311 Il Cappellone di San Nicola a Tolentino

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311 Il Cappellone di San Nicola a Tolentino
n° 311 - luglio 2003
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Il Cappellone di San Nicola a Tolentino
Di inedita efficacia la
dimensione poetica e la
forza narrativa sprigionata da ogni scena del
ciclo del “Cappellone”
di San Nicola a Tolentino, uno dei cicli ad affresco trecenteschi in
Italia centrale meglio
conservati, ma anche
fra i meno studiati. Una
disattenzione che forse
deriva dalla sua ubicazione decentrata rispetto ai grandi centri
d’arte, oppure può essere dovuta alle estese
ridipinture che per tutto
il secolo scorso hanno
nascosto l’originale superficie dipinta.
Eppure, di fronte agli
affreschi si rimane affascinati dal vigoroso
realismo e dall’intensa
spiritualità che essi emanano con i loro solenni
personaggi, avvinti dall’atmosfera rarefatta e
irreale dovuta al tessuto
cromatico che dal primo
registro, dedicato a illustrare la vita e i miracoli dell’umile frate
di Tolentino, sale senza
soluzione di continuità
fino alla profondità del
firmamento in cui campeggiano, abbinati, gli
Evangelisti e i dottori
della chiesa.
Gli affreschi tolentinati
posso essere collocati
nella serie della Biblia
pauperum tipiche del medioevo, e un particolare
di quelle dei secoli XII
e XIII.
«La cultura del tempo
secondo il modello della
scolastica, scrive Pietro
Bellini, compie in que-
sto periodo un ben riuscito sforzo di sistematizzazione del pensiero
e dello scibile, producendo grandi sintesi nel
campo della teologia (le
Summae Theologicae), in
quello della letteratura
(riferimento immediato
alla Divina Commedia
di Dante) e in quello
dell’arte (le Biblia pauperum appunto, o cicli
illustrativi)».
Le storie di san Nicola
sono divise in tredici
scene: sette riquadri riguardano la narrazione
della vita del santo,
mentre sei narrano i miracoli compiuti dopo la
sua morte. Dei sette, i
primi riguardano l’infanzia di san Nicola.
Una scelta, è stato osservato, forse in relazione al fatto che il convento di Tolentino era
anche la casa di formazione per i candidati
dell’ ordine agostiniano.
Altra ipotesi suggerita
è quella “vocazionale”,
cioè che queste scene
abbiamo l’intento evocativo per suscitare nelle
mamme e nei bambini
che numerosi andavano
al Sepolcro di San Nicola, il desiderio di imitarlo nella consacrazione
a Dio. Certo è che il ciclo del Cappellone risulta comunque essere
un’impresa di alta concezione che va al di là
della narrazione agiografica.
Gli affreschi ricoprono
l’intero spazio a disposizione della grande cappella: le grandi pareti
e la volta a crociera, spartita in quattro vele.
Le scene si svolgono con
grande scioltezza sulla
superficie delle pareti.
La parte decorativa non
è invasiva.
Gli elementi architettonici non intervengono
quasi mai a interrompere il racconto, nemmeno nei registri di impianto più narrativo
come quello con la storie di san Nicola o quello
sovrastante con le storie evangeliche. Vengono invece usati per
segnare le linee architettoniche della cappella e le scansioni tra
registro e registro. I costoloni delle vele sono
segnati da grosse fasce
a fregi geometrici e vegetali intervallati da
medaglioni con busti e
santi, uguali a quelli
che incorniciano il profilo centinato dei lunettoni.
Il Cappellone, come
scrive Daniele Benati,
e i suoi affreschi «ci restituiscono il carattere
di un “cantiere” trecentesco, inducendoci
a riflettere sui condizionamenti e sulle contingenze che determinano la nascita di quel
tipo di prodotto dell’attività che si chiama
opera d’arte».
Il lavoro artistico è stato
condotto nella struttura e organizzazione
tipica del lavoro del Medioevo, cioè quello della
“bottega”, di quell’aggregato di competenze,
capacità e manualità
Cappellone di San Nicola: Istruzione di San Nicola
bambino
Cappellone di San Nicola: Le storie evangeliche.
La strage degli innocenti (part.)
pag. 2
che un gruppo di lavoranti, con diverse mansioni e attitudini, svolgeva sotto la guida del
capobottega.
Per il Cappellone, Pietro Toesca aveva segnalato quali autori “vari
collaboratori confusi in
uno stile collettivo”, da
rileggere sostiene sempre Benati alla luce del
risultato in qualche
modo coerente che il ciclo propone e che si deve
alla presenza di un’unica
mente organizzatrice,
pur non escludendo che
gli affreschi possano essere frutto della mano
di diverse persone operanti e attive di pari
grado.
Certo è il linguaggio
unitario adoperato, che
ha fatto pensare anche
a un’ideazione o a un
intervento parziale di
Pietro da Rimini.
Tra gli affreschi più volte
lodati, citiamo le Storie
di Cristo; esaminando
per prima La strage degli innocenti, con cui si
apre la sequenza nella
metà della parete settentrionale, osserviamo
in particolare la figura
di Erode in cattedra,
nella medesima posizione sbieca del san
Marco della volta, descritto in modo spregiativo con una smorfia crudele. Nel gruppo
delle madri impegnate
a sottrarre i loro figli
dai sicari si alternano
momenti di intenso pathos, accanto ad altri in
cui la drammaticità è
più di maniera, più recitata. Come fa notare
Cappellone di San Nicola: Le storie evangeliche. Le nozza di Cana (part.)
ancora Benati si tratta
in ogni caso di un tipo
di sentimentalità che
stenta ancora a calarsi
entro schemi di superiore astrazione formale,
ma che predilige il gesto icastico e avventante,
sfidando consapevolmente, come nel caso
della madre che alza al
cielo le braccia smisuratamente allungate.
Anche l’affresco con
le spettacolari Nozze di
Cana, presenta episodi
tra i più famosi del ciclo e la sua esecuzione,
che sembra lasciare poco
spazio ad aiuti, è altamente raffinata: gli invitati protagonisti sono
stati fatti accomodare
a due tavole di fianco a
quelle degli sposi e tutta
la scena è percorsa da
un’altissima tensione
narrativa. Anche le interpretazioni dei Dot-
tori nella Disputa dei
Dottori vibrano su diversi toni: dalla pacata
attenzione, all’incredulità, alla perplessità.
Affreschi tutti nella direzione di una drammaticità espressa non
solo dalla esasperata mimica facciale e gestuale
dei personaggi, ma anche attraverso una ricerca formale più intellettualizzata.
Certo è che sebbene gli
affreschi del Cappellone
conservino ancor oggi
inviolati i segreti riguardo la loro autografia e cronologia, che da
decenni fanno dibattere
critici e storici dell’arte,
grazie anche al loro recente restauro, restano
una testimonianza straordinaria dell’ arte e
della religiosità medievale.
maria siponta de salvia