LA CULTURA DEL CORRIERE - Le donne e la Grande Guerra

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LA CULTURA DEL CORRIERE - Le donne e la Grande Guerra
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LA CULTURA DEL CORRIERE - Le donne e la
Grande Guerra
03/12/2012
Che ruoli hanno ricoperto le donne durante la Prima
Guerra Mondiale? Ce lo raccontaAlessandro Gualtieri
nel suo “La Grande Guerra delle Donne”, edito da
Mattioli 1885.
Il saggio vuole «ricostruire la condizione delle donne
e il contributo civile-politico-sanitario che diedero
alla Patria, non solo occupando i posti di lavoro degli
uomini impiegati al fronte, ma anche mettendo al
servizio dello Stato le proprie forze in numerosissime
forme di assistenza morale e sanitaria ai soldati e alle
loro famiglie».
Ricco di contestualizzazioni e riferimenti specifici il
libro ci ricorda il difficile scenario nel quale si
ritrovarno a vivere la popolazione maschile e
femminile durante la Prima Guerra Mondiale,
sottolineando come: «A parte i rischi e i disagi, gli uomini percepivano la permanenza al fronte come una sorta
di segregazione, di emarginazione dal proprio mondo: fare la guerra richiedeva molto spirito di sopportazione e
adattamento a una sostanziale, rischiosissima passività, mentre le donne a casa vedevano moltiplicati i loro
compiti e le relative responsabilità».
La grande povertà portava le donne a sacrifici immensi per riuscire a sfamare i propri figli, tanto da raccogliere
le erbe dei giardini pubblici ed inventare le più strane ricette per rendere “gustose” anche le bucce dei legumi,
oltre ad organizzare veri e propri scioperi per aumentare i salari.
«Infermiere, soldatesse, operaie, attiviste, spie, ma anche e soprattutto madri, sorelle e compagne
complementari di quel complesso universo stravolto dalla violenza della sua controparte maschile» ecco chi
erano le donne della Grande Guerra delle quali ci parla Gualtieri. Esse «davano la caccia agli aitanti giovanotti
rimasti in abiti civili che, durante il passeggio, venivano facilmente “adescati” e costretti ad arruolarsi o… a
fuggire a gambe levate, additati come codardi e imboscati, crudelmente esposti al pubblico ludibrio», erano il
polo privilegiato della corrispondenza di guerra e in particolare le crocerossine «dovevano vedersela con le urla
strazianti dei feriti da soccorrere e medicare, turni massacranti, stress psicologico e incessanti diluvi di letali
“sbibbole” d’artiglieria, che lasciavano poco spazio alle relazioni sentimentali e a qualsiasi altro tipo di
rilassatezza»
Un libro che restituisce, dunque, alle donne un ruolo a lungo negato, per ribadire che «La passata inferiorità
delle donne sul piano civile, giuridico ed economico, nonché la loro esclusione da molteplici diritti e attività
venivano motivate con ragioni decisamente prive di fondamento: si parlava addirittura di inferiorità fisica,
estrema emotività e scarsa capacità logica.
[…] Parallelamente la secolare soggezione femminile si concretizzava nella totale subordinazione al
capofamiglia e, in generale, alla figura maschile. Le donne erano discriminate rispetto agli uomini nelle
successioni ereditarie e non potevano amministrare il loro eventuale patrimonio personale, né la propria dote;
inoltre, non potevano contrarre obblighi giuridici senza un consenso maschile (padri, mariti, ecc.) e non
potevano ricoprire alcuna carica pubblica».
Le donne della Grande Guerra, a causa delle numerose responsabilità che si ritrovarono ad avere compirono,
comunque, un lungo passo in avanti nel cammino dell’emancipazione femminile, un cammino che ancora non
si è concluso oggi, nel XXI secolo. Gualtieri non ha dubboi: «La vera scintilla dell’emancipazione femminile
italiana si registrò proprio quando il lavoro fu affidato alle donne, a causa della drammatica penuria di mano
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d’opera maschile durante la Prima Guerra Mondiale. […] Il segnale d’inizio di quella che sarebbe poi stata
riconosciuta come azione femminista, fu dato da molte nobildonne borghesi, sulla scorta del loro buon livello
culturale e dei loro legami con movimenti politici democratici e radicali». Basti pensare che anche la gran parte
delle migliaia di crocerossine volontarie proveniva dalla nobiltà e dall’alta borghesia ad esempio, la duchessa
d’Aosta, moglie di Emanuele Filiberto. Un processo di emancipazione che si spiega anche il maggior numero di
donne che frequentavano gli istituti superiori, senza più limitarsi allo studio di quegli obsoleti “esercizi
donneschi”. Anche la moda fece un deciso passo avanti con la diffusione del “Liberty” e i rivoluzionari abiti di
Coco Chanel, che riscrisse la moda femminile in termini di praticità e comodità, permettendo finalmente anche
alle donne di vestirsi da sole. La moda del periodo è descritta in modo illustre dallo scrittore Gabriele
D’Annunzio, con numerose e preziose citazioni che Gualtieri richiama più volte.
Ma per le donne la situazione non era ancora così rosea. Durante la grande guerra si diffusero le cosiddette
“Case di Tolleranza”, ovvero dei luoghi riconosciuti dalla legge in cui trovare delle prostitute. Due gli stereotipi
di prostituzione tramandatici dal XIX secolo ovvero la “pericolosa degenerata” e la “vittima passiva”. Nel
capitolo, significativamente chiamato “Le stimmate del meretricio”, l’autore sottolinea come, essendo in
qualunque altro lavoro pagate la metà degli uomini, spesso si ritrovassero a prostituirsi anche se solo
temporaneamente, fino trovare e un uomo che le sposasse con cui metter su famiglia. Nè l’autore dimentica le
tante donne profghe. Gualtieri cita a proposito una relazione di Luciana Palla per l’Università Ca Foscari di
Venezia «Quella del profugato venne considerata una faccenda privata, soggettiva, come se fosse naturale che
le spalle femminili dovessero portare un tale peso senza nemmeno il diritto che fosse ricordato, che entrasse
ufficialmente nella storia. […] L’esistenza della figura del profugo/a non era prevista in quella guerra che fu
tanto diversa da come era stata immaginata: era cioè una nuova, difficile da catalogare e quindi in un certo
senso sospetta, con bisogni, esigenze e comportamenti che non erano né quelli del soldato al fronte né quelli
della restante popolazione civile». Sarà, poi, il fascismo a infliggere di nuovo un duro colpo al processo di
emancipazione delle donne, ridotte a gestante di futuri soldati-guerrieri.
Già nel primo dopoguerra per garantire un’occupazione ai reduci di guerra molte donne vennero licenziate. Se,
dunque, ci fu una guerra dei sessi durante la Grande “Guerra”, questa non fu certo vinta dalle donne, malgrado
il loro valore. Tra i ritratti più belli quelli di Elena Seracini Vitiello, in arte “Francesca Bertini”, attrice, secondo
Gualtieri, «Iconizzata nella donna passionale, assoluta, straziante, allora particolarmente in voga.[…] La
Bertini aveva certamente capito quanto costi la gloria e il successo, e rinunciava persino all’amore di illustri
corteggiatori per conservarsi, probabilmente, per un vero blasone»; Vera Brittain, aiuto infermiera, che si
adoperò per la difesa dei più deboli e delle donne, anche durante e dopo il Secondo Conflitto Mondiale; Edith
Louisa Cavell, infermiera, che si era già affermata nella propria professione, al punto di fondare e dirigere
anche la rivista specializzata “L’infermière” ed alla quale si associa il motto “Non posso smettere di lavorare, se
ci sono ancora così tante vite da salvare!”. O ancora le vite di Edina Clam Gallas, crocerossina, fotografa e
storica; Alessandra Feodorovna, Zarina di Russia; Nina Adelina Maria Ferrero – sorella di un caduto italiano;
Maria Amalia von Hauler, infermiera-soldatessa; Margherita Kaiser Parodi Orlando, crocerossina; Clelia
Pizzigoni Calvi, madre dei quattro fratelli Calvi; Viktoria Savs, soldato di fanteria; Margaretha Gertruda Zelle ,
alias “Matha Hari”; agente segreto; Maria Boni, crocerossina; Giovanna Balbi e le sorelle Cadorna.
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Tiziana Correale
02/03/2013 14:04