Working Paper L`eredità del Piano Marshall per la
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Working Paper L`eredità del Piano Marshall per la
“Finance and Development” Working Paper Rome, November 1997 L’eredità del Piano Marshall per la politica di cooperazione allo sviluppo Marco Zupi L’eredità del Piano Marshall per la politica di cooperazione allo sviluppo “This magnanimous support [the Marshall Plan] deserves above all to be assessed from the point of view of its moral effect. It gave the German people the feeling that they were no longer written off by the rest of the world but that they also could again take part in the progress of the free world. Its economic and financial significance was, moreover, no less.” Ludwig Erhard, Cancelliere tedesco, 1963-1966 “The Marshall Plan ... was a magnet, a beginning, a confidence-building measure, a way of starting a process that turned out to produce an economic miracle.” Bill Clinton, Presidente degli Stati Uniti 1. - Le origini del Piano Marshall L’Europa era uscita stremata dalla seconda guerra mondiale: le strutture produttive erano seriamente danneggiate, molte vie di comunicazione interrotte - il che complicava l’approvviggionamento di materie prime -, mancavano i beni di consumo e le fonti energetiche, ricorrenti le crisi alimentari, scarse le riserve auree per acquistare importazioni di prima necessità1. I dati aggregati risultavano preoccupanti2, anche se, ad analizzare più in dettaglio, la grave situazione di Austria, Germania ed Italia3 non corrispondeva a quella già in ripresa di Francia, Irlanda e Svizzera e quella, ben migliore che nel passato, di Gran Bretagna e Svezia. Ben diversa la situazione degli Stati Uniti. Il sistema produttivo era pronto a far fronte alla domanda estera, mentre il paese registrava stabilmente un avanzo di partite correnti nei confronti dell’estero, determinando il cosiddetto “dollar shortage”: nonostante gli aiuti americani all’Europa, tramitati dall’United Nations Recovery and Reconstruction Agency (UNRRA), le riserve valutarie 1 cfr. Bailey, T. A., 1977 e Kinderberger, C. P., 1987 2 cfr. Clayton, W. L., 1947 3 Peraltro, anche in Italia alcune variabili indicavano chiari segni di ripresa. Del resto la perdita di stock di capitale durante la guerra fu solo del 7% in Italia (contro il 25% in Unione Sovietica). 2 europee erano erose al punto da bloccare ogni prospettiva di sviluppo e di soddisfacimento della domanda di importazioni4. Si determinava così una congiuntura particolare: occorreva, agli occhi degli americani, consolidare il sistema democratico e la stabilità politica di regimi liberali in Europa, a fronte del rischio di espansionismo comunista5 nel continente, e ciò non poteva che basarsi sulla ripresa economica e produttiva del vecchio continente. Un piano di aiuti all’Europa poteva al contempo rispondeva bene al proposito americano di porre fine all’economia di guerra negli Stati Uniti: i surplus di capacità produttiva, i magazzini colmi di derrate alimentati potevano essere ridotti proprio mediante la strategia del dono e del prestito a condizioni agevolate, strumenti che sarebbero poi divenuti le principali componenti della cooperazione internazionale allo sviluppo. L’Europa doveva riuscire soprattutto ad accrescere la propria capacità produttiva ed esportatrice, gli Stati Uniti potevano soddisfare la crescente domanda di importazioni proveniente dall’Europa6. Perciò, come chiaramente sottolinea un recente studio del Ministero Affari Esteri7, non fu tanto l’obiettivo della ricostruzione post-bellica all’origine del Piano Marshall, che del resto fu pensato ben due anni dopo la fine del conflitto, destinando peraltro molti aiuti alla Gran Bretagna, in cui il livello produttivo era nel 1947 era superiore a quello degli anni antecedenti la guerra, ed interessò anche Svizzera e Svezia, rimaste estranee alle distruzioni belliche8. 4 cfr. Fodor, G., 1985 5 Il Presidente Truman disse: "The Marshall Plan will go down in history as one of America's greatest contributions tothe peace of the world. I think the world now realizes that without the Marshall Plan, it would have been difficult for Western Europe to remain free the tyranny of Communism." 6 cfr. Bidwell, P. W., 1949 7 Ministero Affari Esteri, luglio 1997, mimeo 8 Come richiesto dalla legislazione per l’ERP, gli Stati Uniti si impegnarono, attraverso Averell Harriman, a capo dell’ufficio regionale di rappresentanza americana all’estero, a stabilire accordi bilaterali con ogni paese. In base alle stime, i maggiori beneficiari del Piano di aiuti furono la Gran Bretagna (circa il 25% del totale degli aiuti ), Francia (21%), Germania (11%), Italia (12%), e Olanda (8%). 3 La produzione industriale, del resto, più o meno lentamente, stava riprendendo ovunque in Europa, compresa la Germania, dove il livello aveva nel 1947-48 ampiamente superato quello di dieci anni prima9. E se è vero che l’iniezione di capitale necessario per assicurare gli investimenti per la ricostruzione (soprattutto nel settore dell’industria pesante) si rendeva urgente in Europa, fu soprattutto l’attenzione all’andamento della bilancia dei pagamenti Europea e americana a motivare il piano10. Più ancora del deficit delle partite correnti europee verso gli Stati Uniti, il problema derivava dal contemporaneo deficit dei paesi non europei nei confronti degli Stati Uniti. I paesi tropicali e tutta l’area della sterlina tradizionalmente in surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti e in deficit verso l’Europa - e quindi fonte di trasferimento di dollari all’Europa, e fonte di ulteriore drenaggio europeo di dollari in virtù delle rimesse degli emigrati - negli anni 1946-47 aumentavano il proprio deficit verso gli Stati Uniti. Ciò portava tutti i paesi, europei e non, a richiedere che i pagamenti venissero saldati in dollari o oro11. A questo problema di “dollar shortage”, per paesi europei e non, si aggiungeva l’aumento dei prezzi interni statunitensi, che ebbe effetti dirompenti sulla bilancia europea. Il controllo sui prezzi, ereditato dal periodo bellico, fu abbandonato negli Stati Uniti alla fine del 1946 dal Presidente Truman, dopo che il Congresso votò contro il mantenimento del Price Control Bill, senza incontrare resistenze12, e ciò produsse forti spinte inflazionistiche13 che, per l’Europa, si tradussero immediatamente in un drastico peggioramento del deficit commerciale in dollari e in una diminuzione del valore reale delle riserve auree e di dollari. La crisi in Europa del 1947 fu perciò una crisi essenzialmente finanziaria: mentre la produzione aumentava, si riducevano le riserve necessarie a comprare le importazioni; e la liberalizzazione dei 9 cfr. Di Nolfo, E., 1994 10 Alcuni, come Milward, hanno minimizzato il contributo del Piano Marshall, al punto di dire che consentì semplicemente di “continuare il processo avviato di ripresa economica, che si sarebbe potuto realizzare limitando le importazioni ai beni capitali” (cfr. Milward, A., 1984) 11 cfr. Ministero Affari Esteri, op. cit. 12 Tra le poche voci critiche, cfr. Woytinski, W. S., 1947 13 cfr. Goldenweiser, E. A., 1951 4 prezzi americani svelò il gap di risorse a disposizione dei consumatori europei rispetto a quelli americani per soddisfare i propri bisogni14. A quel punto, diventava possibile o tassare i consumatori americani e destinare risorse così liberate ai consumatori ed alla ricostruzione dell’Europa oppure decidere di fissare dei controlli amministrativi sulle esportazioni e sui prezzi; il Piano Marshall adottò la prima strada15. 2. - L’avvio del Piano Marshall Il Segretario di Stato degli Stati Uniti, George C. Marshall, pronunciò 50 anni fa, il 5 giugno 1947, il discorso di saluto ai laureati, in occasione dell’assegnazione di una laurea honoris causa in giurisprudenza all’Università di Harvard che sarebbe passato alla storia come l’annuncio dell’European Recovery Program (ERP), il programma di aiuti all’Europa, presto ricordato come Piano Marshall. Egli assicurò che una politica di aiuti americani avrebbe riportato “una normale prosperità economica nel mondo, senza la quale non vi sarebbe stata stabilità e neppure pace nella sicurezza”, aggiungendo che l’intento non era di colpire “qualsivoglia paese o dottrina, ma di combattere fame, povertà, disperazione e caos”. 13,5 miliardi di dollari in 4 anni sarebbero andati dagli Stati Uniti a favore di 16 nazioni europee che chiesero di partecipare al Piano, con l’obiettivo (economico) di favorire la ricostruzione postbellica e (politico) di contrastare un’eventuale avanzata del comunismo nel vecchio continente. Infatti, il 12 luglio 1947, su iniziativa di Gran Bretagna e Francia, si riunì a Parigi una conferenza di sedici paesi16, concepita per l’amministrazione del Piano Marshall in Europa. Essa dette origine al Committee (poi Organisation) of European Economic Co-operation (OEEC), che si sarebbe poi trasformato in Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), con finalità di analisi e coordinamento delle economie dei paesi più industrializzati. L’OEEC, organismo permanente sollecitato dagli Stati Uniti, si proponeva di favorire la ripresa economica dell’Europa, promuovendone l’integrazione economica e politica. 14 cfr. Ministero Affari Esteri, op. cit. 15 Pochi pensarono alla praticabilità di una politica di controlli. Tra questi Hal B. Lay (cfr. U.S. Dept. of Commerce, 1943) 16 Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia, Svizzera, Turchia 5 Con le parole di George Marshall “this very vital area of the world . . . its industrial potential, its skills and its energy - would pass under the same control which is now exercised over the satellite nations of eastern Europe”17. Alla conferenza erano stati invitati anche l’Unione Sovietica e tre paesi del’Europa orientale Cecoslovacchia, Polonia ed Ungheria. L’Unione Sovietica rifiutò però la proposta di partecipazione al Piano ed impose anche agli altri tre paesi di non intervenire alla Conferenza. Quel rifiuto era del resto atteso e ben difficilmente Truman avrebbe strappato al Congresso un’autorizzazione a sostenere la ripresa dei paesi del blocco comunista. Così come realizzato, invece, il Piano Marshall si integrava perfettamente alla strategia della Dottrina Truman e del Military Assistance Program18. E si trattò di un impegno ragguardevole anche per le casse degli Stati Uniti, al punto che il Presidente Harry Truman si dovette impegnare a fondo per strappare l’approvazione congressuale19. Ottenne 13,3 miliardi di dollari di aiuti economici e assistenza tecnica per 16 paesi, oltre la metà di quanto il comitato dei paesi europei, il Committee della OEEC, costituito a Parigi, aveva richiesto. Il documento preliminare della Commissione dei 16 paesi europei stimava il deficit netto della bilancia dei pagamenti dell’Europa con la zona del dollaro, per il periodo 1948-51, pari a 29 miliardi di dollari, ed il rapporto avanzò la proposta di un finanziamento americano di 19 miliardi di dollari (a cui si dovevano aggiungere altri 3 miliardi di dollari da altri fonti, anzitutto la Banca Mondiale). Si trattava comunque di una cifra basata su statistiche frutto di mediazioni e su stime per difetto di produzione ed esportazioni europee. Tanto che nel successivo documento la richiesta di 17 Marshall disse, "Our policy purpose should be the revival of a working economy in the world so as to permit the emergence of political and social conditions in which free institutions can survive."..." It is already evident that, ... there must be some agreement among the countries of Europe as to the requirements of the situation and the part those countries themselves will take in order to give a proper affect to whatever action might be undertaken...It would be neither fitting nor efficacious for this government to undertake to draw up unilaterally a program designed to place Europe on its feet economically. This is the business of Europe." 18 Tanto che, anche successivamente al Piano Marshall, a partire dal Mutual Security Act del 1951, anche se in forma più limitata e destinati per lo più alla difesa, flussi di doni continuarono ad andare verso l’Europa: la Francia ricevette, nel 1952-53, 525 milioni di dollari in doni, per la difesa e a sostegno del bilancio. 19 Truman spiegò che "Compared to the financial cost alone of World War II, it seemed small. The money to be invested in the rebuilding of decent standards of living in Europe would amount to only 5 percent of the sums we had expended to defeat the Axis." 6 valuta estera fu ridotta a 22 miliardi di dollari. Gli americani risposero con relazioni del Dipartimento degli Interni (il Krug Report), del Council of Economic Advisers, della Commissione presidenziale (la Harriman Committee) e di quella del Congresso (la Herter Committee). La stima americana del costo della ricostruzione europea fu pari a 5,75 miliardi di dollari per il primo anno, e 12-$17 miliardi di dollari in quattro anni. Il Congresso autorizzò l’assegnazione dei quasi 17 miliardi di dollari per il piano quadriennale ERP, che doveva chiudersi il 30 giugno 195220. I prestiti, gestiti dalla Export-Import Bank, dovevano corrispondere a circa il 10% del totale dei fondi messi a disposizione; nel primo anno fu fissato il tetto di 1 miliardo di dollari (sul totale di 5,3). I doni erano gestiti dalla ECA, che si sarebbe col tempo trasformata nell’USAID. 13,3 miliardi, finanziati con un prelievo fiscale eccezionale, pari ad oltre il 2-3% del PNL americano21 e al 2,5-3,5% del PNL europeo, da erogare in cinque anni22, in gran parte a titolo gratuito, e con la quota di prestiti gestiti dalla Import-Export Bank a condizioni agevolate23. Un Piano che infuse una massiccia dose di fiducia in Europa, al cui interno si trovarono risorse visto che la ricostruzione europea non poteva contare su flussi di investimenti diretti esteri - ed energie per sviluppare e sostenere un ambizioso programma di aggiustamento strutturale. I risultati non sono poi mancati, al punto che si è parlato del Piano Marshall come dell’azione più efficace di politica estera sperimentata nel secolo e che a quell’esperienza ci si è ripetutamente 20 La legge del 1948 (H.R. 4840), autorizzavò in effetti la spesa di 6,8 miliardi di dollari per i primi 15 mesi. I 13,3 miliardi di dollari andati in quattro anni a sedici paesi furono spese in gran parte per i beni (3,5 miliardi per materie prime, 3,2 miliardi in beni alimentari e fertilizzanti, 1,9 miliardi in macchinari, 1,6 miliardi in carburante). Parte minore andò ai programmi di assistenza tecnica, attraverso missioni “produttive” per agricoltori ed industriali europei. La fine dei flussi ERP, nel dicembre 1953, interruppe il flusso di valuta nuova nelle casse del Fondo di contropartita nazionale. Trattandosi però di fondi rotativi, prestiti per investimenti continuarono ad essere disponibili, indipendentemente dal venir meno del Piano Marshall. 21 L’editorialisa del Tampa Tribune , Joseph H. Brown, riporta una diversa percentuale, pari al 5% del PNL, che in valore attuializzato sarebbe pari a 350 miliardi di dollari. Invece, Charles Weiss Jr., professore alla Johns Hopkins University, parla di 86 miliardi attuali. Si tratta di numeri molto discordanti. 22 Il Piano si svolse dal 1948 a fine 1951, rimpiazzato nel 1952 dal Mutual Security Assistance. 23 tassi di interesse pari al 2,5%, periodi di grazia, e scadenza del ripagamento a 35 anni. Cfr. Cartapanis, A. e Reiffers, J. L., 1993 7 richiamati come modello riproducibile altrove24. Winston Churchill aveva definito il Piano Marshall “l’azione meno sporca della storia”; altri25 il programma di aggiustamento strutturale -ante-litteram - di maggior successo nella storia. Si aveva la chiara sensazione, in quegli anni, di star costruendo nelle parole di Dean Acheson26, allora segretario di stato americano - “un insieme straordinariamente efficace di istituzioni politiche ed economiche”. 3. - Uomini e strategia del Piano Marshall 3.1 - Gli uomini Il Piano Marshall è ovviamente legato, nella memoria comune, alla persona di George Catlett Marshall. Figlio di un mercante di carbone, Marshall nacque ad Uniontown, in Pennsylvania, si laureò al Virginia Military Institute nel 1901. Inizialmente prestò servizio nelle Filippine. Durante la prima guerra mondiale fu Capo delle operazioni della Prima Armata. Marshall divenne nel 1948 capo della Divisione Piani di Gerra del Dipartimento di Guerra. Nominato a capo dello staff del Presidente Franklin D. Roosevelt per le questioni militari, ad inizio 1939 cominciò a svolgere le sue funzioni e, nel 1944, fu nominato Generale dell’armata. Alla fine del 1945 Marshall si ritirò, ma fu richiamato all’impegno politico direttamente dal Presidente e la sua nomina, primo militare nella storia, l’8 febbraio 1947, a capo del Dipartimento di Stato fu unanimamente approvata. Si impegnò, alle Nazioni Unite, nei negoziati con le nazioni uscite sconfitte dalla guerra, avviò la politica di riarmo dell’Europa occidentale per fronteggiare il blocco dei paesi comunisti e caldeggiò la disponibilità americana a far parte di un’alleanza militare difensivo a livello regionale. Si impegnò nel progetto di cooperazione emisferica, stringendo alleanze con il continente latinoamericano. Nell’ottobre del 1948 Marshall, ormai sessantottenne, aveva già destinato 228 dei 600 giorni in qualità di Segretario di Stato a partecipare a conferenze internazionali: a gennaio del 1949, Marshall si ritirò nuovamente dalla vita politica, tornando con la moglie nella casa di Leesburg. 24 Né è da trascurare il fatto che nella Germania Occidentale, devastata dalla guerra ed invasa da milioni di profughi dell’Est, la costruzione di una casa ogni cinque tra quelle costruite a partire dal 1948, potè beneficiare di aiuti del Piano Marshall. 25 De Long, B. J. e Eichengreen, B., 1992 26 Acheson, D., 1960 8 Ma, con lo scoppio della guerra di Corea, nel 1950, il presidente Truman, ancora una volta, lo richiamò al governo, a capo del Dipartimento della Difesa. In questa veste, Marshall favorì la creazione della NATO (North Atlantic Treaty Organization). Nel dicembre del 1953, come riconoscimento del suo prezioso contributo alla ripresa economica dell’Europa, gli fu assegnato il premio Nobel per la pace. Ancora una volta, fu il primo militare nella storia a vedersi riconoscere quel prestigioso titolo. Non molto tempo prima della sua morte, avvenuta a Washington D.C. il 16 ottobre del 1959, Winston Churchill gli tributò un attestato di profonda stima: "During my long and close association with successive American administrations, there are few men whose qualities of mind and character have impressed me so deeply as those of General Marshall. He is a great American, but he is far more than that. In war he was as wise and understanding in counsel as he was resolute in action. In peace he was the architect who planned the restoration of our battered European economy and, at the same time, labored tirelessly to establish a system of Western defense. He has always fought victoriously against defeatism, discouragement, and disillusion. Succeeding generations must not be allowed to forget his achievements and his example." Oltre comunque al generale Marshall, molti altri personaggi importanti sono legati a quell’esperienza. Nella Francia del generale De Gaulle, alla fine della seconda guerra mondiale, era stato istituito un programma nazionale, il piano di dotazione strutturale e modernizzazione, a capo del quale fu posto Jean Monnet, e suo vice l’economista e già direttore di rivista Robert Marjolin. Si trattò di un’esperienza che tornò utile al momento del Piano Marshall per tutta l’Europa: segretario generale dell’OEEC dal 1946 al 1955 sarebbe stato proprio Marjolin27. Al contempo, un noto costruttore americano di automobili, Paul Hoffman, sarebbe stato dal 1948 il direttore della’ECA, chiamando come vice l’economista del MIT Richard Bisset. Questi, sarebbe diventato la testa pensante del programma di aiuti e l’interlocutore primo del Congresso, essendo a capo delle divisioni specializzate in beni alimentari, industria, procurement, e trasporti28. 27 Dal 1958 al 1967 Marjolin sarebbe poi stato il vice-Presidente della Comunità Economica Europea (CEE). Cfr. Marjolin R., 1986 28 In seguito, Bissell avrebbe lavorato nella CIA, legando il suo nome alla fallimentare operazione alla Baia dei Porci, a Cuba. Ma è nel periodo del Piano Marshall che Bissell visse “gli anni migliori della carriera” (cfr. Bissell, R., 1996, p. 29). 9 Due economisti che - ricorda Hirschman29 (cfr. Hirschman, Albert O., 1997) -, pur con differenti storie e condizioni sociali di partenza, condividevano la fiducia keynesiana nell’importanza dell’intervento pubblico; fiducia nutrita da tutto lo staff - Lincoln Gordon, Edmund Hall-Patch ed Eric Roll - “animato da un desiderio talmente intenso di portare al successo una impresa comune”30. Gli obiettivi del Piano erano anzitutto quelli della sicurezza economica e, quindi, politica, insieme a quello del sostegno alla ripresa della Germania, da inserire in una cornice vasta (il blocco occidentale) di alleanza, che - dirà lo storico Theodor White31 - andava sostenuto con un’iniezione di risorse finanziarie, “spinta energetica ed invisibile come l’elettricità”. Il mondo imprenditoriale americano fu direttamente coinvolto nel Piano, come dimostra il ruolo di responsabilità e prestigio assunto da Paul Hoffman, così i grandi esperti di politica estera - Dean Acheson, Averell Harriman, George Kennan -, il mondo del lavoro e l’intera opinione pubblica fu mobilitata per dare sostegno all’iniziativa. Per evitare una dipendenza eccessiva dalla politica governativa, il Presidente Truman volle che l’ECA rispondesse direttamente a lui, piuttosto che a qualche dicastero. 3.2 - Strategia ed implementazione del Piano Il Piano Marshall consisteva di cinque parti: 1. un quadro di riferimento istituzionale per la presentazione di richieste collegiali di aiuti allo sviluppo da parte europea; 29 Albert O Hirschman, uno dei più acuti studiosi dello sviluppo economico di questo secolo, cominciò la sua carriera proprio come come funzionario della divisione internazionale della Federal Reserve Board addetto, nella filiale di Parigi, a seguire il Piano Marshall e, in particolare, i piani per i pagamenti intraeuropei. Il giovane Hirschman sposò però presto l’entusiasmo e l’attivismo del gruppo di persone attorno a Bissell - tra cui Van Cleveland, Ted Geiger e John Hulley -, diventando consigliere di fatto, seppur informale, dell’ECA e caldeggiando lo schema dell’EPA, che invece Federal Reserve Board e, soprattutto, Tesoro americano e FMI cercarono - inutilmente - di contrastare. Proprio l’imbarazzo di dover frenare l’impulso a sposare la politica dell’ECA in ragione del ruolo istituzionale che rivestiva, consigliarono Hirschman di lasciare la Federal Reserve Board e, proposto dalla Banca Mondiale, di diventare consigliere economico del governo della Colombia. E’ proprio quindi dall’esperienza della ricostruzione europea che prese avvio il viaggio intellettuale e di responsabilità operativa di Hirschman sul tema dello sviluppo economico nel mondo. 30 Parole di Richard Bissell, riportate nel suo libro a pagina 196, e ricordate da Hirschman (1997, p. 404). 31 citato da C. Weiss (op. cit., 1997) 10 2. doni e crediti di aiuto; 3. uso delle garanzie sugli investimenti; 4. forme di assistenza tecnica e, in particolare, i tour di assistenza alla produttività industriale; 5. uno schema di pagamenti intra-europei per facilitare il commercio comunitario. L’approccio adottato dal Piano era quello di un modello di economia mista orientata al mercato ed alla liberalizzazione del commercio, con buone dosi di flessibilità, che il non pressante controllo imposto dagli Stati Uniti consentì ai diversi paesi beneficiari. Era un forte sostegno alla transizione dalla fase di economia di guerra, legata alla pianificazione ed al controllo32. 3.3 - L’OEEC e la politica di doni e crediti Le modalità di erogazione e ripartizione degli aiuti tra i paesi, vennero di fatto fissate inizialmente dagli Stati Uniti, posti dinanzi ai disaccordi tra i paesi europei, pure invitati a coordinarsi nell’OEEC. La Gran Bretagna era preoccupata di perdere il privilegio delle relazioni bilaterali con gli Stati Uniti; la Francia era preoccupata della partecipazione tedesca33; tutto ciò limitò l’efficacia momentanea dell’OEEC, la cui importanza si sarebbe invece sentita nel tempo, in termini di pratica al confronto e collaborazione ad alto livello istituzionale sui destini dello sviluppo continentale. L’ECA ricorse al servizio dell’esercito per il procurement nelle zone occupate, al Dipartimento del Lavoro per lo svolgimento di analisi e statistiche sul lavoro, al Dipartimento degli Interni per lo studio della disponibilità di risorse minerali americane, al Dipartimento del Commercio per analisi sui flussi commerciali. Nel settore del procurement, l’ECA operò in maniera indipendente: alla fine del primo anno di operazioni, per l’84% si era fatto ricorso al canale del settore privato; solo il 16% andò tramite la Commodity Credit Corporation, che disponeva dei surplus agricoli resi disponibili per l’ERP. 32 Sulla cui esperienza, peraltro, divergono i giudizi. Interessante l’articolato giudizio positivo di Chester sulla politica di pianificazione in Gran Bretagna sino al 1947 (cfr. Chester, D. N., 1952) 33 La partecipazione della Germania fu inzialmente un problema: l’ECA chiese un rappresentante per ogni zona, ma il governatore militare americano in Germania, il Generale Lucius Clay, si oppose. Si decise la presenza del solo rappresentante basato a Francoforte, mentre, ad avvenuta costituzione della Repubblica Federale (1949), un Vice Cancelliere fu incaricato della gestione dei fondi del Piano Marshall. 11 La capacità di controllo da parte dell’ECA sul flusso di importazioni fu scarsa, incapace di evitare che un ordine di acquisto non approvato dall’ERP fosse acquistato dal paese beneficiario facendo ricorso alle proprie riserve valutarie. Pertanto il programma fu abbandonato da Washington, che cominciò a rilasciare autorizzazioni di procurement per categorie ampie di prodotti. Secondo alcuni, le uniche operazioni “reali” dell’ECA furono quelle di assistenza tecnica. Si aprì un Ufficio Speciale, l’Office of Special Representative (OSR), a Parigi, come tramite con l’OEEC e interfaccia con l’ECA delle missioni. Averell Harriman, Segretario del Commercio all’avvio dell’ERP, fu scelto come Special Representative (Pamela Harriman, sua moglie, è ora Ambasciatrice americana in Francia). Concepito con uno staff di 30-40 persone, nel 1953 il personale dell’OSR ammontava a 630 americani e 825 locali; gli uffici di Parigi rappresntavano il 50% dei costi amministrativi dell’intera operazione europea. All’inizio del 1950, il personale a Washington dell’ECA era di 938 unità: meno del 10% era personale operativo, 522 costituivano lo staff amministrativo. Mentre i francesi richiedevano un’organizzazione formale, con un comitato direttivo ed una segreteria internazionale, gli inglesi propendevano per un’organizzazione consultiva più agile e meno impegnativa, che non sostituisse le relazioni su base bilaterale e compromettesse la sovranità nazionale. L’OEEC era organizzato strutturalmente in un Consiglio, in rappresentanza di tutti i paesi membri, un Comitato esecutivo, costituito da sette membri eletti dal Consiglio a cui si affiancava nella gestione delle attività, una segreteria internazionale, con un segretario generale. Le decisioni dell’OEEC richiedevano l’unanimità di tutti i paesi membri. L’OEEC fissò le priorità settoriali nel comparto minerario, trasporti, manifattura, beni alimentari, abitazioni, vestiario. Ciascun paese membro stabilì un Ufficio Nazionale, interfaccia per l’ufficio parigino dell’OEEC e per i funzionari dell’ECA. Gli Stati Uniti si basarono quindi sulla dimensione degli squilibri commerciali degli anni 1946-47 per l’assegnazione degli aiuti. Tab. 1 - Aiuti del Piano Marshall: aprile 1948/marzo 1949 (milioni $) Totale Austria Belgio-Lux Danimarca Francia 231,6 206,7 103,0 1.084,9 Prestiti 57,4 31,0 172,0 Aiuti diretti 231,6 3,0 68,2 905,8 Aiuti condizionati Popolazione (milioni ab.) Reddito pro capite ($) 146,3 3,8 7,1 6,9 8,7 4,1 41,3 96 255 276 207 12 482,5 1.316,0 177,5 88,3 8,3 585,9 82,8 473,9 46,0 4.887,4 375,95 Fonti: ECA, 1949 e UNECE, 1948 Germania Occ. Gran Bretagna Grecia Irlanda Islanda ITALIA Norvegia Paesi Bassi Turchia Totale (Media) 313,0 88,3 2,3 67,0 35,0 146,7 38,0 950,7 95,07 439,5 773,8 177,5 2,5 490,8 37,0 323,1 3452,8 313,89 43,0 229,2 3,5 28,1 10,8 4,1 8,0 483,9 48,39 66,8 49,6 7,7 3,0 125 363 58 247 45,5 3,1 9,6 100 248 219 I doni vennero erogati sotto forma di beni (grano, farina, altre derrate alimentari, trattori, macchinari, petrolio). Per riuscire a far ben incontrare domanda ed offerta di beni, gli Stati Uniti crearono l’ECA, col compito di smistare le domande e pagare i fornitori. In ogni paese, le merci erano vendute agli acquirenti privati ed il denaro ottenuto, convogliato in Fondi nazionali speciali, serviva per la ricostruzione. In particolare, i fondi ottenuti dalla vendita di merci servirono per ricostruire le riserve valutarie, piuttosto che andare direttamente per programmi di ricostruzione. I paesi beneficiari, oltre a costituire stabilmente l’OEEC, dovettero sottoscrivere una lettera d’intenti impegnandosi a potenziare la produzione agricola ed industriale, guadagnare la fiducia internazionale sulla tenuta della valuta nazionale attraverso il riequilibrio della bilancia dei pagamenti ed il ritorno a tassi di cambio in linea con le indicazioni del mercato, agevolare il commercio internazionale, pubblicare una relazione trimestrale sull’impiego degli aiuti34. In realtà, il peso della condizionalità americana sul versante macroeconomico non fu mai plateale. Paesi come Gran Bretagna e Danimarca optarono per meccanismi di libero mercato; Francia e Paesi Bassi per un controllo pubblico sugli investimenti. Criticando come ingerenza unilaterale degli Stati Uniti la decisione di utilizzare i Fondi di contropartita per l’allocazione dei capitali, raccolti nei paesi europei a fronte della vendita al privato dei beni ricevuti in dono dagli Stati Uniti, la Gran Bretagna decise di non utilizzare il controvalore offerto dal Fondo. Alle altre nazioni, che invece adottarono il sistema del Fondo, fu in realtà lasciato un sufficiente margine di autonomia: Italia e Francia decisero di destinarlo ad investimenti, 34 cfr. Camera di Commercio Italiana per le Americhe, 1948 13 la Danimarca lo utilizzò in modo molto marginale, altri paesi se ne servirono per finanziare il debito pubblico35. Di fatto, la componente a doni rappresentò oltre il 90% del piano MArshall. L’ECA offrì contributi a titolo gratuito per pagare costo e trasporto di beni e servizi essenziali (il cosiddetto Commodity aid), prevalentemente dagli Stati Uniti. Per stimolare il commercio intra-area, vennero concessi doni che impegnavano i paesi riceventi a mettere da parte la valuta per l’acquisto di prodotti di altri paesi europei. Alcuni altri numeri. L’ECA erogò anche crediti d’aiuto, ad un tasso d’interesse del 2,5% da far valere a partire dal quarto anno, maturità di 35 anni e periodo di grazia di 8 anni. La legge dell’ERP autorizzava per il primo anno l’utilizzazione di 1 miliardo di dollari in forma di crediti di aiuto o garanzie. Nel 1949, le disponibilità in crediti di aiuto furono ridotte a 150 milioni di dollari, stante la difficoltà dei paesi europei ad assumere una posizione debitoria in dollari. Tra il 1948 ed il 1949, l’aiuto alimentare diminuì dal 50% al 27% degli aiuti totali. Contemporaneamente, la quota di materie prime e macchinari passò dal 20% al 50%. Altra importante strategia di finanziamento fu la tecnica del Project financing, che assunse importanza nelle ultime fasi dell’ERP. Gli aiuti in dollari dell’ECA si aggiunsero a capitali privati locali per progetti che richiedevano l’importazione di macchinari dall’estero. In questo modo, gli aiuti americani avevano un effetto di leverage per i capitali locali. A metà del 1951, l’ECA aveva approvato 139 progetti di co-finanziamento di attività insieme a capitali locali: progetti il cui costo complessivo era di 2,25 miliardi di dollari, di cui solo 565 milioni erano forniti dal Piano Marshall. 27 progetti erano di produzione energetica, 32 per la modernizzazione e l’ampliamento di produzioni di ferro ed acciaio, molti destinati al miglioramento del sistema infrastrutturale di trasporto. 35 A ciascuna nazione, in negoziati bilaterali, fu chiesto di corrispondere, per ogni dolllaro versato a titolo gratuito dal Piano Marshall, l’equivalente in valuta locale. Alla fine del 1951, si erano costituiti Fondi di contropartita per un ammontare di circa 8,6 miliardi di dollari. La destinazione di questi fondi a diversi usi fu negoziata tra le parti, e ne vennero approvati usi per circa 7,6 miliardi; di questi 2 miliardi andarono per la riduzione del debito (soprattutto inglese), 4,8 miliardi per investimenti (di cui, il 39% in utilities, trasporti ed infrastrutture di comunicazione - energia elettrica, ferrovie -, il 14% in agricoltura, 16% in manifattura, 10% in industrie minerarie ed estrattive ed il 12% in edilizia popolare). Alla Francia si deve il 40% dei Fondi di contropartita utilizzati per scopi produttivi, a Germania ed Italia insieme un altro 40%. 14 La tecnica del project financing si ritroverà, negli anni a seguire, quale strumento preferenziale per mobilizzare risorse private e pubbliche in attività di cooperazione internazionale allo sviluppo36. Negli anni del Piano, si registrarono significativi incrementi nei tassi di investimento: aumentò la formazione del capitale fisso, in percentuale rispetto al reddito nazionale (in Italia era pari al 18% nel 1938, 22% nel 1948 e 24% nel 1949)37; così pure raddoppiarono le esportazioni europee negli anni del Piano, soprattutto in termini di flussi intra-europei. Tab. 2 - Aiuti del Piano Marshall e variabili macroeconomiche (1948-1951) Aiuti (milioni $) 703,5 324,8 271,2 2.862,6 1.317,2 2.690,7 773,7 146,5 29,3 1.253,5 263,6 980,6 41,6 82,1 213,1 11.954 796,93 Fonte: Kostrzewa, W., 1990 Austria Belgio-Lux Danimarca Francia Germania Occ. Gran Bretagna Grecia Irlanda Islanda ITALIA Norvegia Paesi Bassi Portogallo Svezia Turchia Totale (Media) PNL 1950 (miliardi $) % crescita PNL 2,43 7,05 3,35 29,09 23,3 37,34 2,18 1,08 0,11 15,16 2,72 4,9 1,4 6,5 2,3 9,26 8,66 3,87 3,8 4,3 13,3 2,7 9,0 3,07 1,63 6,05 3,34 5,2 3,7 3,6 7,4 5,31 % crescita prod. industr. 12,8 2,9 3,9 4,5 20,4 4,03 14,7 7,8 9,9 7,2 7,6 2,5 8,36 8,20 % crescita esportazioni 22,3 8,7 15,4 17,08 50,1 4,4 17,7 12,9 0,7 8,7 7,5 23,9 4,87 7,54 12,8 14,31 % crescita formaz. capitale 16,9 3,66 7,5 - 0,5 21,1 2,92 4,55 6,0 11,8 3,6 2,9 1,98 2,1 6,50 Il Piano Marshall sostenne in pochi anni la ricostruzione economica e la ripresa dei livelli produttivi industriali dell’Europa, la stabilità dell’area ed un processo sostenuto di integrazione regionale. E’ vero che gli aiuti, in forma di doni e prestiti, bloccarono l’inflazione da eccesso di domanda, che nel 1947 si stava innescando, rendendo disponibili beni importati che accrescevano l’offerta, e creando i Fondi di stabilizzazione monetaria. Da questo punto di vista, il Piano Marshall può dirsi coronato da successo. E non perchè offrisse la panacea a tutti i mali dell’Europa di allora, ma perchè, citando una felice espressione, gli aiuti 36 In particolare, da parte della Banca Mondiale. Cfr. E: Angori, J.L. Rhi-Sausi, M. Zupi, 1997 37 cfr. Milward, A. S., 1984 15 servirono da lubrificante per il motore piuttosto che da carburante38. Sulla spinta degli aiuti, si innescarono delle virtuose politiche macroeconomiche nazionali39. Forme di controllo su produzione e prezzi furono in genere mantenute nei diversi paesi, con l’eccezione dell’Italia, così come politiche keynesiane di espansione della domanda furono agevolate dall’afflusso di aiuti, mentre gli investimenti produttivi e le politiche redistributive contraddistinsero gli anni del Piano Marshall40. Il Piano, detto altrimenti, favorì una migliore distribuzione dell’onere della ricostruzione, rendendo meno pesanti i sacrifici richiesti41. La stabilità finanziaria fu rapidamente raggiunta in Europa grazie all’apporto del Piano Marshall: l’introduzione del criterio della performance, per cui i paesi che avessero rispettato i cirteri di stabilizzazione fissati dal Piano sarebbero stati premiati nell’erogazione di aiuti, divenne un precedente di successo per le politiche di cooperazione allo sviluppo. Anche l’idea di devolvere l’equivalente in valuta nazionale di quanto ricevuto come aiuti in un Fondo per investimenti concordati col donatore ha costituito un altro modello per le politiche successive di coperazione internazionale allo sviluppo. E questo resta, probabilmente, uno degli insegnamenti più importanti per la politica di cooperazione allo sviluppo: piuttosto che interventi progetto-chiavi in mano o semplici trasfusioni finanziarie destinate ad esaurirsi, le politiche di aiuti dovrebbero stimolare, appoggiare e rafforzare processi endogeni di sviluppo, senza sostituirsi ad essi ed alle riforme nazionali. In un concetto di complementarietà delle politiche, il Piano Marshall fu inquadrato nel disegno complessivo di politica estera degli Stati Uniti e supportato dalla fattiva collaborazione dei governi dei paesi beneficiari. Diversamente, sul versante degli squilibri commerciali con gli Usa, malgrado il raddoppiare delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti dal 1948 al 1951, il deficit scese solo da 5 a 4 miliardi di dollari. 38 Ci fu peraltro anche chi, come il giornalista Theodore H. White, mise in dubbio l’effetto di "trickling down" (o “sgocciolamento”) della ricostruzione europea: ”The trickle theory had, thus far”, scrisse White nel 1953, "resulted in a brilliant recovery of European production. But it had yielded no love for America and little diminution of Communist loyalty where it was entrenched in the misery of the continental workers." 39 cfr. Stammati, G., 1947 40 cfr. Wexler, I., 1983 41 cfr. Casella, A. e Eichengreen, B., 1991 16 Inoltre, mentre la produzione industriale nel 1951 era il 64% più alta rispetto a quattro anni prima ed il PNL era cresciuto del 25% nello stesso periodo, i contingentamenti delle importazioni erano stati ridotti del 50% alla fine del 1949, e del 75% all’inizio del 1951 (il 90% delle restrizioni sarebbevenuto meno nel 1955), meno soddisfacenti risultati si ebbero nella produzione agricola totale, cresciuta nel 1951 di solo il 9% rispetto al periodo pre-bellico, per cui, a fronte di un incremento demografico pari a 25 milioni di persone, l’Europa non raggiungeva l’autosufficienza alimentare. 3.4 - L’uso delle garanzie sugli investimenti americani Le garanzie vennero concesse sulla convertibilità in dollari dei profitti derivanti dagli investimenti americani. Lo scopo era quello di incoraggiare gli uomini d’affari americani ad investire in Europa. Inizialmente, la garanzia era relativa ad un importo pari all’investimento fatto, successivamente fu estesa ai profitti, fino ad un tetto di 175 % rispetto all’investimento iniziale. La copertura della garanzia era estesa al rischio di perdite dovute ad espropriazione. Il governo americano autorizzò garanzie per 300 milioni di dollari; ma a metà del 1952 si erano registrate garanzie, relative a 38 investimenti industriali, per un ammontare di soli 31,4 milioni di dollari. Quel che è importante sottolineare, relativamente all’uso delle garanzie sugli investimenti, è che con quest’esperienza veniva sviluppata una particolare strategia di promozione degli investimenti privati, in un contesto di non certezza istituzionale e di rischio-paese (rischio politico quindi, e non solo commerciale) degli investimenti, che sarebbe tornata estremamente utile alle politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo degli anni ‘80 e ancor più degli anni ‘90, sia bilaterali (e pensiamo al caso dell’Italia42) sia multilaterali (pensiamo alle politiche ed agli strumenti del Gruppo Banca Mondiale, in particolare IBRD e MIGA)43. 3.5 - Il Productivity Assistance Program del Piano Marshall Il settore dell’assistenza tecnica fu finalizzato ai problemi della produttività industriale, di quella agricola, del marketing, dell’utilizzazione della forza lavoro, della pubblica amministrazione, 42 In particolare, all’interessante dibattito sviluppatosi in questi ultimi anni sia sulle modalità per incoraggiare gli investitori italiani ad orientarsi verso mercati di PVS, su cui la SACE non offre alcuna copertura assicurativa, sia sugli strumenti finanziari più idonei per sosttenere il settore informale e l’economia popolare dei PVS, sovente senza accesso al credito istituzionale. 43 Cfr. E: Angori, J.L. Rhi-Sausi, M. Zupi, 1997 e J.L. Rhi-Sausi, M. Zupi,et al., 1995 17 turismo, trasporti e comunicazione. Nel corso del 1949, 5 milioni di dollari furono spesi in assistenza tecnica, per inviare 350 esperti americani a fornire servizi in Europa, e 481 europei a far formazione negli Stati Uniti. Alla fine del 1951, erano stati complessivamente spesi 30 milioni di dollari, ed oltre 6.000 tecnici, manager e lavoratori europei erano andati negli Stati Uniti a studiare i metodi di produzione americani. Il programma completo fu realizzato nell’arco di dodici anni, impiegando circa l’ 1,5% delle risorse del Piano Marshall. 24.000 europei parteciparono a tour di quattro o sei settimane negli Stati Uniti, per conoscere come gli imprenditori americani operavano e come la produzione era organizzata. I tour si svolgevano individuando un particolare ramo produttivo (acciaio, macchinari, produzione di energia elettrica) o funzione imprenditoriale (gestione della ricerca, standardizzazione, manutenzione dei materiali), concordato al pari dei partecipanti e dell’itinerario specifico con gli uffici europei ed il personale locale. Il team partecipante ai tour era costitutito da 15-20 persone (1-3 senior manager, più supervisori e formatori delle imprese coinvolte, più funzionari governativi), indicate per apprezzare le proposte ed idee imprenditoriali americane per la produzione e l’offerta sul mercato locale di beni di consumo e per saperle diffondere nel proprio contesto. Il tour si componeva solitamente di visite intensive, di uno o due giorni, agli stabilimenti produttivi di imprese produttive assimilabili a quelle dei partecipanti al tour. Era previsto un membro di staff locale, esperto del settore industriale in oggetto, che pianificava e guidava l’intero tour. A seguito del tour, veniva richiesto ai partecipanti di preparare un rapporto tecnico e di svolgere attività di formazione per altri imprenditori nel territorio di provenienza, attraverso attività seminariali. Veniva impostata allora la linea della “formazione dei formatori”, oggi ampiamente apprezzata, al punto ad esempio che a questa attività di diffusione delle informazioni e formazione dà particolare enfasi tutta la programmazione di attività dell’Unione Europea. L’obiettivo di diffondere cultura di economia di mercato ed innalzare la produttività delle imprese europee fu prontamente raggiunto: in Francia, negli anni del Piano Marshall, la produttività del lavoro aumentò considerevolmente, trasferendosi in parte nell’aumento dei salari, come è documentato nel caso del settore delle industrie di costruzione meccanica ed elettrica ed in quelle laniere; similmente l’introduzione di varietà ibride di mais alzarono sempre in Francia la produzione del 25-50%. La stessa esperienza fu replicata, in seguito, con successo, con migliaia di imprenditori giapponesi, del sud-est asiatico, cinesi. 18 3.6 - Il Piano Marshall e l’integrazione europea: la European Payments Union Il Piano Marshall orientò continuamente i paesi europei alla ricerca di intese, a cominciare dalla ripartizione degli aiuti, il cui ammontare fu stimato e presentato congiuntamente dai paesi interessati, ma estendosi anche al campo del commercio intra-europeo. La ricerca di un’integrazione dei mercati europei e di un coordinamento delle politiche economiche nazionali fu un chiaro obiettivo, già chiaro nelle parole di Marshall all’Università di Harvard, allorché parlò di “Europa nel suo insieme” e ripresa che “doveva venire dall’Europa”44. La cooperazione regionale fu un obiettivo chiaro del Piano Marshall, cionondimeno lasciando piena libertà ai paesi europei di aderirvi e di mantenere le proprie specificità: il dirigismo francese, l’interventismo del governo inglese, il liberismo tedesco. Un piano di ricostruzione economica, politica e sociale di nazioni uscite dalla guerra a diverso titolo: chi (Francia e Gran Bretagna) da vincitore, chi (Germania e Italia) da perdenti e chi (la maggioranza degli altri paesi) da alleati dei vincitori. Nelle parole di Marshall, il Piano era “diretto non contro un paese o una dottrina, ma contro la povertà, la fame, la disperazione, il caos”45. Per quanto riguarda l’integrazione economica europea, l’abbassamento delle tariffe doganali intraeuropee, previsto con l’avvio del Piano Marshall, creò immediatamente il problema della convertibilità delle monete. Inoltre, stante la scarsità di riserve valutarie in Europa, gli scambi erano fortemente limitati. A fine 1947 l’Italia, con Belgio, Francia, Lussemburgo ed Olanda46 avevano firmato il primo accordo di compensazione multilaterale. I risultati concreti furono nel breve periodo scarsi, tenuto conto che su un totale di 762,1 milioni di dollari di debiti, col primo accordo furono saldati appena 1,71 milioni di dollari. Furono quindi firmati degli Accordi sui Pagamenti per le Compensazioni Intra-europee, che consentivano il ricorso ai Fondi di Contropartita per il finanziamento dei deficit, ed alla Banca dei Regolamenti Internazionali fu affidata la gestione del Fondo e delle operazioni47. Erano introdotti dei diritti di prelievo da parte dei paesi deficitari su conti in valuta locale aperti dai paesi creditori per saldare la propria posizione. Nel 1950, su pressioni per la liberalizzazione del 44 Il Presidente della BIRS, John McCloy, disse che la motivazione per sostenere un piano di aiuti per l’Europa non andava trovata nelle sue debolezze, ma “nella sua forza congenita” (cfr. McCloy, J. J., 1948) 45 In questo approccio flessibile si ritrova la scelta di estendere il Piano anche a paesi del blocco comunista 46 A cui si aggiunsero poi Germania e Gran Bretagna 47 cfr. Ferrari, A., 1949 19 commercio e dei pagamenti intra-europei, fu creata l’EPU, che dava carattere automatico ai meccanismi di compensazione e di aggiustamento delle bilance dei pagamenti. Questo meccanismo di compensazione per i pagamenti eseguiti nelle divise europee, consentendo la piena trasferibilità di valute europee, abbatteva importanti barriere commerciali all’interno dell’Europa, al contempo l’introversione accentuata dell’Europa raffreddava le spinte al multilateralismo. E’ da questo “preoccupante” raffreddamento che discendevano le forti resistenze all’EPU del Tesoro americano, della Federal Reserve Board e dell’FMI, che criticavano apertamente l’ECA di non guardare agli interessi di politica estera degli Stati Uniti, proponendo uno schema che discriminava gli Stati Uniti e l’area del dollaro. In effetti, nel breve periodo, il sistema di pagamenti proposto non prevedeva la convertibilità con il dollaro e, a sostegno delle esportazioni dei paesi europei, consentiva restrizioni alle importazioni dagli Stati Uniti. L’EPU permetteva di evitare l’accumulazione di saldi non convertibili presso le banche centrali europee, attraverso la compensazione mensile che regolava la posizione netta - creditrice o debitrice - di ogni partecipante, liquidandola in dollari o oro. Si creava un sistema di paesi, in cui ciascuno era debitore nei confronti del precedente e creditore netto nei confronti del successivo48. Gli Stati Uniti finanziarono l’avvio del’UEP con 350 milioni di dollari. Nel lungo periodo, fu una strategia coronata da successo, tenacemente difesa ed imposta dall’ECA, a dispetto di quelle resistenze del governo americano, che avrebbe rafforzato l’integrazione europea, ma anche rinsaldato i legami con gli Stati Uniti. Nel 1958 fu ristabilità la convertibilità col dollaro e creato un enorme mercato di sbocco per le esportazioni americane; l’integrazione delle economie europee e l’accumulo di riserve valutarie con i fondi EPU avrebbero poi permesso di poter regolare i rapporti con paesi terzi, gli Stati Uniti anzitutto. Il totale delle posizioni bilaterali saldate coi meccanismi dell’EPU fu di 46,6 miliardi di dollari, tenuto conto che nei circa due anni precedenti l’istituzione dell’EPU, i debiti bilaterali tra paesi OEEC erano pari a 4,4 miliardi di dollari e che solo 1 miliardo fu saldato con i meccanismi dell’Accordo sui Pagamenti per le Compensazioni Intra-europee, mentre annualmente l’EPU saldava i due terzi dei debiti bilaterali contratti49. Oltre quindi al passsaggio ad un sistema di scambi multilaterale, lascito duraturo di quella strategia sarebbero stati sia il Trattato di Roma e l’unione doganale europea (cioè, 48 Ogni paese si impegnava ad annullare il credito vantato verso un altro paese, che a sua volta rinunciava al credito verso un terzo. Evidentemente, reggendosi il sistema sul pagamento con moneta di terzi, era necessario garantire un meccanismi di tassi di cambi convertibili. 49 Maddison, A., 1973 20 il rafforzamento dell’integrazione europea, approdata oggi, passando per il Piano Schuman, l’Euratom, la Comunità per l’acciaio ed il carbone, il mercato comune europeo, all’Unione Europea di Maastricht) che la NATO (cioè, il consolidarsi di un’alleanza transatlantica) e l’OCSE50. L’EPU, nelle parole di Robert Marjolin, sarebbe stata la scommessa più assurda, ma coronata dal più grande successo, e, nelle parole di Richard Bissell, il più grande successo organizzativo del Piano Marshall. 4. - L’Italia e l’ERP In Italia, piuttosto che attraverso la creazione di un organismo ad hoc, la gestione dei fondi del Piano Marshall fu condivisa da Ministero degli Affari Esteri, Comitato Interministeriale per la Ricostruzione, Ministero del Commercio con l’Estero, Ministero dell’Industria, IMI e Ministero del Tesoro. Il Tesoro, in particolare, amministrava il “Fondo lire”, dove era versato il controvalore in lire dei trasferimenti gratuiti di merci americane, vendute ai privati a prezzi di mercato, da utilizzare per programmi di ricostruzione economica concordati con l’ECA. L’Italia, a differenza degli altri paesi europei, nel secondo dopoguerra non cercò di scongiurare il rischio di iperinflazione attraverso riforme monetarie che sterilizzassero la liquidità circolante. Adottò invece un rigoroso piano di stabilizzazione, volto al controllo monetario e fiscale ed al risanamento di bilancio. La politica deflattiva italiana, che generò alti tassi di disoccupazione, a fronte di un miglioramento del saldo della bilancia dei pagamenti e della disponibilità di riserve valutarie nazionali, fu vista con sospetto dagli americani, dall’ECA e dagli inglesi, che incoraggiavano politiche espansionistiche. Sulla valutazione degli effetti del Piano Marshall nel medio periodo dell’economia italiana prevale la prudenza. Sicuramente, il Piano consentì una più forte legittimazione interna, come fattore di consenso, e a livello internazionale, della classe dirigente del centro politico. Il piano partì effettivamente il 3 aprile 1948. il 18 aprile il Fronte popolare fu travolto alle elezioni italiane. Leo Valiani ha sostenuto che gli aiuti americani vennero alienati dallo stato italiano con criteri clientelari, a favore di privati, a prezzi inferiori del 40-60% rispetto a quelli di mercato, ceduti gratuitamente ad enti ecclesiastici, che contribuivano a sostenere le campagne elettorali democristiane. 50 cfr. Kunz, J. L., 1948 21 Nei liberali italiani, come Luigi Einaudi, e nei democristiani, come Alcide De Gasperi, una certa insofferenza derivava dalla parola “piano”, che sapeva molto di programmazione. Non a caso, Guido Carli apriva uno scritto del 1948 dicendo “Non credo opportuno insistere nella disputa oziosa se la partecipazione italiana all’ERP comporti o no l’economia programmatica”. Si possono comunque elaborare dei calcoli. Tab. 3 – Erogazioni nel periodo 1948-1954 (milioni di dollari) erogazioni 1948-49 1949-50 1950-51 1951-52 1952-53 1953-54 TOTALE (a titolo di dono) 601 398 244 136 102 38 1.519 (a titolo di prestito) 67 6 23 96 Queste cifre si ripartirono per l’80% in macchinari di produzione statunitense, derrate e combustibili (prevalenti nel 1948 e 1949) e per il 20% in crediti. In termini di percentuali per rami di attività, il controvalore in lira delle merci donate dagli Stati Uniti al governo italiano e da questi vendute sul mercato nel periodo 1948-53, si vede che il 6,11% andò alla difesa (beneficiaria anche di quote di derrate, combustibili e spese aeroportuali), solo lo 0,54% andò ad igiene e sanità, niente all’istruzione. In termini di rapporto tra richieste italiane ed erogazioni del Piano, nel caso del grano le richieste non furono soddisfatte per il 43,36%, nel caso del carbone per l’80,46%, acciaio e ghisa per il 90,69%, prodotti petroliferi per il 44,4%. I finanziamenti per macchinari - funzionali al bisogno di smaltimento dell’industria statunitense - andarono al contrario ben al di là delle richieste. In termini comparativi, nel periodo 1948-51 l’Italia fu terza (10,6%), dietro Gran Bretagna (23,2%) e Francia (20,8%), come destinatario dei fondi erogati dagli Stati Uniti. Rispetto al prestito Soleri (1945) di 106 miliardi di lire, o al prestito della Ricostruzione (1946) di 112 miliardi di lire, il Piano Marshall, pur essendo in buona parte in derrate, combustibili, materie prime, macchinari e prodotti, si valutava in dollari, il che consentiva approvvigionamenti senza incidere sulle riserve in divisa, in grave difficoltà. La crescita annuale della produzione industriale italiana, tenuto conto della stasi da cui si partiva il livello del 1946 era pari al 61% del 1938 - fu del 6,6% nel 1948, 10,3% nel 1949, 15% nel 1950, 13,8% nel 1951. 22 Il Piano Marshall, con le conseguenti agevolazioni alle esportazioni, favorì la presenza del made in Italy sui mercati mondiali ed ebbe un effetto tonificante sul mercato interno. Da parte statunitense, il Piano Marshall comportò, oltre ai vantaggi economici e politici, lo smaltimento del surplus agricolo ed industriale, il sostegno della rete di trasporti marittimi, la penetrazione sui mercati europei (introducendo merci non richieste - cotone, tabacco, latte condensato, polvere d’uovo, frutta frsca e secca - ed alterando la domanda locale). Molti dei vizi emersi in questa politica di assistenza all’Europa avrebbero successivamente accompagnato - in forma spesso più estesa - le politiche di cooperazione allo sviluppo degli Stati Uniti e di quei paesi che del Piano Marshall erano stati beneficiari, Italia in testa. 5. - La riproducibilità del Piano Marshall Alcuni benefici del Piano Marshall furono immediatamente chiari: la produzione industriale europea era cresciuta nel 1950 di oltre il 25% rispetto al 1938, il deficit in dollari era sceso da 8,5 miliardi di dollari (1947) ad 1 miliardo (1950)51. All’inizio degli anni ‘60, Whitney Young, poi a capo della National Urban League, reclamò un Piano Marshall interno agli Stati Uniti, per ricostruire le città; ancora nel rapporto annuale del 1994 sullo Stato dell’America nera, la Urban League si faceva riferimento al Piano Marshall. Così pure, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, si è a più riprese avanzata la proposta di un nuovo Piano Marshall per i paesi dell’Est Europa52. In realtà, periodicamente, si è assistito a tentativi di riproposizione del Piano Marshall. Nel 1984, la Commissione Kissinger propose un piano di finanziamenti pari a 8 miliardi di dollari per l’America Centrale e Caraibica. Nel 1987, Senatori e membri del Congresso, sia repubblicani che democratici, proposero un mini-Piano Marshall per le Filippine. All’inizio degli anni ‘90, diversi membri del Congresso hanno avanzato la proposta di Piani Marshall per l’Europa dell’Est e la Russia. Ancora più recentemente, è stata avanzata l’ipotesi di Piani Marshall per il Medio Oriente ed il Sudafrica. Nel caso comunque della sua riproducibilità per la politica interna degli Stati Uniti, ha suggerito dalle colonne del Tampa Tribune Joseph H. Brown “We've had a domestic Marshall Plan for three decades. Most people didn't notice because it has had the opposite results of the one in Europe...Since the 1960s, the United States has poured trillions of dollars into education, housing, 51 cfr. Franks, J., 1987 52 cfr. Adelman, I., 1992 23 welfare, Medicaid and uplift programs of every kind, but our domestic Marshall Plan seems to have made matters worse, not better”. Dal 1965 negli Stati Uniti, a livello statale e locale, 5 trilioni di dollari sono stati destinati alla lotta contro la povertà interna. Il fatto che non siano stati conseguiti risultati significativi, al contrario di quanto capitò al Piano Marshall, é riconducibile alla differenza che passa tra iniziativa governativa efficace e iniziativa soltanto consistente. Il successo del Piano Marshall nasceva dal limite temporale - fissato in quattro anni - e dal ruolo di impulso per un processo di sviluppo per il resto autosostenuto. Per quanto invece attiene alla riproducibilità all’Est, Walt Rostow, già Consigliere per la sicurezza nazionale, suggeriva su Foreign Affairs estrema cautela nel pensare di poter facilmente riprodurre il Piano Marshall: ``The success of the Marshall Plan has generated the false hope that the application of capital and technology could do for Third World countries, inner cities and post-communist Eastern Europe what was achieved in Western Europe in the wake of World War II ... however, Western Europe did not need to be invented, it simply had to be recalled. With its skilled and educated work force, its market experience and its mature political structures, modern Europe is not easy to replicate.'' Così hanno scritto anche altri53. Nel caso dei paesi orientali ex comunisti - Russia, Europa centroorientale e Asia centrale - è comunque più volte tornata, in questi anni, a far capolino l’idea di un nuovo Piano Marshall54. Certamente, la riproposizione di un Piano Marshall tout-court sarebbe oggi politicamente insostenibile e, comunque, sconsigliabile, stanti le molteplici debolezze istituzionali dei paesi ex-comunisti. L’espansione del mercato dei capitali privati, il flusso di investimenti diretti esteri, il mercato della tecnologia e le innovazioni finanziarie consentono però di poter far leva su un programma fondamentalmente di assistenza tecnica come volano per attivare un circuito virtuoso di crescita economica. E’ però verò che, mentre i paesi europei all’indomani della guerra mondiale avevano bisogno di un aiuto per facilitare la crescita, in molti paesi dell’Europa centrale ed orientale 53 cfr. Kirman, A. e Reichlin, L.,1992 ed anche le parole dell’ex cancelliere tedesco Helmut Schmitd, molto simili a quelle di Rostow, nel dire che mentre l’Europa aveva “a long-standing entrepreneurial heritage, a base of business acumen, a high level of general education and technical knowledge”, “many years must pass before Russia will generate the entrepreneurial skill” (cfr. Shmitd, H., 1997). Così pure Douglas Waller, del TIME, ha scritto. "A Marshall Plan for East Europe isn't the right medicine. The Marshall Plan rebuilt buildings. In Eastern Europe today, cultures have to be rebuilt”. 54 cfr. Reuss, H. S. e Smith, H. P., 1992 24 si tratta di dover generare meccanismi di sviluppo. Soprattutto, nell’Europa occidentale del Piano Marshall, le strutture legali e commerciali dell’economia liberale erano ampiamente acquisite, come il sistema di incentivazione proprio di un’economia di mercato, diversamente da paesi con alle spalle una lunga tradizione di socialismo reale. Dal 1990 al 1994, Europa e Stati Uniti hanno destinato circa 107 miliardi di dollari in aiuto ai paesi ex-comunisti, in forma però di crediti di aiuto legati e di di attività poco efficaci. Si è trattato di impegni frammentari, inadeguati, poco noti ed appoggiati dall’opinione pubblica. Del resto, al 1947, prima del Piano Marshall, gli Stati Uniti avevano destinato 11 miliardi di dollari in programmi di cooperazione allo sviluppo verso l’Europa occidentale, in forma di interventi scoordinati, bilaterali, umanitari, infrastrutturali, oggetti di critiche simili a quelle che sovente investono oggi la cooperazione allo sviluppo. Il Piano Marshall ha invece insegnato che, più che l’ammontare di risorse, conta il sostegno e coinvolgimento55 di governo, mondo imprenditoriale, lavoratori ed opinione pubblica ad un progetto comune di cooperazione allo sviluppo. Ciò aiuta ad evitare il perseguimento di smaccati interessi egoistici del donatore, di corto respiro, e a favorire la creazione e rafforzamento di economie di mercato destinate nel lungo periodo a diventare - come è stato per gli Stati Uniti con Europa prima e Giappone poi - accesi competitori sul mercato mondiale, ma per ciò stesso fonte di crescita della capacità competitiva, mercato di sbocco, spinta alla migliore qualità dei prodotti su tutti i mercati, con indubbio beneficio anche per il paese donatore. Il Piano Marshall fu stimolo per gli investimenti, anche se direttamente solo una minima parte dei fondi erogati dall’ERP fu spesa per acquistare macchinari e materiali per mezzi di trasporto ed infrastrutture56; finanziò le importazioni di materie prime, prodotti agricoli e siderurgici, macchinari industriali ed agricoli57; finanziò la spesa pubblica, a cominciare dalle spese per la riparazione delle infrastrutture; favorì la ricostituzione dei flussi commerciali, soprattutto grazie all’EPU; fornì strumenti efficaci di assistenza tecnica, in particolare le ricordate missioni produttive58; promosse un patto sociale nei paesi europei che fece recuperare stabilità politico-sociale. 55 il “committment”, nelle parole di Charles Weiss (cfr. Weiss C., 1997) 56 cfr. Abelshauser, W., 1985 57 cfr. Borchardt, K. e Buchleim, C., 1985 58 cfr. Silberman, J. M. e Weiss, C., 1992 e Maier, C., 1977 25 Del resto, la più recente letteratura in materia di prevenzione dei conflitti (in particolare, le situazioni di crisi in Africa, America Latina e Medio Oriente) e controllo dei flussi migratori porta a considerare una corretta politica di cooperazione allo sviluppo lo strumento più funzionale agli obiettivi di sicurezza nazionale ed un efficace investimento in termini di crescita economica equilibrata del sistema mondo rispetto a tradizionali politiche di sicurezza e difesa nazionale. Per dirla con altre parole, l’impegno per la crescita economica dello schieramento di paesi contrapposto nell’epoca della guerra fredda, è la migliore garanzia per lo sviluppo futuro dei paesi donatori. Come disse brutalmente Henry Truman ad Henry Kissinger “abbiamo sconfitto i nostri nemici e obbligati alla resa. Poi li abbiamo aiutati a riprendersi, a divenire democratici e ad unirsi alla comunità delle nazioni”. Il Piano Marshall lo dimostrò, superando le resistenze governative americane all’EPU, e soprattutto fornisce ancora oggi degli spunti interessanti in materia di approccio adottato. L’esperienza del Productivity Assistance Program del Piano Marshall costituisce un utile modello di programma di aiuti efficace e poco oneroso. In effetti, tale idea è stata riproposta, su piccola scala, con un finanziamento della Banca Mondiale, da un’agenzia di cooperazione allo sviluppo tedesca, discendente dal Piano Marshall. Sono stati organizzati dodici viaggi in città europee, che hanno coinvolto 180 operatori del Kazakhistan, selezionati in base al proprio curriculum in materia gestionale ed agli esiti di seminari sul tema precedentemente organizzati. Al ritorno dai viaggi, sono stati preparati dei rapporti e avviate correzioni strategiche di marketing, studi di mercato, presentazioni di offerte per gare di appalti; attività a basso costo che hanno permesso un incremento significativo della produttività e della qualità dei prodotti59. La Banca Mondiale e l’Agenzia americana, l’USAID, stanno pensando a come riproporre su più larga scala l’iniziativa. Si stima che con 1,5 miliardi di dollari si potrebbe far partecipare ai tour, nel corso di dieci anni, circa 800.000 russi. Nel caso, invece, della maggioranza dei programmi di assistenza tecnica per i paesi ex-comunisti, ci si è preoccupati più di utilizzare le risorse nei paesi donatori piuttosto che in quelli beneficiari, inviando consulenti poco attenti ed usi alle spicificità locali ed incapaci di promuovere dinamiche partecipate di sviluppo. 59 Charles Weiss riporta il caso sia di un imprenditore di Almaty, che in un mese ha visto aumentare la produttività del lavoro del 13%, e di un’imprenditrice di Taldyqorghan, che ha vinto appalti e riavviato positivamente l’attività. 26 Anche in un’altra area geografica, di particolare interesse per la cooperazione allo sviluppo dell’Italia e della Banca Mondiale, come il continente africano, si potrebbe far molto tesoro degli insegnamenti legati all’esperienza del Piano Marshall. Diretta all’Africa, al tradizionale Special Program for Assistance di Banca Mondiale e di Nazioni Unite, si è aggiunta nel 1993 un’iniziativa giapponese di largo respiro e, più recentemente, a metà del 1997 un’interessante iniziativa degli Stati Uniti, mentre l’Europa nel 2000 rinnoverà la Convenzione di Lomè e celebrerà in quell’occasione un vertice Europa-Africa. Ebbene, la difficoltà di conciliare il bisogno di un approccio continentale con il riconoscimento delle differenziazioni emerse a livello di nazioni, e la sfida di collegare l’obiettivo di crescita economica ed inserimento nell’economia mondiale con quello di lotta alla povertà e all’esclusione sociale non possono non richiamare attenzione sull’esperienza del Piano Marshall. A cominciare dalla scelta della flessibilità d’approccio, che lasciava libero campo a soluzioni istituzionali diverse, meglio radicate nella tradizione - il liberismo tedesco ed il dirigismo francese -, e garantiva la libertà d’adesione al Piano. Flessibilità che, nondimeno, esprimeva chiaramente l’intento di rafforzare l’integrazione economico-commerciale e politica continentale e di promuovere il regime democratico e di mercato. Si tratta di una soluzione che, con ogni probabilità, dovrà rappresentare l’approccio di fondo della cooperazione europea con l’Africa, nel quadro del rinnovo della Convenzione di Lomé. 27 Appendice - Il discorso di saluto ai laureati all’Università di Harvard di George C. Marshall “I need not tell you gentlemen that the world situation is very serious. That must be apparent to all intelligent people. I think one difficulty is that the problem is one of such enormous complexity that the very mass of facts presented to the public by press and radio make it exceedingly difficult for the man in the street to reach a clear appraisement of the situation. Furthermore, the people of this country are distant from the troubled areas of the earth and it is hard for them to comprehend the plight and consequent reaction of the long-suffering peoples, and the effect of those reactions on their governments in connection with our efforts to promote peace in the world. In considering the requirements for the rehabilitation of Europe the physical loss of life, the visible destruction of cities, factories, mines, and railroads was correctly estimated, but it has become obvious during recent months that this visible destruction was probably less serious than the dislocation of the entire fabric of European economy. For the past 10 years conditions have been highly abnormal. The feverish maintenance of the war effort engulfed all aspects of national economics. Machinery has fallen into disrepair or is entirely obsolete. Under the arbitrary and destructive Nazi rule, virtually every possible enterprise was geared into the German war machine. Long-standing commercial ties, private institutions, banks, insurance companies and shipping companies disappeared, through the loss of capital, absorption through nationalization or by simple destruction. In many countries, confidence in the local currency has been severely shaken. The breakdown of the business structure of Europe during the war was complete. Recovery has been seriously retarded by the fact that 2 years after the close of hostilities a peace settlement with Germany and Austria has not been agreed upon. But even given a more prompt solution of these difficult problems, the rehabilitation of the economic structure of Europe quite evidently will require a much longer time and greater effort than had been foreseen. There is a phase of this matter which is both interesting and serious. The farmer has always produced the foodstuffs to exchange with the city dweller for the other necessities of life. This division of labor is the basis of modern civilization. At the present time it is threatened with breakdown. The town and city industries are not producing adequate goods to exchange with the food-producing farmer. Raw materials and fuel are in short supply. Machinery is lacking or worn out. The farmer or the peasant cannot find the goods for sale which he desires to purchase. So the sale of his farm produce for money which he cannot use seems to him unprofitable transaction. He, therefore, has withdrawn many fields from crop cultivation and is using them for grazing. He feeds more grain to stock and finds for himself and his family an ample supply of food, however short he may be on clothing and the other ordinary gadgets of civilization. Meanwhile people in the cities are short of food and fuel. So the governments are forced to use their foreign money and credits to procure these necessities abroad. This process exhausts funds which are urgently needed for reconstruction. Thus a very serious situation is rapidly developing which bodes no good for the world. The modern system of the division of labor upon which the exchange of products is based is in danger of breaking down. The truth of the matter is that Europe's requirements for the next 3 or 4 years of foreign food and other essential products -- principally from America -- are so much greater than her present ability to pay that she must have substantial additional help, or face economic, social, and political deterioration of a very grave character. The remedy lies in breaking the vicious circle and restoring the confidence of the European people in the economic future of their own countries and of Europe as a whole. The manufacturer and the farmer throughout wide areas must be able and willing to exchange their products for currencies the continuing value of which is not open to question. 28 Aside from the demoralizing effect on the world at large and the possibilities of disturbances arising as a result of the desperation of the people concerned, the consequences to the economy of the United States should be apparent to all. It is logical that the United States should do whatever it is able to do to assist in the return of normal economic health in the world, without which there can be no political stability and no assured peace. Our policy is directed not against any country or doctrine but against hunger, poverty, desperation, and chaos. Its purpose should be the revival of working economy in the world so as to permit the emergence of political and social conditions in which free institutions can exist. Such assistance, I am convinced, must not be on a piecemeal basis as various crises develop. Any assistance that this Government may render in the future should provide a cure rather than a mere palliative. Any government that is willing to assist in the task of recovery will find full cooperation, I am sure, on the part of the United States Government. Any government which maneuvers to block the recovery of other countries cannot expect help from us. Furthermore, governments, political parties, or groups which seek to perpetuate human misery in order to profit therefrom politically or otherwise will encounter the opposition of the United States. It is already evident that, before the United States Government can proceed much further in its efforts to alleviate the situation and help start the European world on its way to recovery, there must be some agreement among the countries of Europe as to the requirements of the situation and the part those countries themselves will take in order to give proper effect to whatever action might be undertaken by this Government. It would be neither fitting nor efficacious for this Government to undertake to draw up unilaterally a program designed to place Europe on its feet economically. This is the business of the Europeans. The initiative, I think, must come from Europe. The role of this country should consist of friendly aid in the drafting of a European program so far as it may be practical for us to do so. The program should be a joint one, agreed to by a number, if not all European nations. An essential part of any successful action on the part of the United States is an understanding on the part of the people of America of the character of the problem and the remedies to be applied. Political passion and prejudice should have no part. With foresight, and a willingness on the part of our people to face up to the vast responsibilities which history has clearly placed upon our country, the difficulties I have outlined can and will be overcome.“ Fonte: Congressional Record, 30 June 1947. 29 Bibliografia Abelshauser, W., “The economic role of ERP in German Recovery and Growth after the war”, The Marshall Plan and Germany, Berg, Oxford, 1985 Acheson, D., Present at the Creation. 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S., “What was wrong in forecasts of postwar depression?”, Journal of Political Economy, aprile, 1947 34 Indice 1. - LE ORIGINI DEL PIANO MARSHALL........................................................................................................................2 2. - L’AVVIO DEL PIANO MARSHALL ...........................................................................................................................5 3. - UOMINI E STRATEGIA DEL PIANO MARSHALL .......................................................................................................8 3.1 - Gli uomini......................................................................................................................................................8 3.2 - Strategia ed implementazione del Piano .....................................................................................................10 3.3 - L’OEEC e la politica di doni e crediti.........................................................................................................11 3.4 - L’uso delle garanzie sugli investimenti americani ......................................................................................17 3.5 - Il Productivity Assistance Program del Piano Marshall .............................................................................17 3.6 - Il Piano Marshall e l’integrazione europea: la European Payments Union ...............................................19 4. - L’ITALIA E L’ERP ...............................................................................................................................................21 5. - LA RIPRODUCIBILITÀ DEL PIANO MARSHALL ......................................................................................................23 APPENDICE - IL DISCORSO DI SALUTO AI LAUREATI ALL’UNIVERSITÀ DI HARVARD DI GEORGE C. MARSHALL ........28 BIBLIOGRAFIA ...........................................................................................................................................................30 35