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Pugno di ferro
in guanto di velluto
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Maria Elena Boschi è la prima donna ad assumere
la diretta responsabilità di riforme costituzionali nella
storia della Repubblica, e la seconda a occuparsi dei
rapporti del governo con il Parlamento.
Ministra a 33 anni, dovrà gestire alcuni degli
snodi cruciali dell’esecutivo guidato dal Rottamatore.
Maria Elena tiene i rapporti con un Parlamento che
non rispecchia neppure da lontano la compagine governativa, perché è il risultato delle elezioni del 2013: da
allora nella politica italiana è successo di tutto, ma i
parlamentari sono sempre gli stessi, anche quelli della
maggioranza in gran parte scelti dai suoi avversari
di partito e ognuno pronto a rivendicare il peso dei
propri voti, anche quando hanno numeri da prefisso
telefonico. Di certo con un Parlamento del genere non
è facile lavorare. Con un emiciclo che fosse specchio di
una vittoria elettorale sarebbe tutta un’altra storia.
Ma, si sa, Matteo Renzi a Palazzo Chigi è arrivato
dalla porta di servizio. E Boschi insieme a lui benché,
al contrario del premier, Maria Elena il test delle elezioni lo abbia superato: era stata infatti eletta alla
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Camera per il Pd alle politiche del 2013 nella circoscrizione della Toscana. Uno dei primi “alieni” renziani
mandati in avanscoperta nella capitale. Oltre a questa
bella gatta da pelare, donna Maria Elena da Laterina
si sobbarca il compito, davvero non da poco, di riscrivere la Costituzione italiana: sue saranno le Riforme,
con la “R” rigorosamente maiuscola visto che ormai
sono diventate quasi un totem. «L’Italia deve fare le
riforme», «All’Italia servono riforme», «L’unica strada
per recuperare credibilità sono le riforme», «Per tornare a crescere abbiamo bisogno di riforme» è la cantilena che pronuncia chiunque frequenti i palazzi del
potere romano, i sindacati e gli industriali, la Banca
centrale europea e Bruxelles. All’Italia servono le riforme, sì, ma in Italia le riforme non le ha fatte mai
(quasi) nessuno. Insieme alla necessità della crescita
economica, è la sfida più grande, quella a cui Matteo
Renzi assegna la priorità. Anche perché sa benissimo
che, per costringere l’Europa ad allentare i cordoni
della borsa, sul tavolo della trattativa ci deve mettere
proprio le riforme, e dimostrare che stavolta l’Italia
farà sul serio. Di questo pilastro dell’azione di governo
si farà carico una giovane avvocatessa e deputata che
gode della fiducia incondizionata del premier.
Renzi si presenta all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con una lista di ministri
composta da otto uomini e otto donne: il gabinetto con
l’età media più bassa della storia italiana. Durante
l’incontro al Quirinale per la definizione del governo,
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Renzi assicura ai giornalisti che non c’è «nessuna criticità con Napolitano», ma l’incontro dura più di quanto
previsto dal protocollo. In realtà qualche dubbio sul
pacchetto dei ministri l’allora capo dello Stato ce l’ha.
Non su Boschi, in realtà, almeno non in quel momento.
Poco dopo il giuramento, però, raccontano fonti vicine
al governo, «Napolitano ha avuto con Boschi un lunghissimo colloquio, il capo dello Stato ha quasi “interrogato” la ministra in diritto costituzionale e riforme.
Alla fine l’esame, evidentemente, è stato superato. Anzi
tra i due è nato un profondo feeling, si sono incontrati
più volte durante il cammino delle riforme e anche ora
che Napolitano è in “pensione” il dialogo continua».
C’è da chiedersi se un analogo trattamento sarebbe stato riservato a un collega uomo, magari un
politico di lungo corso. In Italia, per più d’uno, essere
maschio e attempato garantisce di per sé sufficienti
titoli in materia... In ogni caso, il 22 febbraio, Boschi
presta giuramento nelle mani di Napolitano, salendo
al Quirinale con un tailleur blu elettrico che scatenerà
orde di commenti e fotografie sui rotocalchi e sui social
network. Lei sembra non curarsene e, consapevole
della difficoltà del ruolo – racconta una fonte a lei
vicina –, appena arrivata «prende in mano tomi di
diritto costituzionale e si mette a studiare a fondo la
materia, chiedendo anche il contributo di importanti
giuristi e professori universitari».
I commenti riservati a Maria Elena Boschi da
gran parte dei colleghi politici e dei cronisti non sono
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stati certo benevoli: in forza del corollario italico per
cui, se sei giovane e carina, devi essere necessariamente stupida, la ministra ha dovuto dimostrare ciò
che, per i maschi dai 40 anni in su, viene dato (spesso
a torto) per scontato. Ovvero: non sono stupida, e magari sono anche preparata. Racconta una fonte politica da sempre vicina alla ministra, ricordando quei
giorni: «Di sicuro, l’accoglienza non è stata calorosa.
Le frasi più ricorrenti erano: “Per riscrivere la Costituzione servono i mostri sacri e non una ragazzina”,
“È solo estetica di governo”. Oggi, sia alla Camera che
al Senato, tutte le vecchie glorie della politica italiana,
a partire dal Pd, si sono accorte della ministra Boschi.
Dopo un anno e mezzo di lavoro, non senti più nessuno parlare in questo modo». Chi punta il dito con
fare più garbato, e lascia da parte le battute sessiste
e generazionali, sostiene che Maria Elena non ha il
curriculum adeguato per affrontare gli incarichi che
le sono stati affidati. Sulla carta, risulta solo il breve
mandato come consigliera d’amministrazione di una
partecipata comunale. Il curriculum politico di Boschi
sta tutto in una riga, mentre servono pagine per contenere quello di chi l’ha preceduta sulla stessa poltrona.
Il ruolo di ministra, insomma, non è giustificato dalla
fulminea “gavetta” di Maria Elena Boschi. Senz’altro
si poteva trovare qualcuno più preparato di lei. Vero.
Ma, per fare politica, servono almeno due cose: preparazione e carattere. Perché un curriculum solido,
da solo, non basta. Abbiamo visto com’è andata a fi42
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nire quando il Paese è stato affidato a professori dai
curricula chilometrici, con una preparazione tecnica
e accademica che sulla carta faceva impallidire. Ma
non sapevano fare politica. Mancavano di carattere.
Lei, invece, di carattere ne ha da vendere. «Sono
rimasto letteralmente impressionato nel vederla in
aula alla Camera il giorno in cui, a nome del governo,
ha posto la questione di fiducia sulla legge elettorale»
commenta un giornalista di lungo corso, osservatore
della politica romana per una delle più prestigiose
testate internazionali. “Impressionante” è forse il termine più azzeccato: appena inizia a leggere la formula
della fiducia, in aula si scatena la bagarre e la voce di
Maria Elena Boschi viene sommersa da urla e fischi.
Mentre le piovono addosso insulti di ogni tipo («vergogna», «fate schifo» e persino «infame»), la ministra
continua a leggere il foglio che ha in mano, recita la
formula di rito senza fermarsi neppure un istante a
prendere fiato. Né alza mai gli occhi verso l’emiciclo
parlamentare in piena gazzarra. Camicetta bianca
a pois neri, termina la lettura andando dritta fino
in fondo, senza una pausa, senza farsi distrarre dai
ripetuti richiami rivolti all’aula dalla presidente della
Camera Laura Boldrini, che agita freneticamente la
campanella nel tentativo, vano, di ristabilire l’ordine.
Maria Elena Boschi conclude l’enunciazione della formula e siede al suo posto. Imperturbabile. Imperturbabile e impermeabile a quello che le accade intorno.
Quattro anni prima, nel dicembre 2011, la ministra
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del Lavoro e delle Politiche sociali Elsa Fornero, sul
cui curriculum si sono sprecati gli elogi, non riuscì a
terminare il dottissimo discorso sulla riforma delle
pensioni che porta il suo nome: a metà della parola
«sacrificio» scoppiò a piangere e dovette intervenire
l’allora presidente del Consiglio, il professor Mario
Monti, per concludere l’illustrazione della manovra.
I ministri dal curriculum dubbio quanto a competenze specifiche non sono una novità introdotta dal
governo di Matteo Renzi (basti pensare all’infornata
arrivata a Roma con la Lega Nord della prima ora) e
l’introduzione di volti giovani, completamente nuovi,
fa parte del Dna della rottamazione. A molti di coloro
che la sorte ha catapultato dal nulla sugli scranni,
però, è mancato il carattere. E sono spariti in fretta
come erano arrivati, alla maniera delle meteore, oppure si sono accomodati con posti di penultima fila
nella grigia e comoda palude romana, dove ristagnano
da anni. Non sono mai diventati stelle della politica.
Maria Elena Boschi, invece, ha una tempra incrollabile. Sorriso gentile e carattere di ferro. Chi pensava al fiorellino messo lì per decorare il governo, alla
“quota panda”, si è dovuto ricredere: la neoministra
esercita la sua carica con piglio marziale, recitando
senza battere ciglio le formule istituzionali davanti al
Senato e alla Camera, senza fare una piega neppure
davanti agli insulti personali e diretti. Carattere volitivo e attitudine al comando. Insomma, una tosta.
E pure secchiona, come lei stessa dice di sé. Quasi
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a far intendere che la preparazione la si può anche
costruire strada facendo: basta mettersi a capo chino
e studiare giorno e notte, cosa che ha sempre fatto e
continua a fare ancora oggi. Ma il carattere, quello no,
non si improvvisa. Con certe attitudini ci devi nascere.
Maria Elena è una tosta. Lo si vede anche dal
modo in cui ha riorganizzato il lavoro del suo ministero: con un metodo che chi le sta vicino ogni giorno
definisce “quasi militare”, ma non arrogante. «Maria
Elena» rivela una fonte «si è inserita senza frizioni in
un pachiderma burocratico di oltre 4.000 dipendenti.
È apprezzata da tutti quelli che lavorano al ministero
per i Rapporti con il Parlamento. La ritengono una
persona preparata e gentile.» Ma quando c’è da portare a casa il risultato, è inflessibile: «È calma e determinata, quindi il complemento perfetto per Matteo
Renzi che è un fantasista. Ha contribuito in modo
fondamentale a dare un metodo di lavoro al governo.
Un metodo quasi militare. Come ha fatto a portare a
casa le riforme? Ha tenuto i suoi interlocutori inchiodati al tavolo per ore e ore, finché non si è trovata la
soluzione. Aveva di fronte un Parlamento, cioè quello
dei precedenti governi, abituato a rinviare tutto o a
trasformare ogni cosa in un Vietnam. Anziché mollare,
ha fatto riunioni fiume una dietro l’altra fino alla soluzione, arrivando a far abolire il Senato ai senatori.
Praticamente lavora ventiquattr’ore al giorno».
A ogni disegno di legge, ciascuno dei 630 parlamentari può portare il proprio contributo sotto forma
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di emendamento. L’idea di Boschi in proposito è che i
parlamentari sono liberi, ma tutto ciò che è di origine
governativa passa al vaglio del suo ministero prima di
approdare in aula. Per evitare trappole e inghippi da
parte dei gabinetti ministeriali. Insomma, la ministra
ha accentrato tutto, tutto passa dal suo ufficio. Ha
messo in piedi un’organizzazione efficiente, ha portato
nel suo staff un paio di persone, usa i dipendenti della
struttura. Non esce mai da sola, gira a piedi con i suoi
collaboratori (e con la scorta) nei brevi tratti da Largo
Chigi a Palazzo Chigi e a Montecitorio. Non mostra
timore, né ostentazione. Fa una vita normale, molto
meno mitica di quanto si possa immaginare.
Alla prima esperienza, Maria Elena si è dimostrata sufficientemente decisa ma anche capace soprattutto di negoziare con avversari e alleati. Nel governo ha anche il ruolo della “tessitrice”, grazie alla
delega dei Rapporti con il Parlamento, in virtù del suo
temperamento e degli spazi di manovra che Renzi le
ha lasciato. Nel giro di un anno, ha portato “in regalo”
al governo decine di voti in aula (quelli dei parlamentari di Ap e Gal, ad esempio, con una stima di 40-50
persone) a sostegno dei provvedimenti governativi
proprio grazie alle sue doti di negoziatrice e alla sua
capacità persuasiva.
Tempra di ferro e metodo militare, dunque. Ma
anche sorriso rassicurante da fatina buona con i capelli
biondi e gli occhioni blu. E performance da red carpet
con tacco e abito fasciante. Riscrive la Costituzione e
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manda in brodo di giuggiole i paparazzi. Tesse rapporti
in Parlamento e si concede la vacanzina low cost con le
amiche di sempre ma anche un tuffo nella mondanità
di Formentera, immortalata in tutte le salse.
Chi è davvero Maria Elena Boschi? Probabilmente
è tutto questo insieme. E, non c’è dubbio, ne è ben
consapevole. Sa che tutto è necessario per salire l’ultimo gradino: già passata da pretoriana del capo a
gregaria di lusso del capitano, ha bisogno di ogni ingrediente per diventare leader in proprio. Una delle
poche, dell’attuale e rinnovata classe politica italiana,
a potersi permettere di tentare il grande salto.
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