EPTS ACADEMY MAGAZINE n1 06

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EPTS ACADEMY MAGAZINE n1 06
E.P.T.S. Academy
MAGAZINE
La E.P.T.S.
ACADEMY
PROTEZIONI
PASSIVE
PERSONALI
Il C.R.I.S.C. e
lo stress da
combattimento
GLOCK 19C
"TACTICAL"
LE FoRmAzioni
PROTETTIVE NELLA "close
protection"
E.P.T.S. ACADEMY MAGAZINE n.1 Giugno - LUGLIO 2016
EDITORIALE
RICCARDO MAZZARA
Direttore Generale
UNA RIVISTA ONLINE PER GLI "ADDETTI AI
LAVORI" NEL SETTORE DELLA SICUREZZA
RAVVICINATA o "CLOSE PROTECTION"
L'
BIOGRAFIA
Riccardo Mazzara, nasce nel 1963 in un piccolo paesino del Grossetano. Dopo il diploma
all'Istituto Tecnico Statale di Livorno si arruola nelle Forze Speciali dell'Esercito
(Paracadutisti della Folgore) dove vi rimane per un breve periodo di tempo.
Una volta congedatosi effettua numerosi corsi di formazione di P.S.D. , presso le
Accedemie della Sicurezza più importanti a livello internazionale site negli Stati Uniti, in
Israele , Repubblica Ceca, Germania, Francia, ecc..
Successivamente inizia a lavorare nel settore della Close Protection sia in Italia ma
sopratutto all'estero in teatri operativi molto complessi.
Nel 1996 fonda la E.P.T.S. ACADEMY che subito diventa un punto di riferimento per la
formazione nazionale. L'accademia ottiene successivamente le certificazioni più
prestigiose lavorando per conto di multinazionali di rilevanza internazionale ma anche
per la NATO e l'ONU.
idea editoriale che mi ha spinto a creare questa rivista online, che parlasse di
argomenti inerenti il settore della CLOSE PROTECTION o Sicurezza Ravvicinata, è
stata quella inerente una effettiva e totale carenza di pubblicazioni inerenti
questa materia. Nessuno o quasi, scrive o pubblica niente su questo argomento,
quasi fosse proibito. Le problematiche inerenti la figura del P.S.D. (Personal
Security Detail) le conosciamo tutti : in Italia questa professione non è consentita
ai privati ma soltanto agli appartenenti alle Forze dell'Ordine o delle Forze
Armate.
E di questo ne parleremo ampiamente nelle prossime pubblicazioni. Ma il
silenzio assoluto su tutta una serie di argomenti di interesse generale e
professionale, mi sembra eccessivo. Molti degli operatori formati dalla E.P.T.S.
ACADEMY sono riusciti a trovare seri sbocchi professionali anche su mercati
internazionali. Questa professione, nonostante tutto e tutti esiste, e a mio avviso è
importante parlarne.
Mi sono preso l'onere e l'onore di colmare questa lacuna, con i miei modesti
mezzi e forse capacità, ma di fatto sone oltre venticinque anni che lavoro nel
settore, sia come operatore che come formatore. Per cui non me ne vogliate,
ritengo di avere qualcosa da dire anch'io.
Tutti coloro che avranno la bontà di seguirmi in questa avventura editoriale,
troveranno all'interno di questa rivista articolori inerenti le tattiche e procedure di
scorta, gli equipaggiamenti, le tecniche di tiro operativo e tanto altro ancora che
scriverò, anche sulla base di eventuali indicazioni che mi arriveranno dai nostri
lettori.
Riccardo Mazzara
Gestisce con successo Istituti di Investigazione Privata operanti su Livorno, Pisa, Roma e
Campobasso e Istututi di Vigilanza Privata operanti su Livorno e Caserta.
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INDICE DEI CONTENUTI
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GLOCK 19C "TACTICAL"
LO STRESS DA COMBATTIMENTO
LE FORMAZIONI PROTETTIVE NELLA "CLOSE PROTECTION"
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PRESENTAZIONE E.P.T.S. ACADEMY
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PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI
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LO STRESS DA COMBATTIMENTO
EFFETTI DELLO
STRESS da
COMBATTIMENTO
SULLA PERFORMANCE
OPERATIVA
di Riccardo Mazzara
L
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a ricerca scientifica ha dimostrato che gli effetti fisiologici dello stress
da combattimento, possono avere un significativo impatto negativo
sulle prestazioni negli scenari di “vita o di morte”. Lo stress da
combattimento può avere un profondo impatto negativo su ciò che
si sente (esclusione uditiva), e su ciò che si vede (visione a tunnel, e la
perdita della visione ravvicinata), e su come si pensa (comportamento
irrazionale), e su ciò che si fa (la perdita del controllo motorio). Questi
effetti possono anche cambiare il modo in cui si sanguina
(vasocostrizione). Questo processo non può mai essere considerato
del tutto negativo, ma gli operatori adeguatamente preparati saranno
in grado di anticipare e individuare queste risposte in sé stessi e gli
altri, avviando alcune misure di salvaguardia per limitare o controllare
gli effetti dello stress da combattimento sulle prestazioni operative. Al
fine di meglio comprendere la nostra metodologia addestrativa
denominata C.R.I.S.C (Combative Response in Stress Condictions)
rappresenteremo nelle righe sottostanti alcuni esempi derivanti da
esperienze di combattimento reali :
- R.S. entra in un deposito armi
militari dove un allarme silenzioso
è stato attivato. Il suo partner, F.Z.,
si mette in copertura vicino alla
porta estraendo la sua arma,
preparandosi a fornire la
copertura come prevede il
manuale operativo, mentre R.S.
continua la sua strada con
cautela lungo il lato destro
dell'edificio. Mentre si muove
attraverso il silenzioso deposito
R.S. è consapevole del suo cuore
sta battendo forte nel suo petto e
che le sue mani sono fredde ma,
il suo pensiero e la visione sono
chiare. Lui è un operatore
veterano ed esperto, fiducioso e
vigile.
Ad distanza stimata di 6 metri,
qualcuno inizia a sparargli contro.
Immediatamente la frequenza
cardiaca di R.S. sale alle stelle. Il
rumore del colpo esploso dal suo
avversario è in piena espansione
verso di lui nello suo spazio
ristretto, percependo questa cosa
come una sorta di “colpo fisico”,
ma dopo il primo sparo R.S. non
percepisce più tutti gli altri suoni,
sentendo a malapena i colpi
successivi esplosi dall’avversario e
il suo fuoco di ritorno. A questo
punto, la sua visione si è talmente
ridotta da non vedere più nulla di
chi gli sta sparando (in particolar
modo la sua pistola) non
riuscendo neppure ad individuare
la presenza di un secondo
malvivente. In seguito R.S.
avrebbe dichiarato di essere
convinto che l’avversario tiratore
si era avvicinato a lui con un
effetto “zoom” come in un
incubo: non era in grado di
concentrarsi sul bersaglio che gli
sembrava sfocato. R.S. continua
a sparare, colpo dopo colpo,
senza mai colpire nessuno. Dopo
il primo colpo mancato il
bersaglio sembra quasi
impossibile da colpire. R.S. viene
colpito ad una spalla ma appena
lo percepisce. F.Z. si trova a poca
distanza dal conflitto a fuoco, e si
sposta al fine di ottenere una
buona visuale per un “clear shot”.
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Lo stesso riesce a sparare, da ben
oltre il doppio della distanza da
dove si trovava R.S., e ogni colpo
esploso centra l’aggressore
uccidendolo all’istante. F.Z. si
sposta in direzione di R.S. e
appena raggiunto gli controlla la
ferita alla spalla . Il
sanguinamento è minimo per
cui non sussistono motivi di
preoccupazione. A questo punto
F.Z. va ad ammanettare l’altro
aggressore superstite ferito
mentre R.S. lo copre. Finita la
procedura d’ammanettamento
F.Z. torna da R.S. e lo trova in un
lago di sangue. R.S. è svenuto e
dalla sua ferita alla spalla scorre
moltissimo sangue.
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Per capire veramente tutto
quello che è accaduto in questo
scenario operativo, è necessario
capire che cosa è lo “stress da
combattimento”. Lo “stress da
combattimento” è definito come
la “percezione di una minaccia
imminente di gravi lesioni
personali o di morte”, oppure
quando abbiamo la
responsabilità di proteggere un
collega da un pericolo
imminente di gravi lesione o
morte e quando, soprattutto, il
tempo di risposta è minimo. Lo
stress da combattimento attiva il
Sistema Nervoso Simpatico o
SNS a mezzo di quel
meccanismo meglio conosciuto
col nome di “combatti o scappa”
in inglese noto come “fight or
flight”. L'attivazione dell’SNS è di
fatto una risposta automatica e
praticamente non gestibile e che
controlla tutti i sistemi volontari e
involontari fino a quando la
minaccia è stata eliminata o
elusa. L’attivazione dell’SNS è un
potente meccanismo di
sopravvivenza che hanno tutti i
mammiferi e che permette agli
stessi di concentrarsi
completamente tutte le risorse
corpo nel momento in cui si
decide di confrontarsi con
l’avversario (fight) oppure di
scappare da esso (flight). Questi
effetti possono essere gestiti
efficacemente ad esempio per un
leone in fase di “carica” oppure da
una gazzella in fuga ma, per un
funzionario di polizia o un
operatore della sicurezza che
deve prendere delle decisioni
fondamentali di vita o di morte, in
poche frazioni di secondo, l’effetto
dell'attivazione SNS può essere
devastante. Lo stress da
combattimento può avere un
profondo impatto negativo su ciò
che si sente (esclusione uditiva),
su quello che si vede (visione a
tunnel), su come si pensa (tempi
di reazione rallentati), e ciò che si
fa (perdita del controllo motorio).
Tale stress può anche cambiare in
che modo si sanguina.
Questi effetti non potranno mai
essere completamente annullati
ma, operatori adeguatamente
preparati saranno in grado di
anticipare e individuare queste
risposte in se stessi e altri,
minimizzandone gli effetti
negativi sulla performance
operativa.
AUMENTO DELLA FREQUENZA
CARDIACA
In molti casi la frequenza cardiaca
aumenta istantaneamente in
conseguenza dell’attivazione del
SNS, dal momento in cui il
sangue è il veicolo principale per
gli ormoni coinvolti nel processo
di sopravvivenza. L’attivazione
dell’SNS porta la frequenza
cardiaca da un valore normale
medio di 70 battiti al minuto
(BPM) ad oltre 200 BPM in pochi
secondi. La frequenza cardiaca
normale è compresa tra i 60 e gli
80 BPM. Sopra i 115 BPM
capacità motorie cominciano a
deteriorarsi. Tra i 115 e 145 BPM è
il range ottimale per le
prestazioni di combattimento
dal momento in cui in questo
intervallo le capacità motorie
complesse, il tempo di reazione
visiva, e il tempo di reazione
cognitiva sono tutti ai loro valori
massimi. In queste condizioni un
operatore della sicurezza, con
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una frequenza cardiaca compresa tra il 115 e il 145
BPM avrà una grandissima difficoltà a scrivere un
rapporto di servizio (capacità motoria fine), ma la
sua mente sarà nitida e chiara, il suo tempo di
reazione sarà al suo meglio, e le capacità di tiro
da distanza saranno buone. Al di sopra dei 145
BPM le capacità motorie complesse cominciano
a deteriorarsi, e fino a 175 BPM siamo in
condizioni di mantenere le “grandi” capacità
motorie (fight or flight) per cui scappare o
andare verso un avversario per affrontarlo. È in
questa range (quello sopra 175 BPM) che i
sintomi più significativi dell’attivazione SNS si
verificano :
la vasocostrizione è ai massimi livelli (per
permettere all’organismo di arrestare il flusso di
sangue derivante dalle ferite superficiali)
Durante questi momenti possiamo avere
fenomeni fisici “imbarazzanti” ma incontrollabili
come lo svuotamento della vescica e
dell’intestino. Fenomeni normali dal punto di vista
fisiologico, in quanto il corpo reindirizza l'energia
da muscoli "non essenziali" per il processo di
sopravvivenza. Questi effetti sono indotti anche da
un rilascio ormonali che aumenta con la
frequenza cardiaca e che possono essere ridotti
con l’esercizio fisico specifico e l’addestramento
mirato. Se la frequenza cardiaca sale sopra certi
livelli, non vi è modo di evitare la risposta
ormonale (adrenalina) e non vi è modo di evitare
gli effetti sopra descritti. E’ soltanto attraverso il
duro e mirato addestramento (vedi C.R.I.S.C.) che
riusciamo a tenere sotto controllo il nostro
organismo, riducendo l’impatto dello stress da
combattimento sulle capacità operative.
la esclusione uditiva di solito si traduce in un
arresto importante della percezione uditiva
la visione a tunnel si presenta peggiorando
notevolmente la visione ravvicinata e la
percezione della profondità. In queste condizioni
possiamo avere la manifestazione di una vasta
gamma di comportamenti irrazionali come il
“freezing” o “congelamento”, dove l’operatore non
è più in grado di muoversi nonostante il pericolo
sia grave ed imminente, oppure la
“sottomissione” dove l’agente, attraverso un
processo mentale complesso non è più in grado
di reagire, pur muovendosi ancora.
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ESCLUSIONE UDITIVA
Ognuno dei cinque sistemi sensoriali (i cinque
sensi, noti anche come i sensi percettivi) forniscono
al cervello un flusso costante di informazioni, ma
quando il cervello si focalizza su di una minaccia
greve ed imminente, lo stesso cervello inizia a
sintonizzarsi sulle informazioni più rilevanti per la
sopravvivenza. Allo stesso tempo, il cervello si
desintonizzerà su ciò che non è destinato alla
sopravvivenza. Questo fenomeno viene chiamato
restringimento percettivo o attenzione selettiva.
Durante l'attivazione dell’SNS il processo di
restringimento percettivo diventa molto potente.
Solitamente la vista è il senso che fornisce le
informazioni più importanti in una situazione di
stress da combattimento, e di conseguenza il
cervello non elabora le informazioni provenienti da
qualsiasi degli altri sensi, in particolare dal uditivo.
Questo fenomeno è indicato come esclusione
uditiva. L’attenzione selettiva può anche
desintonizzare anche le sensazioni tattili, in modo
che graffi, tagli, colpi, e persino le ferite da proiettili
possono spesso non si farsi sentire. Va inoltre
osservato che possiamo avere fenomeni di
esclusione visiva quando il sistema uditivo diventa
la fonte principale di informazioni, come in
ambienti a scarsa o assenza di luce. L’esclusione
uditiva è un processo potente che può causare
grandissimi problemi, in quanto gli operatori in
situazioni di stress da combattimento per non
riescono a elaborare le informazioni critiche come
gli ordini verbali, le informazioni “gridate” dal
partner, oppure eventuali grida di resa da un
avversario durante uno scontro a fuoco. Non esiste
una "soluzione" reale da utilizzare quando si verifica
l'esclusione uditiva, ma quando si cerca di
comunicare a voce con un individuo che si in una
situazione di stress da combattimento è a volte
utile prima ottenere la sua attenzione attraverso
metodi visivi, e sempre di fronte a lui.
VISIONE A TUNNEL E ALTRI PROBLEMI VISIVI
La vasocostrizione indotta dal SNS e processi
ormonali correlati che hanno una profonda
influenza sul resto del corpo interessano anche il
sistema visivo. Tutto ciò ha un impatto
particolarmente devastante sulle prestazioni
dell'attività operative in un ambiente di
combattimento, poiché il sistema visivo svolge un
ruolo fondamentale in quasi tutti gli aspetti delle
prestazioni di combattimento. Le implicazioni
tattiche dell’attivazione del SNS sulla visione
includono :
Tunnel Vision : visione a Tunnel (chiamata anche
restringimento visivo) è un fenomeno in cui si
perde tutta la visione periferica. La vostra visione si
restringe letteralmente giù come se si stesse
cercando qualcosa attraverso un tunnel o un tubo,
con una riduzione del 70 % (o più) del campo
periferico. Fondamentalmente il restringimento
percettivo ha imposto a tutti i sensi di “disattivarsi”
ad eccezione di uno (di solito la visione), e il
restringimento visivo nasce di fatto per permettere
alla mente di elaborare soltanto una minima parte
di tutte le informazioni possibili cioè quelle più
critiche (come ad esempio informazioni inerenti la
minaccia) che non debbono essere perdute.
Perdita della visione ravvicinata : la perdita della
visione ravvicinata causa grande difficoltà a
concentrarsi su qualsiasi oggetto posto al di sotto
dei 130 cm. Questo è il risultato della dilatazione
della pupilla, che nasce dalla attivazione del SNS.
La dilatazione della pupilla influenzerà la capacità
di vedere le tacche di mira di un'arma da fuoco o
le minacce ravvicinate e i relativi segnali visivi.
Perdita di capacità di messa a fuoco : l’attivazione
del SNS provoca il rilassamento e la perdita del
controllo dei muscoli che controllano la lente
retinica, causando a sua volta una visione distorta
nel momento in cui ci si concentra sull’obiettivo. A
questo punto, nonostante la riduzione delle
informazioni sensoriali che arrivano al cervello,
dovuta all’imminente minaccia (a causa del
restringimento percettivo e visivo) risulta essere
non soddisfacente causando una diminuzione
significativa capacità di precisione e rendendo il
tempo di reazione più lungo della risposta
offensiva o difensiva.
Perdita della visione monoculare : questo genere
di visione è principalmente utilizzata quando si
deve mettere a fuoco un bersaglio durante un
conflitto armato e quando la precisione diventa
fondamentale (tiro con fucile su lunghe distanze
oppure attività di “sniping”. L’attivazione del SNS
inibisce tiro monoculare e l’operatore non può
passare alla visione binoculare anche se
quest’ultima migliora nelle attività a breve
distanza compromettendone il risultato operativo.
Perdita della percezione della profondità : la
perdita della percezione della profondità causerà
all’operatore un grave problema di stima della
distanza effettiva della minaccia (si percepisce
l’aggressore molto più vicino di quanto non lo sia
nella realtà). Il deterioramento della percezione
della profondità accade nei momenti di grave
pericolo per la propria vita e per quella dei
colleghi, nel momento in cui si è chiamati ad
estrarre rapidamente la pistola dalla fondina e
rispondere al fuoco. La perdita di percezione della
profondità in questa particolare situazione
provocherà spesso un errore di “tiro basso” sul
bersaglio.
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Capacità motorie complesse : queste sono le
competenze che coinvolgono una serie di gruppi
muscolari in una serie di movimenti che richiedono
coordinazione mano/occhio, la lor precisione, il
monitoraggio e la tempistica. La capacità di
sopravvivenza deve includere anche l’analisi ad
esempio di alcune posizioni di tiro utilizzate dagli
operatori, che attivano gruppi muscolari complessi
e operano con diversi o asimmetrici movimenti (es.
la posizione Weaver), o nelle tecniche di difesa
disarmata, che anch’esse coinvolgono più
componenti muscolari indipendenti. A circa 145
BPM le abilità motorie complesse decadono.
Perdita della visione notturna : i recettori per la
“vista notturna” si trovano principalmente nel
campo periferico. Questo è il motivo per cui gli
nelle procedure operative di polizia di insegna ad
effettuare, in queste particolari situazioni, uno "
Scan" (muovere la testa a 180 gradi e oltre) in modo
tale da attivare questi particolari recettori. La perdita
del campo periferico a causa della visione a tunnel
si traduce in una perdita della visione notturna.
Come abbiamo già affermato in precedenza, se il
SNS si attiva, non possiamo evitare questi effetti
negativi sulla visione ma, gli stessi possono essere
ampiamente compensati con specifiche sessioni di
addestramento. Ad esempio, agli operatori preposti
ai servizi di sicurezza (Forze di Polizia, Esercito e
Privati) dovrebbero essere insegnate tutte quelle
tecniche operative atte a sviluppare l'abitudine di
muovere la testa durante l’addestramento al fine di
compensare la visione a tunnel. Allo stesso modo, i
programmi di addestramento al tiro debbono
enfatizzare le procedure di tiro istintivo che
riducono la dipendenza dal tiro mirato nelle
situazioni di combattimento ravvicinato.
INCREMENTO DEI TEMPI DI REAZIONE
La “combat performance” è una network composto
da tre operazioni: la percezione sensoriale, i
processi cognitivi di input sensoriali, e le prestazioni
delle capacità motorie. Ogni sistema è collegato
agli altri due, e la combat performance può essere
ridotta quando interrompiamo uno dei sistemi.
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Dal punto di vista del combattimento, l'elaborazione
delle informazioni è più facile capire se lo
consideriamo come tempo di reazione per la
sopravvivenza ovvero il processo di percepire una
minaccia e l'avvio di una risposta di sopravvivenza.
Questo può essere suddivisa in quattro fasi :
1)
Percezione
2)
Analisi e valutazione del livello di minaccia
3)
Formulazione di una risposta (difensiva e/o
offensiva)
4)
Inizio di una riposta motoria
Questi passaggi devono essere completati in
sequenza e l'esecuzione di ogni fase è dipendente
dalla quantità di informazioni presenti nella fase
precedente. Se una fase non dispone di
informazioni sufficienti, tempo di reazione può
aumentare. La ricerca ha dimostrato che
l'elaborazione delle informazioni inizia a
compromettersi quando la frequenza cardiaca
supera i 145 BPM, e crolla a livelli insufficienti
quando la frequenza cardiaca supera 175 BPM.
Il modello di reazione tempo di sopravvivenza
corrisponde agli effetti di attivazione del SNS sulla
visione. Come il campo visivo collassa e la
percezione sensoriale è interrotta (Fase 1) così come
accade per l’abilità del cervello di analizzare e
valutare le informazioni (Fase 2). Se vengono inibiti
questi due passaggi, non si verificano ritardi nella
formulazione di una risposta (Fase 3) e della risposta
motoria (Fase 4).
L'impatto tattico complessivo della attivazione del
SNS sulla elaborazione cognitiva e il tempo di
reazione di sopravvivenza includono :
Capacità motorie ampie : si riferiscono all'azione dei
muscoli maggiori o di gruppi muscolari più
importanti. Un esempio di questo possiamo
trovarlo nelle azioni semplici come tirare un pugno
dritto, un colpo di baton in avanti o nella posizione
di tiro isoscele. In generale, le capacità motorie
ampie sono semplici capacità che si riferiscono alla
forza e/o capacità che coinvolgono semplici
movimenti simmetrici. Queste capacità sono le
uniche che non decadono, anzi si implementano,
con l’aumento frequenza cardiaca dovuta
all’attivazione del SNS.
- il tempo di reazione alla sopravvivenza (può
aumentare sino a quattro volte)
- disturbi della concentrazione
- fallimento nello sviluppo di una risposta di logica di
sopravvivenza
- comportamento irrazionale
- ripetizione di azioni (comprese anche quelle
chiaramente inefficaci o inappropriate)
- Freezing o congelamento sul posto
- comportamento remissivo (rinuncia ad ogni tipo di
azione)
Gli effetti dell’attivazione del SNS sulla capacità
motorie devono essere presi in considerazione in
ogni momento dell’attività operativa. Quando
possibile, ogni soggetto che è coinvolto in attività
che richiedono capacità motorie fini (ad esempio i
cecchini) dovrà essere “protetto” evitando di essere
coinvolto in “prima linea” rimanendo nelle retrovie e
chiamati al momento giusto. In questo caso viene
garantito il mantenimento delle abilità motorie
richieste dal contesto operativo.
DETERIORAMENTO DEL LIVELLO DI ABILITA' MOTORIA
VASOCOSTRIZIONE
Quanto segue è una panoramica delle tre
classificazioni di base dell’abilità motoria, e di come
l’attivazione del SNS influenzerà ciascuna di esse :
Molti di noi hanno sentito le mani congelarsi a
causa di stress, o abbiamo stretto la mano a
qualcuno con le mani fredde, che generalmente
può essere un'indicazione di un livello di stress. La
mano freddo a causa della mancanza di
circolazione è uno dei sintomi iniziali della
vasocostrizione. Immaginatevi se piccoli livelli di
stress causano questa reazione, cosa succede
quando questi livelli si alzano (es. stress da
combattimento). A livelli più elevati di attivazione
del SNS, la vasocostrizione nelle mani e nelle dita si
riduce in una perdita di destrezza della mano, e la
vasocostrizione nell'occhio inibisce il processo visivo,
ma vasocostrizione ha anche un’altra importante
implicazione.
Capacità motorie fini : si riferiscono a competenze
che richiedono coordinazione mano/occhio e la
destrezza della mano. Nella categoria abilità per la
sopravvivenza, una abilità motoria fine dovrebbe
includere azioni che richiedono una coordinazione
fina mano/occhio, come ad esempio scrivere un
rapporto, capacità di tiro di precisione, ricarica
dell’arma, o la guida in sicurezza di un veicolo. A
circa 115 BPM gli effetti della vasocostrizione alle
mani e le dita riducono la destrezza della mano
necessaria per le capacità motorie fini.
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La vasocostrizione sembra giocare un ruolo
importante nelle situazioni di sopravvivenza
limitando la perdita di sangue durante il
combattimento. Va ricordato che durante il
combattimento (cioè durante l'attivazione SNS) un
corpo può sopportare grandi ferite senza
sanguinamento significativo. Questo può essere
molto ingannevole, infatti pochi minuti dopo
combattimento, quando l'attivazione SNS si riduce,
ci sarà un effetto opposto noto come
vasodilatazione, che causerà maggiore di
sanguinamento rispetto al normale. Pertanto è
fondamentale che tutte le ferite da arma da fuoco o
da coltello devono essere trattati immediatamente
applicando una forte pressione. Se una ferita
sanguina eccessivamente durante l'attivazione del
SNS probabilmente abbiamo l’interessamento di
un’arteria e dobbiamo mettere in atto le
contromisure appropriate (es. applicare un punto di
pressione e/o un laccio emostatico).
PREVENIRE O RIDURRE L'ATTIVAZIONE DEL SNS
Ed è per questo che la E.P.T.S. ACADEMY ha ideato
un sistema addestrativo brevettato denominato
C.R.I.S.C. (Combative Response in Stress Condictions)
che tiene conto di quanto sopra descritto.
Ci sono cinque variabili principali che sono state
identificate come aventi un impatto immediato sul
livello di attivazione SNS e che sono:
- livello percepito di minaccia (che vanno dal rischio
di lesioni mortali, la distanza fisica dalla minaccia è
un componente chiave di questa variabile)
- tempo necessario per preparare una risposta
tattica (ancora una volta, la distanza può essere un
fattore chiave. Una maggiore distanza di solito
permette una migliore gestione del tempo di
reazione
- livello di fiducia nelle proprie competenze e nel
proprio addestramento
- livello di esperienza nel trattare specifica minaccia
- stress fisico (stanchezza, mancanza di sonno, la
malnutrizione, ecc..) in combinazione con lo stress
da combattimento.
Da notare che la maggior parte di queste variabili
può essere fortemente influenzata dalla formazione
e dal proprio background operativo. E’ stato
dimostrato che se di attiva il SNS ad una
determinata frequenza cardiaca, allora non vi è
alcun modo per prevenire gli effetti negativi
associati a quel livello di frequenza cardiaca. Ma è
possibile ridurne l'impatto (e aumento della
frequenza cardiaca risultante) sullo scenario
operativo di combattimento. Questo viene fatto
attraverso la formazione degli operatori in
condizione di stress indotto in realtà simulata.
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Infatti, così come un medico nel voler proteggere il
paziente da una malattia, gli inocula una piccola
dose di tale malattia, al fine di implementare il
sistema immunitario, in modo tale che quando
dovrà affrontare la malattia reale la stessa non lo
ucciderà (inoculazione), allo stesso modo, se
riusciamo ad addestrare gli operatori della sicurezza
nelle condizioni ambientali più vivine possibile alla
realtà e lo facciamo inoculando ad essi livelli di
stress progressivamente più elevati, saremo certi che
nelle stesse condizioni nella vita reale, tali operatori
agiranno efficacemente riducendo gli effetti
derivanti dall’attivazione del SNS. Ricerche
specifiche condotte durante intense fasi
addestrative dove gli operatori avevano posizionato
alcuni monitor della frequenza cardiaca, hanno
dimostrato che operatori veterani molto spesso
avevano battiti di oltre 200 BPM nella loro primo
simulazione. Ma dopo diverse sessioni addestrative
le frequenze cardiache dei partecipanti potevano
quasi sempre essere portate nel "range di
sopravvivenza ottimale " comprese tra i 115 e 145
BPM, range dove le abilità motorie complesse, il
tempo di reazione visiva, e il tempo di reazione
cognitiva sono tutti al loro massimo.
Ogni allievo che effettua i corsi operativi
dell’accademia viene “catapultato” in situazioni
operative estremamente vicine alla realtà e
progressivamente addestrato con l’inoculazione di
livelli di stress sempre più alti.
In questo modo non soltanto imparerà a tenere
sotto controllo il livello di frequenza cardiaca
(costantemente monitorizzato) in modo tale da
evitare l’attivazione del SNS, ma in queste condizioni
le tecniche acquisite saranno memorizzate nell’area
del cervello destinata alla sopravvivenza o “cervello
arcaico”.
Qualora, durante lo svolgimento della propria attività
operativa, all’allievo di dovessero presentare
situazioni vicine a quelle testate durante il corso egli,
senza rendersene conto, metterà in atto
lucidamente e quasi “involontariamente” le tecniche
acquisite memorizzate nel cervello arcaico,
riducendo significatamente tempi di risposta e
questo credetemi
può rappresentare la differenza tra vita e la morte.
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P.S.D. (personal security detail)
di Riccardo Mazzara
L
e formazioni protettive
normalmente utilizzate dai Team
di Protezione sono principalmente
tre e sono quella denominata
"BOX",
"DIAMANTE" e a "V".
•
BOX : la formazione a “BOX” è molto buona
per una difesa a 360 gradi, ha un ottimo impatto
visivo ma, per le sue caratteristiche da troppo
spazio tra ogni operatore
•
DIAMANTE : la formazione a “diamante”
filtra molto bene la folla dal Protetto ma talvolta
può apparire troppo aggressiva
•
V : la formazione a “V” filtra bene la folla dal
Protetto ma allarga in grande misura l'arco
individuale di responsabilità degli agenti di
protezione
La scelta della formazione sarà in funzione del
tipo di minaccia e di conseguenza del numero
degli operatori assegnati, e anche dall'impatto
visivo desiderato. Ogni tipologia di formazione ha
aspetti positivi e negativi, ma tutte le formazioni
protettive devono includere una difesa a livelli di
anelli concentrici, dove il PPO rappresenta l'anello
più interno.
La Protezione Diretta è un servizio su misura che
dipende ed è sensibile a tutta una vasta gamma di
fattori considerati nel processo di valutazione del
rischio. Nella sua forma più semplice una unità
Close Protection comprende:
• Un PPO (Personal Protection Officer) assegnato al
Protetto (BG)
• Almeno tre responsabili della protezione che
agiscono nel nucleo di scorta personale (nella
maggior parte delle formazioni protettive, il numero
di agenti di protezione è quattro). Chiaramente il
tutto deve essere dimensionato in base al livello di
LE FORMAZIONI
PROTETTIVE NELLA
"CLOSE PROTECTION"
16
rischio del personaggio da proteggere.
Questi operatori della protezione necessitano di
due veicoli, uno per il Protetto, il PPO e il Driver e
l’altro gli operatori della protezione o PET (Personal
Escort Team) con il relativo Driver.
Da questo “pacchetto” di base, il comando
operativo determinerà il tipo e il numero di attività
aggiuntive che sono eventualmente necessarie
Il PPO viene assegnato direttamente al Protetto
(VIP). Nel caso di un attacco o di un altro incidente
di sicurezza, la risposta tattica immediata del PPO
sarà di assumere il controllo ed estrarre il Protetto
dalla zona di pericolo. Il PPO ha il ruolo specifico di
agire come guardia del corpo e non dovrebbe
essere distratto da questo dovere avendo anche la
responsabilità di impartire gli ordini e coordinare le
azioni dell’Unità di Protezione. Il responsabile della
protezione personale (PPO) assegnato al Protetto
rimarrà sempre in ogni momento con il Protetto
agirà come sua ultima linea di difesa.
Nella formazione a BOX, i quattro Operatori della
Sicurezza prenderanno posizione ai quattro angolo
di un quadrato immaginario e avranno ognuno la
propria area di responsabilità. Il nucleo di scorta
personale (PET) fornisce un secondo livello di
protezione in prossimità del Protetto
17
Nella scorta a piedi, questi agenti manterranno comunicazione
visiva e verbale con il PPO a distanze dettate dall'ambiente in
cui si trovano. Quando si esegue invece uno spostamento con
veicoli, questi operatori viaggeranno in un ulteriore veicolo a
loro assegnato, oltre al veicolo dove viaggia il Protetto con il
PPO. In caso di attacco il PET risponde alla minaccia fornendo
copertura durante l'estrazione del Protetto. Se invece viene
attaccato il veicolo del Protetto, ed è impossibile l’estrazione
dello stesso, il PET fornirà tutta la difesa tattica attorno al veicolo
dello stesso in modo tale da trattare immediatamente
eventuali ferite e pianificarne l’estrazione.
La formazione a Box offre al Protetto una visione chiara di ciò
che ha di fronte.
Nella formazione a V, i responsabili del PET assumono una
posizione seguendo le linee di una V immaginaria e ciascuno ha
propria area di responsabilità.
L’operatore della Sicurezza Ravvicinata (PPO) viene assegnato
direttamente alla protezione del Protetto (VIP).
La formazione V è molto spesso utilizzata quando il team di
protezione deve passare velocemente attraverso la folla.
Nella formazione a diamante, i responsabili del PET assumono
una posizione come in un angolo di una losanga immaginaria,
e ciascuno ha propria area di responsabilità.
L’operatore della Sicurezza Ravvicinata (PPO) viene assegnato
direttamente alla protezione del Protetto (VIP). La formazione a
diamante appare più aggressivo quando ci si deve muovere tra
la folla.
.
18
L’immagine di sopra mostra una formazione a basso profilo con
due operatori. In alcuni paesi le Forze dell’Ordine non
forniscono nessun supporto a nuclei di protezione composti da
meno di tre unità.
L’immagine di sopra mostra una formazione a basso profilo con
tre operatori. Questo schema protettivo è comunemente usato
dai team di protezione francesi.
L’immagine di sopra mostra una formazione a basso profilo con
quattro operatori. In questo caso un operatore della protezione
(BG) è completamente “dedicato” al Protetto ed è responsabile
della sua estrazione ed evacuazione.
19
La PROTEZIONE DIRETTA
•
Il ruolo primario dell’Operatore della Sicurezza Ravvicinata è quello
di estrarre e evacuare il Protetto (mettendolo in sicurezza) a fronte di un
attacco o “incidente di sicurezza”
•
Le “vie di fuga” debbono essere identificate in ogni luogo sicuro e
location utilizzati dal Protetto, in modo tale da permetterne una facile
identificazione ed utilizzo
•
Le formazioni “a piedi” possono essere supportate dalle Forze di
Polizia (FPU) o Militari sia a livello locale o negli stati esteri
Il ruolo primario dei responsabili della protezione durante un incidente è
quello di estrarre il Protetto e portarlo in un “luogo sicuro”. I luoghi sicuri
debbono essere scelti in modo accurato in modo tale che le vie di fuga
siano di facile identificazione e fruibilità.
Durante ogni percorso effettuato dal Protetto debbono essere identificati
luoghi sicuri e percorsi idonei per arrivarci. Inoltre debbono essere
identificati inoltre anche Ospedali e Stazioni di Polizia.
In caso di attacco e la successiva confusione che si crea, gli addetti alla
protezione debbono essere messi in condizione di estrarre il Protetto, di
riorganizzarsi (consolidando il Team di Protezione) e successivamente di
muovere verso un luogo sicuro.
L'unità di protezione ravvicinata può essere supportata da Forze di Polizia o
Militari in caso di visita in zone particolarmente a rischio. Le immagini
seguenti ne descrivono l’impiego.
20
21
La Comunicazione nella PROTEZIONE DIRETTA
•
DURANTE IL MOVIMENTO A PIEDI
Cambio di direzione e stop
•
DURANTE L’USCITA DA VEICOLI
Comando di uscita dal veicolo e ingresso nell’edificio
Segnalazione della minaccia
1)
DESCRIZIONE
a)
Tipologia (Armi, Granata, Coltello o oggetto affilato, ecc…)
b)
Direzione (ore 12, ore 3, ore 6, ore 9)
La segnalazione della minaccia imminente ha lo scopo di informare il team di
Protezione sulla natura della minaccia e sulla sua direzione. In caso di “ore 12 “
•
DURANTE L’ENTRATA DA VEICOLI
Uscita dall’edificio ed ingresso nel veicolo
•
DURANTE LO SPOSTAMENTO IN CONVOGLIO DI
SCORTA
Sorpasso di motoveicoli e veicoli sospetti
•
IN CASO DI AGGRESSIONE
Le comunicazioni possono essere : radio, verbali, a mezzo di
segni oppure soltanto con contatto visivo.
La comunicazione nella protezione ravvicinata è fondamentale
e deve presente in tutte le fasi della Protezione Diretta, a
partire dall’uscita del Protetto dal suo ufficio o abitazione, sino
al suo ritorno. Particolare attenzione deve essere prestata
durante le fasi di movimento a piedi, di ingresso o uscita dal
veicolo e, chiaramente in caso di aggressione. Ogni
comunicazione deve essere discreta e riservata, salvo in caso di
attacco, dove è necessario catturare immediatamente
l'attenzione del team di protezione. In questo caso, l’operatore
che per primo identifica la minaccia deve comunicarla
immediatamente al team per permetterne la pronta reazione.
significa che il pericolo arriva da davanti, se “ore 6” da dietro, se “ore 3” da destra
ed infine se “ore 9” da sinistra.
Reazione alla minaccia
1)
MODULO DI NEUTRALIZZAZIONE
a)
Neutralizzazione dell’aggressore (auto difesa)
2)
MODULO DI EVACUAZIONE
a)
Protezione del VIP
b)
Allontanamento dal pericolo
c)
Ricerca della copertura
Quando viene segnalata una minaccia, il Team di Protezione si divide in due
moduli. Il primo modulo "modulo di neutralizzazione" è incaricato di rispondere
alla minaccia neutralizzando l'aggressore quando necessario e possibile. Il
secondo modulo denominato " modulo di evacuazione" si occupa della
estrazione e/o evacuazione del Protetto
È evidente che i due moduli devono agire e reagire in estremo coordinamento,
e che ogni modulo non può realizzare il compito assegnato senza il supporto
dell'altro.
22
iIn caso di contatto e/o aggressione, è di fondamentale
importanza effettuare un report mediante lo schema
denominato L.I.A.R. (Location – Incident – Action – Request)
Queste informazioni essenziali devono essere trasmesse alla
Centrale di Comando al fine di facilitare il processo decisionale.
Lo schema L.I.A.R. semplifica le informazioni che devono essere
fornite e che sono :
Location (dove sta avvenendo l’aggressione specificando
il luogo della stessa e le coordinate geografiche)
Incident (chi sono gli aggressori, il loro numero e una
descrizione di base)
Action (la reazione del team di protezione, se è in atto
un conflitto a fuoco, lo stato di salute del Protetto e della scorta,
e altre osservazioni utili)
Request (quello di cui il Team di Protezione necessita,
supporto delle Forze di Polizia, Medico, ecc..)
23
GLOCK 19C "TACTICAL"
TEST DELLA
GLOCK 19C
"TACTICAL"
La semiautomatica che nasce da una richiesta da parte di veri professionisti della
sicurezza ufficialmente definita Tactical, informalmente detta anche "israeliana" della
Glock 19.
I
n questo primo numero di E.P.T.S.
Magazine, abbiamo deciso di testare
e confrontare una delle pistole
semiautomatiche più utilizzate dagli
Operatori della Sicurezza : la Glock
mod.19 C Tactical
La pistola della nostra prova, pur derivando da una
delle più diffuse semiautomatiche per difesa, si
propone come prodotto di nicchia, dedicato a coloro
i quali hanno bisogno di piccole dimensioni, grosso
calibro, che possa essere utilizzata in condizioni
operative estreme
24
È proprio da una richiesta da parte di veri
professionisti della sicurezza che nasce, infatti, la
versione ufficialmente definita Tactical,
informalmente detta anche "israeliana" della Glock
19.
Gli accessori che vanno a formare la dotazione di
questa particolare versione sono stati richiesti per la
prima volta dai servizi di sicurezza delle
ambasciate dello Stato d’Israele. La filosofia
ispiratrice è stata quella di disporre di un’arma dal
rinculo tollerabile, che consenta di avere una
buona riserva di colpi, ma soprattutto di doppiare
nel minor tempo possibile il colpo, com’è nella
filosofia dei reparti speciali israeliani.
E sembra che i vertici militari del Paese
mediorientale stiano valutando addirittura la
possibilità di acquistare anche le Glock 25,
compatte calibro 9 corto (.380 Acp). Ricordiamo,
brevemente, le caratteristiche tecniche della Glock
19. Si tratta di una semiautomatica dotata di fusto
polimerico, caricatore bifilare, chiusura geometrica
a corto rinculo, sistema Browning modificato, scatto
in semi Doppia azione (Safe action) e carrello in
acciaio al carbonio. Il fusto polimerico incorpora le
guide in metallo per lo scorrimento del carrello e,
nella parte inferiore, anteriormente al ponticello,
reca una piastrina d’ acciaio riportante il numero di
matricola.
Da alcuni anni, la stessa porzione del fusto reca una
slitta tipo Weaver per il montaggio di vari accessori,
come per esempio laser o torce. Il carrello, in acciaio
al cromo molibdeno, è ricavato dal pieno per
asportazione di materiale, successivamente indurito
superficialmente e trattato in funzione
antiossidante: Tenifer è la denominazione
commerciale attribuita dalla Glock a questo
particolare trattamento, che ha stabilito nuovi
standard di riferimento nell’industria armiera, per la
resistenza alla ruggine e all’abrasione (i tecnici
austriaci sono soliti illustrarne le qualità ai più
dubbiosi "aggredendo" il carrello con un cacciavite.
Lo scatto, denominato Safe action, può essere definito
una semi Doppia azione. Arretrando il carrello, il
percussore viene parzialmente armato, pur tenuto in
condizione di sicurezza per interposizione della sicura
automatica. pplicando una trazione al grilletto,
inferiore a quella di una Doppia azione classica, il
percussore completa la sua corsa d’armamento sino
allo sgancio. Mantenendo il grilletto in trazione, il
dente di scatto intercetta il percussore in posizione di
massimo armamento, consentendo così un
movimento ridotto per doppiare il colpo.
Nelle Doppie azioni convenzionali, il grilletto deve
essere portato in posizione di riposo (tutto avanti) per
riagganciare la catena di scatto. Nella versione "C" il
carrello presenta due ampie fresature superiori, alle
quali corrispondono altrettante asole poste sulla canna.
Dopo lo sparo, parte della pressione dei gas viene
evacuata da queste asole, per compensare il
movimento verso l’alto, il rilevamento, della volata della
pistola. Internamente, il carrello presenta due piani
inclinati, allo scopo di rendere ancora più efficace
questo effetto. Come per le altre versioni, la rigatura
della canna di questa Glock è di tipo semipoligonale.
Le mire di serie sono composte da un mirino di
plastica, spinato al carrello, dotato di riferimento
bianco e da tacca di mira regolabile, anch’essa in
plastica e inserita a coda di rondine, con bordo bianco.
25
Nella versione Tactical, però, gli organi di mira sono
stati sostituiti da funzionali mire notturne al trizio,
fisse e di ingombro assolutamente sovrapponibile a
quello dei riferimenti di serie, realizzate in metallo e
facilmente riconoscibili per le scritte laterali "Trilux
H3". Sia sulla tacca sia sul mirino, è impresso il logo
della Casa austriaca. Il trizio, in forma gassosa (è un
isotopo dell’ idrogeno), è contenuto in tre piccole
ampolle inserite all’interno delle mire, ovviamente
una anteriore centrale e due posteriori ai lati della
finestra.
L’ultima modifica riguarda l’installazione della torcia
flashlight della Insight tecnology, un potente faro
che si installa in un paio di secondi sulle guide
ricavate nel dust cover.
Questa torcia ha un fascio di luce potentissimo e
comandi ergonomici, che consentono di accenderla
e spegnerla senza modificare l’ impostazione di tiro.
La prova vera e propria della pistola si è protratta per
un periodo insolitamente lungo. L’arma non è stata
messa a disposizione dall’ importatore, ma
acquistata direttamente allo scopo di testarla per il
maggior tempo possibile. Abbiamo portato l’arma
quotidianamente per alcuni mesi, all’ inizio usando
una fondina Blade tech in Kydex e,
successivamente, una Uncle Mike’s nello stesso
materiale. Alla fine del periodo di prova, gli unici
segni presenti, riconducibili al materiale della
fondina, sono una lucidatura nella zona
dell’estrattore e sull’hold open. Segni simili sono
presenti nella parte superiore della canna, sulla
quale avviene lo sfregamento durante il ciclo di
sparo. Null’altro.
La luminosità prodotta, in un bel colore verde, è ben
definita senza essere fastidiosa. Le mire sono anche
disponibili in colore ambra o miste (mirino ambra e
tacca verde). Anche se sulla carta il contrasto di
colori può risultare interessante, dopo vari test
effettuati sia in poligono (a luci spente) sia all’
aperto, ci sentiamo di consigliare i tre riferimenti
verdi, più brillanti e rapidi nell’allineamento. Lo
sgancio del caricatore richiede una modifica del
fusto rispetto all’originale e anche rispetto a quello,
con lo scasso più alto, proprio dei modelli sportivi.
L’area d’appoggio risulta, infatti, superiore in
larghezza, senza sporgere però maggiormente
dall’arma e senza aumentare, quindi, il rischio di
sganci accidentali durante il porto o l’estrazione. La
superficie è rigata verticalmente, per offrire un
migliore grip. La funzionalità è ottima, molto
superiore a quanto non possa sembrare "a vista".
Lo sgancio originale non brilla certo per rapidità
d’utilizzo (rimanendo, comunque, molto sicuro in
caso di urti accidentali) e la differenza si nota al
primo azionamento. Quest’accessorio può essere
installato anche su armi di serie, ma richiede, come
dicevamo, una piccola modifica non reversibile al
fusto, effettuata presso le officine dell’importatore
Bignami.
Abbiamo utilizzato qualche migliaio di colpi, di varie
marche, pulendo la pistola saltuariamente. Dopo
questo impegnativo esame, abbiamo smontato
completamente l’arma, l’abbiamo accuratamente
pulita e tutte le parti sono state verificate
dimensionalmente e visivamente, confrontandole
con quelle di un’arma identica.
L’hold open maggiorato è lo stesso utilizzato sulle
versioni sportive. Per un contrattempo, però, non
era installato sull’arma al momento del servizio. Lo
scatto monta una differente leva di attuazione, allo
scopo di alleggerire la trazione di sgancio. È
sempre difficile quantificare il peso dello scatto di
quest’arma, in quanto la prima parte della corsa
serve a ultimare l’armamento del percussore.
Anche i consueti strumenti dinamometrici che
utilizziamo non ci sono stati d’ aiuto, perché non
sono riusciti a scindere le due diverse fasi di
armamento e scatto. Arrivati all’arresto che
precede lo sgancio vero e proprio, il peso
dichiarato è, comunque, inferiore ai 2.000 grammi.
Piacevolmente inferiore, aggiungiamo noi. Oltre a
questo allestimento, si possono richiedere, come
opzioni, il tappo per chiudere l’antiestetica
apertura posta nella parte inferiore del dorsale del
fusto e la sicura Ghost block, che agisce sul
percussore tramite una chiave come quella
utilizzata per le manette. Il tappo risulta molto
gradevole all’ occhio e al tatto, pur non avendo
rilevanza a livello funzionale.
26
Se non lo montate, quindi, non succede nulla, salvo
l’accumulo di un po’ di polvere e di fibre di tessuto
nella cavità (cieca, senza sbocchi nella meccanica)
dell’ impugnatura. Se si lascia l’arma incustodita, la si
può mettere "sotto chiave", per evitare utilizzi non
autorizzati. E questo è un vantaggio non da poco.
Altro particolare, di cui tanto si parlò negli anni
passati, ma che quasi nessun vide, è il "percussore
marino" ovvero quello che permette l’utilizzo
dell’arma appena estratta dall’acqua. L’accessorio è
costituito dalla boccola anteriore della molla del
percussore (quella divisa in due semilune) che viene
"scaricata" di materiale nella zona periferica,
consentendo il rapido deflusso dell’acqua senza
frenare l’azione del percussore. Probabilmente
nessuno dovrà mai sparare in condizioni così
estreme, ma una soluzione del genere può dare
ancor più sicurezza sulla propria arma.
Noi, a dire il vero, ci abbiamo provato a mettere alla
prova il percussore e il risultato è stato sorprendente,
con il povero fotografo investito dalla nube d’ acqua
contenuta nel barile e sollevata dai gas di scarico
dello sparo.
Nessuna usura particolare, a parte la lucidatura delle
parti soggette a scorrimento (guide, dente di scatto,
canna). Per quel che riguarda l’utilizzo dinamico,
abbiamo riscontrato un solo malfunzionamento,
causato da una ricarica decisamente
sovradimensionata a livello di bossolo. Nessun
inconveniente con le munizioni di fabbrica. Questa
nota è particolarmente importante perché abbiamo
sentito varie voci, specie nelle varie armerie,
relativamente alla necessità di utilizzare munizioni
particolarmente potenti per assicurare il
funzionamento della "C". Ci sentiamo di smentire
queste affermazioni: dopo un test approfondito,
avvenuto in varie condizioni (anche nel tiro
notturno), la perdita di velocità rispetto alla canna
senza le asole di compensazione è stata rilevata dal
3 al 4%, a seconda della progressività delle polveri
impiegate.
Sciolto il nodo relativo al funzionamento, la
domanda successiva è: si avverte la differenza tra la
19 e la 19C? I pareri non sono del tutto concordi. Per
la maggior parte dei tester, la differenza è notevole.
Qualcun altro, visto il calibro e la bontà dell’arma
originaria, ha espresso pareri più tiepidi. Ma, quando
tiratori di livello si permettono di doppiare il colpi in
0,13 secondi sui piattelli metallici non ribaltabili posti
a una quindicina di metri, è segno che il rilevamento
è molto contenuto.
27
Un altro aspetto da considerare, soprattutto
nell’ottica dell’utilizzo notturno per il quale l’arma
ha vocazione, è l’abbagliamento causato dallo
sfiato dei gas ad alta temperatura attraverso le
asole della canna. Molte persone, infatti, hanno
esitazione ad acquistare una Glock serie "C",
proprio temendo il flash di sparo nella penombra
o nell’oscurità. Dopo accurate prove, ci sentiamo
di tranquillizzare gli utenti: nell’oscurità più
completa, infatti, la fiammata di sparo si
manifesta come una vampata arancione, con una
tonalità calda e piacevole alla vista, ma
assolutamente
non
abbagliante.
Abbiamo
provato differenti caricamenti, e in tutti i casi
abbiamo potuto ripetere immediatamente il
colpo senza nessun fastidio o disorientamento. Il
rinculo è molto morbido, merito senza dubbio
delle capacità di assorbimento energetico del
fusto in polimeri. La prova ha visto utilizzati colpi
Winchester, Geco, Samson e Povàtzke Strojàrne,
tutti con palla interamente blindata di 124 grani, e
Geco con palla in piombo teflonata dello stesso
peso.
L’utilizzo di proiettili in piombo non ha provocato
accumuli di lega ai margini dei fori, segno
dell’ottima esecuzione degli stessi. Superfluo
osservare che il funzionamento è stato regolare con
tutti gli allestimenti. La precisione? Una rosata di tre
colpi Winchester in 17 millimetri di diametro tra i
centri più lontani dovrebbe rassicurare anche il più
scettico. È compatta, precisa, affidabile e dotata di
tutti quei piccoli accorgimenti utili per migliorare il
tiro e la rapida acquisizione del bersaglio in ogni
condizione di illuminazione ambientale e
meteorologica.
Il funzionale sistema di compensazione adottato
dalla 19C si rivela azzeccato ed è determinante, a
nostro avviso, per la riduzione del rilevamento e per
la gestione della pistola, consentendo un ritorno in
punteria pressoché istantaneo. Ancora una volta,
Glock ha centrato il bersaglio.
CARATTERISTICHE :
Scatto: semi Doppia azione
Costruttore: Glock GmbH, Po box 9, A-2232
Deutsch-Wagram, Austria, tel. 0043/22.47.90.300, fax
0043/22.47.90.312
Estrattore: a gancio, esterna al carrello
Distributore: Bignami spa, via Lahn 1, 39040 Ora (Bz),
tel. 0471/80.30.00, fax 0471/81.08.99,
[email protected]
Sicure: automatica al percussore; automatica al
grilletto
Modello: 19 C Tactical
Espulsore: fisso, imperniato al fusto
Sistemi di mira: mirino fisso, tacca di mira innestata
a coda di rondine con riferimenti luminosi al trizio
Tipo: pistola semiautomatica
Alimentazione: caricatore bifilare a presentazione
singola
Destinazione d’uso: difesa personale
Numero colpi: 15
Calibro: 9x21
Peso: 656 grammi, scarica
Materiale fusto: tecnopolimero rinforzato con fibra
di vetro
Accessori: torcia Insight tecnology, attacco a sgancio
rapido; portata 70 m circa
Materiale carrello: acciaio al cromo molibdeno
Numero Catalogo nazionale: 12.566
Lunghezza canna: 102 mm
Lunghezza totale: 174 mm
Prezzo: 8oo euro circa, Iva inclusa
Torcia Insight tecnology 300 euro circa, Iva inclusa
Percussione: percussore lanciato
28
29
E.P.T.S. ACADEMY
PRESENTAZIONE
E.P.T.S.
ACADEMY
Professionisti della Formazione dal 1996
24
L
a E.P.T.S. ACADEMY (Executive Protection
Training School) è il dipartimento
formativo della società R.M. Intelligence &
Security Services di Livorno (che l’ha
acquisita) operante nel settore della
sicurezza, attraverso le società collegate, da
numerosi anni sia sul territorio nazionale
che internazionale.
La E.P.T.S. ACADEMY , ricordiamo essere una
accademia della sicurezza privata nata nel 1996 per
opera di Riccardo Mazzara che ha portato tale
struttura ai vertici per quanto riguarda il panorama
formativo europeo.
Il motivo di questo rinnovamento dovuto anche alla
fusione spiega Mazzara, nasce dall’esigenza di
consolidare la stessa società verso scenari operativi
di maggior rilievo per quanto riguarda l’ambito
internazionale a fronte delle nuove necessità di
specializzazione avanzata richiesta dagli operatori
della sicurezza.
A fronte di quanto sopra citato la E.P.T.S. ACADEMY
pur continuando a fornire programmi avanzati per
PSD (Personal Security Detail) ad enti e/o privati ,
Guardie Particolari Giurate unitamente ai corsi di
perfezionamento al Tiro Operativo si è
ulteriormente specializzata nei segmenti relativi alla
sicurezza Aeroportuale , Marittima e in ambito
estero , segmenti dove la richiesta di operatori
specializzati sta crescendo in modo esponenziale.
Citiamo per primo i nuovi corsi per operatori addetti
alla Sicurezza in Ambito Marittimo, espletati in
ottemperanza alle nuove disposizioni di legge.
Proprio per venire incontro a queste nuove
disposizioni la E.P.T.S. ACADEMY si è attivata sia sul
fronte docenti , cercando collaborazioni d’eccezione
con professionisti provenienti dalle forze speciali e
con accademici esperti in diritto marittimo ed
internazionale, unitamente all’implementazione
della logistica che ha portato la scuola a poter
operare, in ambito di simulazione, anche su vascelli
reali in disarmo.
Stessa operazione è stata condotta relativamente ai
corsi per operatori addetti alla Sicurezza in Ambito
Aeroportuale, dove peraltro la struttura ha acquisito
moderni scanner radiogeni per addestrare il
personale al riconoscimento delle sostanze
pericolose e/o proibite.
Circa i corsi di specializzazione per operatori della
sicurezza in Aree ad Alto Rischio, la scuola ha creato
una vera e propria “Special Unit” di istruttori
professionisti nazionali ed internazionali con vasta
esperienza sul campo in grado di addestrare sia in
loco che in situ, operatori con già un background
specifico che sono intenzionati ad operare, in
qualità di consulenti, in aree a rischio come Libia,
Nigeria, Afghanistan, etc..
25
Questo metodo permette in relativamente poco
tempo, di acquisire tecniche e procedure operative
da utilizzare nell’esercizio di professioni ad alto
rischio (operatori della sicurezza, operatori delle
Forze di Polizia, Esercito, ecc..).
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito
specifico al seguente indirizzo : www.eptsacademy.eu oppure inviando una email a
[email protected] ancora telefonicamente al
392.9320516
Il C.R.I.S.C. prevede sessioni di addestramento
intensivo in condizioni di stress indotto in realtà
simulata. Agli allievi non vengono insegnate
soltanto materie teoriche o pratiche, ma anche
procedure operative eseguite in ambientazioni reali,
allo scopo di permettere all’allievo stesso, di operare
da subito come avverrebbe nella realtà
professionale..
Tale programma formativo si pone gli obiettivi di
trasmettere agli allievi elementi fondamentali per la
“sopravvivenza” discriminando tra quello che “si può
fare” e quello che “non si può” fare. In sostanza
l’accademia vuole distaccarsi dal concetto del
formare un “navy seal” in una settimana e mandarlo
ad operare armato di tutto punto in Iraq o altri paesi.
Purtroppo questo messaggio è passato troppo
spesso a favore di coloro che volevano rimpinguare
le casse della società che organizzava questi corsi.
Tutti i corsi della E.P.T.S ACADEMY sono svolti
secondo i dettai di un metodo elaborato e
brevettato dalla stessa alla fine degli anni novanta
denominato C.R.I.S.C. (Combative Response In
Stress Conditions) che la stessa società utilizza per
l’addestramento del personale operativo operante
nell’ambito della sicurezza.
Esiste un codice etico di condotta al quale la E.P.T.S.
ACADEMY ha deciso di attenersi per cui deve essere
molto chiaro che alcuni dei corsi organizzati dalla
stessa società NON POSSONO essere aperti a tutti,
in questo per alcuni di essi (vedi il sopra citato corso
di operatori della sicurezza in Aree ad Alto Rischio)
vengono richiesti dei pre – requisiti importanti per
garantire in prima battuta la serietà dell’azienda ed
in seconda il livello qualitativo del corso stesso.
30
31
PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI
LE PROTEZIONI PASSIVE
Per gli operatori
della sicurezza
Parlare oggi di sicurezza e di tutte le varie implicazioni tecniche ad essa connesse, è facile ed allo stesso tempo
complicato. Un po’ perché l’argomento è di moda ed un po’ perché il materiale dedicato dalle varie aziende è
tanto, forse, troppo.
Tra i vari prodotti si vuole in questi appunti esaminare il giubbotto antiproiettile, è bene anticipare però che non
rientra negli scopi del presente scritto, fare una esegesi completa di tutte le caratteristiche tecniche che
caratterizzano tali indumenti protettivi, bensì fornire agli operatori della sicurezza informazioni pratiche sui vizi e virtù
di queste particolari protezioni balistiche.
di Fernando Colaci
E'
32
trascorso ormai molto tempo da quando,
gli antichi guerrieri medioevali si
proteggevano con rilucenti corazze
metalliche. Se una corazza bastava a
fermare i dardi, non bastava di sicuro a
fermare i pesanti proiettili lanciati
sfruttando la combustione della polvere
nera, quell’invenzione diabolica che ha
spazzato via gli ideali della cavalleria e che
ha posto in condizione anche il più pavido
fra gli scudieri di battere efficacemente il
più prode cavaliere.
Era crollato il mito della invincibilità che da
Achille in poi era stato il motivo di vanto e
giustificazione del potere.
L’uso dei materiali tradizionali, acciaio più o
meno trattato, ha sempre comportato un
netto svantaggio in fatto di mobilità, peso
da sopportarsi, ingombro notevole; l’eterna
battaglia tra chi costruisce corazze e chi
proiettili sembrava volgersi a favore dei
secondi rispetto i primi.
Solamente la scoperta e la produzione in
serie di nuove fibre sintetiche ad altissima
resistenza e l’uso di materiali compositi
innovativi ha reso possibile sovvertire il
risultato.
CENNI STORICI
Dalla seconda guerra mondiale si è iniziata a
studiare tutta una serie di protezioni più leggere
e moderne di quelle di cui usufruiva il fante del
primo conflitto, oberato nelle sue missioni più
rischiose (come quelle di tagliare i reticolati sotto il
fuoco nemico) da pesanti corazze metalliche. Tali
studi sono stati resi necessari dal fatto che era vitale
cercare di proteggere il soldato soprattutto dalle
lesioni derivanti da schegge di granata e dai
frammenti delle bombe di vario tipo prima che dal
fuoco diretto delle armi leggere.
E’ nella guerra di Corea che si è avuto il primo
diffuso impiego di indumenti protettivi assemblati
con materiali di sintesi: il nylon balistico e il Doron
(fibra di vetro), che hanno dimostrato sul campo la
loro reale validità. Famosa è la foto di un marine
vittorioso in combattimento ravvicinato con un nord
coreano che mostra la sua “flack jacket” in nylon e
Doron centrata da una raffica di PPSH in 7,63
Tokarev.
In tale foto c’è anche un altro aspetto interessante:
la testimonianza visiva di un effetto balistico
terminale sul corpo, dovuto all’impatto del proiettile
e la conseguente estroflessione della protezione
che ha determinato un trauma (back face
deformation) sul torace.
Nonostante questa lesione, il marine, non solo è
sopravvissuto alla raffica nemica, ma ha anche vinto
lo scontro, motivo questo di riflessione per cercare
di dare il giusto peso alla potenzialità invalidante
del “blunt trauma”, termine con cui gli autori d’oltre
oceano sono soliti classificare il trauma indotto dalla
deformazione della protezione.
Con la guerra del Vietnam si è avuta una vera e
propria generalizzazione dell’impiego delle
protezioni personali a funzione anti-balistica che,
all’epoca, venivano realizzate con materiali
diversi, sia di sintesi che ceramici e metallici.
Solitamente le “flak vest” realizzate con protezioni
sintetiche, venivano usate dalle truppe appiedate
per il loro minore peso e per la maggiore
adattabilità, mentre quelle realizzate con piastre
dure, essendo più pesanti ed impacciando i
movimenti, erano appannaggio quasi esclusivo dei
piloti di elicottero, dei serventi delle mitragliere o
dei carristi.
NUOVI MATERIALI
Nel 1965 la ricercatrice dei laboratori della
Du Pont, Stephanie Kwolek, scoprì la fibra
aramidica che è, dopo il Nylon, la più
importante scoperta nel campo delle fibre
sintetiche.
Ma passarono un po' di anni prima che
questo materiale venisse utilizzato per la
produzione di articoli di protezione
balistica; il balzo di qualità fatto dopo la
scoperta del Kevlar (questo è il marchio che
la Du Pont ha dato al suo prodotto) fu
sorprendente, grazie all’impressionante
resistenza alla trazione, unita alla densità
ridotta (rapporto peso/resistenza) di questo
materiale.
A seconda delle caratteristiche si sono
prodotti i Kevlar 29 ed il Kevlar 49. La sua
caratteristica principale è quella di essere 5
volte più resistente dell’acciaio, 10
dell’alluminio, 2 del nylon balistico e della
fibra di vetro; ciò ha reso possibile la
realizzazione di tutta una serie di protezioni
personali di pesi e fogge fino ad allora
impensabili.
33
Attualmente, a questa fibra, se ne è
affiancata un’altra, il polietilene
orientato che è il 20-30% più resistente
del Kevlar 29 e, pur non vantando la
stessa attitudine al calore, è da qualche
tempo materiale di valida alternativa
anche al nuovissimo Kevlar 129 che è il
15% più forte del “vecchio” K 29 pur
essendo nel contempo il 15% più
leggero ed il 20% più sottile.
La situazione attuale, per quanto
riguarda la protezione personale, è
quindi il frutto di una evoluzione e di
un costante miglioramento della
produzione industriale orientata alla
ricerca di nuovi materiali sempre più
leggeri e resistenti e/o all’assemblaggio
più opportuno di prodotti già
sperimentati, ottenendo così una
sinergia che permette realizzazioni
ancora più efficienti come ad esempio
l’abbinamento, nello stesso pannello, di
strati di Klevar 129 uniti a pellicole di
polietilene orientato.
34
GIUBBOTTI ANTIPROIETTILE
Va innanzitutto detto che, a mio avviso,
la dizione “giubbotto antiproiettile” non
è del tutto pertinente per trattare delle
realizzazioni indirizzate alla protezione
personale, dato che, se vogliamo essere
pignoli, col termine “giubbotto” si
intende una categoria di vestiario che
ben poco ha a che fare, ad esempio, con
tutte quelle realizzazioni da portare
“undercover”, cioè sottocamicia e la
denominazione non è del tutto consona
alla realtà in quanto, questi tipi di
protezioni anti-balistiche, non sono
“antiproiettile”, ma “resistono” ai proiettili.
Questa differenza, che può sembrare
una sottigliezza, ha un suo intrinseco
valore e negli
Stati Uniti ha portato a decretare la
cancellazione del termine “bullet
proof” (impermeabile ai
proiettili) in “bullet resistant” (resistente ai
proiettili).
Con il giubbotto antiproiettile si è
pensato di sostituire al muro d’acciaio
una rete in Klevar che, in quanto tale,
gode di vantaggi e svantaggi.
Il vantaggio fondamentale è quello di
poter dissipare elevate quantità di
energia in lavoro di deformazione, lo
svantaggio è che, come il pesciolino
sfugge alla rete da pesca, un proiettile
piccolo ed aguzzo (tipo spitzer) può
creare qualche problema di tenuta. Vale
sempre la pena ricordare che
l’invulnerabilità non esiste e che lo scopo
di un indumento protettivo è quello di
preservare da una gamma di possibili
offese, ampia finchè si vuole, ma pur
sempre limitata.
Nel nostro Paese, a complicare il
problema, c’è una certa confusione sulla
precisazione delle reali attitudini che
deve avere una veste per arrestare un
proiettile e per contenere gli effetti
dovuti alla mancata perforazione (blunt
trauma).
Non sono stati infatti stabiliti i livelli protettivi in
cui includere ed omologare i vari indumenti a
seconda del tipo di minaccia.
Ciò determina una situazione non chiara dal
punto di vista delle responsabilità, ad esempio
del datore di lavoro rispetto ai dipendenti che
espletano mansioni di scorta armata o di
piantonamento;
soprattutto dopo che la Corte di Cassazione ha
emesso una sentenza nella quale è stata
stabilita la obbligatorietà della fornitura di
adeguati mezzi protettivi a chi svolge tali
mansioni, senza però precisare il livello
protettivo da adottare.
Solitamente, per dare un minimo di indirizzo
all’acquirente rispetto alla validità
dell’indumento,
ci si rifà ad alcuni standards americani: l’NIJ
concepito negli anni ‘70 ed il PPAA molto più
restrittivo, che basa la sua logica applicativa su
studi recenti dedotti da esperienze ed analisi di
dati reali ed in parte sulla resistenza di tali vesti
a minacce del tipo “raffica di pistola
mitragliatrice calibro 9 Para” e “colpi di cartucce
Geco Metalpiercing in canna da 6 pollici” con
traumi massimi di 20 mm.
Il tessuto in fibra aramidica, con cui è fatto il
giubbotto antiproiettile, non è soggetto ad
invecchiamento, ma è sensibile alla luce
ultravioletta (raggi solari), dalla quale sarebbe
bene
tenerlo sempre protetto conservandolo sempre
nella sua veste esterna. Come tutte le altre fibre,
un’altra piccola pecca dell’aramidica è che,
bagnandola abbondantemente (se non
trattata), perde le sue specifiche di resistenza,
anche se, una volta asciugata, torna alle
caratteristiche d’origine. Esistono alcuni
procedimenti contro l’umidità, l’acqua, l’olio o i
solventi; il più famoso di questi trattamenti è lo
Zepel-D a base oleosa che però rende il tessuto
auto lubrificato avvantaggiando l’eventuale
perforazione del proiettile. In alcuni Stati
si è fatto obbligo, una volta cucito il Klevar che
compone la protezione, di sigillarlo tra due
strati di polietilene tipo quelli neri dei sacchetti
della spazzatura, in tal modo si assicura la
perfetta protezione dalle intemperie e dai raggi
ultravioletti.
La categoria delle protezioni a funzione
antibalistica è composta da 5 tipi fondamentali
di realizzazioni che trovano la loro differenza
nella rigidità dei materiali e nella adattabilità al
corpo umano: i soffici, i semi-impregnati, gli
impregnati, le piastre fibro-ceramiche e le
metalliche. Dal punto di vista pratico, quando si
sceglie una protezione personale antibalistica, si
dovrebbe fare attenzione non solo al livello
dichiarato che è in funzione dei calibri, dei pesi
e della velocità di palla, ma anche ai tipi di
munizioni che esso è in grado di fermare.
Si tenga presente che per i proiettili provvisti
di nucleo perforante tipo “armour piercing” è
quasi sempre necessario l’uso di piastre
metalliche o fibrocomposite rigide, mentre
per i “metalpiercing” e cioè i penetratori
incamiciati in acciaio dolce e con nucleo in
piombo, i compositi di adeguato livello
protettivo sono i più indicati a neutralizzarli;
nel caso si opti per un indumento soffice, è
necessaria la presenza di una apposita piastra
perché il numero di strati necessari per
ottemperare a questa minaccia ne sconsiglia
la realizzazione pratica per peso e dimensioni.
Anche nei giubbotti antiproiettile di uso
comune è spesso presente un marsupio
anteriore nel quale infilare una piastra di
materiale composito (ceramica/fibra
aramidica) per elevare la classe di protezione.
Aspetto per nulla secondario nella scelta del
giubbotto antiproiettile è la portabilità
dell’indumento per dimensioni generali, pesi e
per la sua idoneità a conformarsi alla persona.
Sarebbe buona norma, in caso di uso
continuativo, preferire una misura di taglia
inferiore a quella abitualmente portata perché,
la ricerca assoluta del maggiore indice di area
protetta, anche se è di principio cosa giusta,
potrebbe penalizzare nel movimento e creare
disagi che potrebbero indurre a portare male
ed addirittura non indossare l’indumento. A
titolo informativo si riporta l’esistenza di
giubbotti sotto camicia “undercover” che si
indossano direttamente sulla pelle o sopra
una T-shirt, ma comunque ben nascosti sotto
una camicia o un maglione. I “sotto camicia” si
dividono in due tipi: semi-rigidi e soffici.
La differenza tecnica tra i primi ed i secondi è
determinata dal modo di unire il tessuto
aramidico: nel primo caso le pezze vengono
sovrapposte ed incollate tra di loro con
apposite resine, mentre nel secondo le pezze
vengono normalmente sovrapposte e cucite
sul bordo formando una specie di cuscino.
L’unico svantaggio del modello semi-rigido è
proprio la sua rigidità per chi lo indossa; il
grosso vantaggio sta nella limitazione del
Blunt Trauma.
Come considerazione prettamente personale,
si ritiene che l’uso esterno dei giubbotti
antiproiettile dovrebbe principalmente sortire
un effetto “deterrente” nelle comuni mansioni
svolte dagli operatori di un istituto di vigilanza,
ma dal punto di vista difensivo per servizi
particolari, si ritiene vitale che la protezione
indossata sia il più occultabile possibile, per
evitare che il fuoco rivolto alla persona sia
appositamente diretto verso le aree scoperte
(testa, collo, bacino).
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Negli Stati Uniti, la delinquenza, dopo che la polizia
ha adottato i giubbotti antiproiettile esterni, ha
diminuito il calibro delle armi passando dalle grosse
357 Mag. alle 22 LR o alle 22 Magnum mirando alla
testa.
FUNZIONAMENTO DEL GIUBBOTTO
ANTIPROIETTILE
Il giubbotto antiproiettile, come già detto, è
costituito da diversi strati di tessuto in fibra
aramidica (Kevlar).
Per capire in modo semplice ed elementare la
funzione del tessuto di Klevar nella protezione
balistica, si deve immaginare una porta di campo
da calcio che, anziché usare la normale rete, ne
utilizzi (sovrapponendole) un certo numero (ad es.
10, 16, o 22), con una maglia più sottile del normale
e ben tese.
Ora, lanciando in direzione di questa porta un
pallone (all’incirca 5 volte più soffice del materiale
con cui sono realizzate le reti) ad altissima velocità
ed immaginando al rallentatore l’effetto
dell’impatto del pallone contro la rete, vedremo che
si formerà contro le reti sovrapposte un effetto cono
di estroflessione, mentre il pallone, essendo più
soffice, si schiaccerà “effetto fungo” diminuendo in
modo decrescente la sua velocità ed energia.
In questo caso, alla fine della sua corsa, la palla sarà,
per la sua leggerezza ed elasticità, rilasciata e
rimbalzata all’indietro mentre, contro una
protezione balistica, il proiettile, essendo di
materiale solido, dopo la deformazione per
l’impatto rimane generalmente trattenuto
“intrappolato” dal tessuto.
Questo effetto è chiaramente visibile
osservando un proiettile dopo un impatto contro il
Klevar; si noterà una tipica espansione a
forma di fungo.
La velocità limite per un proiettile ordinario, cui la
fibra aramidica riesce a resistere è di circa 550 m/s.
Una volta tessuto il Kevlar, per la sua tenacità e
resistenza, ha la capacità di intrappolare i proiettili
rallentandone progressivamente sia la corsa che
l’energia.
Secondo la teoria, l’Energia Cinetica Ec associata ad
un corpo in movimento alla Velocità V e dotato di
Massa M è data dalla formula:
Ec = M x V (Forza Viva)/ 2
Agendo sulle due variabili M e V si possono ottenere
infinite combinazioni di valori a pari energia cinetica.
E’ il classico e dibattuto problema della scelta del
calibro per ottenere un adeguato arresto del
proiettile (stopping-power): meglio un massiccio e
lento calibro 45 o un piccolo e veloce calibro 9 mm?
Dal punto di vista dell’esperienza appare chiaro che
il solo valore dell’energia non è un parametro
adeguato di giudizio; è impossibile prescindere dalla
velocità con cui il fenomeno avviene.
A riprova di quanto detto si può riportare il seguente
paradosso balistico: consideriamo una piastra di
acciaio da corazza (Armour Steel) dello spessore
nominale di 6 mm, caratterizzata da una durezza
Brinnel 495. Un colpo di 7.62x51 Nato sparato dal
classico Fal con proiettile di ordinanza Smi da una
distanza di 10 m. e ad una velocità di impatto di 839
m/s, corrispondente a ben 3350 joule di energia,
viene trattenuto mentre due colpi ben distanziati
di 5.56x45 Nato sparati dalla distanza di 10 m. con
un M16 A1 e con munizionamento M193ad una
velocità variante dai 980 ai 1020 m/s, cui
corrisponde una energia di soli 1750 joule, passano
entrambi tranquillamente oltre la piastra.
Il principio secondo il quale ad ogni corpo in
movimento sia associata un’onda, così come è stato
intuito dal De Broglie, deve essere esteso al caso
dell’urto ed allo studio delle reazioni che il bersaglio
oppone al proiettile collidente e soprattutto alle
violente forze risultanti dalla composizione dei fronti
d’onda.
In particolare si deve sfatare la convinzione che il
bersaglio possa opporre una sola resistenza passiva:
se adeguatamente conformato e di materiale
opportuno, è possibile avere un comportamento
attivo.
BLUNT TRAUMA
Tutti pensano comunemente che il giubbotto
antiproiettile sia efficace solo se ferma un proiettile.
Un dato appurato è che si può rimanere feriti anche
se la palla non passa il giubbotto. Questo effetto è
chiamato “BLUNT TRAUMA”.
Il BLUNT TRAUMA è il risultato della distanza che la
palla compie dopo l’impatto con il giubbotto,
oppure, in altro modo, la profondità del
rigonfiamento interno, anche se la palla non perfora
il giubbotto.
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Gli standards industriali e le specifiche del
Dipartimento delle Armi Americano responsabile
del settore, hanno stabilito che un giubbotto
antiproiettile, per essere immesso sul mercato,non
deve oltrepassare i 44 mm. di BLUNT TRAUMA.
Per diminuire il Blunt Trauma (B.T.) occorre
distribuire l’energia della palla su una maggiore
superficie del giubbotto nel minor tempo
possibile. Le soluzioni al B.T., adottate in vari modi
da tutte le ditte produttrici di giubbotti
antiproiettile sono svariate: dai vecchi cuscini di
piume, alle nuove tecnologie del poliuretano
espanso. Quella più largamente usata sino ad oggi
è stata la seguente: sovrapposti gli strati del tessuto
aramidico, questi vengono cuciti tra loro sempre
con del filo di Kevlar, incrociando le cuciture e
formando piccoli quadri o rombi (più o meno 3x3
cm.) su tutta la superficie come una specie di rete.
Questo tipo di soluzione ha portato sicuramente a
ridurre il B.T., ma con un piccolo svantaggio: il
maggior irrigidimento della protezione.
Altre ditte usano il principio di intrappolare la palla
come in una rete.
Questo principio avviene utilizzando diversi tipi di
Klevar tessuto con titoli diversi tra loro; una volta
sovrapposti e cuciti, creano una decelerazione del
proiettile dopo l’impatto con il giubbotto. Però in
questo modo la palla non si deforma e quindi, a
volte, riesce a penetrare il giubbotto. Questo
processo di decelerazione può consentire alla palla
di continuare la sua corsa dopo l’impatto,
causando in questo caso maggior danno. Per
intrappolare il proiettile è necessario che il Klevar
sia libero di muoversi come parte di una rete.
Alcune Ditte (Arnoplastik) interpongono, all’interno
del giubbotto, tra l’ultimo strato di Klevar e la veste
che ricopre tutto, una lastra di materia tipo
gomma che assorbe velocemente l’onda d’urto
data dal proiettile e la propaga su tutta la sua
superficie senza un elevato rigonfiamento
all’interno.
Chiaramente, il contenere il più possibile l’effetto
del B.T., è un fattore importante perché l’indice di
invalidità sia permanente che temporanea per
taluni tipi di munizioni, può essere talmente
elevato da causare la messa fuori combattimento
di colui che viene attinto.
Inoltre, ci sono stati dei casi mortali senza
perforazione dell’indumento, ma le cartucce usate
non erano incluse nella classe per cui il giubbotto
antiproiettile era idoneo (erano munizioni sparate
da armi lunghe e dotate di velocità molto elevate
e fuori standard), per cui non si è trattato di B.T.
con ferite mortali dovute magari all’intervento di
costole rotte che hanno perforato organi vitali o di
un violento shock idrodinamico che ha fatto
scoppiare grandi organi cavi, ma di una vera e
propria penetrazione della parte a contatto con il
corpo in seguito ad estroflessioni considerevoli (78
mm).
NORMATIVE E TEST
In Italia non esiste per il momento nessuna
normativa riguardo alla protezione balistica (nel
settore privato), negli Stati Uniti, invece, tutto il
materiale prima di essere messo in produzione e
commercializzato deve superare severi test di
collaudo. Si è già fatto cenno agli standard NIJ e
PPAA di cui tralasciamo in questa sede i raffronti e le
relative comparazioni, vediamo invece cosa dicono
le normative americane perché un giubbotto
antiproiettile possa essere classificato, con
l’adeguato livello di protezione.
La tabella che segue riporta i valori di riferimento
relativi ai calibri ed i loro livelli energetici abbinati ai
vari gradi di protezione, indipendentemente dal
materiale impiegato per la loro confezione
Classificazione 1, livello di protezione = I,
calibri: .22 LRHV, 40 grs, 1050+fps; .38 special RN, 158
grs, 850+50 fts.
Classificazione 2, livello di protezione = IIA,
calibri: 9 mm FMJ, 124 grs, 1090+50 fps; .357 Mag JSP,
158 grs, 1250+50 fts.
Classificazione 3, livello di protezione = II,
calibri: 9 mm FMJ, 124 grs, 1175+50 fps; .357 Mag JSP,
158 grs, 1395+50 fps.
CLassificazione 4, livello di protezione = IIIA,
calibri: 9 mm FMJ, 124 grs, 1400+50 fps; .44 Mag
LSWC, 240 grs, 1400+50 fps.
Classificazione 5, livello di protezione = III,
calibri: 7,62 FMJ, 150 grs, 2750+50 fps.
Classificazione 6, livello di protezione = IV,
calibri: 30-06 AP, 166 grs, 2850+50 fps.
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