Organizzazione sistematica della materia (analisi settoriale)
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Organizzazione sistematica della materia (analisi settoriale)
Ménage à trois Il codice del consumo italiano Tra codice civile e “acquis communautaire” I. Rilievi Introduttivi. – I.1.Oggetto dell’ intervento. – I.2. Il punto di partenza: gli obiettivi comunitari e l’ attuale stadio di sviluppo dell’ unificazione dopo la risoluzione PE del 2006. – I.3. Il punto d’ arrivo: i risultati unificanti nel sistema armonizzato. Carenza del coordinamento interno e incertezza del rapporto col cod. civ. nel codice dei consumi italiano. I.4. Il viaggio. Diritto europeo e opzioni di armonizzazione. L’ armonizzazione orizzontale tra diritto “comunitario” e diritto “europeo”. Metodo e schema dell’ esposizione. II. Informazione e pubblicità.- II.1. Diritti fondamentali del consumatore e loro rilievo nei rapporti contrattuali. L’ esempio dell’ azione inibitoria.. II.2. La disciplina della pubblicità e le (incerte) variazioni sulla nozione di consumatore. Consumatore e informazione. Consumatore e pubblicità. Qualitò di consumatore e “persona giuridica” senza scopo di lucro. III. Il rapporto di consumo. - III.1. L’ espulsione delle clausole abusive dal codice e l introduzione della “nullità protettiva.- III.2. Il ritorno della dottrina al codice civile: il dogma della volontà e il pericolo di espulsione dello “spirito” dell’ acquis.- III.3. Il coordinamento orizzontale col codice civile: tecniche di prevalenza o di subordinazione tra diritto civile nazionale ed europeo (ovvero tra acquis e C.F.R).- III.4. (segue)- Il regime di doppia imposizione del diritto privato interno e di quello europeo: ancora in tema di azione inibitoria.III.5. Le pratiche sleali e la coincidenza fra i comportamenti sleali ed aggressivi e le norme sulla violenza e sul dolo.- IV. Conclusioni. Libertà di scelta v. regolazione del mercato ? Qualche complicazione.- IV.1. La strumentalizzazione della libertà di scelta nei codici civili classici.- IV.2. Presenza di differenti quadri di compatibilità tra autonomia privata, mercato ed altri interessi protetti all’ interno dei codici civili, del diritto comunitario e del CFR.- IV.3. L’ esigenza del coordinamento tra il diritto privato europeo e le regole fondanti dei codici. Incoerenza di una unificazione costituita dalla pura sovrapposizione dell’ acquis comunitario alle regole del contratto.IV.4. Qualche indicazione sulla strada da percorrere.- V. Diritto privato europeo, diritto comunitario, diritto comune. Abstract This paper looks at the recent Italian consumer code with a view to find out progress in implementation of European consumer law and horizontal cohordination to both Italian general civil code and the European private law. Afther sketching out present views about UE contract law unification process by part of the UE Parliament, the Commission and involved researchers, the work concentrates briefly over main issues in the Consumer code. General protection rules, rights against unfair information and advertisement and “protective voidness” of unfair terms are discussed in some detail, in order to show different patterns of prevalence and dependence between the civil code and the Consumer acquis. The problem of double (and triple) regulation of consumer rights under national law, as a by product of Directives’ implementation is also examinated and set up against the example of the Unfair Commercial Practices directive. The work concludes with a critique of current understanding of the relationship between classical contract law and European private law as an alternative between freedom of choice and market consequentialism, and advocates a more sophisticated approach. In this view both national civil codes and uniform European law strive for an equilibrium between changing patterns of legal protection among individual interest of parties , a (changing) framework of third parties interests and the perceived genrral interest. Under this picture a more cooperative approach to the national codes experience would also be preferable.(*) * Given to time-missing, presenting a summary was preferred to perfection of language. The English has not been checked out. Corrections are welcome. I. Rilievi Introduttivi. 1. Il compito che mi è stato assegnato è – se ho ben inteso – non solo quello di riferire sui contenuti introdotti nella codificazione italiana del diritto dei consumatori in attuazione delle regole comunitarie; ma anche quello di misurarne gli esiti in relazione al processo di unificazione del diritto europeo dei contratti. Tale compito comporta in termini logici un punto di partenza, un viaggio ed un punto di arrivo. Il punto di partenza non può che essere costitutito dagli obiettivi e condizioni imposte o proposte dalle autorità europee al legislatore nazionale; vale a dire dalle direttiva, regolamenti, convenzioni e altre disposizioni del diritto comunitario in materia di tutela dei consumatori; il viaggio consiste non solo nel resoconto della normativa nazionale, ma anche nell’ analisi della risposta del legislatore patrio con specifico riferimento alle modalità ed al grado di realizzazione di quegli obiettivi; il punto di arrivo non può che essere il significato di tale interazione quanto alla armonizzazione del diritto civile nazionale con quello degli altri paesi, e cioè al contributo e/o difficoltà che essa comporta rispetto alla possibilità di unificazione dei codici. 2. Spero che la difficoltà del compito possa concedermi pochi minuto per illustrare l’ itinerario che ho ritenuto di seguire. Il viaggio infatti, già difficiele, è reso a mio avviso ancora più avventuroso dall’ impressione che, durante la strada, sia la partenza che il luogo di destinazione sembrano divenuti abbastanza evanescenti e sfuocati. Se infatti incominciamo dall’ inizio, chiedendoci proprio quali siano gli obiettivi, condizioni e modalità suggerite ai paesi membri per raggiungere l’ unificazione dei codici, mi sembra che agli indubbi progressi conseguiti quanto all’ impianto delle strutture organizzative di “codificatori”, non faccia riscontro analogo avanzamento quanto agli scopi e metodi dell’ unificazione. Il Parlamento europeo, nella risoluzione del 23 marzo 2006, appare assai lontano dagli entusiasmi iniziali quanto alla redazione del codice. Dopo aver esordito osservando che: “…it is by no means clear what it will lead to in terms of practical outcomes or on what legal basis any binding instrument or instruments will be adopted….” il Parlamento accusa in pratica la Commissione di predisporre un’ unificazione “sotterranea” sotto il mantello del “miglioramento” delle tecniche redazionali 1 , rivendica con assoluta decisione il primato e la “appartenenza” del processo all’ autorità politica 2 , chiede a gran voce di essere dotato di proprie strutture organizzative3 (che indubbiamente entreranno in concorrenza con quelle già 1 “.....whereas, whilst it seems that the European contract law initiative as described in the Commission communication of 11 October ........should be seen primarily as an exercise in better law-making at EU level, even though the Commission denies that this is its objective, it is clear that many of the researchers and stakeholders working on the project believe that the ultimate long-term outcome will be a European code of obligations or even a full-blown European Civil Code...”, 2 “.... whereas the decision to work towards and on such a Code must be taken by the political authorities, since the very decision to opt for a Code is political and its content, albeit legal, is predicated on social and political objectives....” . “...whereas, even if the initiative in its present form is limited to rationalising and tidying up the acquis in the field of consumer protection and to producing optional standard contract terms and conditions, it is essential that the political authorities have a proper input into the process”. “.... whereas the final product of the initiative should be open to amendment by the EC legislature and should be formally adopted by it.”. 3 29. In order to give this ambitious and long-term project the visibility and attention which it warrants, undertakes to reflect carefully on how it should best be dealt with in Parliament itself, and accordingly suggests the setting-up of a parliamentary project team which should be properly resourced in order to deal with this long-term project over the period of the current parliamentary term and which should reflect the enhanced cooperation procedure between committees; operanti), afferma che la conservazione e lo sviluppo delle regole in materia di diritto europeo dei consumatori costituisce condicio sine qua non del processo di unificazione 4 . Quanto alla Commissione sarà sufficiente osservare che le opzioni presentate fin dagli esordi dell’ iniziativa di unificazione, vale a dire: - natura cogente od opzionale dello strumento, - carattere verticale od orizzontale del procedimento; - grado minimo o massimo di armonizzazione; - limitazione al diritto dei consumatori o generalità degli ambiti. erano e sono, all’ inizio del 2007, ancora oggetto di discussione5 . Chi scrive ha sostenuto fin dall’ inizio che il Common Core dell’ armonizzazione comunitaria non poteva che essere costituito che dal diritto positivo comunitario in materia contrattuale6 ma, in verità a parte la risoluzione del parlamento sopra citata, non ha ancora ben chiaro in quale momento ed in virtù di quale ratio la Commissione abbia ritenuto di porre al centro del progetto la razionalizzazione del diritto dei consumatori (verticale od orizzontale). 7 Quanto ai profili di diritto sostanziale essi sono tuttora dominati dalla discussione dell’ alternativa tra la concezione “strumentale” dell’ acquis comunitario, che regola i diritti delle parti (prevalentemente) in funzione delle esigenze del mercato e quella “classica” dei codici nazionali che àncora la disciplina (prevalentemente) alla giustizia delle parti8 . Questa alternativa si esprime, sul piano tecnico, nella diversa logica e risposta normativa presente rispettivamente nei “Principi” del diritto europeo dei contratti e nelle direttive comunitarie, entrambe vivamente patrocinate e difese dalla dottrina in discussioni recenti, ad es. nella riviste EPL ed ERCL degli ultimi anni. E’ passato (purtroppo per me ) molto tempo da quando ho sostenuto, proprio a Granada9 , e proprio in contrasto con l’ eccesso di entusiasmo che in quel momento circondava la PECL, che il processo di convergenza non poteva che avere al proprio centro il diritto positivo delle direttive e non poteva che proporsi, in un primo tempo, che la penetrazione della loro disciplina e della loro coerenza 4 G. whereas, given that the existing consumer protection acquis is a distinctive area of Community law which reflects the EC legislature's concern to deliver a high level of consumer protection in accordance with the Treaties, and although it is clear that the European contract law initiative has a wider remit of securing and developing the coherence of contract law as a whole, this exercise should not lead to a dilution of the values at the heart of the existing consumer protection acquis”. 5 Cfr. COM (2005) 456 del 23 settembre 2005; COM 06-744 dell’ 8 febbraio 2007 (libro verde della Commissione sulla Revisione dell’ acquistoi comunitario) e . V. anche gli citt. alla nota 7. 6 Le Fonti del diritto privato europeo, in Trattato di diritto privato europeo, 1° ediz., Padova – CEDAM 1998, vol. I, p. 7 Si confrontano in materia le due relazioni di Beale, European Contract law: better law making through the Common Frame of Reference, nella III sessione della conferenza di Londra del 23-26 settembre 2005 e di Schulte-Nölke The Review of the Consumer Acquis and the Common Frame of Reference – Progress, Key Issues and Perspectives, nella conferenza di Vienna del 26 maggio 2006 (successivamente alla risoluzione del Parlamento Europeo sopra citata). V. inoltre ancora, in comparazione, i due documenti citati supra, nota 5. Nei documenti puiù recenti gli obiettivi dell’ iniziativa e l’ ampiezza del CFR appaiono notevolmente delimitati. 8 Qui , devo aggiungere, a dire dei più: poiché per quanto mi concerne sono convinto – insieme a molti altri e non solo nei sistemi codificati – che già nelle codificazioni classiche il rilievo della autonomia contrattuale opera in quadro ben saldo di garanzie “strumentali”, se non altro, alla conservazione dei presupposti operativi della medesima e, per di più, alla tutela degli interessi dei terzi. 9 Scannicchio, Mercato comune, Mercato unico e tecniche di integrazione del diritto privato in Europa, in Riv. Critica di diritto privato, 2002, p. 415 ss.; ID, Criterios Y dificultades para la unificaicòn del derechomprivado europeo: impacto del derecho comunitario en los ordinamientosinternos, in La cooperaciòn judicial en materia civil y la unificaciòn del derecho privado en Europa, a cura di Sanchez – Escudero), Dykinson, 2003. interna nei codici civili degli Stati membri. Se perciò non posso non approvare la direzione che stanno prendendo gli eventi mi sembra che non sia ancora sufficiente la consapevolezza delle ragioni che la rendono non “preferibile”, ma necessaria. Vale a dire la consapevolezza che il conflitto fra regole delle direttive, codici e PECL non è semplicemente tecnico, ne è sanabile con operazioni di drafting, in quanto in esso si esprime una disomogeneità “necessaria” dell’ acquisto comunitario – non solo in materia di diritto dei consumatori – rispetto alle strutture di mercato degli stati nazionali che esso “deve” correggere. Il primo risponde a valori, obiettivi e compromessi in parte diversi da quelli dei sistemi nazionali e dei loro codici e, se non ci fosse questa contraddizione, non ci sarebbe neanche l’ Unione Europea (o non ce ne sarebbe bisogno). Tuttavvia non solo le logiche, ma anche i rispettivi corpi normativi sono costretti nel Common Frame of Reference ad una difficile convivenza10 ed è chiaro che ciò non è quanto di meglio i sistemi nazionali possano auspicare quanto a chiarezza degli obiettivi “unitari” da perseguire al proprio interno. 3. La situazione non è molto migliore se si guarda al punto d’ arrivo. Se infatti per venire ora al tema del mio intervento, si esamina il significato complessivo della codificazione dei consumi in Italia si deve registrare una forte incertezza proprio quanto alla capacità e al grado di “armonizzazione” realizzati da questa esperienza. Infatti i giudizi sull’ effettiva portata della “razionalità” introdotta nel disordinato complesso di direttive che vi sono state riunite, nonché sulla effettiva influenza (innovativa) portata innovativa del codice speciale rispetto a quello generale sono assai discordi e variano dall’ idea che si tratti di una pura operazione propagandistica a quella che vi assegna una portata “rifondativa” di alcuni importanti settori del codice Civile. Per un verso, si osserva, nomina sunt rerum e quindi la pura raccolta delle disposizioni all’ interno di un “codice” conferisce alla materia un significato unitario e una influenza interpretativa sul sistema civilistico generale; per l’ altro, si risponde, la sovrapposizione dell’ etichetta di “codice” a quella che resta una pura raccolta di testi costituisce un’ operazioni pubblicitaria, non priva di complicazioni rispetto alla preesistente situazione. Se, come si vedrà, il nuovo codice introduce alcune innovazioni in materia di invalidità del contratto, esso per altro verso sottrae dal Codice civile la disciplina delle clausole abusive che vi era prima contenuta. Il risultato dell’ operazione è comunque negativo in quanto l’ isolamento delle innovazioni in un codice speciale ne impedisce l’ interpretazione estensiva e la comunicazione della capacità innovativa dell’ acquis comunitario al corpo generale del sistema. In definitiva dunque, al di là dell’ unificazione di numerose (ma non tutte) disposizioni comunitarie in materia di contratti al consumo, lo stesso sistema armonizzato – l’ oggetto e destinatario dell’ uniformazione – non esprime un chiaro significato e, tutto sommato, non ha ben chiaro cosa abbia fatto (se un unificazione verticale, orizzontale o un’ adeguamento del codice civile). Se a ciò si aggiunge che in altri sistemi, come quello francese, l’ azione legislativa ha preso la via della riforma complessiva del codice generale delle obbligazioni – in parte proprio come risposta ed adeguamento alle proposte di armonizzazione del diritto contattuale europeo 11 - si può concludere che anche le situazioni nazionali offrono la stessa incertezza sul cammino da compiere della Commissione europea 12 . 10 Sul punto, nell’ ambito dell’ alternativa qui esaminata, cfr. fin d’ ora Grundmann, European Contract Law(s):of What Color, in ERCL, 2005, p. 184 ss; C. Schmid, The instrumentalist Conception of the Acquis Communautairein Consumer Law and its Implicationsin A European Contract Law Code, ivi, pp. 211 ss. 11 Avant Project de reforme du droit des obligations, presentato al Ministro della giustizia il 22 settembre 2005 ed, ivi, i nn 2 e 8 della presentazione di P. Catala. 12 L’ incertezza sulla metodologia di inserimento delle innovazioni comunitarie si riflette anche in altri sistemi. Si veda ad esempio L. Miller, After the unfair Contract Terms Directive: Recent European Diorectives and English Law, in ERCL, 2007, p. 88 ss. , sulla difficile convivenza fianco a fianco del Sale of Goods Act e delle disposizioni di attuazione della direttiva sulla garanzia delle vendite in Inghilterra. Incertezza che da luogo a due sistemi in parte convergenti e in parte alternativi. Commento: [L’ alternativa sta dunque – è bene dirlo subito non già tra le ragioni della libertà contrattuale e quelle della tutela dei consumatori (o dei risparmiatori, o dei subfornitori, o dei lavoratori, etc.); ma tra le ragioni della libertà contrattuale con riferimento e all’ interno dell’ equilibrio dei mercati nazionali e quelle della medesima all’ interno e con riferimento agli equilibri del mercato unico. I.4. Questa essendo il disperante stato della questione al vostro relatore non resta - per evitare una noiosissima elencazione di disposizioni prive persino, data l’ estraneità del sistema di riferimento, di un qualche vago interesse avvocatesco - che fidarsi del proprio giudizio ed individuare per conto proprio una chiave di lettura - un punto di partenza, un percorso ed un punto d’ arrivo - che renda possibile selezionare e discutere proficuamente solo alcuni aspetti essenziali del codice, provvisti di una qualche consolante relazione col problema – l’ unificazione – che qui ci interessa. E il giudizio del Vostro relatore – già più volte espresso e che risulterà meglio giustificato più avanti – è che a questo stadio del processo di costruzione del codice europeo il problema centrale sia costituito dall’ armonizzazione orizzontale del corpus normativo contenuto nelle direttive, come attuate nei sistemi nazionali di riferimento. Infatti il processo di better law making interno a ciascuna direttiva – già intrapreso dalla commissione fin dal 2005 e che costituisce giustamente un presupposto essenziale dell’ armonizzazione opportunamente affidato alle istituzioni comunitarie – presenta dal punto di vista dell’ unificazione del diritto delle obbligazioni un limite insuperabile. Questo non è dato – come qualcuno potrebbe pensare - dalla produzione di noiosissimi questionari sulla più opportuna durata in ore, giorni e minuti per il termine di recesso; se i giorni debbano essere quelli del calendario o quelli lavorativi; se un SMS sia o no una comunicazione a distanza ai sensi della direttiva, etc. Tutte questioni da cui persone eleganti e sofisticate come i professori universitari istintivamente rifuggono e potrebbero tranquillamente venir decise da qualsiasi giudice di pace ove saldamente provvisto di alcuni fermi principi. Esso è dato invece dal fatto che, nell’ ambito delle legislazioni di settore, le fondamentali differenze dei sistemi contrattuali europee – quelle che appassionano i professori universitari e la cui eliminazione è lo scopo dell’ unificazione hanno l’ abitudine di scomparire educatamente insieme a tutte le enormi varietà di soluzioni pratiche che a quelle grandi differenze sono legate. Per ricomparire però poi in tutta la loro scomodità quando si tratta di trarre dal sistema generale quelle conseguenze che la legislazione di settore non può regolare minutamente 13 . Come ha mostrato Whittaker la asserita 14 distinzione sulla natura stessa del contratto - accordo e incontro “puro” dei consensi nella tradizione continentale e promessa assistita da consideration in quella di Common law – non gioca alcun ruolo, ad es., nella materia delle clausole abusive (si potrebbero aggiungere molte altre direttive), che riguarda esclusivamente contratti corrispettivi 15 . Allo stesso modo l’ altra grande differenza – la possibile sussistenza, solo nel diritto continentale, della fonte contrattuale in presenza di comportamenti dovuti da una parte, come l’ obbligo di contrarre del monopolista – diviene completamente assurda nella stessa materia in quanto condurrebbe a privare il consumatore di ogni tutela contro clausole predisposte proprio quando questa è più necessaria. Questa circostanza, che rappresenta un vantaggio della integrazione settoriale, cessa di essere favorevole quando si procede sulla via dell’ armonizzazione, proprio in quanto nasconde gli elementi più necessari della medesima 16 . 13 14 Dico “asserita” perché non mi risulta che nel diritto italiano sia ammissibile un contratto a prestazioni di una sola parte basato sul puro consenso. Oltre a necessitare della vituperata “causa” tale obbligazione necessiterebbe della forma scritta a pena di nullità in caso di trasferimento di beni immobili e della contestuale consegna materiale del bene (o dell’ erogazione materiale del servizio) negli altri. In altri casi (art. 1822) il sorgere di un’ obbligazione si giustifica –come in common law – sulla base dell’ esistenza di un affidamento o “reliance”, Questo è vero anche della maggior parte dei negozi unilaterali che vengono generalmente considerati contratti, come la fideiussione. 15 Si veda Sacco, Il contratto, vol. I. Torino, Utet, 1993, p. 648 dove osserva che “…se noi chiamassimo contratto solo l’ accordo a titolo oneroso la dottrina della causa sarebbe tanto semplice e razionale quanto lo è quella della consideration”. 16 Si veda Schulte-Nölke, supra, nota 6. La valutazione dell’ impatto pratico della direttiva sulle clausole abusive comporta la soluzione dei seguenti problemi ad essa esterni: - whether there are other protection instruments which help a consumer in cases where the rules on unfair terms do not apply (e.g. rules on the invalidity of a contract because of an excessive price); Commento: L’ approccio orizzontale è perciò un passaggio obbligato dall’ uno all’ altro processo, ma dev’ essere innanzi tutto interno. In altre parole occorre ricondurre l’ intervento settoriale alla razionalità generale del sistema nazionale e saranno precisamente i “principi” (comunitari) comuni alla logica settoriale a teleguidare la trasformazione della codificazione interna. Su questa base si può arrivare ad un uniformazione tra codici nazionali GIA’ armonizzati. NB qui c’ è un problema se l’ armonizzazione orizzontale è solo interna all’ acquis o si estende al coordinamento con i codici nazionali. L’ idea è quella della concorrenza, perché il coordnamento interno all’a cquis si riflett direttamente sul diritto interno L’ approccio orizzontale è perciò un passaggio obbligato sulla strada che porta dalla semplice introduzione di nuovi contenuti alla integrazione dei sistemi civilistici dell’ Unione. Questa operazione deve necessariamente essere condotta su due livelli. Un primo livello è quello della riconduzione dell’ acquisto comunitario a nozioni internamente coerenti ; un secondo livello è quello della riconduzione del diritto nazionale delle obbligazioni a coerenza con tale set di regole. E’ chiaro che si tratta di due livelli solo idealmente separati, che possono coincidere nel tempo e nei protagonisti. Tuttavia è opinione del vostro relatore che tra questi due livelli vi sia una logica relazione gerarchica. Nel senso che l’ operazione di sistemazione “interna” alle direttive e regolamenti è un’ operazione fondamentalmente “comunitaria” 17 che ha per protagonista e motore le relative istituzioni, mentre quella di riconduzione dei codici civili nazionali a comune coerenza col diritto privato così prodotto è un’ operazione fondamentalmente “europea” 18 , che non può non avere come protagonisti di pari dignità anche gli Stati membri, i cui codici costituiscono l’ oggetto della “messa a norma”. Anche le ragioni di questa scelta sono state da me già argomentate e cercherò di chiarirle più avanti: ma fin d’ ora è possibile avanzare un forte argomento a sua difesa: il vantaggio, politico e sistematico, che sia la stessa coerenza ed unità interne acquisite dal diritto europeo dei consumatori piuttosto che il bastone del comando a “teleguidare” la trasformazione delle regole codicistiche nazionali in una direzione compatibile con esse, e per ciò stesso uniforme, sono troppo grandi per potervi facilmente rinunciare. La sequenza è quindi, diritto “comunitario” dei consumatori dotato di una sua interna coerenza; diritto privato “europeo” – cioè diritto nazionale interno uniforme – che investa il raccordo tra acquis comunitario, principi generali e regole positive civilistici; diritto civile (dei contratti) uniforme quale (possibile) esito finale di questa operazione. In questo paradigma posso finalmente trovare una direzione obbligata per il mio intervento che, coerentemente a quanto ho detto, riguarderà fondamentalmente non l’ intero codice di consumo ma solo le novità che meglio mettono in luce le problematiche connesse all’ armonizzazione “orizzontale”. Dopo un sintetico ma purtroppo necessario accenno alla topografia generale del codice cercheràò di soffermarmi pertanto sulle singole sue parti che contengono elementi rilevanti quanto ai due profili che ho indicato: incidenza sulla coerenza interna del diritto dei consumatori e rilevanza sul raccordo con la legislazione civilistica generale cercando di isolare, tra queste, quelle che per avere un rilievo diretto rispetto alle tematiche del diritto europeo possano interessare una platea non domestica. Formulerò infine – ma solo se ne avrò tempo – alcune conclusioni ed opinioni sul futuro del processo di armonizzazione che, dopo quanto ho già detto, ciascuno si può facilmente immaginare. Se il tempo non ci sarà quello che dirò dovrebbe essere sufficiente almeno a giustificare le premesse che ho già avanzato. II. Come il suo fratello maggiore il codice di consumo italiano è diviso in sei parti, rispettivamente dedicate alle “Disposizioni generali”, all’ “Educazione, informazione e pubblicità”, al “Rapporto di Consumo”, alla “Sicurezza e qualità” dei prodotti e dei servizi, alle “associazioni dei consumatori e accesso alla giustizia” ed infine alle “Disposizioni finali” che contengono le disposizioni generali di raccordo con il codice civile. - whether a consumer may be entitled to damages in case of unfair contract terms (e.g. rules on damages in case of fraud); - how a contract considered to be unfair, and therefore invalid, is unravelled; to what extent the consumer will get his money back or has to pay compensation for the use of a product (e.g. rules on avoidance or on unjustified enrichment). 17 Anche se ovviamente dovrà avvenire in collegamento con i risultati cui pervengono i paesi membri e con la partecipazione più stretta dei medesimi, anche per tener conto delle modifiche derivanti dai livelli di armonizzazione 18 Utilizzo volutamente i due differenti aggettivi per indicare da un lato la fase di produzione del diritto armonizzato da parte delle istituzioni dell’ Unione e, dall’ altra, la sua trasformazione in diritto interno uniforme in ciascuno stato nazionale. Commento: C’ è il problema di dove mettere una valutazione complessiva del sistema italiano tra Codice e Testo Unico. Può andare di seguito alle divergenze di vedute già espresse nel § 1.3. Oppure in fondo al n. I di questa sez. II. Oppure alla fine, prima della conclusione. In ogni caso va indicato che: il codice civile italiano è un codice di commercio II.1.Com’ è possibile vedere dalla semplice elencazione la suddivisione del codice è ispirata – con qualche modifica topografica - all’ art. 153 del trattato, la cui espressa citazione (insieme alla costituzione italiana) rappresenta l’ unica modifica dell’ art. 1 rispetto all’ art. 1 della legge di attuazione della direttiva 98-27 19 . Il richiamo all’ art. 153 non rappresenta però solamente una cornice tipografica del codice in quanto, insieme al richiamo alla Costituzione italiana, va collegato all’ art. 2 del medesimo nel quale le finalità perseguite dalla norma comunitaria vengono trasformate in altrettanti “diritti fondamentali” del consumatore. La formula in questione era in realtà già contenuta nella legge 281 del 1998, di attuazione della direttiva 98-27. Tuttavvia una volta provveduta di cotanta copertura il suo ruolo e significato assumono una differente portata. Questo apre immediatamente un problema “orizzontale” che può avere rilievo anche al di fuori dell’ esperienza italiana. E’ infatti evidente che la disposizione nazionale va ben al di là dell’ art. 153. Per quest’ ultimo infatti la tutela dei consumatori costituisce un elemento da valutare nella attuazione delle altre politiche comunitarie. Nella formulazione del Codice i “diritti fondamentali” dei consumatori divengono un parametro di valutazione (non delle politiche ma) delle attività pertinenti alla materia, capace di generare i relativi obblighi. Quali siano i soggetti destinatari della detta valutazione non è chiaro: certamente non può trattarsi del legislatore, ma altrettanto certamente può trattarsi dell’ autorità amministrativa. Può il destinatario di tale “diritto fondamentale” essere la controparte contrattuale ? Almeno in due ipotesi parrebbe di sì, in quanto le lettere e) ed f) della disposizione istituiscono il diritto (fondamentale) “alla correttezza, alla trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali;” e quello “all’ erogazione di servizi pubblici secondo standards di qualità ed efficienza” 20 . Il problema, come dicevo – è orizzontale. Quid ad esempio se venisse ritenuto non conforme a correttezza o trasparenza un comportamento che, ai sensi della direttiva 05-29, non costituisce una pratica “sleale” ? La disposizione in questione per la sua estrema generalità e per la efficacia “fondamentale” può entrare in collisione con qualunque disposizione comunitaria che fornisce una protezione “massima”. Ed il problema sussiste, a maggior ragione, per quei sistemi come la Spagna e il Portogallo in cui i diritti dei consumatori godono di copertura costituzionale. In tutti questi casi una protezione completa ha – per definizione – una portata deregolativa, così come la protezione nazionale ha – per definizione – la possibilità di creare ostacoli alla libertà contrattuale e di circolazione. La questione rimanda al processo di “costituzionalizzazione” dei diritti dei consumatori 21 e dunque alla discussione sopra ricordata che oppone la strumentalità della concezione comunitaria alla 19 Si tratta della Legge n. 281 del 1998. Per comodità del lettore si inseriscono di seguito le materie suddivise nelle diverse parti: Parte I: finalità (art. 1) diritti dei consumatori (art. 2); Definizioni Parte II: Educazione (Titolo I); Informazione (Titolo II, obbligo generale d’ informazione, contenuto minimo, indicazione dei przzi e sanzioni); Pubblicità (Titolo III: disposizioni generali, pubblicità ingannevole, forme aggressive di pubblicità, tutela dei minori; sanzioni e rimedi) Parte III: Parte generale : Contratto in genere (Titolo I: Clausole abusive); Esercizio del commercio (titolo II: dovere di correttezza e rinvio alle norme bancarie per il credito al consumo); Particolari modalità contrattuali (Titolo III: contratti doorstep; contratti a distanza; diritto di recesso); Singoli contratti (Titolo IV: Multiproprietà, Contratto di viaggio e rinvio alle norme particolari per i servizi pubblici);. Parte IV: Riproduce fondamentalmente la direttiva sulla sicurezza dei prodotti, quella sulla responsabilità per prodotti dannosi e quella sulla vendita dei beni di consumo. Paerte V: associazioni dei consumatori (Titolo I: disciplina delle associazioni): zione inibitoria e altri rimedi (Titolo II: legittimazione ad agire, procedura e conciliazione). Parte VI: Modifiche al codice civile, norma di chiusura sull’ irrinunciabilità dei diritti e disposizioni finali. 20 Tale erogazione può tranquillamente avvenire nell’ ambito di un rapporto contrattuale, il cui prestatore può anche essere un’ impresa privata e che – ove comporti la lesione di diritti- , sarà sottoposto alla giurisdizione ordinaria e non a quella amministrativa. 21 Su v. da ultimo ALPA, Il codice dei consumi, in “I contratti”, 2005, p. 1058. tradizione classica del contratto. Sul punto non è possibile qui soffermarsi , se non per mettere in evidenza come entrambe le concezioni possano venir utilizzate tanto a sostegno che contro tale argomento. Come si vede dall’ esempio avanzato le osservazioni ispirate a cautela nei confronti di un approccio per clausole generali e per armonizzazione massima 22 non riguardano problemi “ideologici” ma precisamente l’ assetto pratico del rapporto fra legislazione statale (civile) e acquisto comunitario. Un esempio – La generalizzazione dell’ azione inibitoria (art. 139, co. 1°) II.2 La parte II del codice è dedicata alla educazione, informazione e pubblicità. Va subito detto, quanto a quest’ ultima, che sebbene all’ emanazione del codice fosse già in forza la direttiva 200529 il legislatore non ha colto l’ occasione per inserirla immediatamente nel testo normativo. Ciò, probabilmente, anche a causa dei problemi sollevati dal criterio di armonizzazione completa cui quest’ ultima è ispirata. Per questa parte dunque il codice nasce “morto” in quanto l’ intero Titolo (III) destinato all’ attuazione della direttiva 84-450 dovrà venir sostituito o modificato. Nonostante ciò questa sezione contiene alcune disposizioni interessanti per il diritto privato europeo. II.2.a. In tema di informazione gli artt. 6,7 e 9 – che rispettivamente determinano il contenuto minimo delle informazioni relative a prodotti, le modalità do indicazione delle medesime e l’ obbligo di rilasciarle in lingua italiana – stabiliscono per la prima volta in termini chiari un vero e proprio obbligo di informazione a carico del fornitore. Con riferimento alle disposizioni in questione il dovere di informazione non costituisce semplice oggetto di un duty of disclosure rilevante nel rapporto precontrattuale, ma un vero e proprio elemento strutturale dell’ attività professionale. Infatti le disposizioni in questione riguardano il “contenuto minimo” delle comunicazioni da effettuare e sono chiuse da una norma (art. 11) che sancisce il divieto di commercializzazione dei prodotti che non recano le dette indicazioni, Ciò richiama immediatamente l’ operatività delle regole codicistiche che dettano la nullità dei contratti aventi per oggetto beni fuori commercio. II.2.b Questa parte del codice si segnala anche perché contiene ben due definizioni di consumatore che si allontanano da quella stabilita a livello comunitaria e fin qui seguita anche in Italia, almeno dal legislatore. La norma di apertura della disciplina in materia di informazione si apre infatti statuendo che: “…ai fini del presente titolo si intende per consumatore o utente anche la persona fisica a cui sono dirette le informazioni commerciali”. Da tale formulazione buona parte dei primi commentatori ha tratto la conclusione che, la disciplina del diritto all’ informazione si applica anche ai professionisti, e questo indipendentemente dalla circostanza che questi stiano agendo nell’ esercizio dell’ attività professionale (e quindi ricevano l’ informazione nel luogo di lavoro o durante il medesimo) ovvero nell’ esercizio di attività estranee alla professione. Tale soluzione legislativa appare singolare dal momento che le disposizioni sulla pubblicità, che per la stessa direttiva 84-450 si estendevano anche ai professionisti, sono contenute in un altro capo della parte II. La tutela del professionista in materia di pubblicità verrebbe estesa quindi a tutto il settore dell’ informazione del consumatore. L’ estensione viene giustificata facendo appello al rilievo pubblicistico e generale dell’ esigenza all’ informazione e, conseguentemente, all’ estensione dell’ interesse ad eliminare le asimmetrie informative in ogni caso, anche a favore del professionista (purchè persona fisica) che, almeno in tale fase preparatoria della contrattazione, dovrebbe venir 22 Per una valutazione recente di tale dibattito GRUNDMANN, European Contract Law(s) of What color, in European Review of Contract Law, 2007, pp. 193 ss e passim. Cfr. anche SCHMID, The Instrumentalist Conception of the Acquis Communautaire in Consumer Law, ivi, p. 232 ss, comunque tutelato 23 . In realtà il sottoscritto non condivide tale conclusione. A mio avviso la disposizione in parola vuole semplicemente evitare – in modo assai maldestro – ogni interpretazione che faccia scattare la protezione solo dal momento della (o comunque in relazione alla) conclusione di un contratto 24 . La norma, in altre parole, è rivolta non al consumatore che subisce la pubblicità, ma al professionista che la somminstra, per significargli che il primo è protetto dal momento in cui l’ informazione gli è “diretta”. II.2.c. Effettiva pare invece la deroga regolata dall’ art. 18 cod. cons che, in materia questa volta di informazione pubblicitaria, considera consumatore o utente la persona fisica o giuridica cui sono dirette le “comunicazioni commerciali”. Non vi è dubbio questa volta che vi sia una qualche innovazione. E’ ovvio infatti che le norme in materia di pubblicità (quindi pubblicità ingannevole e comparativa, trasparenza, autoregolamentazioni, tutela inibitoria, etc.) si applicano in Italia anche ai professionisti, persone fisiche e giuridiche. Il problema è che tale concetto viene ampiamente espresso nel successivo art. 19 del codice, dove viene riprodotta la legge di attuazione della direttiva 84-450 sulla pubblicità ingannevole 25 . Pertanto non è assolutamente chiaro a cosa voglia riferirsi la disposizione in esame. Essa può significare che, in sostanza, l’ equiparazione fra consumatori e professionisti viene estesa a tutte le “comunicazioni commerciali”, in quanto ambito più ampio della pubblicità 26 anche ove siano dirette a società commerciali. Ma anche accogliendo la soluzione più restrittiva sopra proposta deve necessariamente significare che la nozione di consumatore contiene anche le persone 23 Sul punto si veda Taddei – Elmi, in Codice del consumo, commentario, a cura di VETTORI, Padova-Cedam, 2007, sub art. 5. L’ argomento, in verità, prova troppo. Esso dovrebbe venir esteso anche alle “persone non fisiche”. D’ altro canto la norma in questione “fa salvo” quanto disposto dall’ art. 3 sulla definizine di consumatore, Per cui la detta estensione dovrebbe riguardare la persona fisica a cui la pubblicità e diretta mentre si trova “fuori dell’ esercizio dell’ attività professionale. 24 La disposizione in questione contiene l’ inciso “.. fatto salvo quanto disposto dall’ art. 3, comma 1…”. Tale norma contiene l’ usuale definizione del consumatore quale soggetto che agisce per scopi estranei…”. Il termine agisce, soprattutto nel significato tecnico dell’ esercizio della capacità di agire, richiama immediatamente la stipulazione di atti o l’ emissione di dichiarazioni negoziali e, comunque, mal si adatta alla posizione pasiva di ricevere le informazioni. Lo scopo della norma dell’ art. 5 è di evitare l’ applicazione di tale termine, non della intera definizione. [NB art. 21 cost] 25 E’ da notare che la modifica degli artt. 3 e 18 del codice del consumo è stata originata da un parere dell’ Agenzia italiana di controllo della concorrenza e del mercato (AGCM). Nel suo parere ASS 299 del 2005 questa così si esprime: Per quanto attiene ai riflessi del Codice del consumo sulla disciplina di cui al decreto legislativo n. 74/92 (confluito negli artt. 19 ss. del Codice), l’Autorità intende innanzitutto rilevare come la definizione di “consumatore” fatta propria dallo schema di Codice in oggetto – e destinata per formulazione e collocazione ad assumere portata generale - risulti riduttiva rispetto a quella adottata dall’Autorità in sede di applicazione della disciplina in materia di pubblicità ingannevole e comparativa. L’art. 3, comma 1, lett. a) del Codice del consumo fa riferimento alla “persona fisica alla quale sono dirette le comunicazioni commerciali o che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”, mutuando la relativa definizione dalle discipline poste a tutela diretta dei consumatori. Diversamente, la nozione di consumatore adottata ai fini del decreto legislativo n. 74/92 ricomprende, da un lato, anche le persone giuridiche, dall’altro, anche soggetti che agiscono per scopi inerenti la propria attività imprenditoriale o professionale (BOLLETTINO N. 18 DEL 23 MAGGIO 2005 p. 36). Sennonché la circostanza che l’ art. 19, in tema di pubblicità ingannevole, già conteneva una definizione “estesa” del soggetto protetto, che comprende anche i professionisti, rende assai oscure la ragione dell’ intervento dell’ AGCM ed ancor di più quella per il quale il legislatore ha ripetuto il cocnetto ben tre volte. 26 In tal senso ancora Taddei – Elmi, op. cit, sub art. 18, p. 114 ss. L’ A. fa notare la difficoltà di distinguere i due concetti. In ogni caso mi pare che la estensione andrebbe al di là delle “comunicazioni commerciali ingannevoli”, in quanto il Titolo III di questa parte del Codice di consumo contiene anche disposizioni che non riguardano solo la pubblicità ingannevole e comparativa, ma anche la trasparenza e le vendite televisive. Pertanto oltre che l’ ambito soggettivo verrebbe probabilmente esteso anche l’ ambito oggettivo della tutela. giuridiche che non svolgono attività commerciale: vale a dire sostanzialmente a tutti gli enti sprovvisti di scopo di lucro. Per di più, poichè l’ attività di tali enti è in Italia rigidamente vincolata alla realizzazione degli scopi statutari – con controlli anche pubblicistici su tale conformità – la deroga ha un senso solamente se concerne precisamente l’ attività che viene esercitata ai fini istituzionali e non a quella – in pratica inesistente – che si svolga fuori di essi. Gli argomenti e controargomenti a giustificazione di questa disciplina occuperanno certamente gli Europei-italiani (giuristi, imprese e Corti) per i prossimi anni. Tralascio quindi di angustiare anche gli Europei-stranieri. Dal momento però che nel libro verde sulla revisione dell’ acquis la Commissione ha ventilato l’ ipotesi di una estensione orizzontale della nozione di consumatore 27 chiedendo sul punto il parere degli interessati, tanto vale che gliene forniamo uno, anche se disinteressato. Tanto più che nell’ esaminare il punto in questione la Commissione ha tralasciato di occuparsi proprio delle persone giuridiche non commerciali. Osservo in primo luogo che l’ estensione del concetto di consumatore agli enti non lucrativi non può essere giustificata né solamente in termini di posizione contrattuale (asimmetria informativa), né solamente in termini di giustizia corrispettiva (debolezza contrattuale)28 . A mio avviso la deroga in questione ha infatti alla sua base sia ragioni di ordine dogmatico che ragioni di ordine pubblico. Sul piano teorico è qui rilevante la tradizione codicistica italiana che ha sempre richiesto ai fini di qualificare il professionista non solo l’ organizzazione (che esiste), ma anche lo scopo di lucro (che non esiste); sul piano generale opera l’ interesse pubblico che l’ ordinamento assegna all’ azione di tali enti anche nel quadro del pluralismo economico e sociale. L’ insieme di questi fattori può spiegare la determinazione del legislatore di sottrarre l’ ente non commerciale alla posizione di professionista almeno quanto alla fase “passiva” di ricezione dell’ informazione pubblicitaria. In verità in questo momento la posizione dell’ ente non profit, a differenza che per gli altri soggetti, non è “neutrale”. Mentre questi ultimi infatti sono liberi di orientarsi, in questo momento, verso una scelta di carattere commerciale od una di carattere personale per i primi l’ informazione in questione opera sempre sulla determinazione “istituzionale” (di pubblico interesse) del soggetto. Basti osservare che poiché l’ ente lucrativo non è imprenditore, ma non è neanche (consumatore) persona fisica, potrebbe venir escluso persino dalla larghissima legittimazione ad attivare i rimedi contro la pubblicità ingannevole. Quale che sia la soluzione in parola è evidente però che la disciplina del Codice cons. entra in notevole contrasto con la nozione assunta a livello comunitario, soprattutto alla luce delle risolute affermazioni della Corte di Giustizia quanto al suo riferimento esclusivo alla persona fisica. La vocazione “orizzontale” di queste pagine mi spinge però ad avanzare un esitante argomento a favore della tradizione civilistica italiana (e forse anche di qualcun altro) che, senza scomodare le nozioni di debolezza economica, interesse generale e/o uguaglianza materiale possono giustificare, sul semplice piano dell’ equilibrio contrattuale, tale estensione della nozione di consumatore. Nell’ ambito del diritto europeo dei consumatori la qualità di professionista è collegata alla vocazione del soggetto al mercato: è l’ attività commerciale che fa il professionista. Tale nozione non è necessariamente collegata allo scopo di lucro ma certamente implica appunto la azione in senso economico: la capacità cioè di gestire rischi, responsabilità e informazioni, di organizzarsi per questo e di esercitare la relativa diligenza. Sotto questo profilo non c’ è alcuna ragione di discrminare una entità istituzionale, in qualche modo dotata di un’ organizzazione e comunque operante sul mercato, dall’ onere di informarsi in maniera “professionale” e allo stesso modo proteggersi dalle altrui comunicazioni. Se tuttavia noi esaminiamo la disciplina dei contratti ci avvediamo subito che il codice civile italiano, ma direi tutti quelli del mondo e anche la common law, praticano fortissimi sconti a chiunque svolga un’ attività, che pure è generalmente svolta professionalmente, a titolo gratuito. E’ 27 Allegato A, punto 4.1, quesito b. 1, p. 15 della versione italiana. Questi fattori possono infatti sussistere anche a favore di altri soggetti (singoli imprenditori, subfornitori etc,) che non sono tutelati dalla norma. 28 normale che chi trasporta un amico a titolo gratuito non subisce le stesse responsabilità del vettore professionale; chi gli conserva la valigia risponde della sua perdita solo per dolo e colpa grave; chi trova una cosa smarrita non ha, ai fini della sua restituzione, gli stessi obblighi di diligenza dovuti dal custode, etc., etc. In altri termini è precisamente la dimensione contrattuale, prima ancora che lo status “professionale” , che riduce rischi, responsabilità e diligenza del prestatore “gratuito”. Il codice civile italiano contiene in proposito una disposizione molto significativa in tema di deposito, per essa “ il deposito si presume gratuito a meno che diversamente non risulti dalla qualità professionale del depositario”. La qualità professionale, l’ agire per il mercato, genera l’ onerosità del contratto che a sua volta genera l’ insieme di fattori (rischi etc.) da cui il professionista si deve, avvedutamente, proteggere. Ma se questo è (esitantemente) vero, è allora è anche vero che l’ ente non lucrativo – che per la Corte di giustizia UE anche quando consuma è ugualmente professionista (imprenditore) – non è invece professionista (imprenditore) precisamente quando opera in veste di prestatore. E questo non già perché non possiede scopo di lucro o non possiede organizzazione, ma proprio in quanto, in assenza di tale scopo, la sua organizzazione, diligenza, attenzione e propensione al rischio saranno commisurate alla correlativa riduzione di tutti tali fattori che la legge gli consente: non saranno cioè attività ed organizzazione apprestate per il mercato 29 . E allora la domanda è: se l’ ente non lucrativo non è (o puo non essere) per legge “professionale” quando fa il prestatore, perché mai dovrebbe esserlo, e soprattutto come fa a diventarlo, quando diventa consumatore ? Mi sembra che sia la Commissione che la Corte di giustizia dovrebbero prestare qualche attenzione a questo esitante argomento, quanto meno ai fini di considerare la possibilità affidare l’ esclusione della persona giuridica non lucrativa dalla qualità di consumatore ad un giudizio in concreto, suscettibile di discriminare la situazione delle aziende comunali di fornitura di energia da quella, ad es., della Santa opera per il sollievo della sofferenza o dalle associazioni che si occupano di proteggere i cani abbandonati. Quasi certamente avranno la possibilità di farlo quando l’ entrata in vigore della direttiva pratiche sleali e della sua clausola di armonizzazione completa, metteranno completamente fuori gioco la deroga in questione. Per altri profili la parte II del codice si fa notare soprattutto per le sue omissioni. A parte la mancata occasione di adeguamento alla nuova direttiva del 2005 si è osservato che una enorme massa di legislazione concernente l’ informazione del consumatore. Così è ad es. per tutte le informazioni regolate nella legislazione concernente gli obblighi degli intermediari finanziari, per la sterminata legislazione dedicata alla “trasparenza” nei più vari settori, nonché per le numerosissime leggi e provvedimenti in materia di alimentazione 30 . La sezione non contempla e non si coordina neanche a molti obblighi di informazioni previsti nello stesso codice, come ad es. in materia di recesso e di vendite a distanza, ovvero in altre direttive comunitarie che pure vi sono richiamate, come quella sul commercio elettronico.31 III. La terza parte del codice, intitolata al “rapporto di consumo” ha come suo contenuto generale le disposizioni di recepimento della direttiva sulle clausole abusive; prosegue poi con un titolo dedicato alle “modalità contrattuali”, che in sostanza riproduce le leggi di attuazione delle direttive 29 In altre parole, come appunto accade generalmente in Italia, l’ organizzazione farà schifo. Ciò – si noti – per esigenze dello stesso mercato, in quanto un comportamento iper responsabile sarebbe antieconomico rispetto al livello di rischi e responsabilità che si devono fronteggiare. 30 Cfr. CALVO, il codice del consumo tra consolidazione di leggi e autonomia privata, in Contratto e impresa – Europa, 2007. p. 78 . In particola re il codice non contiene una definizione di “comunicazione commerciale” che esiste invecer, e avrebbe potuto essere adottata, nella lgge di attuazione della direttiva. 31 L’ art. 8, comma 2°, stabilisce che: “per i prodotti oggetto di disposizioni nazionali sull’ informazione del consumatore le norme del presente capo si applicano agli aspetti non regolati”. Sono inoltre esclusi “i prodotti oggetto di specifiche disposizioni contenute in direttive comunitarie e nelle relative legi di attuazione”. Differenza della clausole genralmente impiega nelle direttive tale esclusione non è limitata agli aspetti specificamente regolati, per cui non è chiaro se, anche in questo caso, le norme del codice operano come default per la parte non disciplinata. sulla vendita a domicilio e sui contratti a distanza, e si chiude con le disposizioni dedicate a “singoli contratti”. Nella specie il contratto di acquisto della proprietà ripartita (shared property) e il contratto di acquisto di viaggi a pacchetto, nei quali pure è sostanzialmente riprodotta la disciplina delle relative direttive. Sebbene l’ opera più meritoria del legislatore sia a mio avviso quella di aver unificato – in una logica orizzontale - per lo meno la disciplina del recesso (salvo la parte relativa all’ informazione) delle due modalità di vendita, il punto più interessante della sezione è costituito dalla disciplina delle clausole abusive. Questa infatti, sebbene si limiti per lo più a riprodurre la disciplina previgente (ivi compresi gli errori di grammatica 32 ) contiene infatti le novità più significative del Titolo III e probabilmente dell’ intero codice. Vale a dire la espulsione della disciplina in questione dal codice civile (con relativo inserimento in quest’ ultimo di una disposizione di coordinamento: art. 140 cod. cons.) e la riformulazione della disciplina del rimedio individuale contro le clausole abusive. III.1.Mentre infatti la precedente disposizione del cod. civ. stabiliva l’ inefficacia delle clausole abusive, il Cod. cons. introduce un articolo (art. 36) intitolato alla nullità di protezione. Questo dispone che: a) “Le clausole …vessatorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto.” (co. 1°) e, b) La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ ufficio dal giudice.” (co. 3°). La disposizione quindi introduce per la prima volta in forma espressa, nella rigida ripartizione della invalidità (annullabilità o nullità) stabilita dal codice civile , una novità da lungo auspicata sull’ onda della tradizione francese. Vale a dire la nullità relativa, con effetti selettivi (indipendentemente dalla volontà delle parti di cui all’ art. 1419 c.c.) , legittimazione limitata alle parti (come nella annullabilità) e potere d’ intervento del giudice (come nella nullità). La presenza in questo simposio del Prof. Alpa mi dispensa dall’ intervenire sulla prima questione 33 . La presenza in Granada del Prof. Pasquau-Llano mi sconsiglia dal diffondermi sul processo che ha portato l’ ordinamento italiano verso la frantumazione della categoria della invalidità, segnatamente della nullità, in una serie di ipotesi speciali in cui la rigida ripartizione degli effetti delle diverse forme di invalidità si è trasformata in un mosaico, di volta in volta aderente ai diversi interessi protetti dalle discipline speciali. Di tale analisi Miguel Pasquau è stato non solo uno dei protagonisti, ma addirittura una dei fondatori e non potrei dunque che ripeterla, annoiandovi tutti. 3.2.Vorrei soffermarmi piuttosto su due problemi che, di nuovo, mi sembrano interessanti quanto alla diffusione orizzontale dell’ acquisto comunitario e che si pongono rispettivamente a livello teorico della dottrina italiana e al livello del diritto positivo. Il primo aspetto, pur essendo il meno importante dal punto di vista pratico, è degno di menzione perché illumina alcuni fenomeni non indifferenti rispetto al movimento di unificazione nel suo complesso. Si può qui muovere dalla considerazione che la dottrina italiana ha accolto l’ innovazione con un fervore ricostruttivo francamente sproporzionato rispetto al suo effettivo contenuto. Questo infatti per un verso riguarda solo il titolo della disposizione (la disciplina è rimasta identica), per altro verso era già stato chiarito non solo dalla giurisprudenza, ma dallo stesso 32 Grammatica italiana e legislativa- Mi riferisco ovviamente alla mancata correzione sintattica della infelice formulazione sulla buona fede e alla mancata eliminazione delle incongruenze e ripetizioni fra le ipotesi definite dalla lista “nera” e quelle regolate dalla lista “grigia”. 33 Il prof. lpa è stato in un primo tempo presidente della commissione di riforma del diritto dei consumatori è in tale veste si è battuto per la permanenza della direttiva 93-13 nel codice civile e per la correzione delle sopra citate manchevolezze della medesima. legislatore in moltissime leggi di attuazione di direttive anteriori e successive. Tale entusiasmo appare mosso dalla considerazione che l’ attribuzione del “nomen” avrebbe finalmente sollevato la disciplina speciale al livello di istituto generale, dotato quindi di capacità espansiva e suscettibile precisamente di produrre una generalizzazione della disciplina in questione prima all’ interno del codice del consumo (le cui “nullità” diverrebbero quasi tutte “protettive”) e poi nello stesso codice civile. Cioè, precisamente l’ effetto orizzontale su codice civile, quello di cui stiamo parlando. Sennonché una volta creato l’ istituto generale, occorre trovargli anche un’ altrettanto generale giustificazione e coerenza: ed articoli di questo genere nella tradizione continentale si trovano soltanto nei codici civili. Paradossalmente perciò la separazione delle clausole abusive dal codice civile ha avuto come effetto di ritorno – attraverso la “nullità protettiva” – la ricollocazione al centro del diritto dei consumatori del codice civile medesimo, la ripresa di una ricerca di coerenza sistematica del rimedio in questione 34 , il re-inquadramento della protezione del consumatore nel quadro tradizionale di protezione del soggetto astratto e della sua astratta libertà di volere (in quanto contraente debole, incapace, in posizione di subordinazione economica, etc.). In generale la ripresa di una serie di temi che le secche sentenze della Corte CE parevano aver allontanato. La nullità, nella tradizione civilistica, dev’ essere sorretta da un interesse generale e tale interesse è costituito dall’ interesse pubblico (non solo alla conservazione della struttura del mercato ma) alla libertà di scelta (economica, si dimentica di dire) del consumatore in quanto servente alla realizzazione dei diritti fondamentali. D’ altra parte il presidio di tale fondamentale situazione non può essere limitato al consumatore e va dunque esteso al cittadino in genere, né può riguardare solo il piano dell’ equilibrio di posizioni contrattuali, senza attingere quello della disparità di potere economico e della giustizia in genereale. Infine la presenza dell’ interesse pubblico all’ equilibrio del mercato, che pure assiste il consumatore, confligge (sempre, non solo nel caso della pubblicità) con la legittimazione relativa che va dunque estesa ai concorrenti, mentre la tutela della libertà di scelta comporta la possibilità di sanatoria. Alla fine, e non per caso, si arriva a smontare completamente il nuovo strumento proponendone una lettura in termini di annullabilità, più confacente alla circostanza che la disciplina delle clausole abusiva sanziona in definitiva dei comportamenti delle parti, piuttosto che il risultato cui vogliono pervenire. Ora non è mia intenzione qui confutare queste ricostruzioni sul piano del diritto positivo italiano, che non può interessare i presenti. Sul punto osservo solo – perché è importante per quanto dirò fra breve – che l’ intero movimento di riflusso verso il “dogma della volontà” prende spunto da una errata lettura della norma di coordinamento orizzontale fra il codice speciale e quello generale 35 . Il rilievo della questione è che il ritorno alla centralità del codice civile mette in pericolo e nell’ ombra precisamente il portato innovativo dell’ acquis europeo sul piano sistematico e teorico generale. La 34 Si dimentica che il nuovo istituto “unitario”£ è precisamente il frutto della disgregazione di quelli precedenti. In tal senso cfr. Passigli, in Il codice del consumo, commentario, cit. sub art. 36. L’ A. peraltro conclude anch’ esso per la disponibilità dell’ azione di nullità da parte del consumatore. 35 Per xhi fosse interessato osservo comunque che in presenza di una nullità di protezione, costruita appositamente per mediare fra la disciplina dlla nullità e quella dell’ annullabilità, appare scorretto attingere al codice civile esclusivamente le regole della nullità, tralasciando quelle della protezione; che la possibilità di convalida da parte del consumatore appare esclusa dalla regole generale che dispone la nullità dei patti di rinuncia ai diritti (art. 142, che nulla dispone quanto a legittimazione relativa); che l’ imprescrittibilità dell’ azione appare in contrasto proprio con il modello france ove l’ action en nullitè si prescrive in 5 anni (come l’ annullabilità italiana); che vi sono norme nello stesso codice di consumo che richiamano ipotesi di nullità assoluta in senso classico; che una legittimazione generale estesa ai concorrenti condurrebbe paradossalmente a concedere l’ azione di nullità allo stesso fornitore – controparte. Infatti poichè sarebbe fondata necessariamente sulla rilevanza generale e pubblicistica della tutela del mercato, l’ eventuale eccezione fondata sul principio nemo venire potest contra factum proprium dovrebbe positivamente fare la fine dell’ eccezione di estoppel considerata dalla Corte UE in Courage .Dovrebbe cioè venire respinta in quanto impedirebbe di raggiungere l’ obiettivo (difesa della concorrenza) perseguito dal diritto comunitario. Infine una pietra tombale sulla affermata vocazione unitaria e generalizzante del nuovo istituto è stata posta dalle due recenti leggi italiane denominate Pacchetto Bersani (1 e 2) che, intitolate alla protezione del consumatore , della concorrenza e del mercato, hanno riproposto un’ interminabile serie di nullità tutte regolate fuori del codice del consumo e dotate di propria disciplina. novità delle direttive consiste precisamente (1) nella reazione (appropriata o meno, qui non interessa) ad un modello concettuale ed economico ormai alternativo a quello codicistico, il modello del contratto di massa e seriale 36 , nell’ ambito di una dimensione del mercato - anch’ essa differente dall’ idea dei codici – nella quali almeno alcuni elementi strutturali della contrattazione pre-esistono alla volontà delle parti invece che venir creati o modificati da essa (in quanto appartengono al regno dell’ attività 37 ). Nonchè (2) nel dirigere tale reazione, sia pure attraverso la protezione dello spazio di scelta individuale del consumatore, non già contro il comportamento della controparte ma precisamente contro il risultato dell’ operazione, indirizzandola non solo all’ eliminazione del contratto, ma all’ eliminazione dell’ attività distorsiva del predisponente. Ed è precisamente questo, a mio avviso, l’ aspetto sistematico e generale dell’ acquis comunitario – rilevante non solo per i consumatori - meritevole di generalizzazione orizzontale anche verso il codice civile nazionale. III.3. Vengo ora al problema tecnico del coordinamento orizzontale tra il diritto dei consumatori europeo e la codificazione civile. Questo esame ci permette di esplorare le tecniche di diritto positivo attraverso cui il diritto privato comunitario viene veicolato nel sistema generale in termini di coordinamento, prevalenza o subordinazione rispetto al diritto classico; consente inoltre di esaminarne i risultati in termini di coerenza dellì’ esito complessivo. Fornisce, infine, qualche ulteriore motivo di interesse, quanto alle difficoltà di coordinamento tra i detti termini anche in altri paesi dell’ Unione e all’ interno della stessa esperienza del CFR. Per chiarezza è bene partire proprio dal dato positivo. Come ho precisato infatti alla base del movimento di ritorno alla teoria generale innescato dal codice del consumo c’ è la norma di coordinamento di quest’ ultimo (art. 38) per cui: “Per quanto non previsto dal codice ai contratti conclusi fra consumatore e professionista si applicano le disposizioni del codice civile. “ La disposizione va letta congiuntamente con l’ altra regola di raccordo, inserita questa volta nel codice civile (art. 1469 bis), che recita: “Le disposizioni del presente titolo si applicano al consumatore ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli al consumatore”. Il “presente titolo” essendo ovviamente quello che contiene le regole generali del contratto. (art. 1321 sg. Cod. civ.) La dottrina italiana ha in buona parte visto nelle due disposizioni una pura ripetizione; e proprio dal rinvio generale alla disciplina altrettanto generale del codice ha tratto spunto per le proprie ricostruzioni dogmatiche della nullità di protezione (in termini per l’ appunto codicistici). Tuttavia un’ altra lettura è possibile e quasi certamente più corretta. E’ ovvio infatti che per il collegamento gerarchico tra le due disposizioni e per necessità logica, la prima regola (quella del cod. cons.) va letta e può operare solo all’ interno della seconda38 . Perciò mentre la regola di rinvio del cod. civ. è “esclusiva” ( e cioè il codice generale opera o in alternativa o a latere di quello speciale, ma sempre al posto di esso ed in un rapporto tra generale e 36 Grundmann, op. cit., p. 206, fa riscontrare l’ esistenza di ormai due paradigmi contrattuali che si affiancano. Il contratto individuale e isolato ed il contratto di massa inserito in una catena di rapporti antecedenti e successivi. 37 Fenomeno perfettament visibile nelle circostanze che “attivano” le regole contrattuali. Circostanze che non consistono nella sola dichiarazione-espressione, ma nel fatto che essa viene accompagnata da “pratiche”, “sistemi di comunicazione a distanza”; sistemi di comunicazione commerciale, sistemi di vendita a domicilio, etc. 38 E’ infatti l’ applicazione della norma del codice civile che genera la deroga a favore del cod. cons. e rende possibile il funzionamento della seconda. Commento: [adde qui Grundman, critica alla sua tesi consequenzialista sulle preferenze] [Esempio della convalida nel nell’ ipotesi di inibitoria dell’ attività abusiva. Mettere qui il pacco di sale di Hicks] [il fatto che proprio tutto ciò giustifica l’ eliminazione della clausola e quindi la nullità] Far mnotare che viene eliminata precisamente la protezione dei terzi particolare); quella di richiamo del cod. cons. è “inclusiva”, in quanto le regole del codice civile operano nel codice del consumo se e quando quest’ ultimo è già in funzione ed all’ interno di esso. La differenza tra le due letture non è di poca importanza. In quanto, come si è visto, i due sistemi sono portatori di logiche – oltre che di regole – diverse. E mentre la prima interpretazione comporta la prevalenza della logica generale del codice civile, la seconda rende quest’ ultimo strumentale alla logica del codice di consumo ( e del diritto privato europeo); in quanto le sue norme non vengono richiamate tout court nella loro completezza, ma ai fini di colmare le lacune del Cod. cons. e, quindi, compatibilmente con l’ equilibrio di questo. Lo stesso problema – identico – esiste nel rapporto fra diritto privato europeo (delle direttive) e C.F.R. Anche le differenze pratiche sono significative. Ho affermato prima che questo esercizio è rilevante in generale nel diritto comunitario. Vale la pena di ricordare allora che di recente si è messo in luce come la direttiva sulle garanzie delle vendite abbia introdotto nella common law una logica completamente antitetica ad esso, sostituendo alla generale preferenza del rimedio in valore (il risarcimento) quello basato sulla esecuzione specifica. Ciò ha prodotto notevoli problemi nell’ attuazione e qualche soluzione limitativa del rimedio principale previsto dalla direttiva (riparazione e sostituzione), non propriamente conforme all’ ortodossia comunitaria. Anche in Italia, va sottolineato, la logica delle nullità “civilistica” è tuttora saldamente presidiata dalla tutela dell’ interesse proprietario e questo incide, ad es., sulla imprescrittibilità dell’ azione, determinando soluzioni non propriamente conformi alla natura commerciale degli interessi che sono in gioco 39 . Si può anche meglio comprendere ora – alla luce delle pur sommarie indicazioni fornite quanto alla disciplina delle “professioni” - la resistenza del sistema ad escludere dalla protezione gli enti non lucrativi e non operanti in regime di economicità. III.4.. L’ esigenza di trovare un raccordo orizzontale tra il quadro civilistico di riferimento e la disciplina speciale è resa poi ancora più stringente, sul piano del diritto positivo, dalla proliferazione di regimi di disciplina affiancati ma alternativi che l’ attuazione delle direttive sta introducendo nei sistemi nazionali. Servendoci ancora della common law come parametro vanno registrate di nuovo le difficoltà create al sistema dalla disciplina qui esaminata a causa della adozione con un atto separato ma coesistente con il Sale of Goods Act. Ci viene ora riferito che la differente scelta del legislatore inglese nella esecuzione della direttiva sulle garanzie – di integrare questa volta direttamente nello SGA la disciplina comunitaria – ha probabilmente peggiorato ancora la situazione. L’ esigenza di non privare il consumatore di una eventuale maggior protezione ha indotto a lasciare comunque in opera tutte le norme preesistenti ed ha, conseguentemente, prodotto una duplicazione di discipline e di rimedi in rapporto non chiaro che finisce per pregiudicare proprio la certezza del consumatore sulla protezione di cui dispone. Anche tale problema non è estraneo al sistema italiano. Proprio il codice del consumo ha eliminato la coesistenza tra il pre-esistente regime codicistico dei contratti per adesione e la nuova disciplina a favore dei consumatori. Il doppio regime lascia però sussistere qualche incertezza ed ipotesi di incerta attribuzione. Ma il settore delle clausole abusive è semplicemente l’ illustrazione di un problema più generale. Poche pagine più avanti l’ art. 135, in materia di garanzie della vendita, contiene un altro rinvio alle norme del codice civile “per quanto non previsto dal presente titolo” 40 , riproducendo l’ intero set di problemi che abbiamo fin qui illustrato. D’ altra parte lo stesso art. 142 (art. 1469 bis nov., inserito nel C.C.) contiene non uno, ma due criteri di coordinamento con la legislazione speciale. Infatti il codice civile viene derogato in favore del codice del consumo, ma anche in favore “….di altre disposizioni più favorevoli al consumatore”. E mentre sono regolate, nel modo che abbiamo visto, le relazioni fra i due codici nulla è detto circa i rapporti tra entrambi e le “disposizioni più 39 40 Cfr. la nota 36 sul punto della prescrizione. Si noti che l’ art. 38 – sopra riportato – richiama il Cod. civ. per quanto non previsto dal presente “codice”. Commento: Cit Rudden favorevoli” 41 . Non mancano inoltre – accanto a quello appena eliminato - altri casi di applicazione contemporanea dei due set normativi alla stessa situazione. Ad esempio sia le regole dei contratti a distanza che quelle in materia di commercio elettronico convivono con le norme generali del codice civile in tema di formazione del contratto, dal momento che la legge di attuazione della direttiva n. 30 del 2000 non ha fatto altro che ripetere, senza apportare alcuna variazione, che ai contratti on line si applicano “le regole della conclusione del contratto”. Vi sono poi ipotesi di interferenza normativa interne allo stesso codice del consumo. Si è già visto ad esempio che gli enti “persone giuridiche” non lucrativi sono consumatori quanto al regime della pubblicità, ma non lo sono quanto a tutto il resto 42 .L’ esempio più clamoroso è però costituito dal doppio regime di azione inibitoria che il codice di consumo ha introdotto, su cui vorrei soffermarmi un attimo poichè, per le ragioni già espresse, non mi occupo dell’ argomento. Si è già osservato che la novità forse più significativa dell’ intero apparato normativo è costituita dalla riformulazione della disciplina in materia di tutela dell’ interesse collettivo dei consumatori e, in particolare, dell’ azione inibitoria. Si è anche visto che tale riformulazione comporta una notevole estensione dell’ambito di applicazione della tutela in quanto: a) in virtù del collegamento fra l’ art. 139 e l’ art. 2 del Cod. Cons. l’ azione inibitoria si estende ora alla violazione di ogni ipotesi di comportamento lesivo del “diritto fondamentale” alla “correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali” , anche quando il comportamento in parola non contrasti con alcuna specifica disposizione del codice medesimo. Va ora aggiunto che l’ ambito di azione dell’ inibitoria è stato esteso anche sotto altri importanti aspetti, infatti l’ art. 140 del codice consente ora al giudice: b) di inibire non solo gli “atti”, ma anche i “comportamenti” lesivi dei diritti dei consumatori; c) di disporre provvedimenti non solamente impeditivi, ma anche positivi (ordine di fare) adottando “misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni…” d) di disporre la pubblicazione della sentenza sugli organi d’ informazione. Fin qui gli artt. 139 e 140. Tuttavia l’ azione inibitoria contro le clausole abusive regolata nel codice civile, che ha costituito l’ origine di questa disciplina, non è stata abrogata ma continua ad essere disciplinata nella Parte III del codice (art. 37). Si è in tal modo creato un altro regime “a doppia applicazione” nel quale, in virtù dei coordinamenti operati, all’ inibitoria “speciale” non si possono applicare le tre innovazioni di cui alle lettere a) b) c), sopra. Per di più – non è chiaro con quanta consapevolezza – l’ inibitoria “speciale” resta sotto altro aspetto più ampia di quella generalista. Infatti mentre l’ art. 37 continua a contemplare la legittimazione attiva dei concorrenti e delle camere di commercio, quella generale è stata limitata alle sole associazioni dei consumatori 43 . Lo stesso codice dei consumatori contiene quindi due diversi corpi normativi e due differenti logiche che si applicano allo stesso rapporto. E’ sufficiente poi osservare le differenti concenzioni dei presupposti necessari per l’ azione in esame per accorgersi che entrambe, ancora una volta, si scontrano con quella che ispira il codice di procedura civile italiano. 41 D. es. né l’ art. 38, ne l’ art. 135, che dispongono l’ integrazione del cod cons. con il cod civ. nella materia delle clausole abusive e della garanzia della vendita per la parte non regolata, fanno alcun cenno a quello che accade ove vi siano “norme più favorevoli. Anche in tal caso si riproduce l’ opzione fra i due sstemi e le loro diverse logiche. 42 D’ altro canto, sempre in materia di informazioni, vi sono rilevanti casi in cui il consumatore deve andare a cercarsi le norme di protezione in luoghi diversi dal codice del consumo. L e regole di quest’ ultimo infatti non si applicano “ai prodotti oggetto di specifiche disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie” (tra cui riventassima quella di estensione della responsabilità per prodotti dannosi in materia di agricoltura) mentre si applicano solo per la parte non regolata ai prodotti oggetto di specifiche disposizioni nazionali. 43 Cfr. E. Minervini, Contratti dei consumatori e tutela collettiva nel codice del consumo, in Contratto e impresa, 2006, p. 636. III.5. Le brevi osservazioni svolte mostrano che nel rapporto orizzontale tra legislazione comunitaria dei consumatori e diritto codificato nazionale esiste un doppio problema: una divergenza di logiche sottese ai due corpi normativi ; una convergenza di discipline intorno allo stesso rapporto ove, come quasi sempre accade, la legislazione comunitaria venga semplicemente aggiunta a quella già esistente o mal coordinata con esso. Entrambi i fenomeni sono in qualche modo strutturali. Il primo infatti consegue alla diversità di valori ed obiettivi dei due sistemi; il secondo alla necessaria convergenza nella posizione del consumatore della qualità di “soggetto” (anche) delle norme della legislazione civile. Può poi esistere – e si è visto che esiste almeno in italia ed Inghilterra – una convergenza interna fra disciplina nazionale e comunitaria dello stesso soggetto consumatore. Un banco di prova sintetico e conclusivo per sperimentare questa conclusione è ora fornito dalla prossima attuazione della direttiva sulle pratiche sleali. La definizioni delle “azioni ingannevoli” e delle “pratiche aggressive” della direttiva è infatti abbastanza ampia da coprire completamente quelle del dolo e della violenza nella maggior parte delle codificazioni nazionali44 . Inoltre anche il risultato dell’ azione sleale sul consumatore – che, cioè la pratica “…lo induca …ad assumere …. una decisione che non avrebbe altrimenti preso” - è descritto in maniera tale da ricordare la disciplina classica dei vizi del negozio giuridico e del contratto. Anche per il diritto italiano è inoltre vero, come si è osservato per la common law, che la definizione della direttiva è più larga di quella nazionale. Essa infatti non richiede, come le prime, né l’ intenzione di ingannare né l’ effettiva efficacia causale sulla decisione del consumatore. E’ infatti sufficiente che la pratica “..inganni o possa ingannare….” Il consumatore medio e “…lo induca o sia idoneo ad indurlo…..” a prendere la decisione. Va anche ricordato che ai sensi dell’ art. 1 i comportamenti sleali sono rilevanti anche se posti in essere prima o dopo, e non solo durante la stipulazione. Ai sensi del 2° co. dell’ art. 1 della direttiva questa disciplina opera senza pregiudizio del diritto contrattuale. Da molte parti si è osservato che nulla vieta peraltro al legislatore nazionale di modificare le regole contrattuali. A mio avviso, però, il reale problema posto dalla direttiva e se il detto legislatore possa farne a meno. Poiché la direttiva ha per oggetto le “pratiche” e non i singoli comportamenti, si potrebbe teoricamente sostenere che il rimedio adeguato può consistere nella introduzione di una ulteriore inibitoria che le impedisca, “senza pregiudizio del rapporto contrattuale”. Ma occorrerebbe allora chiedersi che senso abbia il detto impedimento proprio dal punto di vista del regolamento del mercato, se poi la pratica può tranquillamente continuare nel rapporto individuale. Entra a questo punto in gioco il “rapporto orizzontale” con il codici civile, in quanto il consumatore potrebbe comunque giovarsi delle regole sul dolo e sulla violenza. Tuttavvia come si è visto l’ ambito di queste è assai più ristretto. In moltissimi casi si verificherebbe dunque una situazione analoga a quella per cui chi abbia estorto un contratto mediante truffa e aggressione, dopo aver ricevuto la dovuta condanna penale potesse correre dalla controparte per ingiungergli il pagamento. Inoltre - come si è già osservato – i detti rimedi operano nell’ ambito della disponibilità della parte offesa, che può sanare o convalidare il contratto. Situazione che – come si è osservato sopra pe le clausole abusive – entra in assoluta contraddizione con l’ obiettivo della direttiva che è quello di eliminare la distorsione. Va a ciò aggiunto che le disposizioni della direttiva vanno in ogni caso a comporre degli standards di comportamenti dovuti o proibiti alla parte commerciale. Perciò la violazione della diligenza professionale in rapporto con i comportamenti dovuti (proibiti) ai sensi della direttiva costituiscono comunque violazione di un dovere di correttezza, inadempimento etc, etc. Tali standards di comportamento entrano perciò comunque, con o senza il “pregiudizio del diritto contrattuale”, nella 44 ….Provisions such as articles 6 and 7 UPCD, reveals the parallels with the concepts of misrepresentaton and non disclosure...” Miller, op.cit., p. 107. Lo stesso ovviamente accade per le pratiche aggressive in relazione alle nozioni di Duress ed undue influence. disciplina del rapporto ogni volta che si tratti di valutare la responsabilità precontrattuale, contrattuale ed anche extracontrattuale del professionista. Tuttavia le norme del codice civile non possono venire cambiate. Esse infatti si applicano a tutti – non solo ai consumatori. E se la nozione di dolo e violenza contenuta nella direttiva venisse applicata a tutti – anche ai professionisti – verrebbe pregiudicata la separazione fra le due discipline voluta dal diritto comunitario. Per risolvere il problema perciò l’ unica soluzione resta quella di concedere ai consumatori le azioni del codice civile in base ai presupposti della direttiva 45 . Il che ripropone, un’ altra volta, tutto quanto si è osservato sopra quanto al contrasto di logiche dei due sistemi, al rapporto di prevalenza tra essi, ed alla duplicità di regimi per lo stesso rimedio. Sarebbe forse meglio, in queste ipotesi, evitare di perdere tempo con impossibili coordinamenti ed eliminare la clausola che fa salvo il diritto contrattuale, ed affrontandone tutte le conseguenze. IV. Poiché le mie conclusioni sono già state sintetizzate nelle premesse ed hanno costituito lo sfondo delle osservazioni che ho proposto, mi limiterò in chiusura a mettere in un certo ordine alcune considerazioni già contenute od implicite in questa relazione. Il modo migliore per infondere tale ordine è quello di partire dall’ alternativa – cui accennavo in apertura – fra la concezione “strumentale” del diritto contrattuale europeo (con tutto quel che ne segue; finalizzazione della tutela individuale alla regolazione del mercato, rilievo esclusivo od eccessivo della asimmetria informativa; limitazione all’ aspetto economico, etc.) propria del diritto privato dell’ Unione, e quella “classica” propria dei principles. Questa alternativa viene ricomposta, in un saggio recente di Grundmann, in una visione del diritto dei consumatori che vi individua un compromesso fra istanze paternalistiche di protezione e tutela della libertà di scelta individuale e suggerisce alcune soluzioni per proseguire su questa strada. Allo stesso modo mi pare meritevole di considerazione, sottoqualunque profilo di ragionevolezza, l’ osservazione che l’ acquis comunitario risponde ad una profonda trasformazione dei sistemi di contrattazione e dello stesso sistema di mercato, mutamento che è “trasversale” rispetto al diritto classico dei contratti. Fino al punto – come riferito – di proporre un modello alternativo di espressione della libertà contrattuale. IV.1.Tale alternativa e tale concezione del contratto costituisceono un buon punto di partenza per la discussione, ma peccano di eccessiva semplificazione. E la eccessiva semplificazione si traduce in una ipersemplificazione degli argomenti tecnici utilizzati pro e contro: questi, in alcuni casi, possono addirittura suggerire l’ impressione di essere ingenerosi e a volte grossolanamente scorretti nei confronti dei sistemi nazionali o di quello comunitario, se non fosse chiaro che sono ispirati più alla necessità di convincere le parti “interessate” (politiche, economiche e istituzionali) che a quella di individuare il significato di oggettiva verità scientifica dei fenomeni esaminati. Per fare qualche esempio: sarà anche vero che l’ approccio comunitario ed in genere internazionale riflette l’ evoluzione dei mercati, ma certamente non è il solo a farlo, nè questo è sufficiente a rendere di colpo inutili ed obsoleti i codici nazionali, dal primo di Napoleone all’ ultimo degli Olandesi. Allo stesso modo non mi pare nè giusto ne corretto attribuire – nel corso del processo di unificazione del diritto europeo – l’ esclusiva della razionalità oggettiva e generale al legislatore comunitario e ridurre i codici (nonché gli avvocati, magistrati e legislatori) nazionali all’ esecuzione di fastidiose occupazioni di dettaglio, od al compito di collegare alla grandiosa opera i necessari “particolari”. Pertanto occorre a mio avviso apporre all’ alternativa ed alle opzioni che ne conseguono alcune necessarie qualificazioni. E la prima e più necessaria è che se è vero che le codificazioni classiche – in materia contrattuale – hanno costituito il regno della libertà di scelta e del volere, non è affatto vero che abbiano contenuto SOLO quella. 45 Calvo, op.loc.ult. cit. Commento: Sviluppare meglio questo aspetto come secondo termine e collegare qui hicks, l’ asimmetria, e il fatto che la libertà si scelta non è più al livello del contenuto ma concerne il “pacchetto”. Eventualmente qui anche le “pratiche”, i “sistemi di vendita”, La libertà del volere dei codici è – come tutti sappiamo - la libertà di scelta del mercato borghese. Ed il mercato borghese non esiste per caso o per fortuna, ma nel quadro di una serie precisa di oggettivi constraints. Certo la “funzione sociale” della libertà di scelta borghese coincide in qualche modo con se stessa, perché consiste nella ottimizzazione del vantaggio individuale, che comporta la “ricchezza della nazione”. Essa non richiede l’ intervento diretto dello Stato. Ma la ricchezza della nazione comporta che i liberi contraenti non possano sottrarre i loro beni all’ aspettativa dei creditori, ne – se per questo – ad eredi ed aventi causa; che vi sia un legge per il fallimento degli insolventi; che le amministrazioni delle società rispondano alle assemblee e queste ai soci e la società agli investitori. Etc. Etc. Questo richiede l’ intervento dello Stato. I codici classici inscrivono perciò la libertà contrattuale in un quadro di riferimento alle condizioni essenziali del mercato (capitalistico) che costituiscono il presupposto necessario della sua esistenza. 46 Queste regole – che sono regole principali ed essenziali, anche se poi si esprimono nella disciplina di dettaglio - 47 determinano la posizione delle parti non solo in funzione dell’ interesse soggettivo e della libertà del volere, ma anche e soprattutto della coincidenza tipica con un interesse tutelato 48 . Anche i codici civili sono “strumentalizzati”: pur se non ce ne accorgiamo poiché l’ interesse protetto non è esterno al codice (non si tratta dei diritti fondamentali) ma interno ad esso. E’ sufficiente dare solo uno sguardo a qualunque codice per rendersi conto che in esso si trovano i criteri di coordinamento e compatibilità tra proprietà, commercio, produzione e credito 49 . Quelle che Marx avrebbe chiamato le ragioni di scambio tra i fattori della produzione. E’ inoltre vero che proprio sotto questo aspetto di compatibilità col mercato anche i codici si sono evoluti. Il codice civile del 1942 ha introdotto nel quadro di compatibilità agricolo e proprietario del suo antecedente le esigenze del commercio e le ragioni di equilibrio tra produzione, capitale e lavoro. Successive evoluzioni hanno portato a introdurre – non in astratto ma proprio in relazione a tale equilibrio – le necessarie correzioni in direzione dell’ uguaglianza materiale50 . E’ dunque di nuovo ingeneroso accusare i codici nazionali di aver perso il contatto con la realtà, ovvero assumere proprio questo contatto come “imperfezione” e riportarne le volute incoerenze a principi unitari che astraggono dal contesto concreto in cui quelle soluzioni si sono formate. IV.2.Mi sembra dunque che la storia dei tanto vituperati codici nazionali possa fornire un insegnamento e fornire un modello per collocare il diritto privato europeo in una cornice un poco più generale e complessa dell’ alternativa da cui siamo partiti che, in compenso, ha il pregio di ridimensionare l’ entità del contrasto tra i due termini di questa. Infatti nell’ ambito della vicenda fin qui ricostruita il diritto privato europeo svolge, a livello comune per tutti i codici dell’ Unione, la stessa secolare funzione già espletata da essi. Si limita infatti ad alterare il quadro di riferimento della libertà di scelta sul mercato, sia modificando gli equilibri tra interessi protetti in funzione della concorrenza, sia introducendone altri che prima non erano presenti: ambiente, salute consumatori. Questi, insieme a gli altri che gia esistevano, divengono anch’ essi un parametro di corrispondenza dell’ operazione contrattuale all’ ordinamento civile dei paesi membri. Se questo è vero i termini dell’ alternativa di cui sopra non sono costituiti dall’ acquis comunitario (strumentale al mercato) e dal diritto contrattuale classico (funzionale alla giustizia tra le parti). Ma 46 E’ infatti precisamente per questo che occorrono i codici. Non c’ è bisogno di codici per accettare il principio che ognuno può fare quello che vuole, così come non c’ è in genere bisogno dell’ accettazione (cioè di esercitare il volere) per acquistare un vantaggio, mave ne è estremo bisogno assoggettarsi ad un’ obbligazione. 47 Si veda ad es l’ art. 2744 del cod. civ. italiano che sancisce il divieto del patto commissorio, di recente dichiarato dallo stesso legislatore “non applicabile” ai rapporti regolati dalla direttiva europea sulle garanzie finanziarie. 48 Cfr. ultra, sub nota per qualche esempio di diritto vivente in tema di causa. 49 Nel codice civile del 1942 le regole sul numero chiuso dei diritti reali proteggono i creditori dalla libertà del volere dei proprietari; quelle sul possesso di beni mobili proteggono i commercianti dalla libertà del volere di proprietari e creditori; quelle sull’ impresa proteggono gli agricoltori dal volere dei produttori, quella delle immissioni protegge la produzione dal volere dei proprietari, etc. etc. 50 Queste infatti si sviluppano in primo luogo sotto forma di tutela “diseguale” dei diritti, favorevole al lavoratore. dalla libertà di scelta nel quadro di compatibilità e con riferimento agli interessi protetti nei codici nazionali e dalla libertà di scelta nel quadro e con riferimento agli interessi protetti a livello comunitario. Nell’ ambito del quadro di compatibilità dei codici nazionali nessuno può stipulare patti commissori o venire potest contra factum proprium, gli Stati non risarciscono danni e solo le imprese sono danneggiate dalle concentrazioni e agiscono contro la concorrenza sleale. Nel quadro di compatibilità tra contratto e mercato innovato dalla Comunità ed inserito nella legislazione degli Stati le imprese NON sono libere di stipulare patti in violazione della concorrenza, anche i consumatori possono agire contro la concorrenza sleale e le concentrazioni, le parti possono trasferire la proprietà a scopo di garanzia (non si applica il patto commissorio) e possono venire contra factum proprium, se questo rende compatibile la libertà contrattuale con la protezione della concorrenza, lo sviluppo del credito, etc 51 . Se queste osservazioni vengono accettate ne consegue che l’ alternativa di cui si discorre non è esterna (strumentale), ma interna alle regole della libertà di scelta. E’ cioè interna ai codici nazionali – che proprio in virtù di questa dialettica si sviluppano – ma è interna anche al cuore del common frame, sia esso costituito dai principles o da altre ricostruzioni generali del diritto contrattuale, In altre parole il CFR costituisce l’ oggetto delle trasformazioni di ordine generale richieste dal diritto privato europeo – nel nostro caso dall’ acquis in materia di diritto dei consumatori - ne più né meno che i Codici nazionali che si vogliono unificare. E questo mi pare perfettamente ovvio e giusto poiché in questo esercizio esso rappresenta precisamente il patrimonio comune presente nel diritto civile degli Stati membri: quello che era, quello che è, ma soprattutto quello che deve diventare a seguito dell’ unificazione europea. Se così non fosse tanto varrebbe per gli italiani – e per gli altri – tenersi il codice dei contratti proprio, poiché quello nuovo sarebbe stato privato di tutte la storia successiva alla stipulazione del Trattato. D’ altro canto precisamente questo mi sembra il senso della risoluzione del Parlamento là dove chiede che nella vicenda di uniformazione non vada perso lo spirito del diritto dei consumatori ed è rassicurante, sotto questo aspetto, apprendere che nel metodo dei gruppi di lavoro del CFR è presente una continua revisione della parte generale. IV.3. Da tutto ciò consegue però anche che la contaminazione del diritto uniforme e successivamente dei codici nazionali con le innovazioni europee (in materia di diritto dei consumatori ed in altre), cioè in altre parole il nuovo quadro di compatibilità tra le regole della libertà di scelta e le moderne esigenze di mercato e di sistema, non può consistere nella semplice sovrapposizione ad essi del diritto privato comunitario – depurato degli accidenti e riportato a sistema coerente. Infatti tanto la struttura logico-normativa che il funzionamento pratico di tale nuovo equilibrio sono legati con una forte catena alla disciplina degli elementi “tipici” del diritto contrattuale dei paesi membri. Sono la disciplina e le norme in tema di causa, forma, oggetto, rischio delle attività e dei trasferimenti, affidamento, responsabilità patrimoniale, restituzione, consegna, custodia etc., non le minutaglie relative ai tempi e modi del recesso o della riparazione, a costituire l’ ostacolo principale al coordinamento tra l’acquis ed i diritti nazionali e quindi a dover essere ricomposti con il diritto privato europeo, prima nel common frame e poi nelle esperienze nazionali. Il problema del contrasto non tanto fra le direttive ed i principi classici del contratto, ma soprattutto fra questi ultimi e quelli concretamente espressi nelle codificazioni degli Stati non si può risolvere limitandosi a cancellarlo.In esso infatti non si esprime semplicemente il conflitto fra regole 51 IN questa situazione non serve assolutamente a nulla – come mi sembra venga da taluno proposto – inserire l’ affermazione che il diritto privato europeo “rispetta la libertà contrattuale” in testa ad ogni sezione del codice come se fosse uno dei dieci comandamenti o il rosario. Perché anche se questo viene ripetuto cinquecento volte non cambia di una virgola la circostanza che ciò che viene riconosciuto è la libertà di scelta che è compatibile (nel quantum, nelle modalità di esercizio e nella tutela verso gli altri interessi) con il sistema di riferimento. Cioè precisamente della nozione di libertà contrattaule consentita nel sistema comunitario, che è precisamente quella che i fautori di tale inserimento, a quel che sembra, vogliono evitare. espressione della libertà di scelta commerciale e regole “imposte” alla prima dall’ intervento esteriore dell’ Auctoritas, statale o comunitaria. Questo occasionale accidente copre la dialettica molto più essenziale fra una regolazione delle strutture del mercato effettuata dagli stessi mercanti ed una determinazione delle condizioni essenziali del mercato medesimo effettuata da entità - ed a volte fenomeni oggettivi - terza rispetto ad essi, a cui spetta determinare e proteggere le “regole del gioco”, cioè i presupposti ed i confini dell’ esercizio dell’ autonomia contrattuale. Devo dire sinceramente che non riesco a non simpatizzare con quell’ ampia parte della dottrina francese che si ribella all’ eliminazione – sull’ esempio dei Principles, della CISG e del modello UNIDROIT - del concetto e della disciplina della causa dai codici nazionali. Che la nozione di causa del contratto sia incerta e dibattuta e che parte delle stesse dottrine nazionali la ritengano tutto sommato superflua è una verità indiscutibile 52 . Ma altrettanto indiscutibile è che se una cosa è certa quanto alla causa, è che in essa si esprime l’ idea che il nudo consenso, da solo, non è sufficiente a far sorgere le obbligazioni 53 (il che poi costituisce precisamente la ragione sottostante alle dottrine che ne auspicano l’ eliminazione). Quando perciò veniamo informati che lo scopo della medesima è quello di “confermare la serietà dell’ intenzione delle parti” e che possiamo pertanto tranquillamente farne a meno, sorge spontaneo il dubbio che la confusione esistente tra i patrocinatori della causa si sia comunicata anche nel campo avverso 54 . IV.4. Mi sembra, con queste considerazioni, di essere tornato al punto di partenza e di aver giustificato quindi la ragione e il metodo che hanno guidato la mia descrizione e la concentrazione sui problemi di coerenza orizzontale del diritto dei consumatori. Posso aggiungere, come indicazione di metodo, che a mio avviso anche su questo punto l’ esperienza degli Stati può avere qualche cosa da insegnare. 52 In italia su questa posizione v, per tutti De Nova, Causa e tipo nella teoria del Sacco, Il contratto, Vol. I, Torino-Utet, 1993, pp. 635 ss. E’ appena il caso di notare che tale premessa presuppone che vi sia nella società un qualche regolatore a cui favore tutti si sono privati di una parte della rispettiva libertà di scelta per garantirsi la sopravvivenza reciproca. E’ dunque perfettamente spiegabile, anche se non altrettanto comprensibile, lo scarso rilievo della questione nel commercio internazionale e nella lex mercatoria, ma è altrettanto chiaro che tale disinteresse non si può automaticamente estendere ai sistemi di relazione in cui l’ imperatore esiste e funziona. Non senza comperarselo. 54 Nella decisione C-217/2005 del 14 dicembre 2005 la Corte di Giustizia UE ha affrontato, ai fini di determinarne gli eventuali effetti restrittivi alla concorrenza, un contratto tipo stipulato fra una società fornitrice di carburante e le aziende di distribuzione. Il contratto era configurato come contratto di agenzia, presumibilmente allo scopo di impedire la qualificazione dei distributori come “operatori economici indipendenti” che avrebbe fatto scattare il divieto di intese verticali di cui all’ art. 85. Dalla lettura della sentenza emerge chiaramente che il problema consiste nell’ individuare se il contratto stipulato appartenesse alla specie dell’ agenzia od a quella della vendita (in termini più generali se, quale che fosse il tipo contrattuale, esso trasferisse ai gestori la proprietà del carburante o conservasse ad essi i rischi ed i costi tipici del proprietario). Tale questione viene risolta dalla corte proponendo una serie di criteri del tutto analoghi all’ indagine sulla causa nelle corti italiane. Ad es. in Cass. 26/02/2004, n.3863 la responsabilità titolare di un parcheggio per i danni conseguenti al furto di una vettura viene risolto affermando la pertinenza al depositario dell’ obbligo di custodia per i beni depositati e dei relativi rischi (anche il quel casio il contratto era configurato come “locazione di area” per evitare il detto risultato). Tale rischio è infatti implicito nella “causa” del deposito. In Cass. un contratto di consulenza impegnava un professionista, già dipendente di una società, ad effettuare le stesse prestazioni cui era tenuto nell’ ambito del rapporto già in atto. Anche questa convenzione è stata valutata sotto il profilo della mancanza di causa, attraverso considerazioni che ricordano alcuni esempi di Corbin sulla past consideratiion e sulla impossibilità di escluderne la validità senza far ricorso a ragioni pubblicistiche. Tutti e tre i casi hanno in comune due caratteristiche: (1) l’ assoluta indifferenza rispetto all’ intento delle parti che peraltro era nella specie serissimo quanto ad evitare le conseguenze tipiche del modello legale; (2) il fatto che l’ interesse protetto non è quello delle parti ma quello dei terzi: nella specie dei concorrenti, dell’ assicurazione del depositante e del fallimento (creditori) della società. A questi gli Stati – quando decideranno di abolire la causa – faranno bene a ricordare che si affianca in ogni caso un quarto interessato alla esistenza e liceità della causa medesima. Il fisco della Repubblica (o della Regina). 53 Essa disegna un percorso a mio avviso valido anche per l’ unificazione europea che vede al primo posto l’ acquisto di una uniformità orizzontale interna ai diversi settori del diritto privato europeo. Questa in definitiva era l’ intenzione del legislatore italiano nel predisporre il codice dei consumi, anche se realizzata solo in parte e in molti casi malissimo. Io credo che l’ UE farebbe bene – e se devo guardare agli ultimi sviluppi, quali la direttiva 2005-29 o il recente rapporto sull’ attuazione di quella relativa alle vendite posso aggiungere, fa bene – a concentrarsi innanzi tutto su questo problema. Qui non vi sono difficoltà a mio avviso neanche sulla presenza – in certi casi – di livelli di armonizzazione massima, almeno finche le regole contrattuali non vengono direttamente tioccate in profondità. L’ armonizzazione massima facilita in fondo il secondo passo dell’ armonizzazione che, come già avviene negli Stati dovrebbe anche a livello europeo consistere nella penetrazione graduale dei criteri e degli equilibri raggiunti nell’ acquis all’ interno dei codici civili. E’ questo un passaggio che, come si vede di nuovo nell’ ultima direttiva, può avvenire ed è bene che avvenga quanto più possibile per conto proprio per la forza stessa dei criteri unificanti contenuti nell’ organizzazione orizzontale della legislazione europea. Questa piattaforma in alcuni casi ed in alcuni settori è già presente, e può consentire il salto verso la creazione di un diritto europeo comune. E qui, a mio avviso, è fondamentale guadagnare a questo processo il consenso e la partecipazione convinta degli Stati nazionali. A questo punto infatti la “scelta politica” non si esercita sulla questione di realizzare o non realizzare un Codice. Essa si esercita su ciascun elemento di quel sistema di equilibrio che – come ho cercato di mostrare - ,lo compone. Ed a questo stadio dell’ unificazione europea i cittadini europei risentiranno di tali scelte anche e soprattutto come cittadini nazionali. V. Vorrei a questo punto e in conclusione spendere qualche parola per giustificare l’ insistenza con cui, nel corso della mia esposizione, ho continuto a richiamare l’ esigenza di un rapporto collaborativo con gli Stati (e con il Parlamento europeo). Questa insistenza potrebbe apparire in qualche modo anti-comunitaria, ma essa è invece collegata ad un' uniforme impostazione che ho cercato di seguire: infatti sono stato bene attento a presentare il problema dell’ unificazione nei termini classici, - se si preferisce utopistici - in cui si è proposto fin dall’ 800, come un problema di formazione di un diritto comune interno a tutti i paesi europei 55 . Questo obiettivo che ancora trent’ anni or sono poteva apparire come il sogno di una sfrenata fantasia è oggi reso possibile e realistico fondamentalmente dalla presenza di due condizioni di enorme vantaggio rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto: una istituzione che ha il compito, la volontà e i mezzi per aiutare a raggiungerlo; un corpus iuris di diritto uniforme già prodotto e in corso di sviluppo da parte di questa istituzione. Perché l’ obiettivo venga raggiunto è essenziale che tali due presupposti rimangano ben saldi e fermi nella forma e nella struttura in cui sono stati concepiti e in cui, per fortuna, vengono ancora percepiti, e cioè: (1) che l’ Unione europea continui ad agire e a venir considerata come uno strumento ed un ‘organizzazione comune che gli Stati si sono dati per raggiungere obiettivi e svolgere compiti che ritengono di realizzare tutti insieme, invece che ciascuno per conto proprio (restandone tutti insieme i congiunti titolari). Non venga invece considerata come il frutto della deliberazione degli Stati di affidare l’ esecuzione del lavoro a qualcun altro; (2) che il corpus iuris comune sia considerato come un insieme di regole che gli Stati hanno congiuntamente deciso di mettere in comunione e adottare congiuntamente, piuttosto che come un diritto che è uniforme perché, invece di essere il diritto di tanti, è il diritto di UN altro. Sotto questo aspetto l’ esperienza italiana è esemplare proprio perché non c’ è mai stato nulla di più estraneo ad un ordinamento nazionale del diritto dei consumatori italiano, che non solo è completamente costruito sulle direttive europee, ma è pressoché esclusivamente costituito da esse. Infatti – come ha sottolineato il prof. Alpa - prima dell’ esperienza europea non esisteva in Italia un 55 In consimile ordine d’ idee, ma con riferimento al C.F.R. e differenti conclusioni, v. Storme, Freedom of Contract: Mandatory and Non-Mandatory Rules in European Contract Law, in Eurpean Private Law Review, 2007, 236 ss. diritto dei consumatori. Eppure – o proprio per questo – il diritto dei consumatori è percepito dai cittadini come un diritto “proprio” (anche se sanno benissimo da dove viene), che sono fieri di utilizzare perché gli conferisce nuove possibilità e che ritengono di aver partecipato a costruire; e sono felici anche che vi sia un ben dotato cane da guardia a sorvegliarne l’ esecuzione. Non vorrei perciò che la fretta, pur giustificabile, di vedere l’ opera compiuta, o altre meno chiare ragioni, inducessero ad abbandonare o indebolire i due presupposti sopra indicati, ed a vedere nell’ Unione e nel diritto europei una specie di scorciatoia che ne faccia non i protagonisti e artefici del diritto comune degli Stati, ma i titolari del compito di farne uno nuovo, tutto loro. Sotto questo profilo persino l’ uso intensivo del termine acquis communautaire mi lascia indifferente e perplesso, poiché richiama immediatamente alla mente l’ idea dell’ intervento alieno, più che quella del contributo comune. Ricorderò in proposito che le due condizioni sopra numerate sono prese a memoria dalla definizione della struttura della società; che precisamente l’ averle dimenticate ha condotto alla costruzione del “velo” societario sopra le attività (non più) comuni degli amministratori e che i veli cadono – e sono caduti – , i fallimenti avvengono – e sono avvenuti -, ed in quel momento bisogna cominciare tutto di nuovo con grandissime perdite di tempo. Perciò a mio avviso l’ esigenza della conservazione dei due presupposti sopra menzionati non è neanche dovuta alle necessità di democrazia e legittimazione politica, ma dipende dal fatto che l’ adozione della scorciatoia in parola finirebbe con il prolungare invece che abbreviare i tempi dell’ opera, rischiando anche di renderla di nuovo impossibile. Di fronte ad un’ opera di questo genere e se si accettano i termini essenziali della ricostruzione che ho proposto intorno al rapporto tra codificazione e libertà contrattuale, la creazione del consenso è un requisito essenziale. La creazione di un processo politico che renda possibile discutere ed introdurre nel diritto uniforme europeo delle obbligazioni i valori ritenuti essenziali dagli Stati può risultare inizialmente una perdita di tempo ed un intralcio organizzativo, ma farebbe guadagnare anni, se non decenni, nel percorso di discesa e compenetrazione del nuovo regime contrattuale nell’ ordinamento interno. Per questa stessa ragione anche la attività degli Stati nella riforma dei propri codici – come nel caso del progetto francese di riforma del diritto delle obbligazioni – va a mio avviso considerata da entrambe le parti con favore, come una forma di competizione cooperativa e vantaggiosa, in quanto comunque comporta il coordinamento dei codici nazionali con il quadro civilistico di equilibrio già predisposto dall’ Unione. Si tratta comunque di un passo in avanti. Allo stesso modo va presa in considerazione la richiesta del Parlamento di partecipare ai lavori, oltre che all’ adozione del loro risultati. Sarebbe infine molto meglio se si potesse pensare ad una forma di partecipazione che vada al di là della nomina di gruppi di esperti ed impegni attivamente, e politicamente, gli Stati membri. Come la metafora che ha aperto la presente relazione anche quello per il diritto uniforme europeo dei contratti è un viaggio, molto lungo e avventuroso. E’ ragionevole e comprensibile che, quando si arriva all’ aeroporto di destinazione , ognuno voglia trovarvi almeno una parte dei propri bagagli. Prof. Nicola Scannicchio Ordinario di diritto privato nell’ Università di Bari