Come è noto, l`evento della Risurrezione di Cristo non è fissato, dal
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Come è noto, l`evento della Risurrezione di Cristo non è fissato, dal
Alberto Peratoner LA LUCE DELL’OTTAVO GIORNO ELEMENTI PER UNA SISTEMATICA DELL’ICONOGRAFIA SULLA RISURREZIONE DI CRISTO NELLE SUE LINEE EVOLUTIVE «Marcianum», I (2005), n. 2, pp. 305-326 Come è noto, l’evento della Risurrezione di Cristo non è fissato, dal punto di vista narrativo, in nessuno dei Vangeli Canonici, lacuna ascrivibile alla pura fedeltà del testo evangelico a quanto direttamente disponibile nelle fonti testimoniali. Esso è appreso dapprima dalla scoperta del sepolcro vuoto, illustrato dalle parole dell’angelo apparso alle donne: Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era gia stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E` risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. (Mc 16, 1-8). Nel Vangelo di Matteo si aggiunge il racconto della discesa dell’angelo, che lascia comunque scoperto il momento della Risurrezione: «Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite» (Mt 28, 2-4). Solo il Vangelo apocrifo di Pietro, secondo il meccanismo di compensazione delle apparenti lacune narrative tipico della letteratura apocrifa neotestamentaria, tenta di colmare il vuoto con un racconto della risurrezione, fissato in termini spettacolari1. Nondimeno, la realtà dell’evento della Risurrezione di Cristo è il punto focale della fede e il fulcro della speranza cristiana, come sottolineato con forza da San Paolo: «Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» (1Cor 15, 14). Ancora, l’evento della Risurrezione è punto focale della fede cristiana in unità indissolubile con la sua Passione e Morte, dove il tutto si fonde nella sintesi del Mistero Pasquale, ovvero nell’unità di un unico evento salvifico in sé completo, che vive dei momenti complemen- 1 «Nella notte in cui cominciava a illuminarsi il giorno del Signore, mentre i soldati facevano la guardia a due a due, risuonò nel cielo un forte grido. Quelli videro cieli aperti e due uomini scendere di là con grande splendore ed accostarsi al sepolcro. La pietra, che era stata gettata all’ingresso, si rotolò da sola e si mise da parte. Il sepolcro così si aprì e i due giovani entrarono. A tal vista i soldati svegliarono il centurione e gli anziani. Anche questi erano là per la custodia. Mentre spiegavano ciò che avevano visto, ecco che vedono nuovamente uscire dalla tomba tre uomini: due sorreggevano il terzo, mentre una croce li seguiva. La testa dei primi due raggiungeva il cielo, mentre quella di colui che era condotto per mano da loro superava i cieli. Quindi udirono una voce dall’alto che diceva: “Hai predicato ai dormienti?” Poi si sentiva la risposta proveniente dalla croce: “Si”» (Vangelo di Pietro, IX,35 -X). tari kenotico e ascetico come inscindibili, se non a prezzo della dissoluzione del loro autentico significato. Per questi motivi, anche l’iconografia della Risurrezione va compresa nella profonda unità e inscindibilità del Mistero Pasquale, per cui è naturale che vengano sottolineati quegli elementi di continuità dalla morte alla risurrezione che testimoniano al tempo stesso l’identità del Risorto con il Cristo sofferente. La prima raffigurazione che conosciamo sulla Risurrezione è costituita da un affresco della parete del battistero di Dura Europos2, databile al terzo decennio del III secolo, ricostruito presso la Yale University Art Gallery. Esso rappresenta la Venuta delle donne al Sepolcro il mattino di Pasqua. Dal margine destro dell’affresco, lacunoso, si vedono avanzare due donne, recanti in mano una candela accesa, verso un sarcofago presso gli angoli superiori del quale brillano due stelle. Una delle donne porta in una mano gli aromi menzionati nel racconto evangelico, mentre le candele che recano entrambe sembrano alludere al rito della luce della Veglia Pasquale, in un’interessante sovrapposizione del vissuto liturgico (attualizzante) al valore narrativo (‘storico’) della raffigurazione. Di fatto, il soggetto della Visita delle pie donne [Mirrofore] al Sepolcro si imporrà, come vedremo, come quello più diffuso per l’iconografia della Risurrezione, coerentemente col fatto che nella narrazione evangelica rappresenta il momento della scoperta dell’avvenuta risurrezione di Gesù. Ora, oltre a questa rappresentazione narrativa della Risurrezione, sin dalle origini si affermano raffigurazioni simboliche. Così tra il III e il IV secolo incontriamo, su alcuni sarcofagi a rilievo della Francia meridionale3 ed altri conservati a Roma4, una composizione che mostra al centro una croce sormontata da un monogramma cristologico (chrismon) circondato da una corona d’alloro. Ai lati della croce sostano due soldati romani dormienti, ma dei quali quello alla sinistra dell’osservatore è spesso sveglio. Due colombe, posate sui bracci orizzontali della croce, guardano il chrismon. Tale composizione richiama il labarum e rappresenta una sintesi simbolica della vittoria di Cristo nella prospettiva unitaria del Mistero Pasquale di Passione-Morte (la croce) e Risurrezione (il chrismon coronato e le guardie del Sepolcro). Il trionfo di Cristo è sovente rappresentato con l’omaggio di corone, come nel sarcofago ravennate detto “di S. Rinaldo” (I metà del V sec. – Duomo di Ravenna), dove Pietro e Paolo omaggiano Cristo assiso sul trono recandogli le corone del trionfo, o con la figura intera di Cristo reggente una croce quale vessillo di vittoria, come nel sarcofago di Probo5, dove Pietro e Paolo affiancano il Cristo vittorioso, che regge una croce tempestata di gemme, che viene a costituire a sua volta un motivo di particolare interesse agli effetti del nostro discorso. 2 Cfr. P.V.C. BAUR, Preliminary Report V of the Excavations at Dura Europos, New Haven, Yale University Press, 1934, pp. 270-75, tavv. XLII-XLVIII. 3 Si veda, ad es., il sarcofago di Manosque, reimpiegato come altare (cfr. E. LE BLANT, Les Sarcophages chrétiens de la Gaule, Paris, Imprimerie Nationale, 1886, pl. L, n. 1). 4 Notevole il sarcofago dalle Catacombe di Domitilla, al Museo Pio Cristiano (Musei Vaticani), il sarcofago cosiddetto “della Passione” e quello della confessio della basilica di San Paolo, entrambi al Museo del Laterano. 5 I metà del V sec. – Grotte Vaticane. 2 La sintesi del Mistero Pasquale nella sua completezza si trova infatti ad essere significata in quest’epoca, nella massima semplicità simbolica, dalla rappresentazione della Croce gloriosa6, che raggiunge le sue espressioni migliori grazie ai cromatismi delle tecniche a mosaico che ben si prestano alla raffigurazione della croce tempestata di gemme. Tra i primi esempi ricordiamo il mosaico di S. Prudenziana a Roma (384/99), e tra i più noti quello del catino absidale di S. Apollinare in Classe (entro il 549), che campeggia in un cielo stellato, come già la Croce aurea della volta del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna e, più tardi, il Chrismon della cupola dei San Giovanni in Fonte a Napoli. In quegli anni, intorno al 569, Venanzio Fortunato scrive l’Inno Vexilla regis prodeunt / fulget Crucis mysterium / (…)7. Questa simbologia porterà a frutti di rara preziosità e bellezza nelle opere di oreficeria medievale, cui si accompagnerà la riflessione poetica di opere quali il poemetto spirituale anglosassone Il sogno della Croce8. Qualcosa di simile avviene nell’arte armena, dove si afferma la particolare tipologia artistica del Khatchkar (lett. Croce (di) pietra), che per secoli sviluppa il tema della Croce come Albero della vita riccamente gemmato, alle soglie della fioritura, turgido delle potenzialità di una primavera sul punto di esplodere9. Nella categoria delle rappresentazioni simboliche di sintesi dell’evento pasquale riteniamo opportuno far cenno della raffigurazione armena della croce sul Golgotha, che dimezzata viene a formare la settima lettera – e – dell’alfabeto armeno, un alfabeto artificiale realizzato agli inizi del V secolo dal monaco S. Mesrop Mashtoz espressamente per permettere la traduzione della Bibbia e connotato sin nella sua costituzione da un forte carattere sacrale. La e nella lingua armena vale per il presente (3a persona singolare) del verbo essere, e in alcune miniature armene la Croce sul Golgotha è raffigurata in una forma palesemente ottenuta dallo sdoppiamento per simmetria di tale lettera. Quattro angeli con trombe sporgono nei campi delimitati dalla croce priva del Crocifisso, ad annunciare che Gesù Cristo è: - è vivo, è risorto10. L’iconografia della Risurrezione ricorre, sempre nel registro delle rappresentazioni simboliche, a soggetti animali e vegetali. I simboli vegetali sono per lo più assimilati nella realtà della Croce quale albero o lignum vitae e saranno particolarmente sfruttati dal Medioevo all’Età moderna in riferimento all’alternanza delle stagioni, mentre per gli animali si affermano sin dai primi secoli la Fenice, mitico uccello che risorge dopo tre giorni dalle proprie ceneri, di cui abbiamo interessanti esempi mosaicati ad Antiochia11 e ad Aquileia12, entrambi della 6 Cfr. N. M. DENIS-BOULET, La représentation de la croix dans l’antiquité chrétienne, in: «La Maison-Dieu», 75 (1963), pp. 52-67. 7 Va qui ricordato che parallelamente la liturgia fissa in questi secoli feste quali quella dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), che risale al IV secolo ed entra nella prassi liturgica dopo il recupero delle reliquie della Santa Croce da parte dell’Imperatore Eraclio (628), e quella dell’Invenzione della Santa Croce (3 maggio), nel VII secolo (cfr. P. Jounel, Le culte de la croix dans la liturgie romaine, in: «La Maison-Dieu», 75 (1963), pp. 68-91. 8 Si tratta di un poemetto anonimo dell’VIII secolo, alcuni versi del quale sono incisi in caratteri runici sui bordi della Croce di Ruthwell. L’opera esordisce: «Attenti! Un’eccelsa visione io voglio raccontare, un sogno che sognai nel mezzo della notte, quando uomini e voci giacevano a riposo. Mi sembrò di vedere un albero magnifico ascendere nel cielo, di luce circonfuso, un tronco radiosissimo. Tutto quel segno era di oro rivestito: belle gemme splendevano ai confini del mondo, ed altre cinque stavano sul suo braccio traverso. (…) Vedevo il legno della gloria, adorno di vesti regali, scintillante di luce, coperto tutto d’oro; gemme avevano avvolto di fulgore l’albero del potente. (…)» (Il sogno della croce, a cura di Domenico Pezzini, Parma, Pratiche Editrice, 1992, p. 49). 9 Cfr. Khatchkar, Milano, Ares, 1977, pp. 75, ill. (Documenti di Architettura Armena, 2). 10 Così nella miniatura di un Innario del XVII sec. (Wien, Mekhitaristen Klöster, ms. 1185, c. 245v. 11 Oggi al Louvre. 12 Conservato al Museo Cristiano in località Monastero. 3 fine del IV secolo13, e il Pavone, per analogia della sua coda a ruota col disco solare e il cielo stellato e la proprietà, fissata da Plinio il Vecchio, di riacquistare in primavera tutte le penne perse in autunno. Il pavone, che compare anch’esso in mosaici paleocristiani14, entra più spesso in composizioni simmetriche in cui due pavoni affrontati convergono verso un chrismon, come nel sarcofago ravennate di Teodoro (metà del V sec.)15, o altro motivo centrale16, tra cui ricorre spesso un cantaro17, o bevono ad un calice eucaristico o alla fontana della vita18, come in alcuni plutei19 e rilievi medievali20 e nelle patere e soprattutto formelle veneto-bizantine del XII e XIII secolo21. Il gallo, che annuncia la luce dell’Ottavo giorno e, in definitiva, Cristo stesso che sorge quale Sole di giustizia, compare due volte nei mosaici pavimentali di Aquileia in una scena di lotta con la tartaruga, dove questa, anche a motivo dell’assonanza col Tartaro (tartarouchos), è associata alle tenebre22. Tra i simboli animali della Risurrezione ricordiamo anche il leone, in atto di risuscitare i leoncini, secondo l’antica credenza per cui si riteneva che i suoi piccoli venissero partoriti morti e dopo tre giorni rivitalizzati dal calore e le premure del padre o della madre. L’applicazione cristologica, sostenuta da alcuni autori quali Origene e Isidoro di Siviglia, si afferma nell’iconografia medievale23. Si sviluppano, intanto, e si moltiplicano le raffigurazioni della Visita delle Mirrofore al Sepolcro. Tra gli esempi più antichi ricordiamo la scena scolpita su una delle colonne in alabastro del ciborio della Basilica di S. Marco a Venezia (V sec.), dove vediamo l’angelo levare la mano in un gesto verso le due donne sopraggiunte e, ai piedi, due guardie a terra. Le ampolle argentee dette “di Terra Santa”, originariamente destinate a contenere olio raccolto sui luoghi santi, offerte a Teodolinda da papa Gregorio negli ultimi anni del VI secolo – ma senza dubbio anteriori – ed oggi conservate a Monza, ripetono a calco uno schema figurativo, in più di un esemplare associato alla Crocifissione, che mostra due donne giungere da sinistra, con la mirra per la sepoltura, verso l’angelo che, sulla destra, leva la mano verso di loro in un gesto di diniego, ad esprimere l’inutilità della pratica rituale che esse si accingono a compiere; al 13 Ricordiamo pure la fenice raffigurata su una palma, quale uccello del Paradiso, alla destra di Cristo, nel mosaico del catino absidale della chiesa dei SS. Cosma e Damiano a Roma. 14 Ad Aquileia, il mosaico pavimentale dell’area presbiteriale della Basilica Apostolorum della Beligna (oggi al Museo Cristiano in località Monastero), databile intorno al 394, presenta un pavone con 12 agnelli tra rami di viti con foglie e grappoli, a significare Cristo attorniato dai Dodici Apostoli. Altro bell’esemplare mosaicato del IV secolo è presente nel Mausoleo di S. Costanza a Roma. 15 Ravenna, S. Apollinare in Classe. 16 Pregevolissimo il fregio frontale della Cattedra eburnea di Massimiano (I metà VI sec. - Ravenna, Museo Arcivescovile), dove due pavoni sono rivolti verso il monogramma centrale del vescovo Massimiano. 17 Così, ad es., nei mosaici pavimentali della Basilica di S. Marco, a Venezia (XIII sec.); sinopia della fascia inferiore del catino absidale di S. Apoliinare in Classe (I m. VI sec. - Ravenna, Museo Nazionale). 18 Si veda, ad es., il bassorilievo della fronte del sarcofago a sei nicchie (V-VI sec. - Ravenna, S. Apollinare in Classe). 19 Notevole il pluteo dell’iconostasi della Cattedrale di S. Maria Assunta di Torcello (fine XI sec.). 20 Si veda, ad es., una vera da pozzo del IX sec. in marmo greco (Venezia, Museo Archeologico). 21 Numerosi esemplari applicati alle pareti esterne di palazzi e antiche case veneziane (cfr. A. Rizzi, Scultura esterna a Venezia. Corpus delle sculture erratiche all’aperto di Venezia e della sua Laguna, Venezia, Stamperia di Venezia, 1987 , ) o conservati in musei all’estero, tra cui ricordiamo il raffinato esemplare del primo ‘200 conservato al Bode Museum di Berlino. 22 Area del presbiterio dell’Aula Teodoriana Nord e settore centrale della Campata occidentale dell’Aula Teodoriana Sud (II decennio del IV sec.). 23 Ricordiamo, qui, una miniatura della Bibbia di Floreffe, dove compaiono insieme Le pie donne al Sepolcro e l’Apparizione del Risorto alle pie donne (II quarto del XII sec. – London, British Library), una miniatura dell’Evangeliario di Averbode (1165-1180 c. - Liège, Bibliothèque de l’Université), recante al piede la significativa iscrizione Imperium mortis qui destruxit leo fortis, ed una vetrata della cattedrale di Bourges (inizio del XIII sec.), in un comparto adiacente alla raffigurazione della Risurrezione. 4 centro il Sepolcro, in forma di tempietto sormontato da una croce. Lo stesso schema ritorna nelle coeve ampolle in stagno della chiesa di S. Colombano di Bobbio. E come un tempietto assai elaborato raffigura il Santo Sepolcro la tavoletta eburnea del dittico di Monaco (fine del IV sec.)24, dove tre donne avanzano verso l’angelo che annuncia loro l’avvenuta risurrezione di Gesù, mentre due guardie si appoggiano al tempietto. Appena dietro il cupolino del Sepolcro, quasi ne uscisse, si innalza un albero frondoso sul quale si posano due uccelli, a cibarsi dei suoi frutti: l’albero della Croce, divenuto rigoglioso lignum vitae, accoglie i fedeli tra le sue fronde e offre loro riparo e alimento. Verso l’angolo superiore destro Cristo ascende, tratto al cielo dalla mano di Dio Padre che sbuca di tra le nubi, raffigurazione, questa, dell’Ascensione, ma lungo una linea che suggerisce una continuità con il Sepolcro, e quindi con la Risurrezione, il che sembra riecheggiare le parole di Pietro fissate dagli Atti degli Apostoli: «Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2, 24). Va ancora menzionata una tavoletta del cofanetto eburneo del British Museum (V sec.), che presenta uno schema compositivo diverso, con le due donne ai lati del Sepolcro in forma di tempietto presso il quale dormono le guardie e la cui porta mostra un battente caduto. Un caso particolare è rappresentato dal sarcofago della chiesa di San Celso a Milano, databile all’ultimo terzo del IV secolo. Qui le due Mirrofore si accostano alla porta di una costruzione sulla cui soglia giace una sorta di lino o benda afflosciata, additata da un angelo che sovrasta la scena, associata all’adiacente raffigurazione dell’episodio dell’Incredulità di Tommaso. Un accostamento simile compare nell’Evangeliario di Rabbula (586)25, dove, in un comparto rettangolare sottostante ad un più ampio riquadro in cui è raffigurata la Crocifissione, il Sepolcro-tempietto, un battente della cui porta è aperto, divide, al centro, il campo in due scene: a sinistra l’incontro delle due Mirrofore con l’angelo, a destra l’Apparizione del Risorto a Maria Maddalena, in una formula essenziale che già fissa lo schema compositivo del soggetto successivamente noto come Noli me tangere. Dello stesso periodo è il reliquiario ligneo conservato ai Musei Vaticani26 sul quale è dipinta a tempera, in un comparto minore sovrastante la Crocifissione, la Visita delle Mirrofore al Sepolcro, nello stesso modulo iconografico riscontrabile nelle ampolle di Terra Santa e che presenta una leggera variante nella posizione dei personaggi nel mosaico di S. Apollinare Nuovo a Ravenna (entro il 526). Il Vangelo, oltre alle narrazioni della scoperta del sepolcro vuoto e delle apparizioni del Risorto, offre un ulteriore appiglio alla riflessione sulla Risurrezione di Cristo, giacché Gesù stesso applica tipologicamente, in proiezione su quanto sta per accadere, alla propria esperienza ormai prossima di passione, morte e risurrezione, la vicenda del profeta Giona (cfr. Gn 1, 3 - 2, 11), gettato in mare dalla nave per placare la tempesta e lì inghiottito dal mostro ma24 Monaco, Bayerisches National Museum. Manoscritto miniato siriano, conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. 26 Museo della Biblioteca Apostolica Vaticana. 25 5 rino, nel cui ventre rimane per tre giorni, prima di venire rigettato a riva dallo stesso. Nel ventre del mostro marino, Giona leva la sua preghiera a Dio: «Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce. Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare e le correnti mi hanno circondato; (…) Io dicevo: Sono scacciato lontano dai tuoi occhi; eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio. (…) Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore mio Dio. (…)» (Gn 2, 3-10). La risposta di Dio alle invocazioni di Giona si realizza nella sua salvezza: «E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull’asciutto» (Gn 2, 11). Il ciclo narrativo si completa con il riposo del profeta sotto una pergola di ricino (Gn 4, 5-6). Gesù Cristo, sollecitato di esibire i titoli della propria messianicità attraverso “un segno”, risponde in modo netto e inequivocabile: Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona! (Mt 12, 39-41)27. Ci troviamo così di fronte ad una delle principali strutture profetico-figurali di collegamento vetero-neotestamentario, dotata di un peso ed autorità particolare perché stabilita da un criterio interno al Nuovo Testamento di applicazione della figura all’evento, anzi, garantito dalle parole di Gesù Cristo stesso. Tale modalità esegetica si diffonderà e investirà, con la letteratura patristica, pressoché la totalità dei contenuti dei testi veterotestamentari, ma potrà far ciò in quanto garantita in radice dalla lettura che il Vangelo stesso istruisce su alcuni eventi in oggetto della propria narrazione. Ora, è evidente che il valore del carattere figurale di un testo veterotestamentario è maggiore se il suo riferimento all’evento evangelico è individuato per tale già internamente alla Scrittura neotestamentaria stessa per cui si colloca, quale contenuto a sua volta di Rivelazione, su un piano di significato nettamente superiore rispetto a quello che può offrire una semplice interpretazione successiva, per quanto suffragata dall’autorità di uno o più Padri della Chiesa. La vicenda di Giona si impone, così, per il suo carico figurale espresso già nel dato evangelico, quale modello figurativo della Risurrezione sin dalle prime espressioni artistiche del pensiero cristiano. Tra i primi esempi ricordiamo gli affreschi delle catacombe romane28, e figurazioni a rilievo su fronti di numerosi sarcofagi. Tra questi, degno di particolare menzione è un sarcofago della fine del III secolo conservato al Museo Pio Cristiano, dalla Necropoli Vaticana, dove la composizione d’insieme, con i due episodi complementari in una sequenza lineare giocata sulla simmetria organizzata intorno alla centralità del Leviathan, ora è rivolto a sinistra nell’atto di inghiottire Giona, poi a destra per rigettarlo dal lato opposto, con le spire che tra una scena e l’altra si confondono quasi a farne un tutt’uno, offre al lettore il senso 27 Cfr. Lc 11, 29-32. Giona gettato in mare e ingoiato dal mostro marino – Catacombe di Callisto (III sec.); Giona gettato in mare e ingoiato dal mostro marino - Catacombe dei SS. Pietro e Marcellino (III sec.); Giona rigettato a riva dal mostro marino - Catacombe di Priscilla (IV sec.). 28 6 dell’unità di un percorso di ingresso-uscita, kénosis-àskesis, morte-risurrezione, che riafferma il senso profondo dell’unità inscindibile dell’evento pasquale. Il sarcofago composito di S. Maria Antiqua a Roma mostra Giona disteso a lato del mostro dal quale è stato appena rigettato e già in riposo sotto la pergola, sopra di lui alcune pecore in riposo, a destra un’orante, in cui F. Tristan propone di riconoscere la Chiesa, e ancora procedendo verso destra un filosofo in atto di studiare, il Buon Pastore, il Battesimo di Gesù29. Di pochi decenni posteriore è il grande pavimento musivo di Aquileia, databile al secondo decennio del IV secolo30, completa delle tre scene del ciclo, unificate da un mare popolato da pesci di vari tipi e dimensioni in atto di esser pescati da putti e ancora molluschi, crostacei, anguille, meduse: nella prima scena Giona è gettato nelle fauci del mostro marino, mentre una figura orante indica la realtà soprannaturale dell’evento; nella seconda Giona è rigettato a riva; nella terza riposa sotto una pergola da cui pendono alcune zucche. L’insieme del vasto tappeto musivo trova un interessante accostamento in due testi di S. Cromazio di Aquileia31. La tradizione esegetica ha sviluppato l’interpretazione figurale di altre narrazioni veterotestamentarie riferendole alla Risurrezione. Tra quelle che hanno trovato espressione iconografica ricordiamo l’episodio di Sansone che, divelti i battenti delle porte di Gaza, li trasportò in cima al monte (Gdc 16, 3), il che ha suggerito agli esegeti un accostamento tipologico sia alle porte degli inferi abbattute da Cristo, sia alle assi componenti la Croce. Lo si trova nel Trittico di Alton Towers, opera di oreficeria e smalti della metà del XII secolo32, dove compare, sulla portella opposta, la vicenda di Giona. Una miniatura del Breviario Grimani (fine XV sec.)33 raffigura Sansone in atto di trasportare i battenti della porta di Gaza, mentre la cornice dorata che lo circonda reca in due comparti i due episodi con Giona gettato in mare e rigettato dal mostro marino, interessante accostamento delle due narrazioni nella convergenza della loro portata figurale. Altri fatti accostati dall’esegesi e assunti dalla tradizione iconografica sono la risurrezione del figlio della vedova da parte di Elia (1Re 17, 17-24) e la risurrezione del figlio della Sunammita da parte di Eliseo (2Re 4, 33-37), interscambiabili e difficilmente distinguibili nelle raffigurazioni, in assenza di iscrizioni, e di cui un esempio è presente in una vetrata della cattedrale di Bourges (in. XIII sec.), dove corona, insieme a Giona rigettato dal mostro marino che gli fa da pendant, il comparto della Risurrezione di Cristo. Nell’Alto Medioevo tende intanto a determinarsi un altro modello iconografico, generato dalla riflessione teologica sul periodo di tre giorni intercorso tra la morte e la Risurrezione di Gesù Cristo. La Prima Lettera di Pietro fornisce uno spunto, affermando: «Anche Cristo è 29 F. Tristan commenta: «Nous sommes bien ici en présence d’une description des dogmes et de la mission de l’Assemblée: la résurrection (Jonas), l’Église (l’orante), l’enseignement (le philosophe), l’amour du prochain (le berger criophore), le baptême» (Les premières images chrétiennes, Paris, fayard, 1996, p. 187). 30 Campata orientale dell’Aula Teodoriana Sud. 31 «Nel mare è raffigurato il mondo, che ribolle per diversi peccati e varie tentazioni come per i flutti. Di ciò troviamo scritto: Questo è il mare spazioso e vasto, lì guizzano senza numero animali piccoli e grandi. Vi è anche il drago, quello che hai formato perché si diverta» (Tr. In Math., 42, 5). «Guarda quant’è diversa questa celeste pesca degli Apostoli dalla pesca di questa terra. I pesci, infatti, quando sono catturati, muoiono. Gli uomini, invece, sono catturati perché vivano, (…) Mirabile questa pesca, e meravigliosi i pescatori, che pescano non perché ne muoiano quelli che catturano, ma perché vivano. Secondo quanto avviene su questa terra, vivono i pesci che sono catturati; in questa pesca, invece, muoiono quelli che non meritavano di essere catturati» (Tr. In Math., 14, 3). 32 London, Victoria and Albert Museum. Il trittico raffigura, nel comparto centrale, la Crocifissione, inclusa tra l’Anastasis, in basso, e la Visita delle donne al Sepolcro, in alto. 33 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana – Breviario Grimani, c. 163r. 7 morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione» (1Pt 3, 18s). L’idea è ampiamente sviluppata nella letteratura apocrifa: nelle Questioni di Bartolomeo34 e nel Vangelo di Nicodemo, seconda parte degli Atti di Pilato35, dove si narra la discesa agli Inferi di Cristo, la sua irresistibile irruzione con l’abbattimento delle porte dell’Ade, nonostante fossero state rinforzate e rinsaldate nelle serrature, l’incatenamento delle potenze infernali e la liberazione dei prigionieri. Nel Vangelo di Nicodemo si assiste al dialogo di Satana con l’Ade, confusi di fronte a quanto sta per accadere, il primo illuso di portare nel regno dei morti il Cristo senza subirne la rovina: Mentre Satana e l’Ade discutevan così, si levò una voce potente come un tuono: “Togliete, o principi, le vostre porte ed elevatevi, o porte eterne, elevatevi ed entrerà il re della gloria!” (…) Di nuovo risuonò una voce: “Togliete le porte!”. L’Ade, udendo quel grido per la seconda volta, rispose a mo’ di ignorante: Chi è questo re della gloria?” Gli angeli del Signore risposero: “Il Signore potente e forte, il Signore potente in battaglia”. E subito, a quella parola, le porte bronzee si frantumarono e le sbarre di ferro furono infrante. Tutti i morti legati furono sciolti dalle catene e noi insieme a loro. Il re della gloria entrò come un uomo. I luoghi bui 36 tutti dell’ade si illuminarono . Colto di sorpresa, Satana viene incatenato e consegnato all’Ade, che gli rinfaccia la sconfitta: “Tutto ciò che hai guadagnato con l’albero della conoscenza, hai perso tutto a causa della croce. (…)”. Mentre l’Ade rivolgeva queste parole a Satana, il re della gloria, porgendo la sua destra, prese e sollevò il progenitore Adamo. Quindi, volgendosi agli altri, disse: “Orsù, venite con me voi tutti che subiste la morte per il legno che costui ha toccato. Ecco che io vi faccio risorgere tutti per mezzo del legno della croce”37. Sulla base di questi testi, si sviluppa la tipologia iconografica della Discesa agli Inferi, destinata a conoscere un’ampia diffusione e ad affermarsi soprattutto nell’iconografia delle chiese orientali, con il soggetto della cosiddetta Anastasis. La prima raffigurazione che ci è nota di questo soggetto è scolpita su una delle colonne in alabastro del ciborio della Basilica di S. Marco a Venezia (V sec.), in cui si vede Gesù Cristo prendere per mano Adamo per trarlo dal Limbo e calpestare al tempo stesso due personaggi, in cui sono rappresentati Satana e la personificazione dell’Ade. Il soggetto si fa frequente verso il X secolo, quando comincia a comparire sui rotoli degli Exultet, dove si arricchisce di elementi figurativi dall’evidente riscontro narrativo con il testo del Vangelo di Nicodemo. Così l’Exultet Barb.Lat. 592 della Biblioteca Apostolica Vaticana, databile all’ultimo quarto dell’XI secolo, raffigura il Cristo reggente la croce in guisa di vessillo di vittoria, entro le cavità della terra rese con un contorno seghettato a rappresentare quasi una voragine nelle rocce della terra, tra le fiamme e le porte divelte e catenacci e serrature rotte e sparpagliate, mentre trae per mano Adamo dietro al quale è subito Eva e si assiepa una folta schiera di persone. Ma negli Exultet la rappresentazione della Discesa agli Inferi si sdoppia: a) nella vera e propria Descensio, corrispondente alle parole del testo Regis victoria, dove vediamo Cristo, 34 Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, I/2, a cura di M. Erbetta, Torino, Marietti, 1981, pp. 288-300. Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, I/2, cit., pp. 265-273. 36 Vangelo di Nicodemo, V, in: Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, I/2, cit., p. 268. 37 Ivi, VII-VIII, ed. cit., p. 269. 35 8 contornato da una mandorla luminosa (talvolta un’aura circolare) e reggente il vessillo della croce, solitamente affiancato da due angeli, irrompere nell’Ade con un movimento discensivo sovente sapientemente reso con un effetto pittorico di grande dinamicità e immobilizzare con un’asta uncinata o una lancia il demonio; b) nella Anastasis propriamente detta e corrispondente alle parole Resurrectio mortuorum, in cui Cristo, sempre reggendo il vessillo della croce, trae per mano Adamo, solitamente affiancato da Eva e da una fitta schiera di persone, da una posizione più bassa (fossa, avvallamento, caverna), con un movimento ascensivo, esattamente inverso al primo, anch’esso reso sovente con un effetto di grande dinamicità. In entrambe le scene si distinguono le porte degli inferi abbattute e le serrature rotte e sparpagliate, oltre ad essere mantenuta, dall’una all’altra, una sostanziale coerenza di ambientazione38. Tra le riprese più interessanti di quest’epoca dell’Anastasis nelle arti applicate va ricordato l’Evangeliario di Ariberto d’Intimiano39, dove gli spazi delimitati dal Crocifisso che campeggia si inseriscono smalti raffiguranti: a) l’Anastasis, con il Cristo che, recante la croce, solleva dalle fiamme Adamo ed Eva, mentre un angelo risospinge con un’asta il demonio, che afferra il braccio di Adamo in un ultimo tentativo di tarttenerlo, sotto i piedi del Salvatore; b) una rara raffigurazione di Cristo che accompagna il buon ladrone in Paradiso, interessante applicazione iconografica della promessa di Gesù morente in croce al ladrone, narrato nel Vangelo di Luca, dove si afferma la simbolica del passaggio – Cristo accompagna per mano nel transito attraverso il regno della morte – che contraddistingue propriamente la natura dell’evento pasquale; c) L’annuncio dell’angelo ad una delle donne giunte al Sepolcro dell’avvenuta Risurrezione di Gesù. Altre figurazioni dell’Anastasis (Resurrectio mortuorum) nei rotoli degli Exultet dell’XI secolo40 rivelano un partito iconografico sovrapponibile a quello che, fissato nel coevo mosaico del Monastero di Osios Lukas, assumerà il ruolo di modello figurativo per questa tipologia iconografica. Qui il Cristo, al centro, solleva, prendendolo per mano, Adamo, cui si accompagna Eva, mentre dalla parte opposta si alzano i re Davide e Salomone, cui talvolta si aggiungono altri personaggi (ad es., il Battista); ai piedi del Salvatore i battenti degli inferi atterrati con serrature e chiavistelli sparpagliati. 38 Ricordiamo, così, per i rotoli recanti la doppia rappresentazione della Discesa agli Inferi nelle modalità della Regis Victoria e della resurrectio mortuorum, l’Exultet Vat.Lat. 9820 (Benevento, 981-987 - Biblioteca Apostolica Vaticana); l’Exultet Rylands (Italia meridionale, X-XI sec. – Manchester, John Rylands University Library); l’Exultet Gaet. II (Gaeta, II m. XI sec. - Gaeta, Museo Diocesano), nella cui raffigurazione della Regis Victoria Cristo, entro una mandorla circolare, punta la lancia nelle fauci di un mostro dal quale fuoriesce un mare di fiamme, elemento iconografico di connessione tra il mostro marino della narrazione figurale di Giona e le rappresentazioni antropomorfe del maligno che entrano usualmente in queste composizioni; l’Exultet Gaet. III (Gaeta, I m. XII sec. (entro il 1130) - Gaeta, Museo Diocesano), iconograficamente analogo al precedente; l’Exultet Cas. 724 (Benevento, XII sec. - Roma, Biblioteca Casanatense), nella cui Regis Victoria Cristo, scortato da due angeli, conficca una lancia nelle fauci di Satana; l’Exultet Salernitano (11 sezioni pergamenacee, Salerno, m. XIII sec. - Salerno, Museo Diocesano), nella cui Resurrectio mortuorum Cristo, mentre afferra il polso di Adamo, calpesta le porte divelte; l’Exultet Gaet. I (Gaeta, XI sec. - Gaeta, Museo Diocesano), che concentra la narrazione in una sequenza unitaria di 3 momenti: Cristo abbatte le porte degli inferi, schiaccia la testa di Satana e libera i morti. Sui rotoli degli Exultet si veda il volume Exultet. Rotoli liturgici del medioevo meridionale, Direzione scientifica Guglielmo Cavallo, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1994, pp. 499, ill. 39 Milano, Tesoro del Duomo. 40 Così l’Exultet Barese I (Bari, 1025/30 - Bari, Archivio Capitolare) e il più tardo Exultet di Velletri (XI - in. XII sec.? – Velletri, Museo Diocesano). 9 Ritroviamo questa modulazione figurativa dell’Anastasis negli smalti della Pala d’Oro della Basilica di San Marco a Venezia (in. XII sec.)41, nonché in un luminoso affresco del Monastero di S. Giorgio a Kurbinovo (1191), in un affresco coevo del Monastero di Santa Caterina del Monte Sinai e ancora nel Mosaico del Giudizio Universale, sovrastato dall’Anastasis della Controfacciata della Cattedrale di S. Maria Assunta di Torcello (fine XII sec.), che ne riprende lo schema, dislocando diversamente le figure, fino al mosaico della volta Ovest della Cupola dell’Ascensione della Basilica di San Marco a Venezia (ultimo decennio del XII sec.), dove si nota il particolare del tentativo del maligno, pur incatenato e calpestato dal Redentore, di trattenere Adamo con l’afferrargli il piede, e si aggiungono le immagini dell’Apparizione alla Maddalena (Noli me tangere) e dell’Incredulità di Tommaso. A quest’epoca datano pure gli antichi mosaici dei lunettoni dell’ordine superiore della facciata, sostituiti nel XVII secolo, ma dei quali abbiamo una dettagliata testimonianza figurativa nel dipinto di Gentile Bellini della Processione in Piazza San Marco (1496)42. Ebbene, dal dipinto di Bellini apprendiamo che i due lunettoni ai lati dell’arcone maggiore rappresentavano l’Anastasis (a sinistra) e la Risurrezione (a destra). I soggetti, anche nelle sostituzioni seicentesche, sono rimasti immutati, ma nel mosaico originale, dove si vede Gesù Cristo con il vessillo crociato fuoriuscire dal Sepolcro sollevando una gamba in atto di scavalcarlo, possiamo riconoscere una delle prime raffigurazioni della Risurrezione come tale, cioè dell’evento stesso nel suo accadere, sino a quest’epoca mai tentata43. Un’altra Risurrezione è raffigurata su un’armilla in rame dorato a smalti della regione mosana, databile intorno al 1170, conservata al Louvre, recante l’iscrizione Rexurextio Dni, quasi a protestare il coraggio dell’innovativa rappresentazione: qui il Cristo, reggente con la sinistra il vessillo crociato, si dà a scavalcare il sepolcro con piglio fermo e sicuro, mentre si disfa con l’altra mano, con altrettanta naturalezza, dei lini che lo avvolgevano. Ad un secolo ritroviamo una composizione simile, sebbene inferiore nella resa figurativa, nel messale di Rouen della fine del XIII secolo (1285-97)44, compresi i due angeli che pure nell’armilla smaltata assistevano ai lati. L’arte bizantina continuerà a rappresentare l’Anastasis per tutta l’età moderna, congelando a questa tiologia iconografica la rappresentazione della (avvenuta) Risurrezione. Per il XIV secolo è d’obbligo menzionare l’affresco di Kaiye Cami (Istambul), dove Adamo ed Eva sono tratti, quasi ‘strappati’ con veemenza entrambi per mano, uno per parte, da Cristo che domina al centro la scena. Numerose sono le icone dei secoli successivi, che talora ripetono l’impostazione di Kaiye Cami45, talaltra marcano l’ambientazione degli Inferi con profonde spaccature nella roccia46, offrendo con ciò un significativo accostamento con le icone della Natività, dove una caverna accoglie il Bambino Gesù avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia dipinta in forma di piccolo sarcofago. Nelle icone dell’Anastasis talora Cristo reca in 41 La Pala d’Oro include due smalti raffiguranti l’Anastasis, uno nel registro inferiore (in. XII sec.) ed uno, di maggiori dimensioni, nel registro superiore (metà XII sec.). 42 Venezia, Gallerie dell’Accademia. 43 Questo tipo di rappresentazione sarebbe comparsa la prima volta nell’XI secolo, in una miniatura di un Evangeliario di Monaco realizzato nello scriptorium di Reichenau. 44 San Pietroburgo, Biblioteca Nazionale di Russia. 45 Ricordiamo qui l’icona dell’Anastasis di Dionisij (1502 – San Pietroburgo, Museo Russo). 46 Si veda, ad es., una particolare icona del XVI secolo conservata nella chiesa di Berat, ripr. in E. Yon – Ph. Sers, Le Sante Icone, Firenze, Passigli, 1994, tav. 112. 10 una mano il rotolo del cosiddetto chirografo del peccato cui accenna l’inno Akathistos, di cui si reimpossessa per riscattare l’uomo dalla colpa originale47. Continuano, per il resto, a fiorire e a moltiplicarsi le rappresentazioni delle apparizioni del Risorto48. Già i rotoli degli Exultet presentano il soggetto del Noli me tangere secondo lo schema ormai consolidato, con la Maddalena inginocchiata a terra e rivolta a Gesù Cristo, che se ne ritrae49, e che ritroviamo ancora nelle icone cretesi del XVI secolo50. Nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi se ne fissa un intero ciclo negli altorilievi policromi del recinto del coro (1318-1344). Tra le altre apparizioni ricorre più frequentemente l’Incredulità di Tommaso, di cui menzioniamo qui il rilievo del chiostro di S. Domingo de Silos (inizio XII sec.), la cui composizione sembra riflettersi in una miniatura della Bibbia di Avila (metà del XII sec.)51 dove è pure raffigurata la Cena in Emmaus. Associa nei due comparti di un’unica placchetta in avorio l’Incontro con i Pellegrini di Emmaus e il Noli me tangere un piatto di legatura iberico della prima metà del XII secolo52. E ancora è l’Apparizione alle pie donne a combinarsi con la loro Visita al Sepolcro nei due comparti di una ‘B’ iniziale di un Graduale miniato dell’inizio del XIV secolo53. Quanto alla Visita delle Mirrofore al Sepolcro, conserva una certa diffusione. Ricordiamo in proposito il piatto di legatura di S. Egidio di Brunswick a rilievi eburnei (fine del XII sec. – Brunswick, Herzog Anton Ulrich-Museum), recante al centro il Pantocrator, dove il nostro soggetto, riproposto in forma di processione di tre donne verso l’angelo seduto sulla lastra spostata del sepolcro (placchetta superiore), è accostato alla processione, inversa, dei Re Magi recanti i doni verso il bambino Gesù seduto in grembo alla Vergine Maria (placchetta inferiore). Di questo soggetto tende a ricorrere la versione già fissata nel Sarcofago di San Celso, con l’angelo additante i lini afflosciati nel sepolcro, che ritroviamo in una pagina del Sacramentario di San Gereone (fine X - in. XI sec.)54, in un rilievo della chiesa di San Miguel a Estella (XII sec.), in un comparto della vetrata della Passione e Risurrezione della Cattedrale di Chartres (XII sec.), nel mosaico sommitale della volta Ovest della Cupola dell’Ascensione della Basilica di San Marco a Venezia (ultimo decennio del XII sec.), in un Reliquiario smaltato di Limoges (1170/80 c.)55, in un Salterio inglese (1180 c.)56, in un Evangeliario siriaco della Biblioteca Apostolica Vaticana (1219-20), in un gruppetto statuario di un reliquiario ar47 Citiamo, a titolo di esempio, un’icona del XV secolo conservata presso la Galleria Tretyakov di Mosca, ripr. in: K. Weitzmann et al., Le icone, Milano, Mondadori, 1981, p. 283 48 Si veda, in merito all’iconografia delle apparizioni, L. Réau, Iconographie de l’Art Chrétien, Paris, Presses Universitaires de France, t. II, p. II, pp. 551-81. 49 Così l’Exultet Add. 30337 (Montecassino, III / ult. q. XI sec. - London, British Library) e l’Exultet Barb.Lat. 592 (Montecassino, ult. q. XI s. (1087?) - Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana). 50 Ricordiamo due esemplari coevi e del tutto simili nello schema compositivo, a Dubrovnik, Museo d. Icone, e a Venezia, presso l’Istituto Ellenico di Studi Bizantini. 51 Madrid, Biblioteca Nacional. 52 León o Asturie, oggi al Metropolitan Museum di New York. 53 Modena, Biblioteca Estense - Fondo Estense, Ms. Lat. 1005, c. 92r. 54 Paris, Bibliothèque Nationale. 55 Tesoro della chiesa di Nantouillet. 56 Copenaghen, Biblioteca Reale. 11 genteo del Santo Sepolcro (1290 c.)57, e ancora altrove, nonché in alcune miniature armene, assai vicine alla composizione del mosaico marciano58. Con la pittura del Trecento italiano le figurazioni si aprono ad una complessità che si manifesta con un arricchimento ed intensificazione di alcuni elementi figurativi già presenti. Tra gli affreschi di Giotto per il ciclo della Cappella degli Scrovegni di Padova vediamo assimilate in un’unica composizione Il Sepolcro vuoto e l’ormai consolidato soggetto del Noli me tangere (1302-05). Sul Sepolcro siedono due angeli, mentre quattro soldati giacciono addormentati. A destra il Risorto si allontana dalla Maddalena, recando un vessillo crociato ormai ampio recante l’iscrizione victor mortis. Similmente si distende ampio il vessillo del Cristo eretto sul Sepolcro del Polittico di Ascoli (primo decennio del XIV sec.)59. Con la Maestà del Duomo di Siena (1308-1311) di Duccio di Buoninsegna la pluralità episodica dell’ampio polittico dà spazio per lo sviluppo articolato delle figurazioni legate alla Risurrezione, cosicché si osservano: a) la Discesa al Limbo, vicina all’impianto figurativo dell’Anastasis di ascendenza bizantina; b) la Visita delle Mirrofore al Sepolcro, dove l’angelo addita ancora i lini afflosciati, e che è considerata tra i capolavori di Duccio per l’atmosfera di stupore all’apparizione dell’angelo, espresso con l’arretramento appena accennato dalla postura delle donne e accentuato dai contrasti cromatici tra le loro vesti, rappresentate con colori intensi, e il candore luminoso dell’angelo; c) l’Apparizione di Cristo alla Maddalena (Noli me tangere), fedele al consueto schema compositivo; d) l’Incontro con i discepoli sulla via di Emmaus; e) l’Apparizione di Cristo agli Apostoli a porte chiuse, che sfrutta la stessa dinamica di arretramento delle pie donne al Sepolcro. Alla metà del secolo Paolo Veneziano, nel Polittico di S. Chiara (1358c)60 compone in un’unica scena la tipologia consueta del Noli me tangere con la Risurrezione propriamente detta, che non a caso richiama nella postura il mosaico del lunettone della facciata della Basilica di S. Marco e dove Cristo, reggendo il vessillo crociato, è in atto di uscire dal sepolcro, sormontandone il bordo con un piede. Con il trecento l’iconografia si è ormai indirizzata ad una rappresentazione figurativa della Risurrezione in senso proprio, dal che ne ne risentono tutte le rappresentazioni simboliche isolate, che tendono piuttosto a venire assorbite nella crescente complessificazione delle figurazioni dell’evento stesso, mentre, grazie al loro carattere narrativo, le apparizioni del Risorto si manterranno al centro dell’interesse diversificandosi, anzi, notevolmente, per le possibilità offerte agli artisti. Il ciclo di affreschi del Convento di S. Marco del Beato Angelico (1438-1446/50) spende sull’iconografia della Risurrezione una composizione della Visita delle pie donne al Sepolcro e della Risurrezione, giacché sovrasta la scena della visita delle donne al Sepolcro e dell’incontro con l’angelo la figura del Cristo risorgente entro una mandorla luminosa. Un al57 Pamplona, tesoro della Cattedrale. Cfr. la miniatura di Toros Daronetsi nel Vangelo di Gladzor, del 1307 (Venezia, Biblioteca della Congregazione Mechitarista di San Lazzaro). 59 Ascoli Piceno, Pinacoteca. 60 Venezia, Gallerie dell’Accademia. 58 12 tro affresco del ciclo ripropone il classico soggetto del Noli me tangere con grande levità di movenze e ariosità dell’ambiente che anticipa, nella rigogliosità del giardino, già un’immagine del Paradiso (paradeisos). Con Andrea Mantegna la Risurrezione (Pala di San Zeno, 1459-60)61 sottolinea la positività umanistica della reintegrazione della corporeità alla vita: il Risorto, radioso, mentre regge il vessillo crociato, calca il bordo del Sepolcro. Tale rappresentazione è rimodulata da Piero della Francesca nella sua notissima Risurrezione (affresco, 1463-65)62, con l’effetto di una ferma esaltazione positiva dell’umanesimo già espresso nel Mantegna: Cristo si erge con una qual certa innegabile fierezza, trionfante sul sepolcro posandovi il piede sinistro in segno del dominio raggiunto sulla morte63. A terra quattro soldati di guardia. Sullo sfondo il contrasto tra gli alberi secchi di sinistra e quelli frondosi di destra allude alla valenza simbolica del succedere della primavera all’inverno, in analogia col ritorno alla vita della Risurrezione. Questo modello è ripetuto dal Crivelli, dapprima in un pannello della predella del Polittico di Massa Fermana (1468)64, e ancora nella cuspide centrale del Trittico di Camerino (1482)65. In quest’epoca Giovanni Bellini, nella sua Risurrezione (1475-79)66, stacca invece da terra il corpo del Risorto, il quale si innalza sul paesaggio dominando compostamente la scena, dove, in primo piano, quasi ‘preme’ sull’osservatore il sepolcro aperto, attorniato da quattro soldati presi dallo stupore. Più lontano, si vedono avanzare le tre Mirrofore. Il Quattrocento fiammingo modula variamente l’iconografia della Risurrezione, da un lato complessificando la narrazione per sommatoria di episodi nell’unità di un continuum paesaggistico, dall’altro approfondendo alcuni motivi di riflessione teologica, come ad esempio sulla configurazione corporea del Risorto, solitamente rappresentato avvolto da un manto di porpora. È il caso dello Pseudo Multscher, la cui Risurrezione dell’Altare di Landsberg (1437)67 raffigura Cristo mentre sorge dal sepolcro attraversandone la lastra marmorea di copertura, reso evidente dal fatto che la gamba sinistra vi è ancora immersa. Il pannello di destra dell’Altare Miraflores di Rogier Van der Weyden (1440 c.)68 rappresenta l’Apparizione del Risorto alla Vergine Maria. Compare così un soggetto che non si sostiene su alcun dato evangelico, né apocrifo, ma si sviluppò nella pietà e nella riflessione teologica come naturale supposizione. Sulla tradizione si sofferma Jacopo da Varagine nella Legenda Aurea69. Nel paesaggio dello sfondo, in lontananza, attraverso la porta aperta 61 Elemento della predella oggi a Tours (Musée des Beaux-Arts) e sostituita nell’originaria posizione della Pala a San Zeno (Verona) con una copia ottocentesca. 62 Sansepolcro, Pinacoteca Comunale. 63 Potremmo accostare questo gesto al calpestare le porte degli inferi delle Anastasis dell’iconografia bizantina. 64 Massa Fermana, Chiesa di San Silvestro. 65 Zurigo, Abegg-Stockar. 66 Berlin, Staatlichen Museen. L’opera fu copiata dal Mazzola nel 1497 in un dipinto oggi conservato nel Museo di Strasburgo. 67 Berlin, Staatliche Museen. 68 Berlin, Staatliche Museen. 69 Jacopo da Varagine, trattando della serie delle apparizioni considera «quando apparve, a quanto si crede, a Maria prima che ad ogni altro, anche se gli evangelisti non ne fanno parola. La Chiesa Romana sembra accogliere questa versione, celebrandone la stazione il giorno stesso di Pasqua a Santa Maria Maggiore. Se non lo si volesse credere, non essendo attestato dagli evangelisti, ne conseguirebbe che dopo la resurrezione non sarebbe mai apparso alla madre, poiché gli evangelisti non dicono né dove né quando: ma sarebbe empio credere che tale figlio abbia mancato di onorare tale madre non apparendole. (…) gli evangelisti non vollero scrivere, ma lasciarono la cosa per certa e ovvia: dovette infatti Gesù rallegrare sua madre 13 dell’architettura in cui si svolge la scena, si intravvede la Risurrezione, rappresentata con il Cristo in piedi avanzantesi come appena uscito dal sepolcro, sul quale la lastra è ruotata, mentre i soldati giacciono a terra. Memling sembra tornare sulla natura particolare della corporeità del Risorto: nella complessa composizione de La Passione di Cristo (1470-71)70, l’episodio della Risurrezione è rappresentato con il suo comparire davanti alla lastra tombale ancora chiusa, il vessillo nella mano; più avanti verso l’osservatore uno squarcio tra le rocce ci fa intravvedere la Discesa agli Inferi; a distanze crescenti si scorgono ancora, nella fuga prospettica (l’avanzare cronologico del racconto evangelico distanzia spazialmente le scene rispetto all’osservatore), il Noli me tangere, l’Incontro con i discepoli sulla via di Emmaus e l’Apparizione sulla riva del Lago di Tiberiade. Altra composizione multipla è la tavola de Le sette gioie di Maria (1480)71, dove ancora Cristo, col vessillo crociato, appare all’aperto, davanti alla lastra ancora chiusa del Sepolcro, mentre sopraggiungono lungo un sentiero, da lontano, le Mirrofore. Seguono, nella consueta fuga prospettica, l’Apparizione alla Maddalena, e, dato il soggetto dell’opera, l’Apparizione alla Vergine Maria, e ancora, limitatamente all’oggetto della nostra indagine, l’Incontro con i discepoli sulla via di Emmaus e l’Apparizione sulla riva del Lago di Tiberiade. Lo stesso Memling, nel Trittico della Risurrezione (1485-90)72, ritrae Cristo mentre esce dalla tomba, posando un piede a terra fuori dal sepolcro, scoperchiato da un angelo alle sue spalle. Regge con la sinistra il vessillo crociato e accenna al cielo con la destra. Dei quattro soldati che giacciono a terra, intorno, due si stanno appena destando. Sullo sfondo si intravvedono le tre croci sul Golgotha, mentre lungo un sentiero avanzano, ancora lontane, le tre Mirrofore. Nel Trittico della Passione, o Trittico Greverade (1491)73, il pannello di destra compone in un unico paesaggio le scene della Deposizione di Cristo nel sepolcro e la sua Risurrezione. Un angelo scoperchia il sepolcro nella roccia e Cristo ne esce, tra i soldati dormienti, recando una croce astile e sollevandosi leggermente in volo. Sullo sfondo sorge il sole dell’alba della Pasqua, mentre nella fuga prospettica prendono forma altre scene delle apparizioni e, su un monte, l’Ascensione74. Di produzione fiamminga, anche la miniatura della Risurrezione del Breviario Grimani (fine XV sec.)75 presenta il Risorto, con il vessillo crociato, mentre avanza eretto e un poco per la resurrezione, poiché lei più degli altri aveva sofferto per la morte. Chi si affrettò a consolare gli altri per la sua morte, come avrebbe potuto lasciare da parte la madre?» (Legenda Aurea, LIV, 6.13). 70 Torino, Galleria Sabauda. 71 Monaco, Alte Pinakothek. 72 Paris, Louvre. La composizione richiama quella di una tavola di Dirk Bouts conservata alla Bayerische Staatsgemäldesammlungen di Monaco. 73 Lubecca, Sankt-Annen Museum. 74 Il Trittico di Budapest (Budapest, Szépmüvészeti Múzeum), molto simile nella composizione a quello di Lubecca, e probabilmente, se non dello stesso Memling, opera di un allievo particolarmente capace, presenta nel pannello di destra la sola scena della Risurrezione, rappresentata in una modalità molto simile a quella che troviamo nell’appena descritto Trittico Greverade. Composizioni analoghe nelle grandi scene della Crocifissione del Maestro di Schöppingen (già a Berlino, KaiserFriedrich Museum) e del Maestro di Liesborn (Soest, Hohnekirche), in entrambi i quali il particolare della Risurrezione, che occupa la medesima posizione, presso l’angolo inferiore destro, è modulato nella tipologia della Discesa agli Inferi: Cristo, reggente nella destra il consueto vessillo crociato, prende per mano Adamo ed Eva, dietro i quali si assiepano le prime persone di una folta schiera. 75 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana. 14 sollevato da terra, appena fuori del sepolcro ancora chiuso dalla lastra alle sue spalle, le vesti di una luminosità evanescente. La cornice, in un contesto notturno azzurro profondo, presenta una rara raffigurazione dell’Apparizione di Gesù a Giuseppe d’Arimatea, episodio non narrato nei Canonici, presente nel Vangelo apocrifo di Nicodemo e ricordato nello Speculum di Vincenzo di Beauvais e nella Legenda Aurea76. In un’altra pagina campeggia l’episodio del serpente di bronzo innalzato da Mosè (Nm 21), contornato da una ricca cornice, nella quale, oltre la morte di Gesù, a partire dall’angolo superiore sinistro, offre una sequenza, in senso antiorario, degli eventi successivi77. Nel frattempo, in Italia, si continua lungo il solco della modulazione figurativa tracciato da Bellini e Piero della Francesca. Così una Risurrezione del Raffaello (1501-2)78 ritrae Cristo, in posizione eretta particolarmente composta, recante nella sinistra il vessillo crociato e indicando con la mano destra il cielo, mentre si solleva, affiancato da due angeli, da un sepolcro marmoreo di fattura artistica il cui coperchio è ruotato. Le guardie, sorprese dall’evento, si sono da poco destate. In lontananza avanzano le tre Mirrofore79. Su questa linea, in cui tende a prevalere un geometrismo verticale, incontriamo pure il Pontormo, il cui affresco della Risurrezione (1523-25)80 vede il sollevarsi di Cristo sulla scena, eretto, le braccia aprentisi in un cenno liberatorio che sembra schiuderlo al respiro dello spazio riconquistato, la mano destra benedicente, la sinistra reggente il vessillo crociato; ne viene un moto di slancio che apre uno spazio luminoso di dinamismo vitale contrastante con la staticità rigida e persino grottesca nella spigolosità delle figure dei soldati assiepati intorno, assorbiti in un sonno quasi mortale. La pittura tedesca del primo quarto del Cinquecento stende sulla Risurrezione alcune pagine di rara originalità. Pensiamo in particolare alla Risurrezione dell’Altare di Isenheim di Grünewald (1512-16)81, in cui Cristo si solleva dal sepolcro circonfuso di luce nell’oscurità della notte stellata. I quattro soldati sembrano proiettati dalle loro posizioni dall’improvviso bagliore dell’evento che li sovrasta. Il sudario, trasportato in alto dal movimento del Cristo resurgens, sembra formare con il suo manto sacrlatto una ‘fiammata’82 o voluta di vapore luminoso soprannaturale di incontenibile potenza. E pensiamo ancora alla coeva tavola della Risurrezione di Albrecht Altdorfer (-1515)83, dove Cristo si erge sul sepolcro con piglio severo quale trionfatore sulle potenze delle tenebre, e sembra diffidare con un gesto i soldati attoniti, 76 «Avendo i Giudei sentito dire che Giuseppe aveva chiesto a Pilato il corpo di Gesù e che l’aveva posto nel suo sepolcro, si indignarono contro di lui; lo presero e lo rinchiusero in una cella accuratamente chiusa e sigillata, volendolo uccidere dopo il sabato, ma ecco che Gesù, la stessa notte della resurrezione, fatta sollevare la casa da quattro angeli, entrò da lui, gli deterse il volto, lo baciò e lo portò nella sua casa di Arimatea senza spezzare i sigilli» (Jacopo da Varagine, Legenda Aurea, LIV, 6.12). 77 Discesa agli inferi, oltre la quale vediamo le scene della deposizione dalla croce e nel sepolcro del Cristo morto, cui seguono: Risurrezione, Apparizione alla Vergine Maria, Apparizione a Maria Maddalena [Noli me tangere], Apparizione a Pietro e Cammino coi pellegrini di Emmaus, Cena in Emmaus, Apparizione agli Apostoli nel Cenacolo, Ascensione. 78 San Paolo, Museu de Arte. 79 Due analoghe composizioni del Raffaello, di epoca assai prossima – una Risurrezione del 1499, conservata a Londra, in una collezione privata, e la pala centinata della Pinacoteca Vaticana, del 1501 –, presentano una formula figurativa meno complessa e più rigidamente geometrica; differiscono pure dalla Risurrezione di San Paolo per il fatto di raffigurare entrambe Cristo entro la mandorla mistica. 80 Firenze, Museo della Certosa del Galluzzo. 81 Colmar (Alsace), Musée d’Unterlinden. 82 Così P. Bianconi, L’opera completa di Grünewald, Milano, Rizzoli, 1972, p. 92. 83 Wien, Kunsthistorisches Museum. 15 quasi riverberasse ancora un riflesso della Discesa agli inferi. I drappeggi delle vesti e il movimento del vessillo rivelano un moto turbinoso dell’atmosfera, esaltato dalle nubi gonfie e ricche di cromatismi surreali dello sfondo, come presa nel vortice della figura luminosa del Risorto. Di poco precedenti le incisioni di Albrecht Dürer per il ciclo noto come la ‘Grande Passione’ (1510), dove riaffiora il soggetto della Discesa agli Inferi, accompagnato da una Risurrezione di Cristo dove gioca il contrasto tra la luminosità vaporosa del Risorto e il disordine tenebroso delle guardie assiepate intorno. Al Dürer si richiamerà la pala centinata della Discesa agli Inferi del Beccafumi (1530-35)84, che rivisita l’antico soggetto con mirata originalità nel partito compositivo e nella gradazione della luminosità, decrescente nella fuga prospettica dell’anfrattuosità dell’Ade, dove risalta maggiormente la figura del Cristo vittorioso che in primo piano accompagna all’uscita Adamo, seguito dai giusti dell’Antica Alleanza. Nella prima metà del Cinquecento la scuola veneziana tende a sviluppare un maggior dinamismo nella rappresentazione. Già il Tiziano, nella Risurrezione del Polittico Averoldi (1520-22)85, ci mostra il Cristo sollevarsi da terra in un moto di espansione trionfale, con un ampio vessillo crociato che si agita al vento, mentre nel chiaroscuro dell’alba si intravvede appena il sepolcro, presso il quale due soldati si sollevano, come appena destati, attoniti. Con il Veronese (Risurrezione, 1560 c.)86 la figura del Risorto, sempre sollevantesi sulla scena, presenta una rotazione, sottolineata dalla curvatura dell’ampio vessillo crociato che gli si inarca, dietro la schiena, quasi in guisa di vela spiegata, che ne accentua il moto ascensivo. Si nota in questo dipinto una focalizzazione sul Cristo risorgente in volo accentuata dalla linea segnata dalla lancia del soldato, puntatagli quasi in un estremo tentativo di colpirlo. In una successiva tela del Veronese (1572-76)87 il Christus resurgens si innalza libero anche dal vessillo, le braccia distese in un gesto quasi liberatorio, ma nel contempo elemento di continuità con la postura del Christus Crocifixus. Col Tintoretto la rappresentazione dell’evento accresce la movimentazione dinamica delle figure. Nel ciclo dipinto per la chiesa di San Rocco troviamo ancora tornare il soggetto della Discesa agli Inferi (1568)88, in cui l’irruzione del Cristo vittorioso sulle tenebre è accentuata, oltre che dal chiaroscuro, dall’inclinazione reciproca delle figure, dove il protendersi del Salvatore verso le anime, esaltato dai drappeggi delle vesti e dalle volute del grande vessillo, che appare ormai piuttosto un gonfalone, incontra l’anelito della coppia progenitrice e ottiene un’impressione di intensa drammaticità. Posteriore di un decennio è la Risurrezione della Scuola di San Rocco (1579-81)89, dove si accentua il contrasto tra lo scompiglio delle guardie del Sepolcro scoperchiato da quattro angeli ed il fulgore del Risorto che si leva in un turbine di luce marcato dal drappeggio delle vesti e soprattutto dalla curvatura avvolgente dell’ampio vessillo. 84 Siena, Pinacoteca Nazionale, già nella cappella Marsili della chiesa di S. Francesco a Siena. Brescia, SS. Nazzaro e Celso. 86 Venezia, S. Francesco della Vigna - Cappella della Risurrezione (Malipiero-Badoer). 87 Dresda, Gemäldegalerie. 88 Venezia, chiesa di San Rocco, presbiterio. 89 Venezia, Scuola di San Rocco, parete della Sala Grande. 85 16 L’influsso della scuola veneta è nettamente percepibile nella Risurrezione di Annibale Carracci (1593)90, ritenuto come uno dei più significativi documenti del primo barocco, dove il movimento risorgivo del Cristo che si solleva dal sepolcro è ancora reso con una leggera rotazione della figura ed una gradazione di luminosità che nulla sottrae al patente naturalismo della composizione. Una postura simile del Christus resurgens si riscontra nella tela di Guido Reni appartenente alla serie dei quindici Misteri del rosario (1596-1600)91. Del Carracci ricordiamo anche un dipinto raffigurante le Pie donne al Sepolcro (1590 c.)92, ripresa di un soggetto non più diffusamente frequentato, dato l’affermarsi ormai universale della rappresentazione della Risurrezione nel suo stesso accadere, ma che troverà ancora felici espressioni, come in Simon Vouet (1640 c.)93, dove è messo in risalto, sin nelle dimensioni, il particolare del lino ormai vuoto, che aveva avvolto per la sepoltura il corpo risorto di Gesù. Il movimento risorgivo del Cristo diventa pura esplosione di energia nella Risurrezione di El Greco (1605-10)94, dove l’accentuazione in verticalità e la postura degli astanti, quasi trascinati in un improvviso balzo elettrizzante dall’evento, produce una spinta che sembra caricare di ulteriore forza il modulo compositivo già sperimentato dal Pontormo. Tra la fine del Cinque e gli inizi del Seicento vanno senz’altro ricordate le tele delle apparizioni del Risorto del Caravaggio: l’Andata a Emmaus95, le due varianti della Cena in Emmaus (1596-98 e 1606)96 e la straordinaria Incredulità di Tommaso97, che arricchiscono di un realismo particolare della corporeità del Cristo Risorto il genere delle apparizioni, che continua a conoscere all’epoca una notevole fioritura. Con Rubens la piena affermazione della stagione barocca sembra tornare a modulare ancora la Risurrezione nella “precipitazione terrena” della fisicità del corpo glorioso e trionfante del Risorto. È quanto si coglie dalla tavola della Risurrezione della Cattedrale di Anversa (1611-12)98, dove Cristo calca il terreno sorgendo dalle cavità della terra. Similmente, nella tela della Risurrezione nota pure come Trionfo di Cristo sulla morte e sul peccato o Il Sepolcro pasquale (1616)99, è il corpo di Cristo che si impone sino ad occupare quasi l’intera scena, nel levarsi trionfante dal sepolcro, mentre un angelo gli solleva il lino che lo avvolgeva. Diversa, superati gli influssi rubensiani della sua prima stagione artistica, la soluzione di Anton Van Dyck (Risurrezione, 1630-32)100, che sembra riprendere i dinamismi già sperimentati dalla scuola veneta conferendo ancora al Risorto quell’inclinazione nel moto ascensionale caro alla pittura del secolo precedente e quella peculiare gestualità che restituiscono ancora l’idea di una forza prorompente, tale da travolgere, di lato, le guardie. Ed è sempre l’idea di questa forza risorgiva della potenza di Dio che è espressa nella peculiarità chiaroscu90 Paris, Louvre. Bologna, Chiesa di S. Domenico - ancona della cappella del rosario. 92 San Pietroburgo, Ermitage. 93 Davon, chiesa di S. Maddalena. 94 Madrid, Prado. 95 Hampton Court, Royal Gallery 96 London, National Gallery; Milano, Pinacoteca di Brera. 97 Già a Potsdam, Neues Palais; copia a Firenze, Galleria degli Uffizi. 98 Si tratta del pannello centrale del Trittico di Jan Moretus. 99 Firenze, Palazzo Pitti. 100 Hartford (Connecticut), Wadsworth Athenaeum. 91 17 rale della pittura di Rembrandt, nella sua Risurrezione (1635-39)101, dove, in un contrasto che sembra riprendere, ad oltre un secolo, la simbolica della luce di un Grünewald, un bagliore di luce apre uno squarcio tra le fittissime tenebre della notte: con un gesto che somma alla forza della luce quella insita nello sforzo che par quasi di avvertire sin nel rumore della lastra sollevata, un angelo scoperchia il sepolcro, dal quale si vede appena sollevare il busto il Cristo risorgente. Nell’età barocca il Risorto viene talvolta persino isolato dal contesto figurativo e diviene motivo scultoreo, proteso in un gesto di trionfo102, con le modalità che spesso lo vedono ricomprendere nelle rappresentazioni della Trinità, distinguendovisi per la Croce. Per il Settecento ricorderemo due diverse soluzioni adottate, che potremmo ritenere rappresentative di due opposte, ma al tempo stesso complementari, tendenze iconografiche ormai consolidate: una Risurrezione (1710 c.) di Sebastiano Ricci, un tempo sul soffitto della demolita chiesa di San Geminiano a Venezia103, ritrae il volo del Cristo Risorto, per esigenze prospettiche dovute all’originario posizionamento della tela, proiettandolo quasi all’indietro rispetto all’osservatore, ma in realtà verso il cielo che lo sovrasta, quasi ultimo esito del trionfo delle rappresentazioni moderne del nostro soggetto104. Al contrario, in Giovan Battista Piazzetta (Risurrezione, 1735 c.)105 il Risorto non lievita da terra, ma s’avanza quasi additando a due figure presenti, forse allegorie dell’indifferenza e accidia dell’umanità, una via da percorrere. Rappresentazione di grande fluidità pittorica, in quest’opera il realismo dell’incarnato, ancora ‘sofferto’ dalla Passione e dal sonno della morte da cui si è appena ripreso, è trasfigurato nella luce della grande aureola sfumata e dal candore del vessillo, segni di un ancoramento all’Eterno e alla vita di grazia riguadagnata all’uomo in modo tale che egli non abbia più a temere la realtà del proprio situarsi nell’incarnazione quotidiana, né di calcare i passi sulla terra. 101 Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlungen. Tale, ad esempio, il progetto di Gian Lorenzo Bernini per il coronamento del Baldacchino di S. Pietro. Cfr. M. Fagiolo (cfr. H. KAUFFMANN, Berninis Tabernakel, in: «Münchner Jahrbüch», 1955, pp. 222-242. 103 Già appartenente alla Collezione Frölich di Vienna; venduta da Christie il 19.7.1974. 104 Un’altra Risurrezione del Ricci ripresenta, in uno scenario trionfale ampliato con moltiplicazione di angeli e astanti, una simile proiezione del Risorto verso il cielo (Chelsea (London), cappella del Royal Hospital). 105 Trattasi di uno sportello di tabernacolo in rame, dipinto ad olio, conservato alla Pinacoteca Nazionale di Bologna. 102 18