Valentina Calcaterra
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Valentina Calcaterra
Workshop 4 Una matassa da sbrogliare: Nulla funziona…Come fare con quel ragazzo per cui sembra tutto inutile PRIMA PARTE Alessandro ha 12 anni e frequenta la seconda media. Vive con i genitori, un fratello di 14 anni, un altro fratello di 8 anni e una sorellina di 3. Il papà è muratore e la mamma casalinga. Sono originari del sud Italia e da circa un anno vivono a Milano, dove il papà si è trasferito per lavoro. I due fratelli, Stefano e Pasquale, sono seguiti dal servizio di Neuropsichiatria Infantile per un ritardo cognitivo e frequentano la scuola con l’appoggio di un insegnante di sostegno. Il servizio sociale entra in contatto con la situazione perché la scuola media, subito dopo l’inizio delle lezioni nel mese di settembre, inizia a segnalare, prima verbalmente poi per iscritto, le difficoltà di gestione di Alessandro. Il ragazzino non riesce a stare alle regole, ha un atteggiamento provocatorio soprattutto nei confronti degli insegnanti, mette in atto piccoli gesti di bullismo verso i compagni (prende in giro, sottrae oggetti di poco valore per “spaventare” i più piccoli), non segue le lezioni se non in pochissime materie, sembra non interessarsi ad alcun argomento né attività. Tuttavia è evidente la sua intelligenza e possiede buone capacità organizzative e pratiche. Quando gli insegnanti cercano di parlargli, lui afferma di voler “tornare a Napoli”, dove stava bene, mentre a Milano non riesce a inserirsi: dice che “non è il suo mondo”. I genitori sono disposti a dialogare con gli insegnanti e gli operatori dei servizi, ma affermano che Alessandro ha sempre creato problemi e neanche loro sanno come gestirlo. La mamma sembra molto affaticata dalla cura dei due figli “disabili” e della bambina e dice di non “avere energie” per far fronte ai problemi di Alessandro, mentre il padre lo punisce anche in maniera pesante, ma non sembra in grado di riflettere in maniera dialogica col figlio. Dopo le prime segnalazioni, il servizio sociale contatta i genitori e attiva un intervento di educativa domiciliare per Alessandro. All’inizio il ragazzo aderisce con un po’ di fatica, poi sembra aprirsi al dialogo con l’educatrice. Un giorno Alessandro sottrae un mazzo di chiavi della scuola e nel pomeriggio cerca di bruciarlo nel cortile. La mattina successiva l’insegnante di italiano vede la sua auto rigata sulle portiere e ritiene di dover attribuire la responsabilità ad Alessandro. SECONDA PARTE Il Consiglio di classe decide di non sporgere denuncia rispetto alle azioni di Alessandro per non “aggravare la situazione”, ma sospende il ragazzino da scuola per 15 giorni. Viene inviata una lettera alla responsabile del servizio sociale in cui si sollecita un “tempestivo intervento” a tutela del minore e soprattutto dei compagni di classe e degli insegnanti. I genitori, di fronte agli operatori dei servizi, presentano due posizioni differenti: il padre chiede l’inserimento di Alessandro in comunità, descrivendola agli operatori e al ragazzo più in termini punitivi che come un’opportunità di crescita e affermando di avere ormai tentato tutto il possibile per “raddrizzare il figlio”; la mamma sembra acconsentire alle ipotesi del marito, mostrando tuttavia una grande sofferenza e un “senso di sconfitta”. Alessandro incontra l’assistente sociale insieme all’educatrice, ribadisce di “non trovarsi nel posto giusto” e che tutti ce l’hanno con lui, sa che si potrebbe prospettare un inserimento in comunità e si mostra, tutto sommato, interessato al “cambiamento”, pur affermando di “non volerci andare”. Questi elementi vengono inseriti nella segnalazione che il servizio sociale decide di fare alla Procura. Il Tribunale per i Minorenni emette un decreto provvisorio, immediatamente esecutivo, in cui si prescrive il collocamento etero-familiare di Alessandro e si fissa una data per l’audizione dei genitori in un momento successivo (dopo 6 mesi circa). Nello stesso periodo l’educatrice che seguiva Alessandro sospende il servizio per maternità. Il servizio sociale individua una comunità di accoglienza maschile, in cui sono accolti anche ragazzi con provvedimento penale. Al primo incontro vengono esposte al ragazzo le regole: orari di permanenza, turni di collaborazione, nessun incontro con i familiari per il primo mese. La comunità è in una zona collinare isolata e, dopo la scuola, non sono possibili altre attività, tutti i ragazzi sono però invitati a frequentare il gruppo scout della parrocchia. Alessandro fin da subito mostra un atteggiamento ribelle e provocatorio, soprattutto nei confronti delle educatrici donne, cui non riconosce alcuna autorità. Un’educatrice in particolare appare molto in difficoltà (c’è un episodio emblematico, in cui il Alessandro la “sommerge” di palle di neve, facendola piangere). Dopo poco tempo iniziano anche le fughe, prima da scuola, poi dalla stessa comunità. Ogni volta Alessandro viene riportato indietro in accordo con i genitori. Un giorno riesce ad arrivare fino a Napoli dove uno zio, che il ragazzo sperava lo avrebbe accolto in casa, lo rimette invece sul primo treno. A fronte di questo episodio, la comunità decide di dimettere Alessandro al termine dell’anno scolastico, che si conclude con la bocciatura. Il servizio sociale individua un’altra struttura, stavolta a Genova. La comunità chiede che al momento dell’ingresso Alessandro venga accompagnato almeno da un familiare. È il papà ad accompagnare Alessandro e ad effettuare quindi il colloquio con i responsabili in presenza del ragazzo e dell’assistente sociale. In quella sede si concordano anche le modalità di incontro con la famiglia: la comunità dà la disponibilità, data la distanza, ad accogliere i genitori quando loro hanno tempo di andare a trovare il figlio, previa telefonata. Alessandro viene accolto da un ragazzo, ospite della comunità, che gli mostra la struttura e gli spiega “come funziona”. Il papà e l’assistente sociale si fermano per il pranzo insieme ad Alessandro, poi rientrano. Alessandro attiva sempre comportamenti provocatori e ribelli, ma ogni episodio è oggetto di riflessione con l’educatore di riferimento, non ci sono tentativi di fuga e, dopo alcuni mesi, Alessandro sembra aderire in maniera più convinta al percorso. Il papà lo va a trovare periodicamente, la mamma è meno presente, ma telefona spesso. Dopo qualche mese si decide che Alessandro rientri a casa ogni 15 giorni, il papà lo va a prendere il sabato e lo riporta in comunità la domenica sera. Alessandro conclude la scuola media e chiede di non proseguire gli studi, viene quindi avviato ad un corso di formazione professionale, al termine del quale, a 16 anni, Alessandro rientra a casa.