REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SILVESTRI Giovanni - Presidente
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere
Dott. CARCANO Domenico - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) F.C., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 18/10/2007 CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA
CARCANO DOMENICO;
UDIENZA
la
relazione
fatta
dal
Consigliere
Dott.
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DE NUNZIO W., che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito, per la parte civile, l'Avv. GESTINI Luca;
udito il difensore Avv.to
dell'Avv. VOLANTE G..
DELLA
TORRE
Luca
anche
in
sostituzione
Svolgimento del processo
1. F.C. impugna la sentenza in epigrafe indicata con la quale è stata
confermata la decisione di primo grado che lo dichiarò responsabile del
delitto di corruzione continuata in atti contrari ai doveri del proprio
ufficio di direttore della direzione regionale della Regione Piemonte
preposto al controllo delle attività sanitarie, tra le quali l'assistenza
ospedaliera e territoriale.
1.1. La Corte d'appello disattende l'eccezione di incompetenza e - con
argomenti diversi rispetto a quelli del giudice dell'udienza preliminare
e del tribunale, i quali, nell'impossibilità di individuare il luogo
certo di commissione del più grave reato di usura poichè i fatti
enunciati in imputazione a loro avviso non si radicavano in un solo luogo
e mancava certezza del luogo ove potesse essere stato consumato il primo
reato di usura, ebbero a fare ricorso a criteri suppletivi ex art. 9
c.p.p., comma 1 -, ha ritenuto invece che il delitto di usura, il più
grave reato ab origine contestato, fosse stato consumato in ogni caso in
(OMISSIS), luogo in cui l'imputato C. ebbe a porre all'incasso in banca Banca di Roma, agenzia di (OMISSIS) - gli assegni ricevuti dai giocatori
del casinò, cui i prestiti furono concessi, con la maggiorazione degli
interessi. Il fondamento giuridico di tale conclusione è, per il giudice
d'appello, nella natura giudica riconosciuta al delitto de quo, che si
configura come reato a duplice schema e il luogo della consumazione può
essere
quello
del
perfezionamento
dell'accordo
usurario
ovvero,
nell'ipotesi in cui all'accordo consegua il vantaggio, nel luogo ove si
consuma il pagamento del debito e la corresponsione degli interessi.
Il giudice d'appello ha altresì rigettato la censura relativa al diniego
di giudizio abbreviato, condividendo le ragioni poste a fondamento
dell'ordinanza secondo cui l'integrazione richiesta avrebbe snaturato la
fisionomia del rito e sarebbe stata contraria all'economia dalla quale
deve essere caratterizzato il giudizio abbreviato, tenuto conto che
l'assunzione dei testi e l'acquisizione dei documenti avrebbe richiesto,
anche nell'ottica difensiva, un tempo di due mesi. In tal modo, il
giudizio abbreviato si rilevava ex ante incompatibile con l'economia dei
tempi di definizione del processo, incompatibilità verificata anche ex
post in relazione al percorso dibattimentale e dell'istruttoria svolta in
tale sede.
1.2. Altra questione preliminare risolta dalla Corte di merito - che
anche qui ha condiviso le determinazioni del giudice di primo grado - è
quella della diversità dei fatti oggetto dell'imputazione rispetto a
quelli poi ritenuti in sentenza. In particolare, nella sentenza impugnata
si pone in rilievo che l'imputazione ab origine enunciata e per la quale
fu chiesto il rinvio a giudizio contenesse una dettagliata esposizione,
da un lato, delle utilità ricevute da F. e, dall'altro, degli atti
contrari compiuti in favore di delle case di cura private "(OMISSIS)",
facenti capo al "corruttore" V.. Al riguardo, si riproduce in parte qua
l'imputazione nella quale si fa specifico riferimento agli atti compiuti
da F., nell'esercizio della sfera di competenza delle proprie pubbliche
funzioni, e alle interferenze continue e sistematiche realizzate su altri
uffici e volte a fare in modo che le case di cura di V. ottenessero: a)
"i convezionamenti, gli accreditamenti e le autorizzazioni" dalla giunta
regionale della Regione Piemonte e dalle A.s.l. interessate, nonostante
le carenze strutturali, inidonee al rilascio di autorizzazioni, in
particolare della clinica (OMISSIS); b) qualunque atto d'interesse per lo
svolgimento delle attività e il sollecito pagamento in termini
privilegiati
rispetto
ad
altri
utenti,
assicurando
un
costante
asservimento della pubblica funzione agli interessi di V.. A fondamento
della corretta decisione del tribunale sul punto, si pone in rilievo che
tutti i complessi atti di indagine riguardanti le due case di cura sono
stati depositati ritualmente, tranne gli accertamenti tecnici, relativi
alla "casa di cura (OMISSIS)", effettuati dai consulenti del pubblico
ministero il cui esito è stato acquisito nel corso del dibattimento anche
attraverso l'esame dei consulenti in contraddittorio.
Per queste ragioni e in applicazione del giurisprudenza di legittimità,
il giudice d'appello ritiene che non vi sia stata modifica del fatto e
non sia stato violato il diritto di difesa dell'imputato a contraddire i
fatti addebitati, essendoci stata perfetta conoscenza dell'accusa e degli
elementi posti a suo fondamento.
1.3. Ulteriore questione esaminata dalla Corte d'appello, e in questa
sede riproposta dalla difesa, è quella relativa alla nullità del
provvedimento di acquisizione della consulenza tecnica del pubblico
ministero, non depositata prima dell'avviso di conclusione delle
indagini, bensì in dibattimento.
Anche qui, la Corte di merito disattende l'eccezione della difesa e
rileva che il pubblico ministero ebbe a indicare ex art. 468 c.p.p. le
circostanze dell'esame dei tre consulenti tecnici da riferire anche a
eventuali irregolarità emerse in relazione alla gestione della casa di
cura (OMISSIS), le cui vicende furono indicate già nell'imputazione.
Peraltro, rileva la sentenza impugnata, l'incarico ai consulenti fu
ritualmente conferito dal pubblico ministero nel corso delle indagini e,
nonostante la relazione non fosse stata depositata all'atto della
chiusura delle stesse poichè non ancora ultimata, legittimo fu l'esame
dei consulenti ex art. 233 c.p.p., comma 1, e la facoltà di illustrare le
proprie conclusioni tecniche con memorie ex art. 121 c.p.p., acquisite
altrettanto legittimamente ex art. 501 c.p.p.. Per tali ragioni, non vi
fu violazione del diritto di difesa.
1.4. Quanto alla consistenza del quadro probatorio e alla corretta
qualificazione dell'accusa formulata a carico di F., il giudice
d'appello, a fronte di specifiche censure della difesa circa la
configurazione di illeciti negli elementi acquisiti, condivide invece le
determinazioni del tribunale.
Ad avviso della Corte d'appello, la descrizione degli elementi di prova
effettuata dal tribunale fornisce un chiaro fondamento all'accusa e da
conto dell'approccio del V., privo di esperienza nel settore, con il
pubblico funzionario al quale corrispondeva utilità di valore sempre più
crescente che costui riceveva con la consapevolezza di soddisfare gli
interessi di V. relative alle diverse problematiche delle due case di
cura.
Vi fu un rapporto sinallagmatico tra le dazioni e gli atti compiuti da F.
che trova una prima conferma nelle parole di V. che si definisce
"corruttore", in tal modo dando un significato alle ragioni delle
erogazione delle utilità non riconducibili al rapporto di amicizia.
L'impostazione della vicenda, nei termini descritti nella decisione di
primo grado, è riprodotta nella sentenza impugnata che - nel riconoscere
continuità cronologica tra le più rilevanti dazioni e gli interventi più
significativi di F. - ritiene che l'accordo corruttivo fu stipulato in un
ottica di "protezione globale" che, al di là dei singoli atti, rispondeva
alla strategia dell'imprenditore e alla copertura istituzionale che F.,
nell'esercizio della pubblica funzione, avrebbe potuto assicurare. Una
costruzione, ribadisce la Corte di merito, aderente ai principi più volte
enunciati dal giudice di legittimità secondo cui si configura il reato di
corruzione allorchè il pubblico funzionario si ponga a disposizione del
privato, al di là della specifica individuazione degli atti contrari ai
doveri d'ufficio, allo scopo di assicurare un ampio atteggiamento di
favore nei confronti del privato che in ragione di ciò abbia effettuato
le elargizioni di utilità.
Nella concreta fattispecie, il giudice d'appello (in una coerente
descrizione dei fatti in linea con i principi enunciati dalla
giurisprudenza di legittimità) anzitutto elenca le singole utilità alle
quali si fa riferimento nell'imputazione (che costituiscono la prova
incontrovertibile del sinallagma corruttivo e dell'asservimento) e il
collegamento con i più significativi atti compiuti da F. in favore di V..
E' disattesa la diversa impostazione difensiva per la quale le utilità
ammesse da F. - quali i pernottamenti a (OMISSIS), la crociera, le
prestazioni sessuali di prostitute, le fiches in regalo - debbano essere
ricondotte ai rapporti di amicizia nel periodo (OMISSIS) e la
concomitanza nelle stesso periodo di interventi di F. sono solo frutto di
mera occasionalità e in ogni caso sintomo di sincero rapporto di
amicizia.
In particolare, V. ha riferito di avere ricevuto da F. una cena in
(OMISSIS) in occasione del suo compleanno e l'utilizzo occasionale di
un'auto BMW a fronte di:
a) i pernottamenti all'hotel nazionale di Sanremo, documentati per un
complessivo importo di L. 17.622.000 dei quali F. ha usufruito per
l'ospitalità offerta dal Casinò municipale a V. poichè "grosso giocatore"
nonchè ulteriore ospitalità a pagamento di V. presso lo stesso albergo;
b) offerta di fiches da L. 1.000.000 ciascuna in varie occasioni,
restituite da F. soltanto nel caso di vincita (verificatasi al massimo
nel trenta/quaranta% dei casi);
c) la crociera di (OMISSIS), pagata anche alla moglie di F. e il viaggio
aereo pagato per raggiungere la moglie a (OMISSIS);
d) il pagamento di un rapporto sessuale con una prostituta.
Il giudice d'appello, nel condividere l'impostazione complessiva data
all'intera vicenda dal tribunale, ritiene che tali utilità, al pari
dell'autovettura Porche e dell'imbarcazione - per le quali la difesa ha
addotto una serie di elementi per escluderne la natura di liberalità,
sono il sintomo che la "copertura globale" prestata da F. trovino la loro
spiegazione in dazioni di indiscutibile utilità nelle passioni e
interessi di F., coincidenti con quelli di V..
In particolare:
a) l'imbarcazione "(OMISSIS)" - come riferito da V. e, poi come avrebbero
accertato entrambi i giudici di merito in base all'esame della
documentazione del cantiere nautico e di quella bancaria e parzialmente
dai testi - fu un regalo per F., il quale oltre a versare assegni per un
importo complessivo di L. 20.000.000 non diede più nulla a V. sia sul
prezzo di acquisto di L. 40.000.000 che sui lavori effettuati per
complessive L. 89.301.470; pertanto, F. ebbe a ricevere da V. una dazione
del valore di circa L. 100.000.000, continuando, in virtù degli accordi
presi, a provvedere al pagamento dei lavori dopo la messa in mare della
barca e dell'ormeggio; la ricostruzione fornita dall'appellate, circa gli
errori del giudice di primo grado, per il giudice d'appello è smentita da
quanto riferito da V., il cui riscontro è nelle dichiarazioni rese da
Pe.Le. (precedente proprietario) e poi riportato nella procura a vendere
rilasciata al titolare del cantiere nautico e, ancora, dall'esame della
nota grafica del prospetto di conto 8 dicembre 2001, redatto dal cantiere
nautico (OMISSIS); altrettanto smentita la versione della difesa circa la
mancanza di documenti comprovanti pagamenti effettuati da V., poichè agli
atti vi sono due assegni di complessive L. 20.000.000 consegnati a V. al
momento del trasferimento della barca e altri assegni emessi dopo la
messa in mare con i quali ebbe a pagare il cantiere nautico per i lavori
eseguiti successivamente. c) quanto all'auto Porsche 911, il giudice
d'appello ritiene che anche qui il tribunale ha effettuato puntuali
verifiche sull'attendibilità oggettiva delle dichiarazioni di V. e, in
particolare, circa la circostanza da costui riferita di avere ricevuto da
F. solo L. 30.000.000 a mezzo assegno al momento della consegna dell'auto
F. diede a V. un assegno di L. 30.000.000 nel luglio 2000 senza ricevere
nulla a fronte di un auto che egli ebbe a pagare solo sei mesi prima L.
80.000.000; valore da ritenere non modificato anche a seguito
dell'incidente subito, poichè l'auto risultò perfettamente rimessa a
nuovo. Non risultano, precisa la Corte d'appello, somme di danaro in
epoca prossima a tale acquisto - non potendo ritenersi tali Euro 13.000
in contanti e altri Euro 2.500,00 a mezzo assegno, versati nel febbraio
2002 per una causale non riferibile al saldo del debito, come risulta da
conversazioni intercettate - e, anche ritenere per buono il valore che la
difesa ha voluto fare apparire congruo di L. 60.000.000, il residuo
prezzo di trenta milioni non può che costituire una elargizione in favore
di F.. La circostanza che per l'auto F. versò solo la somma di trenta
milioni, come riferito da V., per il giudice d'appello, trova riscontro
in quanto riferito dall'avv.to Ch., al quale il V. ebbe a dire che non
avrebbe preteso alcuna altra somma da F..
Nella sentenza impugnata si esaminano alcuni specifici atti contrari ai
doveri della propria funzione che F. ebbe a realizzare in favore di V. e
che si collocano, come precisato dal tribunale in epoche pressochè coeve
alla dazioni di utilità e in base al cui valore è poi determinata la pena
in relazione al reato base e agli altri reati satelliti di corruzione.
Nella sentenza impugnata, sono poste in rilievo le argomentazioni della
difesa che sono puntualmente smentite dalle risultanze degli atti
processuali e in particolare da conversazioni intercettate.
Due gli interventi in favore della Casa di cura (OMISSIS): l'uno, è la
vicenda del pagamento di prestazioni di terapia riabilitativa, effettuate
dalla casa di cura senza autorizzazione, come se si trattasse di
prestazioni per "medicina lungo-degenziale"; l'altro, la trasformazione
della casa di cura in residenza sanitaria assistenziale, per il cui avvio
della procedura F. si attivò, non appena presentata l'istanza
dell'interessato, - con l'invio di una lettera all'ASL (OMISSIS)
nonostante la pratica non rientrasse nella competenza della direzione
generale alla quale egli all'epoca era preposto - e seguì l'andamento
della pratica sino alla sua realizzazione.
Quanto al primo, nella sentenza impugnata si indicano elementi che
rendono incontrovertibile l'interessamento di F.: egli il 6 luglio 2000
invia una nota a propria firma con la quale ebbe a sollecitare una
transazione per definire la pendenza in favore della casa di cura
(OMISSIS), senza che vi fosse interesse per la pubblica amministrazione;
in tale contesto, si inserisce la vendita della Porsche, perfezionato
dopo dodici giorni dalla nota anzidetta.
Anche la per la seconda pratica, il giudice d'appello richiama gli
elementi emersi da testimonianze e documentazione che dimostrano le
interferenze di F. dal marzo 2000 sino al maggio 2002, data in cui fu
adottata la delibera di trasformazione della casa di cura in (OMISSIS).
In questo contesto, la Corte di merito pone in rilievo le risultanze
delle intercettazioni telefoniche e il preavviso dell'ispezione del
(OMISSIS) al V., intervento che non avrebbe potuto essere noto
all'interessato
circostanza
la
quale
da
conto
del
livello
di
cointeressenza tra F. e V..
In relazione alla casa di cura "(OMISSIS)", il giudice d'appello
evidenzia i due episodi ampiamente descritti nella sentenza di primo
grado: l'uno, l'adozione di una delibera condizionata per l'esecuzioni di
lavori, senza che ne ricorressero i presupposti e in mancanza del parere
dell'Asl competente; l'altro, i comportamenti di F. in occasione della
cessione della casa di cura ad altra società. Per entrambe le vicende, la
Corte d'appello disattende le diverse ipotesi della difesa e richiama la
ricostruzione operata dal giudice di primo in base alle risultanze
processuali. Anche qui, ad avviso della Corte, le due vicende, per le
modalità degli interventi di F. e per le sue interferenze descritte dai
testi e dimostrate dalla documentazione acquisita, rendono evidente che
F. ha compiuto atti contrari al proprio ufficio al solo scopo di favorire
il proprio amico V.. Si pone in rilievo che nel periodo in cui vi furono
inusuali interventi di F. alle trattative per la cessione della clinica,
i due amici si frequentassero assiduamente in Sanremo e fu in tale
periodo in cui fu acquistata l'imbarcazione (OMISSIS) ed effettuate le
riparazioni a spese di V..
1.5. La Corte di merito disattende le deduzioni della difesa in ordine
alla diversa qualificazione in corruzione impropria e al trattamento
sanzionatorio.
Quanto al primo profilo, nella sentenza impugnata si sottolinea che F. è
intervenuto, facendo un uso distorto dei propri poteri discrezionali
volti all'esclusivo soddisfacimento degli interessi privati dell'amico
V..
Quanto al trattamento sanzionatorio, la pena inflitta dal giudice di
primo
grado
è
adeguata
alla
gravita
dei
fatti,
dimostrata
dall'asservimento
dell'interesse
pubblico
della
sanità
a
quello
esclusivamente economico dell'amico imprenditore e dall'intensità del
dolo. Il fatto più grave è quello relativo alla dazione più rilevante
costituita dall'imbarcazione per tutte le altre sono stati operati
aumenti di pena congrui pressochè proporzionati all'entità delle dazioni.
Se da un lato, la Corte d'appello ritiene giustificata l'applicazione
delle attenuanti generiche, dall'altro esclude che possano ricorrere le
condizioni per giustificare la tenuità del fatto ex art. 322 bis c.p..
2. Il ricorrente deduce:
1. La violazione di legge in relazione agli artt. 8, 9, 12 e 16 c.p.p.,
per erronea individuazione del giudice territorialmente competente. Per
il ricorrente, erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che il delitto
di usura, il più grave reato ab origine contestato, fosse stato consumato
in Torino, luogo in cui l'imputato C. ebbe a porre all'incasso in banca
gli assegni ricevuti dai giocatori con tasso usurario. Tale conclusione è
dovuta a una corretta considerazione di quanto riferito da C. di avere
ricevuto in (OMISSIS) gli assegni dai giocatori per importi comprensivi
del prestito e degli interessi. Ciò avrebbero dovuto radicare la
competenza territoriale presso il tribunale di Aosta. In ogni caso, là
dove non fosse stato certo il luogo di commissione del reato di usura non
avrebbero potuto essere applicati i criteri suppletivi ex art. 9 c.p.p.,
comma 1, poichè, a differenza di quanto ritenuto dal giudice per
l'udienza preliminare e dal tribunale, la giurisprudenza di legittimità è
nel senso che si debba individuare il luogo dei reati gradatamente meno
gravi. Ciò avrebbe imposto di verificare il luogo di commissione del più
grave tra i reati di corruzione che risulta essere quello riferibile alla
datio dell'imbarcazione, tenuto conto della valore più significativo
rispetto alle altre, tanto che è stata ritenuta l'ipotesi più grave
rispetto alle altre anche ai fini della determinazione della pena base
sulla quale applicare gli aumenti. Tale reato è stato commesso in
(OMISSIS), luogo ove era ormeggiata la barca e fu ricevuta poi da F..
2. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione circa la qualifica
come utilità del reato di cui all'art. 319 c.p. della somma di L.
57.000.000. con riferimento all'auto e della somma di L. 95.000.000 in
relazione all'imbarcazione (OMISSIS);
a) quanto all'imbarcazione, il ricorrente rileva che il vizio di
motivazione con riferimento ai dati riportati nel rendiconto dell'8
dicembre 2001 e del riepilogo 10 agosto 2002. In particolare, i
rendiconti non sono mai stati presentati a V., il quale asserisce di
avere pagato i lavori semestralmente: unico rendiconto è quello rinvenuto
in possesso di F. dell'(OMISSIS), altro rendiconto è stato sempre trovato
in possesso di F. e si riferisce ai lavori eseguiti da novembre 2001
all'agosto 2002. Nessun rendiconto è stato mai presentato prima dell'8
dicembre 2001. Si tratta di circostanze sulle quali non vi è stata una
precisa risposta da parte dei giudici di merito, giunti a conclusioni
illogiche e non conciliabili con i documenti e i dati di fatto.
Anche il valore di L. 40.000.000 attribuito alla barca, non trova
riscontro nei documenti e si tratta di un valore meramente ipotetico
risalente all'epoca in cui P., proprietario dell'imbarcazione, conferì
procura a vendere a Vi.. Non si è tenuto conto del tempo trascorso e non
sono state riportate e considerate le testimonianze di Pe., V., Vi. e Cr.
i quali riferiscono che si tratta di un'imbarcazione vecchia e in rovina
e che avrebbe richiesto notevoli lavori per essere messa in acqua.
L'esame dei rendiconti e di quanto riferito dai testi smentisce V. che ha
ricevuto due assegni pari a complessive L. 20.000.000 e non risulta avere
versato mai nulla al cantiere per i lavori. La conclusione della difesa è
che V. non ha regalato nulla a F., bensì per conto di F. ha tenuto i
contatti personalmente con Vi. e gli altri artigiani. Egli conosceva da
tempo Vi. e gli altri artigiani che a quel tempo erano impegnati a
riparare le imbarcazioni di proprietà dello stesso V..
Le conclusioni raggiunte dalla Corte d'appello sono prive di un coerente
supporto argomentativo;
b) anche per l'autovettura, la Corte d'appello si limita a riportare il
contenuto della sentenza di primo grado. Il valore di L. 87.000.000 è
frutto di aberrazione e una forzatura. I giudici di merito si sono
riportati a quanto riferito da B.C., amministratore della società "Erre
Esse" titolare della concessionaria Porche. Si tratta di una valore
riportato sui tabulati Eurotax che non ha alcun riferimento concreto alle
condizioni dell'auto.
In realtà, V. ebbe ad acquistare l'auto al prezzo di L. 80.000.000 otto
mesi prima ed è assolutamente erroneo e privo di coerenza l'assunto dei
giudici di merito che il valore è pari a quello dell'acquisto dell'auto
da parte di V.. L'acquisto dell'auto da parte di F. avvenne dopo otto
mesi e al prezzo di L. 60.000.000, a seguito di una trattativa tra i due
e ciò emerge anche dalle parole di V., il quale riferisce di avere
venduto l'auto a F..
L'esame degli atti conferma che F. ebbe a pagare integralmente l'auto,
versando L. 30.000.000 all'atto dell'acquisto e poi la somma in contanti
di Euro 13.000,00 e un assegno di Euro 2.500. Con riferimento a tali
ultime somme non vi è nulla che possa accreditare la versione di V. di
avere ricevuto un prestito. Sulla complessiva vicenda dell'auto vi è
stato un omesso apprezzamento da parte della corte d'appello.
3. La violazione dell'art. 521 c.p.p. per mancanza di correlazione tra
l'imputazione e le sentenze di merito, anche in relazione alla mancata
dichiarazione di nullità dell'ordinanza 11 febbraio 2005 con cui il
tribunale ha respinto l'opposizione della difesa all'acquisizione della
consulenza tecnica relativa alla casa di cura "(OMISSIS)", predisposta
dai consulenti del pubblico ministero, sostenendo che l'acquisizione
dell'elaborato fosse legittimo.
L'imputazione enunciata nel decreto di rinvio a giudizio ha un contenuto
generico e privo della specifica indicazione degli atti illegittimi
rispetto alle condotte poi addebitate con le sentenze di condanna a F..
Nonostante i fatti fossero ben determinali all'esito dell'indagine, il
pubblico ministero non ha provveduto alla specifica indicazione.
In particolare, ad avviso del ricorrente, sono da considerare fatti
nuovi: per la (OMISSIS) l'interessamento alla trasformazioni in RSA e la
vicenda relativa alla transazione per il pagamento delle prestazioni di
fisioterapia; mentre per la casa di cura (OMISSIS) la "determina"
condizionata al parere della Asl per l'esecuzione dei lavori di
ristrutturazione adeguamento della casa di cura alle prescrizioni per
l'esercizio dell'attività e, infine, l'intervento per facilitare la
vendita della casa di cura. I nuovi fatti sono emersi dalla prosecuzione
della relazione dei consulenti del pubblico ministero e su essi non vi è
stata, ad avviso della difesa, ogni rituale contestazione all'imputato.
4. Violazione dell'art. 319 c.p. per erronea applicazione della norma in
particolare sotto il profilo della mancanza di atti definibili come
contrari ai doveri d'ufficio, in quanto estranei alla competenza del
pubblico funzionario, e , comunque, per carenza di dolo nonchè per
carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza
impugnata con riferimento anche all'irrilevanza, come utilità, delle
liberalità - quali i pernottamenti all'hotel, crociera, prestazioni
sessuali - così ritenute e definite dal F. e soprattutto da V..
Il ricorrente, rileva che la costruzione del tribunale di rilevare le due
case di cura, in condizioni precarie e sotto il profilo economico e
strutturali, ottenerne la funzionalità con provvedimenti amministrativi,
adottati con la copertura istituzionale, e poi liberarsene è rimasta una
mera congettura priva di ogni dato probatorio. I tempi di acquisto della
casa di cura (OMISSIS), in epoca molto risalente rispetto alla conoscenza
del F., e le condizioni dell'altra clinica, in perfetto funzionamento
escludono tale conclusione. Mancano elementi ai quali collegare le
asserite dazioni ad atti contrari ai doveri d'ufficio e così manca la
prova della sinallagmaticità delle liberalità con atti di favore.
E' V. a escludere, nonostante si qualifichi corruttore, di avere ricevuto
in proprio favore atti illeciti da F..
Le risultanze processuali non forniscono la prova che F. abbia agito per
finalità privata, in quanto ogni atto è stato volto al raggiungimento di
interessi pubblici. Tali argomenti, sostenuti dalle risultanze degli
atti, escludono non soltanto l'elemento oggettivo della condotta
criminosa ma anche il dolo.
Quanto alla proposta di transazione, alla "determina" condizionata alla
trasformazione della casa di cura in RSA e alla vendita della (OMISSIS),
egli agì per dare un apporto in funzione di una utilità per l'interesse
della sanità. Non vi nulla agli atti che provi l'intervento di F. per
condizionare i contenuti degli atti adottati.
In conclusione, per il ricorrente emerge chiaramente dagli atti che F.
non ha mai fatto nulla di illecito e in ogni caso su richiesta di V.. V.
non soltanto ribadisce tali circostanze, ma anche che F. non gli ha
chiesto mai nulla, e le liberalità sono state fatte spontaneamente.
F. si è limitato a dare consigli e indicazioni per la soluzione di
specifici problemi, al pari di quanto egli ebbe a fare per le altre case
di cura private e non ha mai consapevolmente e deliberatamente violato i
rapporti tra Regione e case di cura private.
Per il ricorrente, vi è stato un travisamento della prova poichè non vi
sono elementi che possano dimostrare il costante asservimento che i
giudici di merito pongono a fondamento della propria decisione.
E' decisivo per la vicenda processuale che V., seguendo i consigli di F.
esce completamente dalla sanità.
Quanto alle utilità, risulta evidente che i pernottamenti all'hotel
nazionale non sono stati pagati da V., ma dal casinò. Nei casi di mancato
pagamento del casinò, i conti sono stati pagati da F.. Tutte le altre
"dazioni" indicate nell'imputazione non sono altro che liberalità
inquadrabili in un rapporto di amicizia. Del resto, vi è la prova che
anche F. ha fatto regali a V., e non rileva se di modeste entità rispetto
a quelli di V., poichè effettuati in rapporto alle rispettive
possibilità.
Si insiste sulla mancanza di dolo da parte di F., che non ha mai
collegato i regali ricevuti all'attività istituzionale. L'amicizia
esistente tra V. e F. è la chiave di lettura dei loro rapporti
interpretati dai giudici di merito in termini non aderenti alle
risultanze processuali e alle stesse dichiarazioni di V..
Il ricorrente ripercorre l'iter delle due pratiche riguardanti la clinica
(OMISSIS): l'una la proposta di transazione e l'altra la trasformazione
della stessa casa di cura in (OMISSIS).
Si tratta di pratiche entrambe concluse con soluzioni ottimali per la
sanità e per la Regione, seguendo procedure trasparenti e prive di
violazioni di leggi. I testi esaminati, funzionari delle Regione delle
AASSLL interessate hanno mai riferito di pressioni ricevute da F.. Anche
la circostanza che F. abbia avvisato preventivamente di un'ispezione V.,
si tratta di ricordi evanescenti e privi di ogni specificità per essere
ritenuti attendibili.
Con specifico riferimento alla proposta transattiva di pagare le
prestazioni di fisioterapia come lungo-degenza, una circostanza decisiva
è che F. interviene in un momento conclusivo della pratica, trattata da
altri funzionari e che aveva prodotto un contenzioso da risolvere prima
che si trasformasse in contenzioso giudiziario. Non vi prova che F. e V.
fossero
a
conoscenza
che
l'attività
fosse
stata
svolta
senza
autorizzazione e che V. abbia fatto conto sull'intervento di F.. La
pratica risaliva a tempi anteriori la nomina di F. alla direzione
regionale.
Quanto alla partecipazione di F. alle trattative per la vendita della
casa di cura (OMISSIS) alla ISAN non vi è alcun profilo penale della
condotta. Si tratta di un addebito non descritto nell'imputazione che si
è risolto solo nel mettere in contatto V. con persone interessate alla
clinica quali probabili acquirenti.
F. non si è interessato ad altro, e il suo intervento del tutto lecito
era diretto a garantire la Regione e i futuri acquirenti, la fondazione
(OMISSIS).
5. La violazione di legge in relazione alla L.R. n. 5 del 1987, art. 3,
comma 7, riferibile alla determina n. 178 del 23 luglio 1999 e difetto di
motivazione sotto il profilo della contraddittorietà con atti e documenti
acquisiti al fascicolo processuale: non configurabilità di tale atto come
contrario ai doveri d'ufficio.
Il ricorrente rileva che la Corte d'appello ha erroneamente disatteso la
censura alla sentenza di primo grado nella parte in cui afferma
l'illegittimità della deliberazione adottata da F. senza acquisire il
parere dell'Asl competente.
Si ripropone la questione per sottolineare che F. ha condizionato la
propria deliberazione al parere positivo dell'Asl, espresso dopo venti
giorni.
Il parere, ad avviso del ricorrente, non è previsto come obbligatorio
dalla L.R. n. 5 del 1987, perchè è la Regione che decide sulla
sussistenza dei requisiti e la lettera della norma, non appare, anche
alla luce dell'interpretazione sistematica, condurre alla conclusione
dell'obbligatorietà.
Peraltro, nella concreta fattispecie F., nel condizionare la propria
determinazione all'esito del parere, lo ha considerato tale.
Anche il significato riconosciuto a tale deliberazione è assolutamente in
contrasto con le risultanze processuali, in quanto il collegamento di
tale atto con un tassello del programma volto alla vendita della casa di
cura (OMISSIS) è mera congettura. La casa di cura (OMISSIS) è stata
venduta due anni dopo da tale determinazione.
La deliberazione è stata adottata per consentire la velocizzare i lavori
di ristrutturazione nel periodo estivo, in base a progetti presentati nel
maggio e ulteriormente integrati e perfezionati sino all'adozione della
deliberazione del luglio.
Peraltro,
la
commissione
di
vigilanza
ha
dato
conto
ristrutturazione eseguita e ha espresso la propria approvazione.
della
Il ricorrente descrive l'iter della pratica e pone in rilievo che il
progetto fu inviato tempestivamente alla Regione e all'Asl per le
valutazioni di competenza. Sono mere congetture che i lavori in questione
non sono stati in realtà eseguiti, in mancanza di elementi che possano
dare consistenza a tale assunto. La pratica fu trattata al pari di altre
analoghe, senza che vi sia stato alcun favore per V., come riferito dai
testi circa il rispetto dei termini da parte dell'Asl nell'esprimere il
prescritto parere e la prassi della deliberazioni condizionata era oramai
applicata in ogni tipo di autorizzazione.
6. In subordine, si deduce l'erronea qualificazione giuridica dei fatti e
la derubricazione in corruzione impropria.
La situazione accertata esclude che si sia trattato di atti contrari ai
doveri d'ufficio, poichè F. ha agito per soddisfare interessi pubblici e
l'eventuale coincidenza dell'interesse privato assume un significato
secondario nell'ambito delle condotte di corruzione.
Non vi è stata alcuna violazione al generico dovere di imparzialità. Non
può ravvisarsi tale violazione nell'intervento di F. su altri funzionari,
come si assume essere avvenuto nel caso della casa di cura (OMISSIS),
poichè si è trattato di interventi non diretti a scavalcare le altrui
competenze,
bensì
solo
a
rappresentare
l'esigenze
concrete
compatibilmente con quelle dei vai uffici coinvolti nella gestione delle
pratiche.
7. La violazione dell'art. 438 c.p.p., comma 5, anche in relazione ala
sentenza n. 81 del 1991 della Corte costituzionale. Per il ricorrente, a
differenza della decisione del giudice dell'udienza preliminare,
condivisa dalla corte d'appello, vi sarebbe state le condizioni previste
per l'accesso al rito abbreviato condizionato.
Erroneamente e in termini assertivi si è ritenuto che l'integrazione
probatoria richiesta fosse di tale consistenza da essere contraria
all'economia del rito. La valutazione ex post in base alla durata del
processo ordinario rende evidente la maggiore celerità della definizione
con il rito abbreviato. Si chiede pertanto, l'applicazione della
riduzione di un terzo della pena.
8. Mancanza di motivazione e inosservanza di legge circa l'applicazione
della confisca anche in relazione all'art. 322 ter c.p..
Quanto alla confisca dell'auto e dell'imbarcazione, il ricorrente rileva
che non si è in presenza di cose che costituiscono il prezzo o il
profitto del reato, in quanto le risultanze processuali dimostrano che F.
ha acquistate l'una e l'atra da V., e semmai si può ritenere che egli sia
semplicemente debitore delle somme che si indicano non versate. Peraltro,
i pagamenti effettuati per l'imbarcazione dimostrano che la stessa è
stata pagata in misura corrispondente al suo valore, tenuto conto dei
lavori di ripristino effettuati a spese di F..
Inoltre, l'imbarcazione appartiene a persona estranea al reato, poichè
cointestata anche alla moglie di F. e non vi sono elementi, a differenza
di quanto ritenuto dal giudice d'appello, che l'intestazione sia
fittizia. L'argomento però è privo di motivazione, poichè alcuni assegni
acquisiti agli atti risultano a firma della moglie Cr.An..
9. La violazione dell'art. 132 c.p., poichè non è stato rispettato il
dovere di indicare a quali reati si riferiscono le pene applicate.
Poichè, la pena base è riferita in relazione alla più rilevante dazione
corruttiva costituita dall'imbarcazione, mentre vengono stabiliti quattro
aumenti di pena in relazione a quattro retribuzioni corruttive, senza
indicazione alcuna, come impone l'art. 132 c.p., comma 1.
Le pene inflitte non si conciliano con gli atti compiuti contro ius e con
le utilità ricevute e con le relative utilità ricevute. Perchè a fronte
di cinque utilità, sono rilevati quattro condotte, al di fuori delle
quali l'ulteriore è quella dell'intervento di F. per informare V.
dell'ispezione.
3. Con memoria, la difesa sottolinea gli argomenti posti a fondamento
dell'incompetenza territoriale e allega i verbali relativi alle
dichiarazioni di C. circa il luogo di ricezione degli assegni maggiorati
da interessi da parte dei giocatori ai quali erano elargiti i prestiti.
Ciò dimostra che il rato di usura è stato commesso in (OMISSIS).
Insiste inoltre, in applicazione del criterio previsto dall'art. 16
c.p.p., comma 1, nel senso che là dove non sia possibile determinare il
locus in relazione al reato più grave, deve farsi riferimento al reato
successivamente meno grave.
Nella concreta fattispecie, il reato successivamente meno grave è quello
di corruzione riferibile la datio dell'imbarcazione che non può che
essere ritenuto reato più grave rispetto alle altre corruzioni, tanto da
essere ritenuto ai fini della continuazione quello per il quale è stata
determinata la pena base.
Ulteriore questione è il decorso dei termini di prescrizione per i reati
contestati. L'art. 158 c.p., nel testo come modificato dalla L. n. 251
del 2005, stabilisce che il termine di prescrizione decorre dal giorno
della consumazione del singolo reato e non più dalla cessazione della
continuazione. Ne discende che l'auto è stata trasferita da V. a F. il
(OMISSIS) e, pertanto, il termine di prescrizione è scaduto il 19 gennaio
2008; il viaggio aereo (OMISSIS), la crociera (OMISSIS), il termine è
decorso il 1 giugno 2008 e il 5 luglio 2008; prestazione sessuale è del
(OMISSIS), il termine di prescrizione è scaduto il 5 novembre 2008;
l'imbarcazione risulta trasferita il 10 agosto
prescrizione è decorso il 10 febbraio 2009;
2001,
il
termine
di
per i pernottamenti in virtù delle fatture emesse dall'hotel nazionale
risalenti a epoca anteriore al 23 dicembre 2001 è decorso il termine di
prescrizione.
Si pone in rilevo che, nelle more del giudizio di legittimità, è stata
disposta la vendita dell'imbarcazione, con ordinanza del 7 maggio 2008.
Il prezzo base dell'imbarcazione è stato fissato in 50.000,00 Euro. Il 23
dicembre 2008 il prezzo di aggiudicazione è stato pari a Euro 1.000,00.
Ciò dimostra che l'imbarcazione non aveva un valore commerciale
intrinseco e autonomo; nell'agosto 2001 non aveva un valore negoziabile,
così come definito dai giudici in sentenza.
3. Tale è la sintesi ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, dei termini
delle questioni poste.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile poichè le censure in esso articolate sono
manifestamente infondate e, sotto altro profilo, dirette a censurare
scelte di merito, a fondamento delle quali il Tribunale e la Corte
d'appello hanno sviluppato argomenti corretti e coerenti.
2. La questione di competenza territoriale è stata correttamente risolta
dal giudice d'appello che, in base a elementi certi e descritti con
compiutezza, ha individuato il locus commissi del delitto più grave di
usura in (OMISSIS).
La giurisprudenza di legittimità è oramai uniforme nel senso che, nel
delitto di usura, la riscossione degli interessi dopo l'illecita
pattuizione integra il momento di consumazione e non costituisce un "post
factum" penalmente irrilevante. La Corte ha precisato che il delitto di
usura si atteggia a delitto a consumazione prolungata, che perdura nel
tempo sino a quando non cessano le dazioni degli interessi.
In particolare, il reato di usura appartiene al novero dei reati a
condotta frazionata o a consumazione prolungata perchè i pagamenti
effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario
compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il
momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come "post
factum" non punibile della illecita pattuizione (ex plurimis, Sez. 2, 30
aprile 1999, dep. il 12 maggio 1999, n. 6015; Sez. 2, 10 dicembre 2003,
dep. 11 marzo 2003, n. 11837; Sez. 2, 12 giugno 2007, dep. 9 luglio 2007,
n. 26553; Sez. 2, 10 luglio 2008, dep. 8 settembre 2008, n. 34910).
L'impostazione della dilatazione del momento consumativo dell'usura sino
all'effettiva percezione dell'utilità da parte del soggetto agente è
fondata sull'art. 444 ter c.p. dal quale discende, sebbene con
riferimento alla prescrizione del reato, la distinzione tra momento
consumativo formale e momento consumativo sostanziale;
nozione che - indipendentemente dalla natura giuridica del reato come
istantaneo o permanente - privilegia la circostanza che l'usura è reato
che si consuma nel momento dell'incasso degli interessi e della sorte
capitale.
Il giudice d'appello ha così definito il luogo di consumazione in
(OMISSIS), luogo in cui gli assegni sono stati posti all'incasso presso
stesso istituto di credito - Banca di Roma agenzia di (OMISSIS) - dal
quale era stato prelevato il danaro dato in prestito: prelievo, dunque,
del danaro da offrire a tassi usurari e, poi, incasso degli assegni per
importi comprensivi di sorte capitale e interessi. E' qui che in sostanza
è conseguita in concreto l'utilità e non nel luogo di ricezione
dell'assegno che rappresenta qualcosa in più rispetto alla promessa, ma
non certo la realizzazione dell'utile economico del reato.
Il fondamento giuridico di tale regola iuris è nell'approfondimento
dell'offesa tipica del reato che la datio dell'utilità o del danaro
promesso determina e che non può essere indifferente tanto da costituire
un mero post factum rispetto alla condotta criminosa già perfetta in ogni
suo elemento. L'acquisizione del danaro, se è adempimento di una promessa
già accettata e confermata dal rilascio degli assegni, non può che
realizzare un ulteriore e diverso momento consumativo del reato che in
tal modo assume una diversa gravità, rispetto a quello esauritosi con
l'accettazione della promessa, nel cui ambito va ricondotta anche la
ricezione degli assegni che, pur radicando ancora più la promessa non
costituisce realizzazione in concreto che si ha con la percezione del
danaro.
Una questione, dunque, correttamente risolta dal giudice d'appello,
rispetto alla quale il ricorrente deduce questioni palesemente infondate.
La individuazione della competenza richiede circostanze certe e non mere
ricostruzioni fattuali, peraltro fondate esclusivamente su dichiarazioni
di uno degli imputati, tale C..
Anche qui, la giurisprudenza è unanime nel senso che, ai fini della
determinazione della competenza territoriale l'indagine, va condotta
sulla base di elementi oggettivi, sicchè nemmeno può attribuirsi, a tal
fine, valore decisivo alle dichiarazioni dell'imputato, allorchè non
siano sorrette da sicuri riscontri ed ove il predetto accertamento non
sia stato possibile, a causa della mancanza o dell'equivocità degli
elementi di riscontro (Sez. 1, 24 febbraio 2004, dep. 1 giugno 2004, n.
24934).
La competenza per territorio deve essere accertata in base ad elementi
oggettivi, desumibili con certezza dalle prove acquisite, e non sulla
base di mere congetture nelle quali vanno ricondotte le dichiarazioni
dell'imputato prive di "certi" elementi di riscontro.
Ciò comporta che la deduzione del ricorrente, già di per se palesemente
infondata rispetto alla corretta soluzione del giudice d'appello, è
articolata su mere congetture fornite da coimputato cui si vuole affidare
l'individuazione del locus commissi delicti, peraltro nel merito già
smentita dal giudice di primo grado, a fronte del concreto radicamento
territoriale operato dal giudice d'appello.
In tale contesto - al di là della palese infondatezza nelle modalità con
le quali è stata articolata, dimenticando che ai fini delle competenza
ciò che rileva è il reato in astratto più grave - la questione riferita
al reato di corruzione si rivela assolutamente ininfluente.
3. Altrettanto palesemente infondata la questione posta in relazione al
diniego del giudizio abbreviato.
Il giudice del merito deve compiere la prognosi "ex ante", senza tenere
conto della incidenza degli accertamenti successivi richiesti o
espletati, ma stabilendo soltanto se questi, nel momento della decisione
a suo tempo adottata, apparissero ragionevolmente adeguati a costituire
un'integrazione probatoria conforme ai parametri normativi, onde il
relativo apprezzamento, quando sia coerentemente formulato, non è
censurabile in sede di legittimità, in quanto esso implica una
valutazione di fatto.
Una verifica ex ante che il giudice d'appello, in sintonia con quanto
affermato dal Tribunale, ha condiviso integralmente sotto il profilo
dell'incompatibilità dell'integrazione richiesta con l'economia del rito
abbreviato, il cui fondamentale scopo è quello di ripercorrere l'attività
d'indagine e di utilizzo degli elementi dalla stessa emersi, ponendosi
l'integrazione probatoria come attività volta a colmare eventuali vuoti
probatori della fase investigativa, non a ripetere atti già in essa
formati.
Corretta, dunque, la valutazione del giudice di merito, palesemente
infondate e generiche, perchè in sostanza ripetitive delle censure già
mosse alle scelte di merito operate dal primo giudice.
4. La manifesta infondatezza caratterizza anche le due censure - che, il
collegamento giuridico e fattuale tra esse esistente, impone di trattare
unitariamente - del difetto di correlazione tra accusa e sentenza ex art.
522 c.p.p. e dell'utilizzo dei dati emersi dalle consulenze disposte dal
pubblico ministero.
Quanto al primo profilo, la soluzione dei giudici di merito è corretta ed
è fondata su parametri già più volte individuati da questa Corte in
relazione alla prodromica ipotesi prevista dall'art. 521 c.p.p..
Come noto la diversità del fatto rispetto a quello contestato, e dunque
la nullità della sentenza per difetto di contestazione, ricorre allorchè
vi sia una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della
fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista
dalla
legge,
tanto
da
pervenire
ad
un'incertezza
sull'oggetto
dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della
difesa e ciò comporta che l'indagine volta ad accertare la violazione del
principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto
puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in
materia di garanzie e di difesa, la violazione è assolutamente
insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia
venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine
all'oggetto dell'imputazione (Sez. un. 19 giugno 1996, dep. 22 ottobre
1996, n. 16 Di Francesco).
La Corte d'appello ha compiuto tale indagine e all'esito della stessa si
è espressa nel senso dell'insussistenza di difetto di contestazione e di
correlazione tra accusa e sentenza. Per fatto va inteso l'elemento
materiale del reato, in funzione del diritto di difesa e gli "episodi"
valorizzati per corroborarne ulteriormente il giudizio di responsabilità
risultano dagli altri atti legittimante acquisiti al processo. La
condotta
concorsuale
ascritta
a
F.
nell'illecito
"mercimonio",
"finalizzato allo sviamento della funzione pubblica esercitata in
rapporto sinallagmatico con le dazioni effettuate da V. non è modificata
nelle sue connotazioni essenziali dagli episodi valorizzati dal giudice
di primo grado.
La conclusione, sotto il profilo giuridico, è che la contestazione e cosa
ben diversa dagli elementi di prova utilizzabili, poi posti a fondamento
della decisione.
La contestazione segna i confini della fattispecie concreta ricollegabili
agli elementi costitutivi dell'ipotesi di reato configurata e il thema
probandum. Gli elementi di prova costituiscono il fondamento dell'accusa
formulata e sono quelli legittimamente, con riferimento al regime del
rito ordinario o "abbreviato", esistenti agli atti processuali e, una
volta che vi sia stato introdotto il giudizio e la completa discovery,
sono a completa conoscenza dell'imputato sotto il profilo di tutte le
ipotesi ricostruttive percorribili in base a essi.
La Corte d'appello si è attenuta a tali parametri e soluzioni.
Peraltro, l'ampia, articolata, diffusa e analitica linea difensiva
sviluppata nei gradi di giudizio e, particolare, nel corso del giudizio
innanzi al Tribunale che ha disatteso le molteplici opposte ipotesi
ricostruttive offerte dall'imputato, dimostrano la manifesta infondatezza
della censura qui ancora una volta riproposta.
Il secondo aspetto è quello della nullità o inutilizzabilità degli esiti
della consulenza disposta dal pubblico ministero.
La soluzione del giudice d'appello, nel suo rigore argomentativo e
giuridico già esposto in narrativa, non richiede ulteriori chiarimenti e
specificazione se non quella che si tratta di conclusione corretta. La
consulenza, la cui ritualità non è imposta in discussione, non ha
alterato la posizione delle parti, poichè l'imputato sin dall'inizio è
stato posto in condizione di parteciparvi e di richiedere nell'esercizio
del diritto di difesa, le facoltà che l'art. 360 c.p.p., in relazione
agli accertamenti di cui all'art. 359 c.p.p., riconosce all'indagato.
In ogni caso, legittimo l'utilizzo di ogni prova della quale è sta
richiesta la rituale assunzione dibattimentale, traverso la deposizione
di testi e l'acquisizione di documenti.
5. Le altre censure - relative alla descrizione delle utilità, alla
qualificazione giuridica dei fatti, alla individuazione della "determina"
adottata senza il previo parere dell'Asl competente, già sintetizzate in
narrativa ai pp. 2, 4, 5 e 6 - in realtà si rivelavano nel loro complesso
alternative alla ricostruzione corretta e aderente ai dati probatori
esposta nelle due sentenze di merito e ampiamente giustificata da un
argomentato convincimento e, come tali, assolutamente inammissibili in
questa sede.
Al riguardo, il Collegio ritiene che le censure si distinguono - oltre
che per la loro manifesta infondatezza in rapporto alla completezza e
coerenza argomentativa della sentenza impugnata che nel suo unicum
ricostruttivo con la decisione di primo grado fornisce il quadro
complessivo della concreta situazione accertata e esposta in narrativa per essere volte a opporre argomentazione già ampiamente sviluppate dal
Tribunale e dalla Corte d'appello che hanno dato conto delle ipotesi
ricostruttive e delle ragioni della loro palese infondatezza rispetto
alla risultanze degli atti processuali.
Si è già detto in narrativa, che la vicenda, nei termini descritti nella
decisione di primo grado, è riprodotta nella sentenza impugnata che - nel
riconoscere continuità cronologica tra le più rilevanti dazioni e gli
interventi più significativi di F. - ritiene che l'accordo corruttivo fu
stipulato in un ottica di "protezione globale" che, al di là dei singoli
atti, rispondeva alla strategia dell'imprenditore e alla copertura
istituzionale che F., nell'esercizio della pubblica funzione, avrebbe
potuto assicurare. Una costruzione, ribadisce la Corte di merito,
aderente ai principi più volte enunciati dal giudice di legittimità
secondo cui si configura il reato di corruzione allorchè il pubblico
funzionario si ponga a disposizione del privato, al di là della specifica
individuazione degli atti contrari ai doveri d'ufficio, allo scopo di
assicurare un ampio atteggiamento di favore nei confronti del privato che
in ragione di ciò abbia effettuato le elargizioni di utilità.
Nella concreta fattispecie, il giudice d'appello, in una coerente
descrizione dei fatti in linea con i principi enunciati dalla
giurisprudenza di legittimità, anzitutto elenca le singole utilità alle
quali si fa riferimento nell'imputazione e che costituiscono la prova
incontrovertibile del sinallagma corruttivo e dell'asservimento e il
collegamento con i più significativi atti compiuti da F. in favore di V..
Tra questi, anzitutto, i pernottamenti all'hotel nazionale di (OMISSIS),
per un complessivo importo di L. 17.622.000, dei quali F. ha usufruito
per l'ospitalità offerta dal Casinò municipale a V. poichè "grosso
giocatore" nonchè ulteriore ospitalità a pagamento di V. presso lo stesso
albergo; utilità che è considerata dai giudici di merito unitaria - al di
là delle singole elargizioni provenienti dalla medesima fonte che la
compongono - al pari delle offerte offerta di fiches da L. 1.000.000
ciascuna in varie occasioni, nonchè la crociera di (OMISSIS), pagata
anche alla moglie di F. e il viaggio aereo pagato per raggiungere la
moglie a (OMISSIS); esse si inseriscono nel periodo dei due atti
significativi realizzati in favore della casa di cura (OMISSIS),
ricostruzione che la sentenza di primo grado rende in termini
dettagliati, condivisa e fatta propria dal giudice d'appello.
Insomma, una "protezione globale" a fronte della fronte delle utilità che
riguardano i singoli momenti topici dei due interventi significativi in
favore della Casa di cura (OMISSIS): l'uno, è la vicenda del pagamento di
prestazioni di terapia riabilitativa, effettuate dalla casa di cura senza
autorizzazione, come se si trattasse di prestazioni per "medicina lungodegenziale" a seguito della decisiva nota 6 luglio 2000 a firma di F.,
alla quale è collegato dal giudice di primo grado l'atto di trasferimento
della Porche il 19 luglio 2000; l'altro, la trasformazione della casa di
cura in residenza sanitaria assistenziale, per il cui avvio della
procedura F. si attivò, non appena presentata l'istanza dell'interessato
e seguì l'andamento della pratica sino alla sua realizzazione, nel cui
ambito si inseriscono le utilità di cui si è già detto che il giudici di
merito all'unisono riconducono al cd. asservimento di F. alle esigenze
imprenditoriali di V..
Altrettanto accurata la disamina delle pratiche significative riguardanti
la casa di cura "(OMISSIS)", il giudice d'appello evidenzia i due episodi
ampiamente descritti nella sentenza di primo grado: l'uno, l'adozione di
una delibera condizionata per l'esecuzioni di lavori, senza che ne
ricorressero i presupposti e in mancanza del parere dell'Asl competente;
l'altro, i comportamenti di F. in occasione della cessione della casa di
cura alla società I.S.A.N, conclusasi nell'estate del 2001 e nel cui
ambito si inserisce la datio dell'imbarcazione, come risulta dall'atto di
trasferimento 10 agosto 2001 da Pe. a F. e a, sua moglie Cr.Ca.. Per
entrambe le vicende, la Corte d'appello disattende le diverse ipotesi
della difesa e richiama la ricostruzione operata dal giudice di primo in
base alle risultanze processuali.
Si è specificamente descritto in narrativa, il giudice d'appello, nel
condividere l'impostazione complessiva data all'intera vicenda dal
Tribunale, ritiene che tali utilità, al pari dell'autovettura Porche e
dell'imbarcazione
trovino
la
loro
spiegazione
in
dazioni
di
indiscutibilità utilità nelle passioni e interessi di F., coincidenti con
quelli di V..
Un'impostazione, dunque, coerente con le singole risultanze processuali poste in rilevo nelle due sentenze di merito e argomentato con rigore
logico e giuridico - che forniscono la prova e il senso complessivo alla
vicenda nella quale si inseriscono le condotte di F., negli anni in cui
ha rivestito l'incarico di direttore generale alla Regione, volte a
favorire V. nelle singole difficoltà e assicurarne il buon esito delle
stesse.
Interventi specifici, descritti nei singoli passaggi nella sentenza di
primo grado e condivisi integralmente dal giudice d'appello, per la
soluzione di pratiche più significative relative a chiari interessi
economici di V. proprio a opera di F..
Interventi rispetto ai quali la difesa fornisce una ricostruzione opposta
quella dei giudici di merito, attribuendo un significato diverso non solo
a asse ma alle singole utilità, di rilevo notevole, ricevute.
Per la verità, la ricostruzione dei giudici di merito - e in particolare
della Corte d'appello che ha sintetizzato i segmenti significativi dei
singoli episodi - dimostra che la complessiva gestione dell'ufficio
rivestito da F. era caratterizzata dalla evidente strumentalizzazione a
ottenere danaro o altre utilità attraverso il sistematico interveto in
favore di V..
In tale contesto, il sinallagma tra atto illecito e retribuzione assume
un significato difficilmente decifrabile circa l'inquadramento in una
datio antecedente o susseguente. Esso, piuttosto, si inserisce in un
generalizzato favoritismo del pubblico ufficiale nei confronti del
privato, in attuazione di un accordo pressochè generalizzato a elargire
favori per utilità frutto di sottintese promesse, indifferentemente se
già determinate ex ante o determinabili ex post.
E allora non può che ribadirsi che ai fini della configurazione del reato
di corruzione e in particolare di quella prevista dall'art. 319 c.p. non
è necessario che l'accordo sia strumentale a uno specifico atto
individuato ab origine, mentre è sufficiente un collegamento di tale
accordo anche con un genus di atti individuabili o addirittura
l'asservimento - più o meno sistematico - della funzione pubblica agli
interessi del privato corruttore"; situazione che si realizza nel caso in
cui il privato promette o consegna al soggetto pubblico, che accetta,
denaro
o
altra
utilità,
per
assicurarsene,
senza
ulteriori
specificazioni, i futuri favori (Sez. 6^, 4 maggio 2006, dep. 5 ottobre
2006, n. 33435).
In conclusione, là dove l'accettazione della promessa e la ricezione
dell'utilità siano unitarie, nel senso che siano riconducibili alle
medesima fonte, anche se in funzione di una pluralità di atti da
compiere, il reato si configura come una condotta pressochè unitaria, pur
in presenza di una pluralità di utilità che realizzano solo elargizioni
già tacitamente convenute.
Una situazione rigorosamente descritta e riportata nella sentenza
d'appello anche rispetto alla ricostruzione dei fatti, considerata
corretta e logica nella sua complessiva esposizione della decisione del
Tribunale.
Le utilità poste in rilevo e gli atti individuati e descritti - dei quali
in sintesi si è già detto in narrativa - danno dunque la prova
incontrovertibile dell'asservimento della pubblica funzione a V. ed
escludono in termini altrettanto trancianti il diverso inquadramento nel
delitto di corruzione impropria che trova collocazione nell'ipotesi di
singoli atti collegati alla funzione specifica svolta dal pubblico
funzionario non inquadrabili - come più volte sottolineato nella sentenza
impugnata, con specifico riferimento a singoli atti e specifiche utilità,
in ottica "protezione globale".
Come si è posto in rilevo, la ricostruzione operata dai giudici di merito
che hanno specificamente analizzate le singoli diverse rappresentazioni
della difesa, - come già detto nei punti significativi in narrativa -
neutralizza le censure articolate con il ricorso che costituiscono non
altro che la riproposizione di diverse scelte di merito non accolte nei
due gradi di giudizio.
La Corte di cassazione non può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e
sull'attendibilità delle fonti di prova, giacchè esso è in via esclusiva
attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da
questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente
analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al
sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo
del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di
una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di
un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova.
In conclusione, le vicende, riassunte nei termini esposti in narrativa e
riprodotte ancora una volta nei punti significativi, sono state oggetto
di una accurata motivazione nel rispetto dei canoni di ordine logico che
debbono orientare il giudice di merito nelle scelte da compiere nel
proprio lavoro di ricostruzione storica dei fatti da provare ex art. 187
c.p.p. diretta a dare contenuti alla formula generale ed astratta
racchiusa nel citato art. 192 c.p.p., commi 1 e 2 di dare "...conto...
dei risultati acquisiti e dei criteri adottati".
Completa e coerente dunque
articolate dal ricorrente.
la
motivazione,
inammissibili
le
censure
6. Altrettanto inammissibili per manifesta infondatezza, oltre che per
essere riferite a scelte di merito adeguatamente giustificate, le censure
riferite: a) l'una, la confisca dell'auto e dell'imbarcazione perchè non
costituenti prezzo del reato, essendo state entrambe acquistate da F.; b)
la violazione dell'art. 132 c.p. poichè nella composizione della pena
inflitta per il reato continuato non vi è riferimento ai singoli reati
cui essa si riferisce. a) Quanto al primo motivo, la questione è stata
ampiamente risolta e giustificata dai giudici di merito circa la natura
di prezzo del reato di entrambi i beni ricevuti. Le censure con le quali
si pretende che l'autovettura e l'imbarcazione siano state acquistate da
F. incidono su una ricostruzione complessiva della vicenda, per la quale
vi è stata un'analitica disamina del giudice di primo grado che ha
smentito le diverse ipotesi ricostruttive rappresentate dalla difesa.
Disamina che il giudice d'appello ripercorre nei punti significativi e
giudica aderente alle risultanze processuali e per tal motivo fa proprie
le conclusioni cui è giunto il primo giudice:
si tratta di beni costituenti prezzo del reato di corruzione e, come
tali, confiscabili, a norma degli artt. 240 e 323 ter c.p..
In tale contesto, è neutralizzata la circostanza relativa alla cointestazione della imbarcazione alla moglie di F.: se il bene è prezzo
del reato e per tal motivo ricevuto, la intestazione a terzi, per di più
il coniuge con il quale vi è regime di comunione dei beni, non può che
essere fittizia, come correttamente spiegano sul punto i giudici di
merito. Anche il prezzo cui è stata pagata l'imbarcazione confiscata,
venduta all'asta è privo di rilievo, perchè soggetto al tipologia. b)
quanto al secondo motivo, la Corte di merito ha fornito, nella
complessiva ragionamento fattuale e giuridico, una giustificazione di
tale significato circa l'asservimento di F. a V. a titolo di "copertura
globale" tale da considerare le singole utilità, provenienti dalla
medesima fonte, un unicum rispetto anche alle pluralità delle stesse. E'
la sentenza di primo grado che, nell'accreditare sotto il profilo
fattuale questa impostazione unitaria - tanto che le ospitalità all'hotel
nazionale di Sanremo sono unitariamente considerate e collegabili al
periodo dei due atti significativi realizzati in favore della casa di
cura (OMISSIS) - individua le datio significative in relazione ai momenti
topici delle operazioni che hanno interessato di due correi, F. e V.,
nella gestione economica delle due case di cura.
In questo contesto, la giustificazione del trattamento sanzionatorio è
ampiamente riferita alla singole datio che - per entità del valore e
singolarità
della
consistenza
hanno
costituito,
nella
scelta
ricostruttiva operata dai giudici di merito, il chiaro riferimento ai
singoli reati che compongono il reato continuato. Del resto, la pena base
è pressochè ai limiti editali inferiori e a tale criterio sono ispirati
ulteriori quattro aumenti operati, come chiarito in entrambe le sentenze
di merito.
Rispetti a una giustificazione corretta e che da adeguamente conto delle
scelte di merito le censure non possono che rivelarsi inammissibili per
manifesta infondatezza.
7. L'inammissibilità del ricorso comporta ex art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese processuali, a versare
una somma, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00 in favore
della cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni richieste dalla
sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n. 186, il ricorrente
va altresì condannato al rimborso delle spese sostenute nel grado alla
costituita parte civile nella misura indicata in dispositivo.
Come noto infine, l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta
alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un
valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di
rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129
c.p.p. In tal caso, come chiarito da questa Corte, si è in presenza di un
ricorso soltanto apparente e, pertanto, inidoneo a instaurare il rapporto
di impugnazione (Sez. un. 22 novembre 2000, dep. 21 dicembre 2000, n.
32).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento di Euro 1000,00 in favore della
cassa delle ammende, oltre al rimborso delle spese sostenute nel grado
dalla parte civile, liquidate complessivamente in Euro 3.760,00, oltre
accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 25 agosto 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2009