La confraternita dei Rosa-Croce: tra esoterismo e massoneria Per

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La confraternita dei Rosa-Croce: tra esoterismo e massoneria Per
La confraternita dei Rosa-Croce: tra esoterismo e massoneria
Per approfondire il meraviglioso mondo dell’Esoterismo, dell’Ermetismo e le conoscenze
tramandate dai Rosa-Croce, è necessario rifarsi a una precisa letteratura.
Nella vasta Bibliografia della mia trilogia sul conte di Cagliostro, sono citati alcuni dei testi
consultati da mio padre Raffaele, autore del primo volume, e da me accuratamente controllati;
ritengo, tuttavia, il libro di Max Hendel: “Cosmogonia dei Rosa-Croce”, il più dettagliato a
riguardo del Movimento dei Rosa-Croce.
Qui l’Autore, che esprime con semplice umiltà: “[…] solo quanto ha appreso e compreso dagli
insegnamenti dei Rosa-Croce riguardante i Misteri del Mondo”, condensa in realtà tutto il
Pensiero Iniziatico Universale.
Assai interessante, ma per gli aspetti storico-filosofici, è il libro di Jean Pierre Bayard: “I RosaCroce; Storia, Dottrine e Simboli”. Tuttavia, il più completo e il più famoso in assoluto, per
quanto riguarda la cultura esoterica in generale, è il libro di Edoardo Schuré: “I Grandi
Iniziati”, dedicato ai Grandi Apostoli di tutti i tempi che hanno illuminato il cammino
dell’Umanità.
Un nuovo contributo alla conoscenza del mondo e della natura del Movimento rosacrociano
viene dal saggio del 2013 di Marcello Vicchio: “La confraternita dei dodici. Esoterismo e
Massoneria nella Napoli del ‘700”, il quale attribuisce il merito della ri-nascita dello Spirito
dei Rosa-Croce alla città di Napoli dove, durante il Rinascimento, si registra l’esistenza di una
misteriosa Confraternita di Filosofi napoletani il cui numero di adepti era rigorosamente
ristretto a dodici, denominata, appunto, la “Confraternita dei Dodici”.
Da qui, sia sulle basi di un vecchio culto pagano medio - orientale dedicato a Iside (che aveva
trovato terreno fertile a Pozzuoli nel I secolo d.C.) sia sui principi del catarismo (che aveva
nella città di Tolosa uno dei centri più attivi), e per merito dell’iniziativa di Johann Valentin
Andreae e del pensiero ispirato di Tommaso Campanella e di Giordano Bruno, riprese nuova
linfa quello che diventerà il Movimento universale dei Rosa-Croce.
A Napoli, in particolare, i Rosa-Croce posero le radici, e, con i loro principi, trasformarono
radicalmente il pensiero massonico.
In questa città, infatti, dopo una breve parentesi d’inattività nei secoli XVI e XVII, durante i
quali la presenza alla “Confraternita dei Dodici” era stata caratterizzata soprattutto da
personalità quali Tommaso Campanella, Bernardino Telesio e Giordano Bruno, fu istituita nel
XVIII secolo, e precisamente nel 1728, la prima Loggia Massonica italiana di cui si ha
memoria.
In questo luogo, inoltre, attecchiranno i “Riti Egizi”, specie quello di Cagliostro, e i “Riti di
Mizraîm – Memphis”, e solo qui poté operare la misteriosa figura di Raimondo de Sangro, VII
Principe di Sansevero (Torremaggiore, 30 gennaio 1710; Napoli, 22 marzo 1771), esoterista,
massone, alchimista, e studioso di grande fama, nonché amico e collaboratore, insieme al figlio
Vincenzo nella Loggia Massonica di Napoli “La Perfetta Unione”, del conte di Cagliostro.
In particolare, si registra il 10 dicembre 1747 l’elaborazione del “Rito Egizio” detto di
“Mizraîm”, in una Loggia denominata “Rosa d’Ordine Magno” (anagramma del nome di
Raimondo de Sangro); questa sarà depositaria del pensiero della “Confraternita dei Dodici”.
Così, di fatto, secondo Marcello Vicchio, coesistevano allora a Napoli due Logge con Riti
diversi: la prima era quella ufficiale di Massoneria Ordinaria, riconosciuta dalla Loggia Madre
di Londra, che aveva preso il nome di “Perfetta Unione”, mentre la seconda, la “Rosa d’Ordine
Magno”, conservava la tradizione rosacrociana della “Confraternita dei Dodici”.
Molto probabilmente, sia il nobile napoletano, il Cavaliere Luigi d’Aquino Principe di
Caramanico, sia il suo caro amico conte di Cagliostro, di cui fu mentore e sodale, furono
“affiliati” a entrambe le Logge, diventando, al tempo stesso, fratelli massoni “ordinari”,
massoni di “Rito Egizio”, e Rosa-Croce.
Dice Marcello Vicchio alla pagina 36: “[…] Forse lo scopo della Confraternita era appunto
questo: ridare vita alla libera espressione del pensiero e alla ricerca scientifica dopo che la
spinta propulsiva del Rinascimento si era malinconicamente eclissata e si andava
affermando, in alcuni Paesi, la Controriforma”.
Singolari erano le usanze dei Rosa-Croce, tipo quella di assumere continuamente nomi diversi,
di viaggiare sempre in incognito, di avere un linguaggio del tutto particolare per farsi intendere
solo dagli iniziati, di incontrarsi solo una volta l’anno, di tendere a un costante “rinnovamento
spirituale”, di passare a una nuova vita ricca di qualità spirituali: “[…] scavando oscure e
profonde prigioni al vizio ed edificando templi alla virtù”.
Queste, peraltro, furono proprio le abitudini e i modi di comportamento che il conte di
Cagliostro utilizzò in tutti i suoi numerosi viaggi, sia in quelli a noi noti sia negli altri che fece
in piena segretezza in tutta l’Europa.
Non si chiamava, forse, il “Nobile Viaggiatore?”.
Affascinante è anche il simbolo della rosa, da sempre ritenuta raffigurazione pagana perché
legata a Venere e, con l’avvento del Cristianesimo, rinnegata e defraudata del suo vero
significato, cioè Amore ma anche Silenzio; l’espressione latina “sub rosa”, infatti, indicava
qualcosa di riservato e d’intimo, simboleggiando la massima, ideale rappresentazione della
femminilità.
L’immagine della rosa fu riscattata dei Monaci, che la coltivavano nella semplice tranquillità
dei loro orti (assai famosi sono gli Orti Botanici benedettini e quelli della Scuola Medica
Salernitana), dai Templari, che la portavano come rappresentazione della purezza di spirito
(simbolo, forse, ereditato dalla setta orientale dei mistici Sufi di Baghdad del XII secolo, La via
della rosa, con cui probabilmente entrarono in contatto), e dagli architetti costruttori di
cattedrali, che la inserirono come ornamento (il “rosone” appunto) indispensabile nelle loro
opere, peraltro assai ricche di significati occulti.
Tuttavia, sarà in seguito, per merito del rinnovato senso di Spiritualità della Chiesa, che il
fiore, da semplice raffigurazione del Femminile, assumerà anche un profondo significato
mistico.
Solo attraverso l’identificazione dell’immagine della Madonna nella rosa, quasi a riscatto di
secoli di oscurantismo, le anime, incantate dalla sua bellezza, potranno onorare l’Amore
Assoluto.
Infatti, il culto della Vergine avrà maggior sviluppo proprio dal XII e dal XIII secolo, e il mese
di maggio, quello della fioritura delle rose, sarà dedicato alla sua glorificazione.
D’allora la sua figura, inizialmente venerata come ponte tra il naturale e il sovrannaturale, tra
la Terra e il Cielo, tra l’Uomo e Dio, tra il Figlio e il Padre, assumerà un aspetto sempre più
laico per trasformarsi, infine, nell’esaltazione dell’”amor gentile”, cantato dai trovatori,
celebrato dai poeti del Rinascimento e onorato, nella sua più alta espressione, dalla preghiera
di San Bernardo alla Vergine Maria, descritta nel trentatreesimo, e ultimo, Canto
del”Paradiso” di Dante Alighieri.
La rosa è anche il simbolo della Psicosintesi, poiché suggerisce, e rappresenta, l’evoluzione
dello Spirito.
Questo metodo psicoterapeutico innovativo, che utilizza esercizi di rilassamento, di
visualizzazione e di meditazione, è il risultato del pensiero e dell’esperienza di Roberto Maria
Greco Assagioli (Venezia, 27 febbraio 1888; Capolona, in provincia di Arezzo, 23 agosto 1974),
medico psichiatra e psicanalista, studioso di Letteratura, di Filosofia e di Religione, discepolo
di Sigmund Freud ma soprattutto di Carl Gustav Jung, con il quale ebbe un particolare
rapporto di collaborazione e di amicizia.
La Psicosintesi rappresenta il “trait d’union” tra le culture esoteriche e spirituali di Occidente e
di Oriente, ed è utilizzata a scopo terapeutico.
Per quanto riguarda la Croce, si può aggiungere che, in senso alchemico, la stessa non
costituisce solo un simbolo religioso, ma soprattutto:”[…] il crogiolo dove la materia grezza
subisce la cottura per il cambiamento”.
Il suo centro è il punto d’incontro dei quattro bracci che indicano le fasi della trasformazione
del “vile” metallo in oro: “nigredo, albedo, citrinitas e rubedo”, e rappresenta la sintesi del
processo in cui “Verbo e Carne”, con sofferenza e gioia, diventano un tutt’uno.
La fusione dei due simboli, la Rosa e la Croce, rappresenta, dunque, l’attivazione di un potente
Archetipo Universale.
Ne è esempio palese il “Mèmoire” del conte di Cagliostro al termine del Processo di Parigi nel
1786, da tutti conosciuto con il titolo: “Sono un nobile viaggiatore”.
Qui Cagliostro afferma: “[…] sino a che infine io sia arrestato e fissato definitivamente al
termine della mia carriera, all’ora in cui la Rosa fiorirà sulla mia Croce […]”.
Quale miglior testamento d’Amore poteva offrire all’umanità il conte a conclusione del suo
luminoso passaggio terreno?
Tommaso De Chirico
Abstracs dal libro di Tommaso De Chirico: il conte di Cagliostro nel suo tempo, 2° volume
della trilogia sul conte di Cagliostro, Ed. Mnamon, Milano, 2014