Le tendenze della storiografia ellenistica

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Le tendenze della storiografia ellenistica
Le tendenze della storiografia ellenistica
Se con le imprese espansionistiche di Alessandro Magno si suole segnare l'inizio della storia ellenistica, con
gli storici che fecero di queste imprese e del loro protagonista l'argomento delle proprie opere iniziò la
storiografia ellenistica. Il punto culminante di questa storiografia va individuato nella figura di Polibio di
Megalopoli, un greco trapiantato a Roma intorno alla metà del secolo II a.C., che dedicò tutta la sua opera
alle vicende del nascente imperialismo romano. La storiografia ellenistica rappresentò dunque quella fase
del pensiero storico antico che si fece testimone di una serie di eventi di straordinaria importanza, dalla
creazione dei grandi regni ellenistici come conseguenza della divisione dell'impero di Alessandro fino alla
loro progressiva decadenza e caduta a causa dell'espansionismo romano. Tuttavia il vasto e complesso
panorama di opere storiche che furono prodotte dall'età di Alessandro fino al secolo I a.C. è per noi
ricostruibile solo in minima parte, poiché, anche se numerose sono le testimonianze indirette, molto pochi
sono i frammenti rimasti. E proprio la necessità di ricostruire un quadro della storiografia ellenistica per vie
per lo più indirette e con scarsi elementi di giudizio ha indotto la critica moderna ad alcuni errori di
valutazione.
In un frammento di Duride di Samo (FGrHist 76 F 1), autore di cui si parlerà più avanti, si legge un giudizio
molto significativo su Eforo e Teopompo, due tra i maggiori storici del secolo IV a.C.: essi sono privi di
«capacità di mimesi», e quindi incapaci di coinvolgere emotivamente i loro lettori nelle vicende che
narrano, e inoltre non presentano uno stile piacevole. Di contro Polibio (II, 56) - le cui valutazioni su altri
storici dell'età ellenistica, spesso eccessivamente severe, sono state prese troppo alla lettera dagli studiosi
moderni - rivolge un'aspra critica a Duride e al suo immediato continuatore Filarco per la loro spiccata
tendenza alla drammatizzazione, realizzata attraverso unto stile ricco di pathos e dalle eventi finalità
psicagogiche. Ponendo in stretta relazione queste testimonianze alcuni critici moderni, hanno voluto
individuare nell’ambito della storiografia ellenistica un filone che tendeva a confondere gli intenti della storia
con quelli della tragedia, di cui Duride e Filarco sarebbero stati i rappresentanti principali. Inoltre, basandosi sul
fatto che Duride fu allievo di Teofrasto, pensarono di individuare l’origine di questo filone storiografico in
una teoria di impronta peripatetica, ossia in una precisa volontà di estendere anche alla storiografia le
riflessioni aristoteliche sulla mimesi poetica. In realtà questa impostazione si è dimostrata inattendibile per
vari motivi, non ultimo il fatto che Aristotele ha sempre teorizzato una netta differenziazione tra poesia e
storiografia: è quindi difficile immaginare che proprio Teofrasto e i Peripatetici, allievi di Aristotele, siano
all'origine di una teoria che si fonda su una contaminazione tra storiografia e poesia.
Il problema, come ha dimostrato soprattutto Fritz Wehrli, va affrontato con prudenza e senza indulgere a
eccessivi schematismi. Non ci sono validi elementi per pensare che tra gli storici dell'età ellenistica alcuni
abbiano teorizzato una storiografia drammatica in opposizione alla tradizionale storiografia razionalistica di
stampo tucidideo e isocrateo. Se alcuni di essi privilegiarono una tessitura drammatica nella narrazione degli
eventi - cosa che non si può certo negare -, dietro questa tendenza non va riconosciuta una specifica teoria
storiografica, bensì una scelta stilistica ispirata da motivazioni eminentemente pragmatiche.
Lo stile storiografico dai toni romanzati, e spesso dalle coloriture poetiche, si affermò con gli storici di
Alessandro, o meglio con alcuni di essi. La maggioranza di coloro che scrissero opere storiche su
Alessandro furono uomini molto vicini al re macedone, compagni d'armi, personaggi di corte, retori e
poligrafi, quasi tutti partecipanti alla grande spedizione in Oriente. Alcuni di essi, essendo stati testimoni
diretti di questo evento epocale, si improvvisarono storici per circostanza, senza esserlo per elezione e
formazione. Le loro opere, per sincera ammirazione nei confronti di Alessandro o per dovere di propaganda
nei confronti di un sovrano interessato al fatto che la propria figura venisse eroizzata e divinizzata, non
erano scevre da Intenti celebrativi e contenevano, in maggiore o minore misura, tratti di amplificazione
romanzesca. A ciò si aggiunga che la stessa materia storica, costituta da imprese al limite delle possibilità
umane e logistiche del tempo, condotte in terre lontane e tra popoli sconosciuti, si prestava con facilità alla
distorsione favolistica.
Dunque con gli storici contemporanei di Alessandro ebbe origine un filone di storiografia romanzesca sulla
figura e le imprese del re macedone; esso continuò poi a svilupparsi durante tutta l'età ellenistica e nei primi
secoli dell'età imperiale. Il prodotto più emblematico di questo filone è costituito dal Romanzo di
Alessandro, un'opera falsamente attribuita allo storico Callistene, che circolava in più redazioni e che
cominciò a prendere la forma in cui e stata tramandata fino a noi tra il secolo II e il III d.C. Si tratta, come ha
dimostrato Reinhold Merkelbach, di un mal riuscito tentativo di fusione tra una storia romanzata e una sorta
di biografia epistolare di Alessandro, entrambe risalenti al periodo ellenistico.
Gli storici di Alessandro Magno
Esaminiamo ora più approfonditamente gli autori e i caratteri delle opere su Alessandro e le sue imprese.
Un’opera dai toni mitizzanti fu scritta da Clitarco; anche se sulla sua cronologia sono stati sollevati dubbi, egli
viene generalmente ritenuto uno degli storici contemporanei del re macedone che diedero inizio al filone
della storiografia romanzesca. Alcuni di coloro che presero parte, con diversi ruoli, alla grande spedizione
scrissero le loro memorie solo dopo la morte del re: tra questi ricordiamo Onesicrito di Astipalea e Carete di
Mitilene. In generale, al gruppo di scrittori sin qui nominato va ricondotta l'origine di molte notizie distorte,
amplificate o addirittura false, tendenti a consolidare un'immagine straordinaria di Alessandro e delle sue
imprese, notizie che furono alla base delle trattazioni di storici di età successiva, quali Diodoro Siculo, Curzio
Rufo, Giustino, Plutarco, e che Arriano definisce genericamente col termine di legÒmena, "notizie vulgate".
Ma vi fu anche un gruppo di storici di Alessandro che si attenne a principi di attendibilità e fedeltà ai fatti.
Nell'ambito di questo gruppo viene generalmente ricondotto Aristobulo di Cassandrea, che segui la
spedizione del re macedone e cominciò anch'egli a scrivere il suo resoconto storico dopo il 323 a.C. Molto
importanti furono anche le memorie di Nearco di Creta, uomo vicino ad Alessandro, comandante della
spedizione navale che, nel 325/4 a.C, navigò lungo le coste dell'Oceano Indiano in funzione di appoggio
logistico alla spedizione di terra diretta verso i confini dell'India. Le sue memorie furono la principale fonte
di Arriano per la narrazione della spedizione in India. Ma un rilievo particolare tra gli storici più attendibili
di Alessandro ebbe Tolemeo figlio di Lago, un nobile macedone compagno d'armi del re fin dalla gioventù,
sua guardia del corpo durante la spedizione in Asia, divenuto prima satrapo d'Egitto e poi primo sovrano
della dinastia dei Lagidi dal 305 al 283 a.C. Tolemeo scrisse una raccolta di memorie su Alessandro quando
era già re. Quest'opera, ricostruibile sulla base della testimonianza di Arriano, che cita Tolemeo come sua
fonte principale in opposizione a una tradizione meno attendibile di notizie provenienti da altre fonti
ellenistiche (legÒmena), doveva essere fedele e veritiera, particolarmente attenta ai fatti, tecnico-militari. La
completezza e la precisione del racconto storico derivava anche dal fatto che l'autore, oltre a essere stato un
protagonista e un testimone privilegiato di gran parte degli eventi, ebbe conoscenza diretta delle Efemeridi
del re, il diario militare della spedizione di Alessandro, redatto dal suo segretario Eumene di Cardia. È
probabile che Tolemeo, nello scrivere la sua opera, avesse come fine ultimo quello di legittimare se stesso e
i suoi discendenti come sovrani del regno d'Egitto, uno degli Stati nati dallo smembramento dell'impero di
Alessandro; in altri termini è verosimile che egli volesse dimostrare, proprio in base agli eventi narrati, di
essere stato uomo vicinissimo ad Alessandro e di averne legittimamente ereditato il potere, quel potere che
esercitava già da tempo e si accingeva a trasmettere ai suoi successori.
La storiografia dell'età dei diadochi
Il travagliato e complesso periodo storico immediatamente successivo alla morte di Alessandro,
caratterizzato dalle sanguinose lotte fra i diadochi che portarono alla divisione dell’impero in grandi regni
territoriali, fu anch’esso oggetto di trattazione da parte di alcuni storici contemporanei, le cui opere sono
andate purtroppo perdute. La fonte più importante per la conoscenza ili questo periodo fu Ieronimo di
Cardia (350-260 a.C. circa), che visse in prima persona queste vicende, essendosi trovato al fianco di alcuni
tra i protagonisti principali, come Eumene, Antigono Monoftalmo e Antigono Poliorcete. Alla sua opera,
che prendeva in esame il cinquantennio compreso tra la morte di Alessandro (323 a.C.) e quella di Pirro
(272 a.C), gli storici ili età successiva (Diodoro, Arriano, Plutarco) riconobbero notevole autorità,
probabilmente perché essa adottava il criterio dell'autopsia - ritenuto, a partire da Tucidide, determinante per
giudicare l'attendibilità dì una narrazione storica - e anche perché doveva ispirarsi a una lucida obiettività. Si
spiega così la considerazione positiva di cui Ieronimo godette tra gli storici di età successiva, che invece
formulano un giudizio sostanzialmente negativo nei confronti del contemporaneo Duride.
Duride nacque a Samo intorno al 340 a.C. e fu tiranno dell'isola, ma la sua formazione culturale avvenne ad
Atene presso la scuola peripatetica, dove fu allievo di Teofrasto. Fu autore di un'opera storica sul periodo
compreso tra il regno di Aminta III, padre di Filippo II, e la morte di Pirro. Si è già accennato al fatto che
Duride è stato considerato il principale rappresentante della cosiddetta storiografia drammatica, in base a un
frammento appartenente probabilmente alla parte introduttiva della sua opera (FGrHist 76 F 1 ), nel quale
egli biasima Teopompo ed Eforo per la piattezza e la mancanza di pathos del loro stile, e in base al giudizio
che di lui dà Polibio; e si è anche visto come alcuni studiosi moderni abbiano fatto risalire questa tendenza
storiografica alla teoria letteraria peripatetica. In realtà, per le considerazioni sin qui svolte, si può affermare
che la drammaticità dello stile di Duride, lungi dall'essere manifestazione di una specifica teoria
storiografica, deriva da quel gusto per il racconto storico di tipo romanzesco che cominciò ad affermarsi con
i primi storici di Alessandro. Di matrice autenticamente peripatetica fu invece l'interesse di Duride per il
genere storico-biografico: a questo genere appartenevano infatti la sua Storia di Agatocle e le biografie di
artisti famosi, ma anche nella sua opera storica maggiore il gusto per la biografia doveva essere molto
presente. Continuatore dell'opera di Ieronimo di Cardia e di Duride di Samo, e a quest'ultimo accomunato da
Polibio come esponente dello stile drammatico, fu Filarco di Naucrati, che, nella seconda metà del secolo III
a.C, scrisse un'opera sul cinquantennio compreso tra il 272 e il 219 a.C, anno della morte del re spartano
Cleomene III. Non è escluso che il giudizio negativo espresso da Polibio fosse condizionato dalla forte
simpatia che Filarco, nella sua opera, mostrava per Cleomene, il re che guidò gli Spartani nella guerra
contro la lega achea, capeggiata, tra gli altri, da Licorta, padre di Polibio.
Anche tra i protagonisti principali delle lotte politico-militari che si scatenarono dopo la morte di
Alessandro non mancò chi pose mano in prima persona a opere storiche e autobiografiche: il caso più
illustre fu quello di Demetrio Falereo che, col suo scritto Sul decennio, rese una testimonianza preziosa
(anche se non priva dì finalità apologetiche) sul periodo in cui tenne il governo di Atene.
Storiografia locale ed etnografica. Paradossografia
Accanto .a una storiografia di vasto respiro, concernente i grandi terni della storia di Alessandro e dei regni
ellenistici, in questo periodo Fu ben rappresentata anche la storiografìa locale. Le opere di storia locale, pur
vantando una lunga e ininterrotta tradizione, ebbero nel periodo ellenistico, come sottolinea Felix Jacoby,
un'eccezionale fioritura; la ragione principale di questo successo, assimilabile a quello contemporaneo dei
poemi epici sulle tradizioni mitiche locali, può essere individuata nel fatto che - di f r o n t e all'ampliamento
dei confini geografici e culturali e alla formazione di grandi stati territoriali plurietnici - la preservazione
della memoria storica e mitica locale assunse un valore maggiore che nel passato. Nella produzione di
storici che scrissero opere di vasto respiro figurano quindi anche opere dedicate alle vicende della loro città
d'origine: è il caso di Duride di Samo, autore, tra l'altro, di uno scritto dal titolo Annali di Samo, di Ninfide
di Eraclea, che, intorno alla metà del secolo III a.C, oltre a un'opera monumentale su Alessandro e le sue
imprese, compose anche una storia di Eraclea in tredici libri, e di Neante di Cizico, che, verso la fine del
secoloIII a.C, scrisse sia opere di interesse storico generale, come gli Hellenikà, sia la Cronaca di Cizico.
Ma accanto a questi esempi più illustri, vi fu una moltitudine di altri storici locali dei quali a noi sono giunti
solo il nome e qualche scarsa notizia e di cui sarebbe inutile fornire qui un lungo elenco.
Un aspetto molto interessante della storiografia locale è rappresentato anche dalle epigrafi pubbliche che
riportavano, sotto forma di cronaca annalistica, i fatti salienti della storia di una città; esempi ne sono il
MarmorParium, un minuzioso resoconto dei più importanti eventi politici, culturali e religiosi che
interessarono non solo Atene, ma tutta la Grecia dai tempi del mitico re attico Cecrope fino al 264 a.C, e
l’Anagraphé di Lindos, un resoconto storico simile a quello di Paro, la cui compilazione risale all'inizio del
secolo I a.C.
Il contatto diretto dei Greci con etnie diverse ebbe tra le altre conseguenze anche quella di un maggior
interesse per la storia degli altri popoli: tra la finedel secolo IV e l'inizio del III a.C. Megastene, un greco
che fu incaricato da Seleuco I Nicator di curare i rapporti diplomatici col vicino regno indiano di
Chandragupta, scrisse un'opera in quattro libri sulla storia dell'India. In un tale contesto si spiega anche
l'opera di alcuni storici di origine non ellenica che si servirono del greco per scrivere la storia del proprio
popolo: durante il reno dì Tolemeo II Filadelfo, l'egiziano Manetone di Sebennito, sacerdote addetto al
culto del sovrano presso Eliopoli, scrisse, per volontà del re lagide, Una Storia d'Egitto in tre libri dalle
origini mitiche fino alla morte di Alessandro, nel corso della quale polemizzava con il logos egizio di
Erodoto; e allo stesso periodo risale la Storia babilonese dedicata ad Antioco I Sotér da Berosso di Belo, un
sacerdote di Marduk.
Al confine tra etnografia e storiografia si colloca l'opera Sugli Egizi di Ecateo di Abdera, composta sotto il
regno di Tolemeo I Sotér. La migliore definizione di quest'opera resta quella, data da Felix Jacoby, di
«utopia etnografica»: in essa infatti storia, mito, religione, descrizione di usi e costumi si mescolavano in
una sorta di pamphlet moraleggiante mirato a dimostrare (che l’Egitto fu la culla della civiltà umana e il
migliore degli stati. Un interno etico-politico e religioso ispirò anche l'opera etnografica Scritto sacro di
Evemero di Messene, un uomo che fu vicino al re macedone Cassandro e che compì diversi viaggi in terre
lontane. In quest'opera, della quale restano a l c u n i frammenti, l'autore presentava sotto forma di resoconto
di viaggio ciò che egli dichiarava di aver veduto a Panchaia, una lontana isola dell'Oceano Indiano: una
terra fiorente, abitata da un popolo felice e giusto, ordinato secondo principi di assoluta equità, ma
soprattutto seguace di una religione basata sul culto di uomini che, una volta morti, venivano divinizzati
(Urano, Crono, Zeus). Questo scritto di Evemero, certamente più vicino al genere romanzesco che a quello
storico, godette di grande fortuna fino alla tarda antichità, soprattutto grazie alla traduzione latina che ne
fece Ennio.
Il gusto per l'esotico e il favoloso ispirò anche la paradossografia, un sottogenere della storiografia che
nell'età ellenistica ebbe notevole successo: le opere a esso riconducibili si configuravano come un insieme
di mirabilia, cioè di racconti meravigliosi e inediti. Iniziatore della paradossografia fu Callimaco, il quale,
come si è già avuto modo di dire, tra le numerose opere erudite in prosa, scrisse anche la Raccolta di
meraviglie in tutta la terra secondo le località. Ma l'opera maggiormente rappresentativa di questo genere
fu la Raccolta di storie mirabili compilata nel secolo III a.C. da Antigono di Caristo, vissuto probabilmente
presso la corte attalide a Pergamo.
La storiografia siceliota
La storia delle poleis d'Occidente si era sviluppata, fin dall'età della colonizzazione, in modo
sostanzialmente indipendente da quella della madrepatria, tanto che, a partire dalla seconda metà del
secolo V a.C, con Antioco di Siracusa, e poi nel corso del secolo IV a.C., con Filisto di Siracusa,
Timonide di Leucade ed Ermia di Metimna, si venne formando una vera e propria tradizione
storiografica magno-greca o, più specificamente, siceliota. Il culmine di questa tradizione fu
rappresentato da Timeo, una tra le personalità di maggiore caratura dell'intero panorama storiografico
dell'età ellenistica. Nacque a Tauromenio intorno alla metà del secolo IV a.C.; suo padre Andromaco,
tiranno della città, fu, unico tra tutti i tiranni siciliani, fedele sostenitore della politica filoligarchica
imposta da Timoleonte a Siracusa e alle altre poleis siciliane. Nel corso dell'ultimo decennio del secolo,
quando a Siracusa prese il potere Agatocle e Tauromenio con altre città greche della Sicilia fu
assoggettata alla politica egemonica del tiranno siracusano, Timeo fu costretto all'esilio ad Atene; qui,
secondo la tradizione, trascorse gli ultimi cinquant'anni della sua vita, morendo ultranovantenne. Ad
Atene Timeo lavorò alla sua monumentale opera storica, il cui titolo più probabile, anche se non l'unico
attestato, è Sikelikai Historiai; in essa t r a c c i a v a la storia della grecità occidentale dal l 'e t à micenea
f i n o alla prima guerra p u n i c a . Per quanto siamo in grado di ricostruire d a i frammenti tramandati e
dai riferimenti di storici posteriori che se ne servirono come fonte, doveva trattarsi di un'opera con un
impianto strutturale di vasto respiro, a r t i c o l a t a in trentotto libri. I primi cinque erano completamente
dedicati a una descrizione etno-geografica dell'Italia meridionale, con particolare attenzione alle
leggende ecistiche, riguardanti cioè colonizzazioni e fondazioni di città; i successivi libri erano occupati
dalla cronaca storica dalle origini fino al 289 a.C, anno della morte di Agatocle: a lui e alle vicende di
cui Timeo stesso fu testimone e vittima erano riservati gli ultimi cinque libri. Un'appendice su Pirro e
sugli eventi che portarono all'inizio della prima guerra punica (264 a.C), concepita in tarda età come una
monografia a sé stante, venne poi accorpata al resto dell'opera.
Se si istituisce un confronto tra Timeo e i due grandi modelli della storiografia greca, risulta evidente che
egli fu uno storico più di tipo erodoteo che tucidideo, ma a questa sua attitudine sommò il gusto tipicamente
alessandrino per l'erudizione. Il paragone con Erodoto si dimostra ancor più calzante se si tiene presente
l'impatto che l'opera di Timeo ebbe sul mondo greco contemporaneo: come Erodoto aveva permesso per la
prima volta ai Greci di aprirsi alle problematiche storiche del Vicino Oriente, cosi Timeo li sensibilizzò alla
conoscenza del mondo italico e delle sue culture. L'opera di Timeo infatti non ebbe una fruizione locale
come quella dei suoi predecessori sicelioti, ma, essendo stata concepita e pubblicata in un centro culturale
di primaria importanza come Atene, fornì al pubblico della Grecia continentale una vasta mole di
informazioni riguardanti non solo i Greci delle colonie italiche, ma anche le popolazioni autoctone con cui
essi erano stati in stretto contatto. Gran parte di queste informazioni derivavano a Timeo dagli altri
storiografi occidentali, in particolare da Antioco e Filisto di Siracusa, ma a lui va attribuito il merito della
loro diffusione in tutto il mondo greco: è grazie a lui se una più larga e approfondita conoscenza della realtà
geografica, st ori ca ed etnica del Mediterraneo occidentale si diffuse nella cultura ellenistica. Timeo si
impegnò in un'operazione che altri storici greci sia di età precedente che successiva, soprattutto quelli di
impronta tucididea, furono scarsamente inclini a compiere: egli spinse molto indietro i limiti cronologici
della sua indagine, addirittura fino alle origini della colonizzazione greca in Occidente, e lo fece sotto forma
di trattazione sistematica, non di parentetici excursus, come, per esempio, l’archaiologia in Tucidide. Anzi,
una delle caratteristiche connotanti il metodo di ricostruzione storica di Timeo, che è s t at a evidenziata
soprattutto da Domenico Musti, è la tendenza generalizzata a retrodatare all'età micenea l'insediamento di
colonie greche in Italia.
Questa non comune tendenza di Timeo a occuparsi di fatti storici molto lontani nel tempo fu una delle
ragioni per le quali lo storico siceliota fu in seguito attaccato da Polibio. Quest'ultimo fece di Timeo uno dei
suoi principali bersagli polemici, accusandolo di aver prodotto una storiografia libresca, concepita a
tavolino, non supportata, per la maggior par te dei casi, dall'esperienza d i r e t t a dei fatti n a r r a t i e da
quella dimestichezza con gli as pet t i politici e militari che costituisce, nella visione polibiana, la più
importante competenza dello storico. Certo la valutazione di Timeo data da Polibio è giustificata dalla
diversità dei loro metodi storiografici: l'uno fece della storia un campo di indagine erudita, mentre l'altro ne
privilegiò le finalità e gli aspetti pragmatici; come l'uno si spinse a trattare fatti lontani nel tempo, cosi l'altro
si attenne al principio tucidideo dell'autopsia, ovvero della cognizione diretta dei fatti come fondamentale
garanzia della propria credibilità. Tuttavia nel giudizio di Polibio non manca una punta di invidia e di
malevola volontà di diminutio dell'opera di un predecessore scomodo per la sua riconosciuta autorità. Tanto
più che il pragmatismo e la lungimiranza storica non furono caratteristiche del tutto estranee a Timeo. Egli
fu il primo storico greco a mettere in rilievo il ruolo di primo piano che Roma e Cartagine andavano
progressivamente assumendo nel Mediterraneo occidentale durante la prima metà del secolo III a.C. e, nello
stesso tempo, seppe lucidamente riconoscere gli elementi di diversità etnica, culturale e politica che
distinguevano queste due città emergenti dalle poleis greche. Anzi, come è stato affermato da Arnaldo
Momigliano, il motivo che spinse Timeo a completare la sua opera storiografica con una monografia su
Pirro e sul suo scontro con Roma fino all'inizio della prima guerra punica fu probabilmente l'intuizione che
le dinamiche storiche contemporanee stavano portando Roma a sostituirsi ai Greci come antagonista di
Cartagine nella lotta per l'egemonia in Sicilia e nel Mediterraneo occidentale. Ma è anche vero che tutta
l'opera di Timeo fu ispirata, per ovvie ragioni biografiche, da un'ideologia antitirannica: forse si possono
spiegare anche cosi l'interesse e la simpatia con cui egli guardò all'affermarsi di Cartagine e Roma, due città
entrambe fondate su ordinamenti politici di tipo «misto», a scapito di realtà politiche rette da autocrati come
Agatocle e Pirro.
Come si è detto, l'opera di Timeo riscosse un grande successo tra gli storici successivi, affermandosi come la
principale fonte per la conoscenza delle vicende dell'Occidente greco dalle origini fino all'inizio della
dominazione romana. D'altra parte lo stesso Polibio, pur criticando aspramente Timeo, mostra di
riconoscerne comunque l'autorità, scegliendo di iniziare le sue Storie proprio dal 264 a.C, il limite
cronologico cui giungeva il resoconto del suo predecessore. Quanto allo stile, l'opera di Timeo, nonostante
la sua notevole estensione, doveva farsi apprezzare per la cura del dettato. Cicerone infatti nel Brutus (385)
elogia Timeo come scrittore, annoverandolo fra i rappresentanti dello stile asiano, curato ed elegante. A
questo proposito non vanno del resto sottaciuti gli stretti contatti che Timeo ebbe ad Atene con la scuola
isocratea, da cui gli derivò quella marcata vena retorica che sembra connotare il suo stile.