Ipertensione e terapia antipertensiva, fattori di rischio di diabete
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Ipertensione e terapia antipertensiva, fattori di rischio di diabete
DALLA LETTERATURA medio di 3,8 anni. I tassi di rischio relativo associati ad una pressione sistolica iniziale più alta di 10 mmHg erano 1,26 (p=0,0001) per la mortalità totale, 1,22 (p=0,02) per l’ictus, ma solo 1,07 (p=0,37) per eventi coronarici. Indipendentemente dalla pressione sistolica del sangue, la pressione diastolica era inversamente correlata con la mortalità totale, mettendo in evidenza il ruolo della pressione pulsatoria quale fattore di rischio. Il trattamento attivo riduceva la mortalità totale del 13% (IC 95%: 2% ÷ 22%), la mortalità cardiovascolare del 18%, le complicazioni cardiovascolari complessive del 26%, l’ictus del 30% e gli eventi coronarici del 23%. Il numero di pazienti da trattare per cinque anni per prevenire un evento cardiovascolare maggiore (NNT) evidenzia che il beneficio assoluto del trattamento farmacologico è superiore negli uomini rispetto alle donne (18 vs 38), nei pazienti di 70 o più anni rispetto a quelli più giovani (19 vs 39) e in soggetti con precedenti complicazioni cardiovascolari rispetto a quelli non interessati da tali problemi (16 vs 37). Dunque, il trattamento farmacologico appare giustificato nei pazienti più anziani con ipertensione sistolica isolata, in cui la pressione sistolica è uguale o superiore a 160 mmHg, o con pressione pulsatoria più ampia. Il trattamento previene l’insorgenza di ictus più efficacemente rispetto a quella di eventi coronarici. Tuttavia, l’assenza di una correlazione tra eventi coronarici e pressione sistolica del sangue in pazienti non trattati suggerisce che la protezione coronarica può essere stata sottostimata. Ipertensione e terapia antipertensiva, fattori di rischio di diabete mellito di tipo 2? Gress TW, Nieto FJ, Shahar E, Wofford MR, Brancati FL. Hypertension and antihypertensive therapy as risk factors for type 2 diabetes mellitus. Atherosclerosis Risk in Communities Study. N Engl J Med 2000;342:905-12. Sowers JR, Bakris GL. Antihypertensive therapy and the risk of type 2 diabetes mellitus (Editorial) N Engl J Med 2000;342:969-70. L’obiettivo che si sono posti Gress et al. è di verificare se esista una correlazione tra impiego di farmaci antipertensivi e rischio di successiva insorgenza di diabete mellito di tipo 2. In base a studi in precedenza condotti, si è ipotizzato che alcuni gruppi di farmaci antipertensivi, e in particolare i diuretici tiazidici e i beta-bloccanti, possano favorire lo sviluppo di questo tipo di diabete. Tuttavia, i risultati di tali studi si sono dimostrati incoerenti e molti di essi appaiono limitati da dati inadeguati sugli esiti e da potenziali fattori di confondimento. Lo studio di Gress et al., di tipo prospettico, è stato condotto su 12.550 adulti, di età compresa tra 45 e 64 anni, non diabetici. Questi pazienti erano stati selezionati da uno studio in atto, Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC). Un’estesa valutazione dello stato di salute condotta all’inizio dello studio ha previsto anche la determinazione 28 dei farmaci usati e la misurazione della pressione arteriosa con uno sfigmomanometro random-zero. L’incidenza di nuovi casi di diabete è stata valutata dopo tre e sei anni mediante determinazione a digiuno della glicemia. Al sesto anno di follow up, sono stati registrati 569 nuovi casi di diabete tra i 3.804 pazienti con ipertensione e 577 tra gli 8.746 soggetti non ipertesi: tassi di incidenza rispettivamente di 29,1 e 12 per 1.000 persone/anno. Pertanto, in accordo con i risultati di studi condotti in precedenza, la probabilità di insorgenza di diabete è risultata circa 2,5 volte maggiore nei pazienti ipertesi rispetto ai pazienti normotesi. Dopo aggiustamento per fattori confondenti (età, sesso, razza, adiposità, anamnesi familiare di diabete, livello di attività fisica, ecc.), si è evidenziato che: - i soggetti ipertesi in trattamento con diuretici tiazidici non presen- tavano un rischio maggiore di successivo sviluppo di diabete rispetto a soggetti non sottoposti ad alcuna terapia antipertensiva; - i soggetti in trattamento con ACE-inibitori e calcio antagonisti non presentavano un rischio maggiore rispetto a quelli non trattati farmacologicamente; - i soggetti con ipertensione in trattamento con beta-bloccanti presentavano un rischio maggiore di sviluppare successivamente diabete pari al 28% (RR: 1,28; IC 95%: 1,04 ÷ 1,57). Secondo gli autori dello studio, i risultati emersi hanno tre principali implicazioni: 1. la correlazione tra ipertensione ed insorgenza di diabete dovrebbe stimolare la ricerca sui fattori di rischio coinvolti e mettere in guardia i medici sull’esistenza di un gruppo di soggetti facilmente identificati ad alto rischio di diabete; BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 DALLA LETTERATURA 2. il timore del rischio di diabete non dovrebbe dissuadere i medici dal prescrivere i diuretici tiazidici ad adulti non diabetici affetti da ipertensione; 3. anche se l’impiego dei betabloccanti mostra di aumentare il rischio di diabete, tale effetto indesiderato deve essere soppesato rispetto agli accertati benefici dei beta-bloccanti nel ridur- re il rischio di eventi cardiovascolari. Nell’Editoriale di Sowers e Bakris si sottolinea, tra l’altro, che i dati ottenuti da studi di breve e di lunga durata indicano che gli ACEinibitori possono addirittura ridurre il rischio di diabete. Questi autori suggeriscono l’opportunità di eseguire studi prospettici per determi- nare se gli effetti avversi dei betabloccanti sulla tolleranza al glucosio possano essere attenuati dal concomitante impiego di ACE-inibitori. Tuttavia, Sowers e Bakris ritengono che i beta-bloccanti, fino a che tali studi non saranno condotti, rivestano un ruolo importante nel trattamento dell’ipertensione in pazienti con malattia coronarica nota e in quelli con ipertensione e diabete. La somministrazione perioperatoria di ossigeno riduce l’incidenza di infezione delle ferite chirurgiche Greif R, Akca O, Horn EP, Kurz A, Sessler DI. Supplemental perioperative oxygen to reduce the incidence of surgical-wound infection. Outcomes Research Group. N Engl J Med 2000;342:161-7. L’infezione delle ferite è una complicanza post-chirurgica frequente, talora grave ed economicamente costosa. Circa il 5% dei pazienti sottoposti ad intervento operatorio e il 10-20% di quanti si sottopongono a chirurgia colorettale vanno incontro a infezioni delle ferite. La distruzione mediante ossidazione, o killing ossidativo, è la più importante difesa contro gli agenti patogeni chirurgici ed è dipendente dalla pressione parziale di ossigeno nei tessuti contaminati. Un metodo semplice per migliorare la tensione di ossigeno in tessuti adeguatamente perfusi è quello di aumentare la concentrazione dell’ossigeno inspirato. A partire da questa evidenza, è stato progettato uno studio per verificare se la somministrazione supplementare di ossigeno durante il periodo perioperatorio fosse in grado di ridurre l’incidenza di infezione delle ferite chirurgiche. Sono stati arruolati 500 pazienti da sottoporre a resezione colorettale e, per randomizzazione, 250 sono stati assegnati a ricevere ossigeno inspirato BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 al 30% (gruppo 1) e 250 ossigeno all’80% (gruppo 2) nel corso dell’intervento chirurgico e durante le due ore successive. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad una profilassi antibiotica. Utilizzando un protocollo in doppio cieco, si è proceduto a valutare le ferite ad intervalli giornalieri fino alle dimissioni del paziente e, in seguito, durante una visita di controllo eseguita due settimane dopo l’intervento. Sono state considerate infette le ferite caratterizzate da pus con coltura positiva. Il momento in cui asportare i punti di sutura e la data delle dimissioni dall’ospedale sono stati stabiliti dal chirurgo, che non era a conoscenza del gruppo di trattamento di appartenenza del paziente. La saturazione di ossigeno del sangue arterioso è risultata normale in entrambi i gruppi; tuttavia, la pressione parziale arteriosa e sottocutanea di ossigeno è risultata significativamente maggiore nei pazienti del gruppo 2 rispetto ai pazienti del gruppo 1. Tra i 250 soggetti del gruppo 2, 13 (5,2%) hanno presentato infe- zione delle ferite chirurgiche rispetto a 28 del gruppo 1 (11,2%). Si è pertanto osservata una riduzione relativa del rischio di infezione tra i due gruppi dello studio di oltre il 50%, con una riduzione assoluta pari al 6% (IC 95%: 1,2% ÷ 10,8%). La durata della degenza ospedaliera è risultata simile nei due gruppi. In conclusione, lo studio evidenzia che la somministrazione perioperatoria di ossigeno supplementare può essere un metodo pratico per ridurre l’incidenza delle infezioni delle ferite chirurgiche. Altri fattori che influiscono in modo certo o probabile sulla frequenza delle infezioni operatorie sono: profilassi antibiotica, durata dell’intervento chirurgico, meccanismi di difesa dell’ospite, utilizzo di aria ultrafiltrata in sala operatoria, temperatura corporea del paziente in sala operatoria, presenza di ipovolemia, di diabete mellito e di adiposità del paziente, il suo stato nutrizionale, l’impiego di trasfusioni di sangue. L’importanza di ciascun fattore, tuttavia, è difficile da determinare. 29