Guy Debord e l`arte della guerra - Il Parere dell ingegnere

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Guy Debord e l`arte della guerra - Il Parere dell ingegnere
Il Parere dell ingegnere
Guy Debord e l'arte della guerra
Guy Debord e l'arte della guerra La Bibliotèque nationale di Parigi, padiglione Francois Mitterand, ha ospitato la mostra
«Guy Debord e l'arte della guerra» Guy Debord, poeta, artista, eclettico rivoluzionario, direttore di riviste, regista,
sceneggiatore, autore de La società dello spettacolo (1967). L’Internazionale lettrista (1952-57) e l'Internazionale
situazionista (1957-72), si ripercorrono mediante manoscritti, volantini, manifesti, preparazione di film, fotografie, quadri,
in particolare quelli di Asgen Jorn, che ha fondato ad Alba, nel 1953, un Laboratorio sperimentale insieme a Giuseppe
Pinot-Gallizio. Sono in mostra circa seicento foglietti (sui mille e quattrocento del Fondo Debord) che rappresentano
una sorta di biblioteca ideale, da cui Debord traeva ispirazione e frasi, destinate a essere détournées, ossia deviate.
Sosteneva che «per saper scrivere, bisogna aver letto. E per saper leggere, bisogna saper vivere»; poi, affetto da
polinevrite alcolica, morirà suicida nel 1994.. Debord aveva suddiviso tali schede di lettura, aveva riportato le frasi che
pensava di riutilizzare, ai margini, a volte, aveva sottolineato: Shakespeare, Machiavelli, Trotsky, Châteaubriand,
Cervantes, Sterne, Marx, Hegel (che aveva scritto nella Fenomenologia dello spirito «il falso è un momento del vero» e
che nella Società dello spettacolo di Debord diventa «nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso»).
Nell'ultima sala è esposto un esemplare del Gioco della guerra, una specie di scacchiera composta da trentaquattro
pedine stilizzate, un gioco di strategia.
Il mondo è già stato filmato, si tratta ora di trasformarlo. È una sua celebre citazione
Mémoires, prodotto e "non scritto"
da Guy Debord, aveva fissato alla sua maniera le origini del Situazionismo: bisognava individuare gli indizi e decifrare
quegli scarti che richiamavano le vicende dell'Internazionale lettrista, di quei gruppi mutevoli di giovani che vissero a
Parigi tra il 1952 ed il 1953, tra cui studenti, poeti, cineasti divenuti girovaghi e clochard, che parlavano dell'arte del
futuro come rovesciamento delle situazioni. È la premessa storica dell'Internazionale situazionista, Una sintesi capace di
coagulare e superare tutto ciò che era stato prodotto dalla cultura precedente. Atteggiamento critico e radicale,
demistificazione delle ideologie, contestazione e rifiuto del capitalismo, dell'opera d'arte e più in generale della cultura
come merce erano i principi di una dissociazione "spettacolare" che voleva esprimere un nuovo modo di essere nel
mondo. Rivoluzione voleva significare allora desiderio di giustizia, che è desiderio di armonia, di bellezza. I situazionisti
teorizzarono e praticarono la "totale liberazione del desiderio", in opposizione al condizionamento dei bisogni di
consumo: nel suo testo filmico più celebre, La società dello spettacolo. L'Internazionale situazionista riuscì a sopravvivere
fino al 1972, influenzando profondamente i dibattiti del Maggio '68 ed anche il "sovversivo negazionismo" punk dei Sex
Pistols,nel1977.
Guy Debord si colloca a pieno nel cinema delle avanguardie in Europa. Ma cos'è il cinema? Un racconto, una visione,
un'esperienza collettiva, individuale o generazionale? I film sono i sogni ad occhi aperti, che aiutano a guardare meglio la
realtà. Ha scritto lo storico dell'arte Arnold Hauser: “Il Novecento si è svolto nel segno del film: e, anzi, senza
l'esperienza del cinema è difficile comprendere molte avanguardie artistiche e letterarie”. Madre di tutte le
avanguardie del Novecento è il movimento dadaista, che influenzò anche giovani registi all’inizio del secolo scorso.
Idealmente il cinema d’avanguardia “intende reagire, almeno in senso ideale, non tanto contro la società
liberale e democratica, capitalistica e borghese, tecnologica e industriale, quanto contro la civiltà che essa crea e
rappresenta. La realtà storica specifica contro cui egli insorge è proprio la cultura di massa, in cui vede una pseudocultura. Fedele ai valori qualitativi, l’artista si sente, di fronte ai valori quantitativi della civiltà moderna, in uno stato
che è insieme d’esclusione e di ribellione, si sente derelitto, isolato. Da qui i suoi sogni di reazione. Mentre con
gli impressionisti le innovazioni si innestavano in una solida struttura narrativa, gli sperimentalisti dell'avanguardia, a
partire dalla metà degli anni '20 in Francia, mirano a scardinarle non chiedendo conferma da parte degli spettatori. Si
ricercano effetti plastici fondati su ritmi visivi o audio-visivi. Si incanala la ricerca verso prospettive di protesta sociale
(come in Vigo e Buñuel) o si trasportano sullo schermo esperienze astratte, pittoriche e fotografiche (Legér, Man Ray).
Le tecniche usate sono le più diverse: dall'animazione all'uso dei trucchi, il ralenti, l'accelerazione, le sovrimpressioni, le
ottiche deformanti, il montaggio, il tutto usato in maniera spasmodica e ipertrofica. Vanno citati “Balletto
meccanico” di Fernand Léger, ma anche Intermezzo di René Clair. Surrealisti tanto da essere definiti antisurrealisti dai loro autori sono La conchiglia e l'ecclesiastico di Germaine Dulac , e Il sangue di un poeta di Jean
Cocteau. Dal gruppo surrealista le cose migliori provengono da Luis Bunuel che nel 1928, insieme a Salvador Dalì,
realizza Un cane andaluso (Un chien andalou). Diventerà nel dopoguerra tra i maggiori cineasti del secolo. In una
concezione astratta si inserisce Film, un cortometraggio del 1964, unica sceneggiatura cinematografica di Samuel
Beckett e diretto da Alain Schneider. Scritto nel 1963, prodotto nel 1964 a New York e presentato la prima volta nel 1965
alla Mostra del Cinema di Venezia. L'attore protagonista è Buster Keaton, una figura emblematica nella storia del cinema
muto. Si può parlare di avanguardia anche in Ingmar Bergman che in “Monica e il desiderio” sfida lo
spettatore con gli occhi della protagonista che guardano come una sfida in macchina. Innovative sono le opere Together
di Lorenza Mazzetti (italo-britannica), Tetsuo, A snake of June, VITAL del giapponese Tsukamoto, Happiness e
Palindromes dello statunitense Todd Solondz, La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli - con Vincent Gallo, Low
tide di Roberto Minervini. Sono diversi i cineasti italiani che hanno dettato i tracciati di una avanguardia avvolta in un
limbo di spinte innovative e militanti. Carmelo Bene con Nostra Signora dei Turchi e per certi aspetti La ricotta di Pier
Paolo Pasolini. I primi film di Tinto Brass: L’urlo, Chi lavora è perduto, Drapout, La vacanza, fino a Caligola. E il
sempre discusso Marco Ferreri la cui opera omnia è sempre in bilico fra il racconto ed una inquieta spinta onirica.
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