Correggio e Parmigianino. Arte a Parma nel Cinquecento
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Correggio e Parmigianino. Arte a Parma nel Cinquecento
Sala 1 Correggio e Parmigianino Correggio e Parmigianino sono tra gli artisti più importanti ed emozionanti del Cinquecento italiano, capaci di trasformare la città di Parma in un centro artistico di spicco nel giro di pochi, magici decenni. È impossibile comprendere appieno la portata dei loro traguardi artistici senza visitare la città, soprattutto per i magnifici affreschi che vi hanno lasciato. A Correggio va il merito di aver dipinto, con audace illusionismo, i tre affreschi della Camera di San Paolo, di San Giovanni Evangelista e del Duomo, eseguiti tra la fine degli anni dieci del Cinquecento e la morte. A sua volta Parmigianino, verso l'inizio della carriera, nei primi anni venti del secolo, affrescò tre cappelle in San Giovanni Evangelista e, nell'ultimo decennio della sua vita, la volta del presbiterio di Santa Maria della Steccata. I Disegni collegati a tutti questi progetti sono presenti in mostra, soprattutto nella sala 8. Alla luce delle opere qui esposte apparirà chiaro che, per quanto Parmigianino sia stato profondamente influenzato dall'esempio del Correggio – e non solo nei primi anni della sua parabola artistica – si tratta di personalità molto diverse. Nel complesso, Correggio era il più ardente ed emotivo dei due, sempre mosso dal desiderio di dare espressione all’intera gamma dei sentimenti umani, dalla gioia al dolore. Nelle sue opere, la gioia può assumere connotazioni sia religiose sia sensuali: egli è altrettanto brillante nel restituirci l’incanto della Vergine Maria dinanzi al miracolo della nuova maternità, come l'emozione della mortale Danae posseduta dal dio Giove. Al tempo stesso, Correggio è capace di trasmettere il dolore della Madonna per la morte del figlio come l'estasi dei martiri che godono della visione salvifica pur nel mezzo della selvaggia carneficina di cui sono vittime. L’arte del Parmigianino è volutamente lontana da una simile carica emotiva, ma non per questo meno affascinante. Le sue opere religiose sono tour de force pittorici di incomparabile eleganza, in cui il relativo distacco dei protagonisti è comunicato soprattutto attraverso la raffinatezza e la grazia dei movimenti e delle pose. Fa ovviamente eccezione il suo approccio alla ritrattistica, genere in cui superava senza fatica persino il Correggio. In questi dipinti, ben rappresentati in mostra, l’immediatezza penetrante nella resa degli effigiati è distante anni luce dall’atmosfera delle sue composizioni religiose e mitologiche. Con tutte le loro differenze, Correggio e Parmigianino condividono un’altra caratteristica fondamentale: l’instancabile evoluzione della loro arte. Il percorso della mostra è organizzato in modo da seguirne i mutamenti nel corso del tempo e sottolineare lo straordinario processo di trasformazione che coinvolge non solo lo stile di dipinti e disegni, ma anche i modi di rappresentare il principale soggetto della loro pittura, vale a dire la figura umana in tutta la sua esaltante varietà. Sala 2 Il giovane Correggio Antonio Allegri, detto il Correggio, prese il nome dall’omonima cittadina non lontana da Parma in cui nacque, probabilmente intorno al 1489. Come accade di solito, divenne noto col nome di Antonio da Correggio solo dopo aver lasciato la città natale per recarsi a Parma, alla fine degli anni dieci del Cinquecento. Qui affrescò la Camera di San Paolo e nei primi anni venti del secolo Parma sembra essere la sua residenza principale, anche se non l’unica. I dipinti esposti in questa sala risalgono tutti al periodo che precedette questo decisivo trasferimento. I primi tra essi, come la Madonna col Bambino e il Matrimonio mistico di santa Caterina, entrambi provenienti da Washington e probabilmente risalenti al 1510-1512, rivelano la profonda influenza di Andrea Mantegna, sia nella tipologia delle figure sia negli schemi compositivi. Fino alla morte, avvenuta nel 1506, Mantegna fu pittore di corte a Mantova, e dai documenti risulta che nel 1512 Correggio fosse in contatto con uno dei suoi figli residente in quella città. L'importanza del modello mantegnesco è evidente anche nella Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne di Strasburgo, eseguita all’incirca nello stesso periodo, di particolare interesse anche perché è ilò primo notturno di Correggio. Come è naturale per un artista agli esordi, tutte queste opere sono quasi delle miniature, ma solo due o tre anni dopo, con il David davanti all'Arca dell'Alleanza, l’Allegri avrebbe dato prova di poter lavorare a un progetto di scala ben più ambiziosa con sorprendente sicurezza. Opera riscoperta relativamente di recente, il David corrisponde a una delle due ante per organo che, come risulta dai documenti, furono commissionate al Correggio l’8 settembre 1514 dal monastero benedettino di San Benedetto Po, nei pressi di Mantova. La tela è direttamente ispirata al ciclo mantegnesco dei Trionfi di Cesare, anch’essi a Mantova. Fin dall'inizio della sua carriera, o quasi, Correggio sembra affascinato dai soggetti insoliti: il Commiato di Cristo dalla madre, ad esempio, rappresenta una risposta alle stampe tedesche, sia nella scelta del tema sia per l’intenso pathos della scena. Lo schema cromatico e la libertà del trattamento che caratterizzano quest’opera, dipinta su tela anziché su tavola, costituiscono un nuovo punto di partenza nella sua arte. Altrettanto memorabile è il Ritratto di dama dall'Ermitage, uno dei soli due ritratti eseguiti dal Correggio (l'altro è esposto nella sala 4). L'ultima delle opere di questa sala è il Riposo durante la fuga in Egitto con san Francesco, oggi agli Uffizi, dipinto intorno al 1520 per la cappella di Francesco Munari nella chiesa di San Francesco a Correggio. Per quanto le figure siano disposte simmetricamente ai lati del gruppo centrale con la Madonna e il Bambino, la diagonale ascendente che va da san Francesco, a destra, fino a san Giuseppe, a sinistra, prefigura già quell’audacia spaziale che sarà uno dei maggiori traguardi della maturità dell’artista. Sala 3 Il giovane Parmigianino Se la parabola artistica del Correggio ebbe un inizio graduale, per quella di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino è vero il contrario, dal momento che già negli anni dell’adolescenza era un artista di prodigiosa compiutezza. Nato nel 1503, all'età di sedici anni aveva già eseguito la pala con il Battesimo di Cristo, oggi a Berlino. Tutto lascia pensare che il lavoro più importante in mostra in questa sala, la pala d'altare con il Matrimonio mistico di santa Caterina, sia la stessa cui si riferisce il Vasari come opera eseguita dal Parmigianino per la chiesa di San Piero a Viadana nel 1521, durante la sua assenza forzata da Parma assediata dai francesi. L’opera ribadisce con forza l’emozionante originalità dell’approccio del Mazzola, pur con tutta la sua sensibilità per il genio del Correggio. Un’originalità che col tempo non avrebbe fatto altro che aumentare. Altrettanto evidente è il talento di ritrattista che il Parmigianino dimostra in pratica fin dall'inizio, come rivelano le opere raccolte nella sala 8, in cui i ritratti da lui eseguiti in varie fasi della carriera sono affiancati a quelli di Correggio e Francesco Maria Rondani. Qui si trova tra tutti il Ritratto di Lorenzo Cybo, risalente probabilmente al 1525 circa, poco tempo dopo il trasferimento dell’artista a Roma. Nella sua biografia il Vasari scrive di questo dipinto: “Sentendo la fama di costui, il signor Lorenzo Cybo, capitano della guardia del Papa e bellissimo uomo, si fece ritrarre da Francesco, il quale si può dire che non lo ritraesse, ma lo facesse di carne e vivo”. Questa sala comprende anche una selezione dei primi disegni del Parmigianino, alcuni dei quali collegati ai progetti iniziali per gli affreschi in San Giovanni Evangelista a Parma e per la Rocca di Fontanellato. Tra i fogli esposti figura anche il primo di tre disegni finora sconosciuti. Si tratta dello studio innovativo ed elaborato a penna e inchiostro bruno per un’opera di ispirazione religiosa che riveste un interesse particolare in quanto è tra i primissimi disegni di sua mano giunti fino a noi. Sala 4 Correggio e Parmigianino: la maturità Accanto a una selezione di dipinti del Correggio e del Parmigianino datati agli anni venti e trenta del Cinquecento, questa sala accoglie il disegno più bello e spettacolare che si conosca del Correggio – uno studio per la pala della Notte conservata a Dresda – e un magnifico cartone di Michelangelo Anselmi per i perduti affreschi nel Duomo di Parma, identificato solo di recente. Il primo dei dipinti di Correggio è il Noli me tangere, eseguito nei primi anni venti del Cinquecento e pertanto di poco posteriore al Riposo durante la fuga in Egitto esposto nella sala 2, ma che rappresenta un drammatico salto di qualità e contiene uno dei paesaggi più incantevoli tra quelli creati dal genio dell’artista. Segue il Martirio dei santi Placido, Flavia, Eutichio e Vittorino del 1522-1525, dipinto estatico e visionario del genere che meglio esemplifica la posizione straordinaria di Correggio nell’età di Bernini e che presenta più di un punto di contatto con l’Estasi di santa Teresa. Destinata alla parete destra di una cappella chiusa nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma, e pertanto vista per lo più dalla navata, la composizione è ingegnosamente concepita come una diagonale che sale dall’angolo in basso a destra a quello in alto a sinistra. Ultimi, ma non meno importanti, due dipinti dell’ultima maniera dell’artista, intense raffigurazioni del Cristo redentore. Per quanto riguarda il Parmigianino, sono esposti due capolavori di grandi dimensioni e uno più piccolo che regge egregiamente il confronto, tutti associati agli anni che l’artista trascorse a Bologna, dal 1527 al 1530 o 1531. Il più imponente è San Rocco e un donatore Baldassare della torre da Milano proveniente dalla basilica di San Petronio, una pala a grandezza naturale in cui il santo protettore degli appestati è raffigurato con lo sguardo levato al cielo in atteggiamento di supplica. A questo si affianca la Conversione di Saulo (Vienna), che la superficie più rifinita e lo sfondo ricco di dettagli rivelano come un dipinto concepito per quel genere di visione ravvicinata raramente possibile in una chiesa. Anche qui, naturalmente, il santo è raffigurato con gli occhi levati al cielo, ma è stato appena accecato e non può vedere. Un’atmosfera di ancora più intima comunione è rappresentata dalla Madonna di san Zaccaria: il gruppo delle figure esprime una notevole fusione di sensuale intimità e apparente idealizzazione da un lato, e meticoloso realismo dall’altro. Così, malgrado la patina di spiritualità, il modello per Gesù è un bambino che il Parmigianino ha usato anche per un’altra Madonna (oggi a Dresda), e sulla guancia di Zaccaria spunta una verruca irta di peli osservata con amorevole cura. Sala 5 Correggio e Parmigianino mitologie Nel Rinascimento la stragrande maggioranza di tutta la produzione artistica era di soggetto religioso. I soggetti mitologici erano una rarità, con la felice conseguenza che gli artisti vi dedicavano una cura particolare. Per quanto riguarda sia il Correggio che il Parmigianino, le loro prime raffigurazioni mitologiche sono degli affreschi, rispettivamente nella Camera di San Paolo a Parma e nella Rocca di Fontanellato (entrambi rappresentati in mostra dai disegni preparatori visibili nella sala 8, e risalgono agli anni d’esordio. Per contro, tutti i quadri di cavalletto su questi temi che si conoscono sono opere della maturità, vale a dire degli anni venti e trenta del Cinquecento. In questa sala sono esposti due dipinti mitologici di ciascuno dei due artisti. Insieme a una Venere e Cupido con un satiro, oggi al Louvre, la tela del Correggio nota come Educazione di Amore fu eseguita per il conte Nicola Maffei di Mantova (1487-1536) tra il 1522 e il 1525. Raffigura Venere, la dea dell’amore (alata, quindi caratterizzata come figura celeste), con Mercurio, dio della saggezza, e il loro figlio Cupido. Mercurio, seduto, insegna a leggere a Cupido (di qui il titolo con il quale il dipinto è conosciuto), e l’artista trasmette l’affettuosa intimità della divina famigliola. Le ampie proporzioni del nudo femminile esprimono un ideale molto diverso dalla fisicità più fanciullesca della Danae. La Danae apparteneva a una serie di quattro tele sul tema degli Amori di Giove che Correggio eseguì tra il 1530 e la morte, avvenuta nel 1534, su commissione di Federico Gonzaga, a quanto pare per inviarle all’imperatore Carlo V in Spagna. Le tele hanno tutte la stessa altezza ma si dividono naturalmente in due coppie: Danae e Leda e il cigno (a Berlino) sono più larghe che alte, mentre Giove e Io e Il ratto di Ganimede (a Vienna) hanno un formato alto e stretto. La tela in mostra raffigura Giove nell’atto di congiungersi a Danae sotto forma di pioggia d’oro, mentre Cupido la aiuta ad allontanare lentamente il drappo che ancora la copre. Quasi tutti i dipinti mitologici del Parmigianino furono eseguiti per lo stesso committente, il cavalier Francesco Baiardi, la cui collezione fu dettagliatamente elencata dopo la sua morte, avvenuta nel 1561. Nell’inventario, la tavola raffigurante Saturno e Filira è definita “bozzata di colore finito”, descrizione che corrisponde allo stato relativamente incompiuto dell’opera in mostra. Altri due dipinti mitologici del Parmigianino sono esposti nella sala 10. L’artista realizzò anche un considerevole numero di disegni di soggetto profano, molti dei quali ispirati all’antichità classica. Uno di questi è il foglio con Circella, personaggio dell’Orlando innamorato del Boiardo che richiama la maga Circe, disegnata dettagliatamente come studio definitivo per una stampa. Sala 6 Schiava turca e Principi Questa sala si concentra su due sole opere: uno tra i più singolari ritratti del Parmigianino e un interessante ritratto di gruppo del Bedoli. Molti ritratti femminili del Parmigianino presentano una tendenza ricorrente all’idealizzazione e stilizzazione dei volti. In nessun’altra opera tale caratteristica risulta evidente come in questa Schiava turca, titolo particolarmente fantasioso se si considera che il soggetto raffigurato non è né una schiava né turca. L’unico punto a suo favore è che, forse, suggerisce la giustificata intuizione che si tratti di una bellezza astratta destinata al diletto maschile, e non il ritratto di una persona in particolare commissionato dall’effigiata o dalla sua famiglia. La donna indossa un balzo, elaborato copricapo simile a un turbante, con al centro l’immagine di un cavallo alato, probabilmente Pegaso. Da questo sontuoso copricapo spuntano i capelli scuri, spartiti al centro e con riccioli che carezzano una fronte quasi esageratamente alta, il cui perfetto pallore contrasta con il caldo colorito roseo delle guance. Le sopracciglia depilate sono ridotte a sottili linee curve che rispecchiano, invertendolo, il civettuolo mezzo sorriso delle labbra, e lo sguardo tranquillo incontra gli occhi dell’osservatore. Il dipinto di Bedoli è costituito in realtà da due tele distinte cucite insieme, che probabilmente affiancavano un’immagine o un oggetto centrale, tuttora non identificato. Dato l’aspetto attuale delle due tele, il fatto che inizialmente fossero separate sembra indicare che la lampada appesa in alto e il libro aperto alla base non facessero parte della composizione originale, anche se questo in sé non prova che non siano stati aggiunti dallo stesso Bedoli in una fase successiva. L’identità dei quattro personaggi raffigurati è rimasta sconosciuta fino a pochissimo tempo fa. Nel contesto parmense, la presenza di diverse mezzelune in più punti della superficie dipinta li identifica come appartenenti alla famiglia Bergonzi, una delle più illustri della città Questi personaggi in particolare sono quasi certamente quattro fratelli: Marco Regolo, Francesco, Jacopo e Vincenzo. Le rispettive età, insieme ad altre considerazioni, indicano che l’opera fu eseguita intorno all’anno 1536. Sala 7 Gandini Anselmi Bedoli La comparsa quasi simultanea di Correggio e Parmigianino sulla scena di Parma verso la fine degli anni dieci trasformò le pratiche artistiche della città. Le conseguenze emergono con straordinaria evidenza in questa sala, che riunisce diversi dipinti e alcuni disegni di Michelangelo Anselmi, Giorgio Gandini del Grano e Girolamo Mazzola Bedoli. Poiché nessuno di questi artisti può dirsi famoso, non sorprende il fatto che tra le opere esposte vi siano diverse scoperte molto recenti. Anselmi è rappresentato da un Cristo e la Samaritana dall’atmosfera intima e da un monumentale disegno a matita rossa per lo stemma di papa Paolo III Farnese, che regnò dal 1534 fino alla morte, nel 1549. Si tratta di un’eloquente testimonianza di come l’ascesa della famiglia Farnese segnasse la fine del ruolo marginale di Parma sullo scacchiere politico. Gandini del Grano, scomparso in giovane età come molti di questi artisti, ha lasciato pochissimi dipinti, ma in questa sala ne sono esposti ben tre. Due di essi – un’incantevole e finora inedita Madonna col Bambino e due angeli e il Matrimonio mistico di santa Caterina – sono di piccolo formato ed erano probabilmente destinati alla devozione privata. Le dimensioni del terzo, nonostante la destinazione originale ignota, fanno invece pensare a una pala d’altare, dimostrando il talento di Gandini in opere di portata più ambiziosa. Il dipinto, restaurato in occasione di questa mostra, ha ritrovato il suo aspetto originale dopo secoli. Anche nel caso di Bedoli, la più piccola e privata Sacra Famiglia con san Francesco conservata a Budapest è stata affiancata a una pala d’altare proveniente da Viadana, città natale dell’artista, in cui la Madonna e il Bambino sono accompagnati dai santi Giovanni Battista e Cristoforo. L’accostamento di opere eseguite da tre personalità tanto diverse, benché vissute nello stesso tempo e luogo, appare di sicuro affascinante, ma è particolarmente interessante poter osservare la pala di Gandini accanto a quella di Bedoli per confrontare la loro risposta alla stessa sfida iconografica. Di fronte alla necessità di affiancare san Cristoforo e la Madonna in un unico dipinto, entrambi, a differenza di tanti pittori rinascimentali, hanno saggiamente evitato l’assurdità logica di abbinare a ciascuna delle figure sacre la propria rappresentazione del Bambino. Sala 8 Disegni Nel Rinascimento, quasi tutti i disegni erano eseguiti in preparazione di opere realizzate con altre tecniche, più spesso dipinti, ma anche stampe e sculture. Nelle sue prove migliori, quali ad esempio l’Annunciazione dal carattere marcatamente pittorico, Correggio si rivela un disegnatore di straordinario talento. Il medium che predilige è la matita rossa, di cui fa tuttavia un utilizzo estremamente vario. Alcuni fogli appaiono quindi rigorosamente funzionali, mentre in altri l’artista sembra trarre un autentico piacere dall’attività cui è intento. In questo campo, tuttavia, Correggio non poteva certamente competere con Parmigianino, che era un disegnatore nato e per giunta straordinariamente prolifico: tanto abile nell’uso della penna e dell’acquerello, talvolta su carta colorata, quanto della matita rossa e nera, talvolta con lumeggiature bianche. Gli esempi qui esposti rivelano la sua tendenza – comune a molti altri artisti rinascimentali – a utilizzare la penna per ideare e riflettere, e la matita per rifinire e completare. Oltre a dar prova di padronanza tecnica, Parmigianino fu uno dei pochi artisti dell’epoca a disegnare per puro diletto. Accanto a un’ampia gamma di studi preparatori incredibilmente spontanei e al tempo stesso straordinariamente compiuti per dipinti e altri progetti, raffigurò scene di vita quotidiana di grande vivacità, evocazioni poetiche della bellezza del paesaggio e persino scandalose immagini erotiche. In generale, i disegni migliori della Scuola di Parma risalenti alla prima metà del Cinquecento sono sempre stati oggetto di particolare ammirazione. Questa sala riunisce una selezione assai rappresentativa di fogli di Anselmi, Bedoli, Gandini e Rondani. Di quest’ultimo è esposto l’unico disegno sopravvissuto riconducibile a un suo dipinto noto: una Madonna col Bambino a matita rossa che è uno studio per la parte superiore di una pala d’altare firmata, conservata alla Galleria Nazionale di Parma. In maniera analoga, il disegno di Gandini chiaramente collegato al Matrimonio mistico di santa Caterina (esposto nella sala 7) consente di ricostruire il ben più ricco corpus della sua opera grafica. Sala 9 Ritratti Questa sala riunisce originali ritratti di Correggio, Parmigianino e del molto meno noto Rondani, insieme al dipinto a mezza figura di Santa Caterina con libro di Correggio, accomunabile a essi sia per il formato che per l’atmosfera. Sulla parete destra, Santa Caterina è affiancata a un altro ritratto di Correggio, quello di un uomo barbuto a sua volta intento alla lettura, databile però intorno al 1520 anziché al 1530. Li accompagna il ritratto firmato di un altro uomo con la barba di Francesco Maria Rondani, corredato di un’iscrizione latina secondo la quale sarebbe stato dipinto da una “rondine” – allusione ironica al nome del pittore, Rondani – e che sembra rivolta a Vittoria, l’amante dell’effigiato, ritratto infatti con la palma della vittoria in mano. Sulla parete sinistra sono esposti due ritratti di Parmigianino. Il primo, proveniente da York, risale probabilmente al periodo iniziale dell’artista a Parma, precedente al viaggio a Roma del 1524. Un uomo barbuto, con un berretto in testa e un libro in mano, è raffigurato contro uno sfondo pressoché neutro, benché la scena includa anche un mobile e un tappeto persiano, insieme a una striscia decorata imitando il cuoio dorato e stampato. Il dipinto più tardo, datato agli anni romani dell’artista, si concentra ancor più austeramente sul modello, vestito di bianco e nero e collocato contro una nuda parete grigia. L’unica traccia di colore è data dall’incarnato rosa acceso dell’uomo, tipico del Parmigianino. Sala 10 Antea, Parma e Alessandro Farnese, Pallade, Lucrezia Questa sala riunisce un ritratto e due soggetti mitologici risalenti all’ultimo decennio di attività del Parmigianino con uno straordinario ritratto allegorico di Girolamo Mazzola Bedoli, suo discepolo più vicino nonché cugino acquisito. Il ritratto di Parmigianino è tradizionalmente noto come Antea, dal nome di una cortigiana romana, benché non possa trattarsi di una simile figura. Più che dell’effigie di una persona reale, è probabile si tratti invece di una rappresentazione della bellezza ideale. Quest’opera sembra figurare in ogni caso nell’inventario post mortem del committente di Parmigianino, il cavaliere Francesco Baiardo, dove il n. 4 è un “ritrato colorito e finito d'una donna in piedi di mano del Parmesanino” di altezza identica. La Pallade Atena del Parmigianino, che nello stesso inventario corrisponde al n. 12, è definita come: “Una testa col petto d’una Minerua colorita finita alta o[ncie] 16 larga 10 di mano dil Parmesanino”. Benché il compilatore dell’inventario abbia attribuito alla dea il nome romano anziché quello greco iscritto nello splendido monile che indossa, il soggetto corrisponde e così pure le dimensioni, considerato il fatto che il dipinto sembra essere stato leggermente rifilato in alto e in basso. L’inventario Baiardo contiene inoltre una Lucrezia definita “bozzata”. Escludendo si tratti della tavola proveniente da Napoli qui esposta, il più squisitamente compiuto di tutti i dipinti di Parmigianino, il riferimento era molto probabilmente a un’altra versione del soggetto che Vasari, nella biografia dell’artista, afferma essere quella finale. La stilizzazione estrema della figura e l’audace combinazione dei rosa accesi dell’incarnato con gli azzurri freddi dei panneggi sono in effetti tipiche della sua ultima produzione. Nella breve descrizione dell’opera di Bedoli a conclusione della biografia di Parmigianino, Vasari include il presente lavoro: “Ha ritratto per madama Margherita d’Austria, duchessa di Parma, il principe Don Alessandro suo figliuolo, tutto armato, con la spada, sopra un [m]appamondo, e una Parma ginocchioni ed armata dinanzi a lui”. Alessandro Farnese, governatore dei Paesi Bassi spagnoli dal 1578 fino alla morte, nel 1592, e terzo duca di Parma dal 1586 al 1592, era nato nel 1545. Poiché qui sembra avere circa dieci anni, il ritratto fu probabilmente eseguito intorno al 1555-1556. David Ekserdjian