La madre luttuosa Nicola Galvanin
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La madre luttuosa Nicola Galvanin
La “madre luttuosa” La perdita di un figlio segna in modo indelebile la madre per tutta la vita. C’è un cambiamento di mondo interno, cui corrisponderà un mutamento del suo relazionarsi con il mondo esterno, in modo particolare con gli altri figli, se ce ne sono, con il partner e con i propri genitori, veri o fantasmatici. Tutto questo sarà determinato dall’andamento del processo del lutto. Innanzitutto, nella civiltà occidentale, c’è la tendenza, da parte dei servizi medici e della società in generale, a celebrare, nel caso del lutto del neonato, una “scomparsa veloce”. Alle volte non c’è nemmeno un rito funebre, altre non viene concesso alla madre il contatto con il defunto. Tutto collude a creare un “non evento”. La madre così si trova nell’incredulità, nessuno parla di quello che è successo, tutto tende ad andare avanti come se nulla fosse stato. Questo favorisce un processo d’incistamento del lutto, laddove in realtà sarebbe fondamentale favorirne l’elaborazione. La madre si trova allora a confrontarsi, sola, con il suo mondo interno che fino a poco prima era centrato sulle fantasie riguardanti il figlio in arrivo: il lutto per il “bambino della notte”. Un insieme di proiezioni, aspettative, speranze, una parte di sé, che pur venuta al mondo, anche se per breve tempo, sembra non sia mai esistita. E’ proprio una perdita importante di Sé che la madre sperimenta. Un Sé bambino, che rinasce con il proprio figlio, una seconda possibilità, che svanisce dolorosamente in partenza. E' possibile che scatti nella madre un processo d'appropriazione del bambino defunto: un "tutto mio", dai confini confusi fra il Sè e l'Altro, di cui il resto del mondo esterno non ne è a conoscenza (Bowlby). Il sorgere di sentimenti d’inadeguatezza potranno portarla distante dalla sua di madre. Io che non ce l’ho fatta, come posso confrontarmi con te che ci sei riuscita? L’oggetto d’identificazione e d’attaccamento diventa così distante, irraggiungibile, un’invidia arcaica silenziosamente si fa strada. Tutto lavora per farla sentire una madre inadeguata, incapace. Riprecipita in una lotta edipica, che pensava d’aver finalmente vinto con il diventare madre, ma che si tramuta nuovamente e per l’ennesima volta in sconfitta, la "vera sconfitta edipica". Parlo di vera sconfitta edipica, perché la prima è evolutiva, necessaria alla crescita. Permette il disinvestimento libidico dalla figura paterna e il reinvestimento su oggetti esterni. Diventa quindi la base necessaria per entrare in relazione con l'altro. La morte di un figlio, se non viene elaborata invece, precipitando la madre nell'inadeguatezza, la vede perdente nel confronto con il suo materno. Questo processo dipende dal grado di differenziazione che si è raggiunto, dal fatto se il figlio la madre l'ha fatto per sè, all'interno di una relazione e di un progetto di coppia, se l'ha fatto come rivalsa, oppure come dono a sua madre. Soprattutto nel caso della rivalsa, il lutto non elaborato per il figlio perduto, può diventare una sconfitta definitiva. Nel caso del dono alla propria madre, si vedrà il doppio lutto non elaborato di mamma e nonna, con il sottostante sentimento di "non sei stata, non sono stata, capace". Per sopravvivere ad un dolore così grande, è molto probabile un blocco emotivo. Processi come la rimozione e la scissione possono proteggerla dal dolore, ma portano inevitabilmente alla mancata elaborazione del lutto. Il lutto non elaborato viene trasmesso alle generazioni seguenti. Sarà soprattutto difficile per lei, nel fallimento e nel dolore, reinvestire senza proteggersi in altri legami. Riguardo al proprio partner, un lutto di questo tipo, crea una grande crisi di coppia. Se i genitori restano uniti, possono aiutarsi a passare attraverso le fasi del lutto, elaborando dolore e fallimento e rilanciare un nuovo progetto di coppia. Molto spesso però insorgono discussioni, il rinfacciarsi le colpe reciprocamente, con il conseguente isolamento e disinvestimento reciproco. Un lutto quindi può unire o sfasciare una coppia e questo è determinato da come era stata la relazione prima della grave perdita e da come sono riusciti a supportarsi durante il doloroso processo. L’attaccamento con i figli sopravvissuti Il figlio sopravvissuto può esser nato prima della grave perdita, oppure può esser l'esito di un nuovo progetto di coppia. Capita non di rado che s'incolpi il fratellino/sorellina della morte del figlio, come esito di uno spostamento del dolore (Bowlby). In questo caso si possono produrre nel bambino sopravvissuto dei gravi disturbi psichici, che non di rado sfociano in psicosi conclamate. C'è la fase dell'immenso dolore della madre, che il figlio percepisce, capisce, respira. Il bambino mobilita le sue risorse per aiutare la madre, soprattutto se vede il padre non esserle sufficientemente di supporto. Con una coppia genitoriale emotivamente fragile, il bambino potrebbe smettere di piangere, di portare le sue insicurezze, iniziando precocemente un processo d'adultizzazione e falsa autonomia. Potrebbe inoltre, in un clima saturo di dolore, sviluppare una barriera contro le emozioni. Entrambi i processi influiscono su come, nella sua famiglia, imparerà a trattare il dolore. Si vede così come un lutto importante, influisca sulla generazione successiva. Il figlio sopravvissuto può essere disinvestito o sovrainveistito dai suoi genitori: in entrambi i casi verrà fortemente influenzato il processo di svincolo. La madre, con un lutto non elaborato, in una situazione di "come se non fosse successo niente", può continuare ad investire sul figlio perduto interno, vissuto come solo ed assolutamente suo. Questo processo d'incistamento non le consente d'investire nelle relazioni esterne. Lo stile d'attaccamento derivante da un lutto non elaborato, può essere quello Disorganizzato\Disorientato. La madre può non essere disponibile per i figli sopravvissuti. Presa dal proprio dolore interno, appare fredda e non disponibile, non di rado incute anche paura. Se l'elaborazione del lutto almeno in parte avviene, la mamma riesce ad investire su i figli sopravvissuti, però sempre con riserva. Piene d'amore queste madri, non riescono però a sviluppare un attaccamento sicuro e a trasmettere i loro sentimenti, perchè si aspettano continuamente la loro morte. Non si può parlare di madri fredde, ma di madri che non riescono fisicamente a trasmettere il proprio amore. I sentimenti allora passano attraverso il cibo, le cose pratiche. Il figlio però rischia d'aspettare per tutta la vita un amore, nella forma in cui ne ha bisogno, ma che la madre non è in grado di trasmettergli. E' per lui un processo di disillusione e delusione doloroso e difficile, ma necessario per la sua separazione \individuazione. Un figlio che nasce dopo la morte di un fratellino, può assumere, nel cuore, negli occhi e nella mente dei genitori, l'identità del defunto. Sono questi i casi in cui spesso viene dato lo stesso nome. Peseranno su di lui delle doppie aspettative, quelle riguardanti il fratellino morto e quelle riguardanti se stesso, con il sentimento di colpa di averne preso il posto. I sopravvissuti si confrontano continuamente con il fantasma del fratello morto e con l'idea della loro morte imminente. Questo può portare la madre ad essere apprensiva, ad ostacolargli ogni forma d'autonomia perchè vista come rischio di morte. Sono continuamente esposti ad un doppio messaggio: ci sei, ma al posto di un altro; sei vivo, ma morirai presto; ti amo profondamente, ma non riesco a comunicartelo. L'area scura del lutto non elaborato, può portare precocemente il bambino a trattare il dolore della madre, a discapito del proprio. Spesso diventano bambini adultizzati, responsabili, ma incapaci di sentire le proprie emozioni, perchè esposti ad un modello materno in cui tutto ciò che è emotivo è dolore inaccettabile. Altre volte i bambini crescono, diventano adolescenti, poi adulti, senza mai rinunciare alla speranza di curare il dolore della madre: il loro svincolo diventa difficile. L'eccessiva protezione di cui possono godere, gli fa vedere il mondo esterno come pericoloso e loro inadatti ad affrontarlo. In un "clima mortifero" non imparano a trattare il dolore.