EPTS ACADEMY MAGAZINE n1 06
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EPTS ACADEMY MAGAZINE n1 06
E.P.T.S. Academy MAGAZINE La E.P.T.S. ACADEMY PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI Il C.R.I.S.C. e lo stress da combattimento GLOCK 19C "TACTICAL" LE FoRmAzioni PROTETTIVE NELLA "close protection" E.P.T.S. ACADEMY MAGAZINE n.1 Giugno - LUGLIO 2016 EDITORIALE RICCARDO MAZZARA Direttore Generale UNA RIVISTA ONLINE PER GLI "ADDETTI AI LAVORI" NEL SETTORE DELLA SICUREZZA RAVVICINATA o "CLOSE PROTECTION" L' BIOGRAFIA Riccardo Mazzara, nasce nel 1963 in un piccolo paesino del Grossetano. Dopo il diploma all'Istituto Tecnico Statale di Livorno si arruola nelle Forze Speciali dell'Esercito (Paracadutisti della Folgore) dove vi rimane per un breve periodo di tempo. Una volta congedatosi effettua numerosi corsi di formazione di P.S.D. , presso le Accedemie della Sicurezza più importanti a livello internazionale site negli Stati Uniti, in Israele , Repubblica Ceca, Germania, Francia, ecc.. Successivamente inizia a lavorare nel settore della Close Protection sia in Italia ma sopratutto all'estero in teatri operativi molto complessi. Nel 1996 fonda la E.P.T.S. ACADEMY che subito diventa un punto di riferimento per la formazione nazionale. L'accademia ottiene successivamente le certificazioni più prestigiose lavorando per conto di multinazionali di rilevanza internazionale ma anche per la NATO e l'ONU. idea editoriale che mi ha spinto a creare questa rivista online, che parlasse di argomenti inerenti il settore della CLOSE PROTECTION o Sicurezza Ravvicinata, è stata quella inerente una effettiva e totale carenza di pubblicazioni inerenti questa materia. Nessuno o quasi, scrive o pubblica niente su questo argomento, quasi fosse proibito. Le problematiche inerenti la figura del P.S.D. (Personal Security Detail) le conosciamo tutti : in Italia questa professione non è consentita ai privati ma soltanto agli appartenenti alle Forze dell'Ordine o delle Forze Armate. E di questo ne parleremo ampiamente nelle prossime pubblicazioni. Ma il silenzio assoluto su tutta una serie di argomenti di interesse generale e professionale, mi sembra eccessivo. Molti degli operatori formati dalla E.P.T.S. ACADEMY sono riusciti a trovare seri sbocchi professionali anche su mercati internazionali. Questa professione, nonostante tutto e tutti esiste, e a mio avviso è importante parlarne. Mi sono preso l'onere e l'onore di colmare questa lacuna, con i miei modesti mezzi e forse capacità, ma di fatto sone oltre venticinque anni che lavoro nel settore, sia come operatore che come formatore. Per cui non me ne vogliate, ritengo di avere qualcosa da dire anch'io. Tutti coloro che avranno la bontà di seguirmi in questa avventura editoriale, troveranno all'interno di questa rivista articolori inerenti le tattiche e procedure di scorta, gli equipaggiamenti, le tecniche di tiro operativo e tanto altro ancora che scriverò, anche sulla base di eventuali indicazioni che mi arriveranno dai nostri lettori. Riccardo Mazzara Gestisce con successo Istituti di Investigazione Privata operanti su Livorno, Pisa, Roma e Campobasso e Istututi di Vigilanza Privata operanti su Livorno e Caserta. 2 3 INDICE DEI CONTENUTI 06 16 24 GLOCK 19C "TACTICAL" LO STRESS DA COMBATTIMENTO LE FORMAZIONI PROTETTIVE NELLA "CLOSE PROTECTION" 30 PRESENTAZIONE E.P.T.S. ACADEMY 4 32 PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI 5 LO STRESS DA COMBATTIMENTO EFFETTI DELLO STRESS da COMBATTIMENTO SULLA PERFORMANCE OPERATIVA di Riccardo Mazzara L 6 a ricerca scientifica ha dimostrato che gli effetti fisiologici dello stress da combattimento, possono avere un significativo impatto negativo sulle prestazioni negli scenari di “vita o di morte”. Lo stress da combattimento può avere un profondo impatto negativo su ciò che si sente (esclusione uditiva), e su ciò che si vede (visione a tunnel, e la perdita della visione ravvicinata), e su come si pensa (comportamento irrazionale), e su ciò che si fa (la perdita del controllo motorio). Questi effetti possono anche cambiare il modo in cui si sanguina (vasocostrizione). Questo processo non può mai essere considerato del tutto negativo, ma gli operatori adeguatamente preparati saranno in grado di anticipare e individuare queste risposte in sé stessi e gli altri, avviando alcune misure di salvaguardia per limitare o controllare gli effetti dello stress da combattimento sulle prestazioni operative. Al fine di meglio comprendere la nostra metodologia addestrativa denominata C.R.I.S.C (Combative Response in Stress Condictions) rappresenteremo nelle righe sottostanti alcuni esempi derivanti da esperienze di combattimento reali : - R.S. entra in un deposito armi militari dove un allarme silenzioso è stato attivato. Il suo partner, F.Z., si mette in copertura vicino alla porta estraendo la sua arma, preparandosi a fornire la copertura come prevede il manuale operativo, mentre R.S. continua la sua strada con cautela lungo il lato destro dell'edificio. Mentre si muove attraverso il silenzioso deposito R.S. è consapevole del suo cuore sta battendo forte nel suo petto e che le sue mani sono fredde ma, il suo pensiero e la visione sono chiare. Lui è un operatore veterano ed esperto, fiducioso e vigile. Ad distanza stimata di 6 metri, qualcuno inizia a sparargli contro. Immediatamente la frequenza cardiaca di R.S. sale alle stelle. Il rumore del colpo esploso dal suo avversario è in piena espansione verso di lui nello suo spazio ristretto, percependo questa cosa come una sorta di “colpo fisico”, ma dopo il primo sparo R.S. non percepisce più tutti gli altri suoni, sentendo a malapena i colpi successivi esplosi dall’avversario e il suo fuoco di ritorno. A questo punto, la sua visione si è talmente ridotta da non vedere più nulla di chi gli sta sparando (in particolar modo la sua pistola) non riuscendo neppure ad individuare la presenza di un secondo malvivente. In seguito R.S. avrebbe dichiarato di essere convinto che l’avversario tiratore si era avvicinato a lui con un effetto “zoom” come in un incubo: non era in grado di concentrarsi sul bersaglio che gli sembrava sfocato. R.S. continua a sparare, colpo dopo colpo, senza mai colpire nessuno. Dopo il primo colpo mancato il bersaglio sembra quasi impossibile da colpire. R.S. viene colpito ad una spalla ma appena lo percepisce. F.Z. si trova a poca distanza dal conflitto a fuoco, e si sposta al fine di ottenere una buona visuale per un “clear shot”. 7 Lo stesso riesce a sparare, da ben oltre il doppio della distanza da dove si trovava R.S., e ogni colpo esploso centra l’aggressore uccidendolo all’istante. F.Z. si sposta in direzione di R.S. e appena raggiunto gli controlla la ferita alla spalla . Il sanguinamento è minimo per cui non sussistono motivi di preoccupazione. A questo punto F.Z. va ad ammanettare l’altro aggressore superstite ferito mentre R.S. lo copre. Finita la procedura d’ammanettamento F.Z. torna da R.S. e lo trova in un lago di sangue. R.S. è svenuto e dalla sua ferita alla spalla scorre moltissimo sangue. 8 Per capire veramente tutto quello che è accaduto in questo scenario operativo, è necessario capire che cosa è lo “stress da combattimento”. Lo “stress da combattimento” è definito come la “percezione di una minaccia imminente di gravi lesioni personali o di morte”, oppure quando abbiamo la responsabilità di proteggere un collega da un pericolo imminente di gravi lesione o morte e quando, soprattutto, il tempo di risposta è minimo. Lo stress da combattimento attiva il Sistema Nervoso Simpatico o SNS a mezzo di quel meccanismo meglio conosciuto col nome di “combatti o scappa” in inglese noto come “fight or flight”. L'attivazione dell’SNS è di fatto una risposta automatica e praticamente non gestibile e che controlla tutti i sistemi volontari e involontari fino a quando la minaccia è stata eliminata o elusa. L’attivazione dell’SNS è un potente meccanismo di sopravvivenza che hanno tutti i mammiferi e che permette agli stessi di concentrarsi completamente tutte le risorse corpo nel momento in cui si decide di confrontarsi con l’avversario (fight) oppure di scappare da esso (flight). Questi effetti possono essere gestiti efficacemente ad esempio per un leone in fase di “carica” oppure da una gazzella in fuga ma, per un funzionario di polizia o un operatore della sicurezza che deve prendere delle decisioni fondamentali di vita o di morte, in poche frazioni di secondo, l’effetto dell'attivazione SNS può essere devastante. Lo stress da combattimento può avere un profondo impatto negativo su ciò che si sente (esclusione uditiva), su quello che si vede (visione a tunnel), su come si pensa (tempi di reazione rallentati), e ciò che si fa (perdita del controllo motorio). Tale stress può anche cambiare in che modo si sanguina. Questi effetti non potranno mai essere completamente annullati ma, operatori adeguatamente preparati saranno in grado di anticipare e individuare queste risposte in se stessi e altri, minimizzandone gli effetti negativi sulla performance operativa. AUMENTO DELLA FREQUENZA CARDIACA In molti casi la frequenza cardiaca aumenta istantaneamente in conseguenza dell’attivazione del SNS, dal momento in cui il sangue è il veicolo principale per gli ormoni coinvolti nel processo di sopravvivenza. L’attivazione dell’SNS porta la frequenza cardiaca da un valore normale medio di 70 battiti al minuto (BPM) ad oltre 200 BPM in pochi secondi. La frequenza cardiaca normale è compresa tra i 60 e gli 80 BPM. Sopra i 115 BPM capacità motorie cominciano a deteriorarsi. Tra i 115 e 145 BPM è il range ottimale per le prestazioni di combattimento dal momento in cui in questo intervallo le capacità motorie complesse, il tempo di reazione visiva, e il tempo di reazione cognitiva sono tutti ai loro valori massimi. In queste condizioni un operatore della sicurezza, con 9 una frequenza cardiaca compresa tra il 115 e il 145 BPM avrà una grandissima difficoltà a scrivere un rapporto di servizio (capacità motoria fine), ma la sua mente sarà nitida e chiara, il suo tempo di reazione sarà al suo meglio, e le capacità di tiro da distanza saranno buone. Al di sopra dei 145 BPM le capacità motorie complesse cominciano a deteriorarsi, e fino a 175 BPM siamo in condizioni di mantenere le “grandi” capacità motorie (fight or flight) per cui scappare o andare verso un avversario per affrontarlo. È in questa range (quello sopra 175 BPM) che i sintomi più significativi dell’attivazione SNS si verificano : la vasocostrizione è ai massimi livelli (per permettere all’organismo di arrestare il flusso di sangue derivante dalle ferite superficiali) Durante questi momenti possiamo avere fenomeni fisici “imbarazzanti” ma incontrollabili come lo svuotamento della vescica e dell’intestino. Fenomeni normali dal punto di vista fisiologico, in quanto il corpo reindirizza l'energia da muscoli "non essenziali" per il processo di sopravvivenza. Questi effetti sono indotti anche da un rilascio ormonali che aumenta con la frequenza cardiaca e che possono essere ridotti con l’esercizio fisico specifico e l’addestramento mirato. Se la frequenza cardiaca sale sopra certi livelli, non vi è modo di evitare la risposta ormonale (adrenalina) e non vi è modo di evitare gli effetti sopra descritti. E’ soltanto attraverso il duro e mirato addestramento (vedi C.R.I.S.C.) che riusciamo a tenere sotto controllo il nostro organismo, riducendo l’impatto dello stress da combattimento sulle capacità operative. la esclusione uditiva di solito si traduce in un arresto importante della percezione uditiva la visione a tunnel si presenta peggiorando notevolmente la visione ravvicinata e la percezione della profondità. In queste condizioni possiamo avere la manifestazione di una vasta gamma di comportamenti irrazionali come il “freezing” o “congelamento”, dove l’operatore non è più in grado di muoversi nonostante il pericolo sia grave ed imminente, oppure la “sottomissione” dove l’agente, attraverso un processo mentale complesso non è più in grado di reagire, pur muovendosi ancora. 10 ESCLUSIONE UDITIVA Ognuno dei cinque sistemi sensoriali (i cinque sensi, noti anche come i sensi percettivi) forniscono al cervello un flusso costante di informazioni, ma quando il cervello si focalizza su di una minaccia greve ed imminente, lo stesso cervello inizia a sintonizzarsi sulle informazioni più rilevanti per la sopravvivenza. Allo stesso tempo, il cervello si desintonizzerà su ciò che non è destinato alla sopravvivenza. Questo fenomeno viene chiamato restringimento percettivo o attenzione selettiva. Durante l'attivazione dell’SNS il processo di restringimento percettivo diventa molto potente. Solitamente la vista è il senso che fornisce le informazioni più importanti in una situazione di stress da combattimento, e di conseguenza il cervello non elabora le informazioni provenienti da qualsiasi degli altri sensi, in particolare dal uditivo. Questo fenomeno è indicato come esclusione uditiva. L’attenzione selettiva può anche desintonizzare anche le sensazioni tattili, in modo che graffi, tagli, colpi, e persino le ferite da proiettili possono spesso non si farsi sentire. Va inoltre osservato che possiamo avere fenomeni di esclusione visiva quando il sistema uditivo diventa la fonte principale di informazioni, come in ambienti a scarsa o assenza di luce. L’esclusione uditiva è un processo potente che può causare grandissimi problemi, in quanto gli operatori in situazioni di stress da combattimento per non riescono a elaborare le informazioni critiche come gli ordini verbali, le informazioni “gridate” dal partner, oppure eventuali grida di resa da un avversario durante uno scontro a fuoco. Non esiste una "soluzione" reale da utilizzare quando si verifica l'esclusione uditiva, ma quando si cerca di comunicare a voce con un individuo che si in una situazione di stress da combattimento è a volte utile prima ottenere la sua attenzione attraverso metodi visivi, e sempre di fronte a lui. VISIONE A TUNNEL E ALTRI PROBLEMI VISIVI La vasocostrizione indotta dal SNS e processi ormonali correlati che hanno una profonda influenza sul resto del corpo interessano anche il sistema visivo. Tutto ciò ha un impatto particolarmente devastante sulle prestazioni dell'attività operative in un ambiente di combattimento, poiché il sistema visivo svolge un ruolo fondamentale in quasi tutti gli aspetti delle prestazioni di combattimento. Le implicazioni tattiche dell’attivazione del SNS sulla visione includono : Tunnel Vision : visione a Tunnel (chiamata anche restringimento visivo) è un fenomeno in cui si perde tutta la visione periferica. La vostra visione si restringe letteralmente giù come se si stesse cercando qualcosa attraverso un tunnel o un tubo, con una riduzione del 70 % (o più) del campo periferico. Fondamentalmente il restringimento percettivo ha imposto a tutti i sensi di “disattivarsi” ad eccezione di uno (di solito la visione), e il restringimento visivo nasce di fatto per permettere alla mente di elaborare soltanto una minima parte di tutte le informazioni possibili cioè quelle più critiche (come ad esempio informazioni inerenti la minaccia) che non debbono essere perdute. Perdita della visione ravvicinata : la perdita della visione ravvicinata causa grande difficoltà a concentrarsi su qualsiasi oggetto posto al di sotto dei 130 cm. Questo è il risultato della dilatazione della pupilla, che nasce dalla attivazione del SNS. La dilatazione della pupilla influenzerà la capacità di vedere le tacche di mira di un'arma da fuoco o le minacce ravvicinate e i relativi segnali visivi. Perdita di capacità di messa a fuoco : l’attivazione del SNS provoca il rilassamento e la perdita del controllo dei muscoli che controllano la lente retinica, causando a sua volta una visione distorta nel momento in cui ci si concentra sull’obiettivo. A questo punto, nonostante la riduzione delle informazioni sensoriali che arrivano al cervello, dovuta all’imminente minaccia (a causa del restringimento percettivo e visivo) risulta essere non soddisfacente causando una diminuzione significativa capacità di precisione e rendendo il tempo di reazione più lungo della risposta offensiva o difensiva. Perdita della visione monoculare : questo genere di visione è principalmente utilizzata quando si deve mettere a fuoco un bersaglio durante un conflitto armato e quando la precisione diventa fondamentale (tiro con fucile su lunghe distanze oppure attività di “sniping”. L’attivazione del SNS inibisce tiro monoculare e l’operatore non può passare alla visione binoculare anche se quest’ultima migliora nelle attività a breve distanza compromettendone il risultato operativo. Perdita della percezione della profondità : la perdita della percezione della profondità causerà all’operatore un grave problema di stima della distanza effettiva della minaccia (si percepisce l’aggressore molto più vicino di quanto non lo sia nella realtà). Il deterioramento della percezione della profondità accade nei momenti di grave pericolo per la propria vita e per quella dei colleghi, nel momento in cui si è chiamati ad estrarre rapidamente la pistola dalla fondina e rispondere al fuoco. La perdita di percezione della profondità in questa particolare situazione provocherà spesso un errore di “tiro basso” sul bersaglio. 11 Capacità motorie complesse : queste sono le competenze che coinvolgono una serie di gruppi muscolari in una serie di movimenti che richiedono coordinazione mano/occhio, la lor precisione, il monitoraggio e la tempistica. La capacità di sopravvivenza deve includere anche l’analisi ad esempio di alcune posizioni di tiro utilizzate dagli operatori, che attivano gruppi muscolari complessi e operano con diversi o asimmetrici movimenti (es. la posizione Weaver), o nelle tecniche di difesa disarmata, che anch’esse coinvolgono più componenti muscolari indipendenti. A circa 145 BPM le abilità motorie complesse decadono. Perdita della visione notturna : i recettori per la “vista notturna” si trovano principalmente nel campo periferico. Questo è il motivo per cui gli nelle procedure operative di polizia di insegna ad effettuare, in queste particolari situazioni, uno " Scan" (muovere la testa a 180 gradi e oltre) in modo tale da attivare questi particolari recettori. La perdita del campo periferico a causa della visione a tunnel si traduce in una perdita della visione notturna. Come abbiamo già affermato in precedenza, se il SNS si attiva, non possiamo evitare questi effetti negativi sulla visione ma, gli stessi possono essere ampiamente compensati con specifiche sessioni di addestramento. Ad esempio, agli operatori preposti ai servizi di sicurezza (Forze di Polizia, Esercito e Privati) dovrebbero essere insegnate tutte quelle tecniche operative atte a sviluppare l'abitudine di muovere la testa durante l’addestramento al fine di compensare la visione a tunnel. Allo stesso modo, i programmi di addestramento al tiro debbono enfatizzare le procedure di tiro istintivo che riducono la dipendenza dal tiro mirato nelle situazioni di combattimento ravvicinato. INCREMENTO DEI TEMPI DI REAZIONE La “combat performance” è una network composto da tre operazioni: la percezione sensoriale, i processi cognitivi di input sensoriali, e le prestazioni delle capacità motorie. Ogni sistema è collegato agli altri due, e la combat performance può essere ridotta quando interrompiamo uno dei sistemi. 12 Dal punto di vista del combattimento, l'elaborazione delle informazioni è più facile capire se lo consideriamo come tempo di reazione per la sopravvivenza ovvero il processo di percepire una minaccia e l'avvio di una risposta di sopravvivenza. Questo può essere suddivisa in quattro fasi : 1) Percezione 2) Analisi e valutazione del livello di minaccia 3) Formulazione di una risposta (difensiva e/o offensiva) 4) Inizio di una riposta motoria Questi passaggi devono essere completati in sequenza e l'esecuzione di ogni fase è dipendente dalla quantità di informazioni presenti nella fase precedente. Se una fase non dispone di informazioni sufficienti, tempo di reazione può aumentare. La ricerca ha dimostrato che l'elaborazione delle informazioni inizia a compromettersi quando la frequenza cardiaca supera i 145 BPM, e crolla a livelli insufficienti quando la frequenza cardiaca supera 175 BPM. Il modello di reazione tempo di sopravvivenza corrisponde agli effetti di attivazione del SNS sulla visione. Come il campo visivo collassa e la percezione sensoriale è interrotta (Fase 1) così come accade per l’abilità del cervello di analizzare e valutare le informazioni (Fase 2). Se vengono inibiti questi due passaggi, non si verificano ritardi nella formulazione di una risposta (Fase 3) e della risposta motoria (Fase 4). L'impatto tattico complessivo della attivazione del SNS sulla elaborazione cognitiva e il tempo di reazione di sopravvivenza includono : Capacità motorie ampie : si riferiscono all'azione dei muscoli maggiori o di gruppi muscolari più importanti. Un esempio di questo possiamo trovarlo nelle azioni semplici come tirare un pugno dritto, un colpo di baton in avanti o nella posizione di tiro isoscele. In generale, le capacità motorie ampie sono semplici capacità che si riferiscono alla forza e/o capacità che coinvolgono semplici movimenti simmetrici. Queste capacità sono le uniche che non decadono, anzi si implementano, con l’aumento frequenza cardiaca dovuta all’attivazione del SNS. - il tempo di reazione alla sopravvivenza (può aumentare sino a quattro volte) - disturbi della concentrazione - fallimento nello sviluppo di una risposta di logica di sopravvivenza - comportamento irrazionale - ripetizione di azioni (comprese anche quelle chiaramente inefficaci o inappropriate) - Freezing o congelamento sul posto - comportamento remissivo (rinuncia ad ogni tipo di azione) Gli effetti dell’attivazione del SNS sulla capacità motorie devono essere presi in considerazione in ogni momento dell’attività operativa. Quando possibile, ogni soggetto che è coinvolto in attività che richiedono capacità motorie fini (ad esempio i cecchini) dovrà essere “protetto” evitando di essere coinvolto in “prima linea” rimanendo nelle retrovie e chiamati al momento giusto. In questo caso viene garantito il mantenimento delle abilità motorie richieste dal contesto operativo. DETERIORAMENTO DEL LIVELLO DI ABILITA' MOTORIA VASOCOSTRIZIONE Quanto segue è una panoramica delle tre classificazioni di base dell’abilità motoria, e di come l’attivazione del SNS influenzerà ciascuna di esse : Molti di noi hanno sentito le mani congelarsi a causa di stress, o abbiamo stretto la mano a qualcuno con le mani fredde, che generalmente può essere un'indicazione di un livello di stress. La mano freddo a causa della mancanza di circolazione è uno dei sintomi iniziali della vasocostrizione. Immaginatevi se piccoli livelli di stress causano questa reazione, cosa succede quando questi livelli si alzano (es. stress da combattimento). A livelli più elevati di attivazione del SNS, la vasocostrizione nelle mani e nelle dita si riduce in una perdita di destrezza della mano, e la vasocostrizione nell'occhio inibisce il processo visivo, ma vasocostrizione ha anche un’altra importante implicazione. Capacità motorie fini : si riferiscono a competenze che richiedono coordinazione mano/occhio e la destrezza della mano. Nella categoria abilità per la sopravvivenza, una abilità motoria fine dovrebbe includere azioni che richiedono una coordinazione fina mano/occhio, come ad esempio scrivere un rapporto, capacità di tiro di precisione, ricarica dell’arma, o la guida in sicurezza di un veicolo. A circa 115 BPM gli effetti della vasocostrizione alle mani e le dita riducono la destrezza della mano necessaria per le capacità motorie fini. 13 La vasocostrizione sembra giocare un ruolo importante nelle situazioni di sopravvivenza limitando la perdita di sangue durante il combattimento. Va ricordato che durante il combattimento (cioè durante l'attivazione SNS) un corpo può sopportare grandi ferite senza sanguinamento significativo. Questo può essere molto ingannevole, infatti pochi minuti dopo combattimento, quando l'attivazione SNS si riduce, ci sarà un effetto opposto noto come vasodilatazione, che causerà maggiore di sanguinamento rispetto al normale. Pertanto è fondamentale che tutte le ferite da arma da fuoco o da coltello devono essere trattati immediatamente applicando una forte pressione. Se una ferita sanguina eccessivamente durante l'attivazione del SNS probabilmente abbiamo l’interessamento di un’arteria e dobbiamo mettere in atto le contromisure appropriate (es. applicare un punto di pressione e/o un laccio emostatico). PREVENIRE O RIDURRE L'ATTIVAZIONE DEL SNS Ed è per questo che la E.P.T.S. ACADEMY ha ideato un sistema addestrativo brevettato denominato C.R.I.S.C. (Combative Response in Stress Condictions) che tiene conto di quanto sopra descritto. Ci sono cinque variabili principali che sono state identificate come aventi un impatto immediato sul livello di attivazione SNS e che sono: - livello percepito di minaccia (che vanno dal rischio di lesioni mortali, la distanza fisica dalla minaccia è un componente chiave di questa variabile) - tempo necessario per preparare una risposta tattica (ancora una volta, la distanza può essere un fattore chiave. Una maggiore distanza di solito permette una migliore gestione del tempo di reazione - livello di fiducia nelle proprie competenze e nel proprio addestramento - livello di esperienza nel trattare specifica minaccia - stress fisico (stanchezza, mancanza di sonno, la malnutrizione, ecc..) in combinazione con lo stress da combattimento. Da notare che la maggior parte di queste variabili può essere fortemente influenzata dalla formazione e dal proprio background operativo. E’ stato dimostrato che se di attiva il SNS ad una determinata frequenza cardiaca, allora non vi è alcun modo per prevenire gli effetti negativi associati a quel livello di frequenza cardiaca. Ma è possibile ridurne l'impatto (e aumento della frequenza cardiaca risultante) sullo scenario operativo di combattimento. Questo viene fatto attraverso la formazione degli operatori in condizione di stress indotto in realtà simulata. 14 Infatti, così come un medico nel voler proteggere il paziente da una malattia, gli inocula una piccola dose di tale malattia, al fine di implementare il sistema immunitario, in modo tale che quando dovrà affrontare la malattia reale la stessa non lo ucciderà (inoculazione), allo stesso modo, se riusciamo ad addestrare gli operatori della sicurezza nelle condizioni ambientali più vivine possibile alla realtà e lo facciamo inoculando ad essi livelli di stress progressivamente più elevati, saremo certi che nelle stesse condizioni nella vita reale, tali operatori agiranno efficacemente riducendo gli effetti derivanti dall’attivazione del SNS. Ricerche specifiche condotte durante intense fasi addestrative dove gli operatori avevano posizionato alcuni monitor della frequenza cardiaca, hanno dimostrato che operatori veterani molto spesso avevano battiti di oltre 200 BPM nella loro primo simulazione. Ma dopo diverse sessioni addestrative le frequenze cardiache dei partecipanti potevano quasi sempre essere portate nel "range di sopravvivenza ottimale " comprese tra i 115 e 145 BPM, range dove le abilità motorie complesse, il tempo di reazione visiva, e il tempo di reazione cognitiva sono tutti al loro massimo. Ogni allievo che effettua i corsi operativi dell’accademia viene “catapultato” in situazioni operative estremamente vicine alla realtà e progressivamente addestrato con l’inoculazione di livelli di stress sempre più alti. In questo modo non soltanto imparerà a tenere sotto controllo il livello di frequenza cardiaca (costantemente monitorizzato) in modo tale da evitare l’attivazione del SNS, ma in queste condizioni le tecniche acquisite saranno memorizzate nell’area del cervello destinata alla sopravvivenza o “cervello arcaico”. Qualora, durante lo svolgimento della propria attività operativa, all’allievo di dovessero presentare situazioni vicine a quelle testate durante il corso egli, senza rendersene conto, metterà in atto lucidamente e quasi “involontariamente” le tecniche acquisite memorizzate nel cervello arcaico, riducendo significatamente tempi di risposta e questo credetemi può rappresentare la differenza tra vita e la morte. 15 P.S.D. (personal security detail) di Riccardo Mazzara L e formazioni protettive normalmente utilizzate dai Team di Protezione sono principalmente tre e sono quella denominata "BOX", "DIAMANTE" e a "V". • BOX : la formazione a “BOX” è molto buona per una difesa a 360 gradi, ha un ottimo impatto visivo ma, per le sue caratteristiche da troppo spazio tra ogni operatore • DIAMANTE : la formazione a “diamante” filtra molto bene la folla dal Protetto ma talvolta può apparire troppo aggressiva • V : la formazione a “V” filtra bene la folla dal Protetto ma allarga in grande misura l'arco individuale di responsabilità degli agenti di protezione La scelta della formazione sarà in funzione del tipo di minaccia e di conseguenza del numero degli operatori assegnati, e anche dall'impatto visivo desiderato. Ogni tipologia di formazione ha aspetti positivi e negativi, ma tutte le formazioni protettive devono includere una difesa a livelli di anelli concentrici, dove il PPO rappresenta l'anello più interno. La Protezione Diretta è un servizio su misura che dipende ed è sensibile a tutta una vasta gamma di fattori considerati nel processo di valutazione del rischio. Nella sua forma più semplice una unità Close Protection comprende: • Un PPO (Personal Protection Officer) assegnato al Protetto (BG) • Almeno tre responsabili della protezione che agiscono nel nucleo di scorta personale (nella maggior parte delle formazioni protettive, il numero di agenti di protezione è quattro). Chiaramente il tutto deve essere dimensionato in base al livello di LE FORMAZIONI PROTETTIVE NELLA "CLOSE PROTECTION" 16 rischio del personaggio da proteggere. Questi operatori della protezione necessitano di due veicoli, uno per il Protetto, il PPO e il Driver e l’altro gli operatori della protezione o PET (Personal Escort Team) con il relativo Driver. Da questo “pacchetto” di base, il comando operativo determinerà il tipo e il numero di attività aggiuntive che sono eventualmente necessarie Il PPO viene assegnato direttamente al Protetto (VIP). Nel caso di un attacco o di un altro incidente di sicurezza, la risposta tattica immediata del PPO sarà di assumere il controllo ed estrarre il Protetto dalla zona di pericolo. Il PPO ha il ruolo specifico di agire come guardia del corpo e non dovrebbe essere distratto da questo dovere avendo anche la responsabilità di impartire gli ordini e coordinare le azioni dell’Unità di Protezione. Il responsabile della protezione personale (PPO) assegnato al Protetto rimarrà sempre in ogni momento con il Protetto agirà come sua ultima linea di difesa. Nella formazione a BOX, i quattro Operatori della Sicurezza prenderanno posizione ai quattro angolo di un quadrato immaginario e avranno ognuno la propria area di responsabilità. Il nucleo di scorta personale (PET) fornisce un secondo livello di protezione in prossimità del Protetto 17 Nella scorta a piedi, questi agenti manterranno comunicazione visiva e verbale con il PPO a distanze dettate dall'ambiente in cui si trovano. Quando si esegue invece uno spostamento con veicoli, questi operatori viaggeranno in un ulteriore veicolo a loro assegnato, oltre al veicolo dove viaggia il Protetto con il PPO. In caso di attacco il PET risponde alla minaccia fornendo copertura durante l'estrazione del Protetto. Se invece viene attaccato il veicolo del Protetto, ed è impossibile l’estrazione dello stesso, il PET fornirà tutta la difesa tattica attorno al veicolo dello stesso in modo tale da trattare immediatamente eventuali ferite e pianificarne l’estrazione. La formazione a Box offre al Protetto una visione chiara di ciò che ha di fronte. Nella formazione a V, i responsabili del PET assumono una posizione seguendo le linee di una V immaginaria e ciascuno ha propria area di responsabilità. L’operatore della Sicurezza Ravvicinata (PPO) viene assegnato direttamente alla protezione del Protetto (VIP). La formazione V è molto spesso utilizzata quando il team di protezione deve passare velocemente attraverso la folla. Nella formazione a diamante, i responsabili del PET assumono una posizione come in un angolo di una losanga immaginaria, e ciascuno ha propria area di responsabilità. L’operatore della Sicurezza Ravvicinata (PPO) viene assegnato direttamente alla protezione del Protetto (VIP). La formazione a diamante appare più aggressivo quando ci si deve muovere tra la folla. . 18 L’immagine di sopra mostra una formazione a basso profilo con due operatori. In alcuni paesi le Forze dell’Ordine non forniscono nessun supporto a nuclei di protezione composti da meno di tre unità. L’immagine di sopra mostra una formazione a basso profilo con tre operatori. Questo schema protettivo è comunemente usato dai team di protezione francesi. L’immagine di sopra mostra una formazione a basso profilo con quattro operatori. In questo caso un operatore della protezione (BG) è completamente “dedicato” al Protetto ed è responsabile della sua estrazione ed evacuazione. 19 La PROTEZIONE DIRETTA • Il ruolo primario dell’Operatore della Sicurezza Ravvicinata è quello di estrarre e evacuare il Protetto (mettendolo in sicurezza) a fronte di un attacco o “incidente di sicurezza” • Le “vie di fuga” debbono essere identificate in ogni luogo sicuro e location utilizzati dal Protetto, in modo tale da permetterne una facile identificazione ed utilizzo • Le formazioni “a piedi” possono essere supportate dalle Forze di Polizia (FPU) o Militari sia a livello locale o negli stati esteri Il ruolo primario dei responsabili della protezione durante un incidente è quello di estrarre il Protetto e portarlo in un “luogo sicuro”. I luoghi sicuri debbono essere scelti in modo accurato in modo tale che le vie di fuga siano di facile identificazione e fruibilità. Durante ogni percorso effettuato dal Protetto debbono essere identificati luoghi sicuri e percorsi idonei per arrivarci. Inoltre debbono essere identificati inoltre anche Ospedali e Stazioni di Polizia. In caso di attacco e la successiva confusione che si crea, gli addetti alla protezione debbono essere messi in condizione di estrarre il Protetto, di riorganizzarsi (consolidando il Team di Protezione) e successivamente di muovere verso un luogo sicuro. L'unità di protezione ravvicinata può essere supportata da Forze di Polizia o Militari in caso di visita in zone particolarmente a rischio. Le immagini seguenti ne descrivono l’impiego. 20 21 La Comunicazione nella PROTEZIONE DIRETTA • DURANTE IL MOVIMENTO A PIEDI Cambio di direzione e stop • DURANTE L’USCITA DA VEICOLI Comando di uscita dal veicolo e ingresso nell’edificio Segnalazione della minaccia 1) DESCRIZIONE a) Tipologia (Armi, Granata, Coltello o oggetto affilato, ecc…) b) Direzione (ore 12, ore 3, ore 6, ore 9) La segnalazione della minaccia imminente ha lo scopo di informare il team di Protezione sulla natura della minaccia e sulla sua direzione. In caso di “ore 12 “ • DURANTE L’ENTRATA DA VEICOLI Uscita dall’edificio ed ingresso nel veicolo • DURANTE LO SPOSTAMENTO IN CONVOGLIO DI SCORTA Sorpasso di motoveicoli e veicoli sospetti • IN CASO DI AGGRESSIONE Le comunicazioni possono essere : radio, verbali, a mezzo di segni oppure soltanto con contatto visivo. La comunicazione nella protezione ravvicinata è fondamentale e deve presente in tutte le fasi della Protezione Diretta, a partire dall’uscita del Protetto dal suo ufficio o abitazione, sino al suo ritorno. Particolare attenzione deve essere prestata durante le fasi di movimento a piedi, di ingresso o uscita dal veicolo e, chiaramente in caso di aggressione. Ogni comunicazione deve essere discreta e riservata, salvo in caso di attacco, dove è necessario catturare immediatamente l'attenzione del team di protezione. In questo caso, l’operatore che per primo identifica la minaccia deve comunicarla immediatamente al team per permetterne la pronta reazione. significa che il pericolo arriva da davanti, se “ore 6” da dietro, se “ore 3” da destra ed infine se “ore 9” da sinistra. Reazione alla minaccia 1) MODULO DI NEUTRALIZZAZIONE a) Neutralizzazione dell’aggressore (auto difesa) 2) MODULO DI EVACUAZIONE a) Protezione del VIP b) Allontanamento dal pericolo c) Ricerca della copertura Quando viene segnalata una minaccia, il Team di Protezione si divide in due moduli. Il primo modulo "modulo di neutralizzazione" è incaricato di rispondere alla minaccia neutralizzando l'aggressore quando necessario e possibile. Il secondo modulo denominato " modulo di evacuazione" si occupa della estrazione e/o evacuazione del Protetto È evidente che i due moduli devono agire e reagire in estremo coordinamento, e che ogni modulo non può realizzare il compito assegnato senza il supporto dell'altro. 22 iIn caso di contatto e/o aggressione, è di fondamentale importanza effettuare un report mediante lo schema denominato L.I.A.R. (Location – Incident – Action – Request) Queste informazioni essenziali devono essere trasmesse alla Centrale di Comando al fine di facilitare il processo decisionale. Lo schema L.I.A.R. semplifica le informazioni che devono essere fornite e che sono : Location (dove sta avvenendo l’aggressione specificando il luogo della stessa e le coordinate geografiche) Incident (chi sono gli aggressori, il loro numero e una descrizione di base) Action (la reazione del team di protezione, se è in atto un conflitto a fuoco, lo stato di salute del Protetto e della scorta, e altre osservazioni utili) Request (quello di cui il Team di Protezione necessita, supporto delle Forze di Polizia, Medico, ecc..) 23 GLOCK 19C "TACTICAL" TEST DELLA GLOCK 19C "TACTICAL" La semiautomatica che nasce da una richiesta da parte di veri professionisti della sicurezza ufficialmente definita Tactical, informalmente detta anche "israeliana" della Glock 19. I n questo primo numero di E.P.T.S. Magazine, abbiamo deciso di testare e confrontare una delle pistole semiautomatiche più utilizzate dagli Operatori della Sicurezza : la Glock mod.19 C Tactical La pistola della nostra prova, pur derivando da una delle più diffuse semiautomatiche per difesa, si propone come prodotto di nicchia, dedicato a coloro i quali hanno bisogno di piccole dimensioni, grosso calibro, che possa essere utilizzata in condizioni operative estreme 24 È proprio da una richiesta da parte di veri professionisti della sicurezza che nasce, infatti, la versione ufficialmente definita Tactical, informalmente detta anche "israeliana" della Glock 19. Gli accessori che vanno a formare la dotazione di questa particolare versione sono stati richiesti per la prima volta dai servizi di sicurezza delle ambasciate dello Stato d’Israele. La filosofia ispiratrice è stata quella di disporre di un’arma dal rinculo tollerabile, che consenta di avere una buona riserva di colpi, ma soprattutto di doppiare nel minor tempo possibile il colpo, com’è nella filosofia dei reparti speciali israeliani. E sembra che i vertici militari del Paese mediorientale stiano valutando addirittura la possibilità di acquistare anche le Glock 25, compatte calibro 9 corto (.380 Acp). Ricordiamo, brevemente, le caratteristiche tecniche della Glock 19. Si tratta di una semiautomatica dotata di fusto polimerico, caricatore bifilare, chiusura geometrica a corto rinculo, sistema Browning modificato, scatto in semi Doppia azione (Safe action) e carrello in acciaio al carbonio. Il fusto polimerico incorpora le guide in metallo per lo scorrimento del carrello e, nella parte inferiore, anteriormente al ponticello, reca una piastrina d’ acciaio riportante il numero di matricola. Da alcuni anni, la stessa porzione del fusto reca una slitta tipo Weaver per il montaggio di vari accessori, come per esempio laser o torce. Il carrello, in acciaio al cromo molibdeno, è ricavato dal pieno per asportazione di materiale, successivamente indurito superficialmente e trattato in funzione antiossidante: Tenifer è la denominazione commerciale attribuita dalla Glock a questo particolare trattamento, che ha stabilito nuovi standard di riferimento nell’industria armiera, per la resistenza alla ruggine e all’abrasione (i tecnici austriaci sono soliti illustrarne le qualità ai più dubbiosi "aggredendo" il carrello con un cacciavite. Lo scatto, denominato Safe action, può essere definito una semi Doppia azione. Arretrando il carrello, il percussore viene parzialmente armato, pur tenuto in condizione di sicurezza per interposizione della sicura automatica. pplicando una trazione al grilletto, inferiore a quella di una Doppia azione classica, il percussore completa la sua corsa d’armamento sino allo sgancio. Mantenendo il grilletto in trazione, il dente di scatto intercetta il percussore in posizione di massimo armamento, consentendo così un movimento ridotto per doppiare il colpo. Nelle Doppie azioni convenzionali, il grilletto deve essere portato in posizione di riposo (tutto avanti) per riagganciare la catena di scatto. Nella versione "C" il carrello presenta due ampie fresature superiori, alle quali corrispondono altrettante asole poste sulla canna. Dopo lo sparo, parte della pressione dei gas viene evacuata da queste asole, per compensare il movimento verso l’alto, il rilevamento, della volata della pistola. Internamente, il carrello presenta due piani inclinati, allo scopo di rendere ancora più efficace questo effetto. Come per le altre versioni, la rigatura della canna di questa Glock è di tipo semipoligonale. Le mire di serie sono composte da un mirino di plastica, spinato al carrello, dotato di riferimento bianco e da tacca di mira regolabile, anch’essa in plastica e inserita a coda di rondine, con bordo bianco. 25 Nella versione Tactical, però, gli organi di mira sono stati sostituiti da funzionali mire notturne al trizio, fisse e di ingombro assolutamente sovrapponibile a quello dei riferimenti di serie, realizzate in metallo e facilmente riconoscibili per le scritte laterali "Trilux H3". Sia sulla tacca sia sul mirino, è impresso il logo della Casa austriaca. Il trizio, in forma gassosa (è un isotopo dell’ idrogeno), è contenuto in tre piccole ampolle inserite all’interno delle mire, ovviamente una anteriore centrale e due posteriori ai lati della finestra. L’ultima modifica riguarda l’installazione della torcia flashlight della Insight tecnology, un potente faro che si installa in un paio di secondi sulle guide ricavate nel dust cover. Questa torcia ha un fascio di luce potentissimo e comandi ergonomici, che consentono di accenderla e spegnerla senza modificare l’ impostazione di tiro. La prova vera e propria della pistola si è protratta per un periodo insolitamente lungo. L’arma non è stata messa a disposizione dall’ importatore, ma acquistata direttamente allo scopo di testarla per il maggior tempo possibile. Abbiamo portato l’arma quotidianamente per alcuni mesi, all’ inizio usando una fondina Blade tech in Kydex e, successivamente, una Uncle Mike’s nello stesso materiale. Alla fine del periodo di prova, gli unici segni presenti, riconducibili al materiale della fondina, sono una lucidatura nella zona dell’estrattore e sull’hold open. Segni simili sono presenti nella parte superiore della canna, sulla quale avviene lo sfregamento durante il ciclo di sparo. Null’altro. La luminosità prodotta, in un bel colore verde, è ben definita senza essere fastidiosa. Le mire sono anche disponibili in colore ambra o miste (mirino ambra e tacca verde). Anche se sulla carta il contrasto di colori può risultare interessante, dopo vari test effettuati sia in poligono (a luci spente) sia all’ aperto, ci sentiamo di consigliare i tre riferimenti verdi, più brillanti e rapidi nell’allineamento. Lo sgancio del caricatore richiede una modifica del fusto rispetto all’originale e anche rispetto a quello, con lo scasso più alto, proprio dei modelli sportivi. L’area d’appoggio risulta, infatti, superiore in larghezza, senza sporgere però maggiormente dall’arma e senza aumentare, quindi, il rischio di sganci accidentali durante il porto o l’estrazione. La superficie è rigata verticalmente, per offrire un migliore grip. La funzionalità è ottima, molto superiore a quanto non possa sembrare "a vista". Lo sgancio originale non brilla certo per rapidità d’utilizzo (rimanendo, comunque, molto sicuro in caso di urti accidentali) e la differenza si nota al primo azionamento. Quest’accessorio può essere installato anche su armi di serie, ma richiede, come dicevamo, una piccola modifica non reversibile al fusto, effettuata presso le officine dell’importatore Bignami. Abbiamo utilizzato qualche migliaio di colpi, di varie marche, pulendo la pistola saltuariamente. Dopo questo impegnativo esame, abbiamo smontato completamente l’arma, l’abbiamo accuratamente pulita e tutte le parti sono state verificate dimensionalmente e visivamente, confrontandole con quelle di un’arma identica. L’hold open maggiorato è lo stesso utilizzato sulle versioni sportive. Per un contrattempo, però, non era installato sull’arma al momento del servizio. Lo scatto monta una differente leva di attuazione, allo scopo di alleggerire la trazione di sgancio. È sempre difficile quantificare il peso dello scatto di quest’arma, in quanto la prima parte della corsa serve a ultimare l’armamento del percussore. Anche i consueti strumenti dinamometrici che utilizziamo non ci sono stati d’ aiuto, perché non sono riusciti a scindere le due diverse fasi di armamento e scatto. Arrivati all’arresto che precede lo sgancio vero e proprio, il peso dichiarato è, comunque, inferiore ai 2.000 grammi. Piacevolmente inferiore, aggiungiamo noi. Oltre a questo allestimento, si possono richiedere, come opzioni, il tappo per chiudere l’antiestetica apertura posta nella parte inferiore del dorsale del fusto e la sicura Ghost block, che agisce sul percussore tramite una chiave come quella utilizzata per le manette. Il tappo risulta molto gradevole all’ occhio e al tatto, pur non avendo rilevanza a livello funzionale. 26 Se non lo montate, quindi, non succede nulla, salvo l’accumulo di un po’ di polvere e di fibre di tessuto nella cavità (cieca, senza sbocchi nella meccanica) dell’ impugnatura. Se si lascia l’arma incustodita, la si può mettere "sotto chiave", per evitare utilizzi non autorizzati. E questo è un vantaggio non da poco. Altro particolare, di cui tanto si parlò negli anni passati, ma che quasi nessun vide, è il "percussore marino" ovvero quello che permette l’utilizzo dell’arma appena estratta dall’acqua. L’accessorio è costituito dalla boccola anteriore della molla del percussore (quella divisa in due semilune) che viene "scaricata" di materiale nella zona periferica, consentendo il rapido deflusso dell’acqua senza frenare l’azione del percussore. Probabilmente nessuno dovrà mai sparare in condizioni così estreme, ma una soluzione del genere può dare ancor più sicurezza sulla propria arma. Noi, a dire il vero, ci abbiamo provato a mettere alla prova il percussore e il risultato è stato sorprendente, con il povero fotografo investito dalla nube d’ acqua contenuta nel barile e sollevata dai gas di scarico dello sparo. Nessuna usura particolare, a parte la lucidatura delle parti soggette a scorrimento (guide, dente di scatto, canna). Per quel che riguarda l’utilizzo dinamico, abbiamo riscontrato un solo malfunzionamento, causato da una ricarica decisamente sovradimensionata a livello di bossolo. Nessun inconveniente con le munizioni di fabbrica. Questa nota è particolarmente importante perché abbiamo sentito varie voci, specie nelle varie armerie, relativamente alla necessità di utilizzare munizioni particolarmente potenti per assicurare il funzionamento della "C". Ci sentiamo di smentire queste affermazioni: dopo un test approfondito, avvenuto in varie condizioni (anche nel tiro notturno), la perdita di velocità rispetto alla canna senza le asole di compensazione è stata rilevata dal 3 al 4%, a seconda della progressività delle polveri impiegate. Sciolto il nodo relativo al funzionamento, la domanda successiva è: si avverte la differenza tra la 19 e la 19C? I pareri non sono del tutto concordi. Per la maggior parte dei tester, la differenza è notevole. Qualcun altro, visto il calibro e la bontà dell’arma originaria, ha espresso pareri più tiepidi. Ma, quando tiratori di livello si permettono di doppiare il colpi in 0,13 secondi sui piattelli metallici non ribaltabili posti a una quindicina di metri, è segno che il rilevamento è molto contenuto. 27 Un altro aspetto da considerare, soprattutto nell’ottica dell’utilizzo notturno per il quale l’arma ha vocazione, è l’abbagliamento causato dallo sfiato dei gas ad alta temperatura attraverso le asole della canna. Molte persone, infatti, hanno esitazione ad acquistare una Glock serie "C", proprio temendo il flash di sparo nella penombra o nell’oscurità. Dopo accurate prove, ci sentiamo di tranquillizzare gli utenti: nell’oscurità più completa, infatti, la fiammata di sparo si manifesta come una vampata arancione, con una tonalità calda e piacevole alla vista, ma assolutamente non abbagliante. Abbiamo provato differenti caricamenti, e in tutti i casi abbiamo potuto ripetere immediatamente il colpo senza nessun fastidio o disorientamento. Il rinculo è molto morbido, merito senza dubbio delle capacità di assorbimento energetico del fusto in polimeri. La prova ha visto utilizzati colpi Winchester, Geco, Samson e Povàtzke Strojàrne, tutti con palla interamente blindata di 124 grani, e Geco con palla in piombo teflonata dello stesso peso. L’utilizzo di proiettili in piombo non ha provocato accumuli di lega ai margini dei fori, segno dell’ottima esecuzione degli stessi. Superfluo osservare che il funzionamento è stato regolare con tutti gli allestimenti. La precisione? Una rosata di tre colpi Winchester in 17 millimetri di diametro tra i centri più lontani dovrebbe rassicurare anche il più scettico. È compatta, precisa, affidabile e dotata di tutti quei piccoli accorgimenti utili per migliorare il tiro e la rapida acquisizione del bersaglio in ogni condizione di illuminazione ambientale e meteorologica. Il funzionale sistema di compensazione adottato dalla 19C si rivela azzeccato ed è determinante, a nostro avviso, per la riduzione del rilevamento e per la gestione della pistola, consentendo un ritorno in punteria pressoché istantaneo. Ancora una volta, Glock ha centrato il bersaglio. CARATTERISTICHE : Scatto: semi Doppia azione Costruttore: Glock GmbH, Po box 9, A-2232 Deutsch-Wagram, Austria, tel. 0043/22.47.90.300, fax 0043/22.47.90.312 Estrattore: a gancio, esterna al carrello Distributore: Bignami spa, via Lahn 1, 39040 Ora (Bz), tel. 0471/80.30.00, fax 0471/81.08.99, [email protected] Sicure: automatica al percussore; automatica al grilletto Modello: 19 C Tactical Espulsore: fisso, imperniato al fusto Sistemi di mira: mirino fisso, tacca di mira innestata a coda di rondine con riferimenti luminosi al trizio Tipo: pistola semiautomatica Alimentazione: caricatore bifilare a presentazione singola Destinazione d’uso: difesa personale Numero colpi: 15 Calibro: 9x21 Peso: 656 grammi, scarica Materiale fusto: tecnopolimero rinforzato con fibra di vetro Accessori: torcia Insight tecnology, attacco a sgancio rapido; portata 70 m circa Materiale carrello: acciaio al cromo molibdeno Numero Catalogo nazionale: 12.566 Lunghezza canna: 102 mm Lunghezza totale: 174 mm Prezzo: 8oo euro circa, Iva inclusa Torcia Insight tecnology 300 euro circa, Iva inclusa Percussione: percussore lanciato 28 29 E.P.T.S. ACADEMY PRESENTAZIONE E.P.T.S. ACADEMY Professionisti della Formazione dal 1996 24 L a E.P.T.S. ACADEMY (Executive Protection Training School) è il dipartimento formativo della società R.M. Intelligence & Security Services di Livorno (che l’ha acquisita) operante nel settore della sicurezza, attraverso le società collegate, da numerosi anni sia sul territorio nazionale che internazionale. La E.P.T.S. ACADEMY , ricordiamo essere una accademia della sicurezza privata nata nel 1996 per opera di Riccardo Mazzara che ha portato tale struttura ai vertici per quanto riguarda il panorama formativo europeo. Il motivo di questo rinnovamento dovuto anche alla fusione spiega Mazzara, nasce dall’esigenza di consolidare la stessa società verso scenari operativi di maggior rilievo per quanto riguarda l’ambito internazionale a fronte delle nuove necessità di specializzazione avanzata richiesta dagli operatori della sicurezza. A fronte di quanto sopra citato la E.P.T.S. ACADEMY pur continuando a fornire programmi avanzati per PSD (Personal Security Detail) ad enti e/o privati , Guardie Particolari Giurate unitamente ai corsi di perfezionamento al Tiro Operativo si è ulteriormente specializzata nei segmenti relativi alla sicurezza Aeroportuale , Marittima e in ambito estero , segmenti dove la richiesta di operatori specializzati sta crescendo in modo esponenziale. Citiamo per primo i nuovi corsi per operatori addetti alla Sicurezza in Ambito Marittimo, espletati in ottemperanza alle nuove disposizioni di legge. Proprio per venire incontro a queste nuove disposizioni la E.P.T.S. ACADEMY si è attivata sia sul fronte docenti , cercando collaborazioni d’eccezione con professionisti provenienti dalle forze speciali e con accademici esperti in diritto marittimo ed internazionale, unitamente all’implementazione della logistica che ha portato la scuola a poter operare, in ambito di simulazione, anche su vascelli reali in disarmo. Stessa operazione è stata condotta relativamente ai corsi per operatori addetti alla Sicurezza in Ambito Aeroportuale, dove peraltro la struttura ha acquisito moderni scanner radiogeni per addestrare il personale al riconoscimento delle sostanze pericolose e/o proibite. Circa i corsi di specializzazione per operatori della sicurezza in Aree ad Alto Rischio, la scuola ha creato una vera e propria “Special Unit” di istruttori professionisti nazionali ed internazionali con vasta esperienza sul campo in grado di addestrare sia in loco che in situ, operatori con già un background specifico che sono intenzionati ad operare, in qualità di consulenti, in aree a rischio come Libia, Nigeria, Afghanistan, etc.. 25 Questo metodo permette in relativamente poco tempo, di acquisire tecniche e procedure operative da utilizzare nell’esercizio di professioni ad alto rischio (operatori della sicurezza, operatori delle Forze di Polizia, Esercito, ecc..). Per ulteriori informazioni potete visitare il sito specifico al seguente indirizzo : www.eptsacademy.eu oppure inviando una email a [email protected] ancora telefonicamente al 392.9320516 Il C.R.I.S.C. prevede sessioni di addestramento intensivo in condizioni di stress indotto in realtà simulata. Agli allievi non vengono insegnate soltanto materie teoriche o pratiche, ma anche procedure operative eseguite in ambientazioni reali, allo scopo di permettere all’allievo stesso, di operare da subito come avverrebbe nella realtà professionale.. Tale programma formativo si pone gli obiettivi di trasmettere agli allievi elementi fondamentali per la “sopravvivenza” discriminando tra quello che “si può fare” e quello che “non si può” fare. In sostanza l’accademia vuole distaccarsi dal concetto del formare un “navy seal” in una settimana e mandarlo ad operare armato di tutto punto in Iraq o altri paesi. Purtroppo questo messaggio è passato troppo spesso a favore di coloro che volevano rimpinguare le casse della società che organizzava questi corsi. Tutti i corsi della E.P.T.S ACADEMY sono svolti secondo i dettai di un metodo elaborato e brevettato dalla stessa alla fine degli anni novanta denominato C.R.I.S.C. (Combative Response In Stress Conditions) che la stessa società utilizza per l’addestramento del personale operativo operante nell’ambito della sicurezza. Esiste un codice etico di condotta al quale la E.P.T.S. ACADEMY ha deciso di attenersi per cui deve essere molto chiaro che alcuni dei corsi organizzati dalla stessa società NON POSSONO essere aperti a tutti, in questo per alcuni di essi (vedi il sopra citato corso di operatori della sicurezza in Aree ad Alto Rischio) vengono richiesti dei pre – requisiti importanti per garantire in prima battuta la serietà dell’azienda ed in seconda il livello qualitativo del corso stesso. 30 31 PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI LE PROTEZIONI PASSIVE Per gli operatori della sicurezza Parlare oggi di sicurezza e di tutte le varie implicazioni tecniche ad essa connesse, è facile ed allo stesso tempo complicato. Un po’ perché l’argomento è di moda ed un po’ perché il materiale dedicato dalle varie aziende è tanto, forse, troppo. Tra i vari prodotti si vuole in questi appunti esaminare il giubbotto antiproiettile, è bene anticipare però che non rientra negli scopi del presente scritto, fare una esegesi completa di tutte le caratteristiche tecniche che caratterizzano tali indumenti protettivi, bensì fornire agli operatori della sicurezza informazioni pratiche sui vizi e virtù di queste particolari protezioni balistiche. di Fernando Colaci E' 32 trascorso ormai molto tempo da quando, gli antichi guerrieri medioevali si proteggevano con rilucenti corazze metalliche. Se una corazza bastava a fermare i dardi, non bastava di sicuro a fermare i pesanti proiettili lanciati sfruttando la combustione della polvere nera, quell’invenzione diabolica che ha spazzato via gli ideali della cavalleria e che ha posto in condizione anche il più pavido fra gli scudieri di battere efficacemente il più prode cavaliere. Era crollato il mito della invincibilità che da Achille in poi era stato il motivo di vanto e giustificazione del potere. L’uso dei materiali tradizionali, acciaio più o meno trattato, ha sempre comportato un netto svantaggio in fatto di mobilità, peso da sopportarsi, ingombro notevole; l’eterna battaglia tra chi costruisce corazze e chi proiettili sembrava volgersi a favore dei secondi rispetto i primi. Solamente la scoperta e la produzione in serie di nuove fibre sintetiche ad altissima resistenza e l’uso di materiali compositi innovativi ha reso possibile sovvertire il risultato. CENNI STORICI Dalla seconda guerra mondiale si è iniziata a studiare tutta una serie di protezioni più leggere e moderne di quelle di cui usufruiva il fante del primo conflitto, oberato nelle sue missioni più rischiose (come quelle di tagliare i reticolati sotto il fuoco nemico) da pesanti corazze metalliche. Tali studi sono stati resi necessari dal fatto che era vitale cercare di proteggere il soldato soprattutto dalle lesioni derivanti da schegge di granata e dai frammenti delle bombe di vario tipo prima che dal fuoco diretto delle armi leggere. E’ nella guerra di Corea che si è avuto il primo diffuso impiego di indumenti protettivi assemblati con materiali di sintesi: il nylon balistico e il Doron (fibra di vetro), che hanno dimostrato sul campo la loro reale validità. Famosa è la foto di un marine vittorioso in combattimento ravvicinato con un nord coreano che mostra la sua “flack jacket” in nylon e Doron centrata da una raffica di PPSH in 7,63 Tokarev. In tale foto c’è anche un altro aspetto interessante: la testimonianza visiva di un effetto balistico terminale sul corpo, dovuto all’impatto del proiettile e la conseguente estroflessione della protezione che ha determinato un trauma (back face deformation) sul torace. Nonostante questa lesione, il marine, non solo è sopravvissuto alla raffica nemica, ma ha anche vinto lo scontro, motivo questo di riflessione per cercare di dare il giusto peso alla potenzialità invalidante del “blunt trauma”, termine con cui gli autori d’oltre oceano sono soliti classificare il trauma indotto dalla deformazione della protezione. Con la guerra del Vietnam si è avuta una vera e propria generalizzazione dell’impiego delle protezioni personali a funzione anti-balistica che, all’epoca, venivano realizzate con materiali diversi, sia di sintesi che ceramici e metallici. Solitamente le “flak vest” realizzate con protezioni sintetiche, venivano usate dalle truppe appiedate per il loro minore peso e per la maggiore adattabilità, mentre quelle realizzate con piastre dure, essendo più pesanti ed impacciando i movimenti, erano appannaggio quasi esclusivo dei piloti di elicottero, dei serventi delle mitragliere o dei carristi. NUOVI MATERIALI Nel 1965 la ricercatrice dei laboratori della Du Pont, Stephanie Kwolek, scoprì la fibra aramidica che è, dopo il Nylon, la più importante scoperta nel campo delle fibre sintetiche. Ma passarono un po' di anni prima che questo materiale venisse utilizzato per la produzione di articoli di protezione balistica; il balzo di qualità fatto dopo la scoperta del Kevlar (questo è il marchio che la Du Pont ha dato al suo prodotto) fu sorprendente, grazie all’impressionante resistenza alla trazione, unita alla densità ridotta (rapporto peso/resistenza) di questo materiale. A seconda delle caratteristiche si sono prodotti i Kevlar 29 ed il Kevlar 49. La sua caratteristica principale è quella di essere 5 volte più resistente dell’acciaio, 10 dell’alluminio, 2 del nylon balistico e della fibra di vetro; ciò ha reso possibile la realizzazione di tutta una serie di protezioni personali di pesi e fogge fino ad allora impensabili. 33 Attualmente, a questa fibra, se ne è affiancata un’altra, il polietilene orientato che è il 20-30% più resistente del Kevlar 29 e, pur non vantando la stessa attitudine al calore, è da qualche tempo materiale di valida alternativa anche al nuovissimo Kevlar 129 che è il 15% più forte del “vecchio” K 29 pur essendo nel contempo il 15% più leggero ed il 20% più sottile. La situazione attuale, per quanto riguarda la protezione personale, è quindi il frutto di una evoluzione e di un costante miglioramento della produzione industriale orientata alla ricerca di nuovi materiali sempre più leggeri e resistenti e/o all’assemblaggio più opportuno di prodotti già sperimentati, ottenendo così una sinergia che permette realizzazioni ancora più efficienti come ad esempio l’abbinamento, nello stesso pannello, di strati di Klevar 129 uniti a pellicole di polietilene orientato. 34 GIUBBOTTI ANTIPROIETTILE Va innanzitutto detto che, a mio avviso, la dizione “giubbotto antiproiettile” non è del tutto pertinente per trattare delle realizzazioni indirizzate alla protezione personale, dato che, se vogliamo essere pignoli, col termine “giubbotto” si intende una categoria di vestiario che ben poco ha a che fare, ad esempio, con tutte quelle realizzazioni da portare “undercover”, cioè sottocamicia e la denominazione non è del tutto consona alla realtà in quanto, questi tipi di protezioni anti-balistiche, non sono “antiproiettile”, ma “resistono” ai proiettili. Questa differenza, che può sembrare una sottigliezza, ha un suo intrinseco valore e negli Stati Uniti ha portato a decretare la cancellazione del termine “bullet proof” (impermeabile ai proiettili) in “bullet resistant” (resistente ai proiettili). Con il giubbotto antiproiettile si è pensato di sostituire al muro d’acciaio una rete in Klevar che, in quanto tale, gode di vantaggi e svantaggi. Il vantaggio fondamentale è quello di poter dissipare elevate quantità di energia in lavoro di deformazione, lo svantaggio è che, come il pesciolino sfugge alla rete da pesca, un proiettile piccolo ed aguzzo (tipo spitzer) può creare qualche problema di tenuta. Vale sempre la pena ricordare che l’invulnerabilità non esiste e che lo scopo di un indumento protettivo è quello di preservare da una gamma di possibili offese, ampia finchè si vuole, ma pur sempre limitata. Nel nostro Paese, a complicare il problema, c’è una certa confusione sulla precisazione delle reali attitudini che deve avere una veste per arrestare un proiettile e per contenere gli effetti dovuti alla mancata perforazione (blunt trauma). Non sono stati infatti stabiliti i livelli protettivi in cui includere ed omologare i vari indumenti a seconda del tipo di minaccia. Ciò determina una situazione non chiara dal punto di vista delle responsabilità, ad esempio del datore di lavoro rispetto ai dipendenti che espletano mansioni di scorta armata o di piantonamento; soprattutto dopo che la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza nella quale è stata stabilita la obbligatorietà della fornitura di adeguati mezzi protettivi a chi svolge tali mansioni, senza però precisare il livello protettivo da adottare. Solitamente, per dare un minimo di indirizzo all’acquirente rispetto alla validità dell’indumento, ci si rifà ad alcuni standards americani: l’NIJ concepito negli anni ‘70 ed il PPAA molto più restrittivo, che basa la sua logica applicativa su studi recenti dedotti da esperienze ed analisi di dati reali ed in parte sulla resistenza di tali vesti a minacce del tipo “raffica di pistola mitragliatrice calibro 9 Para” e “colpi di cartucce Geco Metalpiercing in canna da 6 pollici” con traumi massimi di 20 mm. Il tessuto in fibra aramidica, con cui è fatto il giubbotto antiproiettile, non è soggetto ad invecchiamento, ma è sensibile alla luce ultravioletta (raggi solari), dalla quale sarebbe bene tenerlo sempre protetto conservandolo sempre nella sua veste esterna. Come tutte le altre fibre, un’altra piccola pecca dell’aramidica è che, bagnandola abbondantemente (se non trattata), perde le sue specifiche di resistenza, anche se, una volta asciugata, torna alle caratteristiche d’origine. Esistono alcuni procedimenti contro l’umidità, l’acqua, l’olio o i solventi; il più famoso di questi trattamenti è lo Zepel-D a base oleosa che però rende il tessuto auto lubrificato avvantaggiando l’eventuale perforazione del proiettile. In alcuni Stati si è fatto obbligo, una volta cucito il Klevar che compone la protezione, di sigillarlo tra due strati di polietilene tipo quelli neri dei sacchetti della spazzatura, in tal modo si assicura la perfetta protezione dalle intemperie e dai raggi ultravioletti. La categoria delle protezioni a funzione antibalistica è composta da 5 tipi fondamentali di realizzazioni che trovano la loro differenza nella rigidità dei materiali e nella adattabilità al corpo umano: i soffici, i semi-impregnati, gli impregnati, le piastre fibro-ceramiche e le metalliche. Dal punto di vista pratico, quando si sceglie una protezione personale antibalistica, si dovrebbe fare attenzione non solo al livello dichiarato che è in funzione dei calibri, dei pesi e della velocità di palla, ma anche ai tipi di munizioni che esso è in grado di fermare. Si tenga presente che per i proiettili provvisti di nucleo perforante tipo “armour piercing” è quasi sempre necessario l’uso di piastre metalliche o fibrocomposite rigide, mentre per i “metalpiercing” e cioè i penetratori incamiciati in acciaio dolce e con nucleo in piombo, i compositi di adeguato livello protettivo sono i più indicati a neutralizzarli; nel caso si opti per un indumento soffice, è necessaria la presenza di una apposita piastra perché il numero di strati necessari per ottemperare a questa minaccia ne sconsiglia la realizzazione pratica per peso e dimensioni. Anche nei giubbotti antiproiettile di uso comune è spesso presente un marsupio anteriore nel quale infilare una piastra di materiale composito (ceramica/fibra aramidica) per elevare la classe di protezione. Aspetto per nulla secondario nella scelta del giubbotto antiproiettile è la portabilità dell’indumento per dimensioni generali, pesi e per la sua idoneità a conformarsi alla persona. Sarebbe buona norma, in caso di uso continuativo, preferire una misura di taglia inferiore a quella abitualmente portata perché, la ricerca assoluta del maggiore indice di area protetta, anche se è di principio cosa giusta, potrebbe penalizzare nel movimento e creare disagi che potrebbero indurre a portare male ed addirittura non indossare l’indumento. A titolo informativo si riporta l’esistenza di giubbotti sotto camicia “undercover” che si indossano direttamente sulla pelle o sopra una T-shirt, ma comunque ben nascosti sotto una camicia o un maglione. I “sotto camicia” si dividono in due tipi: semi-rigidi e soffici. La differenza tecnica tra i primi ed i secondi è determinata dal modo di unire il tessuto aramidico: nel primo caso le pezze vengono sovrapposte ed incollate tra di loro con apposite resine, mentre nel secondo le pezze vengono normalmente sovrapposte e cucite sul bordo formando una specie di cuscino. L’unico svantaggio del modello semi-rigido è proprio la sua rigidità per chi lo indossa; il grosso vantaggio sta nella limitazione del Blunt Trauma. Come considerazione prettamente personale, si ritiene che l’uso esterno dei giubbotti antiproiettile dovrebbe principalmente sortire un effetto “deterrente” nelle comuni mansioni svolte dagli operatori di un istituto di vigilanza, ma dal punto di vista difensivo per servizi particolari, si ritiene vitale che la protezione indossata sia il più occultabile possibile, per evitare che il fuoco rivolto alla persona sia appositamente diretto verso le aree scoperte (testa, collo, bacino). 35 Negli Stati Uniti, la delinquenza, dopo che la polizia ha adottato i giubbotti antiproiettile esterni, ha diminuito il calibro delle armi passando dalle grosse 357 Mag. alle 22 LR o alle 22 Magnum mirando alla testa. FUNZIONAMENTO DEL GIUBBOTTO ANTIPROIETTILE Il giubbotto antiproiettile, come già detto, è costituito da diversi strati di tessuto in fibra aramidica (Kevlar). Per capire in modo semplice ed elementare la funzione del tessuto di Klevar nella protezione balistica, si deve immaginare una porta di campo da calcio che, anziché usare la normale rete, ne utilizzi (sovrapponendole) un certo numero (ad es. 10, 16, o 22), con una maglia più sottile del normale e ben tese. Ora, lanciando in direzione di questa porta un pallone (all’incirca 5 volte più soffice del materiale con cui sono realizzate le reti) ad altissima velocità ed immaginando al rallentatore l’effetto dell’impatto del pallone contro la rete, vedremo che si formerà contro le reti sovrapposte un effetto cono di estroflessione, mentre il pallone, essendo più soffice, si schiaccerà “effetto fungo” diminuendo in modo decrescente la sua velocità ed energia. In questo caso, alla fine della sua corsa, la palla sarà, per la sua leggerezza ed elasticità, rilasciata e rimbalzata all’indietro mentre, contro una protezione balistica, il proiettile, essendo di materiale solido, dopo la deformazione per l’impatto rimane generalmente trattenuto “intrappolato” dal tessuto. Questo effetto è chiaramente visibile osservando un proiettile dopo un impatto contro il Klevar; si noterà una tipica espansione a forma di fungo. La velocità limite per un proiettile ordinario, cui la fibra aramidica riesce a resistere è di circa 550 m/s. Una volta tessuto il Kevlar, per la sua tenacità e resistenza, ha la capacità di intrappolare i proiettili rallentandone progressivamente sia la corsa che l’energia. Secondo la teoria, l’Energia Cinetica Ec associata ad un corpo in movimento alla Velocità V e dotato di Massa M è data dalla formula: Ec = M x V (Forza Viva)/ 2 Agendo sulle due variabili M e V si possono ottenere infinite combinazioni di valori a pari energia cinetica. E’ il classico e dibattuto problema della scelta del calibro per ottenere un adeguato arresto del proiettile (stopping-power): meglio un massiccio e lento calibro 45 o un piccolo e veloce calibro 9 mm? Dal punto di vista dell’esperienza appare chiaro che il solo valore dell’energia non è un parametro adeguato di giudizio; è impossibile prescindere dalla velocità con cui il fenomeno avviene. A riprova di quanto detto si può riportare il seguente paradosso balistico: consideriamo una piastra di acciaio da corazza (Armour Steel) dello spessore nominale di 6 mm, caratterizzata da una durezza Brinnel 495. Un colpo di 7.62x51 Nato sparato dal classico Fal con proiettile di ordinanza Smi da una distanza di 10 m. e ad una velocità di impatto di 839 m/s, corrispondente a ben 3350 joule di energia, viene trattenuto mentre due colpi ben distanziati di 5.56x45 Nato sparati dalla distanza di 10 m. con un M16 A1 e con munizionamento M193ad una velocità variante dai 980 ai 1020 m/s, cui corrisponde una energia di soli 1750 joule, passano entrambi tranquillamente oltre la piastra. Il principio secondo il quale ad ogni corpo in movimento sia associata un’onda, così come è stato intuito dal De Broglie, deve essere esteso al caso dell’urto ed allo studio delle reazioni che il bersaglio oppone al proiettile collidente e soprattutto alle violente forze risultanti dalla composizione dei fronti d’onda. In particolare si deve sfatare la convinzione che il bersaglio possa opporre una sola resistenza passiva: se adeguatamente conformato e di materiale opportuno, è possibile avere un comportamento attivo. BLUNT TRAUMA Tutti pensano comunemente che il giubbotto antiproiettile sia efficace solo se ferma un proiettile. Un dato appurato è che si può rimanere feriti anche se la palla non passa il giubbotto. Questo effetto è chiamato “BLUNT TRAUMA”. Il BLUNT TRAUMA è il risultato della distanza che la palla compie dopo l’impatto con il giubbotto, oppure, in altro modo, la profondità del rigonfiamento interno, anche se la palla non perfora il giubbotto. 36 Gli standards industriali e le specifiche del Dipartimento delle Armi Americano responsabile del settore, hanno stabilito che un giubbotto antiproiettile, per essere immesso sul mercato,non deve oltrepassare i 44 mm. di BLUNT TRAUMA. Per diminuire il Blunt Trauma (B.T.) occorre distribuire l’energia della palla su una maggiore superficie del giubbotto nel minor tempo possibile. Le soluzioni al B.T., adottate in vari modi da tutte le ditte produttrici di giubbotti antiproiettile sono svariate: dai vecchi cuscini di piume, alle nuove tecnologie del poliuretano espanso. Quella più largamente usata sino ad oggi è stata la seguente: sovrapposti gli strati del tessuto aramidico, questi vengono cuciti tra loro sempre con del filo di Kevlar, incrociando le cuciture e formando piccoli quadri o rombi (più o meno 3x3 cm.) su tutta la superficie come una specie di rete. Questo tipo di soluzione ha portato sicuramente a ridurre il B.T., ma con un piccolo svantaggio: il maggior irrigidimento della protezione. Altre ditte usano il principio di intrappolare la palla come in una rete. Questo principio avviene utilizzando diversi tipi di Klevar tessuto con titoli diversi tra loro; una volta sovrapposti e cuciti, creano una decelerazione del proiettile dopo l’impatto con il giubbotto. Però in questo modo la palla non si deforma e quindi, a volte, riesce a penetrare il giubbotto. Questo processo di decelerazione può consentire alla palla di continuare la sua corsa dopo l’impatto, causando in questo caso maggior danno. Per intrappolare il proiettile è necessario che il Klevar sia libero di muoversi come parte di una rete. Alcune Ditte (Arnoplastik) interpongono, all’interno del giubbotto, tra l’ultimo strato di Klevar e la veste che ricopre tutto, una lastra di materia tipo gomma che assorbe velocemente l’onda d’urto data dal proiettile e la propaga su tutta la sua superficie senza un elevato rigonfiamento all’interno. Chiaramente, il contenere il più possibile l’effetto del B.T., è un fattore importante perché l’indice di invalidità sia permanente che temporanea per taluni tipi di munizioni, può essere talmente elevato da causare la messa fuori combattimento di colui che viene attinto. Inoltre, ci sono stati dei casi mortali senza perforazione dell’indumento, ma le cartucce usate non erano incluse nella classe per cui il giubbotto antiproiettile era idoneo (erano munizioni sparate da armi lunghe e dotate di velocità molto elevate e fuori standard), per cui non si è trattato di B.T. con ferite mortali dovute magari all’intervento di costole rotte che hanno perforato organi vitali o di un violento shock idrodinamico che ha fatto scoppiare grandi organi cavi, ma di una vera e propria penetrazione della parte a contatto con il corpo in seguito ad estroflessioni considerevoli (78 mm). NORMATIVE E TEST In Italia non esiste per il momento nessuna normativa riguardo alla protezione balistica (nel settore privato), negli Stati Uniti, invece, tutto il materiale prima di essere messo in produzione e commercializzato deve superare severi test di collaudo. Si è già fatto cenno agli standard NIJ e PPAA di cui tralasciamo in questa sede i raffronti e le relative comparazioni, vediamo invece cosa dicono le normative americane perché un giubbotto antiproiettile possa essere classificato, con l’adeguato livello di protezione. La tabella che segue riporta i valori di riferimento relativi ai calibri ed i loro livelli energetici abbinati ai vari gradi di protezione, indipendentemente dal materiale impiegato per la loro confezione Classificazione 1, livello di protezione = I, calibri: .22 LRHV, 40 grs, 1050+fps; .38 special RN, 158 grs, 850+50 fts. Classificazione 2, livello di protezione = IIA, calibri: 9 mm FMJ, 124 grs, 1090+50 fps; .357 Mag JSP, 158 grs, 1250+50 fts. Classificazione 3, livello di protezione = II, calibri: 9 mm FMJ, 124 grs, 1175+50 fps; .357 Mag JSP, 158 grs, 1395+50 fps. CLassificazione 4, livello di protezione = IIIA, calibri: 9 mm FMJ, 124 grs, 1400+50 fps; .44 Mag LSWC, 240 grs, 1400+50 fps. Classificazione 5, livello di protezione = III, calibri: 7,62 FMJ, 150 grs, 2750+50 fps. Classificazione 6, livello di protezione = IV, calibri: 30-06 AP, 166 grs, 2850+50 fps. 37 E.P.T.S. ACADEMY MAGAZINE Tutti i diritti riservati © E.P.T.S. ACADEMY