutturate, quelle con i rapporti più stabili con il personale, i mezzi più moderni e i sistemi di controllo delle operazioni più sofisticati. Situazione questa che oltretutto innalza le barriere all’ingresso nell’intermodalità, proprio nella fase in cui l’autotrasporto aveva 25 scoperto i vantaggi di allearsi con la modalità ferroviaria. Il caso dei traffici portuali di Trieste è un caso da manuale in questo senso. L’impresa dunque, dove la risorsa umana è al centro, dove qualità e innovazione sono chiavi del successo e driver della competitività, va preservata dalle incursioni sia dei professionisti della roulette finanziaria che dei negrieri del mercato delle braccia. Questo è il discorso che manca nei progetti di riforma della portualità italiana e che è mancato del tutto nella discussione di questi anni a proposito di portualità. Con l’occhio distorto da un’eccessiva attenzione al mercato del container, inebriandosi con il sogno di progetti faraonici, parlando solo di grandezze fisiche e mai di conti economici, si è data enorme importanza al problema della governance e non si è prestata la dovuta attenzione all’impresa terminalista. I porti crescono quando le banchine sono gestite da soggetti che investono, i porti possono crescere quanto più spazio viene dato a questi soggetti e quanto meno viene lasciato a chi vegeta su rendite di posizione. Il demanio portuale è una risorsa scarsa, già i canoni sono quattro volte inferiori a quelli di un Interporto, se poi il concessionario, invece di rispettare il business plan che ha presentato ed in virtù del quale ha ottenuto il godimento di un bene pubblico, tira semplicemente a campare, il risultato non può che essere una perdita di competitività dell’intero sistema. Invece di chiedere semplicemente il prolungamento delle concessioni attuali sarebbe più opportuno fare un’analisi dettagliata dei conti economici delle imprese terminaliste e delle imprese autorizzate ad operare in ambito portuale, qualcosa sulla falsariga di quella benemerita ricerca che Mediobanca ripete ogni anno sui conti economici di 2035 aziende italiane. Chi investe nei porti italiani guadagna, eccome, la redditività delle filiali italiane di grandi gruppi stranieri, si tratti di PSA o di Eurogate, sta a dimostrarlo. Ma per favorire l’ingresso dei gruppi più disponibili all’investimento e all’innovazione c’è un solo modo: dare certezza del diritto. Questo significa forse abrogare centinaia di leggi contraddittorie e sostituirle con poche norme chiare, significa forse ricentralizzare processi decisionali che si sono decentrati – purtroppo il federalismo in Italia ha portato più danni che vantaggi – significa avere il coraggio una volta per tutte di fare scelte di piano. In mancanza di questo, l’accorpamento di Autorità portuali non risolve nessun problema. Giusta invece la volontà di integrare il porto nel tessuto logistico terrestre, i porti italiani sono destinati al definitivo declino se servono soltanto il mercato interno, debbono forzatamente allungare i propri tentacoli e “pescare” su terreni contendibili con altri porti europei. Allora perché non cominciare dal tessuto logistico rappresentato dalla ferrovia? Proprio Trieste sta dimostrando che 26 è possibile conquistare nicchie di mercato distanti 450 chilometri da Anversa, lo sta dimostrando con il container ma soprattutto con il Ro Ro, e questo è la prova ancora una volta che abbiamo sbagliato a leggere le dinamiche della portualità solo con la lente del container, dimenticando che nei traffici Inframed, quelli da cui ci si aspetta la crescita più elevata, le navi RoRo, ConRo e multipurpose hanno molto da dire. Poiché siamo a Trieste, merita dare un’occhiata a questo grafico, elaborato dalla società AIOM (Agenzia Operatori e Imprenditori Marittimi), dal quale si vede che i porti collocati più a est nell’arco nordadriatico (Trieste, Koper, Rijeka) hanno avuto nella movimentazione container espressa in Teu una crescita di gran lunga superiore a quelli collocati ad ovest (Ancona, Ravenna, Venezia). Concentrare la riforma su tutti gli aspetti riguardanti la modalità ferroviaria avrebbe significato fare un passo avanti notevole nella costruzione di un rapporto integrato ed 27 efficiente tra porto e tessuto logistico, perché questo è il terreno su cui si riscontrano le maggiori carenze anche in porti d’interesse strategico, come Genova, Livorno, Savona. Concludo riprendendo ancora il tema dell’economia della conoscenza e del valore insostituibile delle competenze professionali. Su questo terreno non faremo un passo avanti se non troveremo il modo di migliorare la condizione e l’accesso al mercato del lavoro della popolazione che esce dalle nostre scuole e dalle nostre università. A leggere i dati dell’ultimo rapporto Istat ed in particolare il capitolo 3 dedicato al mercato del lavoro, sembra di leggere un bollettino di guerra.51 La crisi ci ha lasciato come eredità un ammasso di macerie. Sbarazzarcene non possiamo, ignorarlo sarebbe come mettere la testa sotto la sabbia. Non basta lavorare sulla qualità della formazione – tra l’altro proprio nel caso delle agenzie marittime la formazione sul campo è talmente importante da richiedere al neoassunto piuttosto una buona preparazione di cultura generale che una specifica formazione tecnica. Occorre creare un quadro istituzionale dove la risorsa umana si senta valorizzata e relativamente garantita. Prima di dedicarmi all’insegnamento io ho trascorso un paio d’anni in un’azienda fondata da un certo Adriano Olivetti, occupandomi della comunicazione di un settore nato da poco, il settore elettronico. Era un ufficio fatto d’intellettuali ben pagati, rispettati, lasciati liberi di “creare”, sollevati anche da certi obblighi disciplinari del tutto ovvi in un sistema aziendale, come la timbratura del cartellino. Era sottinteso però che ciascuno doveva dare il meglio di se stesso. E lo dava, naturalmente, come fosse ovvio che così doveva essere. Per questo eravamo leader in Europa. Non può dare il meglio di se stesso chi è pagato mille euro al mese per otto, dieci ore di lavoro giornaliere cinque e talvolta sei giorni alla settimana, per chi passa da un rapporto precario a un altro, per chi ha la sensazione sgradevole che aver studiato non conta niente. Se il cluster marittimo-portuale italiano può contare su aziende che godono di un prestigio internazionale o che operano in prima linea sui mercati globali ciò è dovuto più al talento, al coraggio e alla rapidità d’intuizione degli uomini che alla disponibilità di grandi capitali. Non è un caso che l’Italia primeggi nelle imprese di media dimensione dove il fattore umano è di gran lunga più importante della macchina organizzativa. Cerchiamo di non farlo deperire questo patrimonio, creiamogli un habitat normativo, culturale, politico dove possa svilupparsi e dare il meglio di sé. 51 Istat, Rapporto Annuale 2014, La situazione del Paese, Roma, 28 maggio 2014, pp. 280. 28 Sergio Bologna 29