saba e gli uccelli

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saba e gli uccelli
SABA E GLI UCCELLI
E’ nota a tutti la grande passione di Saba per gli uccelli e il suo amore per questi animali; il poeta
allevava diverse specie di uccelli, mostrando una particolare predilezione per i canarini. Gli
ornitologi hanno letto con molto interesse questi testi, apprezzando non solo l’amore del poeta per
gli uccellini e la tenerezza mostrata verso di loro, ma anche la profonda e minuziosa conoscenza di
Saba verso il mondo degli uccelli e verso le loro abitudini1. Sono, per il Nostro, anni molto difficili,
nei quali si accentuano i suoi disturbi nervosi che lo costringono a frequenti ricoveri in case di cura.
Eppure i testi appaiono estremamente belli, freschi, spontanei e pieni di amore e – volendo – anche
di gioia di vivere. Nelle storie raccontate Saba ci descrive, attraverso la vita degli uccelli, con il loro
allevamento in gabbie e voliere, la metafora della propria realtà, fatta di prigioni e “carceri”
esistenziali, le quali hanno la loro lontana origine nell’infanzia.
La raccolta “Uccelli” (1948), inserita nel “Canzoniere”, è preceduta da una Prefazione, apposta dal
poeta nel 1950, nella quale egli spiega la genesi della raccolta e la sua pubblicazione in una
edizionciona dello “Zibaldone”. Saba – come abbiamo detto – si trovava in un momento molto
brutto della sua vita, in una grave depressione, e pensava di non riuscire a scrivere più: <<Ero
sicuro – materialmente sicuro – che non avrei scritto più versi. ma il male che m’impedisce
ugualmente di vivere e di morire, mi concedette in quell’estate [quella del 1948 NdR] un breve
periodo di tregua>>. La scoperta quasi casuale di alcuni volumi sulla vita degli uccelli nella sua
libreria (come egli sottolinea nella stessa Prefazione) porta il poeta a cogliere questa occasione per
scrivere nuove poesie. Per questo Saba definisce le poesie <<un miracolo>>; infatti ben presto
piomberà nuovamente nella cupa depressione. Alla Prefazione seguono i testi, in tutto undici. Nella
prima lirica, “Pettirosso” viene cantata la differenza etologica tra il merlo, portato verso i propri
affini, ed il pettirosso, uccello fortemente territoriale e quindi nemico del suo simile. Così, partendo
da una scena che coinvolge i due pennuti, il poeta si uniforma ad essi, come sovente accade nelle
sue poesie. Dopo “Cielo” e “Uccelli” che sono sostanzialmente due brevi bozzetti, abbiamo
“Colombi in piazza delle Poste”. Il testo parte dal dato oggettivo dell’osservazione dei colombi:
<<… Colombi passeggiano in mezzo. / Uno lascia lo stormo e mi cammina>>. L’atteggiamento di
un uccello <<al volo pronto / sempre, e alla fuga>>, così come sono i colombi, sviluppa la
riflessione della seconda parte del testo, in cui il poeta si scopre anch’egli diffidente verso gli
uomini, ma certo meno felice dell’animale: <<… Anch’io. Meno felice / di lui, nel chiuso / gli
rispondo del cuore>>. Il testo seguente “L’ornitologo pietoso” prende spunto da un naturalista che,
in modo un po’ contrario alle leggi della Selezione naturale, cerca di salvare un piccolo di usignolo
espulso dal nido, allevandolo lui stesso con grande cura per poi restituirlo alla libertà. Il risultato
della fatica (<<Fu allevarlo / cura non lieve>>) è la gioia per un’esperienza ben riuscita, ma anche
una profonda solitudine, sottolineata dall’indifferenza sostanziale dell’uccellino e dall’amara
conclusione del canto: <<E si sentì più solo>>. La tematica della solitudine e dell’indifferenza la
troviamo anche nel testo successivo “Il fanciullo e l’averla”; questa volta però è l’uomo ad essere
indifferente nei confronti dell’animaletto dopo il breve entusiasmo iniziale: <<S’innamorò un
fanciullo d’un’averla / Vago del nuovo - interessate udiva / di lei, dal cacciatore, meraviglie - /
quante promesse fece per averla! / L'ebbe; e all’istante l’obliò>>. Solo la fuga dell’animale riporta
il ragazzino a desideralo di nuovo, ma questa volta, senza speranza. Come sottolinea il poeta, in
questo molto leopardiano, sono il desiderio e la mancanza che accendono l’interesse: <<Quel
giorno / per quel male l’amò senza ritorno>>. Le rondini sono le protagoniste della poesia
“Quest’anno …”, in cui Saba esprime la sua tristezza per la partenza delle rondini e l’inizio
dell’inverno: <<Quest’anno la partenza delle rondini mi stringerà, per un pensiero, il cuore>>. Il
pensiero della solitudine e la compagnia dei passeri sottolineano la lunga stagione invernale,
ovviamente metaforica della triste esistenza del poeta: <<Alla mia solitudine le rondini
mancheranno, e ai miei dì tardi l’amore>>. Gli stessi passeri sono protagonisti della lirica omonima
1
Cfr. Unione Italiani Ornitofili – Roma, 2007
“Passeri”.Gli uccellini sono osservati e visti dall’anziano poeta come animali istintivi e
sostanzialmente lieti della loro vita: <<Saltellano sui tetti / passeri cinguettanti […] Uccelli sono: /
nella Natura la sublimazione / del rettile>>. La tematica, con le dovute differenze, è affine a quella
del “Passero solitario” di Leopardi, nella sua differenza rispetto alla condizione infelice dell’uomo.
La poesia “Merlo” è, invece, giocata sul ricordo dell’infanzia del poeta e sulla similitudine tra lui e
un merlo tenuto in gabbia. Il destino delle due creature viene accostato con le analogie (entrambi
sottoposti all’altrui controllo e quindi … prigionieri della figura materna), ma anche con le dovute
differenze: <<Tra un fanciullo ingabbiato e un insettivoro / che i vermetti carpiva alla sua mano, /
in quella casa, in quel mondo lontano, / c'era un amore. C'era anche un equivoco>>. La lirica
“Rosignuolo” è invece una sorta di denuncia nei confronti della crudeltà umana, capace, con
l’inganno di un’esca, di catturare un usignuolo, togliendoli la libertà: <<Iddio che ha fatto il mondo
e se lo guarda / non di te si compiace, uomo, che a un’esca / - ahi troppo irrecusabile! –dividi / noi
che abbiamo la casa in siepe o in fronda>>. Per questo il poeta afferma che la voce più dolce del
mondo è quella dell’usignolo. L’ultima poesia della sezione è “Nietzsche”. Nell’itinerario culturale
e artistico di Saba la lettura di Nietzsche è importante per comprendere il desiderio del poeta di
trovare una via di libertà che fosse in grado di superare i condizionamenti e le restrizioni che
soffocavano la sua esistenza. In questo senso l’ammirazione per Nietzsche – come anche quella per
Freud – si spiega con il fatto che in lui, maestro del sospetto, vi era la volontà di rompere i vincoli e
i dogmi che reggevano l’impalcatura della civiltà razionalista, soffocata dalle proibizioni e dai
divieti morali e religiosi. L’ultimo testo fa riferimento agli uccelli solo in negativo, visto che attorno
a chi è grande e incompreso gli uccelli non fanno il nido perché <<… altro non odi / che il silenzio,
non vedi altro che l’aria>>.
Strutturalmente simile a “Uccelli” è la sezione del “Canzoniere” “Quasi un racconto” (1951),
anch’essa dedicata al mondo ornitologico, con una prefazione e tre note di chiusura. In tutto
abbiamo una quarantina di testi, nei quali gli uccelli sono i protagonisti e – come sempre – il loro
comportamento e la loro vita divengono metafore dell’esistenza umana. Nella Prefazione Saba
afferma di aver scritto queste poesie <<durante una breve tregua del male, e del tutto fuori di ogni
mia aspettativa e speranza>>, abbiamo pertanto una genesi analoga a quella della sezione
precedente. Il poeta spiega poi il motivo per cui è venuto meno alla promessa di non pubblicare più
poesie: è stata la figlia a convincerlo a rendere pubbliche queste liriche, trovando anche per loro un
titolo adatto. La prima delle poesie, “Al lettore”, contiene la dedica agli ipotetici fruitori della sua
opera ed anche l’argomento fondamentale della raccolta e il suo carattere di sincerità: <<Se leggi
questi versi e se in profondo / senti che belli non sono, son veri, / ci trovi un canarino e TUTTO IL
MONDO>>. Anche il secondo componimento, “Libreria antiquaria”, ha carattere introduttivo, in
quanto precisa il valore che per il Nostro hanno i libri e la funzione di trasmissione del sapere, ma
anche di interazione affettiva con il lettore che essi sono in grado di assumere.
A questi primi due testi seguono le “Dieci poesie per un canarino” nelle quali Saba osserva e
tratteggia, con amorevole entusiasmo, la vita dei suoi canarini durante un’estate. Il primo dei
componimenti, “A un giovane comunista” si rivolge ad un giovane militante del P.C.I. con il quale
Saba si mette in contrasto per il fatto che al poeta interessano le grazie e le caratteristiche fisiche e
psicologico-affettive del canarino: <<… Mi diverte la sua grazia / mi diletta il suo canto>>; al
ragazzo, invece, sembra interessare di più l’attivismo politico; e la stessa letteratura diviene
sinonimo di evasione malcompresa. In effetti, dice il Nostro al giovane: <<… tu pensi: I poeti sono
matti / […] / Ti piace più Togliatti>>. Occorre ricordare che Saba era simpatizzante per il P.C.I. e
vedeva in questo partito politico una formazione amica e a lui affine ideologicamente come si
evince dalle sue stesse dichiarazioni: <<quel rosso in me speranza e fede ravviva, come in campo
una bandiera.>>2. Le due liriche seguenti “Uccello di gabbia” e “Palla d’oro” sono, invece,
centrate sui canarini allevati e cresciuti nelle gabbie, i quali, per questo, non hanno la percezione
della vita in libertà e non soffrono come gli uccelli selvatici. Saba afferma del canarino: <<Pago a
2
Davide Rossi “Il 18 aprile del compagno poeta Umberto Saba” in http://www.aurorarivista.it/letterepoesie/saba_8_2001.htm
due foglie di radicchio, in gabbia, / dov’è nato non mette angoscia …>> e ritiene che l’animaletto
non sia in grado di compiere un’autocoscienza, per cui: <<… Non vede / sé come vedo me stesso.
Ed in questo / non vedersi è la sua felicità>>. Che questo fosse il pensiero di Saba lo deduciamo da
una lettera scritta ad Alberto Mondadori nel 1951: <<Oggi è passata una settimana dalla disgrazia,
ed io muoio d'angoscia [...] non per averlo perduto, ma perchè i canarini non possono vivere fuori
di gabbia; non sanno cioè come i passeri ed altre specie di alati, procurarsi il cibo. Lo vedo
morente di fame e di freddo, sento che mi chiama con quella sua voce argentina, sempre più
fiocamente, sempre più disperatamente..>>3. Lo stesso concetto si ritrova ne “I libri …”; qui il
poeta si compiace di osservare alcune delle fasi della vita quotidiana del canarino: il bagno, le
foglioline nel becco. Questo lo porta a privilegiare << … il libro vivo>> che è costituito dal mondo
dei canarini nel quale l’autore ama perdersi. Il testo n°5 ed il n°7 sono dedicati alla famosa canarina
azzurra. Non si tratta, in realtà, di una canarina di colore azzurro, ma – come ci spiega lo stesso
Saba – di una razza di canarini che hanno un colore grigio e vengono chiamati azzurri nel gergo
popolare. E’ del resto lo stesso poeta a precisarlo nelle note a margine della sezione. Nella prima
poesia, “Canarina azzurra”, la piccola bestiola viene descritta quando, immessa nella gabbia del
maschio, viene da questo rifiutata, come avviene spesso nei canarini. Il poeta coglie l’occasione per
riflettere sulle leggi dell’attrazione erotica, in sé assai inspiegabili e misteriose, e sulle conseguenze
dolorose che può portare a chi è respinto il rifiuto. <<Eros ha le sue leggi; è un dio difficile / non
solo – sembra – agli umani>> dice Saba; in effetti è all’uomo che pensiamo quando leggiamo i
versi del poeta triestino che ci descrive l’ira e la pena di chi si sente escluso e non accolto. Il
secondo testo “Somiglianza” è, invece, giocato sull’affinità tra l’animaletto ed una figura umana
femminile – presumibilmente la figlia del poeta. Ambedue, femmine del genere animale, si
presentano con una presenza <<lusinghiera ad entrambe>> e suscitano l’ammirazione compiaciuta
e divertita del poeta. Il testo n°6 “Quasi una moralità” analizza il comportamento dei passeri che si
abituano a non temere l’uomo che dà loro il nutrimento. Come sovente accade in Saba il testo si
presta ad un’interpretazione simbolica. Infatti, nella seconda parte della poesia, una similitudine –
figura retorica preferita di Saba – mette in relazione il comportamento dei passeri con quelli di un
ragazzo, anch’egli capace di apprendere da <<chi ha molto sofferto, molto errato, / che ancora
esiste la Grazia>>. Sempre ai passeri è dedicata la lirica “Pretesto” in cui il cibo sprecato dai
canarini che si azzuffano in gabbia: <<… E il mangiare avanza sempre / sprecato>> serve per
nutrire i passeri alla finestra che per esso si azzuffano. Anche in “Risveglio” la tematica di base è
quella della lotta tra i piccoli dei suoi canarini che si azzuffano nel nido. Anche qui la similitudine
porta il poeta ad accostare la scena ad un ricordo di infanzia che coinvolge l’amata nutrice: <<…
oggi per voi ricordo / la mia balia adorata […] che m’insegnò ad amarvi>>, proprio per
sottolineare l’amore e l’affetto che sono per il Nostro sentimenti primari dell’uomo. Ed infatti la
decima poesia del gruppo dedicato ai canarini è proprio intitolata “Amore”. Lo spunto è sempre
osservativo: due canarini che si scambiano effusioni: <<Si scambiavano in becco il cibo, oggetto, /
ieri ancora, di tanta lite>>. Secondo la riflessione che poco dopo compie il poeta, anche questo è
un modo per comunicare affetto e sentimento, è la modalità per <<… dirsi grati / l’uno all’altro di
esistere>>. Come si può notare i comportamenti degli animali hanno sempre una chiaro rimando
alle azioni, più complesse, ma identiche nella struttura, dell’uomo e dei suoi simili. Alle “Dieci
poesie per un canarino” seguono altri testi che hanno come argomenti principali e come
protagonisti gli uccelli, ma anche altri personaggi del mondo quotidiano dello scritore triestino. Tra
questi troviamo una poesia dedicata alla moglie “Lina e la coinquilina”; il tema è lo scontro tra la
moglie del poeta e la di lei madre, sentimento che Saba non condivide: <<… Nutrire / odio non
giusto per un’altra donna / (sempre diversa e sempre in te la stessa). / Era un giorno tua madre
…>>. Seguono tre liriche che hanno come protagonista Carletto, il bibliotecario della libreria di
Saba, da lui molto amato. In due dei testi Saba paragona Carletto ad un canarino. Nel primo testo il
canarino è <<… in gabbia affacendato>>, mentre nel secondo Carletto sta <<come / canarino su
3
Saba, “Il canarino”, 1951 in Unione Italiani Ornitofili – Roma, 2007
alto stecco>>. Si tratta, quindi, di azioni di mera quotidianità che il Nostro riconduce, attraverso la
consueta tecnica della similitudine, al mondo dei suoi canarini. In “Richiamo” è di scena
l’aggressività del canarino dentro la gabbia, situazione che provoca la domanda, iniziale e finale del
poeta: <<Perché, gentile creatura, mi strazi?>>. Interessante anche il testo “Lina e la canarina
azzurra”. Attraverso la similitudine Saba mette in relazione la sua canarina azzurra che si lamenta
con <<… Pianti / che vengono dal fondo della vita>>, con la moglie Lina che sembra non
comprendere l’accostamento e afferma che i canti della canarina non possono essere pianti. Alla
figlia Linuccia è dedicata la poesia “Lettera”, un testo nel quale troviamo quello che doveva essere
l’originario titolo della sezione: <<Sappi che il libro andrà pel suo destino / col nome che gli hai
dato tu: AMICIZIA>>. Sappiamo già – dalla Prefazione – che Saba non mantenne il proposito e
cambiò il titolo in “Quasi un racconto”. Il dato osservativo è presente nell’incipit del testo “Il
bagno del passero”, dove il poeta si prende cura del passerotto dandogli <<… il pane / suo
quotidiano …>>; e l’animale lo ricambia con la scena affascinante del bagnetto, avvenuto quasi
casualmente per una scodella d’acqua dimenticata dal poeta sul davanzale. La differenza tra il
mondo di Saba e quello di altri autori è specificata nei due testi “Ai miei modelli” e “Ognuno a se
stesso è fedele”. Nel primo il poeta contrappone la polemica accusa di un interlocutore: <<Anche lui
mi diceva, come il giovane / comunista, che siete stupidini>> al misterioso comportamento dei suoi
uccellini che non fuggono dalla gabbia, nonostante le porte lasciate aperte dal poeta: <<E quando
all’alba spuntare rivedo / tra le griglie da me lasciate aperte / vostri cari musetti>>. La riflessione
culmina nel chiedersi il perché non risolto del comportamento degli animaletti tanto amati. Il
secondo testo prende spunto da un verso delle “Laudi” dannunziane per contrapporre gli eroi
altisonanti ed eccezionali del Vate, ai suoi modelli molto più semplici e quotidiani, per i quali egli si
spende, mentre il Vate <<… intendeva a sé soltanto>>. Alcuni tra i testi che seguono descrivono
alcuni comportamenti degli uccelli, legati alla cova. Ad esempio, “Le donne…” prende spunto dalle
donne di Casa Saba (la moglie e la figlia) che deplorano i comportamenti crudeli di un canarino nei
confronti della compagna: <<… ai fatti / male assai con tua moglie ti comporti. / Non l’aiuti a
covare>>. Anche in questo caso, accanto a normali comportamenti etologici dell’uccello che in
natura si verificano, il poeta sceglie l’umanizzazione per accostare il tutto a rimandi simbolici, quali
l’abbandono, la delusione, l’inganno. Nella lirica “Il nido” è trattata la stessa tematica, questa volta
rispresa dal punto di vista della canarina, che <<… preziosa, / dimentica del cibo, o quasi, covi>>.
Anche qui il maschio è tratteggiato con comportamenti negativi, almeno dal punto di vista umano:
<<Il solo / che dovrebbe aiutarti è odioso. Sfa / tenta disfare la tua casa>>. La descrizione negativa
dell’elemento maschile allude quasi sicuramente alla figura del padre, figura irresponsabile ed
assente dalla vita del giovane Umberto. L’intervento umano nella vita biologica degli uccelli porta
il poeta a separare i due canarini maschio e femmina, per favorire la cova di quest’ultima. E’ quanto
Saba scrive in “Divertimento” (etimologicamente Lat. devertěre = separare). Ovviamente il punto di
vista dell’uccellino appare completamente differente: <<… e il bene fatto / dalle mie mani […] tu lo
pensi / un ingiusto castigo>>. Anche la poesia “Un gioco” ha per argomento il nido dei canarini,
come pure il testo successivo “E’tutto vero”, in cui Saba parte dal dato oggettivo <<I canarini fanno
/– ieri ne disperavo quasi – il nido>> per riflettere sulla stanchezza esistenziale e sul desiderio di
solitudine. Tra le liriche finali della raccolta sono da menzionare le ultime tre. “Morte di un
pettirosso” è un divertito ed ironico raccontino in versi sulla fine tragica di un pettirosso
semidomestico, finito in un cassetto. “Fratellanza” è invece la descrizione di un sogno del poeta,
che si vede trasformato in uccello: <<Parlavano gli uccelli, o in un uccello / m’ero, io uomo,
mutato>>; l’esperienza onirica offre l’occasione a Saba per ribadire i suoi ideali di uguaglianza e di
pace tra gli uomini, esseri tutti eguali e comuni per nascita. Il testo “Al lettore” conclude la sezione
“Quasi un racconto”. In soli quattro versi Saba esprime la sua modestia, definendo il suo libro
composto per i lettori << … vergogna a chi lo crebbe>> e, nel finale, conferma la sua condizione di
parlare come persona viva, ma di essere, o per lo meno di dover essere, <<morto>>.
prof. Davide Grassi