Corte di Cassazione civ Sezione 2 Civile

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Corte di Cassazione civ Sezione 2 Civile
Corte di Cassazione civ Sezione 2 Civile
Sentenza del 26 gennaio 2004, n. 1314
Integrale
COMUNIONE DEI DIRITTI REALI - CONDOMINIO NEGLI EDIFICI - REGOLAMENTO DI CONDOMINIO - IN GENERE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Dott. Alfredo Mensitieri - Presidente
Dott. Rosario De Julio - Consigliere
Dott. Giovanni Settimj - Consigliere
Dott. Francesca Trombetta - Consigliere
Dott. Emilio Malpica - Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ro. Ca., elettivamente domiciliato in Ro. p.zza Ca., presso la Corte di Cassazione, difeso dagli avvocati Nu. Bo., Ed.
Gr., giusta delega in atti;
ricorrente
contro
Do. Fi., elettivamente domiciliata in Ro., p.zza Ca., presso la Corte di Cassazione, difesa dagli avvocati Vi. Cr., Pi. Gr.,
giusta delega in atti;
controricorrente
avverso la sentenza n. 2137/00 del Tribunale di Catania, depositata il 05/02/00;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/03 dal Consigliere Dott. Emilio Malpica;
Udito l'avv. An. Bu. che deposita delega dell'avv. Ed. Gr., difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del
ricorso;
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele Ceniccola che ha concluso per rigetto del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 23/06/1996 Ro. Ca. convenne in giudizio Do. Fi. innanzi al Pretore di Catania - sezione
di Acireale - esponendo quanto segue: che era proprietaria di una unità immobiliare sita al primo piano dell'edificio
condominiale di via Ve. n. 4 in Ac.; che la Do. Fi., proprietaria dell'appartamento sito al piano sovrastante aveva di
recente eseguito opere che costituivano alterazione dei beni comuni, in violazione degli artt. 1120 e 1122 c.c. e
dell'art. 7 lett. C) del regolamento condominiale che vietava ogni tipo di opera senza l'autorizzazione dell'assemblea;
che, in particolare, la convenuta aveva eliminato la parete esterna lato sud, costituente parte della facciata comune,
aveva costituito una servitù di elettrodotto con collocazione di cavi elettrici nell'androne e sulla facciata stessa, aveva
collocato una caldaia sul ballatoio, il tutto senza le prescritte autorizzazioni amministrative e senza l'osservanza delle
norme tecniche di sicurezza.
L'attrice chiese, pertanto, che fosse dichiarata l'illegittimità delle opere realizzate dalla Do. Fi., con condanna della
medesima al ripristino.
La convenuta eccepì di aver fatto uso legittimo della cosa comune e che le norme del regolamento condominiale
invocate dalla controparte erano inesistenti perché il regolamento non era stato notificato a tutti gli aventi diritto.
All'esito dell'istruttoria il Pretore condanna la convenuta a ripristinare la parete perimetrale demolita e a rimuovere il
filo elettrico collocato sulla facciata del palazzo, rigettando le altre domande.
Interposto appello dalla Do. Fi., il Tribunale di Catania, con sentenza del 09/03/2000, accolse l'impugnazione e rigetto
tutte le domande proposte dalla Ro. Ca., condannando quest'ultima alla rifusione delle spese del doppio grado di
giudizio.
Osservò il Tribunale che la decisione del Pretore, che aveva parzialmente accolto la domanda sul presupposto della
illegittimità di alcune delle opere eseguite alla stregua della previsione regolamentare, era errata però - come eccepito
dall'appellante - il regolamento di natura assembleare, non approvato con la unanimità dei consensi, non poteva
determinare una compressione dei diritti spettanti ai singoli sulla proprietà individuale e sulle cose comuni.
Conseguentemente, valutando la legittimità delle opere eseguite alla stregua non già del regolamento, bensì delle
norme codicistiche in materia, ritenne il Tribunale che non ricorresse una lesione della sicurezza dello stabile o del
decoro architettonico né un uso della cosa comune debordante dai limiti indicati dall'art. 1102 c.c.; in particolare
ritenne che la demolizione del muro - trattandosi di mera tamponatura - non incideva sulla stabilità del fabbricato; che
essendo la chiusura del balcone effettuata con materiali di pregio e sul prospetto interno, non ne risultava
compromesso il decoro; che l'utilizzo dell'androne e della facciata per il collocamento dei fili elettrici, non costituiva
uso distorto del bene comune.
Avverso la menzionata sentenza ha proposto ricorso la Ro. Ca. sulla base di quattro motivi, cui resiste la Do. Fi. con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza di appello per violazione dell'art. 112 c.p.c.
Assume la Ro. Ca. che la controparte - nei motivi di appello - si è limitata a censurare la decisione perché fondata
sulla violazione del regolamento condominiale che sarebbe stato adottato senza l'unanimità dei consensi, ma non ha
dedotto nulla circa la legittimità dei lavori eseguiti a prescindere dal consenso dei condomini e sull'affermazione del
Pretore secondo cui il singolo condomino è legittimato ad agire in giudizio per la tutela del bene comune;
conseguentemente, secondo la ricorrente, la sentenza di appello che ha ritenuto la legittimità della demolizione e della
ricostruzione eseguite dalla Do. Fi. non sarebbe sorretta da alcuna domanda o motivo d'appello e quindi, sarebbe
inficiata da ultrapetizione.
Il motivo è palesemente infondato.
Innanzitutto, ove si volesse accedere alla tesi della ricorrente, la conseguenza non sarebbe certamente a lei
favorevole, in quanto la esclusione della validità delle limitazioni ai diritti dei condomini sancite dal regolamento non
contrattuale, invocata come motivo d'appello e condivisa dal Tribunale, avrebbe dovuto condurre comunque al rigetto
della domanda della Ro. Ca., posto che questa era fondata proprio ed esclusivamente sulla pretesa violazione del
regolamento, sicché - esclusa sotto tale profilo l'illegittimità - non sarebbe stato necessario (secondo quanto sostiene
l'odierna ricorrente) che il Tribunale controllasse la legittimità delle opere alla stregua delle norme codicistiche. Deve,
tuttavia, osservarsi che il Tribunale, una volta affermata la inefficacia del regolamento in ordine alle limitazioni imposte
ai condomini sui diritti esclusivi, legittimamente ha esaminato se le opere realizzate potessero risultare comunque
illegittime alla stregua delle norme codicistiche in tema di condominio, avendo proceduto ad una interpretazione della
domanda della Ro. Ca. alla luce dell'interesse sostanziale della medesima, chiaramente desumibile dal tenore delle
istanze.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 1138 c.c. e insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia, affermando che erroneamente il Tribunale ha escluso l'efficacia
del regolamento nei confronti della Ro. Fi., perché la predetta - cui fu ufficialmente comunicato il testo del
regolamento - non sollevo alcuna obiezione, sicché la mancanza di esplicito dissenso deve ritenersi equivalente al
consenso.
Anche il secondo motivo è infondato, perché le limitazioni ai diritti spettanti al singolo sulla proprietà esclusiva e su
quella comune possono trovare la loro fonte esclusivamente in un regolamento di natura contrattuale, identificabile in
quell'atto al quale abbiano esplicitamente aderito tutti i partecipanti al condominio. Benché non possa escludersi la
validità di adesioni non contestuali, le singole manifestazioni di volontà devono essere comunque esplicite e,
attenendo a diritti di natura reale immobiliare, espresse in forma scritta. Non può quindi in alcun modo ipotizzarsi un
consenso tacito, né - peraltro - questo potrebbe individuarsi nella mera omissione di contestazioni a seguito della
comunicazione del contenuto della delibera al condomino che non ha neppure partecipato alla riunione.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120 c.c., nonché omessa e
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
Assume la Ro. Ca. che il Tribunale ha erroneamente interpretato l' art. 1120 c.c. che tutela il decoro architettonico,
escludendo che questo risultasse leso nonostante che il consulente tecnico d'ufficio avesse rilevato le modifiche
apportate all'aspetto, alla simmetria e all'armonica fisionomia del fabbricato dalla chiusura di un balcone con infusi in
alluminio per la realizzazione di una veranda. Osserva la ricorrente che il Tribunale ha omesso una qualsiasi
motivazione sul punto, atteso che l'immobile, a seguito dell'innovazione, risultava modificato nella sua consistenza e
nell'aspetto originario, comune a tutti gli altri appartamenti. Nella specie, secondo la ricorrente, ricorrerebbe anche
una violazione dell'art. 1102 c.c. perché la chiusura del balcone aveva determinato non solo una modifica estetica, ma
anche una trasformazione della struttura e della destinazione d'uso del bene comune, essendo stata demolita parte
del muro esterno perimetrale. Ne conclude la ricorrente che sul punto la sentenza è apodittica e priva di ogni
motivazione.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 c.c. e insufficiente motivazione
sul punto, relativamente alla statuizione del Tribunale che ha escluso l'uso illecito della cosa comune per la
installazione di cavi elettrici e del relativo contatore nell'androne condominiale. Sul punto la ricorrente assume che la
violazione dell'art. 1102 sarebbe dimostrata quanto meno dalla impossibilità per gli altri condomini di fare un identico
uso dell'androne, perché la sua consistenza non lo consentirebbe materialmente, come dimostrato dalla consulenza
tecnica di parte prodotta.
Anche il terzo e il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione,
appaiono infondati.
Il Tribunale ha escluso che nella specie si potesse profilare una lesione del decoro architettonico del fabbricato sulla
base di una valutazione ancorata alla descrizione e ai rilievi effettuati dal consulente tecnico e supportata da
argomentazioni che appaiono adeguate e immuni da vizi logici o giuridici. Ne consegue che le censure mosse dalla
ricorrente si risolvono nella pretesa di rivalutare i fatti di causa e, in particolare, la incidenza delle opere eseguite sulle
linee e sull'armonia architettonica del fabbricato, pretesa che non può trovare ingresso in questa sede.
Anche la pretesa violazione del disposto dell'art. 01/01/02 c.c. si risolve in una censura di merito, in quanto con essa si
contesta la rispondenza al vero delle circostanze di fatto affermate dal Tribunale, secondo cui l'uso dell'androne per
l'appoggio del contatore elettrico e dei muri comuni per il passaggio dei cavi non deborda dai limiti dell'utilizzazione
lecita prevista dall'art. 1102 c.c. e perché non è stato neppure dedotto (e comunque non provato) che si siano
prodotti effetti lesivi per il bene comune, o ne siano stati compromessi il decoro, la sicurezza e ogni altra essenziale
caratteristica.
Deve quindi concludersi per il rigetto del ricorso.
Si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente le spese del giudizio tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.