REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO
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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente Dott. PRESTIPINO Giovanni - Presidente di sezione Dott. PREDEN Roberto - Presidente di sezione Dott. ODDO Massimo - Consigliere Dott. D'ALONZO Michele - Consigliere Dott. MERONE Antonio - Consigliere Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 19090/2008 proposto da: IFIL INVESTMENTS S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso lo studio TOSETTO, WEIGMANN e ASSOCIATI, rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNETTI Alessandra, WEIGMANN MARCO, ZACCONE CESARE, per procura in calce al ricorso; - ricorrente contro - COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA' E LA BORSA ((OMISSIS)), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DONATELLO 75, presso lo studio dell'avvocato CAPPONI Bruno, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PALMISANO PAOLO, VAMPA ROCCO, BIAGIANTI FABIO, ERMETES MARIA LETIZIA, per procura a margine del controricorso e ricorso incidentale; - controricorrente e ricorrente incidentale e contro PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI TORINO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE; - intimati avverso la sentenza n. depositata il 23/01/2008; 78/2007 della CORTE D'APPELLO udita la relazione della causa svolta nella Pubblica 23/06/2009 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO; di TORINO, udienza del uditi gli avvocati Alessandra GIOVANNETTI, Marco WEIGMANN,Bruno CAPPONI, Fabio BIAGIANTI; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso, p.q.r., per l'accoglimento del ricorso. Svolgimento del processo - Motivi della decisione 1. - Il giudizio dinanzi alla. Corte d'Appello - La sentenza, impugnata. Con ricorso proposto dinanzi alla Corte d'Appello di Torino e notificato alla Consob il 1 marzo 2007, la società esponente propose opposizione, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187 septies, chiedendone l'annullamento, avverso la Delib. Consob 9 febbraio 2007, n. 15760, con la quale era stato ingiunto alla IFIL il pagamento di una sanzione pecuniaria di Euro 4.500.000 in proprio, ai sensi dell'art. 187 quinquies D.Lgs. citato, e di ulteriori Euro 4.500.000, quale obbligata in solido, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, con G.G. e G.S. F.. La delibera sanzionatoria concerneva la "diffusione del comunicato stampa della, società Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a. il (OMISSIS)", diffusione imputata a cinque soggetti, ossia la società esponente e la Giovanni Agnelli e C. s.a.p.a., destinatarie della richiesta Consob, nonchè G.G., M.V. e G.S.F., in quanto ritenuti tutti coinvolti nel processo di redazione e diffusione dei comunicati. Il provvedimento era conseguenza di una complessa istruttoria da cui era emerso che, il (OMISSIS) - data di pubblicazione dei comunicati-stampa delle due menzionate società, come da richiesta della Consob ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 114, comma 5 -, era già stato oggetto di studio ed era in corso dì attuazione un articolato progetto volto a conservare la partecipazione di Ifil Investments s.p.a. in Fiat s.p.a. nella misura del 30%, contestualmente all'esecuzione dell'aumento di capitale sociale a servizio del ed. prestito convertendo con le banche posto in essere dalla Fiat s.p.a.: i comunicati-stampa erano stati ritenuti, pertanto, falsamente rappresentativi della situazione realmente esistente nella parte in cui dichiaravano che Ifil non aveva "intrapreso nè studiato alcuna iniziativa, in relazione alla scadenza del prestito convertendo". Costituitasi dinanzi alla Corte d'Appello, la Consob chiese il rigetto del ricorso, al pari del P.G. intervenuto in giudizio. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza depositata il 23 gennaio 2008, in parziale accoglimento dell'opposizione, annullò il provvedimento sanzionatorio limitatamente alla responsabilità conseguente all'illecito ascritto all'avv. G.S., riducendo poi la sanzione riferibile all'illecito del Dr. G. in proporzione alla riduzione della sanzione irrogata a quest'ultimo, ex art. 187 ter, nell'analogo procedimento a suo carico. 2. - Il ricorso per cassazione - Le questioni di diritto sottoposte alla S.C.. Avverso l'anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la Ifil Investments s.p.a., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, sulla base di 10 motivi, di cui quattro autonomi (con i relativi quesiti di diritto) e sei risprodittivi delle doglianze già espresse dal G. nel procedimento a suo carico (anch'esso in sede di ricorso per cassazione). Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione di legge, richiamando gli artt. 102, 112 e 295 cod. proc. civ., D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 187 ter e 187 quinquies, nonchè una motivazione meramente apparente, con nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, formulando il seguente quesito di diritto: "se, in caso di unicità del fatto illecito, del procedimento sanzionatorio amministrativo, e del provvedimento di Consob irrogativo di sanzioni amministrative, nel successivo giudizio di opposizione dinanzi all'auorità giudiziaria, ex art. 187 septies, comma 4 e segg. cit. TUF, siano parti necessarie tutte le parti opponenti, e debba quindi farsi luogo a integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte; e se, nel caso che tale integrazione del contradddittorio non sia stata disposta, la sentenza emessa nei confronti di un singolo opponente vada cassata ex art. 383 c.p.c., u.c.". Sempre nell'ambito del primo motivo, la ricorrente ha formulato altri due quesiti, da un lato censurando la mancata integrazione del contraddittorio con la persona fisica autore della violazione, G.G., ovvero la mancata sospensione del giudizio sino alla definizione dell'altro, nonchè l'avere la sentenza d'appello preso a parametro della sanzione, da comminare alla società ricorrente, quella inflitta alla persona fisica, ma sulla base di una parallela sentenza (non ancora depositata) pronunciata dalla medesima Corte nei confronti della persona fisica stessa,dall'altro, ha chiesto se l'accertamento della responsabilità della persona fisica, operato nel giudizio di opposizione proposto dalla società, esorbiti dal thema decidendum e produca la nullità in parte qua della sentenza. Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3 e art. 9, D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 1, art. 25 sexies, artt. 66 e 69, D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 185, 187 bis, 187 quinquies, 187 terdecies, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte d'appello ritenuto che l'ente risponda sia in proprio, sia solidalmente per le sanzioni comminate ai propri rappresentanti e dipendenti ai sensi dell'art. 6 cit., e non anche che l'applicazione di tale ultima norma sia esclusa dalla responsabilità diretta dell'ente di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 quinquies; ha, inoltre, affermato la ricorrente che, allorchè la fattispecie di market abuse venga riportata dall'autorità procedente al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 185, l'ente non possa patire una doppia responsabilità amministrativa, l'una ai sensi dell'art. 187 quinquies e l'altra per l'art. 25 sexies (introdotto nel D.Lgs. n. 231 del 2001 dalla L. n. 62 del 2005, in una con l'introduzione della disciplina del market abuse nel testo unico della finanza), ma sia passibile unicamente della sanzione pecuniaria dì cui all'art. 25 sexies citato; e che la sanzione pecuniaria vada, allora, irrogata dal giudice penale. Proponeva, pertanto, tre diversi quesiti di diritto. Con il terzo motivo, la ricorrente ha censurato la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., con omissione di pronuncia ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, o con omessa motivazione ai sensi del n. 5 di tale norma, o, in subordine, per violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, comma 2, formulando i seguenti quesiti di diritto: "se costituisca vizio della sentenza non aver deciso, ancorchè richiestane dalla, parte, su una censura di violazione del contraddittorio e di mancata messa a conoscenza in capo alla parte stessa, degli atti istruttori", conseguente al fatto che nel procedimento sanzionatorio ad essa non sia stato concesso di conoscere la relazione istruttoria finale dell'Ufficio sanzioni, nè di essere sentita innanzi alla Commissione circa la sanzione; nonchè: "se il principio del contraddittorio e della conoscenza degli atti istruttori, di cui all'art. 187 septies, comma 2 cit. TUF, sia o meno violato qualora all'incolpato, pur avendone fatto richiesta, non sia stato concesso nè di prendere visione della relazione conclusiva istruttoria (...) , nè di essere sentito", e se da ciò consegua l'invalidità del provvedimento sanzionatorio; nonchè: "se nel procedimento sanzionatorio Consob ex art. 187 septies cit. TUF si possano intendere rispettati i principi del contraddittorio e della conoscenza degli atti istruttori", laddove la divisione inquirente dopo la scadenza del termine e dopo la rimessione degli atti all'Ufficio sanzioni, espleti audizioni testimoniali ed utilizzi altri documenti ad essa pervenuti. Con il quarto motivo, la ricorrente ha censurato la motivazione contraddittoria, insufficiente od omessa, circa alla conoscenza, da parte della stessa e per il tramite del suo amministratore G., dell'eguity swap della Exor Group Luxembourg s.a., nonchè violazione e falsa applicazione dell'art. 2391 cod. civ. e art. 622 cod. pen., con il seguente quesito di diritto: "se l'amministratore di una società azionaria, che per ragioni della sua carica conosca un affare e una notizia riservata di quella società non noti neppure all'interno del gruppo al quale la società stessa appartenga sia tenuto alla riservatezza quando, quale amministratore di altra società dello stesso gruppo, sia chiamato ad esprimersi su un comunicato stampa nei confronti del mercato borsistico di questa seconda società, nella quale nessun altro, all'infuori di lui stesso, sappia alcunchè dell'affare o della notizia di che trattasi". Infine, la ricorrente ha ripetuto e fatto propri ulteriori sei motivi, già proposti da G.G.. Ha, dunque, chiesto la cassazione della sentenza della Corte d'appello ed il rinvio ad altro giudice di merito. 3. - Il controricorso e ricorso incidentale della Consob. Con il proprio controricorso e contestuale ricorso incidentale, la Consob ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità ed infondatezza di tutti i motivi del ricorso principale; rappresentando a sua volta sette motivi di doglianza, ha chiesto la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui è stato annullato il provvedimento sanzionatorio irrogato alla Ifil con riferimento all'illecito contestato al G.S. ed è stata ridotta la sanzione riferibile all'illecito di G.G.. Confutati i motivi avversi, la Consob ha eccepito l'inammissibile riproduzione dei sei motivi del ricorso G., in quanto volti a censurare la diversa sentenza n. 74 del 2007 della Corte d'appello di Torino. Con il primo motivo del ricorso incidentale, la Consob ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 99, 101, 112, 115, 182 e 359 cod. proc. civ., L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, D.Lgs. n. 58 del 1998,art. 187 septies, nonchè la violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, formulando il seguente quesito di diritto: "se la causa petendi della domanda azionata dal soggetto che impugna, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies e della L. n. 689 del 1981, un atto irrogativo di sanzioni amministrative ed il thema decidendum del correlato giudizio di opposizione innanzi alla Corte di Appello territorialmente competente siano delimitati e circoscritti dagli specifici motivi contenuti nel ricorso introduttivo, senza alcuna possibilità che detta causa petendi e detto thema decidendum possano essere ampliati per effetto di atti difensivi successivi al ricorso iniziale", concretando quindi il quesito con riferimento all'avere accolto la sentenza impugnata un motivo non contenuto nell'opposizione, ma prospettato con una successiva memoria, la cui tardività era stata eccepita dalla Consob nel grado di merito, concernente la posizione personale di G.S. e di G. nella realizzazione degli illeciti presupposto. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, la Consob ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 99, 101, 112, 115, 182 e 359 cod. proc. civ., L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, nonchè violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formulando il seguente quesito di diritto: "se la causa petendi della, domanda azionata dal soggetto che impugna, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies e della L. n. 689 del 1981, un atto irrogativo di sanzioni amministrative ed il thema decidendum del correlato giudizio di opposizione innanzi alla Corte di Appello territorialmente competente, siano delimitati e circoscritti dagli specifici motivi contenuti nel ricorso introduttivo, senza alcuna possibilità che detta causa petendi e detto thema decidendum possano essere ampliati per effetto di atti difensivi successivi al ricorso iniziale", concretando quindi il quesito con riferimento all'avere accolto la sentenza impugnata un motivo non contenuto nell'opposizione, concernente il fatto che G.S.F. avesse posto in essere l'illecito non come amministratore o rappresentante della società, ma come consulente legale. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, la Consob ha dedotto l'omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nell'inammissibilità, eccepita dalla Consob nel giudizio di merito, del nuovo motivo introdotto in corso di causa dalla controparte, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, formulando un quesito di diritto. Con il quarto motivo del ricorso incidentale, la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6, D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 187 quinquies e 187 septies, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ribadendo che la qualifica formale rivestita dalla persona fisica amministratore (nella specie, l'avv. G.S.) è sufficiente, sotto il profilo soggettivo, per l'imputazione dell'illecito all'ente per fatto proprio, ove sussista, sul piano oggettivo, la commissione del fatto nell'interesse od a vantaggio della società e senza che possa, invece, argomentarsi in contrario dalla circostanza di avere la persona fisica, nella specie, avuto un incarico come legale; ha formulato, quindi, un quesito di diritto. Con il quinto motivo del ricorso incidentale, la Consob - ripetendo, con riguardo all'illecito collegato alla condotta di G. G., argomenti uguali a quelli dedotti come primo motivo incidentale con riguardo all'illecito societario collegato alla condotta di G.S. - ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 99, 101, 112, 115, 182 e 359 cod. proc. civ., L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, nonchè violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formulando il seguente quesito di diritto: "se la causa petendi della domanda azionata dal soggetto che impugna, ai sensi della D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies e della L. n. 689 del 1981, un atto irrogativo di sanzioni amministrative ed il thema decidendum del correlato giudizio di opposizione innanzi alla Corte di Appello territorialmente competente, siano delimitati e circoscritti dagli specifici motivi contenuti nel ricorso introduttivo, senza alcuna possibilità che detta causa petendi e detto thema decidendum possano essere ampliati per effetto di atti difensivi successivi al ricorso iniziale", concretando quindi il quesito con riferimento all'avere accolto la sentenza impugnata un motivo non contenuto nell'opposizione, ma prospettato con una successiva memoria, la cui tardività era stata eccepita dalla Consob nel grado di merito, concernente la posizione personale di G. nella realizzazione dell'illecito presupposto. Con il sesto motivo del ricorso incidentale, la Consob ha dedotto l'omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nell'inammissibilità, da essa eccepita nel giudizio di merito, del nuovo motivo introdotto in corso di causa dalla controparte, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, formulando il relativo quesito di diritto. Con il settimo motivo del ricorso incidentale, la Consob ha censurato l'omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella riduzione della sanzione irrogata alla società ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 quinquies, per effetto della riduzione della sanzione inflitta al G. ai sensi dell'art. 187 ter D.Lgs. citato, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, formulando un quesito di diritto. 4. - Il controricorso su ricorso incidentale di Ifil Investments s.p.a.. La ricorrente principale ha notificato controricorso, ai sensi dell'art. 371 c.p.c., comma 4. La causa è stata rimessa a queste Sezioni Unite, in seguito ad istanza della predetta ricorrente, depositata il 22 gennaio 2009. Va preliminarmente osservato come la censura di inammissibilità proposta dal resistente con riferimento agli ultimi sei motivi del ricorso principale non possa trovare ingresso, atteso che l'oggetto delle relative censure resta pur sempre la sentenza oggi impugnata e non anche quella (n. 74 del 2007) pronunciata nel diverso procedimento instauratosi a carico della persona fisica ( G. G.) del cui illecito la società è chiamata "a rispondere" ex art. 187 quinquies. Norma, quest'ultima, dal carattere indubbiamente "eccezionale", atteso che la sanzione in essa prevista difetta di propria autonomia, nè - come recentemente rilevato in dottrina contiene considerazione alcuna delle condizioni economiche o patrimoniali dell'ente, del livello di efficienza prevenzionale, del grado di "coinvolgimento" del medesimo. Di talchè l'affermazione di responsabilità postula il previo accertamento della responsabilità e dell'irrogazione della relativa sanzione a carico della persona fisica autore materiale dell'illecito-presupposto, secondo un modello pressochè integrale di responsabilità par ricochet (ovvero "di rimbalzo"), rispetto a quella individuale (pur nella legittimità della riduzione della sanzione della L. n. 689 del 1981, ex art. 12, ovvero del suo aumento, ex art. 187 quinquies, comma 2. Legittimi si appalesa, pertanto, l'esame dei motivi predetti, legittima apparendone la connotazione di relatio perfecta che li caratterizza con riguardo a quelli svolti nel ricorso G.. 5) Le questioni rimesse alle s.u.. 5.1) Il litisconsorzio necessario. Con il primo motivo, la ricorrente principale ha posto un triplice, disomogeneo quesito di diritto alla Corte. Il collegio deve, conseguentemente, rilevare, da un canto, l'inammissibilità della doglianza nella parte in cui risulta trasfusa in un quesito multiplo/cumulativo avente ad oggetto questioni di violazione di legge (e, dunque, di diritto) e di vizi motivazionali (e dunque, come nella specie, di fatto) del tutto dissonanti tra di loro (così, tra le più recenti, Cass. Ss.uu. 7032/09; Cass. 26737/08; 17064/08; 9470/08; 5733/08; 5471/08; 1906/08); dall'altro, la infondatezza della stessa nella parte in cui pone a questa corte una questione rilevabile anche in via officiosa, quella, cioè, della legittima instaurazione del contraddittorio sotto il profilo dell'(invocato) litisconsorzio necessario tra tutti i protagonisti della vicenda sanzionatoria in esame. La questione del tipo di litisconsorzio legittimamente predicabile tra le parti del procedimento di opposizione è altresì oggetto delle speculari argomentazioni svolte dal controricorrente in relazione al primo dei motivi di ricorso sottoposti all'esame di queste sezioni unite. Lamenta, in particolare, il ricorrente la nullità della sentenza e del procedimento per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti (persone fisiche e giuridiche) ritenuti responsabili delle contestate violazioni. La censura è infondata sotto un triplice, concorrente profilo. a) E' principio di diritto costantemente affermato da questa corte regolatrice quello secondo il quale, in presenza di una condotta illecita posta in essere da una pluralità di soggetti in concorso (L. n. 689 del 1981, art. 5), si genera una pluralità di rapporti autonomi a soggetto attivo unico, ciascuno con un diverso soggetto passivo. Tale pluralità ed autonomia dì rapporti nascenti dall'illecito risulta altresì predicabile anche nell'ipotesi di pluralità di soggetti responsabili non già (o non soltanto) in concorso tra loro, ex art. 5 cit., ma legati da un vincolo di solidarietà, giusta disposto del successivo art. 6 della medesima legge 689 (su quest'ultimo aspetto della questione, amplius, infra, sub b), con riferimento, cioè, ad un rapporto pur sempre caratterizzato da identità di fatto generatore dì responsabilità, identità di prestazione, efficacia liberatoria dell'adempimento ex uno latere, efficacia plurisoggettiva degli atti interrottivi della prescrizione. Tanto nell'ipotesi più genericamente concorsuale, quanto in quella specificamente disciplinata dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187, l'autonomia dei rapporti sì palesa invero evidente, atteso che, mentre la disposizione di cui all'art. 187 ter disciplina l'ipotesi di illecito manipolativo commesso da persone fisiche "in posizione apicale" e "nell'interesse o vantaggio" dell'ente di appartenenza, tutt'affatto distinta è la violazione e la corrispondente sanzione irrogata all'ente stesso ex art. 187 quinquies a titolo di illecito proprio, direttamente ascritto in presenza di una sorta di "colpa organizzativa", salvo prova dell'esistenza di cause scriminanti. Ne consegue, sotto questo primo profilo, l'evidente relazione di alterità ed autonomia reciproca dei relativi rapporti di responsabilità intercorrenti tra la Consob (soggetto attivo del rapporto sanzionatorio) e, da un canto, le singole persone fisiche concorrenti negli illeciti manipolativi, dall'altro, gli enti sanzionati in proprio. b) Si rammenterà come sia in uso discorrere di litisconsorzio facoltativo allorchè, nonostante la plurisoggettività del rapporto, la pronuncia su di esso possa utilmente regolare i rapporti fra alcuni di quei soggetti lasciando impregiudicata la posizione degli altri, come nel caso, appunto, del creditore nei confronti di due debitori solidali, vicenda in cui la condanna di uno solo di essi non sarebbe imiti li ter data, perciò solo il litisconsorzio risultando, in tal caso, non necessario: la legge consente, senza imporlo, che più soggetti agiscano o siano convenuti nello stesso processo per ragioni che non possono avere altro fondamento che quello della connessione (naturalmente oggettiva) tra le due azioni. Di tale fattispecie costituisce poi figura "speciale" il litisconsorzio ed. unitario, nel quale, pur nella sua morfologica facoltatività, la legge impone, una volta volontariamente iniziato il giudizio da parte di più soggetti a legittimazione concorrente, la trattazione unitaria della causa, destinata ad essere decisa con unica sentenza (come accade nell'ipotesi prevista dall'art. 2378 c.c., comma 5, in tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari, ove si realizza una fattispecie di litisconsorzio necessario quanto alla decisione, benchè volontario quanto alla realizzazione). Di converso, criterio idoneo ad identificare con sufficiente certezza la speculare fattispecie del litisconsorzio necessario può a tutt'oggi ritenersi quello (proposto da nutrita e qualificata dottrina) secondo il quale, per stabilire se la decisione non possa pronunciarsi che nei confronti di più parti, deve farsi riferimento agli interessi come astrattamente considerati dal legislatore, attesa la ormai riconosciuta e predicata (di recente, anche dalla giurisprudenza di queste ss.uu. con la sentenza 4 giugno 2008, n. 14815) natura di norma in bianco dell'art. 102 c.p.c., destinata ad essere modellata dall'interprete sulla base delle esplicite disposizioni di legge che, non esaurendo la materia, diano indicazioni sulle relative, diverse rationes, onde estendere il litisconsorzio necessario ai casi omogenei. Si sono, così, andate delineando tre categorie generali, per le quali il legislatore prevede il litisconsorzio necessario expressis verbis: a) per avere attribuito un'eccezionale legittimazione processuale sostitutiva; b) per semplice opportunità; c) per ragioni di diritto sostanziale, in quanto la sentenza sarà destinata a produrre effetti per i titolari di un rapporto plurisoggettivo. Mentre le prime due risultano, per definizione, non estensibili secondo identità di logica, l'ultima è quella che più direttamente investe la fattispecie delle obbligazioni solidali. Ed è orientamento costante di questa giurisprudenza di legittimità quello volto ad escludere il litisconsorzio necessario in relazione a tale tipologia di obbligazioni (senza alcuna pretesa di completezza, Cass. 11 febbraio 2009, n. 3338, che afferma altresì la scindibilità delle cause in appello; Cass. 10 novembre 2008, n. 26888, in tema di pluralità di danneggianti a causa dell'accertamento della simulazione di una locazione; Cass. 31 luglio 2008, n. 20891, con riguardo all'obbligazione solidale in capo al socio di società di persone; Cass. 25 luglio 2008, n. 20476, in tema di responsabilità solidale fra amministratori e sindaci ex artt. 2393 e 2394 c.c.; Cass. 14 febbraio 2008, n. 3533 e 10 gennaio 2008, n. 239, entrambe in tema di fatto dannoso imputabile a più persone. Specifica funditus Cass. 21 giugno 2007, n. 14844 che, nelle ipotesi di solidarietà sia attiva che passiva dell'obbligazione, pur nella sussistenza di più soggetti creditori o debitori della stessa somma o della medesima prestazione, non si verifica un'ipotesi di litisconsorzio necessario in quanto la struttura del rapporto è congegnata in modo tale che ogni creditore può esigere ed ogni debitore è tenuto a corrispondere l'intero, salvo l'esercizio del diritto di rivalsa nei confronti degli altri concreditori o condebitori: Cass. 16 agosto 2005, n. 16957 preciserà, a sua volta, con riguardo alla responsabilità civile per il reato di bancarotta preferenziale posto in essere dai membri dei consigli di amministrazione di una società, che la sussistenza di una responsabilità solidale nei confronti del danneggiato tra gli autori materiali del fatto illecito anche nell'ipotesi in cui questo costituisca reato e il responsabile civile non determina un'ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo il creditore agire nei confronti di uno qualsiasi dei debitori tenuti in solido, nè tale litisconsorzio potrebbe essere ravvisato per il fatto che l'accertamento della responsabilità del soggetto obbligato in solido con detto autore materiale - secondo il titolo che nelle diverse ipotesi configura la responsabilità civile presuppone necessariamente l'accertamento del fatto-reato delle persone dì cui il primo debba rispondere, atteso che, facendosi luogo a tale accertamento incidenter tantum nel giudizio civile, non si rende necessaria, in tale giudizio, la presenza delle suddette persone autore/i dell'illecito). Tale, consolidato principio si ritiene, peraltro, derogabile, nell'ambito di sottosistemi normativi "speciali", laddove vi siano nessi di stretta connessione fra le varie responsabilità, quando, cioè, le posizioni dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale. Entro tale dimensione di ius singolare, assume peculiare connotazione la materia tributaria, in seno alla quale queste stesse Sezioni Unite - con specifico riguardo all'imposta sui redditi ed all'accertamento posto alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone di cui al D.P.R. 22 dicembre, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse - hanno affermato che l'accertamento in rettifica compiuto dall'amministrazione, con un unico atto, e con riferimento ai maggiori redditi di una società di persone, interessa nel contempo sia la società ai fini Ilor, sia i soci ai fini Irpef, in guisa che, al processo introdotto dal ricorso contro tale accertamento, tutti devono partecipare, in quanto l'"oggetto del ricorso" riguarda inscindibilmente società e soci (norma sostanziale di riferimento essendo stata ritenuta, nella specie, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40). La astratta rilevanza del principio così affermato non sembra seriamente revocabile in dubbio - senza che possa, peraltro, omettere di considerare come la vicenda dianzi riferita non abbia riguardo ad obbligazioni solidali in senso proprio e risulti altresì enunciato in presenza della particolare disposizione che regola il litisconsorzio nei processi tributari -, attesane la afferenza ad un giudizio parimenti volto all'annullamento tanto di un atto dell'amministrazione quanto dell'accertamento in esso contenuto. Non sembra, per altro verso, seriamente contestabile che il litisconsorzio tributario ripeta una sua disciplina autonoma da esplicite disposizioni di legge, quanto all'ipotesi che l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, giusta disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14, (a mente del quale: 1. Se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. 2. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l'integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza. 3. Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso. 4. Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili. 5. I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente. 6. Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l'atto se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza, disposizione che, secondo la giurisprudenza di questa stessa Corte, non costituisce (a differenza dell'art. 102 c.p.c.) "norma in bianco", ma indica positivamente il presupposto della inscindibilità della causa come dipendente, appunto, dall'oggetto del ricorso (in particolare, secondo Cass., sez. un. 18 gennaio 2007, n. 1052, resa in un caso di imposta di registro su bene del quale i comproprietari avevano proceduto a divisione, in una siffatta prospettiva, "appare chiara una dimensione esclusivamente processuale del litisconsorzio", perchè la realizzazione dell'ipotesi litisconsortile è connessa, strutturalmente e intimamente, alla domanda introdotta nel giudizio: "è la domanda, infatti, a determinare l'oggetto del processo e, quindi, a costituire, in ultima analisi, il parametro per valutare la inscindibilità della causa tra più soggetti, non senza, peraltro, disconoscersi" - si legge ancora in motivazione - "un profilo sostanziale, secondo cui vi è litisconsorzio necessario quando l'atto autoritativo presenti elementi comuni ad una pluralità di soggetti e siano proprio tali elementi ad esser posti a fondamento della impugnazione proposta da uno dei soggetti obbligati", ciò che rende palese come la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, si muova in una prospettiva diversa da quella nella quale sì collocano le regole relative all'obbligazione solidale, "la cui (eventuale) sussistenza non realizza un presupposto per l'applicazione della norma in questione" - così ribadendosi che non è la mera solidarietà comune a fondare il litisconsorzio necessario. Non si manca, ancora, di precisare che non sussiste litisconsorzio necessario quando il contribuente svolga una difesa solo sulla base di eccezioni personali). L'interrogativo che si pone alla corte, a questo punto della disamina della fattispecie, è quello se le pronunce che hanno così complessivamente ricostruito i caratteri del giudizio tributario possano offrire utili parametri di riferimento anche per il caso in esame ai fini della corretta individuazione della tipologia di litisconsorzio legittimamente applicabile al procedimento di opposizione a sanzione irrogata nella materia finanziaria de qua, ricordando ancora che gli obiettivi del litisconsorzio tributario sono, in definitiva, quelli di impedire la parcellizzazione delle controversie e di perseguire una giusta imposizione, risultato, invero, potenzialmente ostacolato dal formarsi di giudicati tra loro contrastanti in separati giudizi nei quali pur si dibatta una posizione comune ad una pluralità di soggetti obbligati, così che, di quest'esito patologico, il litisconsorzio necessario è la profilassi (Cass., sez. un., 18 gennaio 2007, n. 1052), mentre l'obiezione secondo la quale tale tipo di litisconsorzio necessario andrebbe considerato un ostacolo alla ragionevole durata del processo va comunque calibrata alla luce della considerazione per cui quest'ultima è un valore solo nella misura in cui sia funzionale all'effettività della tutela giurisdizionale, che non può risolversi esclusivamente nella celerità del giudizio, ma richiede l'operatività di strumenti processuali capaci di garantire la realizzazione di una omogenea disciplina sostanziale dei rapporti giuridici: in questi casi, il giudice dovrà disporre la riunione dei giudizi proposti, oppure, se non ancora proposti, l'integrazione del contraddittorio (Cass., sez. un., 4 giugno 2008, n. 14815). La fattispecie procedimentale di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, potrebbe a prima vista ritenersi astrattamente idonea ad integrare una delle prospettate ipotesi di ius singolare, attesone il rapporto di obiettiva interrelazione che essa postula tra le posizioni dei diversi condebitori sotto il duplice, concorrente aspetto della "sovrapposizione" della responsabilità dell'ente a quella delle persone fisiche incolpate della violazione ex art. 187 ter (in ipotesi chiamato a rispondere di queste ultime della L. n. 689 del 1981, ex art. 6, comma 3) - sovrapposizione che è cosa altra rispetto alla responsabilità per fatto proprio, sanzionata, pur se in relazione ai medesimi fatti e con riguardo alle medesime persone fisiche, ex art. 187 quinquies -, e del conseguente vincolo di dipendenza fra le obbligazioni che giustificherebbe la legittimazione partecipativa necessaria di tutti i responsabili. Pur vero, difatti, che la disciplina litisconsortile nel processo tributario risponde a regole non omogenee a quelle che presidiano la disciplina avente lo stesso oggetto nel processo ordinario, nondimeno, proprio in virtù della peculiare "sovrapposizione" sopradescritta, parrebbe a prima vista non infondato, in punto di diritto, riprodurre alcune delle considerazioni poc'anzi riportate e infondatamente trasfonderle in seno giudizio di opposizione a sanzione amministrativa previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies: accanto alla domanda così come individuata da causa petendi e petitum ed all'oggetto sì come vertente sull'intero rapporto, non pare un fuor d'opera riflettere altresì sulla stessa finalità di impedire un ipotetico conflitto di giudicati per vicende naturalisticamente omogenee. E' peraltro fermo convincimento di queste sezioni unite che il procedimento in esame non possa che strutturarsi secondo il modello del litisconsorzio facoltativo. Impregiudicata la questione se l'obbligazione oggetto dell'ingiunzione nei confronti della persona giuridica abbia o meno (pur se nelle sue indiscutibili peculiarità) struttura e natura solidale rispetto a quella della persona fisica/autore materiale della violazione (questione oggetto del secondo motivo di ricorso, e destinata a decisione in sede di partito esame dello stesso), è innegabile come il procedimento di opposizione, pur nella sua altrettanto indiscutibile specialità, vada pur sempre ricondotto alla disciplina generale di cui alla L. n. 689 del 1981. Pertanto, pur ammettendo, in via di ipotesi astratta, la predicabilità di tale vincolo, è indiscusso che, in virtù del generale meccanismo delle obbligazioni solidali, il creditore può richiedere l'intero ad un condebitore ed il pagamento ha effetto liberatorio per tutti i condebitori (art. 1292 c.c.), anche se il vincolo medesimo che lega i condebitori non si atteggia in tutti i casi allo stesso modo: in particolare, nelle obbligazioni solidali ad interesse unisoggettivo (o solidali improprie o imperfette o disuguali), pur sussistendo i requisiti della pluralità dei soggetti e dell'unicità della prestazione, manca l'eadem causa obligandi, onde la funzione esclusiva della solidarietà è costituita dalla garanzia del creditore (per lo più disposta dalla legge) e postula un nesso di pregiudizialità-dipendenza fra le obbligazioni, in quanto l'obbligo del soggetto vincolato in via principale si atteggia come fatto costitutivo dell'altro. Così, se il meccanismo dell'art. 1292 c.c., disegna, nei rapporti esterni, una architettura autonoma del vincolo di ciascun coobbligato verso il creditore - il quale può soddisfarsi chiedendo il pagamento dell'intero indifferentemente all'uno od all'altro dei condebitori, con conseguente liberazione degli altri -, nondimeno nei rapporti interni possono rinvenirsi situazioni soggettive condebitorie caratterizzate da un diverso grado di dipendenza. Ciò non elide nè trasmuta, nella sostanza, l'identità morfologica e funzionale di tali obbligazioni, in relazione alle quali, non ravvisandosi a tutt'oggi valide e convincenti ragioni per incamminarsi sulla via di un radicale revirement di giurisprudenza in ordine alla natura meramente facoltativa del litisconsorzio tra co- obbligati legati da un vincolo obbligatorio di tal guisa, per quanto questo possa porsi in rapporto di species a genus rispetto alla solidarietà "classica", deve escludersi tout court la predicabilità di un rapporto litisconsortile necessario tra l'ente destinatario dell'ingiunzione di pagamento e ciascuna delle persone fisiche raggiunte dalla sanzione amministrativa. Tale esclusione trova fondamento tanto sotto il profilo strutturale quanto sotto quello funzionale del rapporto processuale in parola: come segnalato dalla più avvertita dottrina, difatti, le conseguenze processuali che l'ordinamento ricollega al litisconsorzio necessario tra tutte, la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c., commi 1 e 2, e art. 383 c.p.c., comma 3, ove il rilievo del vizio avvenga in sede di impugnazione, ovvero la sostanziale "inefficienza" di un processo con decine e decine di parti necessarie -, sono talmente gravi da indurre a fare ricorso a tale istituto in modo estremamente oculato (del pari, non è seriamente contestabile la impredicabilità di un litisconsorzio necessario nella ipotesi del giudizio di opposizione intrapreso da un altro obbligato autore della violazione, per la sanzione a lui direttamente comminata, ossia fra i coautori dell'illecito, e ciò perchè ciascuna sanzione è personale, senza solidarietà alcuna fra le persone fisiche: nel caso di più persone concorrenti nell'illecito - come in quello in cui ciascuno abbia commesso violazioni autonome -, tutte vengono sanzionate dalla Consob, a seconda della gravità della colpa, ma non vi è vincolo alcuno di solidarietà ex art. 2055 c.c., perchè si tratta delle conseguenze affittivosanzionatorie di un illecito - e dunque, sotto tale profilo, le analogie vanno operate piuttosto con il diritto penale). Deve allora più proficuamente discorrersi di legittimazione litisconsortile soltanto facoltativa a partecipare al giudizio di opposizione instaurato da una delle parti (persona fisica o giuridica) destinataria della sanzione ex art. 187 ter, legittimazione che consente a ciascuno degli ingiunti di spiegare intervento in quel giudizio: anche in tal caso, il rapporto processuale che si instaura tra la società e le persone fisiche intervenute nel giudizio di opposizione è di tipo litisconsortile facoltativo, sub specie dell'intervento adesivo autonomo. Nell'ipotesi di proposizione di tanto da parte della società soccorrono, pertanto, al fine giudicati, le ordinarie regole riunione di procedimenti, senza diverse opposizione, in via autonoma, quanto delle singole persona fisica, di evitare ipotetici contrasti tra processuali in tema di connessione e che la mancata riunione (nella specie, peraltro mai invocata dalle parti in corso di giudizio) possa, peraltro, invocarsi come causa di nullità del procedimento e della sentenza. c) L'infondatezza della doglianza in esame scaturisce, peraltro, da un ulteriore motivo, di ordine processuale, condivisibilmente evidenziato dalla resistente autorità di vigilanza (f. 51 del controricorso), consistente nella omessa indicazione, da parte dell'odierno ricorrente, del pregiudizio in concreto da lui subito in dipendenza del denunciato error in procedendo in cui sarebbe incorsa la Corte subalpina. E' principio di diritto consolidato presso questa corte di legittimità, difatti (ex multis, Cass. 1279/07; 13662/04; 12594/02; 5837/97) quello secondo il quale l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nel consentire la denuncia di vizi che comportino la nullità (del procedimento e) della sentenza impugnata in sede di legittimità, non è volto a tutelare un astratto interesse alla regolarità dello ius dicere (e non trasforma, pertanto, il ricorrente nell'Ombudsman del processo civile), ma presidia e tutela, per converso, un diritto all'eliminazione di eventuali vulnera subiti in concreto dalla parte istante in dipendenza del denunciato error in procedendo. Orbene, il ricorrente non indica, in nessun passaggio del suo pur corposo mezzo di impugnazione, quale concreto nocumento egli abbia subito dalla mancata riunione dei cinque giudizi di opposizione instaurati dinanzi alla stessa corte di appello (in composizione oltretutto omogenea per i due terzi del collegio), da ciascuno degli ingiunti: che anzi lealmente ed apertamente si riconosce che "tutte le sentenze confermano, nella sostanza, il provvedimento Consob e la ricostruzione dei fatti come effettuata dall'autorità", onde la inevitabile conclusione (cui a questa corte ineludibilmente ed obbiettivamente ritiene di dover pervenire, essendo stata investita dell'esame congiunto di tutti i procedimenti relativi alle sanzioni opposte, ed avendo così rilevato la integrale sovrapponibilità dei fatti storici, la assoluta omogeneità di iter logico, la consonante identità di sviluppo motivazionale in relazione a ciascuno di essi da parte del giudice torinese) della inammissibilità della doglianza per difetto di interesse. Alle suesposte considerazioni consegue il rigetto in parte qua del primo motivo del ricorso principale. 5.2) Il mancato rispetto dei termini per la conclusione del procedimento amministrativo. Anche il terzo motivo del ricorso principale (che presenta a sua volta profili non marginali di inammissibilità, attesa la strutturazione in senso multiplo/cumulativo del relativo quesito, e riproduce in parte qua la doglianza di cui mi sesto motivo del ricorso G., puntualmente riportato dal ricorrente in questa sede) pone, tra le altre, una questione oggetto di contrasto nella giurisprudenza di questa corte di legittimità, quella, cioè, della natura del termine stabilito per la conclusione del procedimento irrogativo della sanzione amministrativa (attestate sul fronte della sua natura perentoria risultano, tra le altre, Cass. sez. 5^, 9 marzo 2005, n. 5099; Cass. sez. 1^, 15 giugno 1999, n. 5936; Cass. sez. 1^, 9 sett. 2002, n. 13078; Cass. sez. 1^ 25 gennaio 2002, n. 874; Cass. sez. 3^, 9 agosto 2000, n. 10541; Cass. sez. 3^, 27 luglio 2000, n. 9889; Cass. sez. 1^, 25 febbraio 1998, n. 2064, nonchè, per la giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato sez. 6^, 19 dicembre 1997, n. 1869; predicative dell'opposto carattere, meramente ordinatorio, del termine de quo risultano Cass. sez. 2^, 10 ottobre 2008, n. 24947; Cass. sez. 2^, 20 febbraio 2008, n. 4329; Cass. sez. 2^, 23 gennaio 2008, n. 1469; Cass. sez. 2^, 1 marzo 2007, n. 4873; per la giurisprudenza amministrativa C. Stato sez. 6^, 22 giugno 2007, n. 3455, 30 maggio 2007, n. 2748, 20 aprile 2006, n. 2195, 13 maggio 2003, n. 2533; C. Stato sez. 6^, 15 febbraio 2006, n. 609 e sez. 1^, 22 giugno 2005, n. 2533; 10 giugno 2004, n. 3741; C. Stato, sez. 5^, 19 settembre 2000, n. 4844). La questione non assume specifico rilievo nel presente giudizio. Difatti, gli eventuali vizi del provvedimento riferibili a vizi del procedimento non sono, a giudizio di questa Corte, nella specie rilevanti, in quanto risulta palese tanto la natura vincolata del provvedimento stesso quanto la immodificabilità del relativo contenuto (in argomento, queste sezioni unite, con la sentenza 24.1.05 n. 1362 hanno già avuto modo di affermare, con motivazione dalla quale il collegio non intende discostarsi, che le sanzioni amministrative irrogate per la violazione delle norme in tema di intermediazione finanziaria ne postulano una irredimibile tassatività, e gli stessi D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 188 e 195, non lasciano dubbi in proposito, risultando incontestabile espressione del principio stabilito in via generale dalla L. n. 689 del 1981, art. 1). Tanto è a dirsi ai sensi e per gli effetti della L. n. 15 del 2005, art. 21 octies, comma 2, norma la cui natura processuale è facilmente desumibile dal disposto del medesimo secondo comma (a mente del quale il provvedimento non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato), la cui ratio (sulla quale, funditus, Cons. di Stato 5419/06) è indiscutibilmente da rinvenirsi nell'intento di sanare, con efficacia retroattiva, tutti gli eventuali vizi pro e ed intentali non influenti sul diritto di difesa in relazione a provvedimenti vincolati adottata in una materia l'intermediazione finanziaria in cui il bilanciamento, anche costituzionale, dei valori individuali e collettivi destinati a tutela consente al legislatore ordinario interventi che privilegino la tutela del risparmio e della trasparenza e buon andamento dei mercati e delle operazioni finanziarie (per la natura processuale della disposizione in esame si è espressa la quasi unanime giurisprudenza amministrativa: Cons. di Stato 4614/07, 6194/06, 2763/06, 5969/05; Tar Lazio 345/07, 6359/05, 6358/05; Tar Sicilia 14/06; Tar Liguria 1408/05. In senso opposto, per la natura sostanziale della norma, la sola pronuncia di cui a Cons. Stato 1307/07). Qualsiasi (pur ipotetico) vizio procedimentale afferente al termine in parola risulta, pertanto, sanato ai sensi della disposizione in esame. Quanto, poi, in particolare, alla specifica doglianza afferente alla pretesa violazione del principio del contraddittorio durante la fase istruttoria del procedimento sanzionatorio - principio espressamente sancito dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, comma 2 -, il ricorrente mostra di non considerare, in limine, che tale principio, in tale fase, deve pur sempre strutturarsi e modellarsi in concreto, in funzione, cioè, dello stato in cui si trova la procedura al momento dell'acquisizione delle ulteriori prove, e non implica di per sè la necessità della relativa assunzione alla costante presenza della parte. Pertanto: da un canto, la doglianza non pare prospettare, nella sostanza, alcun reale e pertinente argomento idoneo a dimostrare una concreta ed effettiva lesione del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso dall'azione sanzionatoria - attesa l'ampiezza e la consistenza, contenutistica e "dimensionale", delle difese svolte in quella sede anche in relazione alla documentazione della Merril (tradizionale advisor del gruppo Fiat) sopravvenuta alla scadenza del termine così come acquisita dalla Divisione Mercati dell'autorità di vigilanza; - dall'altro, omette del tutto di considerare che contenuti coessenziali alla contestazione risultano, in quella fase, l'indicazione dei fatti rilevati, la loro qualificazione in termini di illecito, l'imputazione dell'illecito integrato da tali fatti al responsabile, elementi procedimentali tutti, nella specie, ampiamente rispettati sotto il profilo del (non predicabile) vulnus al diritto di difesa: così, del tutto condivisibilmente, la sentenza impugnata - sulla premessa che il contraddittorio endoprocedimentale non verte sulla sanzione e sui criteri della relativa quantificazione - rileverà come l'intero procedimento sanzionatorio disciplinato dalla Delib. Consob n. 15086, risultasse pienamente idoneo ad assicurare l'invocato contraddittorio, proprio in conseguenza della distinzione in due parti della fase istruttoria e dello svolgimento di una seconda fase "di confronto" dinanzi all'Ufficio sanzioni dell'autorità di vigilanza, ove all'interessato venne riconosciuta piena facoltà di difesa in merito ai fatti contestati, specie sotto il già ricordato profilo della piena disponibilità delle nuove acquisizioni probatorie, a lui rimesse integralmente a seguito di comunicazione da parte dello stesso Ufficio sanzioni. La pronuncia impugnata si pone, pertanto, rigorosamente in asse con principi, più volte espressi da questa stessa corte di legittimità, a mente dei quali il contraddittorio e il diritto di difesa - nella fase amministrativa prodromica all'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione resta incentrata sul fatto, individuato in tutte le circostanze concrete che valgano a caratterizzarlo e siano rilevanti ai fini della pronuncia del provvedimento finale (così Cass. 6408/96; 6838/95; in particolare, Cass. 7262/90 analiticamente ricostruisce, nei termini che precedono, gli aspetti procedimentali afferenti al contenuto della contestazione, specificando come, a base del provvedimento, l'autorità procedente abbia l'obbligo di porre il nucleo del fatto contestato inteso nella sua fenomenologia obbiettiva e subbiettiva e non anche nella definizione giuridica ivi conferitagli); dall'altro ancora, mostra, in relazione proprio alla diacronica evoluzione probatoria del procedimento, di non considerare l'ulteriore, concorrente profilo della vicenda - già sottolineato da questa corte con la sentenza 18.4.2003, n. 6307 sia pur con riferimento alla diversa fattispecie dell'irrogazione di sanzioni per infrazioni commesse dai consiglieri di amministrazione degli istituti di credito previsto dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 145 - predicativa del principio di diritto, che queste sezioni condividono e fanno proprio, mutatis mutandis, secondo cui al pari dell'analoga previgente disposizione di cui all'art. 90 della "legge" bancaria (R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375), il procedimento de quo non prescrive altro, prima dell'adesione - con decreto motivato - del Ministro del Tesoro alla proposta di applicazione della sanzione avanzata dalla Banca d'Italia, che la contestazione, da parte della Banca, dell'addebito mosso e la valutazione delle eventuali controdeduzioni dell'interessato, senza alcuna altra interlocuzione di quest'ultimo prima del provvedimento ministeriale, nè il difetto di previsione d'una tale ulteriore forma di difesa può essere colmata invocando una diretta applicazione dei precetti costituzionali riguardanti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto processo (art. 111 Cost.), atteso che tali norme riguardano espressamente e solo il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti al giudice e non il procedimento amministrativo, ancorchè finalizzato all'emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi, sicchè tale, mancata (completa) equiparazione del procedimento amministrativo a quello giurisdizionale non viola in alcun modo la Costituzione. 6) Le ulteriori questioni di diritto - I residui motivi dei ricorsi principale e incidentale. 6.1 - Il secondo motivo del ricorso principale. La ricorrente ripropone, dinanzi a questa corte, questioni già sollevate in sede di opposizione, e già analiticamente esaminate e correttamente risolte dal giudice territoriale. Lo fa, peraltro, seguendo un iter argonetativo che sfocia, poi, nella formulazione di un quesito irredimibilmente multiplo, ponendo, a un tempo, la questione dell'applicabilità del regime generale della solidarietà dell'ente, giusta disposto della L. n. 689 del 1981, art. 6, e quella, affatto diversa, della (asseritamene illegittima) duplicazione di sanzioni allorchè l'autorità procedente, contestata la fattispecie di market abuse ai sensi dell'art. 185 del cit. D.Lgs., irroghi poi una ulteriore sanzione ex art. 187 quinquies stessa legge. Pertanto, al di là ed a prescindere dalla totale infondatezza nel merito di entrambe le questioni (la motivazione della sentenza impugnata appare, in argomento, del tutto incensurabile, affrontando con dovizia di argomentazioni immuni da vizi logico-giuridici e, nel merito, totalmente condivisibili, tanto il tema della solidarietà - con riferimento al quale è legittimamente esclusa in radice la sussistenza di un rapporto di specialità o assorbimento tra i ricordati art. 187 quinquies cit. TUF e L. n. 689 del 1981, art. 6, atteso che la prima norma configura una ipotesi di responsabilità amministrativa della persona giuridica per fatto proprio, la seconda una fattispecie di "debito senza responsabilità", essendo l'ente chiamato a rispondere della violazione commessa dal proprio organo non per diretta responsabilità, quanto in funzione di adiectus solutionis causa - quanto quella dei rapporti tra fattispecie punitive - considerando altrettanto legittimamente esclusa ogni ipotesi di specialità ovvero dì concorso apparente delle fattispecie sanzionatorie, alla stregua del tenore letterale della norma ex 187, delle origini storiche dell'intero corpus legislativo di cui al c.d. TUF - attuativo, come noto, della direttiva 203/6/CE la quale, nel prevedere l'obbligo di sanzionare in via amministrativa gli abusi de quibus, lascerà poi libero il legislatore nazionale di prevedere, in via cumulativa e non alternativo/sostitutivo, l'irrogazione (anche) di sanzioni penali, scelta, quest'ultima, concretamente attuata da parte di quello italiano, onde rafforzare la tutela del bene protetto attraverso il sistema del doppio binario, con conseguente, legittima cumulabilità di fattispecie ex artt. 185 e 187 ter e, conseguentemente di legittimo cumulo tra l'art. 187 quinquies e il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25 sexies, integranti fattispecie assolutamente speculari rispetto alle prime, senza che, in proposito, potesse assumere rilievo l'obiezione secondo cui, mentre la persona fisica risponde, in un sistema così delineato, una volta in via amministrativa, un'altra sul piano penale, la persona giuridica sarebbe viceversa chiamata a rispondere due volte sul piano amministrativo, non tenendosi in tal modo nella debita considerazione che la responsabilità degli enti, così come strutturata della normativa 231/01, ancorchè formalmente denominata "amministrativa", ricalca poi nella sostanza, mutatis mutandis, la falsariga della responsabilità penale, come già riconosciuto dalla stessa dottrina che predica ormai quasi unanimemente il principio per cui societas delinquere potest, così sovvertendo l'opposta e radicata tradizione romanistica sotto l'impulso della normativa comunitaria), il motivo va dichiarato inammissibile, in conformità con la ormai consolidata giurisprudenza di questa corte. 6.2 - Il quarto motivo del ricorso principale. Destinato a cadere sotto la scure dell'inammissibilità, quanto alla concreta configurabilità della responsabilità soggettiva del ricorrente in ordine ai comunicati inveridici pur concordati con l'autorità di vigilanza è ancora, irredimibilmente, il quarto motivo di ricorso, che introduce in seno al presente giudizio una questione di mero fatto, cui la corte territoriale ha fornito ampia, articolata, motivata e condivisibile risposta. Si celano, dietro lo schermo della lamentata omissione, contraddittorietà, insufficienza della motivazione, doglianze rivolte alla impugnata sentenza di genere tipicamente valutativofattuali, destinate, come tali, a sottrarsi al controllo di legittimità di questa corte regolatrice. I criteri utilizzati dal giudice torinese, difatti, appaiono del tutto correttamente indirizzati a individuare quale legittima estrinsecazione dei poteri espressamente riconosciuti all'autorità giudiziaria in tema di valutazione della condotta della persona fisica sanzionata in relazione alla fattispecie di illecito contestato - una irredimibile responsabilità dell'amministratore in relazione a fatti di sua conoscenza, attesa la inscindibilità di tali conoscenze personali rispetto alla qualifica apicale nella specie rivestita. Va anche a questo proposito ribadito il principio (già affermato in precedenza, nel corso dell'esame dei precedenti motivi) secondo cui, qualora il ricorrente, lungi dal prospettare a questa corte un vizio della sentenza gravata concretamente rilevante sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., si volga ad invocare, analiticamente ma infondatamente, una diversa lettura delle risultanze procedimentali come correttamente accertate e condivisibilmente ricostruite dalla corte dì merito, muove in realtà all'impugnato provvedimento censure del tutto inaccoglibili in questa sede perchè la valutazione delle risultanze probatorie - non meno che il giudizio sul bilanciamento delle circostanze fattuali rilevate a latere dell'illecito così come contestato -, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, non incontra altro limite (ancora una volta, ampiamente rispettato nel caso di specie) che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva. Le opzioni espresse dal giudice territoriale - nella specie, del tutto legittime in punto di ricostruzione storico-logica degli elementi soggettivo ed oggettivo della fattispecie - appaiono, pertanto, apoditticamente non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata (quasi che la fungibilità nella ricostruzione circostanziale di una vicenda processuale fosse ancora legittimamente predicabile in seno al giudizio di Cassazione). 6.3 - I restanti motivi del ricorso Ifil/ G.. a) Il secondo, terzo e quinto motivo di ricorso. Al di là ed a prescindere dai (non marginali) profili di inammissibilità evidenziati (anche in tal caso, non del tutto infondatamente) dal controricorrente - che lamenta una sostanziale violazione tanto del divieto di quesito multiplo, quanto di quello del novum in seno al presente giudizio -, è convincimento di queste sezioni unite che la motivazione della sentenza impugnata - la quale, ai ff. 25 ss, 30-37 quanto al secondo motivo, e 44 ss. quanto al terzo e quinto, ripercorre analiticamente le tappe dell'intera vicenda per la quale è processo, analizzando la genesi dell'equity swap stipulato tra le società Merrill Lynch International ed Exor (strumento negoziale del quale si rileva come gli essenziali aspetti contenutistici risultassero funzionali ad assicurare la massima riservatezza dell'operazione finanziaria); descrive puntualmente il processo di formazione, da parte della Merrill, anche sotto il decisivo profilo temporale, della "provvista" (90 milioni di azioni Fiat acquistate tra il l'aprile e il giugno 2005), definendolo "ben noto" all'odierno ricorrente; ricostruisce, su di un significativo piano diacronico/funzionale, l'intera vicenda "evolutiva" delle clausole di regolamento finale del predetto swap (con specifico riferimento alla suggerita necessità di lancio dell'O.p.A. da parte della Exor nel caso in cui la sua esecuzione comportasse il superamento della soglia di partecipazione del 30% al capitale Fiat, ed alla fase di ed. "smontaggio", ossia di trasferimento delle azioni acquistate ad IFIL per il mantenimento della posizione dominante in Fiat, al riparo da rischi di o.p.a.),- rileva l'inequivoco contenuto delle e-mail intercorse tra operatori della Merrill che discorrevano di un incontro destinato all'auspicato dipanarsi dell'operazione finanziaria, da tenersi alla presenza, tra gli altri, del G.; riconduce apertis verbis gli studi e le iniziative finalizzata a preservare il controllo della Fiat non soltanto alla Exor, ma a tutte le società presiedute dal ricorrente e, segnatamente, alla Ifil e alla Giovanni Agnelli s.a.p.a.; imputa, in una dimensione di assoluta consonanza con il tenore degli atti sanzionatori della Consob, l'illecito contestato, in concorso tra loro, alle persone fisiche che, in diversa misura, ebbero a determinare il contenuto dei comunicati non veridici diffusi al pubblico dalla due predette società, consentendone così la diffusione tanto in ragione della veste formale ricoperta in seno alle stesse, quanto del contributo "ideologico" concretamente arrecato alla loro predisposizione e formazione, in ragione della accertata, personale partecipazione al relativo processo decisionale; evidenzia, in armonia con la costante e uniforme giurisprudenza di questa corte, la impredieabilità di qualsivoglia distinzione tra quanto appreso in proprio e quanto conosciuto nella qualità di rappresentante societario da parte della persona fisica (essendo la conoscenza "uno stato personale inscindibile"); non dubita, infine, della piena consapevolezza, in capo al ricorrente (f. 44), quanto al pur contestato aspetto soggettivo dell'illecito, del disegno finanziario in fase di perseguimento da parte del gruppo societario - e della conseguente falsità "inevitabile" dei comunicati, la cui idoneità decettiva viene poi correttamente e condivisibilmente evidenziata ai ff. 41 ss. della motivazione -, alla luce della "chiara intelligibilità" dell'ordine impartito dalla Consob risulti del tutto immune da vizi logico-giuridici, e sia destinata a resistere alle critiche mosse dalla difesa del ricorrente sulla questione essenziale della oggettiva e consapevole falsità, da parte, tra gli altri, dell'odierno ricorrente, delle comunicazioni diffuse sul mercato. Rilevata, pertanto, la assoluta infondatezza della doglianza di omissione di motivazione, che risulta, di converso, puntualmente sviluppata e analiticamente articolata, - e ritenuto ancora che l'ulteriore (pur suggestiva) censura volta al raffronto tra la norma ex art. 114 vigente all'epoca dei fatti e quella risultante dalla modifica del 2005, risulta inammissibile, atteso che tale thema disputandum esula dall'ambito del presente giudizio essendo l'illecito manipolativo sanzionato senz'altro ricompreso nella sfera applicativa del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 ter, come condivisibilmente opinato dalla corte territoriale con motivazione scevra da vizi logico-giuridici - non sembra seriamente contestabile che il motivo in esame, pur lamentando formalmente una violazione di legge (anche sotto profili comunque motivazionali), si risolve, in realtà, nella (non più ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, lungi dal prospettare a questa corte un vizio della sentenza gravata concretamente rilevante sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., si volge in realtà ad invocare, analiticamente ma infondatamente, una diversa lettura delle risultanze procedimentali come correttamente accertate e condivisibilmente ricostruite dalla corte di merito, muovendo così all'impugnato provvedimento censure invero inaccoglibili in questa sede perchè la valutazione delle risultanze probatorie (non meno che il giudizio sul contenuto e sulla significazione di atti e documenti), al pari della scelta, fra esse, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e ipoteticamente verosimili), non incontra altro limite (ampiamente rispettato, nel caso di specie) che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva. E' principio di diritto ormai consolidato quello per cui l'art. 360 c.p.c., non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione (specie se letto ed applicato in combinato disposto con l'art. 111 delle Carta fondamentale) il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico/formale e della correttezza giuridica - delle valutazioni compiute dal giudice dell'opposizione, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando i fatti e le prove poste a fondamento dell'irrogata sanzione, controllandone esistenza storica, attendibilità, concludenza, scegliendo, fra tutte le emergenze probatorie, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione. Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza della corte torinese, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita una nuova valutazione delle risultanze fattuali del processo (ormai cristallizzate quoad effectum) ad opera di questa Corte, onde trasformare surrettiziamente il giudizio di Cassazione in un nuovo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice territoriale - nella specie, del tutto legittime in punto di ricostruzione storico-logica degli elementi soggettivo ed oggettivo della fattispecie - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata (quasi che la fungibilità nella ricostruzione di un fatto fosse ancora legittimamente predicabile in seno al giudizio di Cassazione). Va altresì ribadito - quanto, in particolare, all'interpretazione adottata dai giudici di merito con riferimento al contenuto della complessa trama documentale sulla quale è andato ad innestarsi il procedimento prima sanzionatorio, poi di opposizione - che, alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, la dimensione processuale dell'interpretazione postula, in sede di legittimità, che il relativo sindacato non possa investire il risultato ermeneutico in sè, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni legali di ermeneutica e la coerenza logica della motivazione adottata (entrambi ampiamente predicabili con riferimento alle argomentazioni sviluppate dalla corte territoriale): l'indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede dì legittimità solo per totale inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione, con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione operata dal giudice di merito che si traduca solo nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati. b) Il quarto motivo del ricorso. Destinato a cadere in parte sotto la scure dell'inammissibilità, in parte sotto quella della infondatezza (avendo la corte territoriale correttamente e condisivibilmente motivato, ai ff. 16 ss. della sentenza impugnata, tanto in ordine al concorso formale tra fattispecie D.Lgs. n. 58 del 1998, ex artt. 185 e 187 ter, in deroga al principio di specialità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9, quanto sulla concreta configurabilità della responsabilità soggettiva del ricorrente in ordine ai comunicati inveridici pur concordati con l'autorità di vigilanza) è poi, irredimibilmente, il quarto motivo di ricorso, che, da un lato, si articola secondo una speculare, duplice doglianza di violazione di legge e di carenze motivazionali (sull'inammissibilità del quesito multiplo o cumulativo, funditus, Cass. 5471/08; 1906/08; su di un piano di più generale inammissibilità in ordine a fattispecie di incongruità del quesito rispetto al decisum impugnato, Cass. Ss.uu. 12645/08; Cass. 11682/07), dall'altro, quanto alla sua seconda proposizione, difetta altrettanto patentemente del requisito della generalità e della astrattezza (oltre a porre una questione di solo merito, per ciò solo inammissibile, giusta le considerazioni già svolte nell'esame dei motivi che precedono), dall'altro ancora, quanto alla sua terza e ultima articolazione, introduce in seno al presente giudizio una questione di interpretazione (l'applicabilità di una diversa fattispecie normativa, ex art. 193 cit. TUF, rispetto a quella contestata) già ampiamente dibattuta e del tutto correttamente decisa nel precedente giudizio di opposizione, nella parte in cui la corte torinese, con motivazione del tutto scevra da vizi logico- giuridici, sottolinea come la natura dell'informativa sollecitata dalla Consob nell'interesse del mercato, strutturalmente priva del pur lamentato carattere privilegiato (carattere riconducibile al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 181, norma per l'effetto inapplicabile alla fattispecie), funzionalmente risultasse poi volta all'esercizio del proprio, generale potere di richiesta, agli emittenti quotati ovvero ai soggetti controllanti, di pubblicizzare, secondo modalità stabilite con sufficiente determinatezza, notizie e dei documenti necessari per l'informazione del pubblico - potere di richiesta non sindacabile nel suo esercizio, ma reclamabile D.Lgs n. 58 del 1998, ex art. 114, comma 6 -, con conseguente impredicabilità, nella specie, della pur invocata applicazione del comma 1, dell'art. 114 cit., risultando viceversa applicabile il successivo quinto comma; specificando, poi, come lo stesso carattere morfologico dell'informativa in parola escludesse irredimibilmente la configurabilità dell'illecito minor di cui al parimenti invocato art. 193, genericamente riferito alla violazione dei doveri informativi societari e degli obblighi di segnalazione indipendentemente dalla relativa incidenza sul mercato. 7 - Il ricorso incidentale Consob. Il primo, secondo, terzo, quinto e sesto motivo del ricorso. La Consob lamenta, nel complesso, la violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e la mancata rilevazione del vizio di novità, da parte della corte territoriale, di specifiche istanze difensive dall'evidente carattere diacronico rispetto al ricorso in opposizione, con riferimento alle statuizioni adottate quanto al merito della controversia e volte, da un canto, ad escludere, dall'altro, a ridurre la sanzione inflitta alla società con riferimento, rispettivamente, alle posizioni del G.S. e del G.. Le doglianze sono infondate, avendo il giudice torinese correttamente interpretato l'atto di opposizione sì come volto, fin dall'origine, alla "contestazione, nella specie, di tutti i presupposti, soggettivi ed oggettivi, della responsabilità amministrativa della, società ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 quinquies"; avendo, per l'effetto, svolto, sotto tale profilo, con riferimento ad entrambe le persone fisiche coinvolte nell'illecito, una articolata ed esauriente analisi morfologica della fattispecie normativa con specifico riguardo a due dei suoi indefettibili elementi strutturali (definiti, efficacemente, pilastri del paradigma di responsabilità della norma sanzionatoria, sì come mutuati dalla fattispecie punitiva ex D.Lgs. n. 231); avendo conseguentemente motivato il proprio decisum ritenendo (implicitamente quanto condivisibilmente) le successive specificazioni della (generica, ma sufficientemente cadenzata) domanda in opposizione in guisa di mere emendationes specificative rispetto all'originario petitum e alla originaria causa petendi. Il quarto motivo del ricorso. La doglianza rappresenta a questa Corte, da un canto, una questione evidentemente fattuale, quale quella della valutazione della posizione dell'Avv. G.S. rispetto alla società ricorrente all'interno della complessa ed articolata vicenda sfociata, poi, nell'emanazione dei due comunicati falsi (e in tal guisa essa si appalesa inammissibile), dall'altro, una questione interpretativa, che si infrange irrimediabilmente sul corretto e condivisibile decisum della corte di merito nella parte in cui, con ampia e articolata motivazione svolta dai ff. 50 a 57, viene evidenziato come il modello di responsabilità "forte" adottato dal legislatore in subiecta materia richiedesse l'indefettibile qualifica del soggetto responsabile in termini di "apicalità", con tale termine intendendosi lo svolgimento di funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione dell'ente sanzionato, onde il comportamento illecito possa normalmente ascriversi ad una esplicita manifestazione di politica aziendale, incompatibile con ipotesi (quale quella di specie) in cui appariva evidente la frattura del rapporto di riferibilità/immedesimazione organica (così rettamente e condivisibilmente diversificandosi la posizione del G. S. rispetto a quella, ontologicamente dissonante, del G.), risultando - sul piano della responsabilità dell'ente - vera e propria conditio sine qua non l'accertamento della qualità gestoria apicale (nella specie, del tutto legittimamente esclusa, attesa la motivata irrilevanza in parte qua della sua qualità di membro del consiglio di amministrazione della Ifil). Il settimo motivo del ricorso. La doglianza riproduce tout court censure svolte con il ricorso incidentale che la stessa Consob ha presentato nel parallelo procedimento a carico del G., sanzionato quale persona fisica il relazione all'illecito di cui all'art. 187 ter, tutte volte. Si duole il ricorrente tanto della mancata applicazione dell'istituti della reiterazione in luogo della (impropriamente definita) continuazione nell'illecito, quanto dei criteri adottati dal giudice territoriale nella valutazione della condotta e nella conseguente riduzione della sanzione inflitta (riduzione destinata a ripercuotersi ipso facto sulla sanzione inflitta dalla Ifil). Va pertanto ribadito in questa sede quanto sezioni unite in quel procedimento, e cioè: già osservato da queste da un canto, quanto alla violazione e falsa applicazione delle norme sulla reiterazione delle condotte, che il disposto della L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 1 (salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con un'azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo), è stato consonantemente interpretato dalla giurisprudenza di questa corte nel senso che, in materia di sanzioni amministrative, non è applicabile l'art. 81 cpv cod. pen., relativo alla continuazione, ma esclusivamente il concorso formale, in quanto espressamente previsto nella L. n. 689 del 1981, art. 8, che richiede l'unicità dell'azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni: così, tra le altre, Cass. 12844/08), ed è convincimento di queste sezioni unite che, nella specie, la normativa applicabile sia proprio quella di cui all'art. 8 (e non anche di cui al successivo art. 8 bis) della L. n. 689, come rettamente indicato dalla corte torinese nel dispositivo della sentenza pronunciata nel procedimento G., mentre risulta erroneo il riferimento - contenuto nella motivazione -al diverso istituto della reiterazione. A non diversa conclusione conduce dipanarsi delle condotte sanzionate. un'attenta analisi del diacronico La (correttamente predicata) "contiguità temporale" rilevata in sentenza dal giudice dell'opposizione, valutata insieme con la perfetta identità contenutistica dei due comunicati, si pone, in realtà, in termini tali da indurre a discorrere, nella specie, di condotta unitaria "progressiva" sviluppatasi, nel suo solo segmento finale, secondo una duplice dimensione espressiva sol perchè afferente a due compagini societarie destinatarie della richiesta Consob. Tutti i comportamenti e tutti gli atti prodromici funzionalmente predisposti all'emanazione di un duplice, falso comunicato da parte del ricorrente, difatti, rivestono indiscutibile carattere di identità ed omogeneità strutturale (non potendosi legittimamente discorrere, nella specie, nemmeno di duplicazione simmetrica di condotte), e troveranno una duplice, formale estrinsecazione soltanto con riferimento al segmento dichiarativo terminale "necessario" imposto dalla richiesta dell'autorità di vigilanza. Non diversamente, come ritenuto da questa stessa corte in fattispecie morfologicamente disomogenea, ma concettualmente analoga in tema di pubblicità stradale, la collocazione di impianti pubblicitari su suolo pubblico comporta la violazione, in conseguenza di tale condotta, dell'art. 23 C.d.S. - che ne vieta la collocazione sulla sede stradale e sulle sue pertinenze, o in prossimità della stessa, e del successivo art. 25, che vieta, invece, di utilizzare "con propri impianti ed opere", senza autorizzazione dell'ente proprietario, la sede stradale e le relative pertinenze -, ed integra un'ipotesi di concorso formale di illeciti amministrativi, configurabile ogni guai volta le singole disposizioni di legge violate, essendo rivolte a tutelare interessi giuridici obiettivamente diversi, non siano tra loro in rapporto di specialità: è di intuitiva evidenza che l'apposizione di più di un impianto pubblicitario su suolo pubblico risulta conseguenza di una medesima condotta, sia pur "ad esecuzione frazionata", il cui segmento terminale (la consecuzione diacronica di attività materialmente consistenti dell'impianto di un certo numero di cartelloni), pur "fisicamente" separata, non lo è sul piano ideativo, e consente, pertanto, l'applicazione della norma sul concorso formale (impropriamente definita continuazione) di cui alla L. n. 689, art. 8. A tale conclusione è lecito pervenire anche alla luce del complessivo impianto motivazionale adottato dalla corte subalpina - impianto condiviso in parte qua dallo stesso controricorrente - nella misura in cui essa ricostruisce l'intera vicenda ritenuta sanzionabile ex art. 187 ter in termini di "illecito di gruppo", tale ritenendosi - in una ricostruzione di assetti operativi sostanzialmente unitaria e unificante della complessa realtà societaria riguardante la delicata vicenda finanziaria oggetto del giudizio - l'intero plesso societario ruotante intorno alla Fiat, destinataria ultima degli eventuali benefici nascenti dai comunicati Ifil e G.A. s.p.a., come confermato implicitamente dalla perfetta identità temporale e contenutistica della rispettiva emissione (per entrambi, la data del (OMISSIS)). Anche alla luce dì tale, non trascurabile, assoluta sincronia temporale e perfetta consonanza di contenuti del segmento finale del comportamento illecito, appare innegabile la configurabilità di una fattispecie di concorso formale (va ripetuto, solo impropriamente definita "continuazione" nel dispositivo della sentenza), L. n. 689 del 1981, ex art. 8, così come integrata da un'unica, complessa condotta finalizzata a più violazioni della medesima disposizione di legge. Nella pur incontestabile condivisibilità delle osservazioni svolte dal ricorrente incidentale sulla diversa ratio, sulla diversa portata, sui diversi effetti dell'istituto della c.d. reiterazione di cui al successivo art. 8 bis, la sentenza impugnata, così integratane la motivazione, resiste, pertanto, alle censure mosse con il terzo e quarto motivo del ricorso incidentale (pacifico essendo, alla luce del coacervo delle risultanze processuale, l'unicità del disegno trasgressivo correttamente evidenziato dal giudice dell'opposizione e infondatamente contestato con il quarto motivo del ricorso Consob). Dall'altro, quanto alla valutazione della condotta sanzionata, che i criteri utilizzati dal giudice torinese appaiono del tutto correttamente indirizzati a individuare - quale legittima estrinsecazione dei poteri espressamente riconosciuti all'autorità giudiziaria in tema di valutazione (ed eventuale riduzione) della sanzione inflitta dall'autorità amministrativa - una più consone (minor) "gravità del fatto" in relazione a tutte le sue circostanze, soggettive ed oggettive, con evidente, sia pur implicito, giudizio di minusvalenza, rispetto ad esse (così come puntualmente indicate al f. 46 della motivazione), del pur considerato elemento soggettivo del dolo. Erra, difatti, il ricorrente incidentale nel lamentare una presunta applicazione di criteri extralegali, da parte del giudice torinese, in sede di valutazioni (autonomamente quanto legittimamente) compiute in ordine al quantum delle sanzioni inflitte onde inferirne la (altrettanto legittima) conclusione della eccessività delle sanzioni, pecuniaria ed accessoria, inflitte dall'autorità di vigilanza: da un canto, difatti, è lo stesso art. 187 ter ad indicare espressamente i criteri della qualità personale del colpevole, dell'entità del danno, degli effetti sul mercato conseguiti al suo illecito quali elementi legali di valutazione della condotta, sia pur allo speculare fine di autorizzare un aumento della sanzione inflitta in casi, altrettanto speculari rispetto a quello odierno, di condotte particolarmente gravi; dall'altro, la L. n. 689 del 1981, art. 11, altrettanto espressamente fa riferimento, nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, ai criteri, altrettanto legali, della gravità della violazione, dell'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonchè alla, personalità dello stesso e alle sue condizioni economi che. Come condisivibilmente ritenuto, anche di recente, dalla giurisprudenza di questa corte di legittimità, difatti, pur se con riferimento ad un piano più generale, ove la legge indichi un minimo e un massimo di una sanzione amministrativa, è rimesso al potere discrezionale del giudice determinare l'entità entro questi limiti, allo scopo di commisurarla alla concreta gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi; in particolare il giudice non è tenuto a specificare i criteri seguiti nel commisurare la sanzione nè la statuizione adottata al riguardo è censurabile in sede di legittimità' ove siano stati rispettati i limiti suddetti e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione sia stata compiuta (così Cass. 22.6.2002, n. 8532; 4.11.1998, n. 11054). Il ricorso rigettato. incidentale, al pari di quello principale, è pertanto Le spese del giudizio, attesa la reciproca soccombenza e la complessità dei temi trattati, possono essere interamente compensate. P.Q.M. La corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il 23 giugno 2009. Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2009