Assemblea sull`esperienza della caritativa

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Assemblea sull`esperienza della caritativa
Catania, 28 Febbraio 2015
Via Consolazione 115, h. 15:30
Assemblea sull’esperienza della caritativa
“Uno che capisce cos’è la domanda, sente subito quello che domanda l’altro, non
può stare fermo se l’altro ha bisogno, lo aiuta gratuitamente: si chiama carità.
Ma uno che non sente il bisogno, che non vive il dolore del bisogno, non capisce
che l’altro ha bisogno e in questo caso anche se fa beneficenza, l’altro è
strumento di un suo progetto, per esempio di stare con l’anima in pace. Mentre
il progetto vero dell’uomo, non è l’anima in pace, ma l’uomo felice.”
(Don Giussani)
* Come la “caritativa“ ti sta aiutando a prendere sul serio il tuo cuore, il tuo
desiderio di bene e di felicità?
* “Vivere è condividere” andiamo in caritativa per imparare questa legge
dell’esistenza. In che misura la condivisione comincia a diventare una mentalità,
una dimensione che dà forma a ogni aspetto della nostra vita?
Racconta degli esempi, esprimi le difficoltà che vivi, avanza delle proposte,
perché divenga più chiaro e operativo lo scopo per cui viviamo questo gesto.
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GRAZIELLA: Abbiamo incontrato una sera i ragazzi più grandi, adolescenti del quartiere, con cui
facciamo più fatica nel seguirli, perché si ritrovano disorientati, se non addirittura schiacciati dal
dissesto umano dentro cui solitamente si trovano a vivere. Abbiamo parlato di noi, delle domande
più vere che si ritrovano nel cuore, fino ad arrivare a proporre loro il Triduo Pasquale di GS.
Ho avuto più chiaro il significato del nostro stare nel quartiere, la portata del compito cui siamo
chiamati. Nei ragazzi è come se per un istante si fosse squarciato un velo e hanno scoperto se
stessi, la grandezza del proprio “io”. “Se non ci sto io con lui, chi ci sta?” faceva dire Fellini a
Gelsomina nel film “La Strada”. Sento che è così per me e per i miei amici.
Per arrivare a questo è richiesta l’offerta di sé, della propria vita, la coscienza che è Cristo Colui a
cui sto donando me stessa. Mi ritrovo a chiedere “il dono del pianto” come ci continua a dire papa
Francesco, per il dolore, per la contrizione nei confronti del mio male e per tutta la sofferenza che
avverto attorno a me.
GIOVANNI: Quello che più mi definisce in questo periodo facendo caritativa è il capitolo “ La
coscienza di essere amati” in “Le ragioni della carità” soprattutto quando Giussani afferma:” Non
possiamo condividere, vale a dire non possiamo porre la nostra presenza come parte della
presenza di un altro, non possiamo spalancare la nostra presenza ad accogliere la presenza di un
altro, se innanzitutto noi non ci sentiamo accolti,se noi non ci sentiamo amati. Uno se vive, è
perché è voluto;se esiste, è perché è amato”.
Ho visto questo in molti fatti ma vorrei raccontarne tre.
1-Nella circostanza della preparazione alla festa di carnevale,io ero molto preso e gasato perché
sentivo di fare del bene. Infatti dopo avere preparato la storiella degli astronauti ero anche molto
contento. Però mancava qualcosa. Mancava il fatto che questo mio desiderio non è stato
paragonato con la realtà, cioè con i bambini e i miei amici. Sembrava come se io avessi fatto la
cornice di un quadro ma mancava il quadro,il contenuto. Quando la domenica ci siamo visti
insieme ai bambini, quello che ho visto è che non gliene importava nulla della storiella(anche
perché non era stata condivisa con loro,fatta con loro),ma che loro volevano stare semplicemente
con noi.
Questo impatto che ho avuto con loro mi ha spostato completamente lo sguardo,che prima era
tutto su di me e su quello che dovevamo preparare,come se stessi cercando la performance della
festa , e poi accorgendomi del desierio di quei bambini, che volevano condividere la loro vita con la
mia,con la nostra. Ma perché?cosa vedono?
Mi sono accorto che per me non sono più i bambini della caritativa, ma sono come miei
fratelli,parte della mia famiglia perché si conivide un amicizia al Destino. Si è palesato anche dopo
la festa di Carnevale, perché non mi sono mosso per risolvere i problemi infiniti dei bambini o delle
famiglie, ma perché attraverso me,attraverso noi si mostra l’Amore che ha preso la mia vita ed è
questa l’unica vera compagnia per me e per loro.
2-Il secondo fatto che mi è capitato è stato l’incontro con Nadia la mamma di Becher. Loro sono
una famiglia musulmana e le prime volte che andavo a trovarli e a dare la busta erano davvero
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molto diffidenti. Poi con il passare del tempo e soprattutto con la nascita di Hannan io sono andato
ad aiutarla all’ospedale e vedere di cosa avesse bisogno. Quando tornò a casa un giorno cominciò
tutto in una volta a chiedermi un sacco di cose,dai pannolini ai soldi! Io le ho risposto: “scusami ma
perché non provi a chiedere ai tuoi amici della moschea?” Lei mi risponde con uno sguardo
veramente grato: “io con voi posso chiedere,lì no”.
Questo mi ha colpito perché lei ha riconosciuto in me una presenza buona nella sua vita. Sempre lei
mi ha fatto domandare : “ ma Chi è che mi fa in questo momento?”
3-Il terzo fatto che voglio raccontare è che io insieme a Graziella,Ester e Salvo abbiamo proposto
gli esercizi spirituali di Rimini a Patrick,Elisabetta,Luca e anche a mio fratello. Quando Graziella me
l’ha detto per la prima volta ho capito che era un passo da fare, non solo per i ragazzi ma anche
per mio fratello. Fino a qualche tempo fa avrei pensato: ‘ ma no?! Ma che possono capire?!’
riducendo la questione in modo molto razionalistica,cioè escludendo l’intervento di un altro e la
possibilità. Invece questa volta mi sono chiesto: “ ma se questi ragazzi che seguiamo da tempo non
percepiscono la fonte per la quale noi adulti ci muoviamo a fare caritativa,io perdo,Cristo perde!”
Li abbiamo contattati e abbiamo preso della buona cioccolata calda in un bar fino a quando
Graziella introduce chiendogli:”ma voi state vivendo la vita vera? Cioè la vita secondo il vostro
desiderio?”
Da questa domanda in loro è entrata una nuova possibilità che ha spalancato un orizzonte che
prima non avevano!E si vedeva dalle lore facce. Sono usciti dopo con tante domane serie e
concrete,anche da parte di mio fratello Federico,che non mi sarei mai aspettato! Ma innanzitutto
per la prima volta avevano qualcuno a cui dirle e affidarle.
Accadeva in quel momento ciò che era accaduto a me la prima volta,l’ho riconosciuto
immediatamente,perché riconoscevo in me un fibrillare del cuore che sussurrava: “ la vita vale la
pena viverla perché ci sei TU! E viverla così è la Vita Vera!”
Questo mi fa riconoscere due cose:
1-Non importa ciò che faccio o ciò che farò nella vita, ma di Chi sono mentre faccio le cose dentro
la vita.
2-Cresce sempre più in me la responsabilità educativa verso i ragazzi, perché non presentare in loro
la possibilità della Vita Vera è paragonabile ad un aborto, perché vedi morire in te ciò che ti ha
preso e quindi la vita muore.
Questo non significa fare il super insegnante di vita, ma scovare nella vita dell’altro quello che fa
sussultare il mio cuore.
LORENZO: Sono ben note le mie difficoltà nell’approcciarmi al gesto della Caritativa, tanto a me
quanto agli altri, considerato che è davvero difficile nasconderle. Devo però riconoscere che spesso
tendo ad ingigantire queste difficoltà facendole prevalere sulla mia disposizione a partecipare di
questo gesto, e dimenticando, quindi, quello che realmente accade in quelle 3 ore settimanali che
dedico ai ragazzi. E quello che mi viene chiesto. In altri termini, mi sono accorto che
concentrandomi sui miei limiti riduco già a monte la possibilità di stupirmi in quel luogo,
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misurando, moralisticamente le mie capacità (e non ci vuole un’analisi particolarmente accurata
per capire che le mie capacità sono davvero poche). Qualunque mio pensiero e riflessione
introspettiva viene, in realtà spazzata via da quanto accade.
Credo, infatti, che l’articolo di Carron sul Corriere calzi a pennello sulla domanda che viene posta
per l’incontro di oggi: proprio la lettura di questo articolo mi ha fatto aprire gli occhi su un episodio
che fino a poco tempo fa “snobbavo”. Venerdì scorso (giorno in cui, peraltro, andavo di fretta)
mentre provavo a fare studiare Giacomino vedo Vittorio litigare furiosamente con Micael, al punto
di allontanarsi nell’altra stanza. Vista la scena mi dirigo verso Vittorio per rimproverarlo e con
grande sorpresa lo trovo invece in lacrime. Immediatamente chiedo spiegazioni e Vittorio mi inizia
a raccontare che suo nonno (al quale è strettamente legato, costituendo, sostanzialmente, una
sorta di figura paterna) è ricoverato all’ospedale di Taormina perché gravemente malato. Dopo
avermi spiegato la situazione conclude dicendo che gli manca molto.
Non avevo molte parole da offrire a Vittorio: immediatamente, seppur interdetto, ho capito che la
Caritativa è il luogo in cui Dio mi viene a stuzzicare ancora e ancora. Come, infatti, non rapportare
quel dolore di quel bambino al mio? Io che invece tendo sempre a censurarlo, a dimenticare il
dramma che ho vissuto, mi sono ritrovato (e non è la prima volta) a dovere fare i conti con quel
dramma. Mi è stata riaperta la ferita da quel bambino lì. E, infatti, dopo qualche istante di
interdizione non ho potuto fare a meno di raccontare tutto quello che da settembre ad ora ho
passato con mio padre e aggiungendo – non gli ho censurato neppure la mia debolezza – che
spesso provo a cancellare la mia impotenza adoperandomi, facendo, impegnandomi negli impegni
familiari e logistici, mentre quanto mi ha aiutato è altro. “Cosa ti ha aiutato?” è stata la sua
domanda, quasi urlata. Ho risposto, semplicemente, la preghiera e i miei amici. “Ho capito, anche
dalla festa di Carnevale, che i miei veri amici siete voi”.
Innegabilmente, gesti come il giro agatino o la festa di Carnevale ci hanno visti implicati in prima
persona con un impegno costante, ed altrettanto innegabile è il dato che ci siamo mossi insieme,
all’unisono, con lo scopo chiaro. Ma cosa ci ha lasciato tutto questo? Cosa ci è chiesto adesso? A
me queste domande sono sorte proprio nell’implicarmi a questo livello con questi gesti. Carron
scrive al Corriere così: “Nessuno può stare in piedi, avere un rapporto costruttivo con la realtà,
senza qualcosa per cui valga la pena vivere, senza un’ipotesi di significato”. Io un’ipotesi di
significato ce l’ho e la do spesso per scontato. Uno mi è accaduto e spesso lo dimentico. Continua
Carron così: “Ciascuno metta a disposizione di tutti la sua visione e il suo modo di vivere.” Vittorio –
ma tutti i bambini, in generale, così come i genitori e penso alla signora Melina – quest’Uno lo
cerca, lo vuole, lo desidera ed è, allo stesso tempo luogo in cui quest’Uno – Cristo – accade!! In
sostanza la Caritativa è il luogo SINGOLARE in cui mi cerca, mi corteggia, mi riapre le domande
quel Mistero che si incarna in chi, a sua volta, lo cerca!!! E di questo me ne accorgo ora, ma se
vado indietro con la memoria posso identificare, adesso, altri momenti così.
Credo che l’implicarmi in questi gesti, così fino in fondo abbia determinato in me la consapevolezza
del fatto che vada comunicata l’Origine del nostro gesto e della nostra storia a chiunque
incontriamo nel gesto della Caritativa! E non è neppure una cosa così faticosa, se prendiamo sul
serio le parole di papa Francesco, all’ultimo Angelus: “il deserto è il luogo dove si può ascoltare la
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voce di Dio e la voce del tentatore. Nel rumore, nella confusione questo non si può fare; si sentono
solo le voci superficiali. Invece nel deserto possiamo scendere in profondità, dove si gioca
veramente il nostro destino, la vita o la morte.”
Se non è deserto il quartiere….per concludere e riprendendo il Papa, come devono sentire la voce di
Dio questi bambini (che pure Lo cercano) se non attraverso noi che facciamo da “cassa di
risonanza”? Il fatto che le famiglie e i ragazzini si sentano, ormai, parte di noi, rischia di far
diventare un rifugio per loro questo luogo (e noi diventare meri volontari che fanno
assistenzialismo), se non annunciamo Ciò che ci muove. Quello che gesti come la preghiera a
Sant’Agata o la festa di Carnevale ci impongono è di urlare alle famiglie stesse il Nome di Chi è
all’origine di tutto ciò. Altrimenti restano momenti bellissimi, che però poi vengono dimenticati (è
lo stessi rischio da cui ci mette in guardia Carron all’inizio del suo articolo, in relazione ai fatti di
Parigi). Penso a me, se dopo aver visto le cose belle che mi capitavano, non fossi stato poi invitato
a Rimini a giocarmi l’urgenza di scoprire il Nome di Chi faceva tutte quelle cose: nulla sarebbe
cambiato nella mia vita.
LETIZIA: Inizio con il dire che aiutare l’altro è un bisogno che si impone dal momento in cui sono io
ad accorgermi di aver bisogno sempre, in ogni istante, altrimenti dovrei fare uno sforzo immane e
poi in un solo istante tutto rimarrebbe un gesto buono ma inutile perché ne’ in me ne’ in chi lo
riceve lascerebbe il segno e l’idea di non generare è una questione che mi porto e a cui penso
spesso innanzitutto quando guardo mia figlia e tutte le persone che mi stanno a cuore. Perche
come dice Carron, la questione vera è: mia figlia cosa vede in me? Vede una mamma intera, salda,
affezionata anche dentro tutte le storture della mia povera umanità? Io spero di si perche’ sin da
ora posso gustare la sua vita e vedere che viviamo per qualcosa di grande per cui vale la pena
implicarsi. Stare a caritativa come stare in tutte le circostanze della vita diviene pian piano luogo in
cui vivere i rapporti alla luce di quello che ho incontrato, e’ il luogo di verifica della mia fede perché
è li che si gioca tutta la mia libertà e la mia affezione. Chi mi incontra, chi incontra? Incontrano ciò
a cui io sono aggrappata, è li il vero cambiamento, se io sono aggrappata a me siamo finiti
entrambi e affannati se io sono aggrappata a dei volti che mi rendono presente Cristo e che mi
fanno aggrappare sempre più a Lui è li così che avverto un sollievo e un respiro cosi’ grande che
anche i problemi, i dolori, ecc….divengono luogo di compagnia vera e di cammino perche’ sono
dentro ad una proposta attraente. Per rispondere alle domande che ci sono state fatte oggi
racconto un fatto che mi capita da qualche mese e che non esisterebbe se io non fossi stata
educata da questo gesto a stare di fronte al bisogno e a prendermi sul serio. Da quest’anno a
scuola di mia figlia all’uscita di scuola delle mamme casalinghe e in cerca di lavoro ci soffermiamo
qualche minuto a parlare insieme come spesso accade, da questa semplice conversazione a volte
non sempre di mio gradimento sono iniziati a nascere dei rapporti inattesi con tre-quattro mamme
che mi costringono a scendere fino alle questioni più urgenti e vere della vita…fino al decidere di
implicarsi i pomeriggi ad organizzare i giochi per i nostri figli, ora non sto qui a raccontare i dettagli
ma in questa circostanza mi sembra evidente come lo stare con loro in un certo modo sia
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impossibile da concepire per me se non in questo orizzonte di carità ed attenzione all’altro che
imparo a caritativa, e naturalmente il raccontare loro quello che faccio, il donargli il tracce per
fargli conoscere la nostra storia e poi starne a parlare insieme, il desiderio di coinvolgerle nel gesto
o come da loro suggerito in una raccolta per la nostra associazione a scuola non mi sembra
scontato e implica un coinvolgimento quotidiano di attenzione e cura che io mi sogno se non mi
aggrappo a chi per primo ha avuto cura e amore per me. Implica il fare una proposta per
soccombere a quel nulla dilagante di cui parla Carron, perché, come ci ricorda ancora lui, la vera
partita da giocare è in casa. E mi accorgo che riuscire a stare interamente di fronte a un uomo, una
donna, un bambino è il lavoro più arduo ma affascinante che la vita mi chiede in tutti i posti in cui
io mi trovo e in tutte le circostanze perché posso comunicare quel pieno a cui guardo. Fare
caritativa pertanto significa esserci, incidere, farsi coinvolgere perche’ ne vale la pena, perche’
qualcuno si è coinvolto per me e mi ha segnato una strada, altrimenti non me ne fregherebbe nulla
di tutte le questioni delle famiglie, delle mamme, significa farsi dar forma da chi ha deciso di
passare attraverso il tuo volto. E mi accorgo di andare a trovare Sabrina Maugeri e rimanere li’con
lei ed Alessia due ore per ascoltarla e nel frattempo far giocare la piccola che appena mi vede cerca
in tutti i modi di farsi notare…mi grida con il suo stuzzicarmi mi vuoi bene tu? E rispondere a questo
grido significa ricordarmi dei suoi occhi ogni volta che esco da casa e le prendo le caramelle e i
colori per giocare e disegnare insieme, significa farle capire tu per me ci sei, ti penso, non ti
dimentico. Condividere un po’ di me per capire che io ho lo stesso bisogno in amore di essere
amata e curata . Cosi’come nel caso della ragazza che seguo, Concetta, che a volte sinceramente
avverto come presenza ingombrante nelle mie giornate e anche il fare capire che non può cercarmi
cento volte al giorno implica un lavoro su di me, affinchè non prevalga la seccatura e su di lei
perché capisca che un rapporto e’ vero se mira al vero bisogno e non se ciò sentiamo più volte
significa che mi prendo più cura di te. Questa ragazza è rimasta senza casa per tre giorni e l’idea di
saperla per strada mi ha fatto bruciare e mi sono mossa chiedendo un po’ a tutti e alla fine ho
trovato una soluzione. Ma vedo che davvero ancora una volta anche il tetto sappiamo non basta il
suo cuore ha bisogno una casa, e io posso farle sentire un po’ di questa casa nel momento in cui le
faccio vedere qual’ è la mia casa. Mi chiede di non abbandonarla ed in questo e' chiaro che cerca
un punto in cui sentirsi amata e a casa sempre. E cosi la vita si allarga e la mia concezione di
famiglia diviene meno borghese perchè fa spazio a quel "Tu" che mi chiama e dilata i miei orizzonti
facendomi intravedere nelle mie giornate cose grandi.
GIUSEPPE: Comincio raccontando un episodio. Martedì sono andato a caritativa per
accompagnare l’avvocato Aliberti a dalla sig.ra Lopez e dalla mamma di Becher… Lasciare le “mie
faccende” per rispondere a un bisogno non è stato facile da un punto di vista logistico (sono
arrivato bagnato fracido a causa della forte pioggia), ma è stato semplice nell’ottica di un’adesione
totale a Chi mi “chiama” in ogni istante. Mi ha colpito molto vedere l’attenzione di Paola ai
problemi concreti di queste due donne… Lei non si è comportata come il solito professionista che
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da un po’ del suo tempo per beneficenza, per l’attenzione a quelle donne e nel come mi ha
ringraziato alla fine è stato evidente che stesse facendo quel gesto “per se”.
In questo periodo nella mia vita c’è una grande confusione, tra mezze proposte di emigrare in
Inghilterra e ipotetici bandi per concorsi di specializzazione nazionalidi cui non è ancora chiara la
data, la sede e i tempi di svolgimento. Alla luce di questa precarietà posso guardare la mia vita in
due modi, o partendo dal mio individualismo (come dice Papa Francesco nell’ottica di
globalizzazione dell’indifferenza) oppure partendo da una comunione in atto. Quando mi fermo al
primo modo mi rendo conto che mi fermo a guardare le infinite possibilità della mia vita e senza
nemmeno accorgermene mi stacco dalla realtà e rimango solo, totalmente determinato dalle
circostanze e dall’esito. È proprio vero che tante volte giudichiamo la nostra vita a partire da
un’assenza. La caritativa rompe questa riduzione razionalista perché introduce un Altro che non
faccio io e non è mai come lo voglio io è sempre qualcosa di più che non posso ridurre a ciò che
penso io, sia in positivo ( es. Laura Salafia è sempre grata della mia presenza ben oltre la
compagnia che riesco a farle) sia in senso negativo (es. Signora Lopez che dopo un pomeriggio
trascorso assieme si è rifiutata di offrirmi la torta di mele). Quindi alla luce di quanto ho appena
detto quello che per me sta diventando sempre più evidente a caritativa è il “senso di dipendenza”.
Io non sono capace di generare un solo istante di felicità ne in me ne nelle persone che ho di fronte.
Ma, al contrario, il risveglio del mio cuore accade sempre attraverso un Altro che mi è dato. Io ho
costantemente bisogno di un Altro per vivere. Così tutti i piccoli grandi impegni della caritativa
come per esempio preparare la festa di Carnevale, occuparsi della contabilità degli alimenti per il
banco, aiutare Ilenia nel pedissequo lavoro delle anagrafiche, prendersi cura delle persone che mi
sono affidate (Giovanni con le sue adenoidi, Antonio con la sua rabbia, Aurora con la logopedista,
sig.ra Lopez con i suoi infiniti problemi, Simone con la faringite, Melina con il tumore ecc.)
diventano parte integrante della mia vita, non più qualcosa da fare, ma mio interesse come è mio
interesse il mio lavoro, la mia famiglia e tutto quello che Dio mette lungo il mio cammino. In questo
modo, prima ancora che io ne sia cosciente la mia vita cambia, perché cambia il modo di guardare
il mio che è una promessa che Dio ha scritto nel mio cuore per poterLo incontrare così come Lui
vuole incontrare tutti i nostri amici del quartiere dentro il loro bisogno.
Riguardo le difficoltà spesso mi rendo conto che questo gesto non è vissuto come nostro fino a
coinvolgersi nella sua origine e quindi in un impegno che si concretizza in una disponibilità
operativa dentro tutto quello che ci viene incontro.
CORRADO: Nell’ultimo anno le esigenze lavorative mi hanno costretto a fare caritativa da solo,
portando la busta autonomamente ad una famiglia che non vive più nel quartiere Cappuccini.
Questa modalità particolare di fare caritativa mi ha messo di fronte a un quesito, che è lo stesso
che mi viene proposto oggi nelle traccia: qual è lo scopo del mio gesto? Come ci diceva la stesso
Don Giussani, possiamo andare a caritativa per metterci a posto con la coscienza oppure per
adempiere a quella che ne ‘’Il senso della caritativa’’ viene definita legge dell’esistenza, ossia per
condividere il desiderio di felicità presente nel mio e nel loro cuore. E’ evidente, nel rapporto con la
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famiglia che seguo, che il loro bisogno non è solo di carattere materiale, ma la busta che gli porto
diventa ogni volta il pretesto per affrontare altre mille questioni, dal corso professionale del figlio
che non si decide a partire, alla delusione per non poter aiutare economicamente la figlia che sta
per sposarsi, tanto per dirne alcune. Ma continuando nel dialogo è sempre più evidente che da
parte loro non c’è la pretesa di una risposta al loro problema, ma avverto nel loro volto un senso di
gratitudine per il semplice fatto che io ci sono e li prendo sul serio. Ma allora mi sono chiesto: se
non materialmente, in cosa consiste il mio aiuto? Di certo mi rendo conto, col passare del tempo,
che il desiderio di felicità mi accomuna con queste persone e questo mi educa pian piano a trattare
tutto con la stessa attenzione e con la stessa carità. E’ come se tutto venisse investito da una luce
nuova, che ti fa gustare di più ogni circostanza della vita, dal lavoro alla famiglia, fino alle
circostanze quotidiane, belle o brutte che esse siano. E’ chiaro infatti che la realtà non sempre
porta buone notizie, ma il più delle volte ci dà delle batoste. Ed è proprio quando riceviamo queste
batoste che possiamo verificare sulla nostra persona quanto è vero quello che viviamo a caritativa.
Come ci diceva Don Carròn nell’ultima assemblea di SdC, possiamo verificare ‘’se la compagnia
cristiana è in grado di determinare la modalità con cui affrontare l’urto del reale’’. Mi sono allora
chiesto se la caritativa mi sta aiutando ad affrontare le circostanze che inevitabilmente accadono e
sto verificando, giorno dopo giorno, che non mi setto sconfitto o determinato da quello che accade,
in altre parole che riesco ad affrontare ‘’l’urto del reale’’. Mi rendo inoltre conto che non si tratta di
una mia capacità, ma di un dono straordinario di Chi mi ha voluto su questa strada. Un dono che
desidero coltivare perché mi rendo conto che tutto il mio destino passa attraverso questa cosa,
cioè attraverso la mia apertura ad un Altro che è entrato nella mia vita e che si manifesta a me
attraverso circostanze concrete.
SALVO: “Il progetto vero dell’uomo non è l’anima in pace ma l’uomo felice”. La caritativa mi aiuta
a prendermi sul serio perché è un momento privilegiato in cui riconosco un cuore, un'umanità, una
sensibilità più grandi dei miei a cui aspiro. Che l’educazione sia il vero contraltare al Nulla mi
sembra una terribile verità, come è terribilmente vero che io in questo luogo anzitutto non educo
nessuno, non sono io a ergermi come contraltare al Nulla che avanza dicendo: “ora educo tutti
questi qui”. Il Nulla è conficcato in me e ogni giorno ingaggia una lotta con il mio desiderio di
Verità. Sto parlando di una correzione di metodo che costantemente mi richiama alla vita:
Dimentico bambini a casa, avverto un disastro educativo in atto che mi chiama in causa, nel caso di
Patrick. Per dare un esempio di quanto sia talebano Martedì scorso ho iniziato la distribuzione delle
buste mettendomi l’anima in pace, pioveva e non nascondo che in fondo avevo pensato: “vabè, i
bambini si bagnano, chiudiamo tutto per oggi così me ne vado a studiare”. Ero lì, con un
atteggiamento razionalista e se vogliamo anche borghesemente giustificato da una serie di
circostanze. In quel momento si ingaggia l’ennesima lotta tra il Gran Me e il piccolo me e gli amici
intorno, chi per telefono, chi invece era con me a distribuire le buste, mi ripetevano: “guarda”,
“guarda”, “vedi com’è la situazione”, “guardati attorno”.
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Così mi guardo attorno veramente e mi rendo conto che in tutto il tragitto che stavo facendo c’era
un bambino, Roberto, che man mano che borbottavo lui si attaccava sempre più alla mia gamba,
era uscito sotto la pioggia senza ombrello e mi diceva: “dai, apriamo il cancello e andiamo a
studiare..”
Abbasso gli occhi e lo vedo, mi stava aspettando, ci era venuto incontro sotto l'acquazzone,
aspettava quel momento, come tutti gli altri bambini del doposcuola e lì comprendo quello che
stavo combinando, mentre mi risuonano in testa dei passi del vangelo che dicono: “Guardatevi dal
disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la
faccia del Padre mio che sta nei cieli”. Ripenso allora a Melina, la mamma di Patrick, alla fine della
festa di carnevale mi abbraccia felice dicendomi “Salvo, sono rimasta viva per questo momento,
per questa festa, per stare con i miei figli e con voi”. La madre dei Nicosia senza esitazioni mi dice:
“il Signore ti mette sempre la gente giusta per salvarti, a me ha dato mio marito, i miei figli e voi
perché voleva che non fossi più depressa”.
Mi fa tremare le vene ai polsi questo sguardo di familiarità e fiducia che ricevo da ognuno, senza
combinarne una giusta poi, e tutto questo cambia il mio modo di vedere le cose. Ma chi ha
generato una trama di relazioni così? A cominciare da me a Patrick sino al più piccolo dei bambini,
qui è la scoperta della persona che c'è in ballo! Sono vere le parole di Giussani: “E' la scoperta della
persona che con Gesù entra nel mondo: è la passione per essa che rende Gesù appassionato
messaggero della dipendenza, unica e totale, del singolo uomo dal Padre, Tu che mi generi tutto
dalla profondità ultima di me stesso”. Cristo è davvero innamorato di ciascuno di noi, lo vedo qui,
lo vedo nella mia vita, come mi scrive un’amica di Reggio Calabria: “Caro amico, il Signore ci vuole
suoi, vuole che il nostro cuore dica a Lui di sì; lo stesso cuore che già Lui sta facendo battere. Per
questo non abbiamo nulla da temere ma solo da chiedere, affinché ogni circostanza possa essere
un’occasione per diventare più grandi”. E mi riscopro commosso e innamorato perché faccio la
stessa esperienza del padre, padre di tutti questi ragazzi senza padri, chi per un motivo, chi per un
altro. Tremo perché noi e non altri siamo chiamati ad accompagnarli al loro Destino. Così me ne
torno a casa grato perché attraverso quella “Passività” di cui parlava un’amica a scuola di
comunità, mentre guardo il cielo, cioè la “profondità ultima del creato”, come dice Gratry, desidero
immedesimarmi sempre più al carisma, a Giussani che si è innamorato di me e di noi e che al solo
pensiero dà il fiato mozzato. Posso dire un po' di più chi salva Cristo da me? Dal mio Nulla? Dal mio
atteggiamento iniziale da terrorista dell’Isis che avrebbe ucciso il desiderio di un bambino senza
nemmeno accorgersene, se non il pezzo di Chiesa che ho incontrato? Per questo anch’io voglio
essere a San Pietro, dal Papa, il 7 Marzo. Perché come ci fa notare don Carròn siamo stati trascinati
a Cristo attraverso il Papa, rendendo Gesù “sempre più affascinante, fino a farLo diventare la
Presenza più cara della nostra vita”. Non avrei una modalità di fede e una voglia di vivere così
senza questo punto cruciale che continua ad affermare con certezza che l'educazione che ricevo è
l’unica cosa capace di fermare il deserto del mio Nulla.
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DACIA: Riprendo l’omelia che Don Antonio Giacona ha fatto per la messa delle Ceneri lo scorso
mercoledì. La cosa che lui ha detto all’inizio è stata: “la prima preghiera, la prima elemosina, il
primo digiuno, il primo sacrificio che a tutti noi è richiesto in questo tempo di Quaresima è
un’ATTENTA e GRATA condivisione con la compagnia che abbiamo incontrato.” Non si tratta
appena del digiuno fisico, ma di una devozione totale per quello che abbiamo incontrato. Lui
proseguiva che il Vangelo letto non è appena un monito contro l’ipocrisia, ma è proprio una
preoccupazione che Gesù ha per noi affinché niente resti più formale ma diventi sempre più nostro.
A guardare le ultime settimane trascorse tutto questo calza a pennello, soprattutto guardando la
mia caritativa! Mi ritrovo a ringraziare ogni giorno per il metodo che Don Giussani e Carron mi
stanno insegnando. Prima di tutto ci sono io e la realtà e, vivendo intensamente quello che mi
capita, io vengo ridestata, le mie domande rinascono e posso guardare a tutto immersa in un
pieno. Una mia amica diceva, “più c’è il nulla, più c’è rabbia e rancore. Il nulla è l’autentico volto
del male. Al nulla come si rimedia? Con il pieno educativo! Io ringrazio perché ogni fatto accaduto
in questi giorni lo riesco a guardare a partire solo da questa proposta educativa in cui mi sento
accompagnata. E questo proposta comprende soprattutto la caritativa.
Il prete proseguiva dicendo: “lasciatevi incontrare di nuovo da Cristo, lasciatevi servire da Cristo
così da diventare come lui.” Mi sono chiesta ma quando è stata l’ultima volta in cui ho visto Lui
all’opera? In cui l’ho incontrato? Le parole di Carron mi tornano sempre in mente: “l’uomo conosce
Dio solo attraverso l’uomo”. È verissimo: io che sono debole, che cado tantissime volte, riparto
sempre e solo attraverso l’incontro con altre persone che non fanno altro che ricordarmi che non
sono fatta per un semplice mattone, ma per la cattedrale!
Vi faccio qualche esempio: i bambini della caritativa continuano ogni volta a impressionarmi
perché sono segno del bene che ci è promesso. Carron nell’articolo del Corriere dopo gli attentati di
Parigi scrive: “la vera sfida è di natura culturale e il suo terreno è la vita quotidiana *…+ c’è ancora
qualcosa in grado di attrarre la loro umanità, di sfidare la loro ragione e la loro libertà? *…+ del
nulla non si vive, nessuno può stare in piedi, avere un rapporto costruttivo con la realtà, senza
qualcosa per cui valga la pena vivere”. Possiamo pensare ai nostri immigrati, ma prima ancora io
ho pensato a me stessa e a questi bambini. Con loro abbiamo fatto il giro dei luoghi agatini agli
inizi di febbraio e mentre li accompagnavo a casa in macchina ad alcuni di loro chiedevo: qual è la
cosa che più vi è piaciuta? E loro mi hanno risposto che è stata Sant’Agata al Carcere perché lì
Agata ha fatto le sue preghiere e perché ad aspettarci e spiegarci tutto c’era Don Baturi. Questa è
la proposta di Giussani! Uno, anche l’ultimo arrivato, anche un bambino, viene ridestato e
affascinato da una Presenza che si mostra attraverso volti precisi. Da qui capisco che nasce il loro
desiderio di seguirci nelle cose che gli proponiamo, che poi è lo stesso motivo che a me fa seguire il
movimento e la Chiesa. La settimana scorsa abbiamo fatto la festa di Carnevale. A parte avermi
stupito la cura che abbiamo messo nel prepararla, da scrivere una piccola storia che facesse da filo
rosso di tutta la festa, fino a preparare un video, i giochi e i costumi, era evidente che loro si
sentissero parte della nostra stessa storia e questo si capisce semplicemente guardando il modo
che hanno di stare nelle cose. Facendo le cose cresce un’amicizia vera e non sentimentale, di
questo ne sono sempre più convinta. L’unità che è emersa in tutti questi gesti non è frutto di una
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casualità, ma di una condivisione attenta e responsabile tra di noi verso chi ci è stato messo nel
cammino. La cura nel preparare le cose (dal fare una torta, a cucire un vestito, a disegnare un
pianeta) non nasce da una bravura (come magari altre volte è stato), ma dall’intuire che dentro il
particolare si gioca il rapporto con un Altro, c’è una promessa grande!
In una delle ultime scuole di comunità che abbiamo fatto con gli universitari Graziella ha detto:
“solo attraverso la condivisione si possono vivere tutti gli aspetti della vita vivendo l’ideale nel
reale”. A me questo richiamo ha letteralmente “salvato” il modo di vivere le cose che stavo facendo
in quei giorni, primo tra tutti il mio esame e poi tutta la preparazione per la festa di Carnevale. Da
soli non si va da nessuna parte, per cui tutto è un pretesto per conoscere di più chi Dio ti ha messo
a fianco. Le cose restano sempre le stesse, ma cambia il gusto nel farle (esempio: la Colletta
farmaceutica o andare dalla mamma di Michelle).
ILENIA S.: Come la caritativa ti aiuta a prenderti sul serio il tuo cuore e il tuo desiderio di felicità?.
Questo lo capisco meglio quando ho davanti una bambina della caritativa che mi dice:" Io oggi ti
aspetto."(Aspetto proprio te). Lo capisco ancor meglio quando la bambina che ho davanti non
vuole studiare. Lo studio per lei diviene un limite, un ostacolo. Nel momento in cui sono accanto a
lei mi chiedo perché io sono lì, cosa ci faccio li. Sono lì solo per sentirmi una persona più buona?
Decisamente no, posso sentirmi più buona anche non andando a caritativa ma facendo altro.
Capisco allora che sono li perché quella bambina ha il mio stesso bisogno e desiderio. Lei aiuta me
a ricordare cosa cerco ed io aiuto lei a superare i suoi ostacoli e le sue paure. Perché mi rendo
conto che come me quella bambina ha bisogno di qualcuno che la accompagni,qualcuno che le
faccia da compagno anche nel momento dello studio. Qualcuno che le dica:"Non sei sola. Questa
cosa la facciamo insieme". A me questo ha salvato la pelle. Ed ogni giorno a caritativa pensando a
questo riesco a comprendere che se io sono accanto ai bambini che assistiamo non è solo per fare
la buona samaritana ma per rispondere ad un bisogno mio e loro. E allora DEVO ,sento il bisogno di
affrontare quel momento con loro,non mi smuovo finché non riesco a fargli capire che non sono da
soli.
Mi rendo conto che anche grazie alla caritativa vado in fondo alle questioni, perché non sono da
sola e riesco a "lottare" contro i miei di limiti ricavandone risposte, domande, sicurezze,
cambiamenti e soprattutto un metodo, e tutto questo mi permette di essere più me stessa e
guardare le cose diversamente, con più serietà e anche curiosità. Credo ,anzi sono certa,che se non
avessi visto cosa è realmente la vera condivisione oggi starei ancora male. Mi sentirei sola e
incapace davanti a questioni per me davvero importanti che oggi riesco invece ad affrontare con
determinazione. Per me la condivisione dà forma ad ogni aspetto della mia vita e mi ha salvata.
ESTER: Che io consista o no lo scopro dentro l’imbattermi in rapporti. Non davanti a me stessa.
- Così è successo un pomeriggio extra di Caritativa. Dopo la festa di carnevale ero rimasta con un
magone perché due delle persone che in teoria dovrei seguire non c’erano. Allora il venerdì
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successivo decido di andare a trovare Elisabetta, senza preavviso, faccio un bliz a casa sua. Non ci
vediamo da mesi, e infatti in un primo momento lei mi dice di avere da fare, le propongo allora di
uscire e così abbiamo passato il pomeriggio insieme. Lei si è aperta molto raccontandomi della sua
vita e dei suoi problemi e mi stupiva come lì io non l’ho mai concepita come un’assistita della
caritativa ma come una compagna al mio destino. Una compagna del mio viaggio, della mia vita.
Le ho persino raccontato di me, di questo periodo, e più le parlavo più vedevo una ragazzina che si
illuminava e trovava qualcuno a cui dire certe cose. Qualcuno da guardare. È lì che ho riscoperto il
valore di me, non perché ho fatto qualcosa, non per la mia bravura, non per le mie capacità ma
solo esclusivamente per quello sguardo ricevuto, liberante, che volenti o nolenti, nonostante me,
passa. Giorni dopo siamo uscite con Graziella, Giovanni, e altri ragazzini per proporre il triduo
pasquale a Rimini. Quando le ho proposto di uscire insieme ho notato che avevo più esitazioni io,
più dubbi, quasi non credessi alla portata di quello che c’è tra noi. Invece lei era più entusiasta di
me, tanto che quel pomeriggio persino davanti ad altri si è aperta con le sue questioni e ha
accettato di partire. Tanto più riscopro lei e le voglio bene, tanto più voglio bene a me stessa e il
mio desiderio riprendere respiro. Questo rapporto gratuito mi fa ricordare di me, mi mette nella
posizione più semplice verso la mia vita e rispetto a quello che c’è.
- L’altro giorno sono stata a una piccola riunione di lavoro dove bisognava progettare un evento
solidale per tutta la scuola. La stanza era composta dal 99 % da religiose attempate e io ero un po’
impaurita da queste vecchie matrone.(Mi trovo in un contesto di credenti,è una scuola religiosa,
ma dove tante cose sono date per scontate e dove la fede di per sé è molto rattrappita)
Sta di fatto che rispetto alla proposta di solidarietà e raccolta fondi vi era un certo sgomento. Chi
da una parte asseriva: “in questo quartiere non si è generosi,” chi dall’altra affermava: “non verrà
nessuno, non compreranno nulla, diranno che hanno più bisogno loro” …etc..etc…
Li sono sbottata naturalmente raccontando due esempi che mi venivano dall’esperienza della
caritativa.1) La colletta alimentare che noi stessi proponiamo ai bambini che assistiamo, dove loro
diventano i primi lanciatissimi volontari.2) l’incontro di Laura Salafia con i bambini e di quando
abbiamo chiesto di fare una colletta per lei e tutti hanno accettato. Terminavo asserendo che
l’apertura all’altro va educata e proposta. Tanto più io adulto mi rendo conto che ho bisogno
dell’Altro, tanto più questa bellezza della condivisione si trasmette per osmosi.
Loro son rimaste basite, anche perché i bambini di cui parlavo fanno parte dello stesso quartiere
dove loro operano.
Quello che mi ha colpito è che questi esempi non me li sono usciti dal cappello o ci avevo pensato
su prima. Ma son venuti fuori da un’esperienza che ripeto, volenti o nolenti fa parte di me, che vivo
anche io, di cui ne faccio parte e ne sono testimone.
Concludendo, mi sono resa conto che nella caritativa io riscopro me stessa, e che questa mi aiuta a
combattere il razionalismo che è in me. Io sono la prima a ridurre la Presenza di Lui a un’Assenza, a
un’immagine che ho di me o delle mie capacità.
Mentre Lui è qualcuno che si è affacciato al mio cammino ne è diventato compagno. Come
Elisabetta, di cui ne è Segno.
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