Relazione pedopornografia

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Relazione pedopornografia
INCONTRO DI FORMAZIONE DEL 10 FEBBRAIO 2016. CORTE D’APPELLO DI
ROMA – AULA EUROPA.
Reati di adescamento e di pornografia in danno di minori commessi con il WEB e fattispecie
connesse.
ART. 600 ter C.P. PORNOGRAFIA MINORILE:
Il testo attualmente vigente è stato introdotto dalla novella legislativa 1.10.2012 n. 172, che ha
ratificato la Convenzione Europea di Lanzarote ed ha introdotto norme di adeguamento interno.
In via generale occorre rilevare che tali innovazioni legislative hanno anzitutto introdotto novità in
tema di prescrizione del reato, essendo stato raddoppiato il termine ordinario stabilito dal I comma
dell’art. 157 C.P. ed infatti l’art. 157 VI comma C.P. fa espresso richiamo dei delitti contemplati
nella Sez. II del Capo III del Titolo XII del libro II C.P., tra i quali si inseriscono tanto l’art. 600 ter
quanto gli artt. 600 quater e 600 quater.1 C.P.
Passando all’esame strutturale della norma in esame va subito evidenziato che la nuova
formulazione legislativa, analoga a quella dettata in tema di prostituzione minorile (art. 600 bis
C.P.), risulta tale da far ritenere che si sia in presenza di una cosiddetta norma a più fattispecie,
essendo suddivise le condotte rilevanti secondo un’elencazione distinta anche attraverso l’utilizzo di
una numerazione progressiva di identificazione.
Se tale ricostruzione si deve ritenere corretta, ne deriva che si potrà configurare un concorso di più
reati nel caso in cui si pongano in essere le diverse condotte contemplate, mentre, come appare
ovvio, si sarà in presenza di un unico reato nel caso in cui i comportamenti illeciti oggetto di
accertamento siano riconducibili e sussumibili nell’ambito di una sola delle disposizioni indicate dal
legislatore.
A questo ultimo proposito occorre sottolineare che, nella vigenza della precedente formulazione
normativa, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è ripetutamente espressa, a volte
riconoscendo l’unicità del reato (ad es. sent. n. 43414 del 28.10.2010 III Sez.) ed altre volte
propendendo per il concorso dei reati (ad es. sent. 21335 del 15.4.2010 III Sez.).
In via di mera prospettazione interpretativa si reputa, allo stato, che sia maggiormente rispondente
alla ratio delle norme, così come rimodellate, l’orientamento che individua in tali precetti delle
“norme a più fattispecie”, soprattutto in considerazione dell’obiettivo perseguito dal legislatore, che
è quello di assicurare una maggiormente compiuta e pregnante tutela del bene primario
rappresentato dalla libertà del soggetto con riferimento alla sua sfera sessuale, da tutelare con più
stringente attenzione nel momento in cui si è in presenza di un individuo la cui personalità attraversi
la delicata fase della formazione.
Risultando quindi necessario approntare uno schema di protezione quanto più capillare possibile,
per giungere al perseguimento ed alla punizione di ogni comportamento che si inserisca nel
complessivo quadro delle varie tipologie di aggressione del bene stesso.
Ecco perché appare possibile ed opportuno distinguere e ritenere sussistenti diverse fattispecie di
reato nel momento in cui, a titolo meramente esemplificativo, non solo per ipotesi si “realizzino”
esibizioni o spettacoli pornografici attraverso l’utilizzo di minorenni, ma anche nel caso in cui si
“produca” materiale pornografico sia pure in un medesimo contesto spazio temporale (è intuitivo
pensare al caso in cui chi realizzi l’esibizione illecita provveda anche a riprodurla filmandola in
modo tale da rendere probabile la successiva diffusione).
Passando ad esaminare il contenuto della norma richiamata occorre, anche raffrontandola alla
precedente formulazione, sottolineare che attualmente l’art. 600 ter C.P. I comma n° 1) prende in
considerazione la realizzazione sia di ESIBIZIONI che di SPETTACOLI pornografici in cui siano
utilizzati minorenni, ovvero la produzione di materiale pornografico in cui risultino utilizzati tali
soggetti, ed in particolare introduce ex novo il termine “SPETTACOLO”.
Tale specificazione consente di trarre ulteriori spunti a fini interpretativi in ordine alla rilevanza
delle condotte individuate dal legislatore.
In particolare mentre il termine “esibizione” rinvia semanticamente ad una rappresentazione anche
non pubblica che può essere destinata e fruita anche da un solo soggetto, il termine spettacolo
richiama all’evidenza il concetto di rappresentazione pubblica o pubblicizzata destinata in via
ordinaria ad un numero indeterminato di soggetti, salvo che poi in concreto sia fruita da un numero
limitato di essi.
In altri termini tale puntualizzazione legislativa consente di superare quelle difficoltà ermeneutiche
di cui si erano fatte carico tanto la dottrina quanto la giurisprudenza nella individuazione dei fatti
penalmente rilevanti nel caso in cui lo spettacolo fosse destinato “ab origine” ad un solo soggetto.
Tale ultima evenienza in verità non va certo ritenuta remota, basta pensare alla esibizione attuata
attraverso collegamenti telematici che spesso avvengono tra singoli interlocutori.
Attraverso il nuovo dettato legislativo appare possibile quindi configurare, senza operare salti
interpretativi azzardati, il reato di cui al predetto articolo nel caso in cui l’autore del reato appronti
od inserisca, in collegamenti telematici con singoli fruitori, minorenni che si esibiscono in
rappresentazioni pornografiche.
Le ulteriori fattispecie previste dall’art. 600 ter I comma C.P. sono quelle indicate dal n. 2) della
norma, in cui si fa riferimento da un lato alle condotte di induzione e reclutamento di minorenni per
la loro partecipazione ad esibizioni o spettacoli pornografici ed in seconda battuta si prende in
considerazione l’attività di trarre profitto in qualsivoglia modo da tali spettacoli.
Quanto alla prima parte della norma, che adotta la stessa terminologia usata con riferimento al
delitto di prostituzione minorile (art. 600 bis I comma C.P.), il legislatore prende in considerazione
sia l’ “induzione” che il “reclutamento” e la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire cosa debba
intendersi per l’una e per l’altro, specificando che, traslando ovviamente quanto riferito in tema di
induzione \sfruttamento della prostituzione, si può parlare di “reclutamento” quando l’autore del
reato si attiva per “collocare” la vittima minorenne nella sfera di disponibilità di chi intende
realizzare le rappresentazioni pornografiche ovvero trarre vantaggio dalle stesse, mentre rientrano
nell’ipotesi di “induzione” tutte le condotte di persuasione della vittima o di rafforzamento del suo
iniziale proposito (V. sent. Cass. n. 11835\08 del 4.12.2007 III Sez.).
Di problematica interpretazione appare la formulazione dell’ultima parte del n. ora richiamato. In
effetti sebbene il dettato normativo testualmente faccia riferimento a “trarre altrimenti profitto dagli
spettacoli” pornografici che vedono coinvolti minorenni, tuttavia ciò non dovrebbe comportare
come conseguenza che, ai fini della rilevanza penale della condotta, anche gli atti di reclutamento
od induzione debbano essere caratterizzati dalla lucrosità, che non può rappresentare elemento
intrinseco alla fa ttispecie, come d’altro canto suggerisce in primo luogo la stessa formulazione della
norma, che direttamente prende in considerazione per incriminarle le condotte richiamate al n. 1)
del citato articolo.
Peraltro sul punto soccorre l’ormai consolidata elaborazione anche giurisprudenziale riferibile al
tema contiguo della prostituzione, ove si distingue in modo puntuale e non suscettibile di incertezze
tra induzione, favoreggiamento e sfruttamento della stessa, risultando le prime, a differenza della
seconda, del tutto autonomamente rilevanti al di là dell’eventuale mancanza di vantaggi per colui
che le pone in essere.
Pertanto l’avverbio “altrimenti” appare congruo che sia interpretato non in senso puramente e
strettamente avversativo, ma piuttosto quale sinonimo di “comunque”.
Parimenti problematico appare poi lo specifico riferimento alla lucrosità riferita solo agli spettacoli
e non anche alle esibizioni. Tale scelta appare in verità poco comprensibile, ma tuttavia deve essere
presa in considerazione ed allo stato appaiono impraticabili interpretazioni che in un tentativo di
coerenza rischiano poi di entrare in aperta collisione con il principio di legalità\tassatività vigente
nel nostro sistema.
Il II comma dell’art. 600 ter C.P. punisce chi fa commercio del materiale pornografico realizzato
attraverso l’utilizzo di minorenni e tale norma deve essere interpretata nel senso di attribuire
rilevanza penale alla “predisposizione di un’attività di impresa, con adeguati strumenti di
distribuzione nella prospe ttiva di un’offerta del prodotto (pedopornografico) destinata a
durare nel tempo” (V. sent. Cass. n. 2421 del 13.6.2000 III Sez.). Tale interpretazione deriva non
solo dal tenore letterale del termine usato, ma anche dalla scelta punitiva operata dal legislatore che
parifica la gravità di tale condotta a quella presa in considerazione nel I comma del citato articolo.
I successivi commi III e IV individuano fattispecie sussidiarie rispetto a quelle indicate nei commi
precedenti, ciò comporta naturalmente che le ipotesi residuali non possono trovare applicazione ove
ricorrano i requisiti di operatività delle ipotesi più gravi.
Segnatamente si fa riferimento (III comma) alla “distribuzione”, “divulgazione”, “diffusione” o
“pubblicizzazione” con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedopornografico ovvero
alla distribuzione o divulgazione di notizie od informazioni finalizzate all’adescamento od allo
sfruttamento sessuale di minorenni.
Entrando nello specifico:
- per distribuzione si deve intendere la diffusione fisica di materiale pedopornografico mediante
invio ad un numero definito od indefinito di destinatari (si pensi all’invio reiterato a diversi soggetti
di tale materiale);
- per diffusione, divulgazione o pubblicizzazione si deve intendere in buona sostanza la messa a
disposizione di un numero indeterminato di soggetti del materiale suddetto (si pensi alla messa in
condivisione telematica del materiale attraverso i programmi di file-sharing), e tali condotte
presuppongono l’utilizzo di mezzi che rendano tale disponibilità accessibile a pluralità
indeterminate di soggetti;
- per distribuzione o divulgazione di notizie od informazioni finalizzate all’adescamento od allo
sfruttamento sessuale di minori si deve intendere la comunicazione ad un numero di soggetti
indeterminato di propalazioni attraverso cui si possa pervenire ai suddetti risultati; la giurisprudenza
di recente ha precisato che le notizie od informazioni non devono necessariamente rivestire il
carattere della verità (V. sent. Cass. n. 5692 del 17.12.2013 III Sez.)
Il IV comma dell'art. 600 ter prevede poi, sempre con formulazione in termini di sussidiarietà,
l'ipotesi di cessione a qualsiasi titolo di materiale pedopornografico. Questa ipotesi meno grave
ricorre nel caso di cessione singola ad un singolo destinatario (V. sent. Cass. n. 593 del 7.12.2006
III Sez.).
Continuando nella disamina della norma si rileva la presenza dell'aggravante connessa alla ingente
quantità del materiale pedopornografico oggetto della condotta illecita (V comma) e sul punto la
giurisprudenza non si è molto intrattenuta non offrendo significativi spunti per approfondimenti
interpetrativi.
E' rinvenibile una sola sentenza che esclude la sussistenza dell'aggravante solo ove ci si trovi di
fronte a poche decine di immagini, che peraltro devono essere considerate singolarmente, mentre
non si può evincere la esiguità del materiale solo prendendo in considerazione il numero dei file che
contengono tale materiale, essendo notorio che file compressi possono contenere immagini in
numero considerevole (sent. n. 17211 del 31.3.2011 III Sez.).
Il VI comma dell'art. 600 ter C.P. introduce poi una nuova ipotesi di delitto, sanzionando la
condotta dello "spettatore" di rappresentazioni pornografiche ove risultino "coinvolti" dei minori.
In proposito, oltre a rilevare che tale norma introduce un'ipotesi di reato del tutto allineata alla
politica criminale intrapresa dal legislatore italiano di perseguire condotte che interferiscano
negativamente ad ogni livello con il bene della libertà sessuale del minore (basti pensare alla
speculare norma dettata in tema di prostituzione minorile ove si prevede la punibilità del soggetto
che richieda ed ottenga dal minore prestazioni sessuali a pagamento), occorre aggiungere che, in
base all'insegnamento dettato dalla giurisprudenza, per coinvolgimento deve intendersi qualsivoglia
partecipazione anche meramente passiva del minore alla rappresentazione, intendendosi per tale
anche la semplice funzione di spettatore, che rappresenta una condizione da considerarsi
pregiuzievole della sfera di libertà sessuale del medesimo, potendosi ritenere che l'assistere a scene
di carattere pornografico destinate ad essere fruite da terzi soggetti rechi comunque pregiudizio alla
sua integrità etica ed alla sua salvaguardia (sent. n. 10068 del 12.12.2008 III Sez.).
L'ultimo comma della norma in esame stabilisce cosa si debba intendere per pornografia minorile,
ed in particolare stabilisce che: "per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con
qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o
simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per
scopi sessuali".
Premesso che per considerevole tempo il legislatore si è volutamente astenuto dal fornire
un'indicazione di tipo definitorio sul punto, in ragione della difficoltà di elaborare un esaustivo
concetto di pornografia, che rischiava per più versi di essere insoddisfacente, non potendosi
prescindere dal contesto e dal profilo concreto dei comportamenti di volta in volta presi in
considerazione, da ultimo si è invece verificato un mutamento di rotta che ha condotto alla
elaborazione sopra richiamata, perseguendo il fine di offrire una nozione quanto più oggettiva
possibile, e tuttavia tale, per sostanziale genericità, da consentire di adeguarla e renderla
compatibile con le specificità del caso concreto.
Si è scelta dunque la suddetta elaborazione, corrispondente a quella dettata dalla Convenzione, che
dopo aver fatto riferimento alla attività sessuale esplicita, vera o simulata, nella quale sia coinvolto
un minore, fissa un criterio oggettivo, la rappresentazione degli organi sessuali del minore, per così
dire mitigato nella sua portata oggettivizzante dal riferimento all'elemento di contestualizzazione
insito nella finalizzazione di tale rappresentazione a scopi sessuali.
Per intenderci, in via estremamente esemplificativa, la rappresentazione del minore nudo potrà
costituire substrato oggettivo dei reati in esame solo se la stessa sia diretta e sia in grado di suscitare
o stimolare eccitamento erotico in chi la percepisca.
Occorre infine aggiungere sul punto che la giurisprudenza della Cassazione (sent. n. 3113 del
20.11.2013 III Sez.) ha precisato che all'esito della modifica legislativa risulta ormai superato il
criterio dettato in precedenza sul punto, essendo stato introdotto un parametro di maggiore rigore
all'orientamento che richiedeva ai fini della qualificazione di pornografia quanto meno l' esibizione
lasciva degli organi genitali.
Disamina giurisprudenziale della fattispecie anche in relazione alla commissione del reato
attraverso il mezzo telematico:
1) il reato individuato dal I comma dell'art. 600 ter I comma C.P., con riferimento all’ipotesi di
produzione di materiale pedopornografico, ha natura di reato di pericolo concreto, perché
presuppone per la sua sussistenza la individuabile destinazione alla diffusione del materiale
prodotto e come tale non appare configurabile il tentativo (SS. UU. n. 13 del 31.5.2000). In
particolare la Corte ha specificato che alla affermazione di tale natura si perviene per ragioni
semantiche (il legislatore parla infatti di produzione di materiale) e logico-sistematiche (in effetti
dal complesso del panorama normativo nazionale ed internazionale e di politica criminale emerge
la tensione verso una tutela penale anticipata volta a reprimere quelle condotte prodromiche che
mettono a repentaglio il libero sviluppo personale del minore, mercificando il suo corpo e
immettendolo nel circuito perverso della pedofilia).
Ai fini della sussistenza della fattispecie dovranno di conseguenza emergere elementi che in modo
univoco conducano verso la predetta potenziale e concreta destinazione: quantità del materiale,
predisposizione di mezzi idonei alla diffusione, pluralità delle fonti di acquisizione del materiale
etc.
A corollario di tale insegnamento la giurisprudenza si è prevalentemente orientata per la esclusione
del tentativo con riferimento alla fattispecie ora richiamata (da ultimo v. sent. 41776 del 10.10.2013
III Sez.), propendendo per la non configurabilità di tale ipotesi richiamando noti argomenti che
individuano nel tentativo di un reato di pericolo concreto l’antinomico ed inaccettabile risultato di
pervenire alla punizione del pericolo di un pericolo.
Tale scelta orientativa lascia comunque aperti profili di problematica perplessità, dovendosi
concludere, ad esempio, che l'eventuale condotta del soggetto, il quale attraverso la rete internet
effettui sollecitazioni verso l'interlocutore minorenne al fine di ottenere immagini pornografiche
dello stesso, pone in essere il delitto di adescamento od al più di tentata detenzione di materiale
pedopornografico, ma non quello di tentata produzione di tale materiale (sempre ammesso che
sussistano gli elementi che rendano concreta la destinazione del materiale stesso alla successiva
diffusione).
2) diffusione, divulgazione di materiale pedopornografico e programmi di file sharing.
Tali programmi sono caratterizzati dalla peculiarità di consentire la acquisizione di materiali (fileimmagine o file-video) attraverso il meccanismo della condivisione: mentre si attua il download
contestualmente si opera in via automatica la messa a disposizione di altri utenti connessi del
medesimo file scaricato, che potranno attuare l’upload degli stessi file.
Proprio tale automaticità operativa fa sorgere vari problemi sotto il profilo della individuabilità di
condotte penalmente rilevanti a carico del soggetto che opera questo tipo di operazioni. In
particolare si pongono problemi dal punto di vista della sussistenza dell'elemento soggettivo del
reato, venendo segnalata la necessità, da parte della giurisprudenza, della presenza di elementi
ulteriori rispetto alla semplice operazione di scarico e contestuale condivisione, non essendo ciò
sufficiente alla attribuzione di responsabilità ai sensi dell'art. 600 ter III comma C.P., potendosi in
tal caso, al più, solo configurare la meno grave ipotesi di cui all'art. 600 quater C.P., individua ndosi
in tale condotta l'elemento dell'essersi procurato il materiale illecito attraverso lo speciale mezzo
del programma di file-sharing (sent. n. 19174 del 13.1.2015 III Sez.).
Per potersi ascrivere il più grave delitto di diffusione occorre che sia dimostrata la consapevole
condivisione del materiale, e ciò lo si può desumere dalla attivazione di comportamenti che in modo
univoco richiamino la volontà del mettere a disposizione tali oggetti, come in primo luogo può
ritenersi nel caso di creazione di una cartella di condivisione personalizzata ove vengano collocati i
file illeciti di interesse (sent. n. 46305 del 7.8.2014 III Sez.).
Tuttavia è possibile ritenere che, una volta superata la problematica afferente alla effettiva
consapevolezza da parte dell'agente delle modalità operative del sistema utilizzato (utili indici in
tale prospettiva potranno desumersi dal dato quantitativo del materiale trattato e dal dato
cronologico relativo alla durata della condotta pratica posta in essere), sia sufficiente il
mantenimento dei file all'interno della cartella di condivisione ab origine presente nel programma,
con conseguente astensione dall'adozione di operazioni che interrompano la condivisione (V. sent.
n. 11169 del 7.11.2008 III Sez.).
Si ribadisce in ogni caso che la consapevolezza alla quale si fa riferimento la si può desumere da
vari parametri che in concreto devono emergere ed essere oggetto di prova, quali: quantità del
materiale scaricato, tempi di mantenimento dei file nella cartella di condivisione, spostamento e
catalogazione parziale del materiale in altre dislocazioni informatiche, ricerche mirate svolte
nell’ambito del programma di file-sharing (sotto tale profilo assume rilevanza la cartella dedicata,
che offre il quadro completo della ricerca del materiale) etc.
3) una delle problematiche che emergono in modo ricorrente e che caratterizzano l'accertamento di
responsabilità penali in relazione a condotte poste in essere attraverso il mezzo telematico é
rappresentata poi dalla sicura individuazione dell'autore dell'illecito, in ragione del fatto che spesso
le condotte rilevanti sono attuate e mediate proprio attraverso l’utilizzo dello strumento informatico.
Resta quindi da chiarire se effettivamente autore delle operazioni incriminate sia il soggetto
inquisito ovvero se resti incerto il suo diretto coinvolgimento.
Proprio la tipologia di molti fatti-reato rientranti nelle fattispecie in esame sconta questa difficoltà di
fondo, alla quale le metodiche di indagine cercano di ovviare nel miglior modo possibile.
Operativamente si dovrà partire quindi dalla attenta analisi dei dati forniti dalle compagnie che
gestiscono le connessioni per pervenire alla certa ed univoca individuazione intanto dello strumento
utilizzato per l'effettuazione dell'operazione.
In via meramente esemplificativa e sintetica occorre dire che si prenderanno le mosse dall'IP
Address che univocamente venga attribuito allo strumento informatico utilizzato in un dato
momento, poi, attraverso i cosiddetti file di log (file di registrazione), si potrà risalire all'utenza
telefonica che ha consentito la connessione, si individuerà quindi l'intestatario dell’utenza e si
procederà agli ulteriori approfondimenti investigativi per verificare chi sia stato in concreto
l'artefice delle operazioni informatiche attraverso le quali è stato commesso il reato.
In particolare, una volta individuato tale intestatario, si dovranno attivare altre metodiche di
investigazione ed intervento che consentano in concreto di stabilire chi sia l'effettivo utilizzatore
dello strumento e se allo stesso siano riconducibili le operazioni incriminate, elementi desumibili
anche dalla attenta analisi dei supporti rinvenuti, che spesso possono rivelare elementi chiarificatori
e dirimenti.
Per assicurare la genuinità e la non alterazione dei dati contenuti nei supporti si dovrà procedere
attraverso la costituzione della cosiddetta "copia forense" dei supporti informatici, che consente poi
di lasciare inalterato lo strumento originale e di operare le analisi informatiche solo sulla copia
stessa. Ciò assicura anzitutto la ripetibilità delle operazioni e preserva dal compimento di atti in
ipotesi viziati da inutilizzabilità.
ARTT. 600 quater e 600 quater.1 C.P. DETENZIONE
PEDOPORNOGRAFICO. PORNOGRAFIA VIRTUALE.
DI
MATERIALE
A) L’art. 600 quater I comma C.P. punisce chiunque, fuori dalle ipotesi di cui all'art. 600 ter C.P.,
consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli
anni diciotto.
La norma prevede due condotte alternative ciascuna delle quali costituisce reato e le condotte prese
in considerazione ove si sovrappongano (come solitamente accade in quanto chi detiene si è
precedentemente procurato il materiale illecito) non integrano due distinti reati, ma rappresentano
due diverse modalità di commissione del medesimo reato. Il legislatore in verità ha inteso
aggiungere alla condotta della sola detenzione anche il procurarsi proprio nell’ottica di assicurare la
massima estensione possibile per la tutela di un bene considerato come assolutamente primario, in
particolare per far sì che sia soggetto a sanzione penale anche chi si sia in ipotesi procurato tale
materiale e non lo detenga più.
Tanto il procurarsi quanto la detenzione devono avvenire consapevolmente da parte dell’autore
dell’illecito, pertanto la condotta deve essere sorretta dall’elemento psicologico del dolo diretto
caratterizzato dalla chiara percezione della natura del materiale oggetto del reato e dalla
conseguente volontà di procurarselo o di detenerlo. Si deve perciò escludere la punibilità di tutte
quelle operazioni, che abbiano sì comportato la disponibilità di materiale pedopornografico, ma che
risultino frutto di erronee od inconsapevoli azioni di scarico dalla rete di file aventi tale natura (ad
es. può darsi il caso che il file scaricato presenti un titolo del tutto diverso rispetto al contenuto delle
immagini, in tal caso appare evidente che ove le indagini svolte abbiano evidenziato tra i materiali e
gli strumenti a disposizione dell’agente, la presenza solo di quel file avente contenuto illecito, e sia
altresì emersa per ipotesi la collocazione dello stesso nel cestino e l’assenza di indizi di ricerca di
materiale avente natura pedopornografica, si potrà propendere in modo certamente fondato per
l’esclusione di responsabilità penale a carico del soggetto indagato\imputato con riferimento alla
richiamata detenzione).
Il delitto ha natura permanente e la permanenza ha evidentemente termine con il venir meno della
illecita disponibilità del materiale, spesso concomitante con l’intervento dell’Autorità che procede
al sequestro dei supporti informatici o del materiale medesimo.
La formulazione della norma rende palese la sua residualità rispetto alla più grave fattispecie
prevista dall'art. 600 ter e pertanto, in via tendenziale non appare possibile ipotizzare un concorso
tra tali reati.
Tuttavia a tale proposito si deve tener presente che l'astratta esclusione del concorso non fa
naturalmente venir meno la plausibilità in concreto della compresenza di più reati con riferimento a
condotte e quindi a fatti tra loro ontologicamente distinti.
In effetti mentre sicuramente un determinato materiale pedopornografico non potrà essere oggetto
contemporaneamente dei delitti di detenzione e di diffusione, nulla esclude che in concreto, all'esito
degli accertamenti svolti, sia emersa per un verso la detenzione di un certo quantitativo di tale
materiale e per altro verso la diffusione di una parte di tale materiale con conseguente
configurabilità ed ascrivibilità dei due diversi reati al medesimo soggetto.
Con riferimento alle problematiche emergenti con riferimento alla commissione del reato attraverso
il mezzo telematico occorre segnalare quanto riportato in una abbastanza recente sent. della Cass.,
la n. 10491 del 16.1.2014 III Sez., che ha di fatto compendiato gli aspetti di maggiore rilevanza che
sono stati di volta in volta affrontati dalla Suprema Corte nel corso di questi ultimi anni.
In estrema sintesi si segnalano i seguenti punti di rilevanza:
1) in via preliminare per quanto attiene all’oggetto del reato (si ribadisce consapevolmente
procurato o detenuto), lo stesso deve presentarsi come materiale leggibile e visionabile, non
potendo assumere rilevanza frammenti di file che non presentino tali qualità. A tale proposito
occorre sottolineare che sebbene costituiscano valido indizio, soprattutto ai fini dell’accertamento
della consapevolezza dell’agente, la presenza per un verso di parole-chiave usate come mezzo di
ricerca (basti pensare all’acronimo pthc che in maniera evidente rinvia ad un contenuto che
afferisce alla pedopornografia) e per altro verso di titoli che contengano richiami altrettanto univoci
ed evidenti (si può pensare a tale proposito alla dicitura yo preceduta da un numero che allude
all’età del soggetto coinvolto nelle immagini), tuttavia tali elementi non consentono di fondare
eventuali valide condanne ove non si accompagnino al concreto reperimento di immagini o video
aventi inequivoco contenuto pedopornografico.
Naturalmente la natura pedopornografica del materiale, ove in astratto inquadrabile in tale
categoria, dovrà poi essere accertata in concreto ed a tale fine il Giudice potrà avvalersi di ogni
elemento probatorio compreso quello testimoniale.
2) disponibilità e visione del materiale. Secondo la giurisprudenza, che ormai si uniforma
all'orientamento seguito dalla legislazione europea e nazionale di approntare una tutela a largo
spettro verso quei comportamenti in grado di pregiudicare il bene primario della tutela della sfera
sessuale della vittima minorenne, per la sussistenza del reato è necessario e sufficiente che sia
avvenuto il cosiddetto download del file illecito, così da assicurare la effettiva disponibilità
dell'oggetto che superi lo stadio della mera visione, specificandosi che proprio la visione così
qualificata può essere valutata positivamente ai fini della configurabilità in concreto del delitto.
A tale proposito va segnalata una singolare e tuttavia significativa sentenza della Cassazione (n.
36094 del 27.9.2006 III Sez.), la quale ha affermato che la disponibilità del materiale
pedopornografico deve essere intesa come possibilità di libera utilizzazione di detto materiale,
senza che sia necessario l’effettivo uso, trattandosi del caso di detenzione di materiale illecito
conservato in un vecchio quaderno, custodito in un armadio di cui era, comunque, garantito
l’accesso in ogni tempo. Appare evidente la significatività dell’esempio che si può tranquillamente
traslare in ambiti ben diversamente tecnologizzati rispetto a quelli di vago sapore “vintage” che
sono richiamati dal caso di specie.
3) cancellazione dei file. Conseguente considerazione rispetto alla questione posta nel punto
precedente è quella relativa alla problematica della rilevanza da attribuire alle operazioni di
cancellazione effettuate dall'autore del reato. E' ormai consolidato, sotto questo profilo
l'orientamento secondo cui la semplice collocazione nel cestino non esclude la detenzione, in
quanto il file così collocato é facilmente recuperabile. Potrebbe quindi assumere rilevanza solo la
cancellazione per così dire definitiva, cioè la eliminazione del file anche dal cestino, ma anche in
questo caso non è possibile sic et simpliciter pervenire alla ipotetica sentenza assolutoria per
insussistenza del fatto, proprio perché il collocamento nel cestino e la successiva eliminazione
depongono per la concreta disponibilità e fruizione e quindi per la detenzione dei files eliminati per
il periodo di tempo che sono stati mantenuti nel supporto informatico. Sarà poi un problema di
prova in concreto stabilire se tali operazioni per la loro durata, per la loro quantità, per la tipologia
dei file acquisiti etc. siano o meno indicative dell'assenza di concreta consapevolezza e volontà di
detenere materiale illecito con conseguente assoluzione per mancanza dell'elemento psicologico del
reato ove tali approfondimenti abbiano avuto esito negativo.
B) Per quanto attiene al delitto di pornografia virtuale preso in considerazione dall’art. 600 quater.1
C.P., occorre brevemente soffermare l’attenzione su cosa in concreto debba intendersi per immagini
virtuali, pure definite dal II comma del citato articolo. Si tratta di immagini realizzate utilizzando
immagini di minorenni o parti di esse, attraverso l’uso di tecniche di elaborazione grafica non
associate in tutto od in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come
vere situazioni non reali.
Ai fini della concreta configurabilità dei reati che abbiano ad oggetto tale tipologia di materiale
occorre quindi da un lato il coinvolgimento (sia pure ovviamente indiretto) di un soggetto
minorenne reale, proprio in ragione della finalità di tutela della norma che riguarda in ogni caso la
persona intesa in primo luogo come soggetto fisicamente individuabile, e pertanto esulano dalla
rilevanza penale i meri rifacimenti artefatti di soggetti veri o di parti di essi, e d’altro canto la
rappresentazione che ne deriva deve rivestire il carattere della verosimiglianza e non sia
immediatamente percepibile la sua completa artificiosità.
A titolo esemplificativo basta andare con il pensiero alla tecnica del fotomontaggio ed alle ulteriori
tecniche, oramai molto più sofisticate, di elaborazione grafica (fotoshop etc,), escludendosi invece
le produzioni di pura fantasia e solamente di tipo cartoonistico.
Anche se la previsione normativa può apparire sotto certi profili severa nonostante la applicazione
di una diminuzione della sanzione in ragione della tipologia del materiale e proprio in
considerazione del coinvolgimento solo indiretto e del tutto mediato della vittima del reato, tale
valutazione perde in realtà di effettiva consistenza ove si prenda in considerazione la necessità di
assicurare al soggetto minorenne una tutela a tutto tondo della sua sfera personale con particolare
riferimento all’aspetto della crescita e formazione sessuale.
Una breve considerazione va aggiunta in riferimento alla eventuale rilevanza penale di immagini
pornografiche che non contengano soggetti minorenni o parti degli stessi, ma siano esclusivamente
prodotto di elaborazione grafica.
Come si è sopra accennato tali materiali di per sé non costituiscono e non rivestono autonoma
valenza di illecito penale, proprio perché non risultano in alcun modo coinvolti specifici soggetti
minorenni realmente esistenti. Tuttavia simile materiale potrebbe venire in considerazione in
relazione ad altra fattispecie, sempre introdotta dalla novella oggetto d’esame, quella prevista
dall’art. 414 bis C.P., che prende in considerazione l’istigazione a pratic he di pedofilia e di
pedopornografia.
In altri termini se elaborazioni esclusivamente grafiche aventi contenuti chiaramente
pedopornografici vengano pubblicamente utilizzate per istigare a commettere i delitti
specificamente presi in considerazione dalla citata norma, indubbiamente tale materiale cessa di
essere indifferente sotto il profilo della illiceità penale e può ben costituire uno dei presupposti di
fatto per la sussistenza del richiamato delitto.
ART. 609 undecies C.P. ADESCAMENTO.
Sempre attraverso la novella legislativa richiamata in apertura nel nostro ordinamento è stato
introdotto il reato di “adescamento di minorenni”, con l’intento manifesto di predisporre forme di
tutela che consentano una salvaguardia anticipata del bene primario costituito dalla libertà e
dall’equilibrata crescita psicofisica del minorenne, e segnatamente del soggetto infrasedicenne.
Tale disposizione - che così testualmente sancisce: “chiunque, allo scopo di commettere i reati di
cui agli artt. 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui
all’art. 600 quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, adesca un
minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno
a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atti volto a carpire la fiducia del minore attraverso
artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o mezzi di
comunicazione.” – nel dare attuazione alle direttive poste dalla Convenzione di Lanzarote, ha
enucleato una fattispecie che prende in considerazione come penalmente rilevanti condotte che si
collocano in un momento anteriore rispetto a quello della realizzazione di tutti gli atti idonei ed
immediatamente antecedenti e preparatori rispetto all’evento che il legislatore comunitario aveva
individuato come da assolutamente evitare, cioè quello dell’eventuale contatto fisico tra soggetto
agente e vittima che potrebbe rendere assolutamente concreto il pericolo della commissione di atti
di abuso sessuale in danno del minore.
In verità dalla lettura della norma si evince che ai fini della sussistenza del reato è necessario e
sufficiente che l’agente abbia attuato tipizzati comportamenti tali da “carpire la fiducia”, cioè
ottenere l’instaurarsi di un rapporto di maggiore intimità ed affidamento con il minore, restando
invece, per così dire, relegata nella sfera dell’elemento soggettivo la finalità di aggressione della
libertà e della sfera sessuale della vittima, essendo stata formulata in termini di dolo specifico la
tipizzazione soggettiva della norma.
In verità appare interessante richiamare l’elaborazione che la dottrina ha sviluppato nel corso del
tempo al fine di dare concretezza e specificità al fenomeno dell’adescamento di minorenni.
In particolare si è avuto modo di offrire una vera e propria scansione progressiva del
comportamento di manipolazione psicologica del minore da parte del soggetto adescatore,
individuandosi più fasi consecutive:
1) la prima risiede nella “SCELTA” della vittima (si effettua una sorta di selezione del soggetto
da aggredire sulla base di informazioni che possono essere assunte attraverso vari canali e
segnatamente attraverso le informazioni di rete, ricavabili anche e soprattutto dai social
network);
2) la seconda è da individuare nel successivo “CONTATTO COMUNICATIVO” con la
vittima ed instaurazione di un “LEGAME DI AMICIZIA” con la stessa;
3) la terza è costituita dal “CONSOLIDAMENTO DEL RAPPORTO CONFIDENZIALE ED
AFFETTIVO”;
4) la quarta risiede nella verifica di “ASSENZA DI SUPERVISIONE DEL MINORE DA
PARTE DI SOGGETTI ADULTI”;
5) la quinta prevede l’“APPROFONDIMENTO DELLA CONFIDENZA CHE SI
TRASFORMA IN INTIMITA’ ”;
6) l’ultima si sostanzia nella “INTRODUZIONE DI TEMATICHE SESSUALI” con pressione
per eventuali “INCONTRI E PRESTAZIONI SESSUALI”.
La descrizione di tale elaborazione, soprattutto calibrata sulle pratiche di adescamento attraverso
internet, che ormai costituisce il terreno di elezione per la perpetrazione di gran parte dei reati di
abuso sessuale su minori, aiuta a comprendere meglio i meccanismi operativi attraverso cui si
perviene alla commissione del reato oggetto di esame ed offre utili spunti valutativi nel momento in
cui ci si troverà a decidere sulla responsabilità del soggetto chiamato a rispondere penalmente del
suo operato.
In ogni caso la rilevanza della condotta è senza dubbio già presente allorché si sia instaurato una
rapporto di intima confidenza tra l’autore del reato e la vittima ed appaia univoco l’intento
dell’agente di porre le basi per la realizzazione dei più gravi reati afferenti alla sfera sessuale
indicati specificamente dal legislatore, senza che invece sia necessario approntare mezzi che
rendano effettivo il concreto contatto tra i soggetti coinvolti.
Entrando nello specifico della struttura tipologica del reato va evidenziato che trattasi di reato di
pericolo che prende in considerazione condotte meramente preparatorie rispetto a specifiche
finalità illecite che è necessario e sufficiente che alberghino nella mente dell’autore e che emergano
all’esito della ricostruzione probatoria, senza che occorra che la condotta si sostanzi in atti idonei
diretti in modo non equivoco all’ottenimento di un particolare risultato penalmente rilevante.
Ciò appare emergere in modo evidente proprio dalla stessa formulazione del precetto che lascia
aperto un ventaglio di possibili esiti illeciti e che appare incongrua rispetto alla struttura del delitto
tentato come descritto appunto dall’art. 56 C.P.
In altri termini non rileva ai fini della configurabilità in concreto del reato di adescamento che dagli
elementi a disposizione non si evinca con certezza se l’agente abbia perseguito il fine di ottenere
prestazioni sessuali da parte della persona offesa ad es. dietro compenso, con violenza \minaccia o
con il suo stesso consenso (purché naturalmente tale consenso non renda invece lecita la condotta, il
che refluisce in senso negativo anche sulla configurabilità in concreto dello stesso reato di
adescamento), è sufficiente, si ribadisce, che detta finalità sia presente e sia probatoriamente
percepibile.
Tale struttura evidentemente rende incompatibile il reato di adescamento con la figura del tentativo
per le ragioni che già in precedenza si sono espresse con riferimento al reato di pericolo ed in buona
sostanza per evitare che una tutela già anticipata subisca ulteriori arretramenti andando poi a
confliggere con la stessa effettiva offensività della condotta.
Occorre poi aggiungere che il legislatore ha introdotto in modo significativo una clausola di
residualità dell’operatività della norma, limitandola ai soli casi in cui il fatto non costituisca più
grave reato, e tra questi naturalmente vanno presi in considerazione non solo i delitti consumati ma
anche quelli che si manifestano come semplicemente tentati.
Tale previsione di residualità si ritiene che impedisca il concorso del reato di adescamento con
l’eventuale reato fine, consumato o tentato, destinato ad assorbire la fattispecie meno grave che ci
occupa quale ante-fatto non punibile.
Approfondendo l’analisi della norma si rileva che la stessa descrive un reato a condotta vincolata,
posto che per la realizzazione dello stesso il legislatore richiede che gli atti di manipolazione
psicologica si realizzino attraverso ARTIFICI, LUSINGHE o MINACCE, e quindi, per dare
maggiore concretezza al significato dei termini usati:
- attraverso condotte mistificatorie o sostitutorie;
- attraverso l’esercizio di atti di esagerata adulazione;
- ma anche attraverso la prospettazione di pregiudizi che l’agente è in grado di scongiurare ove la
vittima manifesti assoggettamento.
Orbene, proprio l’utilizzo di quest’ultima categoria pone non pochi problemi, sia perché risulta del
tutto difforme rispetto a condotte che non coartano direttamente la persona offesa ma
semplicemente si limitino ad influenzarla in modo fraudolento per farla aderire senza apparenti
costrizioni, sia perché in concreto l’adozione di condotte intimidatrici conduce quasi
inevitabilmente verso la configurazione di più gravi delitti, quanto meno nella forma del tentativo.
Si tratta tuttavia di problematiche legate all’approfondimento del merito che dovranno risolversi di
volta in volta con riferimento alla specificità del caso direttamente preso in considerazione.
Quanto all’elemento soggettivo del reato si è già detto che lo stesso è individuabile nel dolo
specifico di agire al fine di realizzare determinati reati- fine, che sono tassativamente presi in
considerazione dal legislatore.
Tale specifica previsione comporta che in ogni caso, perché sia chiamato a rispondere penalmente,
al soggetto agente possa addebitarsi il perseguimento di un fine in concreto illecito, oggettivamente
rilevabile.
A tale proposito si deve sottolineare che proprio la previsione normativa di individuare quali vittime
del reato di adescamento anche soggetti che possono validamente prestare il consenso per il
compimento di atti sessuali (gli infrasedicenni maggiori di quattordici anni) non rende agevole la
soluzione di casi nei quali non risulta di immediata interpretazione se l’agente abbia agito a fini
illeciti ovvero solo allo scopo di ottenere il valido consenso del soggetto con cui instaurare una
relazione sessuale.
In altri termini risponderà di adescamento chi abbia cercato di manipolare psicologicamente il
quindicenne per convincerlo a compiere in modo consenziente degli atti sessuali?
Se si risponde in senso positivo appare comunque palese la contraddittorietà di pervenire alla
punizione penale di una condotta meramente preparatoria, mentre nel caso in cui l’intento sia stato
effettivamente realizzato l’autore della condotta potrebbe andare immune da sanzione.
Si è detto che il legislatore non ha inteso prendere in considerazione le condotte di adescamento che
vengano attuate solo attraverso la rete INTERNET, ma, occorre dire opportunamente, ha comunque
attribuito rilevanza a qualsivoglia condotta finalisticamente manipolatoria realizzata attraverso
qualsivoglia mezzo comunicativo (basta andare col pensiero all’adescatore che si colloca in luo ghi
frequentati abitualmente da minori per cogliere la bontà della scelta ad ampio spettro effettuata).
A tale proposito è da richiamare a mo’ di esempio un caso che in concreto si è verificato subito
dopo l’entrata in vigore della novella e che è stato oggetto di approfondimento investigativo.
Si trattava di un soggetto che aveva predisposto dei fascicoli contenenti immagini di fumetti
giapponesi aventi natura pornografica ove i protagonisti risultavano evidentemente adolescenti ed
accompagnava tali immagini con scritti e didascalie, con cui decantava determinate tipologie di
condotte ed atteggiamenti sessuali ed i conseguenti significativi vantaggi anche di carattere
economico che potevano derivare a chi si fosse reso disponibile a tali pratiche. Tali fascicoli li
posizionava all’interno di mezzi pubblici di linea poco prima che gli stessi fossero utilizzati da
adolescenti che si recavano a scuola e contestualmente stazionava o alla fermata dell’autobus o
all’interno dello stesso mezzo pubblico, in attesa di avere eventuali riscontri da parte di possibili
vittime, che potevano facilmente rendersi conto della sua presenza, in quanto nei predetti opuscoli
venivano indicati tutti i riferimenti attraverso cui l’eventuale ed attento lettore potesse pervenire alla
individuazione del soggetto che aveva approntato la sua “ragnatela” ed era in attesa di positivi
riscontri.
Tuttavia è innegabile che la modalità che attualmente è maggiormente adottata è proprio quella che
sfrutta come mezzo di contatto la rete INTERN ET, che evidentemente può porre una serie di
problematiche anche processuali derivanti da tale utilizzo.
Si possono porre problemi di individuazione del luogo di commissione del reato. Appare tuttavia
che la condotta rilevante penalmente consti di comunicazioni recettizie e perciò in linea di principio
il luogo di consumazione del reato di adescamento dovrà individuarsi nel luogo ove la vittima
riceve le comunicazioni manipolatorie.
Si possono porre problemi di accertamento della consapevolezza da parte dell’agente che
l’interlocutore sia infrasedicenne, risultando esclusa la sanzionabilità della condotta ove l’errore su
tale elemento sia stato inevitabile così come stabilito dal legislatore all’art. 609 sexies C.P.
Un’ultima sottolineatura appare opportuna a chiusura delle considerazioni che riguardano tale reato.
In primo luogo va rimarcato che l’utilizzo della rete internet è particolarmente insidioso ed espone
le vittime particolarmente vulnerabili, quali sono i minori, a gravi rischi di aggressione della
personale sfera di libertà ed adeguata crescita psicofisica, perché non è immediatamente percepibile
la condizione di diretto contatto con il pericolo in ragione della mediazione offerta dallo strumento
e quindi non bisogna meravigliarsi della “facilità” con la quale la vittima cade nella artata
manipolazione.
Naturalmente l’apparente condiscendenza in ipotesi manifestata dalla vittima minorenne, lungi dal
consentire di escludere che vi sia stata captazione fraudolenta della sua disponibilità e fiducia con
conseguente venir meno della rilevanza penale della condotta, è proprio piena espressione della
perfetta riuscita dell’intento criminoso dell’agente, ove si abbia la provata sussistenza di tutti gli
elementi tipici della fattispecie.
In secondo luogo va altresì evidenziato che ai fini della sussistenza del reato un’attività di effettivo
approfittamento della ingenuità ed impressionabilità della vittima si deve comunque riscontrare e
pertanto appare davvero problematico giungere ad affermare la penale responsabilità di un soggetto
che abbia effettivamente instaurato un rapporto comunicativo su tematiche sessuali con il suo
interlocutore minorenne, ma a tale rapporto sia stato direttamente ed apertamente sollecitato dallo
stesso minore, la cui fiducia potrebbe pertanto non apparire concretamente carpita.
Roma, 2.2.2016.
Dott. Pantaleo POLIFEMO