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n° 309 - marzo 2003
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Parmigianino, le arti e le corti
La città di Parma che gli
diede i natali, celebra il
V centenario della nascita di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, con una grande rassegna, Parmigianino e il
Manierismo europeo, che
si tiene presso la Galleria Nazionale dall’8 febbraio al 15 maggio. La
mostra si trasferirà poi
al Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove
sarà presentata dal 4 giugno al 14 settembre.
Oltre alle sale della Galleria Nazionale, il percorso espositivo comprende una serie di ambienti del Palazzo della
Pilotta, antica sede della
corte dei Farnese, che costituiscono già di per sé
motivo di attrazione per
il visitatore: si attraversa
infatti lo splendido Teatro Farnese - realizzato
nel 1628 sul modello del
Teatro palladiano di Vicenza - per scendere,
lungo una rampa elicoidale, all’interno dei vasti locali dei “Voltoni”.
I massicci pilastri in mattoni che ne sostengono
le volte delimitano una
sorta di percorso iniziatico, affascinante e tortuoso, in cui le opere
esposte, dipinti, sculture
e oggetti, emergono dall’oscurità con effetti di
grande suggestione. Un
raffinato allestimento,
in sintonia con l’aura misteriosa ed esoterica che
circonda la figura di Parmigianino. I singoli pezzi
sono collocati all’interno
di scenografiche “ambientazioni” e corredati
di oggetti, disegni o dipinti ad essi correlabili,
in modo da fornire maggiori elementi possibili
per una lettura approfondita della figura di
uno tra i maggiori protagonisti del Manierismo italiano.
Una sezione particolare
è dedicata a disegni e incisioni, mostrando la genialità inventiva e la straordinaria abilità tecnica
del Mazzola, che fu tra i
primi ad esplorare le possibilità tecniche del disegno come mezzo
espressivo autonomo, e
non solo come schizzo
preparatorio per un dipinto o affresco. Significativo appare in questo contesto il fatto che,
mentre sono giunti fino
a noi quasi mille disegni di Parmigianino, testimonianza di un’attività intensa e continua,
le sue opere pittoriche,
inclusi gli affreschi, non
Parmigianino: Autoritratto allo specchio Vienna, Kunsthistorisches Museum
superano la cinquantina.
Nato in una famiglia di
artisti e genio precocissimo, Parmigianino spa-
Parmigianino: Saletta di Diana e Atteone (part.) - Fontanellato, Rocca Sanvitale
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ziò in tutti i generi di
soggetti - religiosi, mitologici, letterari - e sperimentò tutte le tecniche figurative del suo
tempo, dalla pittura ad
olio, al “guazzo”, a disegni e incisioni. Personaggio enigmatico, la
cui parabola esistenziale
tra l’Autoritratto allo specchio, dove si dipinge all’età di ventun anni, alla
vigilia della partenza per
Roma, con “l’aspetto grazioso molto e più tosto
d’angelo che d’uomo”,
e l’immagine che ne dà
Vasari quindici anni
dopo, poco prima della
precoce morte, definendolo “salvatico” e con
l’aria di “mezzo stolto”,
resta in molte parti
oscura.
Il giovane Francesco si
formò a Parma nella bottega di famiglia, affidato
alle cure degli zii Pier
Ilario e Michele Mazzola,
pittori come il fratello
maggiore Filippo, che
morì di peste nel 1505,
lasciando orfano il piccolo Francesco di appena
due anni.
Gli esordi folgoranti del
Parmigianino negli anni
1518-19, quando Correggio affrescava a Parma
la Camera di San Paolo,
sono ricordati da Vasari,
che cita come opera giovanile dell’artista una
tavola con il Battesimo di
Cristo, «il quale condusse
di maniera, che ancora
chi la vede resta meravigliato che da un putto
fosse condotta sì bene
una simil cosa». Del soggiorno a Viadana, nel
mantovano, dove nel
1521 il Parmigianino si
rifugiò fuggendo dalla
sua città - che si trovava
in quel momento al centro di un sanguinoso conflitto tra armate francesi
Parmigianino: Saletta di Diana e Atteone (particolari) - Fontanellato, Rocca Sanvitale
e spagnole - resta la pala
che apre il percorso espositivo, nella quale il tema
delle Nozze mistiche di
Santa Caterina è trattato
seguendo le suggestioni
della pittura veneta di
Cima da Conegliano e
di quella del bolognese
Francesco Francia, ma
facendo anche emergere
già una personalità individuale chiaramente
delineata, e una totale
padronanza dei mezzi
espressivi, ben più mature dei suoi diciotto
anni.
Non stupisce quindi che
l’anno seguente, al suo
ritorno a Parma, il Mazzola venisse chiamato insieme ai maggiori pittori della città, primo fra
tutti Correggio, ad operare nel grande cantiere
per la decorazione a fresco della chiesa di San
Giovanni Evangelista.
Le figure di santi che Parmigianino affrescò per
alcune cappelle costituiscono la sua prima prova
in una tecnica, quella
dell’affresco, alla quale
l’artista affidava poco
tempo dopo uno dei suoi
massimi capolavori, la
decorazione di una stanza
nella Rocca Sanvitale di
Fontanellato, a poca distanza da Parma.
Il recente restauro ha restituito al suo splendore
questo gioiello del primo
Manierismo, degno di
competere con la più nota
decorazione della correggesca Camera di San
Paolo, alla quale Parmigianino si è probabilmente ispirato. In occasione della mostra, una
navetta collega il Palazzo
della Pilotta con Fontanellato, così che gli affreschi del misterioso
ambiente, divengono
parte integrante del percorso espositivo. Misterioso, perché il mito di
Diana e Atteone che decora le lunette di questa
piccola stanza, situata a
piano terreno in una zona
appartata del castello lontana dagli appartamenti dei Sanvitale, signori di Fontanellato è stato interpretato dalla
critica con significati a
volte opposti, prevalendo
quello di un valore simbolico riferibile ad un
dramma familiare (la
morte dell’unico figlio
Parmigianino: Ritratto di Galeazzo Sanvitale Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte
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maschio di Galeazzo Sanvitale poco dopo la nascita). Certa appare solo
la datazione, intorno al
1523, e l’insolita circostanza che per circa
due secoli nessuno storico o critico d’arte (neppure Vasari nella pur
estesa Vita del Parmigianino) faccia menzione di
questo suggestivo capolavoro, dalla simbologia
tuttora oscura. Al di sopra delle lunette, una serie di putti decora il soffitto sullo sfondo di una
siepe di verzura, che culmina in un’apertura verso
il cielo contornata da una
spalliera di rose. Al centro del soffitto, uno specchio in metallo, circondato dal motto “Respice
finem” (dal senso volutamente ambiguo), costituisce un altro elemento insolito al quale
non è stata data finora
un’interpretazione univoca. Del resto, anche
nel Ritratto di Galeazzo
Sanvitale, signore di Fontanellato, che Parmigianino eseguì nello stesso
periodo, resta enigmatico il significato del medaglione con il numero
72 che il conte mostra
allo spettatore tenendolo
fra le dita della mano destra, guantata.
Simbologia ermetica, alchemica e cabalistica si
intrecciano costantemente nell’arte di Parmigianino, così come nel
suo percorso esistenziale,
fino a provocarne la rovina e la morte, almeno
a giudizio di Vasari: «E
avesse voluto Dio ch’egli
avesse seguitato gli studi
della pittura, e non fusse
andato dietro a’ ghiribizzi di congelare mercurio per farsi più ricco
di quello che lo aveva
dotato la natura e il
cielo».
Il ritratto di Galeazzo,
nella sua raffinata composizione e nella minuziosa cura dei dettagli
- dal riflesso di luce sulle
armi alle spalle della figura, al fogliame che si
intravede attraverso la
finestra, alla nitidezza
con la quale l’artista indugia sui particolari fisionomici e dell’abbigliamento - segna, insieme con l’Autoritratto
allo specchio, il momento
in cui il Parmigianino
si lasciava alle spalle la
città natale per recarsi a
Roma, insieme ad uno
degli zii, alla ricerca di
più vasta gloria e nell’intento di allargare le proprie conoscenze studiando, narra Vasari,
«tutte le cose antiche e
moderne, così di scultura come di pittura, che
erano in quella città».
Per Parmigianino, come
per gran parte dei numerosi artisti attivi a
Roma, il soggiorno nella
città - interrotto bruscamente nel 1527 dall’invasione e conseguente
devastante saccheggio
da parte delle truppe imperiali - significava confrontarsi con lo stile classico monumentale di
Raffaello nelle Stanze Vaticane e con il titanismo
michelangiolesco della
volta della Sistina. Scrive
Sylvia Ferino-Pagden
nel catalogo della mostra di Parma: «Tanto
possenti e presenti erano
gli esempi e le concezioni artistiche su cui si
basavano, che era possibile venirne a capo soltanto con un ‘artifizio’
ancora maggiore, con
un’esibizione di virtuosismo, raffinatezza e squisita eleganza», indicando
in tal modo il principio
animatore di quella che
Vasari definì “la bella
maniera”, una sorta di
sublimazione degli elementi naturali, che si
esercitava scegliendoli
e componendoli insieme
secondo un criterio rigorosamente ed esclusivamente estetico, «lo
imitare il più bello della
natura in tutte le figure,
così scolpite come dipinte».
Parmigianino fu tra i più
avanzati interpreti di
questa concezione “artificiosa” dell’arte come
imitazione estrema della
realtà, adottando nelle
sue opere impostazioni
così ricercate da apparire arcaizzanti, pur restando sensibile alle suggestioni del naturalismo
correggesco.
Nella Madonna di San
Zaccaria della Galleria
degli Uffizi - che ha ritrovato il suo splendore
dopo il restauro a cui è
stata sottoposta per riparare i danni dell’attentato di Via dei Georgofili - mentre la composizione, incentrata sul
gesto di affetto tra San
Giovannino e Gesù e ambientata sullo sfondo di
un vasto paesaggio, si richiama a modelli correggeschi, il personalissimo stile di Parmigianino esprime le sue massime potenzialità nella
cura sottile con la quale
si analizza il trascorrere
della luce sulle diverse
superfici materiche (tessuti, capelli, carnagioni,
fogliame), o nello straordinario brano del paesaggio sullo sfondo, con
un villaggio montano
individuato da pochi, rapidi tratti, e con la minuziosa rappresentazione
dell’arco di trionfo, descritto nei dettagli dei
Parmigianino: Madonna di San Zaccaria - Firenze,
Galleria degli Uffizi
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rilievi e della lapide apposta sulla fronte. La tavola, che rimane uno dei
capolavori di Parmigianino, appartiene al periodo del soggiorno bolognese alla fine degli
anni Venti, immediatamente precedente al definitivo rientro a Parma,
dove l’artista iniziava a
lavorare alla decorazione
per la Madonna della
Steccata, destinata a restare incompiuta dopo
un percorso lungo e travagliato. L’impegno di
dipingere l’abside e il
sottarco del presbiterio,
sottoscritto nel 1531,
non solo non sarebbe mai
stato condotto a termine,
ma le inadempienze contrattuali finirono col portare l’artista prima in
carcere e poi in esilio.
L’arcone del presbiterio,
sul quale Parmigianino
illustrò la parabola delle
Vergini savie e delle Vergini stolte, rimane l’unica
parte completata per
mano dell’artista all’interno di quel grande progetto decorativo nella
cui realizzazione, forse,
si smarrì inseguendo la
chimera di un perfezionismo sublime e inarrivabile.
Le figure femminili, che
uniscono la monumentalità di reminiscenze
classiche e raffaellesche
all’inconfondibile eleganza dei gesti, quasi
danzanti, propria della
pittura di Parmigianino,
si susseguono alla base
dell’arcone in un’armonioso corteo, splendente
negli intensi colori e nelle
dorature, riemersi con
intatta freschezza dopo
il lungo restauro appena
terminato. Per tutta la
durata della mostra i vi-
sitatori potranno salire
ad ammirare da vicino
la nitida eleganza e straordinaria grazia di queste figure che sembrano
librarsi nel vuoto, in un
equilibrio sospeso tra la
precarietà dell’attimo e
una cristallina, eterna
perfezione.
La tormentata vicenda
del cantiere della Steccata si protrasse per tutti
gli anni Trenta, finché
per sfuggire alle ire dei
committenti, i membri
della Compagnia della
Steccata, Parmigianino
si ritirò a Casalmaggiore
in territorio cremonese
dove, narra Vasari,
«avendo pur sempre
l’animo a quella sua alchimia, come gli altri
che le impazzano dietro
una volta, ed essendo di
delicato e gentile, fatto
con la barba e chiome
lunghe e malconce, quasi
un uomo salvatico ed
altro da quello che era
stato, fu assalito, essendo
mal condotto e fatto malinconico e strano, da
una febre grave e da un
flusso
crudele, che lo fecero in
pochi giorni passare a
miglior vita».
All’ultimo anno trascorso
nella cittadina - dove
l’artista è sepolto presso
il Santuario della Fontana - e agli studi alchemici che si conducevano
nel primo Cinquecento,
è dedicata la mostra che
si tiene proprio a Casalmaggiore dal 9 febbraio
al 15 maggio, dal titolo
Parmigianino e la pratica
dell’alchimia, che documenta e illustra l’importanza, durante tutto il
Rinascimento, della cultura alchemica, nella
quale convivevano astro-
logia e filosofia, medicina e magia.
La rassegna di Parma presenta inoltre, accanto ad
opere dei maestri sul cui
modello si formò Parmigianino, primo fra
tutti Correggio, una serie di personalità rappresentative dei fermenti
creativi e delle inquietudini che percorrevano
la stagione creativa del
primo Manierismo, principalmente Pontormo e
Rosso Fiorentino; il percorso si conclude con un
excursus sulla scuola di
Parma del XVI secolo,
che raccolse l’eredità artistica di Parmigianino
nelle personalità di alcuni pittori attivi fino
alla metà del Cinquecento, e con una piccola
sezione dedicata all’influenza del Manierismo
in Francia, con la Scuola
di Fontainebleau, e a
Praga, nell’ambiente artistico presso la corte di
Rodolfo II, salito al trono
nel 1575. Completa l’ampia panoramica sulla pittura di Parmigianino e
la cultura figurativa del
Manierismo un programma di eventi dal titolo “Le arti e le corti”,
comprendente una serie
di percorsi all’interno
della città di Parma e nel
territorio circostante: si
tratta di un itinerario
che collega palazzi e castelli dove, grazie ad allestimenti multimediali,
vanno in scena i temi più
significativi del periodo,
arricchendo e completando un affascinante
viaggio alla scoperta di
un periodo vitale e complesso del Rinascimento
europeo.
donata brugioni
Parmigianino: Vergini sagge e Vergini stolte (part.)
- Parma, chiesa della Steccata