REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente
Dott. PRESTIPINO Giovanni - Presidente di sezione
Dott. PREDEN Roberto - Presidente di sezione
Dott. ODDO Massimo - Consigliere
Dott. D'ALONZO Michele - Consigliere
Dott. MERONE Antonio - Consigliere
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere
Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19090/2008 proposto da:
IFIL INVESTMENTS S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante
pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso
lo studio TOSETTO, WEIGMANN e ASSOCIATI, rappresentata e difesa dagli
avvocati GIOVANNETTI Alessandra, WEIGMANN MARCO, ZACCONE CESARE, per
procura in calce al ricorso;
- ricorrente contro
- COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA' E LA BORSA ((OMISSIS)), in
persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA DONATELLO 75, presso lo studio dell'avvocato CAPPONI Bruno, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati PALMISANO PAOLO, VAMPA
ROCCO, BIAGIANTI FABIO, ERMETES MARIA LETIZIA, per procura a margine del
controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale e contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI TORINO, PROCURATORE
GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
- intimati avverso la sentenza n.
depositata il 23/01/2008;
78/2007
della
CORTE
D'APPELLO
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica
23/06/2009 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;
di
TORINO,
udienza
del
uditi gli avvocati Alessandra GIOVANNETTI, Marco WEIGMANN,Bruno CAPPONI,
Fabio BIAGIANTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MARTONE Antonio, che ha concluso, p.q.r., per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. - Il giudizio dinanzi alla. Corte d'Appello - La sentenza, impugnata.
Con ricorso proposto dinanzi alla Corte d'Appello di Torino e notificato
alla Consob il 1 marzo 2007, la società esponente propose opposizione, ai
sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187 septies, chiedendone
l'annullamento, avverso la Delib. Consob 9 febbraio 2007, n. 15760, con
la quale era stato ingiunto alla IFIL il pagamento di una sanzione
pecuniaria di Euro 4.500.000 in proprio, ai sensi dell'art. 187 quinquies
D.Lgs. citato, e di ulteriori Euro 4.500.000, quale obbligata in solido,
ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, con G.G. e G.S. F..
La delibera sanzionatoria concerneva la "diffusione del comunicato stampa
della, società Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a. il (OMISSIS)", diffusione
imputata a cinque soggetti, ossia la società esponente e la Giovanni
Agnelli e C. s.a.p.a., destinatarie della richiesta Consob, nonchè G.G.,
M.V. e G.S.F., in quanto ritenuti tutti coinvolti nel processo di
redazione e diffusione dei comunicati.
Il provvedimento era conseguenza di una complessa istruttoria da cui era
emerso che, il (OMISSIS) - data di pubblicazione dei comunicati-stampa
delle due menzionate società, come da richiesta della Consob ai sensi
del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 114, comma 5 -, era già stato oggetto di
studio ed era in corso dì attuazione un articolato progetto volto a
conservare la partecipazione di Ifil Investments s.p.a. in Fiat s.p.a.
nella misura del 30%, contestualmente all'esecuzione dell'aumento di
capitale sociale a servizio del ed. prestito convertendo con le banche
posto in essere dalla Fiat s.p.a.: i comunicati-stampa erano stati
ritenuti, pertanto, falsamente rappresentativi della situazione realmente
esistente nella parte in cui dichiaravano che Ifil non aveva "intrapreso
nè studiato alcuna iniziativa, in relazione alla scadenza del prestito
convertendo".
Costituitasi dinanzi alla Corte d'Appello, la Consob chiese il rigetto
del ricorso, al pari del P.G. intervenuto in giudizio.
La Corte d'Appello di Torino, con sentenza depositata il 23 gennaio 2008,
in parziale accoglimento dell'opposizione, annullò il provvedimento
sanzionatorio limitatamente alla responsabilità conseguente all'illecito
ascritto all'avv. G.S., riducendo poi la sanzione riferibile all'illecito
del Dr. G. in proporzione alla riduzione della sanzione irrogata a
quest'ultimo, ex art. 187 ter, nell'analogo procedimento a suo carico.
2. - Il ricorso per cassazione - Le questioni di diritto sottoposte alla
S.C..
Avverso l'anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la Ifil
Investments s.p.a., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, sulla base di
10 motivi, di cui quattro autonomi (con i relativi quesiti di diritto) e
sei risprodittivi delle doglianze già espresse dal G. nel procedimento a
suo carico (anch'esso in sede di ricorso per cassazione).
Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa
applicazione di legge, richiamando gli artt. 102, 112 e 295 cod. proc.
civ., D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 187 ter e 187 quinquies, nonchè una
motivazione meramente apparente, con nullità della sentenza, ai
sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, formulando il seguente
quesito di diritto: "se, in caso di unicità del fatto illecito, del
procedimento sanzionatorio amministrativo, e del provvedimento di Consob
irrogativo di sanzioni amministrative, nel successivo giudizio di
opposizione dinanzi all'auorità giudiziaria, ex art. 187 septies, comma 4
e segg. cit. TUF, siano parti necessarie tutte le parti opponenti, e
debba quindi farsi luogo a integrazione del contraddittorio nei confronti
di tutte; e se, nel caso che tale integrazione del contradddittorio non
sia stata disposta, la sentenza emessa nei confronti di un singolo
opponente vada cassata ex art. 383 c.p.c., u.c.".
Sempre nell'ambito del primo motivo, la ricorrente ha formulato altri due
quesiti,
da
un
lato
censurando
la
mancata
integrazione
del
contraddittorio con la persona fisica autore della violazione, G.G.,
ovvero la mancata sospensione del giudizio sino alla definizione
dell'altro, nonchè l'avere la sentenza d'appello preso a parametro della
sanzione, da comminare alla società ricorrente, quella inflitta alla
persona fisica, ma sulla base di una parallela sentenza (non ancora
depositata) pronunciata dalla medesima Corte nei confronti della persona
fisica
stessa,dall'altro,
ha
chiesto
se
l'accertamento
della
responsabilità della persona fisica, operato nel giudizio di opposizione
proposto dalla società, esorbiti dal thema decidendum e produca la
nullità in parte qua della sentenza.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa
applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3 e art. 9, D.Lgs.
n. 231 del 2001, art. 1, art. 25 sexies, artt. 66 e 69, D.Lgs. n. 58 del
1998, artt. 185, 187
bis, 187
quinquies, 187
terdecies,
ai
sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte d'appello
ritenuto che l'ente risponda sia in proprio, sia solidalmente per le
sanzioni comminate ai propri rappresentanti e dipendenti ai sensi
dell'art. 6 cit., e non anche che l'applicazione di tale ultima norma sia
esclusa dalla responsabilità diretta dell'ente di cui al D.Lgs. n. 58 del
1998, art. 187 quinquies; ha, inoltre, affermato la ricorrente che,
allorchè la fattispecie di market abuse venga riportata dall'autorità
procedente al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 185, l'ente non possa patire
una doppia responsabilità amministrativa, l'una ai sensi dell'art. 187
quinquies e l'altra per l'art. 25 sexies (introdotto nel D.Lgs. n. 231
del 2001 dalla L. n. 62 del 2005, in una con l'introduzione della
disciplina del market abuse nel testo unico della finanza), ma sia
passibile unicamente della sanzione pecuniaria dì cui all'art. 25 sexies
citato; e che la sanzione pecuniaria vada, allora, irrogata dal giudice
penale. Proponeva, pertanto, tre diversi quesiti di diritto.
Con il terzo motivo, la ricorrente ha censurato la violazione e falsa
applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., con omissione di pronuncia ai
sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, o con omessa motivazione ai
sensi del n. 5 di tale norma, o, in subordine, per violazione del D.Lgs.
n. 58 del 1998, art. 187 septies, comma 2, formulando i seguenti quesiti
di diritto:
"se costituisca vizio della sentenza non aver deciso, ancorchè
richiestane
dalla,
parte,
su
una
censura
di
violazione
del
contraddittorio e di mancata messa a conoscenza in capo alla parte
stessa, degli atti istruttori", conseguente al fatto che nel procedimento
sanzionatorio ad essa non sia stato concesso di conoscere la relazione
istruttoria finale dell'Ufficio sanzioni, nè di essere sentita innanzi
alla Commissione circa la sanzione;
nonchè:
"se il principio del contraddittorio e della conoscenza degli atti
istruttori, di cui all'art. 187 septies, comma 2 cit. TUF, sia o meno
violato qualora all'incolpato, pur avendone fatto richiesta, non sia
stato concesso nè di prendere visione della relazione conclusiva
istruttoria (...) , nè di essere sentito", e se da ciò consegua
l'invalidità del provvedimento sanzionatorio; nonchè:
"se nel procedimento sanzionatorio Consob ex art. 187 septies cit.
TUF si possano intendere rispettati i principi del contraddittorio e
della conoscenza degli atti istruttori", laddove la divisione inquirente
dopo la scadenza del termine e dopo la rimessione degli atti all'Ufficio
sanzioni, espleti audizioni testimoniali ed utilizzi altri documenti ad
essa pervenuti.
Con il quarto motivo, la ricorrente ha censurato la motivazione
contraddittoria, insufficiente od omessa, circa alla conoscenza, da parte
della stessa e per il tramite del suo amministratore G., dell'eguity swap
della
Exor
Group
Luxembourg
s.a.,
nonchè
violazione
e
falsa
applicazione dell'art. 2391 cod. civ. e art. 622 cod. pen., con il
seguente quesito di diritto:
"se l'amministratore di una società azionaria, che per ragioni della sua
carica conosca un affare e una notizia riservata di quella società non
noti neppure all'interno del gruppo al quale la società stessa appartenga
sia tenuto alla riservatezza quando, quale amministratore di altra
società dello stesso gruppo, sia chiamato ad esprimersi su un comunicato
stampa nei confronti del mercato borsistico di questa seconda società,
nella quale nessun altro, all'infuori di lui stesso, sappia alcunchè
dell'affare o della notizia di che trattasi".
Infine, la ricorrente ha ripetuto e fatto propri ulteriori sei motivi,
già proposti da G.G..
Ha, dunque, chiesto la cassazione della sentenza della Corte d'appello ed
il rinvio ad altro giudice di merito.
3. - Il controricorso e ricorso incidentale della Consob.
Con il proprio controricorso e contestuale ricorso incidentale, la Consob
ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità ed infondatezza di tutti i
motivi del ricorso principale; rappresentando a sua volta sette motivi di
doglianza, ha chiesto la cassazione della sentenza impugnata nella parte
in cui è stato annullato il provvedimento sanzionatorio irrogato alla
Ifil con riferimento all'illecito contestato al G.S. ed è stata ridotta
la sanzione riferibile all'illecito di G.G..
Confutati i motivi avversi, la Consob ha eccepito l'inammissibile
riproduzione dei sei motivi del ricorso G., in quanto volti a censurare
la diversa sentenza n. 74 del 2007 della Corte d'appello di Torino.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, la Consob ha dedotto la
violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 99,
101,
112,
115,
182
e
359
cod.
proc.
civ., L.
n.
689
del
1981, artt. 22 e 23, D.Lgs. n. 58 del 1998,art. 187 septies, nonchè la
violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato,
ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, formulando il
seguente quesito di diritto: "se la causa petendi della domanda azionata
dal soggetto che impugna, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187
septies e della L. n. 689 del 1981, un atto irrogativo di sanzioni
amministrative ed il thema decidendum del correlato giudizio di
opposizione innanzi alla Corte di Appello territorialmente competente
siano delimitati e circoscritti dagli specifici motivi contenuti nel
ricorso introduttivo, senza alcuna possibilità che detta causa petendi e
detto thema decidendum possano essere ampliati per effetto di atti
difensivi successivi al ricorso iniziale", concretando quindi il quesito
con riferimento all'avere accolto la sentenza impugnata un motivo non
contenuto nell'opposizione, ma prospettato con una successiva memoria, la
cui tardività era stata eccepita dalla Consob nel grado di merito,
concernente la posizione personale di G.S. e di G. nella realizzazione
degli illeciti presupposto.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale, la Consob ha dedotto la
violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 99,
101,
112,
115,
182
e
359
cod.
proc.
civ., L.
n.
689
del
1981, artt. 22 e 23, D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, nonchè
violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato,
ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formulando il seguente
quesito di diritto: "se la causa petendi della, domanda azionata dal
soggetto che impugna, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187
septies e della L. n. 689 del 1981, un atto irrogativo di sanzioni
amministrative ed il thema decidendum del correlato giudizio di
opposizione innanzi alla Corte di Appello territorialmente competente,
siano delimitati e circoscritti dagli specifici motivi contenuti nel
ricorso introduttivo, senza alcuna possibilità che detta causa petendi e
detto thema decidendum possano essere ampliati per effetto di atti
difensivi successivi al ricorso iniziale", concretando quindi il quesito
con riferimento all'avere accolto la sentenza impugnata un motivo non
contenuto nell'opposizione, concernente il fatto che G.S.F. avesse posto
in essere l'illecito non come amministratore o rappresentante della
società, ma come consulente legale.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale, la Consob ha dedotto
l'omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio,
consistente nell'inammissibilità, eccepita dalla Consob nel giudizio di
merito, del nuovo motivo introdotto in corso di causa dalla controparte,
ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, formulando un quesito di
diritto.
Con il quarto motivo del ricorso incidentale, la ricorrente ha dedotto la
violazione
e
falsa
applicazione
del D.Lgs.
n.
231
del
2001, art. 6, D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 187 quinquies e 187 septies,
ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ribadendo che la qualifica
formale rivestita dalla persona fisica amministratore (nella specie,
l'avv.
G.S.)
è
sufficiente,
sotto
il
profilo
soggettivo,
per
l'imputazione dell'illecito all'ente per fatto proprio, ove sussista, sul
piano oggettivo, la commissione del fatto nell'interesse od a vantaggio
della società e senza che possa, invece, argomentarsi in contrario dalla
circostanza di avere la persona fisica, nella specie, avuto un incarico
come legale; ha formulato, quindi, un quesito di diritto.
Con il quinto motivo del ricorso incidentale, la Consob - ripetendo, con
riguardo all'illecito collegato alla condotta di G. G., argomenti uguali
a quelli dedotti come primo motivo incidentale con riguardo all'illecito
societario collegato alla condotta di G.S. - ha lamentato la violazione e
falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 99, 101, 112, 115,
182 e 359 cod. proc. civ., L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, D.Lgs. n.
58 del 1998, art. 187 septies, nonchè violazione del principio della
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3, formulando il seguente quesito di diritto:
"se la causa petendi della domanda azionata dal soggetto che impugna, ai
sensi della D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies e della L. n. 689 del
1981, un atto irrogativo di sanzioni amministrative ed il thema
decidendum del correlato giudizio di opposizione innanzi alla Corte di
Appello territorialmente competente, siano delimitati e circoscritti
dagli specifici motivi contenuti nel ricorso introduttivo, senza alcuna
possibilità che detta causa petendi e detto thema decidendum possano
essere ampliati per effetto di atti difensivi successivi al ricorso
iniziale", concretando quindi il quesito con riferimento all'avere
accolto la sentenza impugnata un motivo non contenuto nell'opposizione,
ma prospettato con una successiva memoria, la cui tardività era stata
eccepita dalla Consob nel grado di merito, concernente la posizione
personale di G. nella realizzazione dell'illecito presupposto.
Con il sesto motivo del ricorso incidentale, la Consob ha dedotto
l'omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio,
consistente nell'inammissibilità, da essa eccepita nel giudizio di
merito, del nuovo motivo introdotto in corso di causa dalla controparte,
ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, formulando il relativo
quesito di diritto.
Con il settimo motivo del ricorso incidentale, la Consob ha censurato
l'omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio,
consistente nella riduzione della sanzione irrogata alla società ai sensi
del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 quinquies, per effetto della
riduzione della sanzione inflitta al G. ai sensi dell'art. 187 ter D.Lgs.
citato, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, formulando un
quesito di diritto.
4. - Il controricorso su ricorso incidentale di Ifil Investments s.p.a..
La ricorrente principale ha notificato controricorso, ai sensi dell'art.
371 c.p.c., comma 4.
La causa è stata rimessa a queste Sezioni Unite, in seguito ad istanza
della predetta ricorrente, depositata il 22 gennaio 2009.
Va preliminarmente osservato come la censura di inammissibilità proposta
dal resistente con riferimento agli ultimi sei motivi del ricorso
principale non possa trovare ingresso, atteso che l'oggetto delle
relative censure resta pur sempre la sentenza oggi impugnata e non anche
quella (n. 74 del 2007) pronunciata nel diverso procedimento instauratosi
a carico della persona fisica ( G. G.) del cui illecito la società è
chiamata "a rispondere" ex art. 187 quinquies.
Norma, quest'ultima, dal carattere indubbiamente "eccezionale", atteso
che la sanzione in essa prevista difetta di propria autonomia, nè - come
recentemente rilevato in dottrina contiene considerazione alcuna delle
condizioni economiche o patrimoniali dell'ente, del livello di efficienza
prevenzionale, del grado di "coinvolgimento" del medesimo. Di talchè
l'affermazione di responsabilità postula il previo accertamento della
responsabilità e dell'irrogazione della relativa sanzione a carico della
persona fisica autore materiale dell'illecito-presupposto, secondo un
modello pressochè integrale di responsabilità par ricochet (ovvero "di
rimbalzo"), rispetto a quella individuale (pur nella legittimità della
riduzione della sanzione della L. n. 689 del 1981, ex art. 12, ovvero del
suo aumento, ex art. 187 quinquies, comma 2.
Legittimi si appalesa, pertanto, l'esame dei motivi predetti, legittima
apparendone la connotazione di relatio perfecta che li caratterizza con
riguardo a quelli svolti nel ricorso G..
5) Le questioni rimesse alle s.u..
5.1) Il litisconsorzio necessario.
Con il primo motivo, la ricorrente principale ha posto un triplice,
disomogeneo
quesito
di
diritto
alla
Corte.
Il
collegio
deve,
conseguentemente, rilevare, da un canto, l'inammissibilità della
doglianza
nella
parte
in
cui
risulta
trasfusa
in
un
quesito
multiplo/cumulativo avente ad oggetto questioni di violazione di legge
(e, dunque, di diritto) e di vizi motivazionali (e dunque, come nella
specie, di fatto) del tutto dissonanti tra di loro (così, tra le più
recenti, Cass. Ss.uu. 7032/09; Cass. 26737/08; 17064/08;
9470/08; 5733/08; 5471/08; 1906/08); dall'altro, la infondatezza della
stessa nella parte in cui pone a questa corte una questione rilevabile
anche in via officiosa, quella, cioè, della legittima instaurazione del
contraddittorio
sotto
il
profilo
dell'(invocato)
litisconsorzio
necessario tra tutti i protagonisti della vicenda sanzionatoria in esame.
La questione del tipo di litisconsorzio legittimamente predicabile tra le
parti del procedimento di opposizione è altresì oggetto delle speculari
argomentazioni svolte dal controricorrente in relazione al primo dei
motivi di ricorso sottoposti all'esame di queste sezioni unite.
Lamenta, in particolare, il ricorrente la nullità della sentenza e del
procedimento per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di
tutti i soggetti (persone fisiche e giuridiche) ritenuti responsabili
delle contestate violazioni.
La censura è infondata sotto un triplice, concorrente profilo. a) E'
principio di diritto costantemente affermato da questa corte regolatrice
quello secondo il quale, in presenza di una condotta illecita posta in
essere da una pluralità di soggetti in concorso (L. n. 689 del
1981, art. 5), si genera una pluralità di rapporti autonomi a soggetto
attivo unico, ciascuno con un diverso soggetto passivo. Tale pluralità ed
autonomia dì rapporti nascenti dall'illecito risulta altresì predicabile
anche nell'ipotesi di pluralità di soggetti responsabili non già (o non
soltanto) in concorso tra loro, ex art. 5 cit., ma legati da un vincolo
di solidarietà, giusta disposto del successivo art. 6 della medesima
legge 689 (su quest'ultimo aspetto della questione, amplius, infra, sub
b), con riferimento, cioè, ad un rapporto pur sempre caratterizzato da
identità di fatto generatore dì responsabilità, identità di prestazione,
efficacia
liberatoria
dell'adempimento
ex
uno
latere,
efficacia
plurisoggettiva degli atti interrottivi della prescrizione.
Tanto nell'ipotesi più genericamente concorsuale, quanto in quella
specificamente disciplinata dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187,
l'autonomia dei rapporti sì palesa invero evidente, atteso che, mentre la
disposizione di cui all'art. 187 ter disciplina l'ipotesi di illecito
manipolativo commesso da persone fisiche "in posizione apicale" e
"nell'interesse o vantaggio" dell'ente di appartenenza, tutt'affatto
distinta è la violazione e la corrispondente sanzione irrogata all'ente
stesso ex art. 187 quinquies a titolo di illecito proprio, direttamente
ascritto in presenza di una sorta di "colpa organizzativa", salvo prova
dell'esistenza di cause scriminanti. Ne consegue, sotto questo primo
profilo, l'evidente relazione di alterità ed autonomia reciproca dei
relativi rapporti di responsabilità intercorrenti tra la Consob (soggetto
attivo del rapporto sanzionatorio) e, da un canto, le singole persone
fisiche concorrenti negli illeciti manipolativi, dall'altro, gli enti
sanzionati in proprio. b) Si rammenterà come sia in uso discorrere di
litisconsorzio facoltativo allorchè, nonostante la plurisoggettività del
rapporto, la pronuncia su di esso possa utilmente regolare i rapporti fra
alcuni di quei soggetti lasciando impregiudicata la posizione degli
altri, come nel caso, appunto, del creditore nei confronti di due
debitori solidali, vicenda in cui la condanna di uno solo di essi non
sarebbe imiti li ter data, perciò solo il litisconsorzio risultando, in
tal caso, non necessario: la legge consente, senza imporlo, che più
soggetti agiscano o siano convenuti nello stesso processo per ragioni che
non possono avere altro fondamento che quello della connessione
(naturalmente oggettiva) tra le due azioni. Di tale fattispecie
costituisce poi figura "speciale" il litisconsorzio ed. unitario, nel
quale, pur nella sua morfologica facoltatività, la legge impone, una
volta volontariamente iniziato il giudizio da parte di più soggetti a
legittimazione concorrente, la trattazione unitaria della causa,
destinata ad essere decisa con unica sentenza (come accade nell'ipotesi
prevista dall'art. 2378 c.c., comma 5, in tema di impugnazione delle
deliberazioni
assembleari,
ove
si
realizza
una
fattispecie
di
litisconsorzio necessario quanto alla decisione, benchè volontario quanto
alla realizzazione). Di converso, criterio idoneo ad identificare con
sufficiente certezza la speculare fattispecie del litisconsorzio
necessario può a tutt'oggi ritenersi quello (proposto da nutrita e
qualificata dottrina) secondo il quale, per stabilire se la decisione non
possa pronunciarsi che nei confronti di più parti, deve farsi riferimento
agli interessi come astrattamente considerati dal legislatore, attesa la
ormai riconosciuta e predicata (di recente, anche dalla giurisprudenza di
queste ss.uu. con la sentenza 4 giugno 2008, n. 14815) natura di norma in
bianco dell'art.
102
c.p.c.,
destinata
ad
essere
modellata
dall'interprete sulla base delle esplicite disposizioni di legge che, non
esaurendo la materia, diano indicazioni sulle relative, diverse rationes,
onde estendere il litisconsorzio necessario ai casi omogenei.
Si sono, così, andate delineando tre categorie generali, per le quali il
legislatore prevede il litisconsorzio necessario expressis verbis: a) per
avere attribuito un'eccezionale legittimazione processuale sostitutiva;
b) per semplice opportunità; c) per ragioni di diritto sostanziale, in
quanto la sentenza sarà destinata a produrre effetti per i titolari di un
rapporto plurisoggettivo.
Mentre le prime due risultano, per definizione, non estensibili secondo
identità di logica, l'ultima è quella che più direttamente investe la
fattispecie delle obbligazioni solidali. Ed è orientamento costante di
questa giurisprudenza di legittimità quello volto ad escludere il
litisconsorzio necessario in relazione a tale tipologia di obbligazioni
(senza alcuna pretesa di completezza, Cass. 11 febbraio 2009, n. 3338,
che afferma altresì la scindibilità delle cause in appello; Cass. 10
novembre 2008, n. 26888, in tema di pluralità di danneggianti a causa
dell'accertamento della simulazione di una locazione; Cass. 31 luglio
2008, n. 20891, con riguardo all'obbligazione solidale in capo al socio
di società di persone; Cass. 25 luglio 2008, n. 20476, in tema di
responsabilità solidale fra amministratori e sindaci ex artt. 2393 e 2394
c.c.;
Cass. 14 febbraio 2008, n. 3533 e 10 gennaio 2008, n. 239, entrambe in
tema di fatto dannoso imputabile a più persone. Specifica funditus Cass.
21 giugno 2007, n. 14844 che, nelle ipotesi di solidarietà sia attiva che
passiva dell'obbligazione, pur nella sussistenza di più soggetti
creditori o debitori della stessa somma o della medesima prestazione, non
si verifica un'ipotesi di litisconsorzio necessario in quanto la
struttura del rapporto è congegnata in modo tale che ogni creditore può
esigere ed ogni debitore è tenuto a corrispondere l'intero, salvo
l'esercizio del diritto di rivalsa nei confronti degli altri concreditori
o condebitori: Cass. 16 agosto 2005, n. 16957 preciserà, a sua volta, con
riguardo alla responsabilità civile per il reato di bancarotta
preferenziale posto in essere dai membri dei consigli di amministrazione
di una società, che la sussistenza di una responsabilità solidale nei
confronti del danneggiato tra gli autori materiali del fatto illecito anche nell'ipotesi in cui questo costituisca reato e il responsabile
civile non determina un'ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo il
creditore agire nei confronti di uno qualsiasi dei debitori tenuti in
solido, nè tale litisconsorzio potrebbe essere ravvisato per il fatto che
l'accertamento della responsabilità del soggetto obbligato in solido con
detto autore materiale - secondo il titolo che nelle diverse ipotesi
configura
la
responsabilità
civile
presuppone
necessariamente
l'accertamento del fatto-reato delle persone dì cui il primo debba
rispondere, atteso che, facendosi luogo a tale accertamento incidenter
tantum nel giudizio civile, non si rende necessaria, in tale giudizio, la
presenza delle suddette persone autore/i dell'illecito).
Tale, consolidato principio si ritiene, peraltro, derogabile, nell'ambito
di sottosistemi normativi "speciali", laddove vi siano nessi di stretta
connessione fra le varie responsabilità, quando, cioè, le posizioni dei
coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro
strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale. Entro
tale dimensione di ius singolare, assume peculiare connotazione la
materia tributaria, in seno alla quale queste stesse Sezioni Unite - con
specifico riguardo all'imposta sui redditi ed all'accertamento posto alla
base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di
persone di cui al D.P.R. 22 dicembre, n. 917, art. 5, e dei soci delle
stesse - hanno affermato che l'accertamento in rettifica compiuto
dall'amministrazione, con un unico atto, e con riferimento ai maggiori
redditi di una società di persone, interessa nel contempo sia la società
ai fini Ilor, sia i soci ai fini Irpef, in guisa che, al processo
introdotto
dal
ricorso
contro
tale
accertamento,
tutti
devono
partecipare, in quanto l'"oggetto del ricorso" riguarda inscindibilmente
società e soci (norma sostanziale di riferimento essendo stata ritenuta,
nella specie, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40).
La astratta rilevanza del principio così affermato non sembra seriamente
revocabile in dubbio - senza che possa, peraltro, omettere di considerare
come la vicenda dianzi riferita non abbia riguardo ad obbligazioni
solidali in senso proprio e risulti altresì enunciato in presenza della
particolare disposizione che regola il litisconsorzio nei processi
tributari -, attesane la afferenza ad un giudizio parimenti volto
all'annullamento
tanto
di
un
atto
dell'amministrazione
quanto
dell'accertamento in esso contenuto.
Non
sembra,
per
altro
verso,
seriamente
contestabile
che
il
litisconsorzio tributario ripeta una sua disciplina autonoma da esplicite
disposizioni di legge, quanto all'ipotesi che l'oggetto del ricorso
riguarda inscindibilmente più soggetti, giusta disposto del D.Lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, art. 14, (a mente del quale: 1. Se l'oggetto del
ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere
tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa
limitatamente ad alcuni di essi. 2. Se il ricorso non è stato proposto da
o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata
l'integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa
entro un termine stabilito a pena di decadenza. 3. Possono intervenire
volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al
ricorrente, sono destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto
tributario controverso. 4.
Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per
la parte resistente, in quanto applicabili. 5. I soggetti indicati nei
commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte
le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente. 6. Le
parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono
impugnare autonomamente l'atto se per esse al momento della costituzione
è già decorso il termine di decadenza, disposizione che, secondo la
giurisprudenza
di
questa
stessa
Corte,
non
costituisce
(a
differenza dell'art.
102
c.p.c.)
"norma
in
bianco",
ma
indica
positivamente il presupposto della inscindibilità della causa come
dipendente, appunto, dall'oggetto del ricorso (in particolare, secondo
Cass., sez. un. 18 gennaio 2007, n. 1052, resa in un caso di imposta di
registro su bene del quale i comproprietari avevano proceduto a
divisione, in una siffatta prospettiva, "appare chiara una dimensione
esclusivamente processuale del litisconsorzio", perchè la realizzazione
dell'ipotesi litisconsortile è connessa, strutturalmente e intimamente,
alla domanda introdotta nel giudizio: "è la domanda, infatti, a
determinare l'oggetto del processo e, quindi, a costituire, in ultima
analisi, il parametro per valutare la inscindibilità della causa tra più
soggetti, non senza, peraltro, disconoscersi" - si legge ancora in
motivazione - "un profilo sostanziale, secondo cui vi è litisconsorzio
necessario quando l'atto autoritativo presenti elementi comuni ad una
pluralità di soggetti e siano proprio tali elementi ad esser posti a
fondamento della impugnazione proposta da uno dei soggetti obbligati",
ciò che rende palese come la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del
1992, art. 14, comma 1, si muova in una prospettiva diversa da quella
nella quale sì collocano le regole relative all'obbligazione solidale,
"la cui (eventuale) sussistenza non realizza un presupposto per
l'applicazione della norma in questione" - così ribadendosi che non è la
mera solidarietà comune a fondare il litisconsorzio necessario. Non si
manca, ancora, di precisare che non sussiste litisconsorzio necessario
quando il contribuente svolga una difesa solo sulla base di eccezioni
personali).
L'interrogativo che si pone alla corte, a questo punto della disamina
della
fattispecie,
è
quello
se
le
pronunce
che
hanno
così
complessivamente ricostruito i caratteri del giudizio tributario possano
offrire utili parametri di riferimento anche per il caso in esame ai fini
della
corretta
individuazione
della
tipologia
di
litisconsorzio
legittimamente applicabile al procedimento di opposizione a sanzione
irrogata nella materia finanziaria de qua, ricordando ancora che gli
obiettivi del litisconsorzio tributario sono, in definitiva, quelli di
impedire la parcellizzazione delle controversie e di perseguire una
giusta imposizione, risultato, invero, potenzialmente ostacolato dal
formarsi di giudicati tra loro contrastanti in separati giudizi nei quali
pur si dibatta una posizione comune ad una pluralità di soggetti
obbligati, così che, di quest'esito patologico, il litisconsorzio
necessario è la profilassi (Cass., sez. un., 18 gennaio 2007, n. 1052),
mentre l'obiezione secondo la quale tale tipo di litisconsorzio
necessario andrebbe considerato un ostacolo alla ragionevole durata del
processo va comunque calibrata alla luce della considerazione per cui
quest'ultima è un valore solo nella misura in cui sia funzionale
all'effettività della tutela giurisdizionale, che non può risolversi
esclusivamente nella celerità del giudizio, ma richiede l'operatività di
strumenti processuali capaci di garantire la realizzazione di una
omogenea disciplina sostanziale dei rapporti giuridici: in questi casi,
il giudice dovrà disporre la riunione dei giudizi proposti, oppure, se
non ancora proposti, l'integrazione del contraddittorio (Cass., sez. un.,
4 giugno 2008, n. 14815).
La fattispecie procedimentale di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187
septies, potrebbe a prima vista ritenersi astrattamente idonea ad
integrare una delle prospettate ipotesi di ius singolare, attesone il
rapporto di obiettiva interrelazione che essa postula tra le posizioni
dei diversi condebitori sotto il duplice, concorrente aspetto della
"sovrapposizione" della responsabilità dell'ente a quella delle persone
fisiche incolpate della violazione ex art. 187 ter (in ipotesi chiamato a
rispondere di queste ultime della L. n. 689 del 1981, ex art. 6, comma 3)
- sovrapposizione che è cosa altra rispetto alla responsabilità per fatto
proprio, sanzionata, pur se in relazione ai medesimi fatti e con riguardo
alle medesime persone fisiche, ex art. 187 quinquies -, e del conseguente
vincolo di dipendenza fra le obbligazioni che giustificherebbe la
legittimazione partecipativa necessaria di tutti i responsabili.
Pur vero, difatti, che la disciplina litisconsortile nel processo
tributario risponde a regole non omogenee a quelle che presidiano la
disciplina avente lo stesso oggetto nel processo ordinario, nondimeno,
proprio in virtù della peculiare "sovrapposizione" sopradescritta,
parrebbe a prima vista non infondato, in punto di diritto, riprodurre
alcune
delle
considerazioni
poc'anzi
riportate
e
infondatamente
trasfonderle in seno giudizio di opposizione a sanzione amministrativa
previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies: accanto alla
domanda così come individuata da causa petendi e petitum ed all'oggetto
sì come vertente sull'intero rapporto, non pare un fuor d'opera
riflettere altresì sulla stessa finalità di impedire un ipotetico
conflitto di giudicati per vicende naturalisticamente omogenee.
E' peraltro fermo convincimento di queste sezioni unite che il
procedimento in esame non possa che strutturarsi secondo il modello del
litisconsorzio facoltativo.
Impregiudicata la questione se l'obbligazione oggetto dell'ingiunzione
nei confronti della persona giuridica abbia o meno (pur se nelle sue
indiscutibili peculiarità) struttura e natura solidale rispetto a quella
della persona fisica/autore materiale della violazione (questione oggetto
del secondo motivo di ricorso, e destinata a decisione in sede di partito
esame dello stesso), è innegabile come il procedimento di opposizione,
pur nella sua altrettanto indiscutibile specialità, vada pur sempre
ricondotto alla disciplina generale di cui alla L. n. 689 del 1981.
Pertanto, pur ammettendo, in via di ipotesi astratta, la predicabilità di
tale vincolo, è indiscusso che, in virtù del generale meccanismo delle
obbligazioni solidali, il creditore può richiedere l'intero ad un
condebitore ed il pagamento ha effetto liberatorio per tutti i
condebitori (art. 1292 c.c.), anche se il vincolo medesimo che lega i
condebitori non si atteggia in tutti i casi allo stesso modo: in
particolare, nelle obbligazioni solidali ad interesse unisoggettivo (o
solidali improprie o imperfette o disuguali), pur sussistendo i requisiti
della pluralità dei soggetti e dell'unicità della prestazione, manca
l'eadem causa obligandi, onde la funzione esclusiva della solidarietà è
costituita dalla garanzia del creditore (per lo più disposta dalla legge)
e postula un nesso di pregiudizialità-dipendenza fra le obbligazioni, in
quanto l'obbligo del soggetto vincolato in via principale si atteggia
come fatto costitutivo dell'altro. Così, se il meccanismo dell'art. 1292
c.c., disegna, nei rapporti esterni, una architettura autonoma del
vincolo di ciascun coobbligato verso il creditore - il quale può
soddisfarsi chiedendo il pagamento dell'intero indifferentemente all'uno
od all'altro dei condebitori, con conseguente liberazione degli altri -,
nondimeno nei rapporti interni possono rinvenirsi situazioni soggettive
condebitorie caratterizzate da un diverso grado di dipendenza.
Ciò non elide nè trasmuta, nella sostanza, l'identità morfologica e
funzionale di tali obbligazioni, in
relazione alle quali, non
ravvisandosi a tutt'oggi valide e convincenti ragioni per incamminarsi
sulla via di un radicale revirement di giurisprudenza in ordine alla
natura meramente facoltativa del litisconsorzio tra co- obbligati legati
da un vincolo obbligatorio di tal guisa, per quanto questo possa porsi in
rapporto di species a genus rispetto alla solidarietà "classica", deve
escludersi tout court la predicabilità di un rapporto litisconsortile
necessario tra l'ente destinatario dell'ingiunzione di pagamento e
ciascuna delle persone fisiche raggiunte dalla sanzione amministrativa.
Tale esclusione trova fondamento tanto sotto il profilo strutturale
quanto sotto quello funzionale del rapporto processuale in parola:
come segnalato dalla più avvertita dottrina, difatti, le conseguenze
processuali che l'ordinamento ricollega al litisconsorzio necessario tra tutte, la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell'art.
354 c.p.c., commi 1 e 2, e art. 383 c.p.c., comma 3, ove il rilievo del
vizio
avvenga
in
sede
di
impugnazione,
ovvero
la
sostanziale
"inefficienza" di un processo con decine e decine di parti necessarie -,
sono talmente gravi da indurre a fare ricorso a tale istituto in modo
estremamente oculato (del pari, non è seriamente contestabile la
impredicabilità di un litisconsorzio necessario nella ipotesi del
giudizio di opposizione intrapreso da un altro obbligato autore della
violazione, per la sanzione a lui direttamente comminata, ossia fra i
coautori dell'illecito, e ciò perchè ciascuna sanzione è personale, senza
solidarietà alcuna fra le persone fisiche: nel caso di più persone
concorrenti nell'illecito - come in quello in cui ciascuno abbia commesso
violazioni autonome -, tutte vengono sanzionate dalla Consob, a seconda
della gravità della colpa, ma non vi è vincolo alcuno di solidarietà
ex art. 2055 c.c., perchè si tratta delle conseguenze affittivosanzionatorie di un illecito - e dunque, sotto tale profilo, le analogie
vanno operate piuttosto con il diritto penale).
Deve
allora
più
proficuamente
discorrersi
di
legittimazione
litisconsortile soltanto facoltativa a partecipare al giudizio di
opposizione instaurato da una delle parti (persona fisica o giuridica)
destinataria della sanzione ex art. 187 ter, legittimazione che consente
a ciascuno degli ingiunti di spiegare intervento in quel giudizio: anche
in tal caso, il rapporto processuale che si instaura tra la società e le
persone fisiche intervenute nel giudizio di opposizione è di tipo
litisconsortile facoltativo, sub specie dell'intervento adesivo autonomo.
Nell'ipotesi di proposizione di
tanto da parte della società
soccorrono, pertanto, al fine
giudicati, le ordinarie regole
riunione di procedimenti, senza
diverse opposizione, in via autonoma,
quanto delle singole persona fisica,
di evitare ipotetici contrasti tra
processuali in tema di connessione e
che la mancata riunione (nella specie,
peraltro mai invocata dalle parti in corso di giudizio) possa, peraltro,
invocarsi come causa di nullità del procedimento e della sentenza. c)
L'infondatezza della doglianza in esame scaturisce, peraltro, da un
ulteriore motivo, di ordine processuale, condivisibilmente evidenziato
dalla resistente autorità di vigilanza (f. 51 del controricorso),
consistente nella omessa indicazione, da parte dell'odierno ricorrente,
del pregiudizio in concreto da lui subito in dipendenza del denunciato
error in procedendo in cui sarebbe incorsa la Corte subalpina. E'
principio di diritto consolidato presso questa corte di legittimità,
difatti (ex multis, Cass. 1279/07; 13662/04;
12594/02; 5837/97) quello secondo il quale l'art. 360 c.p.c., comma 1, n.
4, nel consentire la denuncia di vizi che comportino la nullità (del
procedimento e) della sentenza impugnata in sede di legittimità, non è
volto a tutelare un astratto interesse alla regolarità dello ius dicere
(e non trasforma, pertanto, il ricorrente nell'Ombudsman del processo
civile), ma presidia e tutela, per converso, un diritto all'eliminazione
di eventuali vulnera subiti in concreto dalla parte istante in dipendenza
del denunciato error in procedendo.
Orbene, il ricorrente non indica, in nessun passaggio del suo pur corposo
mezzo di impugnazione, quale concreto nocumento egli abbia subito dalla
mancata riunione dei cinque giudizi di opposizione instaurati dinanzi
alla stessa corte di appello (in composizione oltretutto omogenea per i
due terzi del collegio), da ciascuno degli ingiunti: che anzi lealmente
ed apertamente si riconosce che "tutte le sentenze confermano, nella
sostanza, il provvedimento Consob e la ricostruzione dei fatti come
effettuata dall'autorità", onde la inevitabile conclusione (cui a questa
corte ineludibilmente ed obbiettivamente ritiene di dover pervenire,
essendo stata investita dell'esame congiunto di tutti i procedimenti
relativi alle sanzioni opposte, ed avendo così rilevato la integrale
sovrapponibilità dei fatti storici, la assoluta omogeneità di iter
logico, la consonante identità di sviluppo motivazionale in relazione a
ciascuno di essi da parte del giudice torinese) della inammissibilità
della doglianza per difetto di interesse.
Alle suesposte considerazioni consegue il rigetto in parte qua del primo
motivo del ricorso principale.
5.2) Il mancato rispetto dei termini per la conclusione del procedimento
amministrativo.
Anche il terzo motivo del ricorso principale (che presenta a sua volta
profili non marginali di inammissibilità, attesa la strutturazione in
senso multiplo/cumulativo del relativo quesito, e riproduce in parte qua
la doglianza di cui mi sesto motivo del ricorso G., puntualmente
riportato dal ricorrente in questa sede) pone, tra le altre, una
questione oggetto di contrasto nella giurisprudenza di questa corte di
legittimità, quella, cioè, della natura del termine stabilito per la
conclusione del procedimento irrogativo della sanzione amministrativa
(attestate sul fronte della sua natura perentoria risultano, tra le
altre, Cass. sez. 5^, 9 marzo 2005, n. 5099; Cass. sez. 1^, 15 giugno
1999, n. 5936; Cass. sez. 1^, 9 sett. 2002, n. 13078; Cass. sez. 1^ 25
gennaio 2002, n. 874; Cass. sez. 3^, 9 agosto 2000, n. 10541; Cass. sez.
3^, 27 luglio 2000, n. 9889; Cass. sez. 1^, 25 febbraio 1998, n. 2064,
nonchè, per la giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato sez. 6^, 19
dicembre 1997, n. 1869; predicative dell'opposto carattere, meramente
ordinatorio, del termine de quo risultano Cass. sez. 2^, 10 ottobre 2008,
n. 24947; Cass. sez. 2^, 20 febbraio 2008, n. 4329; Cass. sez. 2^, 23
gennaio 2008, n. 1469; Cass. sez. 2^, 1 marzo 2007, n. 4873; per la
giurisprudenza amministrativa C. Stato sez. 6^, 22 giugno 2007, n. 3455,
30 maggio 2007, n. 2748, 20 aprile 2006, n. 2195, 13 maggio 2003, n.
2533; C. Stato sez. 6^, 15 febbraio 2006, n. 609 e sez. 1^, 22 giugno
2005, n. 2533; 10 giugno 2004, n. 3741; C. Stato, sez. 5^, 19 settembre
2000, n. 4844).
La questione non assume specifico rilievo nel presente giudizio.
Difatti, gli eventuali vizi del provvedimento riferibili a vizi del
procedimento non sono, a giudizio di questa Corte, nella specie
rilevanti, in quanto risulta palese tanto la natura vincolata del
provvedimento stesso quanto la immodificabilità del relativo contenuto
(in argomento, queste sezioni unite, con la sentenza 24.1.05 n. 1362
hanno già avuto modo di affermare, con motivazione dalla quale il
collegio non intende discostarsi, che le sanzioni amministrative irrogate
per la violazione delle norme in tema di intermediazione finanziaria ne
postulano una irredimibile tassatività, e gli stessi D.Lgs. n. 58 del
1998, artt. 188 e 195, non lasciano dubbi in proposito, risultando
incontestabile espressione del principio stabilito in via generale
dalla L. n. 689 del 1981, art. 1). Tanto è a dirsi ai sensi e per gli
effetti della L. n. 15 del 2005, art. 21 octies, comma 2, norma la cui
natura processuale è facilmente desumibile dal disposto del medesimo
secondo comma (a mente del quale il provvedimento non è comunque
annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora
l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento
non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato), la cui ratio
(sulla quale, funditus, Cons. di Stato 5419/06) è indiscutibilmente da
rinvenirsi nell'intento di sanare, con efficacia retroattiva, tutti gli
eventuali vizi pro e ed intentali non influenti sul diritto di difesa in
relazione a provvedimenti vincolati adottata in una materia
l'intermediazione
finanziaria
in
cui
il
bilanciamento,
anche
costituzionale, dei valori individuali e collettivi destinati a tutela
consente al legislatore ordinario interventi che privilegino la tutela
del risparmio e della trasparenza e buon andamento dei mercati e delle
operazioni finanziarie (per la natura processuale della disposizione in
esame si è espressa la quasi unanime giurisprudenza amministrativa: Cons.
di Stato 4614/07, 6194/06, 2763/06, 5969/05; Tar Lazio 345/07, 6359/05,
6358/05; Tar Sicilia 14/06; Tar Liguria 1408/05. In senso opposto, per la
natura sostanziale della norma, la sola pronuncia di cui a Cons. Stato
1307/07).
Qualsiasi (pur ipotetico) vizio procedimentale afferente al termine in
parola risulta, pertanto, sanato ai sensi della disposizione in esame.
Quanto, poi, in particolare, alla specifica doglianza afferente alla
pretesa violazione del principio del contraddittorio durante la fase
istruttoria del procedimento sanzionatorio - principio espressamente
sancito dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, comma 2 -, il
ricorrente mostra di non considerare, in limine, che tale principio, in
tale fase, deve pur sempre strutturarsi e modellarsi in concreto, in
funzione, cioè, dello stato in cui si trova la procedura al momento
dell'acquisizione delle ulteriori prove, e non implica di per sè la
necessità della relativa assunzione alla costante presenza della parte.
Pertanto:
da un canto, la doglianza non pare prospettare, nella sostanza, alcun
reale e pertinente argomento idoneo a dimostrare una concreta ed
effettiva lesione del diritto di difesa specificamente conculcato o
compresso dall'azione sanzionatoria - attesa l'ampiezza e la consistenza,
contenutistica e "dimensionale", delle difese svolte in quella sede anche
in relazione alla documentazione della Merril (tradizionale advisor del
gruppo Fiat) sopravvenuta alla scadenza del termine così come acquisita
dalla Divisione Mercati dell'autorità di vigilanza;
- dall'altro, omette del tutto di considerare che contenuti coessenziali
alla contestazione risultano, in quella fase, l'indicazione dei fatti
rilevati, la loro qualificazione in termini di illecito, l'imputazione
dell'illecito integrato da tali fatti al responsabile, elementi
procedimentali tutti, nella specie, ampiamente rispettati sotto il
profilo del (non predicabile) vulnus al diritto di difesa: così, del
tutto condivisibilmente, la sentenza impugnata - sulla premessa che il
contraddittorio endoprocedimentale non verte sulla sanzione e sui criteri
della relativa quantificazione - rileverà come l'intero procedimento
sanzionatorio disciplinato dalla Delib. Consob n. 15086, risultasse
pienamente idoneo ad assicurare l'invocato contraddittorio, proprio in
conseguenza della distinzione in due parti della fase istruttoria e dello
svolgimento di una seconda fase "di confronto" dinanzi all'Ufficio
sanzioni
dell'autorità
di
vigilanza,
ove
all'interessato
venne
riconosciuta piena facoltà di difesa in merito ai fatti contestati,
specie sotto il già ricordato profilo della piena disponibilità delle
nuove acquisizioni probatorie, a lui rimesse integralmente a seguito di
comunicazione da parte dello stesso Ufficio sanzioni. La pronuncia
impugnata si pone, pertanto, rigorosamente in asse con principi, più
volte espressi da questa stessa corte di legittimità, a mente dei quali
il contraddittorio e il diritto di difesa - nella fase amministrativa
prodromica all'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione resta incentrata sul
fatto, individuato in tutte le circostanze concrete che valgano a
caratterizzarlo e siano rilevanti ai fini della pronuncia del
provvedimento finale (così Cass. 6408/96;
6838/95; in particolare, Cass. 7262/90 analiticamente ricostruisce, nei
termini che precedono, gli aspetti procedimentali afferenti al contenuto
della contestazione, specificando come, a base del provvedimento,
l'autorità procedente abbia l'obbligo di porre il nucleo del fatto
contestato inteso nella sua fenomenologia obbiettiva e subbiettiva e non
anche nella definizione giuridica ivi conferitagli);
dall'altro ancora, mostra, in relazione proprio alla diacronica
evoluzione probatoria del procedimento, di non considerare l'ulteriore,
concorrente profilo della vicenda - già sottolineato da questa corte con
la sentenza 18.4.2003, n. 6307 sia pur con riferimento alla diversa
fattispecie dell'irrogazione di sanzioni per infrazioni commesse dai
consiglieri di amministrazione degli istituti di credito previsto
dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 145 - predicativa del principio
di diritto, che queste sezioni condividono e fanno proprio, mutatis
mutandis, secondo cui al pari dell'analoga previgente disposizione di cui
all'art. 90 della "legge" bancaria (R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375), il
procedimento de quo non prescrive altro, prima dell'adesione - con
decreto motivato - del Ministro del Tesoro alla proposta di applicazione
della sanzione avanzata dalla Banca d'Italia, che la contestazione, da
parte della Banca, dell'addebito mosso e la valutazione delle eventuali
controdeduzioni dell'interessato, senza alcuna altra interlocuzione di
quest'ultimo prima del provvedimento ministeriale, nè il difetto di
previsione d'una tale ulteriore forma di difesa può essere colmata
invocando
una
diretta
applicazione
dei
precetti
costituzionali
riguardanti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto processo
(art. 111 Cost.), atteso che tali norme riguardano espressamente e solo
il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti
al giudice e non il procedimento amministrativo, ancorchè finalizzato
all'emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi, sicchè
tale, mancata (completa) equiparazione del procedimento amministrativo a
quello giurisdizionale non viola in alcun modo la Costituzione.
6) Le ulteriori questioni di diritto - I residui motivi dei ricorsi
principale e incidentale.
6.1 - Il secondo motivo del ricorso principale.
La ricorrente ripropone, dinanzi a questa corte, questioni già sollevate
in sede di opposizione, e già analiticamente esaminate e correttamente
risolte dal giudice territoriale. Lo fa, peraltro, seguendo un iter
argonetativo che sfocia, poi, nella formulazione di un quesito
irredimibilmente
multiplo,
ponendo,
a
un
tempo,
la
questione
dell'applicabilità del regime generale della solidarietà dell'ente,
giusta disposto della L. n. 689 del 1981, art. 6, e quella, affatto
diversa, della (asseritamene illegittima) duplicazione di sanzioni
allorchè l'autorità procedente, contestata la fattispecie di market abuse
ai sensi dell'art. 185 del cit.
D.Lgs., irroghi poi una ulteriore sanzione ex art. 187 quinquies stessa
legge. Pertanto, al di là ed a prescindere dalla totale infondatezza nel
merito di entrambe le questioni (la motivazione della sentenza impugnata
appare, in argomento, del tutto incensurabile, affrontando con dovizia di
argomentazioni immuni da vizi logico-giuridici e, nel merito, totalmente
condivisibili, tanto il tema della solidarietà - con riferimento al quale
è legittimamente esclusa in radice la sussistenza di un rapporto di
specialità o assorbimento tra i ricordati art. 187 quinquies cit.
TUF e L. n. 689 del 1981, art. 6, atteso che la prima norma configura una
ipotesi di responsabilità amministrativa della persona giuridica per
fatto
proprio,
la
seconda
una
fattispecie
di
"debito
senza
responsabilità", essendo l'ente chiamato a rispondere della violazione
commessa dal proprio organo non per diretta responsabilità, quanto in
funzione di adiectus solutionis causa - quanto quella dei rapporti tra
fattispecie punitive - considerando altrettanto legittimamente esclusa
ogni ipotesi di specialità ovvero dì concorso apparente delle fattispecie
sanzionatorie, alla stregua del tenore letterale della norma ex 187,
delle origini storiche dell'intero corpus legislativo di cui al c.d. TUF
- attuativo, come noto, della direttiva 203/6/CE la quale, nel prevedere
l'obbligo di sanzionare in via amministrativa gli abusi de quibus,
lascerà poi libero il legislatore nazionale di prevedere, in via
cumulativa e non alternativo/sostitutivo, l'irrogazione (anche) di
sanzioni penali, scelta, quest'ultima, concretamente attuata da parte di
quello italiano, onde rafforzare la tutela del bene protetto attraverso
il sistema del doppio binario, con conseguente, legittima cumulabilità di
fattispecie ex artt. 185 e 187 ter e, conseguentemente di legittimo
cumulo tra l'art. 187 quinquies e il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25
sexies, integranti fattispecie assolutamente speculari rispetto alle
prime, senza che, in proposito, potesse assumere rilievo l'obiezione
secondo cui, mentre la persona fisica risponde, in un sistema così
delineato, una volta in via amministrativa, un'altra sul piano penale, la
persona giuridica sarebbe viceversa chiamata a rispondere due volte sul
piano
amministrativo,
non
tenendosi
in
tal
modo
nella
debita
considerazione che la responsabilità degli enti, così come strutturata
della normativa 231/01, ancorchè formalmente denominata "amministrativa",
ricalca poi nella sostanza, mutatis mutandis, la falsariga della
responsabilità penale, come già riconosciuto dalla stessa dottrina che
predica ormai quasi unanimemente il principio per cui societas delinquere
potest, così sovvertendo l'opposta e radicata tradizione romanistica
sotto l'impulso della normativa comunitaria), il motivo va dichiarato
inammissibile, in conformità con la ormai consolidata giurisprudenza di
questa corte.
6.2 - Il quarto motivo del ricorso principale.
Destinato a cadere sotto la scure dell'inammissibilità, quanto alla
concreta configurabilità della responsabilità soggettiva del ricorrente
in ordine ai comunicati inveridici pur concordati con l'autorità di
vigilanza è ancora, irredimibilmente, il quarto motivo di ricorso, che
introduce in seno al presente giudizio una questione di mero fatto, cui
la corte territoriale ha fornito ampia, articolata, motivata e
condivisibile risposta. Si celano, dietro lo schermo della lamentata
omissione, contraddittorietà, insufficienza della motivazione, doglianze
rivolte alla impugnata sentenza di genere tipicamente valutativofattuali, destinate, come tali, a sottrarsi al controllo di legittimità
di questa corte regolatrice. I criteri utilizzati dal giudice torinese,
difatti, appaiono del tutto correttamente indirizzati a individuare quale legittima estrinsecazione dei poteri espressamente riconosciuti
all'autorità giudiziaria in tema di valutazione della condotta della
persona fisica sanzionata in relazione alla fattispecie di illecito
contestato - una irredimibile responsabilità dell'amministratore in
relazione a fatti di sua conoscenza, attesa la inscindibilità di tali
conoscenze personali rispetto alla qualifica apicale nella specie
rivestita.
Va anche a questo proposito ribadito il principio (già affermato in
precedenza, nel corso dell'esame dei precedenti motivi) secondo cui,
qualora il ricorrente, lungi dal prospettare a questa corte un vizio
della sentenza gravata concretamente rilevante sotto il profilo di
cui all'art. 360 c.p.c., si volga ad invocare, analiticamente ma
infondatamente, una diversa lettura delle risultanze procedimentali come
correttamente accertate e condivisibilmente ricostruite dalla corte dì
merito, muove in realtà all'impugnato provvedimento censure del tutto
inaccoglibili in questa sede perchè la valutazione delle risultanze
probatorie - non meno che il giudizio sul bilanciamento delle circostanze
fattuali rilevate a latere dell'illecito così come contestato -,
involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di
merito, il quale, non incontra altro limite (ancora una volta, ampiamente
rispettato nel caso di specie) che quello di indicare le ragioni del
proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e
discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e
qualsiasi
deduzione
difensiva.
Le
opzioni
espresse
dal
giudice
territoriale - nella specie, del tutto legittime in punto di
ricostruzione storico-logica degli elementi soggettivo ed oggettivo della
fattispecie - appaiono, pertanto, apoditticamente non condivise e per ciò
solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone
ai propri desiderata (quasi che la fungibilità nella ricostruzione
circostanziale di una vicenda processuale fosse ancora legittimamente
predicabile in seno al giudizio di Cassazione).
6.3 - I restanti motivi del ricorso Ifil/ G.. a) Il secondo, terzo e
quinto motivo di ricorso.
Al di là ed a prescindere dai (non marginali) profili di inammissibilità
evidenziati (anche in tal caso, non del tutto infondatamente) dal
controricorrente - che lamenta una sostanziale violazione tanto del
divieto di quesito multiplo, quanto di quello del novum in seno al
presente giudizio -, è convincimento di queste sezioni unite che la
motivazione della sentenza impugnata - la quale, ai ff. 25 ss, 30-37
quanto al secondo motivo, e 44 ss. quanto al terzo e quinto, ripercorre
analiticamente le tappe dell'intera vicenda per la quale è processo,
analizzando la genesi dell'equity swap stipulato tra le società Merrill
Lynch International ed Exor (strumento negoziale del quale si rileva come
gli essenziali aspetti contenutistici risultassero funzionali ad
assicurare la massima riservatezza dell'operazione finanziaria); descrive
puntualmente il processo di formazione, da parte della Merrill, anche
sotto il decisivo profilo temporale, della "provvista" (90 milioni di
azioni Fiat acquistate tra il l'aprile e il giugno 2005), definendolo
"ben noto" all'odierno ricorrente; ricostruisce, su di un significativo
piano diacronico/funzionale, l'intera vicenda "evolutiva" delle clausole
di regolamento finale del predetto swap (con specifico riferimento alla
suggerita necessità di lancio dell'O.p.A. da parte della Exor nel caso in
cui la sua esecuzione comportasse il superamento della soglia di
partecipazione del 30% al capitale Fiat, ed alla fase di ed.
"smontaggio", ossia di trasferimento delle azioni acquistate ad IFIL per
il mantenimento della posizione dominante in Fiat, al riparo da rischi di
o.p.a.),- rileva l'inequivoco contenuto delle e-mail intercorse tra
operatori della Merrill che discorrevano di un incontro destinato
all'auspicato dipanarsi dell'operazione finanziaria, da tenersi alla
presenza, tra gli altri, del G.;
riconduce apertis verbis gli studi e le iniziative finalizzata a
preservare il controllo della Fiat non soltanto alla Exor, ma a tutte le
società presiedute dal ricorrente e, segnatamente, alla Ifil e alla
Giovanni Agnelli s.a.p.a.; imputa, in una dimensione di assoluta
consonanza con il tenore degli atti sanzionatori della Consob, l'illecito
contestato, in concorso tra loro, alle persone fisiche che, in diversa
misura, ebbero a determinare il contenuto dei comunicati non veridici
diffusi al pubblico dalla due predette società, consentendone così la
diffusione tanto in ragione della veste formale ricoperta in seno alle
stesse, quanto del contributo "ideologico" concretamente arrecato alla
loro predisposizione e formazione, in ragione della accertata, personale
partecipazione al relativo processo decisionale; evidenzia, in armonia
con la costante e uniforme giurisprudenza di questa corte, la
impredieabilità di qualsivoglia distinzione tra quanto appreso in proprio
e quanto conosciuto nella qualità di rappresentante societario da parte
della persona fisica (essendo la conoscenza "uno stato personale
inscindibile"); non dubita, infine, della piena consapevolezza, in capo
al ricorrente (f. 44), quanto al pur contestato aspetto soggettivo
dell'illecito, del disegno finanziario in fase di perseguimento da parte
del gruppo societario - e della conseguente falsità "inevitabile" dei
comunicati, la cui idoneità decettiva viene poi correttamente e
condivisibilmente evidenziata ai ff. 41 ss. della motivazione -, alla
luce della "chiara intelligibilità" dell'ordine impartito dalla Consob risulti del tutto immune da vizi logico-giuridici, e sia destinata a
resistere alle critiche mosse dalla difesa del ricorrente sulla questione
essenziale della oggettiva e consapevole falsità, da parte, tra gli
altri, dell'odierno ricorrente, delle comunicazioni diffuse sul mercato.
Rilevata, pertanto, la assoluta infondatezza della doglianza di omissione
di motivazione, che risulta, di converso, puntualmente sviluppata e
analiticamente articolata, - e ritenuto ancora che l'ulteriore (pur
suggestiva) censura volta al raffronto tra la norma ex art. 114 vigente
all'epoca dei fatti e quella risultante dalla modifica del 2005, risulta
inammissibile, atteso che tale thema disputandum esula dall'ambito del
presente giudizio essendo l'illecito manipolativo sanzionato senz'altro
ricompreso nella sfera applicativa del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187
ter, come condivisibilmente opinato dalla corte territoriale con
motivazione scevra da vizi logico-giuridici - non sembra seriamente
contestabile che il motivo in esame, pur lamentando formalmente una
violazione di legge (anche sotto profili comunque motivazionali), si
risolve,
in
realtà,
nella
(non
più
ammissibile)
richiesta
di
rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in
sede di merito. Il ricorrente, lungi dal prospettare a questa corte un
vizio della sentenza gravata concretamente rilevante sotto il profilo di
cui all'art. 360 c.p.c., si volge in realtà ad invocare, analiticamente
ma infondatamente, una diversa lettura delle risultanze procedimentali
come correttamente accertate e condivisibilmente ricostruite dalla corte
di merito, muovendo così all'impugnato provvedimento censure invero
inaccoglibili in questa sede perchè la valutazione delle risultanze
probatorie (non meno che il giudizio sul contenuto e sulla significazione
di atti e documenti), al pari della scelta, fra esse, di quelle ritenute
più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto
riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a
fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte
di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione
circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e
ipoteticamente verosimili), non incontra altro limite (ampiamente
rispettato, nel caso di specie) che quello di indicare le ragioni del
proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e
discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e
qualsiasi deduzione difensiva. E' principio di diritto ormai consolidato
quello per cui l'art. 360 c.p.c., non conferisce in alcun modo e sotto
nessun aspetto alla corte di Cassazione (specie se letto ed applicato in
combinato disposto con l'art. 111 delle Carta fondamentale) il potere di
riesaminare il merito della causa, consentendo, di converso, il solo
controllo - sotto il profilo logico/formale e della correttezza giuridica
- delle valutazioni compiute dal giudice dell'opposizione, al quale
soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio
convincimento valutando i fatti e le prove poste a fondamento
dell'irrogata sanzione, controllandone esistenza storica, attendibilità,
concludenza, scegliendo, fra tutte le emergenze probatorie, quelle
funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione. Il ricorrente,
nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione
della sentenza della corte torinese, inammissibilmente (perchè in
contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di
legittimità) sollecita una nuova valutazione delle risultanze fattuali
del processo (ormai cristallizzate quoad effectum) ad opera di questa
Corte, onde trasformare surrettiziamente il giudizio di Cassazione in un
nuovo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il
contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore
o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora
le opzioni espresse dal giudice territoriale - nella specie, del tutto
legittime in punto di ricostruzione storico-logica degli elementi
soggettivo ed oggettivo della fattispecie - non condivise e per ciò solo
censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai
propri desiderata (quasi che la fungibilità nella ricostruzione di un
fatto fosse ancora legittimamente predicabile in seno al giudizio di
Cassazione).
Va altresì ribadito - quanto, in particolare, all'interpretazione
adottata dai giudici di merito con riferimento al contenuto della
complessa trama documentale sulla quale è andato ad innestarsi il
procedimento prima sanzionatorio, poi di opposizione - che, alla luce di
una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, la
dimensione
processuale
dell'interpretazione
postula,
in
sede
di
legittimità, che il relativo sindacato non possa investire il risultato
ermeneutico in sè, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto
riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni
legali di ermeneutica e la coerenza logica della motivazione adottata
(entrambi ampiamente predicabili con riferimento alle argomentazioni
sviluppate dalla corte territoriale): l'indagine ermeneutica, è, in
fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere
censurata in sede dì legittimità solo per totale inadeguatezza della
motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione,
con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica
della ricostruzione operata dal giudice di merito che si traduca solo
nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di
fatto da quegli esaminati. b) Il quarto motivo del ricorso.
Destinato a cadere in parte sotto la scure dell'inammissibilità, in parte
sotto
quella
della
infondatezza
(avendo
la
corte
territoriale
correttamente e condisivibilmente motivato, ai ff. 16 ss. della sentenza
impugnata, tanto in ordine al concorso formale tra fattispecie D.Lgs. n.
58 del 1998, ex artt. 185 e 187 ter, in deroga al principio di specialità
di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9, quanto sulla concreta
configurabilità della responsabilità soggettiva del ricorrente in ordine
ai comunicati inveridici pur concordati con l'autorità di vigilanza) è
poi, irredimibilmente, il quarto motivo di ricorso, che, da un lato, si
articola secondo una speculare, duplice doglianza di violazione di legge
e di carenze motivazionali (sull'inammissibilità del quesito multiplo o
cumulativo, funditus, Cass. 5471/08; 1906/08; su di un piano di più
generale inammissibilità in ordine a fattispecie di incongruità del
quesito rispetto al decisum impugnato, Cass. Ss.uu. 12645/08; Cass.
11682/07), dall'altro, quanto alla sua seconda proposizione, difetta
altrettanto patentemente del requisito della generalità e della
astrattezza (oltre a porre una questione di solo merito, per ciò solo
inammissibile, giusta le considerazioni già svolte nell'esame dei motivi
che precedono), dall'altro ancora, quanto alla sua terza e ultima
articolazione, introduce in seno al presente giudizio una questione di
interpretazione (l'applicabilità di una diversa fattispecie normativa, ex
art. 193 cit. TUF, rispetto a quella contestata) già ampiamente dibattuta
e del tutto correttamente decisa nel precedente giudizio di opposizione,
nella parte in cui la corte torinese, con motivazione del tutto scevra da
vizi logico- giuridici, sottolinea come la natura dell'informativa
sollecitata dalla Consob nell'interesse del mercato, strutturalmente
priva del pur lamentato carattere privilegiato (carattere riconducibile
al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 181, norma per l'effetto inapplicabile
alla fattispecie), funzionalmente risultasse poi volta all'esercizio del
proprio, generale potere di richiesta, agli emittenti quotati ovvero ai
soggetti controllanti, di pubblicizzare, secondo modalità stabilite con
sufficiente determinatezza, notizie e dei documenti necessari per
l'informazione del pubblico - potere di richiesta non sindacabile nel suo
esercizio, ma reclamabile D.Lgs n. 58 del 1998, ex art. 114, comma 6 -,
con conseguente impredicabilità, nella specie, della pur invocata
applicazione del comma 1, dell'art. 114 cit., risultando viceversa
applicabile il successivo quinto comma;
specificando, poi, come lo stesso carattere morfologico dell'informativa
in parola escludesse irredimibilmente la configurabilità dell'illecito
minor di cui al parimenti invocato art. 193, genericamente riferito alla
violazione dei doveri informativi societari e degli obblighi di
segnalazione indipendentemente dalla relativa incidenza sul mercato.
7 - Il ricorso incidentale Consob.
Il primo, secondo, terzo, quinto e sesto motivo del ricorso.
La Consob lamenta, nel complesso, la violazione della corrispondenza tra
il chiesto e il pronunciato e la mancata rilevazione del vizio di novità,
da parte della corte territoriale, di specifiche istanze difensive
dall'evidente carattere diacronico rispetto al ricorso in opposizione,
con riferimento alle statuizioni adottate quanto al merito della
controversia e volte, da un canto, ad escludere, dall'altro, a ridurre la
sanzione inflitta alla società con riferimento, rispettivamente, alle
posizioni del G.S. e del G..
Le doglianze sono infondate, avendo il giudice torinese correttamente
interpretato l'atto di opposizione sì come volto, fin dall'origine, alla
"contestazione, nella specie, di tutti i presupposti, soggettivi ed
oggettivi, della responsabilità amministrativa della, società ai sensi
del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 quinquies"; avendo, per l'effetto,
svolto, sotto tale profilo, con riferimento ad entrambe le persone
fisiche coinvolte nell'illecito, una articolata ed esauriente analisi
morfologica della fattispecie normativa con specifico riguardo a due dei
suoi
indefettibili
elementi
strutturali
(definiti,
efficacemente,
pilastri del paradigma di responsabilità della norma sanzionatoria, sì
come mutuati dalla fattispecie punitiva ex D.Lgs. n. 231); avendo
conseguentemente motivato il proprio decisum ritenendo (implicitamente
quanto condivisibilmente) le successive specificazioni della (generica,
ma sufficientemente cadenzata) domanda in opposizione in guisa di mere
emendationes specificative rispetto all'originario petitum e alla
originaria causa petendi.
Il quarto motivo del ricorso.
La doglianza rappresenta a questa Corte, da un canto, una questione
evidentemente fattuale, quale quella della valutazione della posizione
dell'Avv. G.S. rispetto alla società ricorrente all'interno della
complessa ed articolata vicenda sfociata, poi, nell'emanazione dei due
comunicati falsi (e in tal guisa essa si appalesa inammissibile),
dall'altro,
una
questione
interpretativa,
che
si
infrange
irrimediabilmente sul corretto e condivisibile decisum della corte di
merito nella parte in cui, con ampia e articolata motivazione svolta dai
ff. 50 a 57, viene evidenziato come il modello di responsabilità "forte"
adottato dal legislatore in subiecta materia richiedesse l'indefettibile
qualifica del soggetto responsabile in termini di "apicalità", con tale
termine intendendosi lo svolgimento di funzioni di rappresentanza,
amministrazione, direzione dell'ente sanzionato, onde il comportamento
illecito possa normalmente ascriversi ad una esplicita manifestazione di
politica aziendale, incompatibile con ipotesi (quale quella di specie) in
cui
appariva
evidente
la
frattura
del
rapporto
di
riferibilità/immedesimazione
organica
(così
rettamente
e
condivisibilmente diversificandosi la posizione del G. S. rispetto a
quella, ontologicamente dissonante, del G.), risultando - sul piano della
responsabilità dell'ente - vera e propria conditio sine qua non
l'accertamento della qualità gestoria apicale (nella specie, del tutto
legittimamente esclusa, attesa la motivata irrilevanza in parte qua della
sua qualità di membro del consiglio di amministrazione della Ifil).
Il settimo motivo del ricorso.
La doglianza riproduce tout court censure svolte con il ricorso
incidentale che la stessa Consob ha presentato nel parallelo procedimento
a carico del G., sanzionato quale persona fisica il relazione
all'illecito di cui all'art. 187 ter, tutte volte. Si duole il ricorrente
tanto della mancata applicazione dell'istituti della reiterazione in
luogo della (impropriamente definita) continuazione nell'illecito, quanto
dei criteri adottati dal giudice territoriale nella valutazione della
condotta e nella conseguente riduzione della sanzione inflitta (riduzione
destinata a ripercuotersi ipso facto sulla sanzione inflitta dalla Ifil).
Va pertanto ribadito in questa sede quanto
sezioni unite in quel procedimento, e cioè:
già
osservato
da
queste
da un canto, quanto alla violazione e falsa applicazione delle norme
sulla reiterazione delle condotte, che il disposto della L. n. 689 del
1981, art. 8, comma 1 (salvo che sia diversamente stabilito dalla legge,
chi con un'azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono
sanzioni
amministrative
o
commette
più
violazioni
della
stessa
disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più
grave, aumentata sino al triplo), è stato consonantemente interpretato
dalla giurisprudenza di questa corte nel senso che, in materia di
sanzioni amministrative, non è applicabile l'art. 81 cpv cod. pen.,
relativo alla continuazione, ma esclusivamente il concorso formale, in
quanto espressamente previsto nella L. n. 689 del 1981, art. 8, che
richiede l'unicità dell'azione od omissione produttiva della pluralità di
violazioni: così, tra le altre, Cass. 12844/08), ed è convincimento di
queste sezioni unite che, nella specie, la normativa applicabile sia
proprio quella di cui all'art. 8 (e non anche di cui al successivo art. 8
bis) della L. n. 689, come rettamente indicato dalla corte torinese nel
dispositivo della sentenza pronunciata nel procedimento G., mentre
risulta erroneo il riferimento - contenuto nella motivazione -al diverso
istituto della reiterazione.
A non diversa conclusione conduce
dipanarsi delle condotte sanzionate.
un'attenta
analisi
del
diacronico
La (correttamente predicata) "contiguità temporale" rilevata in sentenza
dal giudice dell'opposizione, valutata insieme con la perfetta identità
contenutistica dei due comunicati, si pone, in realtà, in termini tali da
indurre a discorrere, nella specie, di condotta unitaria "progressiva"
sviluppatasi, nel suo solo segmento finale, secondo una duplice
dimensione espressiva sol perchè afferente a due compagini societarie
destinatarie della richiesta Consob. Tutti i comportamenti e tutti gli
atti prodromici funzionalmente predisposti all'emanazione di un duplice,
falso
comunicato
da
parte
del
ricorrente,
difatti,
rivestono
indiscutibile carattere di identità ed omogeneità strutturale (non
potendosi
legittimamente
discorrere,
nella
specie,
nemmeno
di
duplicazione simmetrica di condotte), e troveranno una duplice, formale
estrinsecazione soltanto con riferimento al segmento dichiarativo
terminale
"necessario"
imposto
dalla
richiesta
dell'autorità
di
vigilanza. Non diversamente, come ritenuto da questa stessa corte in
fattispecie morfologicamente disomogenea, ma concettualmente analoga in
tema di pubblicità stradale, la collocazione di impianti pubblicitari su
suolo pubblico comporta la violazione, in conseguenza di tale condotta,
dell'art. 23 C.d.S. - che ne vieta la collocazione sulla sede stradale e
sulle sue pertinenze, o in prossimità della stessa, e del successivo art.
25, che vieta, invece, di utilizzare "con propri impianti ed opere",
senza autorizzazione dell'ente proprietario, la sede stradale e le
relative pertinenze -, ed integra un'ipotesi di concorso formale di
illeciti amministrativi, configurabile ogni guai volta le singole
disposizioni di legge violate, essendo rivolte a tutelare interessi
giuridici obiettivamente diversi, non siano tra loro in rapporto di
specialità: è di intuitiva evidenza che l'apposizione di più di un
impianto pubblicitario su suolo pubblico risulta conseguenza di una
medesima condotta, sia pur "ad esecuzione frazionata", il cui segmento
terminale
(la
consecuzione
diacronica
di
attività
materialmente
consistenti dell'impianto di un certo numero di cartelloni), pur
"fisicamente" separata, non lo è sul piano ideativo, e consente,
pertanto, l'applicazione della norma sul concorso formale (impropriamente
definita continuazione) di cui alla L. n. 689, art. 8.
A tale conclusione è lecito pervenire anche alla luce del complessivo
impianto motivazionale adottato dalla corte subalpina - impianto
condiviso in parte qua dallo stesso controricorrente - nella misura in
cui essa ricostruisce l'intera vicenda ritenuta sanzionabile ex art. 187
ter in termini di "illecito di gruppo", tale ritenendosi - in una
ricostruzione di assetti operativi sostanzialmente unitaria e unificante
della complessa realtà societaria riguardante la delicata vicenda
finanziaria oggetto del giudizio - l'intero plesso societario ruotante
intorno alla Fiat, destinataria ultima degli eventuali benefici nascenti
dai comunicati Ifil e G.A. s.p.a., come confermato implicitamente dalla
perfetta identità temporale e contenutistica della rispettiva emissione
(per entrambi, la data del (OMISSIS)).
Anche alla luce dì tale, non trascurabile, assoluta sincronia temporale e
perfetta consonanza di contenuti del segmento finale del comportamento
illecito, appare innegabile la configurabilità di una fattispecie di
concorso
formale
(va
ripetuto,
solo
impropriamente
definita
"continuazione" nel dispositivo della sentenza), L. n. 689 del 1981, ex
art. 8, così come integrata da un'unica, complessa condotta finalizzata a
più violazioni della medesima disposizione di legge. Nella pur
incontestabile condivisibilità delle osservazioni svolte dal ricorrente
incidentale sulla diversa ratio, sulla diversa portata, sui diversi
effetti dell'istituto della c.d. reiterazione di cui al successivo art. 8
bis, la sentenza impugnata, così integratane la motivazione, resiste,
pertanto, alle censure mosse con il terzo e quarto motivo del ricorso
incidentale (pacifico essendo, alla luce del coacervo delle risultanze
processuale, l'unicità del disegno trasgressivo correttamente evidenziato
dal giudice dell'opposizione e infondatamente contestato con il quarto
motivo del ricorso Consob).
Dall'altro, quanto alla valutazione della condotta sanzionata, che i
criteri utilizzati dal giudice torinese appaiono del tutto correttamente
indirizzati a individuare - quale legittima estrinsecazione dei poteri
espressamente
riconosciuti
all'autorità
giudiziaria
in
tema
di
valutazione
(ed
eventuale
riduzione)
della
sanzione
inflitta
dall'autorità amministrativa - una più consone (minor) "gravità del
fatto" in relazione a tutte le sue circostanze, soggettive ed oggettive,
con evidente, sia pur implicito, giudizio di minusvalenza, rispetto ad
esse (così come puntualmente indicate al f. 46 della motivazione), del
pur considerato elemento soggettivo del dolo. Erra, difatti, il
ricorrente incidentale nel lamentare una presunta applicazione di criteri
extralegali, da parte del giudice torinese, in sede di valutazioni
(autonomamente quanto legittimamente) compiute in ordine al quantum delle
sanzioni inflitte onde inferirne la (altrettanto legittima) conclusione
della eccessività delle sanzioni, pecuniaria ed accessoria, inflitte
dall'autorità di vigilanza: da un canto, difatti, è lo stesso art. 187
ter ad indicare espressamente i criteri della qualità personale del
colpevole, dell'entità del danno, degli effetti sul mercato conseguiti al
suo illecito quali elementi legali di valutazione della condotta, sia pur
allo speculare fine di autorizzare un aumento della sanzione inflitta in
casi, altrettanto speculari rispetto a quello odierno, di condotte
particolarmente gravi; dall'altro, la L. n. 689 del 1981, art. 11,
altrettanto espressamente fa riferimento, nella determinazione della
sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite
minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie
facoltative, ai criteri, altrettanto legali, della gravità della
violazione,
dell'opera
svolta
dall'agente
per
l'eliminazione
o
attenuazione delle conseguenze della violazione, nonchè alla, personalità
dello stesso e alle sue condizioni economi che.
Come condisivibilmente ritenuto, anche di recente, dalla giurisprudenza
di questa corte di legittimità, difatti, pur se con riferimento ad un
piano più generale, ove la legge indichi un minimo e un massimo di una
sanzione amministrativa, è rimesso al potere discrezionale del giudice
determinare l'entità entro questi limiti, allo scopo di commisurarla alla
concreta gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi
elementi oggettivi e soggettivi; in particolare il giudice non è tenuto a
specificare i criteri seguiti nel commisurare la sanzione nè la
statuizione adottata al riguardo è censurabile in sede di legittimità'
ove siano stati rispettati i limiti suddetti e dal complesso della
motivazione risulti che quella valutazione sia stata compiuta (così Cass.
22.6.2002, n. 8532;
4.11.1998, n. 11054).
Il ricorso
rigettato.
incidentale,
al
pari
di
quello
principale,
è
pertanto
Le spese del giudizio, attesa la reciproca soccombenza e la complessità
dei temi trattati, possono essere interamente compensate.
P.Q.M.
La corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa interamente
tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2009