«La camorra ci protegge, e se qualcuno vuole farci male i clan ci
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«La camorra ci protegge, e se qualcuno vuole farci male i clan ci
Camorra, quando è il boss ad assicurare il welfare Di Alessandro Colletti «La camorra ci protegge, e se qualcuno vuole farci male i clan ci difendono». Circa un anno fa, il fatto che alcuni bambini delle scuole elementari di Miano (in provincia di Napoli) definivano i camorristi come loro protettori generò scandalo nell’opinione pubblica nazionale. Frasi come questa, scritte da una bambina di 13 anni, dimostrano quanto vero sia, in alcuni casi e contesti, il senso di protezione percepito da comuni cittadini nei confronti dei clan. «C'è gente che odia la camorra, io invece no, anzi a volte penso che senza la camorra non potremmo stare, perché ci protegge tutti, pure il fatto che tutti pagano il pizzo non è giusto, ma chi paga resta protetto». I clan di camorra si affermano in interi contesti territoriali come protettori dell’ordine sociale, non solo in senso repressivo, ma soprattutto in senso assistenziale: una casa da occupare, il fisso mensile alla famiglia, una puntuale assistenza sanitaria. Il cittadino che si forma in un contesto territoriale condizionato dalla presenza dei clan, può sviluppare (oltre alla comune riluttanza) senso di protezione da un lato, ma anche paura e soggezione dall’altro: «Se qualcuno di un'altra zona avesse l'intenzione di farci del male o di ricattarci loro ci difendono, ma se c'è tra loro una discussione non guardano in faccia proprio a nessuno e ci vanno di mezzo persone innocenti». La paura di ritorsioni violente non è l’unica motivazione che spinge i favoreggiatori a facilitare gli affari dei clan perché, a volte, prevale anche l’incentivo economico e la sensazione di trovare rivalsa alle ingiustizie, passando dal ruolo della vittima a quello del carnefice. Per cercare di comprendere il radicamento delle associazioni criminali, non bisogna limitarsi alla tradizionale interpretazione della forza intimidatoria dei clan, ma anche alle loro funzioni assistenziali, che producono consenso sociale: il fenomeno dell’affiliazione nasconde, molte volte, un modello di scambio economico e di valori tra il gruppo e il singolo che si assicura una retribuzione economica e una solida rete assistenziale. La fedeltà (che si traduce principalmente in omertà) trae origine da tale scambio, che spesso trascina interi gruppi familiari nell’orbita associativa. Il consenso non sempre è forzato, e ciò non fa che confermare la realtà storica, ovvero l’esistenza e le notevoli dimensioni dei gruppi associativi presenti in Campania. Quello dei clan è oggi un potere strisciante, silenzioso e invisibile, che ricopre gli interstizi lasciati vuoti dall’inerzia di cittadini, politici, soggetti economici, professionisti, analisti, per riempirli della logica perversa del potere. È così che nessuno resta esente dal dominio totale che un clan di camorra tende a costruire attorno a sé: l’elettore consapevole che il suo voto andrà agli uomini vicini al boss di turno, il consumatore che acquista merci contraffatte, l’imprenditore che fa smaltire i suoi rifiuti al prezzo più basso, il medico che cura un latitante e non denuncia, la madre di famiglia che si rivolge al boss per un posto di lavoro ai suoi figli, il direttore di banca che concede i suoi servizi senza garanzie a persone “di fiducia”, il finanziere che accetta speculazioni internazionali su consiglio di un amico di un amico, il ragazzo perbene che compra cocaina a Secondigliano, fino al macellaio che riserva il filetto di vitello al figlio del boss, perché cresca sano e forte. Nessuno di noi oggi può dirsi lontano dalle logiche para-legali che appartengono ormai da un cinquantennio non solo più alle organizzazioni criminali, ma alla società italiana nel suo complesso. Tutti noi abbiamo spesso a che fare direttamente o indirettamente con queste logiche, che umiliano le forme di sviluppo legale, di conservazione e promozione del bene comune, della forza simbolica della pubblica amministrazione, fino alla mortificazione della cittadinanza, intesa non solo come tutela dei beni e dei servizi per tutti ma anche come strumento di socialità attiva. Ma ciò che fa più male al sistema Paese è l’inerzia cui la popolazione campana (e non solo) è costretta da troppo tempo ormai. Molte persone, troppe persone, a volte si sentono abbandonate dalle istituzioni e protette dai clan. Va da sé che il vero potere - ciò che rende le camorre delle istituzioni sociali di successo - è rappresentato dalla loro capacità di redistribuire ricchezza: sia in senso materiale che in termini di status quo, attraverso un fiume di esternalità che si riversa su interi nuclei familiari in proporzione al grado di successo del singolo clan e al ruolo dell’affiliato all’interno dell’organizzazione. Circa trent’anni fa, quando Raffaele Cutolo fondava la Nuova Camorra Organizzata, il sistema che teneva insieme migliaia di affiliati al neonato clan fu proprio la certezza di una solida protezione sociale. I benefici che scaturivano dall’appartenenza al sodalizio si riversavano sulle centinaia di famiglie degli affiliati, garantendo protezione assistenziale e legale in caso di morte o di arresto del capo famiglia. Dagli anni Settanta ad oggi, il modello assistenziale del crimine campano è rimasto pressoché invariato. Tutti i clan, minori e maggiori presenti oggi nei quartieri delle città o nelle province campane, esercitano il loro dominio grazie alla redistribuzione di una parte dei loro introiti, creando consenso sociale e un particolare tipo di solidarietà. Nei bassi del centro storico di Napoli e nelle province degradate dove lo Stato non è arrivato con gli strumenti del welfare moderno, c’è la protezione sociale dei clan che, attraverso risorse economiche e di solidarietà, riesce a garantire elementari diritti di sopravvivenza. Possibilità di guadagno, di uno stipendio fisso, di vedere garantiti gli stessi diritti alla propria famiglia in caso di morte o di arresto, rappresentano da trent’anni significativi incentivi per migliaia di persone che vivono ai margini delle città o delle province campane e per questo accettano lavori di natura illecita. La bassa manovalanza dei clan guadagna 700 o 1000 euro al mese per fare la vedetta o il palo a una piazza di spaccio; 2500 euro come indennizzo per un omicidio, sperando di diventare un giorno un componente quadro del sodalizio, un dirigente militare che guadagna anche 20.000 euro al mese. Le alternative legali per i giovani di Scampia, di Casal di Principe e di tanti altri luoghi della Campania sono poche, soprattutto se non si è figlio, parente o amico di “qualcuno che conta”. I capi-clan sono però consapevoli che l’unico modo di mantenere l’inesauribile bacino di manovalanza in questi territori non è quello di diffondere benessere e prosperità, soppiantando lo stato e sostituendosi ad esso: bisogna mantenere le masse ai livelli minimi di sopravvivenza, affascinando i giovani coi simboli didascalici ostentati dagli affiliati, screditando quelli dello stato, che lì non mette piede. Sono loro gli unici benefattori. È grazie ai clan che circola denaro, merci, lavoro, prestiti, case e tutto ciò che serve per condurre una vita dignitosa. È l’organizzazione criminale che premia il merito e l’impegno, non lo stato o le imprese, perché non ci sono strade privilegiate per entrare nelle organizzazioni criminali. L’esperienza, il curriculum criminale, le capacità individuali vengono sempre ricompensate con affiliazioni, avanzamenti di carriera, premi e incentivi. Ciò che conta di più è la fiducia nelle proprie capacità e la fedeltà nei confronti del gruppo. I tradimenti, le scissioni, le collaborazioni con la giustizia sono i reati peggiori che possa commettere un affiliato e vengono puniti con l’unica pena che i clan attuali conoscono, quella capitale. La paura, l’indecisione, il rimorso portano invece alla cattura e al carcere. Non possiamo parlare di un vero e proprio sistema assistenziale dei clan sul modello del welfare statale: è più corretto parlare di benefici arbitrari garantiti alla rete di familiari e di conoscenti legati in un dato momento agli affiliati dei clan dominanti. Per usufruire delle rimesse occorre necessariamente favorire le attività dei clan, che vuol dire lavorare principalmente nell’immenso indotto dello spaccio di stupefacenti: è questo il commercio territoriale che ha bisogno di maggiore manovalanza. Interi quartieri vengono così militarizzati dagli uomini dei clan, e diventano il grande “mercato all’aperto delle droghe”, dove il discreto acquirente può vedere soddisfatte le richieste più eccentriche ai prezzi più concorrenziali. Per organizzare una piazza di spaccio non bastano uomini armati e droga, ma un’organizzazione urbanistica ben definita, una strategia sociale condivisa da tutto il quartiere, all’interno del quale ogni categoria sociale trova il suo ruolo. Il ragazzino in motorino pronto a segnalare qualsiasi ingresso non desiderato o sospetto; madri di famiglia che si precipitano per le strade strette impedendo l’arresto dei propri uomini; le vedette che si dileguano da un palazzo all’altro portando con sé la preziosa refurtiva; i giovani soldati pronti a sparare nel caso di agguati di altri clan. Tutto il quartiere diventa una rete funzionale al guadagno e al dominio dei clan: il controllo diventa così ossessivo da ispezionare chi vive nelle case, dettando loro regole di entrata e di uscita dalle proprie abitazioni. E quando, dopo uno scontro tra clan rivali, gli equilibri di potere vengono modificati, tutto il resto cambia: persino l’assegnazione e l’occupazione degli abitati di residenza pubblica. È questa la storia di centinaia di famiglie assegnatarie di alloggio messe alla porta dalla prepotenza dei clan. Le leggi dei clan di camorra sono ferree e immutabili, semplici e inderogabili, i giudizi si celebrano fulmineamente, le sentenze sono rapidissime, inappellabili e immediatamente esecutive. È ovvio che spesso i comuni cittadini temano la repressione dei clan, e non lo stato giudiziario. Non possiamo escludere, nel trattare il fenomeno in esame, la rilevanza che rivestono le condizioni di vita estremamente degradate, alle quali il mancato sviluppo sociale, economico e culturale ha consegnato molte aree della città di Napoli e delle province campane. Tutto ciò ha visto il proliferare negli ultimi anni - in città e nelle aree provinciali - di diverse tipologie criminali, alcune marcate da una spiccata efferatezza e dall’uso di un quantitativo di armi notevole, e altre più simili ad organizzazioni economiche, vere e proprie holding che utilizzano prettamente strumenti economici al limite della legalità. Ogni città ha i suoi clan, ogni provincia un suo referente (di solito un cartello di organizzazioni), ogni quartiere un suo capo. Il clan è vicino alle persone soprattutto nelle zone dove debole è la presenza di istituzioni pubbliche. L’uso privato della violenza e di atti illeciti come mezzo di controllo sociale sono i tratti peculiari dei giovani clan in via di affermazione; mentre i reati economici che escludono l’uso della violenza, sono strumenti utilizzati dai grossi ed affermati clan che rafforzano il proprio potere e aumentano le proprie ricchezze attraverso rapporti occulti con funzionari di governo, delle amministrazioni, delle imprese pubbliche e private. Tutte le organizzazioni producono una serie di esternalità nei confronti degli affiliati e di tutti i loro stakeholders: stipendi, protezione, posti di lavoro, assistenza legale e sanitaria, prestiti in denaro, merce sottoprezzo, forniture alimentari. Chiunque può accedere a tali benefici, occorre però essere consenzienti e favorire le attività economiche delle organizzazioni criminali. Potere per un clan vuol dire finanziare l’indotto criminale attraverso le esternalità prima descritte: maggiore è la capacità di un gruppo nel produrre ricchezza, maggiore sarà il numero di affiliati e favoreggiatori che sosterranno il gruppo. Esistono diversi e numerosi strumenti assistenziali previsti nei bilanci economici dei clan campani che, pur non essendo esplicitamente tali, persistono ormai da quasi un trentennio. Tali prestazioni hanno assunto in questo lasso di tempo un carattere generalizzato verso tutti gli affiliati e le loro famiglie e molti benefici di natura economica vengono indirizzati anche ai fiancheggiatori, che non partecipano stabilmente alle attività dei clan. Gi interventi e le prestazioni assistenziali dei clan sono prevalentemente di natura economica e hanno assunto nel tempo un carattere standardizzato e riconoscibile non solo da chi ne beneficia ma anche dalle persone comuni, attratte da queste esternalità: l’insieme strutturato dell’offerta assistenziale viene infatti adoperato dai clan come precisa strategia di cooptazione, allo scopo di incentivare ampie fasce della società campana disposte per questo motivo alla commissione o al favoreggiamento di azioni illecite. A volte l’appartenenza a un clan diventa un valore aggiunto per l’accesso e l’erogazione di risorse e di servizi pubblici. Non è solo il caso degli appalti con la Pubblica Amministrazione, ma anche dei contributi economici assistenziali, delle assegnazioni di alloggi di residenza pubblica, delle liste d’attesa per prestazioni sanitarie e così via. Un nucleo duro di protezione sociale, quello offerto dai clan, più immediato, efficace e accessibile di quello pubblico, per tanti versi fatto di ostacoli e di risorse limitate. Le organizzazioni criminali, a differenza dello stato, non investono in beni comuni, non erogano servizi per tutti (anche se spesso controllano quelli pubblici), ma elargiscono principalmente risorse economiche. Come cerca oggi di fare lo stato assistenziale, indirizzando l’offerta dei servizi di base verso il privato sociale, attraverso l’utilizzo dei voucher. L’unica differenza è che i clan di camorra possiedono risorse economiche maggiori per un numero ristretto di affiliati e distribuiscono i loro “voucher” da molto più tempo dello stato. Inizialmente si è fiancheggiatori, prestatori di opera, retribuiti attraverso compensi per singole azioni (manovalanza prevalentemente legata allo spaccio di sostanze, alle estorsioni e alle azioni militari); dopo l’affiliazione, si accede a forme stipendiali molto superiori alla media di un qualsiasi lavoro legale che, in caso di morte o arresto, comporta una dignitosa pensione per sé e per la propria famiglia, rapportata alla posizione dell’affiliato/a nella struttura organizzativa. Molti altri sono i vantaggi di cui gode la parentela di un/a affiliato/a: assistenza legale, sanitaria, alloggiativa, certezza di trovare collocazione nel mercato del lavoro (anche come forma di copertura per giustificare gli introiti delle attività illecite), assistenza economica attraverso l’accesso facilitato ai prestiti di banche e di istituti finanziari. Risulta quindi un ossimoro la definizione “welfare criminale”, considerato che se da un lato le condotte illecite possono produrre al momento esternalità nei confronti di determinate persone in stato di bisogno, dall’altro gli stessi fondi sono frutto di attività illecite e procurano sempre un danno sociale più esteso. Il clan basa la propria esistenza su un forte concetto di solidarietà: si prende cura di un affiliato dalla culla alla bara. Essere membro del clan può voler dire far nascere i propri figli nelle migliori strutture sanitarie pubbliche o private, festeggiare nei migliori ristoranti, godere di un buon reddito e vederlo tutelato in caso di arresto, fino ad arrivare alla facilità di trovare il miglior loculo nel cimitero del quartiere o nella città natale in caso di morte, naturale o violenta. Ovviamente non per tutti i fiancheggiatori la rete di assistenza è così estesa ed efficace: i piccoli clan non offrono questo ventaglio di prestazioni, che in alcuni casi si limitano a piccole cifre di denaro oppure alla spesa gratuita al negozio taglieggiato: misure limitate che devono essere necessariamente integrate con l’intervento pubblico. Dall’estensione della rete assistenziale dipende la sopravvivenza di un’organizzazione criminale. Quando infatti un clan non possiede risorse da destinare a scopi assistenziali, i suoi membri saranno spesso costretti a commettere atti predatori: scippi, rapine, furti, rapimenti; fatti che mettono a rischio l’incolumità degli affiliati e quindi la stessa sopravvivenza del gruppo. La forza coesiva e di sopravvivenza di un clan è così direttamente proporzionale alla rete di protezione che riesce a creare nei confronti dei propri fiancheggiatori. Meno estesa ed efficace è questa rete, più gli affiliati risulteranno spinti alla commissione di piccoli reati, che provocano la reazione delle agenzie di controllo e lo sdegno dei comuni cittadini: aumenta così il rischio di dissoluzione del clan. Maggiore sarà la professionalizzazione del gruppo, maggiore la rete assistenziale, minore risulterà la commissione di piccoli reati, di azioni militari e minore sarà il rischio di incorrere nell’intervento delle agenzie di repressione o della mano militare di altri clan. Sebbene le ripercussioni innovative introdotte dalla legge 328/00 siano ancora largamente sconosciute a causa della mancanza di indagini mirate, una valutazione generale indica che l’offerta assistenziale pubblica nella regione Campania (come nelle altre regioni del Meridione a welfare fragile) non riesce oggi a coprire in maniera soddisfacente (dal punto di vista quantitativo e qualitativo) i bisogni della popolazione che rientra nelle categorie a rischio povertà/emarginazione/esclusione. La scarsità di risorse da un lato e le carenze strutturali dall’altro dimostrano, ancora oggi, che il percorso d’integrazione degli interventi e dei servizi sociali nel Meridione d’Italia non può da solo colmare quel gap storico che da molto tempo differenzia le diverse aree del Paese dal punto di vista dell’assistenza sociale. Proveremo adesso a schematizzare gli interventi e i servizi sociali offerti dal welfare regionale campano e quelli presenti nella maggior parte delle organizzazioni criminali della regione, inserendoli nella seguente tabella comparativa. Prestazioni e servizi sociali pubblici e interventi delle organizzazioni criminali Servizi e interventi sociali garantiti dai LIVEAS nella regione Campania 1 Servizio sociale professionale e segretariato sociale Servizio di pronto intervento sociale Specifica Prestazioni fornite dalla rete dei clan campani 2 Informazione e consulenza al singolo ed ai nuclei familiari Delegato del clan per i rapporti con gli affiliati e le loro famiglie Per le situazioni di emergenza personali e familiari Referente per le emergenze sanitarie, alloggiative e personali Specifica Informazione e attivazione degli interventi possibili all’affiliato e alla sua famiglia Per le situazioni di emergenza personale e familiare legate agli stati di bisogno Contributo economico per le incombenze quotidiane Svolgimento attività quotidiane persone non autosufficienti Per soggetti con fragilità sociali Assistenza alloggiativa ed economica Per soggetti con fragilità sociali Assistenza alloggiativa ed economica Assistenza economica, reddito minimo di cittadinanza (sperimentazione) Misure di sostegno al reddito Assistenza economica, credito agevolato, prestiti personali Misure per sostenere le responsabilità familiari Assistenza economica, assistenza domiciliare, asili nido Misure per sostenere le responsabilità familiari Assistenza economica, alloggiativa e nella cura di minori da parte di altri affiliati (mutuo-aiuto) Misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza al domicilio Contributo economico, assistenza domiciliare Attribuzione alloggi, contributo per spese quotidiane, assistenza economica Offerte di lavoro per minori come sostegno ai nuclei familiari Assistenza domiciliare Strutture residenziali e semiresidenziali Centri di accoglienza residenziali e diurni a carattere comunitario Misure di sostegno alla povertà Interventi di sostegno ai minori e ai nuclei familiari Anche attraverso l’affido e l’accoglienza in strutture comunitarie Misure di sostegno alle donne in difficoltà Interventi economici e/o di servizi Assistenza personale Assistenza alle vedove e alle mogli di affiliati in carcere 1 Per affiliati o parenti latitanti ricercati dalle forze dell’ordine Per affiliati impegnati in azioni militari o parenti ricercati da altri clan Assistenza economica per pagamento affitti/mutui; concessione stabili abusivi o di edilizia pubblica Anche attraverso l’utilizzo del minore come manovalanza per spaccio di droga e merci contraffatte Interventi economici, offerte di lavoro, copertura spese quotidiane Legge per la dignità e la cittadinanza sociale, Disegno di Legge Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 13 del 22 marzo 2004 2 Informazioni elaborate dallo scrivente provenienti da fonti diverse Interventi per l’integrazione sociale dei disabili Interventi per le persone anziane e disabili Prestazioni socio-educative per soggetti dipendenti Informazione e consulenza alle famiglie Garante dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali Assistenza a detenuti ed ex detenuti Strumenti di natura socio riabilitativa e sanitaria Favorire la permanenza a domicilio, nonché l’accoglienza presso strutture residenziali e semiresidenziali Sostegno di vario tipo presso strutture socioriabilitative (Sert, sanità, istruzione, formazione) Favorire la fruizione dei servizi di auto-aiuto. Assicura tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali al fine di garantirne l’esigibilità Assistenza legale d’ufficio, affidamento in prova servizi sociali, assistenza alloggiativa e lavorativa/formativa Interventi per il sostegno dei disabili parenti di affiliati Interventi per le persone anziane e disabili parenti di affiliati Prestazioni riabilitative per soggetti dipendenti Informazione alle famiglie di affiliati Capo clan o delegato per i rapporti con gli affiliati Assistenza a detenuti ed ex detenuti Contributi economici, pagamento retta in istituzioni del privato sociale Favorire la permanenza al domicilio attraverso contributo economico e/o alloggiativo presso strutture private Riabilitazione forzata con prestazioni sanitarie o interventi di personale specializzato Incentiva la solidarietà tra affiliati Assicura le prestazioni offerte dalla rete di protezione dei clan agli affiliati e alle loro famiglie. Dirime controversie Assistenza legale gratuita, assistenza economica alle famiglie, collocazione lavorativa ex detenuti, assegnazione alloggiativa La tabella precedente offre una visione sintetica dell’offerta assistenziale pubblica e di quella criminale nella regione Campania. L’intento di questa lettura comparata è di riassumere le possibilità assistenziali offerte ai singoli cittadini o alle famiglie che versano in stato di bisogno, non solo in termini di povertà assoluta, ma anche relativa. Analizzando più da vicino la rete di protezione offerta dalle organizzazioni criminali, emergono alcune caratteristiche sostanziali: - l’assistenza dei clan si caratterizza per lo più in interventi di sostegno economico che incrementano (anche) il potere informale attribuito agli affiliati nel mantenimento dello status quo criminale; - la criminalità organizzata pretende solidarietà (e omertà) tra affiliati attraverso una rete informale di protezione esterna e interna al gruppo criminale, che coinvolge anche le loro famiglie; - la criminalità organizzata non crea servizi propri ma utilizza molte volte quelli pubblici, pilotandoli dall’interno nel favorire i propri affiliati. Un’altra importante precisazione va riferita alle possibilità di accesso ai servizi e agli interventi assistenziali, sia pubblici che criminali. Uno dei temi centrali della recente riforma delle organizzazioni e delle professioni socio-assistenziali riguarda il grado di permeabilità che si genera tra servizi offerti e popolazione locale: in questo senso i servizi diventano delle organizzazioni intese non solo come strutture, o macchine, ma come fonte di processi relazionali. Per comprendere l’importanza di questo aspetto appare fondamentale la decodifica di fattori fondamentali come la collocazione dei servizi, la loro visibilità, la gestione degli spazi interni ed esterni, le capacità di attrazione o di esclusione, le culture organizzative: tutte variabili produttrici di senso relazionale e di spazio sociale. Una differenza fondamentale nella genesi del processo d’aiuto tra un’utenza potenziale e un servizio offerto da una struttura pubblica o da un clan di camorra, sta anzitutto nella collocazione e nel grado di interazione del servizio con l’ambiente circostante. Difficilmente nelle periferie degradate delle città e delle province, dove si concentra il più ampio bacino d’utenza per i servizi sociali, troviamo pubblici servizi: e dove esiste questa presenza, la stessa architettura (esterna e interna) molte volte genera senso di estraneità al contesto ambientale e sociale. Un servizio disegnato come spazio specializzato – con il desk dell’operatore del primo contatto, la sala d’attesa, gli uffici per i colloqui e le relative scrivanie che scandiscono il posto di ciascuno – genera molto spesso un legame di dipendenza che fissa alcuni come portatori di un’incapacità, di fronte ad altri che hanno la competenza di definire e trattare quest’incapacità. Diversamente, un servizio che si dota di spazi dagli usi non predeterminati, favorisce relazioni aperte all’imprevisto e alla casualità degli incontri e può generare scambi fra soggetti differenti ed estranei. Molto spesso le attività legate all’elaborazione di una richiesta o di un bisogno particolare (economico, sanitario, di servizi assistenziali) trovano conforto nei territori degli affiliati a questo o quel sistema criminale. Gli stessi affiliati, forti del loro riconoscimento sociale, sono sempre pronti ad accogliere le richieste più disparate a qualsiasi ora, in luoghi pubblici e privati, che non incutono timore perché fanno parte dell’ambiente quotidiano di questo o di quel quartiere. Non uffici situati in vecchi palazzi con le sbarre alle finestre, ma case accoglienti arredate con mobili raffinati, dove chiunque si troverebbe a suo agio: luoghi simbolo dove l’affiliato può allo stesso tempo offrire un luogo protetto e familiare per facilitare l’elaborazione di una richiesta d’aiuto e mostrare gli effetti positivi del suo stile di vita, generando così consenso. L’enfasi sulla specializzazione di uno spazio tende molte volte a rafforzarne i caratteri di setting separato e contribuisce a isolare i servizi pubblici dalla vita sociale circostante. I servizi sociali divengono spesso luoghi difficilmente accessibili, produttori di stigmatizzazione e differenziazione sociale, chiusi in una dimensione che respinge i problemi sociali nella loro complessità per trattarli in maniera parziale, specialistica, secondo una classificazione riferita a uno stato di bisogno o a un tipo di patologia. I clan di camorra nascono nei quartieri delle città e nelle province degradate e, anche quando raggiungono livelli di arricchimento elevati, i loro affiliati non abbandonano il territorio: lo presidiano. La presenza del “Sistema” diventa così un’opportunità per le popolazioni a rischio emarginazione/povertà, generando paradossali sensazioni di protezione e offrendo possibilità di ricchezza e tutela sociale senza le barriere d’accesso tipiche dei servizi pubblici. Gli affiliati ai clan, i loro familiari e fiancheggiatori hanno un notevole vantaggio in termini di accesso ai servizi rispetto ai cittadini comuni. Anzitutto hanno la possibilità di usufruire dei servizi pubblici e di quelli criminali contemporaneamente. Ma molte volte l’appartenenza o la vicinanza a un clan di camorra può diventare un plus valore per l’accesso ai servizi pubblici. Una delle caratteristiche principali delle organizzazioni criminali campane è rappresentata dall’alto livello di penetrazione nelle articolazioni operative della Pubblica Amministrazione e della società civile. È molto facile intuire che, in regime di risorse limitate destinate dallo stato sociale, laddove forte è l’influenza delle organizzazioni criminali, molte volte succede che siano proprio gli affiliati e i loro familiari ad essere favoriti nell’erogazione di risorse pubbliche, con la conseguente esclusione dai benefici di comuni cittadini. Favorire un affiliato o un suo parente diviene perciò un fenomeno diffuso non solo in materia contributiva, nell’erogazione di servizi sanitari, nella concessione di mutui agevolati, ma anche nelle questioni più banali come evitare la fila ad uno sportello o ricevere la cortesia di un impiegato. Molte volte il fatto che si sappia che si sta trattando con affiliati di un clan crea un deterrente difficile da ignorare per le persone comuni. La paura diffusa nella società civile è l’altra faccia della medaglia della mano assistenziale delle organizzazioni criminali: diffondere timore e senso di protezione allo stesso tempo rappresenta da trent’anni un piano strategico vitale per ogni gruppo criminale. Assistere le famiglie in stato di bisogno, offrendo lavoro e, quindi, assistenza. Colpire duramente chi tradisce solo quando è strettamente necessario, in maniera plateale, facendo in modo che il messaggio arrivi a tutti quelli che s’immedesimano come vittime potenziali. Attrazione e repulsione sono sensazioni che provano quotidianamente tutte le persone che vivono in terra di camorra. E a volte un equilibrio tra questi due poli, trasforma interi territori in aree a legittimità limitata, dove il rapporto vittima/aggressore diviene labile e sovrapponibile. Allora a volte i boss diventano persone magnanime, pronte ad aiutare una famiglia in difficoltà: persone scaltre, generose. Un modello da imitare e proteggere.