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Tracce d’eternità
La rivista elettronica del mistero
Riservata agli utenti del portale Tracce d’eternità
Numero 7 (Marzo 2010)
LE FIRME DI
QUESTO NUMERO
IL SERPENTE
BINARIO
di Heinz Insu Fenkl
(Traduzione di Sabrina Pasqualetto)
"PARANORMAL
ACTIVITY":
L'IRRAZIONALITÀ
DI ATAVICHE
PAURE INTERIORI
di Antonella Beccaria
Philip Mantle
Heinz Insu Fenkl
J.Antonio Huneeus
Yuri Leveratto
Bruno Severi
Luca Andrea La Brocca
Andrea della Ventura
Massimo Staccioli
Roberto La Paglia
Michele Proclamato
Marco Zagni
Domenico Dati
Matteo Agosti
Ines Curzio
Noemi Stefani
Antonella Beccaria
Sabina Marineo
Alateus
Simonetta Santandrea
Simone Barcelli
Gianluca Rampini
Isabella Dalla Vecchia
TRA MITO, IPOTESI E STORIA
di Alateus
di Roberto La Paglia
di Sabina Marineo
LA NASCITA DELLA
CIVILTA’ EGIZIA
di Luca Andrea La Brocca
SAULO DI TARSO (PAOLO)
LA STORIA CHE
NESSUNO
RACCONTA
OPERAZIONE
ODESSA:
TRA MITO
E REALTA’
INTERVISTA A
MICHAEL CREMO
di Gianluca Rampini
I DOGON E IL
MITO DELLA
STELLA NERA
di Bruno Severi
VENERE
CHIAMA TERRA:
QUALCUNO
RISPONDE…
di Matteo Agosti
Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti
non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto
editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito
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collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare
i rispettivi autori.
GLI EMBLEMI
DI MAIER
di Simonetta Santandrea
Note a margine
pag.2
Il senso
di Tracce
Gianluca Rampini
Gianluca Rampini ha 35
anni ed è un ricercatore
indipendente che si occupa,
in special modo, di ufologia
e abductions.
In rete collabora con
Ufomachine, Ufoonline,
Paleoseti e altri siti
tematici.
Un caro amico una
volta mi disse “Che
senso ha darsi tanta
pena per cercare
risposte che non
troverai mai?”
Non è facile rispondere
onestamente ad una
obbiezione del genere.
Molto dipende da quali
sono queste risposte e
di conseguenza dalla
nostra convinzione di
poterle perseguire.
Avrebbe senso la
ricerca fine a se stessa?
Un buddista direbbe
certamente di sì, perché
è il viaggio che conta e
non la destinazione e
per quanto
condivisibile sia questa
affermazione io credo
non sia sufficiente, di
certo non lo è per me e
per tutti coloro che,
tramite le pagine di
questa rivista, mettono
il proprio tempo ed il
proprio impegno per
provare a far chiarezza
sui molteplici aspetti
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
della nostra realtà,
presente e passata, che
rimangono occultati
dietro le appannate
lenti della scienza
ufficiale o altre volte
occultati in piena vista.
Detto questo bisogna
anche ammettere che è
pressoché impossibile
desumere un quadro
omogeneo dalla
rivelazioni che
emergono, sembra che
per quanto ci si avvicini
alla formulazione di
una teoria
“unificatrice” essa
sfugga puntualmente,
che ogni risposta che
troviamo conduca
inesorabilmente a
nuovi quesiti.
Soprattutto nel mondo
dell’ufologia e del
paranormale in senso
più ampio potrebbe
sorgere il sospetto che
vi sia una regia dietro
questa cangiante messa
in scena.
Un ricercatore
statunitense dotato, a
mio parere, di grande
intuito ha riassunto
tutto questo coniando il
termine “tricksterish
effect”, l’effetto
trickster.
Il trickster sarebbe
quello spiritello
dispettoso che si
diverte a prendersi
gioco delle persone,
spostando gli oggetti,
mostrando cose che non
ci sono e così via.
Le innumerevoli forme
degli UFO,
l’imbarazzante varietà
somatica degli
occupanti, perché è
vero che vi sono alcuni
elementi ricorrenti, ma
se andiamo ad
analizzare bene la
questione troveremo
che questi variano a
seconda delle epoche e
a seconda delle culture
con cui si raffrontano.
Con questo non voglio
intendere che non vi sia
nulla di concreto,
perché la cicatrici dei
rapiti, ad esempio, lo
sono eccome, ma più
passa il tempo più mi
rendo conto che sia
necessario rivedere
l’intera questione
aliena.
Non che io sia il primo
né l’unico a pensarla
così, Vallee e Keel, per
fare due nomi, si sono
già espressi in passato
sull’argomento ed
entrambi sono giunti
alla conclusione che la
sola spiegazione
extraterrestre, intesa
come viaggiatori
interplanetari, non può
essere nemmeno
lontanamente
sufficiente a spiegare
l’intero fenomeno.
Al contrario vi sono
“forze” che inducono
l’opinione pubblica a
focalizzarsi
esclusivamente
sull’aspetto fisico,
tridimensionale,
statistico della
questione.
Come se studiare il
numero degli
avvistamenti nel tempo
abbia mai prodotto una
qualche fruibile teoria
sulla natura del
fenomeno.
Sono convinto che se
vogliamo quanto meno
provare a comprendere
ciò che veramente si
nasconde dietro il velo
che abbiamo davanti
agli occhi dobbiamo
abbandonare
l’empirismo ufologico
ed azzardare qualcosa
in più.
E’ necessaria una gnosi,
condivisa e diffusa, ma
pur sempre una gnosi.
Il diavolo sta nei
dettagli, io direi sta
nell’eccesso di dettagli
che come fumo
solforoso ci getta negli
occhi.
Da gnostico quale mi
ritengo so di possedere
la scintilla del divino
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
dentro di me, so che
solamente io posso
trovare il modo per
rapportarmi con il
Divino, che nella
fattispecie è la Verità.
Lascio a voi decidere
chi sia il terribile
Demiurgo che ha creato
il mondo come lo
vediamo per impedirci
di percepire la nostra
vera natura, tenendoci
separati dalla fonte.
Qualsiasi sia la vostra
opinione in merito non
posso che ringraziarvi
per aver dato un senso
al nostro primo anno di
impegno, di notti
insonni, di ore chini
sulle tastiere.
La ragione di esistere
per Tracce d’eternità è
che voi la leggiate e che
siate sempre di più a
farlo.
Per questo i numeri ci
confortano e ci
spronano ad affrontare
un altro anno cercando
di migliorare numero
dopo numero.
I vostri consigli
saranno sempre ben
accetti, Tracce è una
realtà aperta, aperta a
tutti coloro ritengano
di poter dare il proprio
contributo.
Il senso in definitiva è
proprio questo.
[email protected]
AVVENTU
Contenuti
NOTE A MARGINE
Marco Zagni
DOCUMENTI
Gianluca Rampini
I Vichinghi in Groenlandia e
in Nordamerica
Domenico Dati
Il senso di Tracce
pag.54
pag.2
Amplificatori energetici
dell’antichità
COVER UP
LIBRARSI
Simonetta Santandrea
Il Messaggio dei Costruttori
di Cattedrali
(di Cristian Jacq)
pag.10
pag.99
Roberto La Paglia
Philip Mantle
La storia che nessuno
racconta
Autopsia di un alieno.
Fine dei giochi
pag.60
UFOLOGIA
Gianluca Rampini
XAARAN
Tesla e gli extraterrestri
Antonella Beccaria
"Paranormal activity":
l'irrazionalità di ataviche
paure interiori
pag.11
pag.65
Matteo Agosti
Venere chiama Terra:
qualcuno risponde…
pag.107
LE INTERVISTE
DI GIANLUCA RAMPINI
ESOTERISMO
Gianluca Rampini
Heinz Insu Fenkl
Michael Cremo
Il serpente binario
pag.14
MITOLOGIA
Dèi, uomini e bestie
pag.22
GLI ANELLI MANCANTI
Ines Curzio
Lo strano caso del popolo
Dropas
pag.117
LIFE AFTER LIFE
Noemi Stefani
La memoria dello spirito
(traduzione di Anna Florio)
pag.70
Marina Sabineo
Simone Barcelli
(traduzione di Sabrina
Pasqualetto)
pag.144
Operazione ODESSA:
una pagina nera tra mito e
realtà
pag.87
ARCHEOLOGIA DI CONFINE
pag.121
UFOONLINE
Massimo Staccioli
20 luglio 1952:
l’avvistamento di
Washington.
Una data memorabile per la
casistica UFO
pag.123
DREAMLAND
Yuri Leveratto
I misteri del Manoscritto 512
e della città perduta di
Muribeca
LUOGHI MISTERIOSI
J. Antonio Huneeus
Il primo rapimento polacco
pag.77
pag.29
Andrea della Ventura
EGITTOLOGIA
Isabella Dalla Vecchia
Le “Grotte delle Fate”
in Italia
pag.130
Spirali di luce
pag.83
Luca Andrea La Brocca
La nascita della civiltà egizia
pag.33
ARCHEOASTRONOMIA
Bruno Severi
I Dogon e il mito della Stella
Nera
URBIS HISTORIA
Alateus
Simonetta Santandrea
Sauro di Tarso (Paolo)
Tra mito, ipotesi e storia
Gli emblemi di Maier
l’Atalanta fugiens, i
rosacroce e l’alchimia
alla corte di Praga
pag.103
pag.42
CONFESSO, HO VIAGGIATO
LO SPAZIO DELL’OTTAVA
Michele Proclamato
Noemi Stefani
Il Parco Naturale
dell'Adamello e del Brenta
pag.49
ALTRE VERITA’
La Storia Millenaria dei
Cerchi nel Grano
(seconda parte)
pag.93
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
pag.137
Si ringrazia
Maurizio Baiata e
www.openminds.tv
per aver concesso il permesso
alla pubblicazione dello studio
tematico qui proposto a
pag.77.
Tracce d’eternità
Rivista elettronica di Storia Antica, Archeologia, Mitologia, Esoterismo ed Ufologia
Riservata agli utenti del portale Tracce d’eternità
REDAZIONE
Simonetta Santandrea [email protected]
Gianluca Rampini [email protected]
Simone Barcelli [email protected]
Traduzioni
Sabrina Pasqualetto [email protected]
Anna Florio [email protected]
Antonio Nicolosi [email protected]
Germana Maciocci [email protected]
Numero 7
(Marzo 2010)
Portale
simonebarcelli.org
Questa rivista telematica, in formato pdf, non
è una testata giornalistica, infatti non ha
alcuna periodicità. Non può pertanto
considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi
della legge n. 62/2001.
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This electronic magazine, in pdf format, is not
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62/2001.
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COLLABORATORI ED AUTORI
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Marisol Roldàn Sànchez [email protected]
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TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
In download gratuito dal portale
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In libreria
I primi 6 numeri
di “Tracce d'eternità”
Nr.1 (marzo 2009)
Nr.4 (settembre 2009)
Nr.2 (maggio 2009)
Nr.5 (novembre 2009)
Nr.3 (luglio 2009)
Nr.6 (gennaio 2010)
I primi 3 e-book selezionati dalla
nostra redazione
E’ fresco di stampa “Tracce
d’eternità” - Un incredibile
viaggio ai confini della Storia,
tra le rovine di alcuni dei più
misteriosi siti archeologici (169
pagine, ISBN 978-88-87295-66-5,
prezzo Euro: 14,80 Edizioni Il
David Sabiu
“E’ nelle
profondità
dell’universo…
che cerco
l’impronta divina”
(ottobre 2009)
Maurizio Martinetti
Marco Zagni
“APU-AN
Il Sole alato
ritorna”
(dicembre 2009)
Bruno
Severi
“Ai confini
della
coscienza”
(febbraio 2010)
Cerchio della Luna
www.cerchiodellaluna.it), di Simone
Barcelli, webmaster del portale.
Disponibile nelle librerie
specializzate e in quelle on line.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
COMITATO GARANTE
ANTONELLA BECCARIA
ROBERTO LA PAGLIA
SIMONE BARCELLI
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RESPONSABILE DEI REFERENTI
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L’Aquila
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LAZIO
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Messico
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Colombia
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MICHELE PROCLAMATO
PAOLO BOZZO
ANTONIA TRAVAGLIONE
SIMONETTA SANTANDREA
CLAUDIO CACCHI
ANTONELLA BECCARIA
INES CURZIO
GIANLUCA RAMPINI
Chi ha aderito all’iniziativa, mediante il Gruppo COLLABORA COME REFERENTE PER TRACCE
D’ETERNITA’ creato sulla piattaforma Facebook, è stato contattato dalla nostra redazione, al fine di
confermare la disponibilità al progetto. Chi lo ha fatto è quindi inserito in elenco.
L’impegno richiesto è minimo ma dovrà essere costante. Si tratta, in sostanza, di incentivare, nei modi
ritenuti opportuni, quello che la redazione ritiene l’obiettivo primario, cioè la libera divulgazione delle
tematiche qui trattate.
Ogni collaboratore sarà quindi Referente di zona per ”Tracce d’eternità” nell’ambito della propria
Regione e potrà contribuire attivamente alla buona riuscita dell’iniziativa.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
QUARTO E QUINTO NUMERO
DELLA RIVISTA
ON LINE DEL C.U.T.
La rivista on line “Ieri, Oggi, Domani” del CENTRO UFOLOGICO TARANTO
centroufologicotaranto.wordpress.com è giunta al quarto e quinto numero.
Ecco i links per sfogliare come un vero e proprio giornale ed ingrandire la rivista del Centro
Ufologico Taranto
Numero 4
http://it.calameo.com/read/0000944438d57f306c1fb
Numero 5
http://en.calameo.com/read/0000944432d2dc469139c
Per richiedere la rivista in versione Pdf basta inviare una email a
[email protected]
Per contattare gli articolisti del Centro Ufologico Taranto
Vincenzo Puletto [email protected]
Antonio De Comite [email protected]
Eugenio Palese [email protected]
Franco Pavone [email protected]
Antonello Vozza [email protected]
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
PRIMO NUMERO DELLA RIVISTA ON LINE
NAUTILUS MAGAZINE 3.0
“Nautilus Magazine 3.0”, neonata rivista elettronica che si occupa, in parte, delle
tematiche di “Tracce d’eternità”, è on line, sulla piattaforma Scribd, col primo numero.
Sotto la geniale guida di Maurizio Decollanz, il mensile è uno spazio di approfondimento
di Nautilus Truth Magazine e Nautilus Travel Magazine.
Ecco il link per sfogliare la rivista:
http://www.scribd.com/doc/26319374/Nautilus-Magazine-3-0-NUMERO-UNO
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Librarsi
pag.10
Il Messaggio dei
Costruttori di
Cattedrali
Autore Cristian Jacq
Edizioni Età dell’Acquario
Pagine 257
Anno pubblicazione 2009
Traduzione Cristina Cavalli
Simonetta Santandrea
Simonetta
Santandrea ha
39 anni ed è la
fondatrice del
gruppo “Tracce
d’eternità” sulla
piattaforma
Facebook, gruppo
di cui tuttora è
responsabile.
Si occupa di
Storia Antica e in
rete collabora con
Luoghi
Misteriosi,
Paleoseti ed altri
siti tematici.
Le cattedrali medievali sparse
per l’Europa sono uno dei
tesori più preziosi che i nostri
antenati ci abbiano lasciato in
eredità.
Anche l’osservatore meno
attento prova un’intensa
emozione quando si trova di
fronte a una di esse.
Facciate, campanili, sculture,
capitelli, vetrate, chiostri
testimoniano un’epoca nella
quale l’uomo raggiunse uno
dei punti più alti della sua
parabola.
Della loro costruzione
conosciamo in genere molti
dettagli, e così delle successive
vicende di cui sono state
protagoniste.
Eppure, scrive Christian Jacq,
conosciamo poco il loro
significato più autentico.
Il nostro tempo dominato dal
razionalismo e
dall’individualismo confina
questi capolavori in una
dimensione esclusivamente
artistica e storica.
Eppure essi parlano all’uomo a
un livello assai più profondo
perché racchiudono misteri e
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
contengono simboli legati
all’essenza stessa della vita
spirituale.
Le cattedrali gotiche sono
scrigni di Saggezza, centri di
quel sapere che va oltre i credo
e le tradizioni e che appartiene
a tutto il genere umano.
Oscurato dalla civiltà grecoromana, questo patrimonio
oggi negletto esprime la
straordinaria ricchezza
esoterica dell’Occidente, che
trae la propria linfa dalle
culture del bacino del
Mediterraneo, in primo luogo
dall’Egitto dei Faraoni.
Ma chi furono allora i
costruttori delle cattedrali?
Geniali artisti, abili
capimastro, eccellenti
artigiani?
Oppure soprattutto i
depositari di una sapienza
antica espressa in simboli
capaci di attraversare i secoli e
le culture, per parlare di Dio a
ogni uomo e portare a tutti la
Conoscenza?
[email protected]
Xaaran
pag.11
"Paranormal activity":
l'irrazionalità
di ataviche paure
interiori
www.stardustmovies.com
Antonella Beccaria
Attenzione che potrebbe
seguire uno spoiler.
Il lettore è avvisato e se
proseguirà lo farà a proprio
rischio e pericolo.
Perché, nelle righe che vanno a
comporre questo articolo, si
parla di un film che ha fatto
molto discutere di sé.
Si tratta di "Paranormal
activity", la pellicola scritta e
girata dal regista israeliano
Oren Peli che se ne sta per
uscire con un altro lavoro ai
confini della mitologia più
contemporanea, "Area 51".
E iniziamo con una
conclusione: il finale proposto
sul grande schermo poteva
essere più convincente.
Dopo aver costruito tanta
suspense, la sapienza messa in
una storia che, anche quando
non spaventa, per lo meno
inquieta, avrebbe fatto sperare
in qualcosa di più orrorifico di
una pattuglia del 911 dal
grilletto troppo facile.
Ma su questo viene in soccorso
la Rete perché esiste, nei
meandri del web, un finale
alternativo e più cruento.
Torniamo però indietro e
ripartiamo da una (seppur
breve) tradizione inaugurata da
un film per certi versi analogo.
Era il 1999 quando nelle sale
cinematografiche irrompeva
"The Blair Witch Project",
storia di una banda di
irriverenti filmmaker sulle
tracce di una strega nata dalla
leggenda.
Una leggenda in grado però di
influenzare menti deboli, a dar
retta alla vulgata popolare,
quanto basta a regalare di che
scrivere ai più sanguinari dei
cronisti di nera.
Avranno modo di ricredersi, gli
studenti di cinema, dunque, e
lo faranno fin troppo
rapidamente: nel giro di pochi
giorni, una serie di fenomeni –
non si capirà se di umana o
sovrumana origine – li farà
uscire di testa abbastanza da
annientarli nei boschi del
Maryland.
L'originalità di questo film, ai
tempi, stava in due elementi.
Il primo riguardava la tecnica
di promozione, che in termini
tecnici si chiama "guerrilla
marketing".
È quell'approccio tale per cui
una campagna di
comunicazione, per
un'alchimia creativa, si
trasforma da pubblicità in
notizia.
E "The Blair Witch Project",
presentato fittiziamente come
un fatto realmente accaduto e
nato dal casuale ritrovamento
del girato dei ragazzi, assumeva
i contorni di un'indagine alla
"Chi l'ha visto": che fine
avevano fatto i ragazzi
addentratisi nella foresta di
Burkittsville e mai più
ritrovati?
Il secondo elemento, correlato
al primo, stava nella tecnica di
ripresa: inquadrature quasi
amatoriali, assenza di luci
artificiali, riprese mosse
all'inverosimile nei momenti di
fuga, trasformavano la finzione
di un'agghiacciante realtà.
Ecco, "Paranormal activity" ha
seguito lo stesso schema.
Inoltre, come il blasonato
antecedente, ha ottemperato
anche ai dettami della
produzione "low budget".
Non aspettatevi dunque effetti
speciali né nomi d'oro della
Hollywood più celebre.
Gli attori sono degli
sconosciuti, le location si
riducono agli ambienti di una
casa della media borghesia e il
massimo dell'effettistica si
riduce all'uso – peraltro
dichiarato – di innocuo
borotalco o degli scricchiolii
che un'abitazione in legno
naturalmente produce.
Eppure lo spettatore, a fronte
di tanta povertà di mezzi, il
respiro lo trattiene almeno in
qualche punto.
Perché questo film, così come
fece "The Blair Witch Project",
fa leva su un aspetto insito
nella maggior parte di noi: la
paura dell'ignoto.
Dell'ignoto persecutore, del
rumore dalle origini
sconosciute, della profonda
solitudine.
I protagonisti sono due, Katie e
Micah, una giovane coppia che
ancora lavora per realizzarsi e
realizzare la propria vita
insieme.
Lui, del tutto scettico, sta
muovendo i passi determinanti
in qualcosa che sembra
somigliare alla speculazione
borsistica.
Lei, invece, è quella perseguita
da oscure presenze fin
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
dall'infanzia, ma poco ci bada e
pare più concentrata invece
sulla conclusione dei suoi studi
per diventare un'insegnante e
dedicarsi ai ragazzini.
La loro unione, per quanto di
fatto, sembra scatenare però la
gelosia del malevolo spirito che
da anni accompagna la ragazza:
lei è terrorizzata e lui invece
eccitato.
Ne nasce così una sfida che
contiene citazioni
dall'“Esorcista” di Peter
William Blatty, dall'“The
Exorcism of Emily Rose” di
Scott Derrickson e dall'horror
paranormale della miglior
tradizione.
Ma, appunto, sono soli, Katie e
Micah, tanto che sedicenti
"specialisti" in affari
ultraterreni li abbandonano al
loro destino, una volta intuito
che nella casa dei ragazzi forse
qualcosa accade davvero.
Un abbandono che non potrà
tradursi in altro che nella
tragedia finale.
Ruffianeria narrativa e
sapienza nel picchiare sulle
paure ataviche dell'uomo sono
dunque gli ingredienti alla base
di questo film tutto sommato
ben riuscito.
Ben riuscito perché Micah
sembra la trasposizione
domestica dall'affermazione
anglossonane "I want to
believe", divenuta stracelebre
con "X Files" valicando i
confini di ufologi e ufologia.
E ben riuscito anche perché
mostra come – a fronte di
videocamere digitali, software
di elaborazione grafica, sistemi
ingegneristici per
l'interpretazione dei dati fisici
– rimane una parte di noi
oggetto – o forse soggetto – di
antichi timori che sfuggono alla
scienza e alle relative
conoscenze.
Insomma, non aspettativi di
finire al pronto soccorso in
preda a una crisi ansiosa, come
hanno raccontato le più colorite
cronache cinematografiche.
Ma se siete alla ricerca di un
buon film dell'orrore che
qualche sobbalzo ve lo fa fare,
ecco, "Paranormal activity" è
consigliabile.
Oltre che un viaggio nella casa
stregata di Katie e Micah, sarà
anche un viaggio dentro le
vostre apprensioni più
irrazionali.
Per approfondimenti
Paranormal Activity:
http://www.imdb.com/title/tt117
9904/
Area 51:
http://www.imdb.com/title/tt151
9461/
Interview: Oren Peli, WriterDirector of "Paranormal Activity":
http://www.cinematical.com/200
9/10/09/oren-peli-paranormalactivity-interview/
The Blair Witch Project:
http://www.imdb.com/title/tt018
5937/
The haunted history of
“Paranormal Activity”:
http://www.latimes.com/entertai
nment/news/la-caparanormal202009sep20,0,843011,full.story
The Exorcism of Emily Rose:
http://it.wikipedia.org/wiki/The_
Exorcism_of_Emily_Rose
[email protected]
Antonella Beccaria
scrive e pubblica con la
casa editrice Stampa
Alternativa/Nuovi
Equilibri e con
Socialmente Edizioni.
Questi i libri
disponibili sia in libreria
che online: "Il
programma di Licio
Gelli" (2009), "Pentiti
di niente - Il sequestro
Saronio, la banda
Fioroni e le menzogne
di un presunto
collaboratore di
giustizia" (2008), "Uno
bianca e trame nere –
Cronaca di un periodo
di terrore" (2007),
"Bambini di Satana –
Processo al
diavolo: i reati mai
commessi di Marco
Dimitri" (2006) e
"NoSCOpyright – Storie
di malaffare nella
società
dell'informazione"
(2004).
E’ curatrice
dell'antologia "Creative
Commons in Noir"
(2008, collana
Millelire),
collabora con le riviste
"MilanoNera" e
"Thriller Magazine".
Spesso lavora
come editor e
traduttrice e dal 2004
tiene un blog, Xaaraan,
su cui racconta storiacce
varie.
ATTENTATO
IM M IN E N T E
d i A n t o n e lla
B e c c a r ia e S im o n a
M am m ano
S ta m p a A lt e r n a t iv a
C o lla n a S e n z a
F in z io n e , n o v e m b r e
2009
w w w .s t a m p a lt e r n a t iv
a .it
Piazza Fontana, una strage che si poteva evitare - Pasquale
Juliano, il poliziotto che nel 1969 tentò di bloccare la cellula
neofascista veneta. Nella primavera del 1969 l’ennesima azione
terroristica all’Università di Padova fa partire una nuova
indagine. A coordinarla è un commissario di polizia, Pasquale
Juliano, il capo della squadra mobile, che arriva a individuare
un nucleo di estremisti neri che traffica in armi ed esplosivi.
Ma i neofascisti gli preparano una trappola: Juliano si vedrà
così scippare l’inchiesta, che verrà insabbiata, e finirà sotto
processo accusato di aver costruito le prove contro i terroristi.
Gli occorreranno dieci anni per dimostrare la sua innocenza,
ma nel 1979, quando sarà assolto da tutti i capi d’imputazione,
la stagione delle bombe avrà quasi concluso il suo tragico
corso.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Le interviste di Gianluca Rampini
pag.14
Michael
Cremo
© 2010 Gianluca Rampini
Gianluca Rampini
Benvenuto a Tracce
d’eternità Michael, siamo
orgogliosi di ospitarti.
Iniziamo l’intervista
parlando del tuo
background culturale e
come sei rimasto coinvolto
nel campo specifico
dell’antropologia
alternativa, se così
possiamo chiamarla.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Sono cresciuto in una famiglia
di militari.
Ogni tre o quattro anni la mia
famiglia si trasferiva da un
luogo a un altro negli Stati
Uniti, nel Pacifico o in Europa.
Questa esperienza mi ha aperto
gli occhi, ho potuto conoscere le
differenze culturali del mondo
e le diverse modalità di
approccio alle cose.
Il “modo americano” è solo uno
dei tanti.
Inoltre, mio padre era un
ufficiale dei servizi segreti,
quindi sono cresciuto sapendo
che nel mondo esistono segreti
che la maggior parte della
gente non conosce.
Non parlo solo di segreti
militari o politici, ma anche
spirituali, conoscenze riservate
a pochi.
Nel corso di tutti questi viaggi
ed esperienze, sono rimasto
attratto dalle tradizioni
spirituali dell’India.
Ho trovato un maestro che mi
ha ispirato, A. C.
Bhaktivedanta Swami
Prabhupada, che era stato
maestro anche di George
Harrison dei Beatles.
Diventato suo allievo, ho
iniziato a studiare sotto la sua
influenza gli antichi scritti
indiani in sanscrito,
specialmente i Purana, o storie.
Parlano di civiltà umane che
esistevano in tempi molto
lontani, fino ad arrivare
all’inizio della vita sulla terra,
che non si erano evolute dalle
scimmie.
Tutto ciò era piuttosto diverso
da quanto avevo imparato a
scuola e all’università, pertanto
iniziai a effettuare delle
ricerche basate su queste idee.
Il tuo primo libro si intitola
“Forbidden archeology”
(Archeologia Proibita).
Qual è il motivo di questa
scelta?
Dalla lettura dei Purana, ho
supposto che esseri umani
come noi esistevano già decine,
forse centinaia di milioni di
anni fa su questa Terra.
Mi sono chiesto se esistessero
delle prove archeologiche a
riguardo.
Prima di tutto ho effettuato
ricerche su testi aggiornati, nei
quali non ho trovato nessuna
testimonianza di tale antichità,
solo conferme che supportano
la teoria dominante
attualmente, che afferma che
esseri umani simili a noi
esistono da 150.000 anni, e che
i nostri antenati erano simili a
primati.
Quindi ho deciso di andare
oltre, e ho effettuato
personalmente delle ricerche su
documenti originali di
archeologia scientifica degli
ultimi 150 anni, in diverse
lingue, e ho scoperto diverse
prove archeologiche
dell’estrema antichità
dell’uomo, e mi sono chiesto
perché tali prove non erano
state riportate nei libri di testo.
Ho pensato si trattasse di un
argomento proibito, in quanto
contrario alle teorie dominanti.
Così ho riportato tutti questi
casi in un libro e gli ho dato
questo titolo, Forbidden
Archeology.
Puoi darci un’idea generale
riguardo alla teoria che sta
dietro al tuo libro e a tutto
il tuo lavoro?
La teoria parte dalla
letteratura sanscrita indiana
che contiene idee e intuizioni
che possono aiutare la ricerca
scientifica.
Come è nata dalla prima
parte della tua ricerca
questa idea della
“involuzione”?
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
“Human devolution”
(Involuzione Umana) che
tra l’altro è il titolo del tuo
ultimo libro.
Nel mio libro “Forbidden
Archeology”, ho presentato
prove archeologiche
sull’estrema antichità delle
origini umane.
Queste prove contraddicono la
teoria corrente dell’evoluzione
umana, e quindi, a seguito
della lettura di questo libro,
diverse persone mi hanno
chiesto: “Hai presentato prove
contrarie alle moderne teorie
sull’evoluzione umana, qual è
pertanto la tua idea riguardo
alle origini dell’uomo?”
Il mio libro Human
Devolution: A Vedic
Alternative to Darwin ’s
Theory (Involuzione Umana:
un’alternativa vedica alla
teoria di Darwin) è la mia
risposta a tale domanda.
L’idea di base è che non ci
siamo evoluti dalla materia,
come crede oggigiorno la
maggior parte degli scienziati,
al contrario siamo devoluti, o
discendiamo, da pura
coscienza.
La materia non produce
coscienza, la coscienza ha una
sua esistenza indipendente.
Ma la coscienza può
temporaneamente divenire
materia, e tale processo io lo
chiamo involuzione.
La coscienza può in ogni modo
essere riportata al suo stato
puro originario.
Con il progresso della
scienza ordinaria e
dell’apertura mentale in
generale, è possibile che la
tua teoria possa entrare a
far parte della teoria
scientifica della storia
umana o si tratta di
qualcosa che va oltre la
scienza?
Le cose si stanno muovendo
lentamente in questa direzione.
Ci sono diverse prove
scientifiche riguardo
all’estrema antichità dell’essere
umano, e una possibile
esistenza della coscienza
indipendentemente dalla
materia.
Ma la maggior parte degli
scienziati sono di altro avviso,
e pochi condividono le mie idee.
Ma a volte avvengono delle
rivoluzioni nella scienza
ordinaria.
Nell’antropologia comune,
l’evoluzione umana è
rappresentata come un
albero genealogico,
secondo te tale “sequenza”
che parte dai primati è
definitiva o andrebbe
rivista in modo differente?
La teoria attuale dell’albero
genealogico non è accurata.
Afferma che gli esseri umani
come noi sono apparsi sulla
Terra per la prima volta
150.000 anni fa, e che prima
esistessero solo antenati
primitivi simili a scimmie.
Io credo che tali antenati
convivessero invece in
parallelo con esseri come noi.
Parlerei più che altro di
coesistenza, non di evoluzione.
Possiamo immaginare
quindi in base al tuo lavoro
se l’anello mancante sarà
mai scoperto.
La teoria di Darwin è
quindi completamente
sbagliata?
La teoria di Darwin
sull’evoluzione non è
completamente errata.
Implica l’idea che gli esseri
viventi che vediamo intorno a
noi oggi abbiano un antenato
comune.
Ogni specie non è stata creata
separatamente.
Nei Purana esiste una teoria
simile, che tutte le forme degli
essere viventi provengano da
un antenato comune, ma non
da un organismo unicellulare,
bensì da un essere
superintelligente chiamato
Brahma, il primo essere che si
è manifestato nell’universo.
Da Brahma sono venuti altri
esseri chiamati Prajapati,
procreatori dei popoli.
Hanno generato i corpi di
piante e animali, inclusi gli
esseri umani.
Questi si manifestarono fin dal
principio della storia
dell’universo, non solo sul
nostro pianeta ma in altre
parti dell’universo.
I corpi attraverso i quali si
manifestano sono veicoli per la
consapevolezza.
Tale consapevolezza può
trasferirsi quindi da un corpo a
un altro, attraverso la
reincarnazione.
In base al proprio livello di
consapevolezza, è possibile
ricevere un certo tipo di corpo.
Per cui si verifica un processo
di evoluzione.
Ma non si tratta dell’evoluzione
del corpo, ma di un’evoluzione
del sé consapevole attraverso
diversi tipi di corpi, fino a
ricevere una forma umana.
E nel corpo umano è possibile
verificare l’intero ciclo della
reincarnazione, e ritornare al
livello cosmologico dominato
dalla pura consapevolezza,
dove si trova il nostro luogo
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
ideale, dove non ci sarà più
reincarnazione, e si
interromperà il ciclo di nascita
o di morte.
Brahma
Tornando indietro nella
storia dell’umanità, qual è
la prova più importante di
queste teorie?
Puoi farci degli esempi?
Tale prova può essere
riscontrata in diversi casi.
Il più importante è la presenza
di centinaia di ossa, impronte e
manufatti umani che
testimoniano la presenza di
uomini come noi già diversi
milioni di anni fa su questa
terra.
Ecco alcuni esempi.
Nel 1979, Mary Leakey trovò
diverse impronte di piedi
umani in un luogo chiamato
Laetoli, in Tanzania, Africa
dell’est.
Furono trovate sotto strati di
roccia vecchi di 3,7 milioni di
anni.
In base ai suoi rapporti
originali, tali impronte sono
identiche a quelle degli esseri
umani moderni.
Credendo nella teoria
dell’evoluzione, pensò che tali
impronte fossero state lasciate
da primati, con piedi di forma
identica alla nostra.
Ma verificando sugli scheletri
dei primati di allora, che sono
chiamati Australopitechi, si è
riscontrato che il loro piede
non è come quello dell’uomo
moderno, è più simile a quello
di una scimmia.
Effettivamente, l’unica
creatura conosciuta nella
scienza che abbia un piede
identico all’uomo moderno, è
solo l’uomo moderno.
Nel diciannovesimo secolo, fu
scoperto dell’oro in California.
Per raggiungerlo, i minatori
scavarono gallerie nei dorsi
delle montagne, come a Table
Mountain, nella Sierra Nevada
vicino a Sonora.
In tali gallerie furono trovate
ossa e manufatti umani.
Tali scoperte furono studiate e
documentate alla comunità
scientifica da parte del Dott. J.
D. Whitney, allora
responsabile geologo del
governo della California.
Ossa e manufatti umani erano
stati trovati all’interno di strati
di rocce che risalivano a circa
cinquanta milioni di anni
prima.
Una è riscontrabile negli strati
di roccia.
L’altra è data dagli scritti delle
civiltà antiche.
Gli antichi documenti sanscriti
indiani riportano che milioni di
anni fa, esistevano grandi
città, le persone viaggiavano
su aeroplani e astronavi
chiamate vimana, potevano
tenere conto del tempo in base
al movimento degli atomi,
erano in possesso di armi simili
alle armi atomiche moderne.
Se l’uomo era presente da
così tanto tempo su questo
pianeta, divenne anche
tecnologicamente
avanzato?
Ci sono prove a riguardo?
Esistono due tipi di prove
riguardo un passato così
remoto.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Il problema è che oggetti
tecnologici di tipo avanzato
come i computer non si
mantengono bene attraverso
milioni di anni.
I metalli si ossidano, la plastica
si decompone.
Ma occasionalmente abbiamo
trovato elementi che
potrebbero indicare alti livelli
di civilizzazione, ad esempio,
nel 1870, a Lawn Spring,
Illinois, negli Stati Uniti
D’America, alcuni operai che
stavano scavando un pozzo,
trovarono quello che sembrava
una moneta di rame alla
profondità di circa 35 metri.
Le formazioni del terreno a tale
profondità si potevano far
risalire tra 200.000 e 400.000
anni fa.
Secondo gli storici moderni, le
prime monete furono coniate
solo 3.000 anni fa.
Un esempio possono essere
le pietre di Ica.
Qual è la tua opinione al
riguardo?
Le pietre di Ica furono scoperte
dal Dott. Cabrera in Peru.
Queste pietre riportano scolpiti
disegni di dinosauri ed esseri
umani insieme.
Secondo la scienza ufficiale, i
dinosauri si estinsero circa
sessantacinque milioni di anni
fa, pertanto si potrebbe
pensare che tali pietre
risalgano a tale epoca, quando
i dinosauri esistevano ancora.
E dimostrerebbero anche che
esseri umani come noi
esistevano già sessantacinque
milioni di anni fa.
Unica alternativa a tale idea
potrebbe essere che le pietre di
Ica siano state scolpite
recentemente.
Qual è la verità?
È difficile dirlo, perché il Dott.
Cabrera non ha mai rivelato
l’esatto luogo della scoperta,
altrimenti sarebbe possibile
verificare il contesto geologico.
L’ideale sarebbe ritrovare una
pietra con tali disegni di
dinosauri e umani tra rocce
vecchie di sessantacinque
milioni di anni, il che
proverebbe senz’ombra di
dubbio la convivenza di umani
e dinosauri oltre
sessantacinque milioni di anni
fa.
In assenza di una simile prova,
è sempre valida l’ipotesi che i
disegni siano stati fatti più di
recente.
Quanto possiamo tornare
indietro quindi nella
ridatazione dell’origine
della nostra specie?
Secondo gli antichi testi in
sanscrito indiani, la presenza
umana risale a circa due
miliardi di anni fa, in base al
ciclo di creazione attuale.
Presso diverse culture
dell’antichità si credeva
che la storia procedesse in
circolo, che fosse divisa in
cicli.
Si può dire lo stesso della
storia antica?
Di sicuro il tempo si divide in
cicli, diverse civiltà umane
sono sorte e sono scomparse
diverse volte nel corso
dell’ampio ciclo del tempo.
Una delle pietre di Ica della collezione Cabrera
Diversi ritrovamenti
insoliti in ogni parte del
mondo contraddicono la
storia ufficiale.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Questi manufatti sono
chiamati “ooparts”.
Quali sono secondo te gli
ooparts più significativi?
Il fatto più importante è che
esistono centinaia di manufatti
umani ritrovati presso strati di
rocce vecchie di milioni di anni,
e tra questi ce ne sono
veramente di singolari.
Ad esempio, nel 1852, Scientific
American ha riportato un
articolo riguardo un vaso in
metallo molto bello, con motivi
floreali in argento, scoperto a
circa cinque metri di
profondità all’interno di una
roccia, vicino a Boston, Stati
Uniti.
Secondo gli studi geologici
moderni, tale roccia a quella
profondità può risalire a circa
600 milioni di anni fa.
Il mito di Atlantide può
rientrare in questa teoria
di una storia
antidiluviana?
Atlantide riveste diversi
significati per diverse persone.
Per alcuni, indica un luogo
specifico menzionato da
Platone nei suoi libri.
Per altri, qualsiasi civiltà
altamente sviluppata che è
stata sommersa dalle acque.
Io credo in qualcosa del genere,
per esempio, nei Purana si
parla dell’antica città di
Dwarka: cinquemila anni fa,
esisteva una bella e sviluppata
città presso la costa a nord
ovest dell’India.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Purtroppo fu sommersa
dall’acqua, e al giorno d’oggi, è
possibile recarsi nella città
attuale di Dwarka e vedere
alcune rovine semisommerse di
un’antica città.
Nel corso di qualche migliaio di
anni, il livello del mare si è
alzato, e questo non può che
significare che diverse terre
una volta abitate da esseri
umani sono finite sott’acqua.
Come mai la razza umana
ha perduto memoria del
suo antico passato?
Non tutti gli esseri umani
l’hanno persa, in diverse
culture è stata lasciata
documentazione riguardo un
remoto passato, solamente che
alcuni la riconoscono come
vera, altri no.
Questa perdita di memoria
può essere spiegata con
una catastrofe mondiale?
Potremmo chiamarla come
una parziale perdita di
memoria.
È vero, ci sono state diverse
catastrofi durante il corso della
storia della vita sulla terra, e
questo potrebbe aver causato
tale perdita.
La paleontologia moderna
afferma che ci sono stati sei
principali eventi che hanno
causato estinzioni della vita
sulla terra dalla sua comparsa,
considerando fino a due bilioni
di anni fa.
Gli antichi documenti sanscriti
indiani testimoniano sei
devastazioni nello stesso arco
di tempo.
Tali fenomeni sarebbero
accaduti al termine di cicli
temporali chiamati
manvantara.
Ci troviamo attualmente
durante il settimo ciclo
manvantara, ce ne sono stati
altri sei prima del nostro, e sei
disastri, a seguito dei quali la
Terra si è ripopolata.
Perché la scienza ufficiale è
così restia ad accettare
punti di vista alternativi?
Si tratta solo di un
comportamento sclerotico
o intenzionale?
Da una parte, è insito nella
natura umana, ad esempio, se
amo qualcuno, e terzi mi
dicono qualcosa di brutto a
proposito di tale persona, mi
rifiuto di crederci, posso
arrivare anche ad arrabbiarmi
con la persona che mi fornisce
tali informazioni.
Al giorno d’oggi, diversi
scienziati sono talmente
affezionati alle loro teorie, che
non accettano di essere
contraddetti.
La resistenza alle alternative
ha naturalmente anche a che
fare con il potere, anzi con
diversi tipi di potere: politico,
militare ed economico.
Esiste anche il potere
intellettuale, un potere molto
sottile ma reale.
Naturalmente le persone che
hanno potere non lo cedono
facilmente.
Ad esempio, se un partito
politico ha il monopolio nella
gestione di una città, regione o
nazione, non desidera per
niente cedere tale potere.
Al giorno d’oggi, gli scienziati
che sostengono l’attuale teoria
sull’evoluzione delle origini
umane posseggono un saldo
monopolio governativo nei
sistemi educativi di diversi
Paesi.
Pertanto, di sicuro vogliono
mantenere il loro potere, e
l’unica reale soluzione sarebbe
accettare che alternative a tale
teoria potessero subentrare nei
sistemi educativi.
Tornando
all’“involuzione”: perché
l’umanità è condannata a
regredire, invece che a
progredire?
Uso il termine involuzione in
diversi contesti.
Quello principale riguarda il
processo attraverso il quale la
propria consapevolezza involve
da pura coscienza al livello
della materia, incarnandosi in
corpi materiali.
Originariamente il sé
consapevole esisteva in
armonia con la fonte di tutti gli
esseri coscienti e insieme a essi,
essendo il principio di tale
livello di pura consapevolezza
l’amore.
Ma se il sé consapevole diviene
egoista, non può più far parte
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
di tale armonia, ed entra a far
parte del mondo materiale,
dove riceve diverse tipologie di
corpi materiali, nei quali può
esercitare i suoi desideri
egoistici, esplorando il mondo
materiale in competizione con
altri sé consapevoli incarnati
in corpi materiali.
A tale livello è pertanto
riscontrabile una concorrenza
egoistica tra individui, classi,
nazioni, e anche religioni: il
nostro compito in questo
mondo è effettuare una scelta,
mentre occupiamo la forma
umana.
Possiamo utilizzarla per essere
coinvolti sempre più
profondamente nella
competizione materialistica
per il controllo delle risorse
materiali, o possiamo cercare
di risvegliare la nostra
consapevolezza originaria di
esseri di pura coscienza.
In questo stato, possiamo
vedere che siamo tutti collegati,
non è necessario nessun
conflitto o competizione.
Possiamo imparare a
soddisfare i nostri bisogni
materiali cooperando, nel
modo più semplice e naturale
possibile, impiegando la
maggior parte della nostra
energia nello sviluppo delle
nostre risorse di
consapevolezza.
E se sempre più persone
scelgono di diventare sempre
più coinvolte in una
competizione materialistica,
possiamo aspettarci solo il
peggio, come se, al contrario,
sempre più persone si dedicano
alla comprensione della
propria esistenza come esseri
di pura coscienza, le cose non
possono che migliorare.
Siamo quindi al limite o
abbiamo già toccata il
fondo?
È ancora possibile
un’inversione di tendenza?
Secondo gli antichi testi
sanscriti, il tempo trascorre in
cicli di yuga: esistono quattro
yuga, che si ripetono in
continuazione, come le quattro
stagioni dell’anno.
Il primo yuga è l’età dell’oro,
da dove tutto ha origine.
Noi siamo al momento
all’inizio dell’ultimo dei quattro
yuga, chiamato Kali Yuga.
Si tratta pertanto di un periodo
negativo, e non può che
peggiorare.
Ma non è necessario bagnarsi
per forza quando piove, è
possibile aprire un ombrello, e
proteggere se stessi e gli altri.
Bene, Michael, ti
ringraziamo per il tempo
che ci hai dedicato, e, come
facciamo di solito con i
nostri ospiti, vorremmo
conoscere la tua opinione
riguardo al 2012.
Tale data prende spunto dal
calendario dei Maya, America
Centrale.
Tale popolo, come l’antico
popolo indiano, credeva che il
tempo si dividesse in grandi
cicli, e nell’origine molto
remota dell’uomo.
Uno di tali cicli per i Maya
sarebbe finito nel 2012.
Alcuni pensano ci sarà una
grande catastrofe, altri
pensano sarà l’inizio di
un’epoca illuminata.
C’è chi pensa che accadranno
entrambe le cose.
Io prendo spunto dal
calendario cosmologico
indiano: siamo nel Kali Yuga,
l’età oscura, pertanto
potrebbero accadere delle
catastrofi.
Ma c’è anche da dire che questo
periodo particolare del Kali
Yuga costituisce una mini età
dell’oro, come quando in
inverno possono capitare
alcuni giorni di calore, per poi
tornare il freddo.
Partendo da tale similitudine,
durante il Kali Yuga potranno
capitare delle catastrofi, ma
trovandoci anche in una
piccola età dell’oro, potrebbe
anche essere un’epoca di
particolare crescita di
consapevolezza.
[email protected]
"Conosco personalmente, da molti
anni, l'autore. Sono felice che il suo
libro esca anche in Italia. Vi consiglio
di leggere tuttp il libro di seguito per
coglierne l'essenza e poi di rileggerlo
lentamente per capire e studiare,
pagina dopo pagina, che cosa ci hanno
nascosto sulle nostre vere origini. Tutti
abbiamo il diritto di sapere chi siamo.
Cremo ha avuto il coraggio di andare
controcorrente e denunciare le
menzogne scritte sull'origine
dell'umanità. Un giorno diventerà
libro di testo nelle scuole."
Raffigurazione del Kali Raffigurazione del Kali Yuga
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Giorgio Cerquetti
Mitologia
pag.22
Dèi, uomini
e bestie
© 2010 Simone Barcelli
Leviatan,
l’opera di
Gustavo Dorè,
1865.
Simone Barcelli
Il dominatore dei mari
“…il suo corpo è costituito
come di scudi fusi insieme,
composto di squame che
combacino: l’una con l’altra è
congiunta, neppure un soffio
passa fra loro; l’una all’altra
aderisce, e si tengono in guisa
da non separarsi.
Il suo starnuto è uno splendor
di fuoco e gli occhi suoi come le
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
ciglia dell’aurora; dalla sua
bocca escono faci, come
fiaccole di vivo fuoco; dalle sue
froge vien fuori fumo, come da
caldaia accesa e bollente; il suo
soffio accende tizzoni, e una
vampa esce dalla sua bocca.
Le membra delle sue carni
sono compatte…
Quand’esso si rizza tremano gli
Angeli…
Fa bollire come caldaia il
profondo mare, lo riduce come
un vaso d’unguento che
spuma: dietro a lui risplende il
sentiero…al suo interno grandi
lampade sono sospese…”
(Giobbe 41,1–20/24-27).
La mostruosa figura che Giobbe
cerca, in tutti i modi, di
rappresentare ai posteri, sfugge
ad ogni comprensibile
spiegazione.
Si tratta di una mastodontica
ed invincibile creatura marina,
plasmata, assieme ad un altro
esemplare femmina, da Dio nei
giorni della creazione.
Si narra che, in seguito, il
Signore fu costretto a
sopprimere la femmina per
evitare che i due Leviatani,
bestie assai potenti,
procreando, divenissero
padroni del mondo intero.
Ancor prima della Bibbia dovremmo forse dire, visti i
precedenti, ‘come sempre…’ -,
la figura mitologica del
Leviathan trovava ampio spazio
nel mondo fenicio (resa come
una nube tempestosa che
sconfiggeva il dio Baal) e,
soprattutto in quello babilonese
(qui era il dio Yahvè che si
serviva della bestia, da lui
stesso creata, per dominare i
mari).
Secondo i dettami contenuti nei
Libri Profetici della Bibbia (si
legga, in proposito, Isaia 27, 1),
il Leviathan, infine, verrà
ucciso dal Signore per mezzo di
una “spada dura, grande e
forte”.
Non entriamo nel merito di
questo atroce delitto (non è pur
sempre il padre che uccide un
figlio?) perché a noi il
Leviathan interessa per la
descrizione che ne dà il buon
Giobbe che, senza volerlo, ci
introduce nell’impressionante
bestiario che i nostri avi
utilizzavano per rappresentare
le divinità.
Città del Messico (Stati Uniti del Messico). Una rappresentazione del
Serpente Piumato, conservata al Museo Antropologico.
Un serpente di sapienza
L’immagine del serpente,
associata generalmente alle
divinità e ai luoghi di culto,
ricorre considerevolmente in
ogni parte del mondo e trova
diretto riscontro nei racconti
mitologici.
Nonostante il suo aspetto
riluttante, è il simbolo della
sapienza e della conoscenza.
Viene rappresentato in modi
diversi: a spirale, nel segno
dell’infinito, rigido, alato o
rostrato.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
La forma della spirale fa
pensare alle galassie, che
solitamente così si presentano e
d’altronde questo simbolo, in
tempi antichi, veniva associato
sia alla creazione che
all’universo.
La simbologia rigida, come
pure quella alata e rostrata, è
invece una particolare
prerogativa del dio considerato
“civilizzatore”.
Gli dèi, questi esseri illuminati
che accesero la scintilla nel
genere umano, erano spesso
identificati nel “popolo dei
serpenti”, come narrano le
cronache americane circa
l’arrivo per mare dei
colonizzatori provenienti dalla
mitica Aztlan.
In India si ricordano i
serpentiformi Naga che
crearono l’universo mentre i
Fenici chiamavano il serpente
Agathodemon e la parola, in
realtà, deriva dall’unione di due
termini greci col significato
letterale di “genio buono”.
In Egitto gli corrispondeva
Kneph, associato alla fecondità,
quindi simbolo primario del
Nilo: considerandolo
l’ispiratore del mondo, era
rappresentato con il corpo di
rettile, la testa dello sparviero e
gli arti come gli uomini.
Il dio sumero Enlil era, guarda
caso, considerato “Il serpente
con gli occhi splendenti” e la
sua consorte, la dea Ninlil, non
v’era dubbio, “la signora
serpente”.
Lo stesso padre di Mosè, tale
Amram, aveva a che fare con i
cosiddetti Vigilanti ed uno di
essi (l’altro era Michele,
principe della luce) aveva
l’aspetto di un serpente: si
trattava del principe delle
tenebre, Belial.
Anche lui deve forzatamente
farci pensare ad un rettile col
suo viso allungato e sottile e gli
occhi obliqui di colore giallo
acceso.
Infine, l’angelo caduto Lucifero
appariva in tale veste
nell’episodio della tentazione di
biblica memoria, in cui Eva
raccoglieva, guarda caso,
proprio il frutto proibito della
conoscenza.
Non appare fuori luogo
rammentare che l’usanza di
deformare i crani dei neonati,
allungandoli soprattutto con
l’applicazione di stretti
bendaggi, era una di quelle
bizzarre tradizioni oggi
riscontrabile in tutto il pianeta:
si voleva forse assomigliare,
anche solo fisicamente, agli dèi
serpentiformi?
Testimonianze in tal senso ci
vengono, ad esempio, dai
ritrovamenti a Merida, Ica e
Abido.
L’impressionante bestiario
Il serpente non è l’unico
animale che incontriamo nelle
leggende o vediamo stilizzato
nelle megalitiche costruzioni
dei nostri antenati.
Infatti, dobbiamo annoverare,
in questo incredibile zoo del
passato soprattutto fiere quali
la tigre, il giaguaro e il leone,
tutti felini che sembrano
rappresentare, ad ogni
latitudine, le sembianze degli
dèi che solcavano il cielo con i
loro “uccelli di fuoco”.
Se gli Olmechi conoscevano gli
“uomini-giaguaro”, i popoli
stanziati in Mesopotamia, ma
anche a Creta e in Egitto,
raffiguravano le divinità
prendendo a prestito le
sembianze del leone.
In Egitto la dea Hathor, che Ra
trasforma nella malefica
Sekhmet per distruggere il
genere umano, era
rappresentata con testa leonina
ed era associata al potere del
Sole.
In Cina, invece, era in voga la
tigre, come pure tra i Maya.
Come vedete, il fatto di
descrivere gli dèi con simili
fattezze, o perlomeno in quelle
di esseri ibridi, non era legato
al caso, altrimenti non ci
troveremo, oggi, ad avere
similitudini così evidenti.
Questa iconografia, girando il
mondo, è veramente
spaventosa se non grottesca.
Ne nascono creature al di là di
ogni immaginazione, in cui i
nostri antenati volevano
rappresentare, sovente, le
qualità fisiche unite a quelle
soprannaturali proprie degli
dèi.
Il Guardiano della Luce Huma,
divinità persiana di quasi 3000
secoli fa, veniva rappresentato
come il mitologico grifone,
ossia con la testa dell’aquila ed
il corpo del leone.
Karnak (Egitto). Sfingi.
New York (Stati Uniti d’America).
Statua di Horus, conservata al
Metropolitan Museum.
Giza (Egitto). La Sfinge.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Sefert, colui che aveva il
compito di badare alle membra
del dio Osiride, era munito di
corpo leonino mentre il capo
era quello di un falco.
Qui, beninteso, non si tratta di
mera rappresentazione artistica
bensì, a nostro parere, di un
chiaro ed inequivocabile
riflesso di idee e credenze, sia
culturali che religiose, con
l’intenzione ultima di fornire
un’immagine, seppur
semplificata, di tutte quelle
forze elementari che sfuggono
al controllo dell’uomo.
Così facendo chi ci ha
preceduto, in un contesto
temporale che possiamo solo
lontanamente immaginare,
voleva descrivere l’aspetto
fisico delle divinità ma, nel
contempo, metterne in
evidenza le qualità.
Leone, giaguaro e tigre
appartengono alla categoria dei
felini carnivori e non per niente
sono muniti di denti e artigli
lungi ed affilati.
Le caratteristiche sono
numerose: questi mammiferi
sono silenziosi, furtivi, forti,
abili, con un acuto senso
dell’olfatto, vedono
nell’oscurità, sono in grado di
attaccare le loro prede in quasi
tutti gli elementi.
abbigliavano con le sue pelli e,
come dimostra l’arte pittorica
murale rinvenuta in numerose
località della Mesoamerica, i
piedi venivano sostituiti con gli
artigli.
Il giaguaro è il più poderoso tra
i felini del continente
americano e con il puma e
l’ocelot è la figura più
rappresentata dalle civiltà
precolombiane.
Non per niente la prima epoca
del mondo, il cosiddetto primo
Sole, per gli Aztechi era anche
quella dei “Quattro Giaguari”,
associata a Tezcatlipoca, in cui
la terra era abitata dai Giganti:
quando Quetzalcoatl colpì con
un pugno il suo “parigrado”,
provocò la fine di quel ciclo e il
nostro pianeta fu divorato dai
giaguari.
Gli uomini giaguaro…
Una sorta di creature
impossibili gli “uominigiaguaro”, che, come abbiamo
accennato, appartengono alle
credenze degli Olmechi.
Secondo il parere di alcuni
esperti, rappresentavano esseri
soprannaturali ed erano
effigiati un po’ dappertutto: gli
dèi così rappresentati devono
essere stati i primi in assoluto e
con tali fattezze venivano
adorati dagli indigeni del posto.
Rappresentavano il potere dei
regnanti e, al contempo, il
concetto di fecondità.
Non per niente i signori, per
proclamare una relazione
mitica con questo animale, si
Bagdad (Iraq). Rappresentazione degli Annunaki.
Già conservata al Museo, ora trafugata.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
…e quelli pesce
Anche gli uomini e le donne
“pesce” colorano, a pieno titolo,
le leggende degli antichi popoli.
Questi stranissimi personaggi,
spesso descritti come esseri
acquatici, sono infatti
rammentati come i precursori
della civiltà.
La donna-pesce Orejona, nelle
leggende della gente andina, è
la madre del genere umano.
Le antiche cronache narrano
che discese dal cielo con
un’imbarcazione luccicante
come l’oro e si fermò nelle
vicinanze dell’isola del Sole, sul
lago Titicaca.
Questa dea anfibia, oltre che
bellissima, ci è stata
tramandata come una donna a
testa conica, con i piedi e le
mani a quattro dita palmate
come fosse una specie di pesce.
Derivava il suo nome da una
particolare caratteristica,
l’avere cioè delle grandi
orecchie, e proveniva, a suo
dire, dal pianeta Venere, e lì
pare tornò quando decise di
andarsene.
La mitica donna è, fra l’altro,
effigiata sulla Porta del Sole, lo
stupefacente megalite di
Tiahuanaco, nel mentre
discende per creare il genere
umano.
Gli uomini-pesce Oannes (in
siriano antico “stranieri”), dalle
notizie che abbiamo,
comparvero invece in maniera
simultanea nell’area del Golfo
Persico e del Mar Rosso.
Per quanto ci ha lasciato scritto
lo storico Beroso nel III secolo
a.C. queste creature dovevano
essere veramente disgustose
alla vista, tanto da essere
soprannominate “annedotoi”
(ripugnanti).
Prontamente divinizzati dagli
antichi popoli della
Mesopotamia, avevano il corpo
di un uomo ma anche di un
pesce e ci vengono descritti
muniti di due teste: quella a
fattezze umane era posta sotto
quella di pesce (ci pare di
capire, quindi che indossassero
un particolare copricapo
o…scafandro!).
Tiahuanaco (Bolivia).
La Porta del Sole.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Sotto la coda anfibia, inoltre,
dipartivano due piedi d’uomo e
le parole che pronunciavano
erano comprensibili al genere
umano.
Di giorno insegnavano la civiltà
ai terrestri ma al tramonto
tornavano nel loro habitat
naturale, il mare.
Al pari di altri strani esseri
erano inizialmente discesi dal
cielo, a bordo di quello che è
stato tramandato come un
“uovo cosmico” o “perla
luccicante”.
Così anche per i Dogon, che
sostengono di aver ricevono la
conoscenza, in tempi remoti, da
una divinità acquatica scesa
dalle stelle, poi ricordata come
Nommo.
Per quello che raccontano,
questo fantomatico Nommo è
assai simile a Osiride e a Gesù:
infatti, le leggende di questo
popolo ci dicono che, oltre a
dividere il proprio corpo fra gli
uomini per nutrirli, fu infine
crocefisso su un albero per poi
resuscitare.
E’ giusto fare un cenno ai
leggendari Kappas che, in
Giappone, vengono ricordati
come simili all’uomo ma
decisamente deformi: i
cosiddetti “uomini dei canneti”,
che si muovevano a bordo di
“conchiglie volanti”, avevano,
infatti, arti palmati, teste sottili,
occhi triangolari e orecchie
grosse.
Quello che impressiona
maggiormente nella loro
descrizione, così come ci viene
propinata dall’archeologo e
storiografo giapponese
Komatsu Kitamura, è che in
testa indossavano un ben
curioso “cappello”, munito di
quattro lunghi aghi e qualcosa
simile ad una proboscide che,
partendo dal naso, terminava
in una specie di gobba sulla
schiena.
Provate ad immaginare…
Gli uccelli di fuoco
L’uccello è da sempre la
personificazione del volo, a
conferma che gli dèi avevano
senz’altro questa bella
prerogativa.
Tra gli uccelli il curioso primato
va senz’altro assegnato
all’aquila, seguita a ruota dal
falco e dallo sparviero: anche il
condor è ben rappresentato,
pur tuttavia la sua presenza
simbolica si limita alla
Mesoamerica.
Teotihuacan (Messico).
Il Viale dei Morti.
Sopra Museo virtuale
di Bagdad (Iraq).
Figurina nutrice del
periodo Ubaid – 5.200
a.C.
Di fianco Teotihuacan
(Messico). La Piramide
del Sole troneggia in
questo misterioso sito
archeologico.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Fateci caso, quelli che abbiamo
menzionato sono tutti rapaci e
sono tra i più implacabili, una
sorta di cacciatori.
L’aquila, da sempre
riconosciuta come il re degli
uccelli, nel corso della storia ha
degnamente rappresentato il
potere e non per niente una
testa bianca effigia ancor oggi
gli Stati Uniti mentre una d’oro
era l’emblema delle legioni
romane.
Non possiamo quindi stupirci
di ritrovare questo animale
anche nella simbologia degli
antichi popoli.
Il falco e lo sparviero sono di
taglia più ridotta, quindi più
agili nei movimenti, soprattutto
nell’attacco ravvicinato.
Gli dèi venivano quindi
descritti e raccontati anche con
le sembianze di questi uccelli,
associati ad eventi della natura
come il tuono o il fulmine.
Chichen Itzà
(Messico).
Una
rappresentazione del
Serpente Piumato.
Simone Barcelli
ha 45 anni ed è un
ricercatore
indipendente di Storia
Antica, Mitologia e
Archeologia di
confine.
In rete collabora con
Storia in Network,
Tuttostoria,
Edicolaweb, Acam,
Esonet, OOPArt.it,
Paleoseti e
ArcheoMedia, sui cui
portali sono
pubblicati i
suoi studi tematici.
Il serpente piumato
Fra le tante raffigurazioni
quella che ci ha colpito
maggiormente è certamente “il
serpente piumato” di
Quetzalcoatl o Kukulcan, il dio
(così simile al Virachoca degli
Incas) venerato da Toltechi,
Maya ed Atzechi, la cui figura
appare per la prima volta
nell’iconografia immortalata a
Teotihuacan, la mitica “città in
cui nascono gli déi”.
Mai una rappresentazione
appare così sintomatica delle
caratteristiche della divinità: la
sapienza del serpente e la
prerogativa del volo sono qui
espresse in una idealizzazione
estrema che non lascia alcun
dubbio interpretativo.
Verosimilmente, alla luce di
quanto sinora disquisito, non
dovremmo avere difficoltà
insormontabili ad accettare
termini quali “uccelli di fuoco”,
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
“uccelli tonanti”, “carri celesti”,
“vascelli infuocati” o “barche
solari”, che annotiamo dai testi
mitologici di ogni dove, tanto
più se l’immagine è accostata
agli agenti atmosferici più
comuni.
La spiegazione per questo ed
altri ancestrali (a volte confusi)
ricordi appare estremamente
semplice: i nostri avi hanno
descritto, come meglio
potevano, queste “divinità”
dispensatrici di conoscenza,
giunte su questo pianeta a
bordo di apparecchi volanti.
Tuttavia, in questo frangente
storico e nel contesto della
società in cui viviamo, siamo
ben consci dell’impossibilità
che tali “informazioni” possano
essere avvalorate, soprattutto
per le devastanti conseguenze
che produrrebbero.
L’obiettivo, per il momento,
sarà quindi di continuare a
raccogliere questa moltitudine
di indizi per far riemergere,
dalle maglie del nostro passato,
una verità certamente scomoda
ma degna di essere raccontata
ai nostri figli.
[email protected]
Bibliografia essenziale
AA.VV., Enciclopedia della
Mitologia (Gribaudo/Parragon,
np)
AA.VV., Dizionario delle religioni
(Mondadori, 2007)
AA.VV., La Sacra Bibbia (Società
San Paolo - Ilpe, 1971)
Barcelli S., Tracce d’eternità
(Cerchio della Luna, 2009)
Botta S., La religione del Messico
antico (Carocci, 2006)
Eliade Mircea, Trattato di storia
delle religioni (Boringhieri, 1976)
Ferrari A., Dizionario di Mitologia
(due volumi) (Gruppo Ed.
L’Espresso, 2006)
Lawton I., Le antiche civiltà
antidiluviane (Newton &
Compton, 2004)
Archeologia di confine
pag.29
I misteri del
Manoscritto 512 e della
città perduta di
Muribeca
© 2010 Yuri Leveratto
Il Manoscritto 512
Yuri Leveratto
.
Nella Biblioteca Nazionale di
Rio de Janeiro (sezione
manoscritti, opere rare), esiste
un documento risalente al XVIII
secolo, denominato
“Manoscritto 512”, nel quale si
narra della scoperta di una
meravigliosa città perduta, dove
vi erano case di pietra e ampie
strade, oltre a numerose
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
iscrizioni incise nelle rocce in
una lingua completamente
sconosciuta.
Il documento, che fu scritto dal
religioso J.Barbosa, fu diretto al
Vicerè del Brasile Luis
Peregrino de Carvalho Menesez
Il viaggio di esplorazione
avvenne nel 1753, quando un
gruppo di uomini, guidati da
Francisco Raposo e João Silva
Guimaraes, s’inoltrarono nelle
foreste dell’attuale Stato
brasiliano di Bahia.
Innanzitutto bisogna
considerare che, circa 270 anni
or sono, l’odierno Stato di Bahia
era dominato da orde di
Aimorés e Pataxò, nativi
bellicosi le cui terre furono
conquistate solo dopo molti
anni.
Avventurarsi all’interno della
cosidetta “mata atlantica”, la
selva tropicale che purtroppo
ora è ridotta solo a piccoli tratti,
era molto pericoloso.
Francisco Raposo era in cerca
delle fantasmagoriche miniere
d’oro e d’argento di Muribeca, la
cui localizzazione fisica era
sconosciuta.
La leggenda delle miniere di
Muribeca risale al XVI secolo
quando il portoghese Diego
Alvarez fu l’unico
soppravvivente di un disatroso
naufragio presso la costa del
Brasile.
Fu salvato da alcuni indigeni
Tupi-Guaraní e, nei mesi
successivi, imparò l’idioma dei
nativi e si sposò con una
giovane, detta Paraguaçú.
Alvarez ebbe vari figli e nipoti.
Uno di questi, che visse a lungo
con gli autoctoni Tupi, fu
chiamato Muribeca.
In seguito ad un viaggio
nell’interno del continente,
guidato da nativi Tapuais,
Muribeca trovò una ricchissima
miniera d’oro, argento,
diamanti, smeraldi e rubini.
Con il tempo organizzò lo
sfruttamento della miniera e
divenne ricchissimo, in quanto
vendeva pepite d’oro e pietre
preziose nel porto di Bahia (oggi
Salvador).
Il figlio di Muribeca, il cui nome
era Roberio Dias, era molto
ambizioso, e durante un viaggio
in Portogallo, nei primi anni del
1600, chiese al re Pedro II il
titolo di marchese.
Il re promise di concedere
l’agognato titolo, ma solo se
Roberio Dias avesse rivelato il
segreto di suo padre e avesse
consegnato le miniere alla
Corona portoghese.
Roberio Dias accettò, ma
quando la spedizione giunse a
Bahia, poco prima d’iniziare il
viaggio per le miniere, persuase
l’ufficiale del re a farsi aprire la
lettera che conteneva il titolo di
marchese.
Interno dello Stato di Bahia
Si rese conto invece che
conteneva solo un titolo di poca
importanza, ovvero capitano di
missione militare.
Si rifiutò cosi d’indicare il
cammino per le miniere, e fu
imprigionato per lunghi anni.
Quando morì, nel 1622, portò
con sè nella tomba il segreto
dell’esatta ubicazione delle
miniere trovate e sfruttate da
suo padre, Muribeca.
Da allora molti partirono alla
ricerca della favolosa vena
d’oro, ma quasi tutti morirono
nell’intento o tornarono senza
aver raggiunto l’obiettivo del
loro viaggio.
Il documento più importante
sulle miniere di Muribeca
apparve casualmente nel 1839,
nel I Tomo del giornale
dell’Instituto Storico e
Geografico brasiliano.
Si trattava del racconto del
viaggio dell’avventuriero
Francisco Raposo, avvenuto nel
1753.
Oltre ad aver trovato le famose
miniere, Francisco Raposo
giunse alle soglie di
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
un’antichissima città, le cui
mura ciclopiche e ampie strade
lo affascinarono e spaventarono.
Ecco un estratto del
manoscritto:
Francisco Raposo partì al
comando di diciotto
coloni, e, dopo moltissime
avventure, più in là di un’
enorme zona pantanosa,
dovette attraversare delle
aspre montagne.
Una volta che riuscirono a
passare dall’altra parte
videro delle radure e in
lontananza la selva
vergine.
Si inviò un manipolo di
nativi in avanscoperta e
quando tornarono
riferirono di aver trovato
le rovine di una città
perduta
Nel documento, si narra inoltre
che gli avventurieri esplorarono
la città perduta il giorno
seguente.
Entrarono meravigliati in una
grande città di pietra, con muri
ciclopici simili a quelli di
Sacsayhuaman.
Nella parte centrale
dell’enigmatica città vi era una
piazza con, al centro, un
monolito nero molto alto, al
culmine del quale vi era una
statua di un uomo che indicava
il nord.
Ma ecco un altro passaggio
dell’antica descrizione:
Esplorammo la zona e ci
rendemmo conto che
stavamo entrando in una
città antica, disabitata.
Camminavamo tra le
rovine della città ed
osservavamo trepidanti
quelle case diroccate
pensando che nel passato
lontano dovevano essere
state fervide d’attività.
All’entrata vi erano tre
archi.
Quello centrale era molto
più alto dei due laterali e
riportava alcuni segni
sconosciuti incisi nella
pietra.
Quindi ci inoltrammo
lungo le rovine della città
ma non trovammo alcun
segno di presenza umana
recente.
Tutto era abbandonato,
da secoli, o forse da
millenni.
Al centro della cittadella
vi era una piazza con la
statua di un uomo che
indicava il nord.
In un lato della piazza
c’era un grande edificio in
rovina.
Dall’aspetto esteriore
sembrava essere un
grande tempio caduto in
rovina in seguito a un
devastante terremoto.
Davanti alla piazza
principale scorreva un
grande fiume, mentre
dall’altra parte del corso
d’acqua vi erano dei
campi con una grande
quantità d’animali:uccelli
e caprioli, che
stranamente non erano
spaventati dalla nostra
presenza.
Navigammo lungo il
fiume per tre giorni e
trovammo varie pietre
dove erano incisi strani
segni, simili a quelli
nell’arco all’entrata della
città.
Ci trovavamo nella zona
delle miniere in quanto
era facile individuare
grosse pepite d’oro sulle
sponde del fiume.
A partire dalla scoperta del
manoscritto, nel 1839, vari
avventurieri si lanciarono nel
profondo del Sertão alla ricerca
della città perduta.
Uno di loro fu Teodoro
Sampaio, che nel 1878 affermò
di aver trovato, nella zona del
Rio San Francisco, varie caverne
con petroglifi e strane incisioni,
ma non la mitica città.
Nel 1913 il tenente colonnello
inglese O’Sullivan Beare
dichiarò di essere giunto alle
miniere di Muribeca, situate
secondo lui nella sponda di
destra del Rio San Francisco, a
circa dodici giorni di cavallo da
Salvador de Bahia.
Disse anche di aver visto in
lontananza le rovine della città
perduta, quasi completamente
occultate dalla spessa selva, ma
ammise di non aver potuto
avvicinarsi perché aveva finito i
viveri e stava iniziando una
tempesta.
Percy Fawcett
Il colonello inglese Percy
Fawcett, che ebbe l’occasione di
conoscere Beare in Brasile,
rimase affascinato dalla sua
relazione e dall’analisi del
documento 512.
Anch’egli pensò di cercare
l’agognata città perduta di
Muribeca, nell’attuale Stato di
Bahia e quindi si decise ad
organizzare una spedizione nel
1921.
In realtà Fawcett era interessato
principalmente alla zona del
Mato Grosso, per vari motivi.
Innanzitutto nei suoi viaggi
precedenti aveva avuto modo di
ascoltare varie leggende
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
indigene che descrivevano
caverne, antiche città,
fortificazioni e strade
pavimentate.
Inoltre aveva ricevuto in dono
dall’amico scrittore Haggard,
una statuetta particolare che
proveniva dalla zona dello
Xingú: in essa vi erano incise
alcune strane lettere, che erano
da lui state interpretate come
“atlantidee”.
L’attenta analisi del manoscritto
512 e la leggenda di Muribeca,
però, lo affascinarono a tal
punto che, nel luglio del 1921,
organizzò una spedizione in
alcune zone remote dell’attuale
Stato di Bahia, nell’intento di
trovare la città perduta.
Esplorò la zona nell’occidente di
Lençóis, nella remota Serra di
Sincorá e Orobó dove
supponeva si trovasse la mitica
Muribeca.
Nella zona chiamata Lapinha,
Fawcett trovò molti petroglifi
simili a quelli descritti nel
Manoscritto 512, ma non riuscì
a trovare l’agognata città
perduta.
Qualche anno dopo, nella sua
famosa spedizione del 1925,
dalla quale non fece mai più
ritorno, Fawcett decise di
partire da Cuiabá, nel Mato
Grosso, con l’idea di esplorare le
terre dello Xingú, e poi, con
direzione est, attraversare la
Serra del Roncador, giungere al
Rio Araguaia (lat 9 sud), fino ad
arrivare al Rio Tocantins, per
esplorare quindi la Serra Geral e
giungere quindi sulle sponde del
Rio San Francisco, nella zona
originariamente indicata come
il luogo dove sorgeva la città
perduta di Muribeca, quella
descritta nel Manoscritto 512.
L’esito della spedizione di Percy
Fawcett, insieme al figlio Jack e
all’amico Raleigh Rimmel è
noto: i tre avventurieri
scomparvero probabilmente
vicino al Rio Culuene (affluente
dello Xingu), mentre stavano
dirigendosi verso la misteriosa
Serra do Roncador.
Perché Fawcett non concentrò i
suoi sforzi nella zona della
leggendaria Muribeca, nelle
vicinanze del Rio San
Francisco?
Yuri Leveratto
Interno dello Stato di Bahia
A parte i racconti degli indigeni
e la statuetta “atlantidea”, quale
fu il motivo che lo spinse ad
iniziare il suo ultimo viaggio nel
Mato Grosso, tentando di
esplorare una zona forestale
smisurata, totalmente selvaggia
ed abitata allora da tribù
aggressive?
In effetti alcuni studiosi e
ricercatori hanno avanzato
l’ipotesi che la fantastica città
perduta di Muribeca si trovasse
molto più a nord-ovest rispetto
al Rio San Francisco, forse sulle
sponde del Tocantins,
dell’Araguaia o addirittura dello
stesso Xingù.
A mio parere la storia descritta
nel Manoscritto 512 potrebbe
essere stata veritiera, ma
successivamente, l’intera città
potrebbe essere stata inghiottita
dalla Terra, in seguito a
devastanti terremoti o lenti
bradisismi, che avrebbero
occultato per sempre il mistero
della sua affascinate origine.
[email protected]
E' possibile riprodurre l'articolo
citando chiaramente l'autore e la
fonte www.yurileveratto.com
1542 I primi navigatori del Rio
delle Amazzoni
www.lulu.com
E’ un libro storico e d'attualità nello stesso
tempo.
Nella prima parte l'autore racconta
l'incredibile avventura di Francisco de
Orellana, il primo europeo che esplorò il
grande fiume, nel 1542. La seconda parte, la
cronaca, è il resoconto del suo viaggio,
terminato nel 2009, attraverso seimila
chilometri di fiume, navigando da
Puerto Ocopa (Perú), fino a Belem do Pará
(Brasile).
E' una guida particolareggiata, ma anche
un'analisi di un mondo spesso dimenticato,
ma di fondamentale importanza per il futuro
del nostro pianeta.
Prefazione di Lorenza Mazzetti, la celebre
autrice de “Il cielo cade”.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Egittologia
pag.33
La nascita
della civiltà egizia
© Luca Andrea La Brocca
Luca Andrea La Brocca
Non ho intenzione di puntare il
dito contro gli storici ortodossi
e le loro inamovibili teorie.
I grandi egittologi del passato
hanno dato un contributo
fondamentale alla
comprensione della civiltà
egizia nel suo insieme ed io non
me la sento di buttare in mare
tutta questa mole di lavoro.
Non voglio neppure cavalcare
gli entusiasmi della cultura
"new-age", non voglio vedere
extraterrestri da tutte le parti,
non voglio dar credito a teorie
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
astruse, apparse come funghi
negli ultimi tempi.
Non sono il primo a dirlo, ma lo
studio di una civiltà complessa
come quella egizia va affrontato
diversamente da come hanno
fatto gli egittologi fino ad oggi.
C'è bisogno del filologo,
dell'archeologo, dello studioso
delle religioni, ma c'è bisogno
anche di tecnici specializzati,
astronomi, architetti,
agrimensori, chimici, fisici,
nonché studiosi non prorpio
ortodossi, come esperti in
alchimia, in astrologia, e in
storia delle società segrete.
Sono convinto che bisogna
allargare il campo delle
indagini, se si vuole una volta
per tutte diradare le nebbie che
avvolgono la storia dell'Egitto;
se si vuole finalmente avere in
mano qualcosa di più di
semplici ipotesi che lasciano il
tempo che trovano.
I professori accademici ne
trarranno chiari benefici, in
quanto non dovranno più
difendere teorie strambe, come
quelle che riguardano il
complesso di Giza, il periodo di
Amarna, la stessa nascita della
civiltà egizia, da visionari che
vogliono assegnare tutto ciò che
di grandioso si è fatto sulla
terra ad una civiltà aliena.
In particolare, vorrei qui
esporre alcuni argomenti, che
sono poi quelli che riassumo nel
titolo.
Argomenti che, secondo il mio
modesto punto di vista, non
sono stati affrontati dagli
studiosi in modo approfondito,
cosa che ha incoraggiato il
proliferare di teorie bizzarre che
confondono, più che chiarire, le
idee di chi si avvicina all'Egitto.
Sicuro che sarete in tanti a
sfogliare questa rivista, spero
che possiate trovarle quanto
meno interessanti, magari
stimolanti.
Spero possano stuzzicare la
vostra sete di sapere, e possano
spingervi a cercare più in là, ma
non troppo, la risposta agli
inquietanti interrogativi circa il
nostro passato.
Nonostante l'enorme contributo
dell'archeologia
nell'acquisizione di
informazioni che riguardano le
origini della civiltà egiziana,
"gran parte della storia di
questo paese è avvolta nelle
nebbie dell'incertezza".
Le tante domande che ancora
aspettano una risposta sono
state oggetto di speculazioni,
cosa che ostacola la ricerca
della verità.
La mancanza di documenti
scritti contribuisce a non
rendere chiaro il quadro della
situazione nella Valle del Nilo.
Sicuramente fu abitata, anche
nelle zone oggi aride che un
tempo erano occupate da una
verdeggiante savana.
Chiaramente gli uomini erano
dediti alla caccia, alla pesca e
alla raccolta, almeno fino al
5500 a.C. quando dalla
Palestina giunse l'agricoltura.
Questo è in parte vero, anche se
gli storici sorvolano su quello
che fu il primo caso di
"rivoluzione agricola precoce"
attestato al mondo,
avvenimento che ha per
protagonista proprio una
cultura indigena della Valle del
Nilo.
E' un evento per alcuni aspetti
misterioso, non ultimo il fatto
che si colloca oltre i limiti
temporali fissati dalla
storiografia ortodossa.
Probabilmente per questi
motivi, non ne fanno menzione
alcuni dei testi di storia
dell'Antico Egitto più famosi.
Alcuni studiosi ne parlano
comunque nelle loro opere,
come Hoffmann in "Egypt
before the Pharaohs" e Schild
in "Prehistory of the Nile
Valley".
precoce", per mano della
cultura Isnan.
In quattro siti sul Nilo
superiore, gli archeologi hanno
dissotterrato utensili agricoli in
pietra, chiaro segno che questo
popolo selezionava e coltivava
cereali.
Non solo, ma sembra che
praticasse la domesticazione
degli animali e disponesse di
un'avanzata tecnologia di
lavorazione.
Ma sentiamo cosa hanno da
dirci gli esperti:
Ad un certo punto, tra il 13.000
e il 10.000 a.C. l'Egitto visse per
un periodo quello che è stato
definito "uno sviluppo agricolo
"Altrettanto spettacolare
della nascita nel tardo
paleolitico della
protoagricoltura nella Valle
del Nilo fu evidentemente la
sua precipitosa fine.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
"Poco dopo il 13.000 a.C.,
mole e lame di falce dai tagli
lucidi e brillanti (dovuti
all'aderenza di silice degli
steli tagliati alla punta
affilata della selce)
compaiono fra gli arnesi da
lavoro del tardo paleolitico...
E' chiaro che le mole
venivano utilizzate nella
preparazione di cibo
vegetale..."
"Il declino della pesca come
fonte di cibo è legata alla
comparsa di una nuova
risorsa alimentare
rappresentata dai cereali
macinati.
Dal pollice associato si
evince che con tutta
probabilità il cereale in
questione era l'orzo e, fatto
significativo, questo grande
polline di graminacea,
ipoteticamente identificato
con l'orzo, fa un'apparizione
improvvisa nel profilo
pollinico nel periodo
immediatamente precedente
l'epoca in cui i primi
insediamenti si stabilirono
in questa zona..."
Nessuno sa esattamente
perchè, ma dopo il 10.500
a.C. le antiche lame di falce e
la macinatura scompaiono
per essere rimpiazzate in
tutto l'Egitto da popolazioni
paleolitiche di cacciatori,
pescatori e raccoglitori che
usavano strumenti di
pietra."
Così l'agricoltura scomparve
dall'Egitto per essere in seguito
reintrodotta dalla Palestina
intorno al 5000 a.C.
Non solo, ma per almeno 1000
anni l'agricoltura non comparve
più in nessun altro luogo della
terra.
Gli storici attribuiscono questo
cambiamento di stile di vita ai
cataclismi e ai mutamenti
climatici che annunciarono la
fine dell'ultima Era Glaciale.
Dalle testimonianze emerge
comunque che questa
"rivoluzione" non fu
un'iniziativa indigena, piuttosto
una specie di "trapianto".
E' improbabile che gli Isnan
appartenessero ad una cultura
capace di evolversi più
rapidamente di altre culture.
E' più facile pensare che
acquisirono determinate
conoscenze da una cultura più
evoluta.
La fine della loro esperienza
coincise non con un loro
spostamento, o con una loro
decisione di abbandonare gli
strumenti, ma con il fatto che
chi li istruiva abbandonò
l'Egitto.
Così, incapaci di continuare da
soli, ritornarono a forme
primitive di caccia, pesca e
raccolta.
Purtroppo non abbiamo
abbastanza dati a disposizione
per poter tentare di seguire una
eventuale migrazione, se mai
avvenne, di questi primi
colonizzatori.
Sembrano sparire nel nulla,
motivo per cui gli studiosi
negano la loro esistenza.
Probabilmente i cataclismi che
accompagnarono l'ultima
deglaciazione misero in
difficoltà questi nostri
"antenati", molti dei quali
perirono durante quel periodo.
Molti di loro, ma non tutti.
Ci sono almeno due validi
motivi per affermare che una
parte di loro non si spostò mai
dall'Egitto: il fatto che la civiltà
egizia comparve dal nulla nella
sua completezza e il fatto che i
primi sovrani egizi
appartenevano ad una razza
diversa da quella indigena.
R.A. Schawaller, uno studioso
"poco ortodosso" della civiltà
nilotica era convinto che
l'Antico Egitto si configurava
non come uno sviluppo, ma
come un'eredità.
Un attento studioso della
civilta' egizia non può non
rendersi conto che essa è
pienamente sviluppata e
definita gia' all'inizio della I
Dinastia, circa 5000 anni fa.
Ascoltate cosa hanno da dire
alcuni famosi studiosi a tal
proposito:
"All'epoca di Menes (il
leggendario fondatore della I
Dinastia) - scrive Ignatius
Donnelly nel suo
Preadamites -, gli egiziani
erano già un popolo civile e
numeroso.
Manetone ci dice che Athotis,
il figlio del re, costruì il
palazzo di Menfi; che era un
medico e che lasciò dei libri
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
di anatomia. Tutte queste
affermazioni indicano
semplicemente che, già in
quell'antico periodo, gli
egiziani avevano raggiunto
un alto grado di civiltà.
All'epoca di Menes, gli
egiziani erano da gran
tempo architetti, scultori,
pittori, mitologisti e teologi".
"L'Egitto - afferma il
professor Richard Owen appare dai documenti come
una comunità civile e
organizzata ancora prima
del tempo di Menes.
La comunità pastorale di un
gruppo di famiglie nomadi
ritratta nel Pentateuco può
essere accettata come un
primo passo nella
civilizzazione.
Ma quanto è avanzata
rispetto a questo stadio una
nazione amministrata da
una monarchia, composta di
diverse classi e strutturata
secondo una divisione del
lavoro, dove ai sacerdoti era
assegnato il compito di
registrare e di ordinare
cronologicamente i nomi e le
dinastie dei re, insieme alla
durata e agli eventi
principali dei loro regni!".
"L'Egitto - osserva Ernest
Renan - fin dall'inizio,
appare maturo, vecchio,
senza periodi mitici o eroici,
come se il paese non avesse
mai conosciuto la
giovinezza.
La sua civiltà non ha alcuna
infanzia, nè la sua arte
alcun periodo arcaico.
La civiltà dell'Antico Regno
non appare nella sua
infanzia.
Era già matura".
Prendiamo come esempio per
avvalorare questa ipotesi la
sofisticata scrittura geroglifica.
Gli egittologi dispongono di
poche prove per poter seguire
una eventuale linea di sviluppo
della scrittura dai primi rozzi
ideogrammi ai geroglifici
completi di fonogrammi, ossia
di segni con valore di suono.
Ma l'assurda teoria dello
sviluppo crolla davanti ai
famosi "Testi delle Piramidi".
La particolarita' di questi testi è
che furono redatti durante un
periodo di poco superiore ai
cento anni, dalla fine della V
Dinastia alla fine della VI, nelle
camere funerarie delle piramidi
di alcuni famosi faraoni.
Il motivo di questa scelta non ci
è noto, anche se probabilmente
si volle creare un registro
geroglifico di letteratura sacra.
Secondo R.O.Faulkner,
professore di lingua egizia
presso l'University College di
Londra, i Testi sono
"il corpus piu' antico di
letteratura religiosa e
funeraria pervenuto fino a
noi" e "sono fra tutte le
raccolte simili i meno
corrotti".
Secondo J.H.Breasted "ci
svelano vagamente un mondo
scomparso di pensieri e parole,
l'ultima delle innumerevoli
eternità per le quali è passato
l'uomo preistorico, prima…di
fare il suo ingresso nell'era
storica".
Wallis Budge, ex
sovrintendente alle antichità
egizie presso il British Museum,
e autore di un dizionario di
geroglifici, con questa
dichiarazione conferma l'ipotesi
di un'eredità culturale:
"I Testi delle Piramidi sono
pieni di difficoltà di ogni
genere.
Non si conoscono i
significati esatti di un gran
numero di parole ivi
contenute…
Spesso la costruzione della
frase impedisce ogni tipo di
traduzione, e quando
contiene parole
assolutamente sconosciute
diventa un enigma
insolubile.
Sarebbe logico supporre che
questi Testi venissero
frequentemente utilizzati in
occasione dei funerali, ma è
evidente che furono
impiegati in Egitto per un
periodo di poco superiore ai
cento anni.
Perchè il loro impiego iniziò
repentinamente alla fine
della V Dinastia per poi
cessare alla fine della VI è
un fatto inspiegabile…
Vari passi provano che gli
scribi che redassero le copie
su cui si basarono gli
incisori delle iscrizioni non
capivano quel che
scrivevano…
L'impressione generale è che
i sacerdoti che stilarono le
copie presero degli stralci da
componimenti diversi di
epoche diverse e di contenuti
diversi…"
E' chiaro che i documenti
sorgente o erano scritti in una
forma arcaica della lingua
egiziana, cosa che fa retrodatare
la comparsa della scrittura
egizia di parecchi secoli, o,
probabilmente, erano scritti in
una lingua diversa, che
comprendeva terminologie
tecniche e riferimenti a
manufatti e a concetti per i
quali non esistevano termini
equivalenti nella lingua egizia.
In entrambi i casi c'è la
conferma che la scrittura egizia
o la sua antenata erano
antichissime, e che o si
svilupparono in un arco di
migliaia piuttosto che di
centinaia di anni, cosa piuttosto
improbabile, oppure che fu
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
introdotta, completamente
sviluppata, da una cultura
superiore a noi sconosciuta.
In precedenza ho affermato che
i primi sovrani egizi
appartenevano ad una razza
diversa dalla popolazione
locale.
Anche se l'affermazione può
sembrare assurda, troverete
conforto nelle parole del
famoso professor W.B.Emery,
autore di Archaic Egypt:
"…verso la fine del IV
millennio a.C. il popolo noto
tradizionalmente con il
nome di ‘Seguaci di Horus’ ci
appare come un'aristocrazia
altamente civile o una razza
dominante che governa tutto
l'Egitto.
La teoria dell'esistenza di
questa razza è confortata
dalla scoperta, nelle tombe
del tardo periodo
predinastico nella parte
settentrionale dell'Alto
Egitto, dei resti anatomici di
individui con un cranio e
una corporatura di
dimensioni maggiori
rispetto agli indigeni, con
una differenza così marcata
da rendere impossibile
qualsiasi ipotesi di ceppo
comune.
La fusione delle due razze
deve essere assai stretta, ma
non così rapida che, al
tempo dell'Unificazione, si
potesse considerarla in
qualche modo compiuta,
dato che, per tutto il periodo
arcaico, la distinzione fra
l'aristocrazia civilizzata e la
massa di indigeni è assai
pronunciata, specialmente
per quanto riguarda le
usanze funerarie.
Solo alla fine della II
Dinastia troviamo prove che
dimostrano come le classi
inferiori avessero adottato
l'architettura funebre e il
tipo di sepoltura dei loro
governanti.
L'origine razziale di questi
invasori è ignota e
ugualmente oscura rimane
la via che seguirono nella
penetrazione dell'Egitto".
Gli stessi egiziani nel corso
della loro storia fanno
riferimento a coloro che li
precedettero nel governo del
paese: gli dei, i semidei, gli
spiriti dei morti, e i re mortali,
tra i quali i ‘Venerabili di
Menfi’, ‘I Venerabili del Nord’ e
gli ‘Shemsu Hor’ o ‘Compagni
di Horus’, che regnarono sul
paese durante un incredibile
numero di anni.
Per gli egittologi questi sono
miti, ma per gli antichi egizi
questa era storia, tant'è che tali
dati comparivano sempre in
liste di re contenenti anche i
nomi di quei sovrani cosiddetti
‘storici’, dei quali abbiamo
prove certe di un'esistenza.
Sui miti egizi vi rimando ad una
prossima trattazione.
Vorrei ora soffermarmi su un
argomento che reputo
interessante: le conoscenze
tecnologiche degli egiziani nei
primi secoli della loro
millenaria storia.
Per strane circostanze, oserei
dire misteriose, non è giunto
fino ai nostri giorni nessuno
strumento ‘tecnologico’ egizio.
Di più, non conosciamo
descrizioni o rappresentazioni
dei medesimi su testi o
raffigurazioni pittoriche, e
quindi non conosciamo
nemmeno i termini con cui
questi strumenti venivano
designati.
Lo studio della tecnologia egizia
si basa quindi su mere
congetture, partendo dalla
osservazione del prodotto finito
e dei resti della lavorazione.
Per questo motivo si sono
formulate le conclusioni più
azzardate, e spesso l'analisi
tecnologica è stata influenzata
dalle generali conclusioni
archeologiche.
Ciò non sarebbe un problema
nel caso in cui analisi
tecnologica e archeologica
giungessero a comuni risultati.
Ma nell'ambito dell'egittologia
accade il contrario, e così
mentre l'analisi archeologica
mostra una linea ascendente di
evoluzione culturale dalla I
Dinastia all'Era Tolemaica,
l'analisi tecnologica segnala una
leggera involuzione dalla I
Dinastia sino alla IV Dinastia,
per mostrare poi un processo di
evidente declino nei tre
millenni successivi, fino
all'epoca dei Tolomei.
In effetti, il grado di
perfezionamento, tanto
rimarchevole quanto
improvviso e senza precedenti
che lo facciano presagire,
nell'arte della costruzione nella
III Dinastia e la risaputa
incapacità dei costruttori
dell'ipostilo di Karnak, che
1500 anni dopo non sapevano
che gli edifici richiedevano di
fondamenta, è un mistero del
tutto inspiegabile.
Dobbiamo chiederci se
l'assoluta inesistenza di
riferimenti alla scienza e alla
tecnologia egizia è puramente
casuale.
Gli egittologi attribuiscono
effettivamente al caso la
mancanza di reperti tecnologici.
Uno strumento molto usato
dagli antichi egizi fu il trapano,
che funzionava più o meno
come il nostro.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Abbiamo molti resti di
perforazioni, ma nessun reperto
dello strumento.
Siccome i resti che possediamo
di queste perforazioni sono una
minima parte dei lavori che
poteva produrre un tale
strumento, gli egittologi
affermano che in questo modo
si riducono ancor di più le
possibilità di rinvenire lo
strumento.
Anche se vogliamo condividere
questa affermazione, essa non
ci può spiegare allora perchè
nelle iscrizioni, pitture e papiri
rimasti, non compaiono mai
riferimenti, o almeno allusioni,
alle conoscenze tecnologiche di
questo popolo.
Siamo ancora in presenza del
caso?
Lo stesso discorso vale per le
minuziose osservazioni
astronomiche, comprovate
dalla perfezione del calendario
e dal preciso orientamento degli
edifici, ma delle quali non ci è
rimasto nessun reperto.
D’altronde, prima di noi, furono
i classici a sorprendersi
nell'osservare vicino alle grandi
costruzioni la mancanza di
qualsiasi reperto archeologico
relativo agli strumenti che
servirono alla loro costruzione.
Per concludere, gli egizi delle
prime Dinastie costruirono la
Grande Piramide, incisero
geroglifici su pietre di inaudita
durezza come la diorite, lo
scisto metamorfico, il basalto e
il cristallo di quarzo, con le
quali crearono sculture
incredibilmente perfette, con le
sole mani, perchè non
conoscevano la ruota, il
diamante, il ferro, e nessuno
tipo di strumento.
Vi pare una affermazione
logica?
Può darsi, ma andate a
guardare i recipienti di pietra,
quasi 30.000, trovati sotto la
Piramide di Gioser, vasi alti con
lunghi colli esili, urne
monolitiche con delicati manici
ornamentali lasciati attaccati
dagli intagliatori, coppe con
colli stretti, coppe aperte,
addirittura fiale microscopiche
ed altri oggetti non meglio
identificati, tutti rigorosamente
levigati e lucidi, realizzati con
pietre che nei secoli successivi
gli egiziani non sapranno più
usare.
O provate ad osservare la
famosa statua del faraone
Chefren, in diorite, la più alta
espressione dell'arte scultorea
egizia.
Sono opere che nemmeno i più
bravi scalpellini attualmente in
circolazione, con le migliori
tecnica a disposizione,
sarebbero in grado di
eguagliare.
La massima espressione
architettonica degli egizi è il
complesso di Giza.
Esso comprende tre piramidi
attribuite ad altrettanti faraoni
della IV Dinastia, con i relativi
templi funerari collegati con
strade rialzate ai templi a valle,
nonchè la famosissima Sfinge.
La Grande Piramide, l'unica
delle sette meraviglie ancora in
piedi, la Prima Piramide di
Giza, per usare un termine
tecnico, in realtà aveva un
nome più poetico: "La Piramide
che è il luogo dell'alba e del
tramonto" o anche "L'Orizzonte
di Cheope".
Gli egittologi la attribuiscono
appunto a Cheope, il secondo
Faraone della IV Dinastia, il cui
nome egizio Khufu (hwfw)
significa "Che Egli (il dio sole
Ra) mi protegga".
Non ho intenzione in questa
sede di annoiarvi con la sfilza di
dati che provano la
straordinaria perfezione di
questo monumento, ma voglio
soffermarmi su particolari sui
quali bisogna riflettere.
La piramide è priva di qualsiasi
iscrizione, una caratteristica
della necropoli di Giza, rispetto
alle altre settanta piramidi
egizie tappezzate di geroglifici.
Purtroppo non possono essere
considerati originali i "marchi
di cava", geroglifici errati o di
epoca successiva, che furono
trovati in alcune delle camere di
compensazione sopra la
Camera del Re dal Vyse, una
specie di pseudo-archeologo
che probabilmente fu l'autore
del falso.
Il monumento non è quindi
"firmato", per usare un termine
moderno, fatto inusuale nella
storia dei re egizi.
Pensate, il grande Cheope
realizzò l'opera più incredibile
che si sia mai vista slla terra,
senza farne un motivo di
celebrazioni, senza una parola
di autoelogio, priva persino di
quei testi funerari che
avrebbero dovuto
accompagnare il re defunto nel
viaggio verso l'aldilà.
Purtroppo non ci sono indizi
che possano provare che
Cheope fu sepolto proprio lì, e
la storiella che ci raccontano
circa una profanazione è da
scartare per vari motivi, non
ultimo il fatto che di tale furto
non ci sono rimaste tracce, tipo
un brandello di stoffa, un coccio
rotto o qualche piccolo oggetto
di poco valore.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Reperti che collegano Cheope
con la Grande Piramide sono
stati trovati all'interno e
all'esterno delle piramidi
satellite che fiancheggiano il
monumento, tra cui, ironia
della sorte, l'unica statua che
conosciamo del più famoso re
d'Egitto.
Se scartiamo le notizie che ci
giungono dai classici greci, i
quali non avevano accesso a
determinate informazioni,
possiamo soltanto affermare
che la Grande Piramide è
intimamente connessa con il
faraone Cheope, ma non
abbiamo uno stralcio di prova
che dimostri che fu proprio lui a
costruirla.
La Seconda Piramide di Giza è
la piramide attribuita a
Chefren, "La Grande Piramide"
o "Cheope è Grande", come la
chiamavano gli egizi.
Chefren, il Khafra' o Rakhaef
egizio (R'khaef), era il figlio di
Cheope, che regnò dopo un suo
fratellastro, Gedefra', il quale
stranamente costruì la sua
piramide lontano da Giza.
Anche questa piramide è priva
di iscrizioni e, manco a dirlo, fu
trovata vuota.
Nel Tempio a Valle, sepolte
sotto metri di sabbia, furono
trovate alcune statue del
faraone, tra cui quella di
diorite-gneiss di cui vi parlavo
in precedenza.
La Terza Piramide di Giza è la
piramide attribuita a Micerino,
"La Piramide Divina" o
"Micerino è Divino".
Questo faraone, chiamato dagli
egizi Menkaura' (R'mnk3w),
"La potenza di Ra è stabile", fu
dei tre il più ricco: di qui la
stranezza della decisione di
costruire la sua piccola
piramide vicino ai giganti dei
suoi predecessori.
Avrebbe potuto benisimo
scegliere un altro sito, vista
comunque la perfezione del suo
monumento.
Anche questa piramide è priva
di iscrizioni, ma fu trovata nella
Camera del Re una sepoltura
intrusiva di un epoca
successiva.
Probabilmente il sarcofago era
di Micerino, ma andò perso in
mare.
Di lui ci rimangono delle
bellissime statue che lo
ritraggono in trittici con altre
divinità, trovate sepolte
all'interno del Tempio a Valle.
Avrete sicuramente notato la
mia pignoleria quasi ossessiva
nell'indicarvi i nomi esatti dei
faraoni con il loro significato.
In questo cerco di imitare gli
stessi egizi, i quali davano
molta importanza al nome (rn).
Questa parola si scrive con due
semplici simboli: il primo è
chiaramente la bocca, con la
quale si pronunciano i nomi; il
secondo è un rivolo di acqua, un
simbolo che in geroglifico
significa energia, in quanto
nominare qualcosa voleva dire
dargli forza.
Chiusa questa parentesi, è
chiaro che gli egittologi non
hanno elementi che possano
provare chi furono i costruttori
di tali monumenti.
Hancock e Bauval, rivolgendo
lo sguardo in cielo sono riusciti
in parte a diradare le nebbie del
mistero che avvolgono questo
sito.
Le loro idee sono
rivoluzionarie, ma penso che
con il tempo verranno accettate
dall'ortodossia.
Chiarito che molto
probabilmente la piramidi di
Giza non furono costruite come
tombe, lo stesso vale per le altre
settanta piramidi sparse sul
suolo egiziano.
Per esempio Snefru (Snfrw), il
padre di Cheope, costruì ben tre
piramidi, e a tal proposito viene
da chiedersi cosa doveva farci
questo faraone con tre tombe.
Era forse un megalomane?
Se le piramidi egizie non furono
costruite per preservare i corpi
mummificati dei faraoni, per
quale motivo furono erette?
Adesso introduciamo un
argomento "tabu'", quello del
ringiovanimento che i faraoni
riuscivano ad ottenere
mediante l'utilizzo delle
piramidi, costruite a tale
proposito.
La cosa più sorprendente è che
tutte le piramidi egizie furono
costruite con questo obiettivo.
Tale recente conquista della
scienza archeologica non viene
divulgata perchè si contrappone
all'idea stereotipata secondo cui
la finalità delle piramidi era di
servire da tombe ai sovrani.
Gli egittologi, dichiarando che
lo scopo delle piramidi
risiedeva nel ringiovanimento
dei faraoni, non solo negano
una "verita'" accettata ormai da
tempo, ma affermano un
concetto apparentementre
assurdo: chi può accettare una
teoria secondo cui un farone
poteva ringiovanire solo
sistemandosi all'interno della
piramide?
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Nonostante possa sembrare
sorprendente, questa è la tesi
accettata ufficialmente dalla
scienza archeologica per
spiegare la finalità di questi
monumenti.
Sentiamo cosa hanno da dirci in
merito alcuni affermati
egittologi:
"In alcune tribu' nilotiche afferma A.Fakhry - ancora
oggi un re può prolungare il
proprio regno con metodi
magici e cerimonie rituali.
Agli albori della storia gli
egizi probabilmente
eseguivano pratiche simili.
I faraoni celebravano l'Heb
Sed (hb-sd) come mezzo per
preservare il proprio vigore
giovanile e prorogare nel
tempo il loro regno.
La pratica dell'Heb Sed
continuò fino alla fine della
storia egiziana…
…Nelle pareti dei templi si
trovano numerose
rappresentazioni di tali
cerimonie.
Sfortunatamente, anche se
conosciamo questi rilievi e
possiamo tradurre i testi
geroglifici che li
accompagnano, dobbiamo
ammettere che l'obiettivo
fondamentale di queste
pratiche ci sfugge ancora…”
“Tutti i re egizi - dichiara
I.E.S. Edward nel suo libro
‘Le Piramidi d'Egitto’ dovevano celebrare l'Heb
Sed dopo aver regnato per
un certo numero di anni.
L'origine di questa festa è
molto oscura, ma risale ad
epoche lontane, quando il re,
dopo un certo periodo,
doveva morire ritualmente.
E' evidente che il significato
di questa tradizione
consisteva nella convinzione
che la felicità del regno
potesse venir assicurata
solamente da un re che fosse
riuscito a mantenere intatto
il prorpio vigore fisico…
…Uno degli elementi più
importanti dell'Heb Sed
consisteva nella
legalizzazione
dell'incoronazione.
Durante questa cerimonia
una processione guidata da
un sacerdote giungeva al
tempio dell'atrio dell'Heb
Sed, dove si trovavano gli
dei delle ‘nomarchie’
dell'Alto Egitto. Dopo aver
ottenuto da ogni dio il
consenso per il
prolungamento del regno, il
re veniva condotto al trono
sud, un complesso di due
troni collocati sotto un
baladacchino, per essere
incoronato con la corona
bianca dell'Alto Egitto.
Una cerimonia simile si
verificava nei templi degli
dei delle nomarchie del
Basso Egitto prima che il re
ascendesse al trono nord per
ricevere la corona rossa del
Basso Egitto."
Edward dedica molte pagine del
suo libro alla descrizione
dell'enorme e complessa
architettura costituita da decine
di immensi templi, corridoi,
gallerie, patii situati a diversi
livelli, che costituiscono un
complesso monumentale di
strutture che erano, come già
assicurava Erodoto, ancora più
importanti della stessa
piramide.
Se si considera che la finalità
della piramide era l'Heb-Sed, è
logico che anche i templi
dell'Heb-Sed adossati alla
piramide fossero edifici
monumentali.
E' possibile ricostruire, in linea
generale, la successione delle
cerimonie dell'Heb-Sed.
Secondo i testi e i disegni egizi,
la prima fase costituiva la morte
rituale del faraone, il cui corpo
veniva collocato in un lussuoso
sarcofago all'interno della
piramide.
Non sappiamo quanto tempo
durava la permanenza del
faraone nel sarcofago, e non
sappiamo nemmeno se ciò
avvenniva per catalessi, ipnosi,
o altro.
Tale morte veniva
accompagnata dalle cerimonie
del dolore, e questo spiega
perchè parte degli impianti
dell'Heb-Sed è puramente
funeraria.
Trascorso il tempo necessario, il
faraone resuscitava.
Pur non avendo testimonianze
dirette di questa fase, possiamo
immaginare la festosità e
l'allegria che accompagnavano
la resurrezione del re.
Poteva accadere che il sovrano
uscisse dal sepolcro con tutti gli
acciacchi di prima, per cui
erano previste, prima
dell'incoronazione, minuziose e
prolungate ‘prove di gioventù’.
Le prove di gioventù sono la
dimostrazione che il processo di
ringiovanimento era preso in
seria considerazione.
Una rappresentazione molto
comune mostra il faraone
mentre corre rapidamente con
una stanga da trebbiatura in
una mano e un piccolo oggetto
nell'altra.
Sul suolo si nota la traccia di un
circuito che corre tra due file di
pietre a forma di tronco di cono
che il sovrano doveva
percorrere quattro volte.
Chiaramente solo un re
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
rinvigorito poteva superare una
tale prova.
La stanga da trebbiatura
evidenzia un'altra prova di
forza, perchè, quando le messi
si trebbiavano a mano, solo i
giovani vigorosi erano capaci di
sgranare i covoni, non di sicuro
un faraone anziano.
Ignoriamo la natura di una
successiva prova collegata al
piccolo oggetto che il re porta in
una delle mani.
In una delle sale dell'Heb-Sed
compare la figura del dio Min, il
dio della fertilità, spesso
rappresentato come un toro
bianco con il fallo eretto.
Ciò a testimoniare una prova
associata al vigore sessuale,
della quale ci sfugge il senso.
Alcuni testi menzionano altre
prove di gioventù, come violare
una fortezza o distruggere una
città, a dimostrazione che la
cerimonia del Giubileo si
sviluppava in un tempo molto
lungo.
Appare chiaro dalla complessità
della festa e dall'enorme sforzo
economico richiesto per la
costruzione di templi ed edifici,
che il contenuto dell'Heb-Sed
era in qualche modo reale.
Una festa che risaliva all'Egitto
predinastico e che non subì
variazione nei tremila anni
della civiltà egizia.
Fino a poco tempo fa era
impossibile spiegare il
problema del ringiovanimento
del faraone utilizzando le
conoscenze della biologia.
In nostro aiuto sono giunte due
nuove teorie, una del chimico
fiorentino Piccardi e l'altra del
profesore di informatica russo
Trincher, entrambe basate sulla
scoperta di alcune proprietà
dell'acqua un tempo
sconosciute.
Prima di affrontare questi studi
è bene spendere due parole in
favore di questo liquido.
L'acqua è un composto chimico
totalmente anomalo, tant'è che
non si concilia con le usuali
regole della fisica e della
chimica.
Il grande idrologo fiorentino
Piccardi era solito affermare
che "l'acqua è il liquido più
misterioso della creazione".
D'altronde l'intima relazione tra
acqua e vita è tale che si può
affermare che "la vita è una
delle proprietà anomale
dell'acqua".
Se fosse una sostanza come le
altre, dovrebbe bollire a 230°
sotto zero, ma per
comparazione tra H2O e H2S,
l'acqua bolle a 100° gradi sopra
lo zero.
Tutte le sostanze, raffreddate,
contraggono il proprio volume,
e così i metalli non fusi
rimangono nel fondo, mentre il
ghiaccio galleggia sull'acqua.
Essa inoltre ha un potere
dielettrico di 80, altissimo se
confrontato alla media delle
altre sostanze, che arriva a 10.
Ed è quest'ultima anomalia ad
originare tutte le altre.
Ciò avviene perchè l'acqua
presenta "valenze deviate".
L'angolo delle valenze
dell'ossigeno nell'acqua è 104°,
per cui l'acqua non è H2O, ma è
formata da cinque H2O.
A tal proposito il premio Nobel
Pauling afferma che "L'acqua è
un polimero costituito da
cinque molecole di H2O
collocate in cinque angoli di
una piramide di base quadrata,
il cui angolo è di 52°”.
Anche la Grande Piramide ha la
base quadrata con gli angoli di
52°, per cui si può affermare
con certezza che il monumento
egizio non è altro che il simbolo
dell'acqua.
Piccardi collocò in una provetta
una soluzione di cloruro di
bismuto, aggiunse acqua e
scoprì che la soluzione si
intorbidiva producendo un
liquido biancastro.
In particolare scoprì che il
grado di precipitazione variava
con le ore del giorno, con i mesi
dell'anno e ogni undici anni,
seguendo il ciclo del giorno,
delle stagioni e delle macchie
solari.
Piccardi scoprì anche che il
composto precipitava più
rapidamente in una provetta
collocata sotto un recipiente di
metallo, la quale evidentemente
non subiva l'influenza delle
onde elettromagnetiche che, al
contrario, accelleravano il
processo di precipitazione nella
provetta sistemata all'aperto.
La cosa sorprendente è che in
una provetta collocata sotto una
piramide che abbia le stesse
proporzioni della Grande
Piramide, la decantazione, nel
caso del cloruro di bismuto,
avveniva addirittura con
quindici minuti di ritardo.
Questa è la prova che esistono
radiazioni universali che
provocano il ritardo della
precipitazione, radiazioni che
vengono ottimamente captate
dalla piramide.
Il processo di invecchiamento è
noto come un aumento di
entropia, per cui con la
creazione di antientropia tale
processo viene ritardato.
Il biologo russo Trincher riuscì
a fare misurazioni
dell'antientropia dell'acqua
interstiziale dei glubuli rossi, la
quale risiede "in stati cristallini
metastabili dell'acqua".
Da questa scoperta e da quella
del Piccardi alcuni ricercatori
hanno preso spunto per
effettuare esperimenti circa
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
l'influenza che la forma
piramidale esercita sul
comportamento di enzimi e
ormoni.
Questi avvennero nello IEA,
l'Istituto di Studi Avanzati
dell'Argentina.
Sappiamo che gli enzimi hanno
la capacità, agendo come
catalizzatori, di accellerare
diversi processi di
trasformazione chimica che
avvengono nel nostro
organismo.
La piramide ha la proprietà di
modificare questa capacità.
Gli esperimenti all'IEA
consistettero nel collocare
provette contenenti un enzima
e un substrato all'aperto, in un
cubo e in una piramide.
Si effettuarono esperimenti con
tutti gli enzimi riscontrando
trasformazioni con alte
percentuali di rendimento sotto
la piramide: il 150% per
l'ureasi, che trasforma l'urea in
ammoniaca; il 70% per i lipasi,
che sdoppiano i grassi in acidi
grassi e glicerina; il 50% per
l'invertasi, che trasforma il
saccarosio in glucosio; anche
una diminuzione del 42% per
l'amilasi, che sdoppia l'amido in
glucosio.
Con gli ormoni si ebbero
variazioni qualitative, non
quantitative, per cui si affermò
il carattere puramente
enzimatico dell'azione
piramidale.
Purtroppo gli esperimenti,
suggeriti dal biochimico Varela,
furono arrestati, non essendo
stati giudicati interessanti dagli
scienziati.
[email protected]
Archeoastronomia
pag.42
I Dogon e il mito della
Stella Nera
© Bruno Severi
Bruno Severi è nato a Bologna
nel 1946. Laureato in Scienze
Biologiche, ha lavorato
all'Università di Bologna, presso
la Facoltà di Medicina e
Chirurgia, come Microscopista
Elettronico. Direttore
Scientifico del Centro Studi
Parapsicologici di Bologna
http://cspbo.altervista.org/b, è
uno dei 5-6 studiosi italiani che
fanno parte della
Parapsychological Association,
la più importante ed esclusiva
associazione parapsicologica
esistente al mondo. Ha scritto
vari articoli ed ha riferito in
congressi di Parapsicologia o di
Scienze di Frontiera.
Bruno Severi
http://www.nature-team.ch/media/img_mali_dogon_taenzer.jpg
Q UES T A È U N A V E RS I O N E
A MP L IA TA E D A G G IO R N A T A
D EL L’ A RT I CO LO “ LA S TE L L A
N E RA ” A P P A RS O S U I
Q UA DE RN I D I
P A R A P S IC O LO G IA , VO L . 2 2 ,
N .1 , 1 9 91 .
I Dogon e Sirio
Nella parte meridionale dell’excolonia francese del Mali, nella
zona che fa perno sulla
cittadina di Bandiagara, vive un
popolo, il popolo Dogon, noto
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
in tutto il mondo per essere
rimasto ancora in buona parte
legato a sistemi di vita
tradizionali e per avere
mantenuto sino ad oggi vitale
ed incontaminato il suo
patrimonio culturale e
religioso.
Tra i fatti che più hanno dato
da pensare ai vari studiosi che
si sono interessati ai Dogon c’è
la storia riguardante la stella
Sirio.
Questa stella entra
profondamente nelle tradizioni
più gelosamente custodite da
tali genti e rappresenta uno
degli elementi chiave della loro
elaborata cosmologia.
Fin qui nulla di eccezionale, in
quanto risulta abbastanza
prevedibile che un popolo
primitivo, ma sensibile, sia
affascinato e suggestionato
dalla stella più luminosa della
volta celeste e ne faccia un
simbolo o conferisca ad essa
significati e funzioni di primo
piano nella visione ed
interpretazione dell’universo e
dei suoi misteri.
Altre civiltà hanno popolato di
significati e di funzioni del
genere il Sole, la Luna o altri
corpi celesti notevoli.
Vediamo ora in dettaglio come
si è aperto il caso Sirio ed i
Dogon.
Nel 1946 un antropologo
francese di nome Marcel
Griaule, che s’interessava da
diversi anni delle tradizioni
Dogon, fu avvicinato da un
vecchio indigeno cieco
chiamato Ogotommeli, uno dei
personaggi di rilievo del
villaggio per il suo profondo ed
antico sapere.
L’intenso e quasi immediato
rapporto di amicizia che
s’instaurò fra i due spinse il
vecchio Dogon a confidare allo
studioso bianco alcuni dei
misteri che il suo popolo si
trasmetteva, da tempi
inenarrabili, lungo una linea
ininterrotta di iniziati.
E, tra le altre cose, parlò della
stella nera chiamata, secondo
la loro lingua, Po Tolo.
Tolo è traducibile con stella, Po
è un cereale il cui seme è
estremamente piccolo ed ha un
elevato peso specifico.
Po Tolo sarebbe, per i Dogon,
una stella molto piccola ed
invisibile ad occhio nudo, fatta
di un materiale speciale di peso
inimmaginabile.
Inoltre, Po Tolo sarebbe la
compagna minore dell’astro
Sirio e ruoterebbe attorno ad
esso in 50 anni ed attorno a se
stesso in un anno terrestre.
Dalle rappresentazioni grafiche
di questa coppia di stelle che si
possono trovare tra i Dogon, si
desume che Sirio B, o Po Tolo,
ruoti attorno alla sua
compagna più grande secondo
un’orbita ellittica, dove Sirio
occupa uno dei fuochi.
Ciò che è stato rivelato dal
vecchio Dogon si spinge oltre.
Infatti, esisterebbe una terza
stella invisibile associata a Sirio
e a Sirio B e dotata di un
pianeta che loro chiamano
Emme Ya.
Da questo pianeta, narrano i
miti Dogon, sarebbero
provenuti i Nommo, esseri
anfibi che in tempi inenarrabili
giunsero presso i Dogon
trasmettendo ad essi alcune
loro conoscenze.
Tra queste, oltre quelle relative
alla stella Sirio, c’è la
conoscenza che i pianeti
ruotano attorno al Sole con
orbite ellittiche, la presenza di
quattro satelliti di Giove e degli
anelli attorno al pianeta
Saturno.
Infine, che le stelle
formerebbero giganteschi
ammassi vorticoidi, e che
esisterebbero altre forme di
vita nell’universo.
La scienza ci dice…
Vediamo che cosa la moderna
astronomia ci dice in proposito.
Ma prima ancora vorrei
sottolineare come l’intuizione
dell’esistenza di stelle doppie o
triple, così come sostenuto
dalla tradizione Dogon, è un
fatto eccezionale, se non unico,
tra le genti cosiddette
primitive.
Anche tra quelle più evolute
questa conoscenza non è affatto
comune, se non inesistente, ad
eccezione della cultura
occidentale.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Nel 1844 gli astronomi
dedussero che Sirio
appartenesse ad un sistema
doppio in virtù di certe
piccolissime oscillazioni della
sua traiettoria.
In seguito, si stabilì che la
luminosità della sua compagna
invisibile era di 10.000 volte
inferiore a quella di Sirio e non
era facilmente osservabile
nemmeno con i più potenti
telescopi perché nascosta dalla
luce abbagliante dell’astro
principale.
Fu solo nel 1862 che gli
astronomi furono in grado di
vedere al telescopio quella
stella che chiamarono Sirio B,
mentre la prima fotografia
astronomica fu fatta nel 1970.
Il periodo di rivoluzione
dell’astro più piccolo attorno al
maggiore fu stimato in 49,98
anni. Sirio B, inoltre, fu
inquadrato nel 1926, in virtù
del tipo di luce emessa e dalla
massa, come una stella della
categoria delle nane bianche,
con diametro all’incirca uguale
a quello terrestre e dotato di
una massa enorme,
comparabile a quella del Sole.
Ciò significa che la densità
media di Sirio B è un milione e
mezzo di volte superiore a
quella dell’acqua.
Un centimetro cubo di materia
di quella piccola stella
peserebbe, di conseguenza,
oltre una tonnellata.
L’orbita attorno a Sirio è di tipo
ellittico, come quella della terra
attorno al Sole, ma non se ne
conosce il periodo di rotazione
attorno al proprio asse.
Infine, due astronomi francesi
nel 1995 (1) hanno avanzato la
possibilità che il sistema di
Sirio sia composto da tre stelle
distinte, formante cioè un
sistema stellare triplo.
Questa loro convinzione nasce
ancora dal fatto che nell’orbita
di Sirio e Sirio B si possono
apprezzare delle piccole
anomalie spiegabili solo
facendo ricorso ad una terza
stella, una nana rossa chiamata
Sirio C, ruotante attorno
all’astro principale.
Quest’ultima scoperta, se
confermata, suonerebbe come
una non trascurabile conferma
delle credenze astronomiche
Dogon, conferma avvenuta,
come vedremo in seguito, in
tempi non sospetti.
Facendo i confronti opportuni,
è immediato riconoscere
sorprendenti analogie, se non
identità, tra quanto afferma la
tradizione Dogon e quello che
la scienza moderna ha di
recente scoperto.
Il mistero delle sconcertanti
conoscenze dei Dogon è stato
affrontato anche da astronomi
professionisti che si sono
espressi, talora in modo
contrastante, su prestigiose
riviste scientifiche.
Vediamo ora che cosa hanno
detto.
Nel “Quarterly Journal of the
British Astronomical Society”
del 1972 (2), l’astronomo
inglese W.H. McCrea,
Presidente della “Royal
Astronomical Society”,
trattando del sistema doppio di
Sirio, accenna brevemente alle
conoscenze Dogon in materia.
L’anno seguente, sul “Journal
of the British Astronomical
Association” (3), in una lettera
all’editore dal titolo “Sirius. A
conjuncture and an appeal”, lo
stesso ricercatore tratta più
approfonditamente il discorso
lanciando un’ipotesi
interpretativa e facendo, nello
stesso tempo, un appello ad
altri studiosi perché si
esprimano, con l’apporto di
nuovi elementi, a favore o
contro le sue vedute.
McCrea, dopo avere ribadito
che le credenze Dogon riguardo
alla stella Sirio ed alla sua
compagna sono ben
documentate, suggerisce una
sua interpretazione spostando
l’attenzione sugli antichi Egizi.
Costoro, afferma, davano una
grande importanza alla data del
levare (e del tramonto) eliaco
di Sirio.
Questa data si riferisce a
quell’unico giorno dell’anno in
cui la stella Sirio appare bassa
all’orizzonte nelle prime luci
dell’alba, dopo essere stata
invisibile per alcune settimane.
L’autore suppone che, in
corrispondenza dell’apparire di
Sirio all’orizzonte, gli Egiziani
osservassero, sia all’alba che al
tramonto, con somma
attenzione, la posizione da cui
doveva comparire, o
tramontare, la stella.
L’osservazione del deserto,
specialmente al tramonto
quando la sabbia rovente si
raffredda determinando
un’inversione di temperatura
nell’aria in prossimità del
suolo, può essere caratterizzata
dal comparire di miraggi.
Una stella (Sirio, ad esempio)
osservata all’orizzonte nelle
prime ore della sera può
sembrare, con un effetto di
miraggio, doppia, con
l’immagine irreale al di sotto di
quella reale.
Questo fatto può dare
l’impressione che la stella
accessoria sia più pesante di
quella vera e, verosimilmente,
che sia più densa.
Naturalmente, questa
situazione si può presentare
una sola volta in un anno, nel
giorno, appunto, del tramonto
eliaco di Sirio.
Nei restanti giorni, poiché la
stella è sempre alta
sull’orizzonte e non si presta ad
alcun fenomeno di miraggio,
essa apparirà sempre solitaria.
Da qui la credenza dei Dogon
che la compagna di Sirio, Po
Tolo, sia una stella nera, ossia
invisibile.
Per l’astronomo inglese, il fatto
che le due stelle (Sirio più il suo
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
miraggio) quando visibili
possano apparire rosse (come
affermano i Dogon), si può
spiegare proprio in virtù del
loro trovarsi basse
sull’orizzonte, così come il sole
e la luna appaiono rossi quando
occupano la medesima
posizione sulla volta celeste.
In definitiva, McCrea ritiene
che la possibilità di un
miraggio in concomitanza del
tramonto eliaco di Sirio possa
fornire la spiegazione, nello
stesso tempo semplice ed
esauriente, del mistero di Sirio
B.
Ed è per pura coincidenza che
Sirio sia effettivamente una
stella doppia, in analogia con
quanto suggerisce il miraggio.
Nel 1975, sulla rivista inglese di
astronomia “The Observatory”
(4), lo scrittore americano
Robert K. G. Temple risponde a
quanto aveva precedentemente
scritto W. H. McCrea.
Anch’egli è d’accordo sulla
possibilità che il culto di Sirio e
di Sirio B abbia un’origine
egizia.
Infatti, il giorno del levare
eliaco di Sirio era alla base del
famoso antico calendario
egiziano (“ancient egyptian
Sothic calendar”, nel testo)
essendo Sothis la versione
greca del nome egiziano di
Sirio.
Nello stesso tempo, questo
termine indicava la dea Iside
(sembra, inoltre, che il culto
egizio di Iside e di Osiride
avesse un preciso riferimento
con la stella Sirio e con la sua
invisibile compagna, NDR).
Il giorno del levare eliaco di
Sirio era accolto dagli antichi
Egiziani con feste solenni, sia
civili che religiose.
Temple dubita che la
spiegazione del miraggio possa
esaurire tutti i termini del
problema.
McCrea fa riferimento al
tramonto eliaco di Sirio per
invocare la possibilità del
miraggio, quando in realtà la
data importante per il culto di
Sirio presso gli Egiziani sembra
essere stata quella del levare
eliaco della stella, cioè alle
prime vaghe luci dell’alba, l’ora
meno propizia perché si realizzi
un miraggio.
Ma, ammessa anche
l’eventualità del miraggio,
perché si ha la descrizione di
una stella doppia solo per Sirio
e non per le numerose altre
stelle che si vengono a porre
nella medesima posizione
rispetto all’orizzonte?
Come può un miraggio spiegare
le altre conoscenze
astronomiche dei Dogon?
Certamente un miraggio non
può avere rivelato che Sirio B
sia una stella del tipo detta
nana bianca con una densità
spaventosa.
Né può dirci come facevano i
Dogon a conoscere così
esattamente il periodo di
rivoluzione di Po Tolo attorno a
Sirio, e nemmeno può dirci
nulla sull’orbita ellittica che i
Dogon sapevano che Po Tolo
seguiva.
Ed altre cose ancora aspettano
risposta.
Temple termina il suo articolo
dichiarandosi in attesa di
ipotesi interpretative più
esaurienti.
Frattanto, lo stesso Temple non
è rimasto inattivo, anzi,
utilizzando i resoconti elaborati
da Marcel Griaule e dalla sua
collaboratrice G. Dieterlen
(5,6,7), Temple scrive un suo
libro dal titolo “The Sirius
Mystery” (8) nel quale tratta, in
modo spesso estremamente
fantasioso, il problema di
queste eccezionali conoscenze
astronomiche dei Dogon.
Infatti, vi si legge che queste
rivelazioni sarebbero state
fornite agli Egiziani preistorici
da fantomatici abitanti di un
pianeta facente parte del
sistema di Sirio.
Questo contatto con gli alieni
sarebbe stata la causa
dell’esplodere improvviso e
travolgente della civiltà egizia
nel quarto millennio a.C.
Le spiegazioni riguardo
l’esportazione nel territorio
attualmente abitato dai Dogon
del culto e delle conoscenze
sulle due stelle in questione,
così come ce le presenta lo
scrittore americano, lasciano il
lettore ugualmente in un mare
di dubbi.
Per esempio, si legge che gli
stessi Dogon siano di origine
egiziana e che dalle rive del
Nilo siano migrati nel territorio
in cui tuttora abitano.
Ricordiamo, per chi non ne
fosse informato, che i Dogon
sono di razza negroide, a
differenza degli antichi
Egiziani.
Un’ipotesi in proposito, che ho
letto presso un’altra fonte, si
rifà al misterioso popolo dei
Garamanti, descritto da diversi
autori antichi tra cui Strabone,
Plinio ed Erodoto per spiegare
l’esportazione dall’Egitto di
queste antiche conoscenze.
Dalle regioni del Fezzan,
nell’attuale Libia, dove
risiedevano già da tempi molto
remoti, si ritiene che i
Garamanti si siano spinti sino
alle regioni nigeriane
attraverso direttive nel deserto
che in parte sono state
identificate e che costituiscono
la cosiddetta Via dei Carri
(questo popolo si spostava
attraverso le sterminate lande
desertiche con carri a due ruote
trainati da cavalli).
Potrebbero, pertanto, essere
stati i Garamanti a portare la
storia ed il culto di Sirio e delle
sue compagne ai Dogon dopo
averla appresa dai vicini
Egiziani.
Ma anche questa ipotesi è tutta
da verificare.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
L’intero libro è poi un’apoteosi
di tutti i misteri dell’antichità,
risolti naturalmente dall’acume
di Temple stesso: il mistero
della Sfinge e delle Piramidi, di
Atlantide, degli antichi
visitatori venuti dallo spazio,
etc.
Forse pochi sanno che il
decimo satellite di Saturno,
Febo, per Robert Temple
potrebbe essere una enorme
base spaziale (una sfera
gonfiata con gas di 160-220
chilometri di diametro) dove
bivaccherebbero i Nommo, gli
alieni anfibi che hanno preso
contatto con i Dogon tanto
tempo fa.
Al centro di questa enorme
sfera naturalmente, secondo
Temple, ci dovrebbe essere
una grossa riserva d’acqua.
Ricordiamo, infatti, che i
Nommo sono anfibi e non
possono stare all’aria aperta se
non per poco tempo.
In futuro poi ritorneranno a far
visita ai Dogon a bordo di
rombanti e scintillanti navicelle
spaziali.
Inoltre, i recenti voli
interplanetari partiti dalla
Terra ed arrivati nei pressi di
Saturno (le sonde Voyager e
Cassini) sono fonte di grosse
preoccupazioni per Temple.
Queste sonde potrebbero
risvegliare i Nommo dal loro
secolare letargo con tutte le
conseguenze che ne potrebbero
derivare.
Anche noi siamo abbastanza
preoccupati.
Uguali preoccupazioni debbono
averle avute le maggiori
agenzie di sicurezza e
controspionaggio.
Temple dichiara esplicitamente
di essere stato boicottato nel
suo lavoro dalla CIA, dal KGB e
dalla NASA che non gradivano
che certe verità riguardanti gli
extraterrestri fossero diffuse.
Le ricerche in biblioteca ci
riservano un’altra sorpresa.
Leggiamo che due astronomi
inglesi, L.W. Roxburg e T.P.
Williams, sulla rivista “The
Observatory” (9), nel 1975
hanno risolto, a loro modo di
vedere, semplicemente e
drasticamente tutto il mistero
della stella nera.
In una breve nota
suggeriscono, senza alcun
preciso riferimento a dati
oggettivi, la seguente ipotesi.
Negli anni che seguirono la
scoperta di Sirio B da parte
degli astronomi occidentali
(meta del XIX secolo) è
possibile che un missionario,
un esploratore, o un agente
governativo francese sia
capitato tra questi adoratori di
Sirio ed abbia riferito loro
quanto era stato da poco
scoperto su quella stella e sulla
sua compagna.
E’ facile che questo ipotetico
personaggio avesse con sé un
telescopio con cui mostrare agli
stupiti Dogon le bellezze del
cielo e le sue principali
curiosità.
I Dogon avrebbero assimilato
prontamente queste
informazioni inserendole nelle
loro credenze religiose e
cosmologiche per poi
meravigliare gli antropologi che
attorno al 1930 iniziarono a
studiare assiduamente questo
popolo.
Anche il famoso astronomo
americano Carl Sagan (10), e
come lui lo scrittore K Brecher
(11), ha affrontato il tema dei
Dogon e delle loro stupefacenti
conoscenze astronomiche.
Egli è del parere dei due
astronomi inglesi precedenti
che così esprime: “Se un
europeo avesse visitato i Dogon
tra gli anni 1920 e 1930, la
conversazione sarebbe
facilmente caduta su argomenti
di astronomia, compreso Sirio,
la stella più luminosa del cielo
ed il centro della mitologia
Dogon.
Inoltre, negli anni ’20 c’erano
diverse discussioni sulla
stampa scientifica
internazionale riguardo Sirio
cosicché, quando in seguito
arrivò Griaule, i Dogon
potevano esibire un corpo di
conoscenze scientifiche
acquisite da visitatori
occidentali alcuni anni prima”.
Un’ulteriore presa di posizione,
senza possibilità d’appello, l’ho
trovata nell’enciclopedia
“L’Astronomia. Alla scoperta
del Cielo”.
Nel terzo volume dell’opera,
l’astronomo P. Tempesti sposa
senza riserve quest’ultima
ipotesi, negando che esista una
questione Dogon nei confronti
del sistema doppio di Sirio (12).
I più maligni, oltre criticarne
aspramente la metodologia di
lavoro, hanno ipotizzato che sia
stato lo stesso Marcel Griaule a
mettere in bocca a qualche
sedicente saggio Dogon la
storia di queste incredibili
conoscenze (13, 14).
Griaule, appassionato di
astronomia, per convalidare in
modo più o meno lecito certe
sue teorie sui Dogon, avrebbe
suggerito loro, o favorito, le
risposte da dare alla sua
intervista.
Tra quelli che sostengono
questo atroce sospetto
l’antropologo W. E.A. Van Beek
sembra essere quello con le
armi più affilate (14).
Egli ha studiato in loco il
popolo Dogon per 11 anni e non
ha mai, se non marginalmente,
sentito parlare di Po Tolo e
Emme Ya (Sirio B e Sirio C).
Van Beek sottolinea, inoltre,
diverse altre presunte
incongruenze ed errori nei
resoconti di Griaule non
scartando una palese malafede
da parte del francese.
E’ difficile credere che uno
studioso che ha trascorso 16
anni in Africa a studiare questo
popolo di adoratori di Sirio,
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
come Marcel Griaule, abbia
terminato la sua carriera in
modo così misero e riprovevole.
Se fosse stato un disonesto,
probabilmente si sarebbe
deciso molto prima a truccare
le carte.
Ricordiamo, a sua difesa, che la
sua carriera di antropologo è
sempre stata esemplare e
stimata per gli alti meriti
guadagnati sul campo.
Una accorata e decisa difesa del
lavoro di Marcel Griaule contro
le critiche e le accuse di Van
Beek è stata fatta dalla sorella e
collega di Griaule stesso in un
articolo del 1991 (15), essendo
Griaule deceduto nel 1956.
Se Van Beek ed altri studiosi
(16,17) non hanno avuto le
conferme sulle rivelazioni del
vecchio Ogotemmeli riguardo
Sirio B e Sirio C, ciò potrebbe
dipendere anche dal fatto che
essi non sono riusciti a
conquistarsi la stima e la
fiducia da chi quelle
conoscenze poteva averle.
Cose che Griaule sembra
essersi invece guadagnate.
Non poteva mancare
l’autorevole parere del CICAP.
Riporto un ampio brano, a
firma di Gianni Comoretto
(18):
“Il lavoro di Griaule e
Dieterlen è stato criticato
per molti aspetti.
I due hanno sempre
lavorato con interpreti, e
tutta la storia di Sirio
deriva da interviste ad una
singola persona.
Non hanno tenuto conto del
fatto che i Dogon tendono
ad evitare ogni forma di
contrasto, e quindi a non
contraddire una persona
stimata e rispettata (come
erano loro) se questa fa
ipotesi un po' strampalate.
Griaule e Dieterlen
affermano che i Dogon
conoscono pure una terza
compagna di Sirio, che non
è conosciuta.
L'interpretazione della stella
compagna come una stella
doppia è scarsamente
documentabile anche dal
lavoro dei due antropologi.
Ma la cosa che fa crollare
miseramente la teoria è che
i Dogon non sono
inaccessibili.
Sono una delle etnie più
studiate del centrafrica, e
nessuno ha mai trovato
traccia delle conoscenze
anomale.
Al di fuori praticamente
dell'informatore di Griaule e
Dieterlen, nessuno ha mai
sentito parlare di stelle
compagne, o di periodi di 50
anni, o di materia
ultrapesante.
Questo non è spiegabile con
conoscenze segrete, perché i
Dogon non hanno un corpo
mitico segreto.
La conoscenza è diffusa,
senza una casta che
custodisce i segreti
religiosi”.
C’è da chiedersi quali siano le
fonti a cui si ispira questo Sig.
Comoretto.
Da quello che scrive, mi sembra
di riconoscere nelle sue
affermazioni alcuni brani
estratti da due o tre articoli
(non di più) presenti su
Internet.
Stranamente, egli ha colto dal
WEB solo quello che risultava
contrario al mito di Sirio e, con
mezz’ora di lavoro, ha risolto
un problema al quale diversi
austeri studiosi hanno dedicato
una parte non indifferente della
loro vita.
Un’altra spiegazione che non
può essere scartata a priori è
quella che prevede una
straordinaria coincidenza.
I Dogon avrebbero, in tempi
antichi, elaborato i loro miti
collegati alla stella Sirio i quali,
solo per una incredibile
coincidenza, conterrebbero dei
dati astronomici coincidenti
con quanto la scienza moderna
ha di recente messo in evidenza
(19, 20).
Cito soltanto per dovere di
cronaca due ultime ipotesi che
non hanno nessun conforto né
dalla storia, né dalla scienza,
oltre che dal buon senso.
La prima ipotesi sostiene che le
stelline compagne di Sirio
sarebbero state effettivamente
osservate dai Dogon grazie a
misteriose proprietà della
melanina posseduta in grande
quantità dalle razze negroidi.
Questo pigmento naturale
avrebbe il potere di aumentare
notevolmente l’acuità visiva
(21).
C’è poi chi è convinto che gli
antichi Egizi siano stati in
grado di vedere Sirio B
servendosi di fantomatici
telescopi (22).
E’ bastato il presunto
ritrovamento di una sfera di
cristallo di buona fattura tra i
reperti archeologici egizi per
arrivare a formulare questa
ultima fantastica ipotesi.
Conclusioni
Un’intera generazione è stata
colpita, nel bene o nel male,
dalle rivelazioni inquietanti
contenute nel libro di Robert
Temple: The Sirius Mystery.
Un libro di grande successo,
tradotto in diverse lingue, che
ha messo in moto reazioni
contrastanti.
Molte critiche, specialmente da
parte degli ambienti
accademici, ed alcune posizioni
a favore.
Anch’io ho letto questo libro e
non ne sono rimasto per niente
entusiasta.
La critica principale che mi
sento di fare a Temple è quella
di avere utilizzato un tema di
un certo interesse e di averlo
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
poi svilito con estrapolazioni ed
aggiunte fantasiose e
fantastiche.
Una storia originariamente
bella è diventata il pretesto per
divulgare le proprie folli
farneticazioni, il tutto con la
pretesa di una profonda
scientificità.
E non c’è da stupirsi se la
scienza ha ridicolizzato un
tema che invece possiede un
certo valore ed un certo fascino.
Nulla conta se abbastanza di
recente è uscita una nuova
edizione di questa opera con il
rassicurante sottotitolo: “New
Scientific Evidence for Alien
Contact 5.000 Years Ago” (23).
Di veramente scientifico c’è
assai poco.
Messa da parte la spiegazione
aliena proposta da Robert
Temple, quella presentata dagli
astronomi sopra citati
(Roxburg, Williams, Sagan e
Tempesti) per spiegare il
mistero di Sirio, anche se
possibile, mi lascia notevoli
perplessità.
In primo luogo essa si basa su
delle semplici congetture non
confortate da alcun riscontro
oggettivo.
Un’altra ragione che mi fa
apparire poco plausibile
l’ipotesi di questi astronomi è
legata alla geografia del mondo
Dogon che conosco per avervi
soggiornato per quasi tre mesi
nel 1990.
I Dogon vivono in piccoli
villaggi disseminati su un vasto
altopiano roccioso, spesso
senza reciproche vie di
comunicazione.
I contatti tra i vari villaggi sono
scarsi o nulli tanto che gli
abitanti dei villaggi più distanti
non si comprendono per il
diverso dialetto impiegato.
Una storia che giunge in un
villaggio ha, per queste ragioni,
scarse probabilità di diffondersi
a macchia d’olio negli altri
abitati dell’altopiano e, a
maggior ragione, di essere
accettata ed inserita nella loro
tradizione e nei loro miti.
Non mi sento di escludere del
tutto la malafede di Griaule,
anche se vorrei tantissimo che
così non fosse.
Che più di temi mitologici di un
lontano passato, non si tratti
invece di esagerazioni od
invenzioni dell’antropologo
francese.
Anche le altre ipotesi
presentate in questo lavoro non
sembrano in grado di esaurire
in modo convincente l’intero
problema.
Già il fatto che di possibili
spiegazioni ce ne siano diverse
conferma che stiamo ancora
brancolando in un buio
intenso.
Buio intenso che permette ad
un libro, come quello di Robert
Temple, con tutte le sue
imprecisioni e fantasticherie, di
diventare un libro di successo
incredibile e sollevare
discussioni a non finire tra gli
studiosi di tutto il mondo.
Se un merito lo vogliamo
trovare in questo libro, a mio
parere esso riguarda il fatto di
avere portato alla ribalta
internazionale un piccolo
popolo africano di cui quasi
nessuno aveva mai sentito
parlare prima.
Un piccolo popolo mite ed
estremamente sensibile la cui
storia merita di essere
conosciuta e diffusa anche se,
alla fine, si troverà che i loro
miti non sono altro che miti, e
che la storia di Sirio B e di Sirio
C appartiene ad una realtà che
a noi occidentali nulla riguarda
o poco interessa.
[email protected]
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Programma delle
attività culturali
del Centro Studi
Parapsicologici di
Bologna
http://cspbo.altervista.org/b/
Sede: C/O Famiglia Cassoli
Via Valeriani, 39 - 40134
Tel. e FAX: 051/614.31.04
E-mail:
[email protected]
Anno sociale 2009-2010
Conferenze ad
ingresso libero
- 6 Marzo 2010, ore
16.30. "Parliamo di
Parapsicologia ed altro..."
con un intervento del Prof.
Maurizio Deoriti su "La
bussola spirituale".
Seguiranno altri interventi
e discussioni. Presso la
Biblioteca Bozzano-De
Boni, Via Marconi, 8 (Bo)
- 17 Aprile 2010, ore
16,30. Il Dr. Massimo
Biondi terrà una
conferenza dal titolo:
"Osservare i processi della
mente: la nuova frontiera
della parapsicologia".
Presso la Biblioteca
Bozzano-De Boni, Via
Marconi, 8 (Bo)
Confesso, ho viaggiato 1
pag.49
Il Parco Naturale
dell'Adamello e del
Brenta
Valle di Breguzzo
Noemi Stefani
Una vecchia canzone diceva
"Io trascino negli occhi, dei
torrenti d'acqua chiara dove
poi berrò…
Io cerco boschi per me e vallate
col sole più caldo che c'è".
Non trovo una definizione
migliore di questa per
descrivere quello che la natura
ci rivela.
Situato nel Trentino
occidentale, con i suoi 620,51
kmq. comprende i gruppi
montuosi dell'Adamello e del
Brenta, separati dalla Val
Rendena e compresi tra
le valli di Non, di Sole e
Giudicarie.
E' la più vasta area protetta del
Trentino.
La flora e la fauna di questo
parco si mantiene ancora il più
possibile aderente alle sue
origini, quando la mano
dell'uomo non aveva ancora
iniziato a modificare o a
distruggere l'ambiente.
Ancora risplende in tutta la sua
bellezza e naturalezza.
L'orso ci viveva da padrone,
condivideva con l'uomo lo
stesso territorio.
Ambedue carnivori, ambedue
bisognosi di ricoveri invernali,
prede e predatori l'uno
dell'altro.
Perseguitato con ogni mezzo
per secoli, l'orso rimase qui
confinato.
Era praticamente estinto
quando nel 1996 si decise di
importare alcuni esemplari di
orso bruno dalla Slovenia
che si sono ben adattati e
riprodotti nel nuovo ambiente
italiano.
Ci sono molte credenze a
proposito degli orsi.
La popolazione dei Gilyak nella
Siberia occidentale ha
tramandato la leggenda
che se un orso uccide un uomo
si approprierà anche della sua
anima.
E che dire della mamma orso,
che diventò anche simbolo di
maternità e protezione per la
cura e l'attenzione che da
sempre riserva alla sua prole.
L'orso è anche considerato uno
dei cosiddetti animali totem.
Secondo credenze collettive che
Jung definirebbe archetipi, agli
orsi era attribuito un potere
ancestrale.
Grandi costellazioni presero il
nome di Orsa maggiore e Orsa
minore.
Reperti archeologici mostrano
tracce evidenti di culti dell'orso
come una divinità benefica
(dio Artaios).
Anche il nome del leggendario
re Artù ha radice indoeuropea
"arth" orso.
Onnivoro, all'occasione bipede,
goloso e improvvisamente
iracondo come "l'om
selvadegh" (uomo selvatico) ci
assomiglia molto.
Mi ricorda alcuni personaggi
che ho avuto occasione di
incontrare più volte sulla mia
strada.
recarsi a Trento per incontrare
il vescovo Vigilio.
Quando giunse l'ora di sellare il
suo cavallo per partire, venne
informato che era morto.
Un orso lo aveva sbranato.
San Romedio non si scompose
affatto.
Chiese che venisse imbrigliato
l'orso assassino, che da allora
sarebbe stata la sua
cavalcatura.
L'orso non si oppose.
Abbassò il capo e si fece
imbrigliare.
I pellegrini che si recano a
S.Romedio potranno ancora
leggere
“Fatto stupendo o cosa strana!
L'orso la belva si fa umana.
Stupor maggiore, che l'uomo
nato, in belva cerchi d'esser
cangiato...”
Uomini belva, sono stati
innumerevoli nella storia.
Nei secoli bui del medioevo
infine, l'orso rappresentò nel
misterioso mondo
degli alchimisti la “nigredo”, la
mistica essenza che in
contrapposizione al “albedo”
dava origine alla pietra
filosofale.
Nel 300-400 d.C. si narra che
un santo trentino, San
Romedio, avesse una certa
familiarità con questo animale.
Il santo si era ritirato sulla
montagna come eremita e
ormai in tarda età voleva
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Val di Genova
Di qui sono passati i romani, e
poi i celti, e anche il grande re
Carlo Magno.
In questa valle nel medioevo
venivano confinate quelle
donne che erano allontanate
dalla comunità perchè guardate
con diffidenza.
Curavano uomini e
bestie conoscendo le proprietà
delle erbe, e venivano definite
"le strie" (le streghe), bastava
una parola o un sospetto e
l'inquisizione con la sua mano
lunga arrivava a colpire fino a
qui.
Se ti addentri in questa valle
incontaminata, a un certo
punto resterai stupito dal
rombo che preannuncia le
cascate.
Scendendo verso Pinzolo, c'è
Carisolo.
All'interno della chiesetta
cimiteriale intitolata a Santo
Stefano, vi è un affresco
attribuito con certezza alla
famiglia di pittori Baschenis de
Averara che hanno lavorato
molto quassù in Trentino nel
tardo medioevo.
All'interno della chiesa, accanto
alle immagini del Cristo, degli
Apostoli e della Vergine, figura
un bellissimo affresco, che
apparentemente non ha nulla a
che spartire con il resto delle
composizioni pittoriche, ma
che suscita grande fascino e
curiosità.
Si tratta della rappresentazione
dell'antico "privilegio di Santo
Stefano di Rendena", che
descrive il leggendario
passaggio di Carlo Magno
attraverso queste montagne.
Il famoso condottiero franco è
accompagnato dal Papa, da
sette vescovi, nobili, monaci e
guerrieri, alla testa di un
esercito, dice il documento, di
ben "quattromila lance".
La chiesa di S. Vigilio
(detta della danza
macabra)
Si aprono all'improvviso
spettacolari, fragorose nella
loro maestà, con due
rami d' acqua che scrosciando
rimbalza sulle rocce scure.
E' l'acqua dei ghiacciai della
Vedretta di Nardis.
La valle la raccoglie e poi
la riversa nel Fiume Sarca di
Val Genova, che poi a Pinzolo
confluisce nel Fiume Sarca di
Campiglio.
Queste non sono le uniche
cascate della Val di Genova, ma
sono comunque le più
famose e le più belle.
La Val Genova prosegue ancora
continuando ad inoltrarsi nel
Parco Naturale Adamello Brenta.
La chiesa di S. Vigilio si trova a
Pinzolo, subito fuori dal centro,
sulla strada verso Carisolo.
Fu eretta in onore di S.Vigilio,
vescovo martirizzato in Valle
Rendena all'inizio del V secolo,
risale probabilmente a prima
del Mille.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Noemi Stefani,
sensitiva e ricercatrice
della storia delle
religioni, indaga da più
di 20 anni nel
paranormale ricevendo
numerose conferme alle
sue tesi. Le sue
esperienze l’hanno
portata a visitare i posti
più misteriosi e ricchi di
spiritualità della terra.
Ha preso parte a
convegni con tematiche
riguardanti “ la vita
oltre la vita “ facendo da
tramite per le persone
che erano in attesa di
risposte e conferme
dall’aldilà. Ha tenuto
conferenze,
intervenendo anche a
trasmissioni radio (RTL
102,5) e televisive
(Maurizio Costanzo
show).
La chiesa subì
poi diversi ampliamenti uno
dei quali avvenne nel 1515.
Si possono ammirare
importanti affreschi, che già
stupiscono chi non conosce
l'arte locale, per il fatto che
sono posti anche sulle facciate
esterne della chiesa oltre che in
quelle interne.
Uno di questi è la Danza
Macabra, opera di Simone
Baschenis, terminato il 25
ottobre del 1539, come è
riportato nella stessa facciata.
La danza si apre con tre
scheletri che suonano, segue
Cristo Crocefisso e poi
altri scheletri che portano
ciascuno con sé persone
rappresentanti gruppi
sociali distinti: il Pontefice, un
cardinale, un vescovo, un
sacerdote, un fraticello,
l'imperatore, il re, la regina, un
duca, un medico, un guerriero,
un riccone avaro, un giovane,
un mendicante zoppo, una
monaca, una donna bella
e ben vestita, una vecchia, un
fantolino.
Ancora la morte a cavallo con
l'arco e le frecce, a cui nessuno
sfugge, che invita tutti a "far
bene" (fati bene) fin che si è in
vita; segue l'Arcangelo Michele
e il demonio che tiene in mano
un libro su cui sono scritti i vizi
capitali.
Esplicito è il messaggio di
uguaglianza davanti alla morte
contenuto in questo lungo
affresco di 20 metri.
La morte dice
Io sont la morte che porto
corona
Sonte signora de ognia
persona
Et cossi son fiera forte et dura
Che trapaso le porte et ultra le
mura
Et son quela che fa tremare el
mondo
Revolgendo mia falze atondo
atondo
O vero l'archo col mio strale
Sapienza beleza forteza niente
vale
Non e Signor madona ne
vassallo
Bisogna che lor entri in questo
ballo
Mia figura o peccator
contemplerai
Simile a mi tu vegnirai
No offendere a Dio per tal
sorte
Che al transire no temi la
morte
Che più oltre no me impazo in
be ne male
Che l'anima lasso al judicio
eternale
E come tu averai lavorato
Cossi bene sarai pagato
La Val Rendena
A questa valle sono legata in
modo particolare.
Qui ci son le mie radici,
all'ombra del campanile
riposano i miei affetti più cari
sempre vivi nella
memoria e nel cuore.
Ricordo le lunghe,
interminabili vacanze estive
(come cambia il concetto della
misura del tempo
invecchiando, come tutto si
riduce nello scorrere del
tempo), i giochi, gli amici nuovi
che cambiavano ogni anno...
E poi quelli che sono
rimasti da sempre.
Ogni estate ci guardiamo
ancora invecchiare e ci
confrontiamo con un sorriso.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
E che fatica con mio padre, con
il suo passo uguale e
inesorabile che mi lasciava
sempre indietro senza fiato, le
nostre lunghe camminate per
funghi nei boschi.
Favolose le prime uscite serali
con l'impegno tassativo di non
rientrare oltre le 10.
Che dire della polenta, fatta con
la famosa farina di Storo, le
trote salmonate, gli
strangolapreti, e i canederli
affogati nel buro fuso.
Magari con un contorno di
brise e finferli, e poi uno
strudel di mele tipico dolce
trentino.
Il tutto accompagnato da un
buon bicchiere di Teroldego o
Marzemino.
Yummy yummy,
esclamerebbero in America...
da sballo.
E' una valle ricca di acque,
pascoli, boschi e animali, piena
di fascino arcano ed insieme
aperta e ridente.
Conserva i suoi valori naturali
primitivi, tipici di una zona
alpestre ancora integra e di un
ambiente umano originale per
costumi, tradizioni e
linguaggio.
I primi residenti risalgono
all'età del bronzo.
Ci sono resti preistorici a
Verdesina, Pelugo, Massimeno
e Giustino.
Abitata da popolazioni retiche e
celtiche, di qui passarono
anche i romani.
La tradizione vuole che i
valligiani di religione pagana
abbiano ucciso nel V secolo il
vescovo di Trento, Vigilio che
era arrivato fin qussù per
convertirli al cristianesimo.
Tre secoli più tardi è transitato
per la valle Carlo Magno coi
suoi paladini.
Una caratteristica accompagna
la storia di queste genti, un
orgoglio ed uno spirito di
autonomia che si identifica
nell'insofferenza a qualsiasi
forma di giogo.
Recita un antico detto
popolare:
guardavono da estranei
dicendo un pò per scherzo (non
so quanto)
“l'è arivà i Talian”
"'n Rendéna sióri no ghe
regna!".
D'altra parte, mi ricordo che
quando arrivavamo lì per le
vacanze, persino i parenti ci
forse perchè lì era Austria.
Eravamo un pò come i terroni
per i lumbard, e dovevano
abituarsi alla presenza di questi
intrusi.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Quando però alla fine c'erano
riusciti, ci eravamo integrati,
era ormai ora di partire, e si
lasciavano andare a grandi
abbracci e raccomandazioni.
Cuore trentino; il freddo
nordico e il caldo solare che
scioglie i ghiacci, così piano
piano si sciolgono anche loro.
[email protected]
Confesso, ho viaggiato 2
pag.54
I Vichinghi
in Groenlandia
e in Nordamerica
© Marco Zagni
L’archeologo norvegese Helge Ingstad
Marco Zagni
Marco Zagni
Ricercatore e scrittore;
autore de “L’Impero
Amazzonico”, MIR Firenze,
2002 e “Archeologi di
Himmler. Ricerche,
spedizioni e misteri
dell'Ahnenerbe”, Editore
Ritter, 2004.
La storia che stiamo per
raccontare, come si sa, non ha
mai avuto vita facile nel nostro
Paese dato che, campanilisti
come siamo e come è naturale,
dalle nostre parti si è fatto
sempre e letteralmente di tutto
per farci dimenticare che invece
sono circa quarant’anni che la
faccenda in questione è stata
dimostrata nel modo più
completo.
Chi scrive ha già da tempo
compiuto due lunghi viaggi in
Canada e può confermare senza
ombra di dubbio che tali
avvenimenti sono da decenni
materia di insegnamento nelle
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
scuole elementari di
quell’immensa nazione.
In effetti è proprio così: è dai
primi anni sessanta che
l’archeologo norvegese Helge
Ingstad (con 5 spedizioni
archeologiche, fino al 1965)
riuscì efficacemente a
dimostrare che resti di
insediamenti vichinghi datati
intorno all’anno mille
esistevano realmente lungo la
costa nordamericana e in
Canada.
E pertanto quasi 500 anni
prima di Cristoforo Colombo,
degli Europei avevano
raggiunto l’America.
Di fatto però risultò anche che
gli esploratori nordici, da un
certo punto di vista, non si
erano nemmeno accorti della
grande scoperta che avevano
fatto.
Come in tante altre occasioni
nella storia avventurosa
dell’esplorazione, tutto era
avvenuto praticamente per
caso.
I Vichinghi (Jomsvikings –
pirati vichinghi) erano un fiero
popolo medievale di predoni del
Nord Europa, capaci di
costruire battelli straordinari
con i quali compivano le loro
scorrerie per mare e fiumi.
Erano anche dotati di armi
eccellenti per l’epoca e partendo
dalla loro mitica capitale,
Jomsborg, ricolma di ori e
preziosi depredati, e il cui porto
era capace di contenere fino a
300 navi per la guerra di corsa,
sciamavano per ogni dove: a
Occidente verso l’Inghilterra e
l’Islanda, a Sud fino al
Mediterraneo ed in Sicilia, a
Ovest risalendo addirittura il
corso del fiume Volga.
Man mano che si susseguivano
queste incursioni, le loro
imprese, comunque sanguinarie
e portatrici di lutti in ogni dove,
diventavano sempre più
leggendarie, tant’è vero che
furono trascritte in runico come
Saghe e le più importanti sono
la Saga di Erik il Rosso (Eiriks
Saga) e la Saga della
Groenlandia (Groenlendinga
Saga).
Esse in sostanza descrivono la
scoperta dell’America, il primo
contatto con i nativi americani
originari, abitanti di quella che
fu poi chiamata dai Vichinghi
“Vinland“ (la “Terra del Vino di
bacca“, o meglio, la “Terra
Fertile“, che forse è la
traduzione più esatta) e in
definitiva la dimostrazione che,
a differenza di Colombo, tale
“scoperta” era avvenuta per
metodici “salti” geografici e
nell’arco di un centinaio di
anni.
Tutto avvenne per balzi
successivi: il punto di partenza
per raggiungere l’America fu
ovviamente la Norvegia ed in
seguito attraverso le Isole
Farøer, l’Islanda già colonizzata
e la Groenlandia.
Quello che generalmente
spingeva i Norvegesi verso la
navigazione in Occidente, a
colonizzare le isole atlantiche
minori e poi l’Islanda e la
Groenlandia fino ad arrivare al
tentativo di insediarsi in
America del Nord, era stato il
costante bisogno di terra,
pascoli e nuovi spazi di pesca.
Il primo vichingo a scorgere la
Groenlandia, per esempio, fu
probabilmente un uomo di
nome Gunnbjörn , la cui nave il
maltempo aveva trascinato
fuori rotta dall’Islanda, verso
Occidente, intorno al 960 d.C.
Ma senz’altro il primo ad
insediarsi in Groenlandia fu il
capo vichingo e predone Erik il
Rosso.
Erik il Rosso, frontespizio da
Gronlandia, di Arngrímur Jónsson,
1688, con armi e armature
anacronistiche
(Wikipedia)
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Erik (o meglio Eirik) era nativo
dello Jaeder, che si trova nella
Norvegia Sud-Occidentale.
Il nostro uomo non era certo un
santo anzi, semmai l’esatto
opposto.
Nel 982 d.C. dopo che questo
predone con i suoi degni
compari si era lasciato andare
ad un’ennesima serie di
saccheggi ed omicidi, i suoi
stessi concittadini lo misero al
bando per tre anni, col divieto
di rimanere in Norvegia ed in
Islanda.
Il Rosso aveva dimostrato di
essere un sanguinario, ma non
era affatto uno stupido ed in più
era un marinaio navigatore di
razza come ce ne sono pochi, e
con un manipolo di fedeli al
seguito, conoscendo quello che
era successo precedentemente
al suo conterraneo Gunnbjörn
almeno vent’anni prima, riuscì
a raggiungere per primo la
Groenlandia (la Terra Verde) ,
un posto glaciale e non molto
ospitale e che quindi non era
verde per niente, se non per il
fatto che, avvistata durante il
periodo estivo, lasciava
intravvedere erbe, muschi e
licheni, sotto la neve.
L’esploratore non perse tempo
e con i suoi uomini, trovato un
fiordo favorevole per installare
una prima base e alcune piccole
fattorie (zona di Tunugdliarfik),
cominciò a rifornirsi di legname
e alimentari con la caccia, la
pesca ed il commercio con gli
Eschimesi, i veri nativi del
luogo da tempo immemorabile.
In questo vero e proprio luogo
di frontiera, ai confini del
mondo, la vita dei primi
colonizzatori era durissima,
molto più vicina alle prime
gesta norvegesi dei Vichinghi e
Normanni di due secoli prima,
con i Drakkar sempre in mare a
pescare, ed in terra gli uomini
intenti a costruire abitazioni di
legno.
Queste abitazioni, che
spesso si trovavano ai bordi
dei corsi d’acqua, ricordavano
molto le palafitte costruite in
oriente che erano molto simili
se viste dall’alto a grandi
distese di case tra piscine
interrate e risaie.
In confronto, la vita bucolica e
agricola dei Vichinghi islandesi
sembrava un paradiso.
Ma Erik il Rosso ce la fece e,
scaduto il periodo dell’esilio
forzato triennale, tornò in
Islanda a raccontare quello che
aveva fatto.
Proprio in quegli anni
l’Islanda aveva subito una
grave carestia agricola ed Erik
non fece pertanto molti sforzi
per convincere molte persone,
ricchi e poveri, agricoltori e
pescatori, cacciatori e
sfaccendati a veleggiare con lui
per colonizzare definitivamente
la Groenlandia, convivendo con
gli Eschimesi.
Si armò una flotta di
trentacinque navi, con 2000
persone e centinaia di capi di
bestiame, e si salpò
dall’Islanda.
In mare ci fu purtroppo una
tempesta e solo una quindicina
di Drakkar riuscirono a
raggiungere la Groenlandia.
Ma avventure e disgrazie del
genere allora erano
praticamente nella norma ed
Erik con la sua gente riuscì a
costituire in Groenlandia, nel
giro di poco tempo, il primo
efficace luogo di insediamento
stabile, ricordato ancora oggi
dagli esperti con il nome di
Insediamento Orientale
(l’attuale Julianehab) a
Eiriksfjord.
Qui Erik crebbe i suoi tre figli, il
maggiore Leif Eriksson e gli
altri due figli Thornvald e
Thornstein.
Ma è Leif il personaggio che ci
interessa di più perché, secondo
le saghe, fu proprio lui il primo
a scoprire l’America.
Non appena Leif aveva
dimostrato di cavarsela da solo
(e cioè guidare un’imbarcazione
in mare aperto, secondo la
buona tradizione Vichinga) i
suoi genitori lo mandarono in
Norvegia per studiare ed
apprendere l’arte del
commercio marittimo.
Leif era in gamba, aveva voglia
di affermarsi ed inoltre, dato
che non era così rigido e duro
come suo padre, voleva anche
studiare.
Pietra con rune che raccontano il
viaggio di Leif Erikson
(http://www.mondimedievali.net/Ba
rbar/vichinghi03.htm)
Immancabile ci fu allora
l’incontro con la Chiesa di
Roma, e Leif si fece battezzare,
diventando cristiano.
Eriksson tornò così in
Groenlandia con un prete, che
aveva lo scopo di cristianizzare
gli insediamenti Vichinghi in
quel luogo sperduto.
Nonostante la freddezza
dimostrata da suo padre, che
non ne voleva sapere del
cristianesimo, con i suoi preti
“buoni a nulla” (si espresse
proprio in questi termini) e
perditempo, Leif riuscì, con i
favori di sua madre, a far
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
erigere delle chiese sia
nell’Insediamento Orientale che
in quello “Occidentale“, che nel
frattempo era stato creato.
In questo periodo siamo ormai
intorno all’anno 1000, proprio
il periodo in cui Leif decise di
intraprendere alcuni viaggi di
esplorazione a Ovest.
Da tempo si vociferava negli
insediamenti che più in là della
Groenlandia doveva esserci
“qualche cosa”.
Un tale, di nome Bjarne
Herjolfsson, sviato dalla solita
improvvisa tempesta e spinto
sempre più a Ovest, aveva
avvistato tempo prima una
terra, ma non vi era approdato
veramente.
Era riuscito comunque a
ritornare e a raccontare la sua
avventura.
Questo era tutto quello che Leif
sapeva, ma per il momento gli
bastava.
Con una ciurma di 35 uomini,
tra i quali alcuni di coloro che
erano stati sull’imbarcazione di
Bjarne testimoni
dell’avvistamento della terra
sconosciuta, partì (la data
esatta non si conosce) e
veleggiò verso Occidente in
esplorazione.
Con loro vi era anche uno “del
Sud” (secondo i Vichinghi), un
tedesco di nome Tyrkir e amico
di Eriksson.
Dopo quattro giorni di
navigazione durissima,
pericolosa e contrastata
aspramente dai marosi, Leif si
imbattè dapprima in un ampio
costone pietroso, una zona
assolutamente inospitale che
venne chiamata “Helluland” (la
Terra delle Pietre) .
Sarebbe l’odierna Terra di
Baffin.
Continuando a veleggiare in
direzione Sud questa volta,
scoprì una ampia costa
lussureggiante e ricca di boschi.
Questa zona certamente più
invitante venne poi chiamata
“Markland” (la Terra dei
Boschi): corrisponde all’attuale
Labrador.
Ma Leif voleva andare ancora
più a Sud, e aveva ragione.
Proseguendo nella navigazione
costiera Leif Eriksson raggiunse
una terza terra che gli sembrò
così ricca e promettente che
decise di sbarcare e tutti
insieme vi si stabilirono,
costruendo dapprima dei ripari
di fortuna e poi delle capanne
vere e proprie in un
accampamento che venne
chiamato Leifsbudir (Le
Capanne di Leif).
Nel frattempo si decise insieme
di esplorare l’interno e altre
parti della costa.
Da queste prime ricerche
all’interno scaturì l’episodio che
pare abbia avuto a che fare con
il nome che fu scelto in seguito
per battezzare questo terzo
territorio, Vinland, appunto
(con la massima probabilità la
parte settentrionale di
Terranova, chiamata così da
Giovanni Caboto nel 1497).
Ma potrebbe essere solo una
leggenda.
Il tedesco Tyrkir, uno
strampalato mattacchione, si
era perso nei boschi e non lo si
trovava più.
Ma Leif voleva trovarlo: non
voleva assolutamente perdere i
suoi uomini in un modo così
stupido, e poi aveva bisogno
sempre di braccia da impiegare
nel lavoro, perchè erano in
pochi.
Dopo un po’ Tyrkir fu ritrovato,
ma si comportava stranamente,
diceva cose senza senso e non si
reggeva in piedi.
Sembrava ubriaco.
Quando si riprese sostenne di
avere trovato nel bosco delle
viti e delle bacche con le quali
aveva tratto un succo che, una
volta bevuto, lo aveva inebriato.
Ecco che da questo aneddoto la
leggenda vuole che sia nato il
nome di Vinland, la Terra del
Vino.
Vinland Map
http://strangemaps.wordpress.com/2006/12/30/56-the-vinland-map/
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
In realtà in quelle zone di
Terranova la vite non avrebbe
mai potuto attecchire e
pertanto gli esperti si sono
limitati ad osservare che, per i
primi esploratori Vichinghi,
quella terra sembrava così
fertile che addirittura, a loro
parere, si sarebbero potute
coltivare delle viti e quindi il
termine Vinland dovrebbe
essere meglio tradotto con il
significato di “Terra molto
fertile“ o “Terra fertile da vino”.
In ogni caso Leif e la sua piccola
spedizione svernarono nel
Vinland in un clima tutto
sommato accettabile e l’estate
successiva ritornarono in
Groenlandia a raccontare la
loro impresa, tutti pieni di
apprezzamento per quelle terre,
per l’assenza di gelo, per l’erba,
i boschi e i frutti, per il legname
ed i salmoni.
Leif Eriksson avrebbe voluto
ritornare al più presto nel
Vinland ma, purtroppo, nel
frattempo suo padre il Rosso
era morto e, come figlio
maggiore, doveva subentrare
necessariamente nella direzione
del clan famigliare, come da
buona tradizione nordica.
Fu deciso che si sarebbe
sobbarcato l’onere dell’impresa
suo fratello Thornvald, che
comunque era un uomo di
valore.
Seguendo le indicazione di suo
fratello, Thornvald riuscì a
raggiungere l’accampamento
nel Vinland che Leif aveva
costruito nella prima spedizione
e, senza indugio, condusse una
spedizione esplorativa lungo la
costa occidentale di Terranova.
Raggiunse l’imbocco di un
grande estuario e vi si diresse
all’interno, in direzione Ovest.
Poco dopo avvenne il primo
incontro con i fieri indigeni
nordamericani.
Purtroppo le cose non
andarono molto bene, dopo i
primi tentativi di approccio.
Gli indiani d’America non erano
docili come gli Eschimesi e, in
breve tempo, visto che i
Vichinghi non erano certo tipi
che ci pensavano due volte a
tirar fuori asce e spadoni, il
tutto finì in una violenta zuffa.
L’unico caduto da parte
vichinga fu proprio Thornvald,
colpito da una freccia indiana.
Senza altre perdite l’equipaggio
tornò alle capanne di Leif dove
vi trascorse l’inverno senza altri
incidenti e la primavera
successiva rifece vela per
Eiriksfjord in Groenlandia,
dove raccontarono a Leif tutto
quanto era loro accaduto.
La brutta avventura con gli
indigeni americani
(soprannominati Skraelingar
dai vichinghi, termine
dispregiativo che significa
“bruttoni urlanti”) aveva
lasciato il segno, e Leif, con suo
fratello morto, non se la sentì di
dare il via ad un vero e proprio
tentativo di colonizzazione del
Vinland in prima persona.
Chi allora tentò veramente di
colonizzare quella parte
dell’attuale Nordamerica fu un
Normanno islandese di nome
Thorfinn Karlsefni, un
commerciante vichingo che
aveva sposato tale Gudrid, una
figliastra di Erik il Rosso.
Circa 160 uomini e donne
tentarono l’avventura
portandosi dietro nella
traversata anche parecchi
animali e riuscirono tutti a
raggiungere il Vinland.
Ma la vita per loro non fu per
niente facile.
Da un’analisi comparata che i
vari esperti e studiosi hanno
tratto dalle descrizioni delle due
Saghe nordiche, possiamo dire
con certezza che il tentativo di
colonizzazione del Vinland durò
tre anni, tre anni molto difficili.
Non si riuscì a stabilire una
vera pace tra i nativi americani
ed i vichinghi anzi, nell’ultimo
periodo di permanenza scoppiò
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
una vera e propria guerra tra gli
“Skraelingar“ e i Nordici.
Le linee di collegamento con la
Groenlandia erano poi molto
esili e molto lunghe, vi erano
molti malumori e liti tra le
stesse famiglie
dell’insediamento ed infine il
potenziale umano era
veramente insufficiente per
resistere sia alle pressioni degli
indiani ostili che per rendere
vivibile quel territorio.
Karlsefni, sia pure a malincuore
decise alla fine di andarsene.
Essendo un uomo di buon
senso l’islandese si era
veramente reso conto che non
poteva continuare a far vivere il
suo gruppo nella paura di
essere totalmente annientato
dagli indigeni in
combattimento.
Questo tentativo di
colonizzazione del Nord
America si risolse pertanto in
un sanguinoso e drammatico
esperimento che in sostanza
non ebbe seguito.
Diversi ricercatori sono
concordi nel sostenere che tutti
questi viaggi cessarono
completamente al più tardi nel
1020 d. C.
Altri archeologi sostengono che
sporadici ulteriori approdi per
meri motivi di caccia e pesca
continuarono fino al XIII secolo
ma possiamo sostenere che, in
realtà, veri e propri tentativi di
colonizzazione non si
verificarono più e anzi, in
seguito, nel corso del medioevo
in Europa si perse
completamente il ricordo di
questi approdi avventurosi e
delle tracce dei Vichinghi in
Nordamerica.
Questi coraggiosi navigatori
nordici potrebbero essere stati
veramente i primi nell’era
cristiana a raggiungere il Nuovo
Mondo anche se, a dire la
verità, negli ultimi tempi si
sostiene da più parti, e con
insistenza, che in quello stesso
periodo, o poco dopo, dall’altra
parte del continente
Nordamericano, sulle coste del
Pacifico, potrebbero essere
approdati degli esploratori
cinesi del Celeste Impero.
Ma ovviamente tutto questo,
come si è soliti dire, è un’altra
storia.
I LIBRI
DI MARCO ZAGNI
[email protected]
Bibliografia Essenziale
C.W. Ceram, Il Primo Americano,
Einaudi , Torino, 1972.
Roberto Bosi, I Miti dei Vichinghi,
Convivio / Nardini , Firenze ,
1993.
Gwin Jones, I Vichinghi, Newton
Compton, Roma, 1995.
L' impero amazzonico.
Cento anni di ricerche dal colonnello Fawcett ai giorni
nostri
Anno: 2002 Editore: MIR Edizioni
Partendo dalle ricerche e dalle spedizioni di studiosi legati in modo omogeneo da
un medesimo filo conduttore, e cioè la ricerca di un "regno amazzonico", o in
senso più allargato, la ricerca di una cultura Madre primigenia del Sud America,
forse legata ad Atlantide, Zagni è giunto fino ai giorni nostri includendo le sue
personali esperienze derivanti dagli studi e dalle spedizioni effettuate, di cui
l'ultima dell'Agosto-Settembre 2000. Nella prima parte del saggio, oltre ai
capitoli riguardanti il Col. Fawcett ed il Prof. Homet, l'autore, per la prima volta
in Italia, ha voluto includere la vita e le scoperte di un archeologo ed esoterista
peruviano, il Dr. Daniel Ruzo, i cui studi sono sempre stati tenuti sotto silenzio
dalla comunità internazionale. E, primo italiano a farlo, l'autore si è recato nel
1998 nella località dell'altipiano di Marcahuasi, che tanto influì sul lavoro di
Ruzo, a 4500 metri sulle Ande, scattando interessanti fotografie. Nella seconda
parte del saggio, Zagni prende in considerazione gli studi più recenti descrivendo,
oltre alle sue, le spedizioni e le ricerche di esploratori con cui ha avuto anche
esperienze comuni, sia sul piano teorico che sul campo. Il testo si conclude con
una panoramica riguardante lo stato attuale della ricerca e le future spedizioni,
che dovranno necessariamente essere svolte per risolvere definitivamente il
mistero dell'esistenza dell'Impero Amazzonico.
Archeologi di Himmler. Ricerche, spedizioni e
misteri dell'Ahnenerbe
Anno: 2004 Curatore: Galli G. Editore: Ritter
I nazisti si impegnarono in una serie di ricerche archeologiche, volte a ricostruire
l'origine dei popoli germanici, con spedizioni anche in zone molto remote, come
il Tibet e l'Amazzonia. Ci si avvicina anche al campo esoterico e ovviamente si
parla di figure come Otto Rahn, impegnato addirittura nella ricerca del sacro
Graal. Il più completo volume disponibile in italiano su questi specifici temi.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Cover Up
pag.60
La storia
che nessuno
racconta
© Roberto La Paglia
Roberto La Paglia
Roberto La Paglia, oltre ad
essere giornalista freelance, è
scrittore e ricercatore. Mente
fervida, alimentata da un
intenso ed inesauribile desiderio
di ricerca, attraverso le sue
opere, accompagna i lettori in
un viaggio verso l'ignoto,
guidandoli nei meandri più
nascosti delle dottrine occulte
ed esoteriche. Uno dei suoi
ultimi libri è “Archeologia
Aliena” (Ed. Cerchio della Luna,
2008).
Si parla spesso di Cover Up, di
tentativi più o meno riusciti, a
volte profondamente messi in
atto da personaggi e
associazioni spesso avvolte in
una fitta coltre di misteri, che
tentano in tutti i modi di
frenare le conquiste
dell’ingegno umano.
Questa sorta di “censura”
storica è spesso verificabile e
sicuramente attribuibile al
bisogno di mantenere posizioni
consolidate nel tempo,
atteggiamenti che generano e
tramandano potere proprio in
virtù del fatto che
monopolizzano le verità.
In questo senso, tentare di
ricostruire l’intero arco
dell’evoluzione umana, spesso
non è così semplice come si
potrebbe pensare; ovviamente
abbiamo a disposizione le
nuove tecnologie, biblioteche,
archivi, ed una estesa rete di
mezzi di informazioni, ma
quante testimonianze sono
giunte integre dal passato e
quante invece, vittime della
censura e del silenzio imposto,
hanno ritardato enormemente
il cammino dell’uomo?
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Le scienze ritrovate
Una delle maggiori conquiste
dell’umanità, è stata di certo la
scrittura, eppure proprio
questa grande invenzione, di
riflesso, ha rappresentato un
enorme pericolo.
Questa affermazione potrebbe
stupire molti dei lettori, ma
riflettiamo un attimo su cosa
anticamente rappresentò la
scrittura e cosa rappresenta
ancora oggi; l’immagine di
popoli dediti a tramandare
attraverso i propri caratteri
alfabetici le loro memorie non è
storicamente corretta, in realtà
la scrittura rappresentò per
molti un dono divino, e come
tale poteva essere usata
soltanto da pochi eletti.
Il popolo, tranne una sparuta
minoranza, non si dedicava
certo alla scrittura, quest’arte
era propria dei sacerdoti e degli
scribi, affrancati al potere, che
la usavano per tramandare le
gesta dei potenti e lasciare ai
posteri una immagine del loro
signore non sempre
corrispondente alla realtà.
La scrittura era quindi un
mezzo del potere, e tale rimase
fino a quando non si diffuse
maggiormente nel quotidiano
dei cittadini.
Proprio in concomitanza con
questa diffusione divenne
pericolosa; se chiunque poteva
mettere per iscritto i propri
pensieri, trascrivere le idee di
altri pensatori, veniva meno
quello strumento di controllo
delle masse che sacerdoti e re
avevano da sempre adottato; da
questo l’esigenza di censurare,
e da questo i fatti che stiamo
per raccontare.
Socrate, il grande filosofo
ateniese, consigliava sempre di
diffidare dall’idea che dagli
scritti possa derivare qualcosa
di chiaro, la scrittura infatti è
un mezzo di comunicazione ma
anche di dissimulazione, e pur
presentandosi in maniera più
chiara rispetto alla tradizione
orale, non possiede in ogni caso
un significato univoco.
Anche gli alchimisti
dimostrarono la loro sfiducia
nella comunicazione in forma
scritta, proprio per questo
preferivano la comunicazione
orale e facevano uso di simboli;
tutta questa serie di diffidenze
ci porta a pensare che l’idea di
una nascita improvvisa e
prorompente del cosiddetto
“Secolo dei Lumi” non sia del
tutto corretta, sarebbe forse
meglio parlare di una
riscoperta e abbracciare
l’ipotesi che larga parte delle
conoscenze moderne siano in
realtà riscoperte fatte in
ritardo.
Restano ovviamente da capire i
motivi di questo ritardo, ma da
questo punto di vista non
mancano certo le risposte:
persecuzioni politiche e
ideologiche, censure religiose,
ci sarebbe soltanto l’imbarazzo
della scelta, così come una
vasta serie di esempi si possono
portare a riprova di quanto
appena ipotizzato.
Caio Terenzio Marrone, storico
romano, già prima del 43 a.C.
adombrava l’idea dei batteri
quali causa di molte malattie;
venne messo in esilio e la sua
biblioteca venne data alle
fiamme, con il risultato che la
microbiologia nacque soltanto
a metà dell’Ottocento.
Lo stesso “misterioso” ritardo è
visibile nei campi
dell’astronomia e
dell’architettura: i babilonesi si
dilettavano in osservazioni
astronomiche, i cinesi
scoprirono le costellazioni
16.900 anni prima di Cristo,
mentre allo stesso tempo
seguivano le eclissi e
misuravano il cielo.
Gli egizi possedevano
strumenti che puntavano sulle
stelle, costruivano piramidi con
una precisione, a parità di
mezzi, non ancora superata, i
Maya usavano il mese lunare e
le fasi di Venere furono
osservate dai babilonesi prima
di Galileo.
Sempre in tema di osservazioni
celesti, Seneca aveva già scritto
del moto della terra e
dell'immensità dell'universo,
affermando che la terra è un
pianeta tra tanti; lo stesso
aveva fatto Hiceta d Siracusa
affermando che la terra era
sferica e ruotava intorno al suo
asse.
Perché nessuno proseguì sulla
scia di queste affermazioni?
Perché rimasero sepolte per
secoli, coperte dal più assoluto
silenzio?
Mentre Laplace si ostinava ad
accostare i meteoriti al
materiale proveniente da
vulcani attivi, a nessuno venne
in mente che il poeta Cecco
d’Ascoli, morto nel 1327, aveva
già parlato di meteoriti ferrose
e del processo di
fossilizzazione; e sempre lo
stesso Laplace, dimostrando la
teoria dell’attrazione del sole e
della luna, dimenticò che alle
stesse conclusioni era già
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
pervenuto il nostro Dante
Alighieri.
Perché tutte queste
dimenticanze?
Non certo per una colpevole
complicità, semplicemente per
mancanza di fonti, per quello
stesso motivo che in apertura ci
ha portato a discutere sulla
censura e la persecuzione dei
testi “scomodi”.
La biblioteca di
Alessandria
In molti, oggi, pensano che i
libri di storia andrebbero
riscritti, rivisitati alla luce di un
nuovo bisogno di rapportarsi
con gli avvenimenti, non più
dettato dal protagonismo o dal
bisogno di usare i fatti come
attestazioni di verità personali:
il pensiero non ha il compito di
creare i fatti; i fatti esistono e
l’unico dovere del pensiero
dovrebbe essere quello di
inserirli nella storia del nostro
passato.
Seguendo questo semplice
modo di operare scopriremmo,
ritornando ancora a Dante, che
il sommo poeta conosceva già
le quattro stelle che formano la
Croce del Sud, che Eudosso
aveva già circumnavigato
l’Africa e che prima di lui,
Antipatro aveva navigato dalla
Spagna all’Etiopia.
Tutto questo lavoro di ricerca
sarebbe stato, ovviamente,
molto più semplice in assenza
della cecità umana, cecità unita
alla barbarie; molte delle
nostre fonti sono cadute
vittime del pensiero distorto di
chi temeva la cultura e
l’informazione, intere
biblioteche quali quella di
Alessandria, Pergamo e
Costantinopoli vennero date
alle fiamme con conseguenze
disastrose per il sapere.
A questa vera e propria strage
di notizie, contribuì
enormemente anche l’oggetto
stesso che era deputato alla
funzione di tramandare, il
libro; anticamente i libri erano
considerati alla stessa stregua
delle cose più preziose, erano
infinitamente costosi e
venivano pubblicati in
pochissimi esemplari.
Tutto il sapere veniva affidato
alle biblioteche, spesso
contenute in edifici sacri e
proprio per questo esposte
all’intolleranza religiosa; tra
tutti i mali quest’ultima fu però
quella che si espresse in
maniera minore, la Chiesa era
infatti molto più propensa ad
occultare i testi che non a
distruggerli, cosa che invece
faceva indiscriminatamente il
potere politico.
La tradizione racconta di come
la biblioteca perduta di
Alessandria custodisse l’intero
scibile umano, migliaia e
migliaia di volumi andati
perduti dopo il suo disastroso
incendio, forse una piccola
parte salvata fortunosamente e
rimasta come retaggio e monito
in mano ai saggi ed alle caste
sacerdotali.
Storicamente, si può collocare
la sua fondazione all’inizio del
III Secolo a.C.; l’idea di rendere
Alessandria depositaria del
sapere tramite una biblioteca fu
di Tolomeo I, grande cultore
delle arti letterarie; egli intuì
quanto fosse importante
preservare, ma allo stesso
tempo mettere a disposizione
dei dotti, tutto il sapere
dell’umanità, anche al fine di
tramandarlo ai posteri.
Per dare vita alla propria idea,
Tolomeo si avvalse della
collaborazione di un illustre
letterato dell’epoca, il greco
Dimetro Falereo; grazie a
questa sinergia di intenti
presero vita due importanti
istituzioni in Alessandria, la
Biblioteca ed il Museo.
Possiamo benissimo
comprendere quanto ardua
fosse l’illuminazione del
sovrano, in quel periodo la
conservazione dei testi era per
lo più affidata a privati oppure
ai sacerdoti; la diffusione dei
testi era molto limitata anche a
causa del costo proibitivo di
tavolette, papiro e pergamene.
Il primo a concepire l’idea di
una trasmissione dei testi sotto
forma di raccolta fu Aristotele,
il filosofo tramandò la sua
opera letteraria ai propri
allievi, tra i quali c’era
Teofrasto, a sua volta molto
amico di Demetrio Falereo.
Sull’esempio di quanto detto
sopra, la Biblioteca di
Alessandria fu proprio di tipo
aristotelico, cioè basata sulla
raccolta sistematica dei testi
che venivano in seguito messi a
disposizione di un più vasto
pubblico.
La Biblioteca ed il Museo
furono costruiti molto vicini
l’una all’altro, i testi venivano
materialmente raccolti nella
Biblioteca, mentre nel Museo
venivano redatte le rispettive
relazioni critiche; lo scopo
iniziale era quello di raccogliere
i soli testi greci, ma ben presto
la collezione si arricchì di opere
che spaziavano in ogni campo e
che provenivano da ogni parte
del mondo; in virtù della sua
enorme popolarità la Biblioteca
venne ingrandita, fino ad avere
dieci enormi sale e molte altre
salette più piccole riservate agli
studiosi.
Divenne in breve tappa
obbligata per gli studiosi, la
frequentarono assiduamente
Euclide, il padre della
geometria, Aristarco di Samo
ed Erone di Alessandria; giunta
al massimo del proprio
splendore accadde però
l’imprevisto, dopo quasi un
migliaio d’anni dalla sua
fondazione, nel 47 a.C. i romani
di Giulio Cesare incendiarono
una delle sezioni della
Biblioteca trasformando in
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
cenere circa quarantamila
rotoli; seguirono gli incendi ad
opera di Zenobia, sovrana di
Paimyra, di Diocleziano nel 295
d.C., fino alla completa
distruzione da parte del
Generale Amr Ibnel-as, agli
ordini del Califfo Omar I.
In quell’occasione il destino
della Biblioteca di Alessandria
si compì tragicamente e
definitivamente; era il 646 d.C.
quando Omar I pronunciò le
famose parole: “…Se i libri non
riportano quanto scritto nel
Corano allora vanno distrutti,
poiché non dicono il vero. Se i
libri riportano quanto scritto
nel Corano vanno distrutti
ugualmente perché sono
inutili”.
La Biblioteca, tutto il suo
contenuto ed il sogno che essa
rappresentava, vennero per
sempre avvolti dalle fiamme.
Non sappiamo esattamente
quali opere contenesse e quale
fosse il loro reale valore, è ovvio
comunque pensare che buona
parte delle conoscenze antiche
è stata per sempre sottratta agli
studiosi e che tra queste
conoscenze c’erano
sicuramente le risposte a tante
di quelle domande che oggi
tormentano l’uomo di fronte ai
misteri ancora insoluti della
storia.
Tra i libri contenuti nella
Biblioteca, parte dei quali,
come dicevamo, vennero
probabilmente sottratti
all’incendio, ma andati
ugualmente perduti,
primeggiavano una Storia del
Mondo, opera del sacerdote
Babilonese Beroso, dove si
parlava dell’incontro tra le
civiltà mesopotamiche e gli
Apkallus, semidei anfibi discesi
dalle stelle, oltre che riportare
avvenimenti accaduti prima del
diluvio universale.
Era conservata anche l’intera
opera di Manetone, il sacerdote
egizio vissuto ai tempi di
Tolomeo I e, secondo la
tradizione, in possesso del
favoloso Libro di Toth; per non
parlare poi dei testi del fenicio
Moco, dove si parlava di teoria
atomica; oltre a rarissimi libri
provenienti dall’india e
numerosi manoscritti
alchemici.
Una grande perdita per
l’umanità, ma anche un monito
per il futuro, questo oggi
rimane della Biblioteca perduta
di Alessandria.
I rotoli di Qumran
Nel 1947, in alcune giare, nelle
grotte di Qumran, vennero
scoperti dei manoscritti; si
trattò di una vera e propria
avventura, con tanto di colpi di
scena e veri e propri misteri.
Le esplorazioni continuarono
fino al 1956, rintracciando ben
800 manoscritti in undici
grotte, nell’insieme si
individuarono anche
venticinque testi biblici e altri
del tutto sconosciuti.
I manoscritti contenevano il
libro d'Isaia, ma si trattava di
un testo vecchio di mille anni
rispetto a quello conosciuto,
probabilmente collocato nelle
grotte per timore dei legionari
romani; cosa raccontavano
esattamente questi testi, tanto
da diventare oggetto di un vero
e proprio caso di cover up e da
far scendere in campo anche i
servizi segreti?
La città di Qumran era un
centro di vita comunitaria con
una sua regola ben precisa, ma
era anche il centro che ospitava
la Confraternita degli Esseni,
seguaci della legge mosaica, che
seguivano la castità e la
povertà, praticavano la
comunione dei pasti e dei beni
e credevano nell'immortalità
dell'anima, nella resurrezione
dei morti e nella
predestinazione.
Durante la fine del II secolo
a.C., (data ancora da accertare),
un sacerdote di Gerusalemme
promosse uno scisma religioso
e fondò la comunità di
Qumran; si trattava del
misterioso Maestro di
Giustizia, che aveva come
seguaci i Figli della Luce e che
instaurò una nuova alleanza
con Dio.
Altro particolare interessante
riguarda invece l’aspettativa
degli Esseni; dopo un conflitto
di quaranta anni, (termine
chiaramente da intendere in
chiave simbolica), durante i
quali i Figli della Luce
avrebbero lottanto contro i
Figli delle Tenebre, sarebbero
arrivati due Messia: il primo di
stirpe sacerdotale, discendente
da Aronne, il secondo di stirpe
regale, discendente da Davide.
Nel 1953 venne costituito un
gruppo di studio
internazionale, composto da
cattolici e protestanti; a questo
gruppo, stranamente, venne
vietato l’ingresso agli ebrei e
agli israeliani.
Nel 1960 Rockefeller
interruppe il finanziamento al
gruppo; nel 1967 l'esercito
israeliano, nel corso di una
guerra, occupò la zona, e nel
1971 gli israeliani entrarono in
possesso degli ultimi rotoli
rimasti.
Tra alterne vicende, si registrò
un ritardo di quaranta anni
nella pubblicazione dei
manoscritti, un periodo
durante il quale non sappiamo
esattamente cosa accadde,
anche se i dubbi su una vasta
censura dei contenuti vengono
espressi da più parti.
Si rifiutò, in pratica, che
Qumran rappresentasse la culla
del Cristianesimo, un
movimento religioso molto
diverso da quello conosciuto
fino ad oggi; si rifiutò di
divulgare che nei rotoli erano
rintracciabili le basi dell'ultima
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
cena, del Padre Nostro,
dell'insegnamento di Gesù e,
soprattutto, che si parlava di un
misterioso Maestro di Giustizia
condannato a morte, che
probabilmente non era Gesù.
I maggiori studiosi dei rotoli,
tra i quali John Allegro e
Roberto Eisenman,
affermarono che la comunità di
Qumran era cristiana, che Gesù
aveva fratelli e che la chiesa
primitiva fu in realtà una
continuazione della
congregazione degli Esseni.
Nel 1990 il governo israeliano
inserì nella direzione del
gruppo internazionale un
ebreo, nel dicembre del 2001
terminò la pubblicazione dei
libri, dopo 54 anni dalla loro
scoperta, mentre ancora oggi
non si è riusciti a risolvere
questa controversa vicenda.
La cultura proibita
Prima che la rivoluzione
incendiasse il territorio di
Francia, i libri erano tutti,
costantemente, soggetti a
censura; nessuno scritto poteva
circolare senza avere impresso
il privilegio reale; proprio per
questo motivo molte opere
venivano stampate all’estero e
introdotte clandestinamente
nel paese.
Si trattava di testi ritenuti
proibiti, che minavano le
fondamenta del potere e
portavano nuova luce su teorie
scientifiche e mediche, oppure
di manoscritti contro il pudore,
la morale e la Chiesa.
Per chi violava la legge erano
previste la prigione,
l'interdizione dal commercio, la
multa, il sequestro dei libri
oppure, alternativa non certo
allettante, le terribili mura
della Bastiglia.
Proprio per questi motivi le
opere di Voltaire vennero
pubblicate in Svizzera, mentre
quelle di Moliere finirono quasi
subito nel voluminoso indice
dei libri proibiti, alimentando il
malcontento che avrebbe in
seguito portato alla rivoluzione.
La situazione comunque non
subì grandi modifiche, esaurita
l’onda filosofica che aveva
portato alla rivoluzione,
stabiliti i nuovi poteri politici,
economici e religiosi, la
scrittura e la cultura tornarono
nuovamente a fare paura.
In tema di censura, così come
di volontà tesa a frenare la
libera circolazione delle idee
attraverso la carta stampata, fa
molto riflettere il fatto che
furono i protestanti i primi ad
abolire la censura, non certo la
Chiesa Cattolica!
Questo tipo di operazioni
venivano solitamente affidate
ai monaci, in seguito ai Gesuiti,
e la pressione era talmente
forte che a Napoli, nel 1544, si
arrivò a stipulare un
concordato che garantiva ai
Vescovi il diritto di censurare
liberamente sia le stampe che i
libri.
Furono messe all'indice le
opere di Dante, Croce, Gentile,
Voltaire, Bruno e Galileo,
venne bruciato il Talmud e
molti libri pregiati della prima
cristianità.
Nel 1659 a Cremona furono
bruciati 10.000 copie del
Talmud ebraico, altrettanto
accadde a Venezia, in
Germania e a Roma, sotto l’ala
protettrice e ispiratrice della
Santa Inquisizione.
Ancora oggi gli spettri della
paura si agitano furtivi,
impedendo che la conoscenza
possa trovare spazi aperti per
rivelarsi completamente agli
uomini.
[email protected]
Roberto La Paglia
STREGONERIA MODERNA
Roberto La Paglia
IL GRANDE LIBRO DEI TAROCCHI
http://www.cerchiodellaluna.it
http://www.xenia.it
Stregoneria: un nome che evoca storie oscure, terribili segreti
e un senso di malcelato timore che ancora oggi sopravvive
nell’immaginario collettivo. Cosa si intende esattamente per
Stregoneria? Quante delle notizie e dei resoconti storici
corrispondono esattamente alla realtà? Stregoneria Moderna
tenta di dare una risposta a questi e molti altri quesiti,
muovendosi in un ambiente non sempre facilmente
decifrabile, nel quale storie di semplice umanità si
intrecciano con terribili intrighi e complotti, frutto spesso di
menti malate e di ignoranza. Da questo punto di vista,
l’intera ricerca dell’autore tende ad assumere il ruolo di un
punto di incontro che, finalmente, metta a nudo le vere
origini di questa antica pratica, le sue radici storiche, accanto
ad una aggiornata esposizione delle implicazioni moderne,
sia storiche che operative. Seguendo queste indicazioni di
fondo scopriremo moderni rituali, antiche verità volutamente
taciute, in una lunga cronistoria che analizza la Stregoneria
in ogni sua sfaccettatura, cercando di riportare il discorso alle
sue giuste e dovute proporzioni. Incontreremo le prime
intuizioni che portarono l’uomo a cercare i mezzi per
interagire con i misteri e le forze invisibili che lo circondano,
viaggeremo all’interno della Stregoneria Medioevale e gli
orrori dell’inquisizione, scoprendo verità e bugie di uno dei
periodi più bui della storia. Dalla Stregoneria tradizionale
alla Wicca, attraversando i vari movimenti magici che hanno
lasciato ampie tracce della loro presenza nel pensiero
spirituale moderno. Il punto di arrivo sarà un pratico
vademecum ricco di informazioni, esempi pratici,
incantesimi, invocazioni, segreti delle erbe e delle pietre; un
utile compendio per chiunque voglia approfondire e, perché
no, mettere alla prova le proprie potenzialità.
Perché i tarocchi attirano così tanto l’attenzione delle persone e
sono sempre popolari a dispetto del passare del tempo? Il grande
libro dei tarocchi si propone di svelare tutti i segreti della
cartomanzia, dalla sua storia e dai diversi tipi di carte e mazzi, al
ricco valore simbolico ed esoterico delle carte secondo la Cabala
e la psicologia. Con i 22 Arcani Maggiori - presentati
dettagliatamente uno per uno, dal Bagatto al Matto - si possono
realizzare innumerevoli tipi di letture divinatorie e perfino
meditare, poiché la forza degli archetipi in essi contenuti fa sì
che ogni Lama rappresenti una tappa dell’esistenza umana e ci
metta nelle condizioni migliori per analizzare i nostri stati
d’animo. Anche gli Arcani Minori – dieci carte per i quattro semi
di Bastoni, Coppe, Denari e Spade più le quattro figure di Fante,
Cavaliere, Regina e Re - possiedono una simbologia che, se ben
interpretata, ci consente di “vedere” la situazione con chiarezza.
Se infatti gli Arcani Maggiori rappresentano un punto di vista
profondo, soggettivo e qualitativo, gli Arcani Minori indicano
eventi connessi alla persona ma non sempre originati dalla
stessa, ovvero rappresentano un punto di vista oggettivo,
mancante però del necessario approfondimento. Ecco perché
qualora si vogliano ottenere previsioni relative ai grandi
avvenimenti della vita è necessario utilizzare il mazzo per intero.
Infine l’ultimo capitolo presenta, con esempi pratici, i diversi
metodi lettura – tra cui il Grande e il Piccolo Gioco, il Ventaglio,
la Croce Celtica, l’Albero della Vita, il Metodo Astrologico - che ci
permettono, con diversi gradi di difficoltà, di interrogare il
mazzo. Il grande libro dei tarocchi è un’opera ricca di consigli e
suggerimenti perché il lettore possa impadronirsi di tutti gli
strumenti per comprendere il passato e presagire il futuro
mediante la conoscenza e la lettura dei Tarocchi.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Ufologia
pag.65
Nicola Tesla
e gli extraterrestri
© 2010 Gianluca Rampini
Gianluca Rampini
La mente di Tesla
Nikola Tesla, il genio ed
inventore serbo, ha fatto molto
parlare di sé sopratutto per i
suoi progetti che ora si
associano all'HAARP Project
ed alle chemtrails.
Naturalmente i suoi meriti si
spingono ben al di là di questo e
sono ben noti alla comunità
scientifica ma forse meno alla
gente comune. Dobbiamo al suo
lavoro, ad esempio, la
corrente alternata che ha
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
dato lo spunto alla seconda
rivoluzione industriale e molti
altri sviluppi tecnologici
moderni quali la robotica o la
radioastronomia ai quali ha
dato lo spunto iniziale in taluni
casi inconsapevolmente.
Nikola Tesla però possedeva
alcuni lati che possiamo
definire misteriosi o quanto
meno decisamente originali.
Uno di questi era il modo in cui
nascevano i suoi progetti: egli
infatti non metteva mai per
iscritto le sue idee, non
disegnava mai schemi o
proiezioni ma si limitava a
creare nella sua mente
l'immagine della macchina che
voleva costruire. Riusciva ad
essere così dettagliato e preciso
che immancabilmente le
apparecchiature poi
funzionavano.
Con il passare degli anni si
disse convinto che l'origine di
queste sue idee fosse esterna
alla sua mente e che il suo
stesso comportamento fosse
simile a quello di un automa
che riceve gli impulsi ed agisce
di conseguenza.
Questa peculiare capacità di
visualizzazione si manifestava
anche in modi meno utili e che
hanno fatto dubitare della sua
salute mentale.
Egli ha raccontato che molto
spesso vedeva lingue
fiammeggianti, generalmente
associate ai momenti in cui
aveva le sue eccezionali idee,
oppure che prima di
addormentarsi vedeva davanti
ai suoi occhi persone ed oggetti
perfettamente definiti.
Qualcuno sostiene fosse affetto
da una malattia che si chiama
sinestesia per la quale una
stimolazione viene percepita
con due manifestazioni
sensoriali coesistenti.
(esempio: vedere le note
musicali).
Quel che è certo è che in
gioventù, subito dopo aver
finito gli studi al Politecnico di
Graz, soffrì di un esaurimento
nervoso ed inoltre che fosse
affetto da alcune manie
compulsive per le quali ad
esempio esigeva che i numeri
delle sue stanze d'albergo
fossero divisibili per tre.
Indubbiamente ciò ha permesso
ai suoi detrattori di trovare
terreno fertile per criticarlo.
Alcune persone sostengono
anche che molte delle sue
ulteriori peculiarità, che
vedremo in seguito, siano state
causate dalla sua situazione
psicologica.
Noi sospettiamo invece che
forse ne fossero la conseguenza,
fossero la valvola di sicurezza,
di sfogo per qualcosa che forse
premeva dentro di lui.
Voci aliene
Tutta la sua carriera di
inventore e la sua vita personale
è costellata di riferimenti e fatti
che lo mettono in stretta
correlazione con la questione
extraterrestre.
In ordine di tempo il primo
esempio di questo rapporto
avviene nel 1901 quando già si
era trasferito nel Colorado per
portare avanti le sue ricerche.
Intervistato dal Cowler's
Weekly raccontò che durante gli
esperimenti sulle onde
stazionarie si accorse di alcune
interferenze elettriche e che tali
interferenze seguivano uno
schema intelligente.
Nell'analizzarle si convinse che
esse fossero una sorta di
segnale di origine extraterrestre
poiché nel corso degli anni
aveva studiato ogni tipo di
interferenza terrestre od
atmosferica e sarebbe stato in
grado di riconoscerle.
Ammise di non essere in grado
di decifrare quel messaggio ma
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
era convinto che in futuro ci
sarebbe riuscito.
Arthur H.Matthews,
ingegnere elettrico, fu suo
aiutante per molti anni e venne
coinvolto in molti dei suoi
progetti tra cui proprio quello
del tentativo di comunicare con
gli extraterrestri.
Quello che inizialmente fu un
“effetto collaterale” divenne un
programma vero e proprio e
portò alla realizzazione di uno
strumento che venne definito il
Teslascopio, basato sullo
sfruttamento dei raggi cosmici,
creato proprio con l'intenzione
di ricevere ma anche inviare
messaggi su altri pianeti.
Durante gli anni 20 Tesla si
mostrava fiducioso di riuscire a
decifrare i messaggi che
continuava a ricevere ma
contemporaneamente in lui
crebbe il timore per eventuali
cattive intenzioni di questi
“extraterrestri”.
Approfondendo i suoi studi
inizialmente si concentrò su
Marte come possibile fonte di
questi messaggi ma poi si
convinse che fosse necessaria
un'energia troppo elevata per
giustificare questa ipotesi e che
quindi essi dovessero provenire
da un punto più vicino come la
Luna.
E' interessante notare che
stiamo parlando di un periodo
della nostra storia in cui ancora
non circolava l'idea dei dischi
volanti o di possibili astronavi
che compissero viaggi
interstellari e quindi l'idea che i
messaggi provenissero da corpi
celesti trova la sue perfetta
collocazione.
Matthewes sostenne nel 1947,
dopo la morte di Tesla, di aver
riprodotto questo strumento
ma che a causa della limitata
potenza poteva comunicare
solamente con astronavi
orbitanti attorno alla terra.
Riguardo alle dichiarazioni di
Matthewes si può notare già un
nuovo approccio all'ipotesi
extraterrestre, nel 1947 infatti
l'idea dei dischi volanti si era
già diffusa tra la gente
sopratutto grazie al racconto di
Kenneth Arnold.
Non più comunicazioni con
altri mondi ma contatti con
velivoli spaziali.
Nel 1918 Tesla poté sfruttare il
progresso della tecnologia ed il
raffinamento della sua
strumentazione e ciò portò ad
un’ evoluzione nei messaggi che
riceveva e vale la pena leggere
le sue testuali parole a questo
riguardo:
“I suoni che ascolto ogni
notte sembrano essere voci
umane che comunicano in
una lingua che non conosco.
Trovo difficile immaginare
che siano voci reali di esseri
non terrestri.
Ma non ho ancora trovato
una spiegazione migliore”.
Per meglio comprendere questo
argomento bisogna ricordare
che la prima trasmissione radio
con messaggi vocali avvenne nel
1924 in Australia, ad opera di
Marconi.
Marconi stesso sulle pagine del
New York Times dichiarò di
aver ricevuto segnali che
avrebbero potuto essere di
origine extraterrestre.
Negli anni successivi, attorno al
1925, ritenne di aver capito che
alcuni di quei messaggi erano in
inglese, in tedesco e francese
ma che le frequenze su cui li
rintracciava non erano
utilizzabili per trasmissioni
terrestri.
EVP
Erano quindi realmente voci di
esseri extraterrestri?
Vi è un altro fenomeno
riscontrato a tutt'oggi che può
offrire un'ulteriore chiave di
lettura: l'Eletronic Voice
Phenomena o E.V.P, per il
quale alcune persone sono in
grado di registrare su supporti
magnetici voci non udibili nel
nostro spettro uditivo.
Questo fenomeno è
normalmente associato a luoghi
così detti infestati ma il nesso
con il soprannaturale ed il
mondo spirituale è puramente
circostanziale, per non dire
soggettivo.
Nulla vieta che l'origine di
questo fenomeno sia simile a
quello rilevato da Tesla.
L'opzione “spiritica” non
appare la più credibile e non
sono quindi da escludere altre
possibili spiegazioni come il
casuale o non causale contatto
con universi paralleli o con
effettive civiltà extraterrestri.
Certamente i parametri sono
differenti ma una tale ipotesi,
quella extraterrestre, non può
essere considerata campata per
aria se ad esempio ne è nato un
colossale progetto come il Seti.
E quale obiettivo ha il SETI se
non quello di stabilire una
comunicazione con civiltà
extraterrestri?
Bisogna poi aggiungere che
altre volte nella storia recente
messaggi “alieni” si sono infilati
nei nostri sistemi di
comunicazione.
Alcuni di questi episodi hanno
minori crismi di credibilità,
come quando nel 1954 migliaia
di persone, nel midwest
americano, sentirono alla radio
un messaggio da una supposta
entità extraterrestre che
intimava l'umanità di
abbandonare i suoi propositi
guerrafondai.
Altri invece sono più
interessanti perché vissuti da
persone estremamente credibili
e preparate come poteva essere
John Keel.
Egli nel 1977 si trovava presso
una radio VLF (very low
frequency) dove udì delle voci
gutturali su una frequenza che
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
non avrebbe dovuto portare
trasmissioni vocali.
Un po' il principio del babymonitor del film Signs per fare
un esempio fittizio ma più
recente.
Secondo il mio parere l'ipotesi
che esistano comunicazioni, che
per comodità definiamo aliene,
nascoste tra le nostre frequenze
non deve stupire poi tanto.
Il lato ottico del fenomeno ufo
ci ha insegnato che per
studiarlo e comprenderlo non
dobbiamo fermarci allo spettro
del visibile ma spingerci verso
l'infrarosso e oltre.
E' più che possibile che lo stesso
avvenga per ciò che concerne i
nostri apparati audio.
Qui non si tratta forse di
cercare nelle frequenze uditive
a noi non concesse ma
sopratutto di farlo tra le onde
radio e quindi negli strumenti
che a questo sono preposti.
Cosa potrebbe succedere se il
grande orecchio del SETI si
volgesse ad ascoltare un po' più
vicino alla Terra?
Pur rimanendo convinto della
sostanziale inutilità del SETI
devo citare quello che a
tutt'oggi è il suo unico risultato
ottenuto: il Wow Signal.
Per una qualche ragione che
non analizzeremo qui si è
diffusa la convinzione che in
esso non vi sia nulla di
interessante, che fosse un buco
nell'acqua.
L'episodio risale al 1977 quando
l'astronomo Jerry R. Ehman
lavorando sul radio-telescopio
dell'Università dello Stato
dell'Ohio ( The Big Ear )
ricevette un forte segnale a
banda stretta che durò per 72
secondi e proveniva da oltre il
sistema solare.
Tale segnale non si ripeté più e
le stazioni successive non
furono in grado di ascoltarlo.
Nonostante questo e
nonostante tutte le ricerche
svolte in seguito nessuno fu mai
in grado di confutare la sua
possibile origine extraterrestre.
Buoni o cattivi?
Torniamo ora a Tesla.
Egli concesse dichiarazioni
anche più ardite e che ci fanno
supporre che il suo interesse
per la questione fosse più che
meramente “radioastronomico”.
Ad esempio si disse convinto
che esseri provenienti da altri
pianeti fossero in effetti già
sulla Terra ma che noi non
siamo in grado di vederli.
Altre dichiarazioni ci mostrano
invece il lato “cospirazionista”
di Tesla, egli infatti temeva che
questi “esseri” ci controllassero
operando alle nostre spalle e
che gli umani non siano altro
che un loro esperimento dalla
lunghissima durata.
E' sempre bene ricordare che
stiamo parlando della fine
dell'ottocento e della prima
metà del novecento.
Matthewes, il suo aiutante, era
invece più positivo nella sua
interpretazione poiché era
convinto che all'indubbio
avanzamento tecnologico di
queste civiltà si accompagnasse
un altrettanto avanzato
sviluppo sociale.
Tale tendenza venne poi ripresa
pochi anni più tardi da
contattisti quali Adamski e
Menger e a dire il vero, secondo
l'autrice Margaret Storm, lo
stesso Matthews fece una
dichiarazione che lascerebbe
pensare che lui stesso fosse, o si
ritenesse, un contattato.
Dai visitatori spaziali con cui
era entrato in contatto disse di
aver saputo che Tesla fosse loro
figlio e che venne affidato alle
cure del Reverendo Tesla e di
sua moglie.
Ma i collegamenti tra Tesla e gli
extraterrestri non finiscono qui:
Al Bielek nel contesto del
controverso Rainbow Project,
meglio conosciuto come
Philadelphia Experiment,
racconta che nei suoi ultimi
anni, Tesla venne coinvolto nel
progetto e che avrebbe espresso
seri dubbi sulla pericolosità di
tale esperimento e che tale
preoccupazione gli derivava dai
suoi contatti extraterrestri.
Bielek aggiunse anche che Tesla
lasciava la Terra insieme agli
extraterrestri.
di Marte alla Terra, venne
allestita una prova d'ascolto
globale.
La Marina Militare Statunitense
mise a disposizione
dell'esperimento personale
tecnico ed un dirigibile sul
quale venne montato un
ricevitore.
Il prof. David Todd,
responsabile del progetto,
utilizzò anche uno strumento
chiamato Radio-camera che
convertiva i segnali radio in
punti trascrivendoli su un
nastro fotografico.
Il risultato che ottennero fu a
dir poco sorprendente.
Come confermato anche dal
New York Times del 28 agosto
del 1924 tali punti ed intervalli
sulla pellicola erano disposti in
modo tale da sembrare un volto
rozzamente disegnato.
Se il segnale proveniva
realmente da Marte possiamo
immaginare che un volto
misterioso fosse il suo “biglietto
da visita”?
Una coincidenza davvero
insolita, dove abbiamo già
sentito che un volto sia stato
associato a Marte?
Il rapporto con gli
scienziati dell'epoca
Indubbiamente tutte le sue
dichiarazioni, i suoi
comportamenti egocentrici ed i
suoi supposti disturbi non
deposero a suo favore ed infatti
venne spesso osteggiato ed in
qualche modo ostracizzato.
Ma sarebbe sbagliato pensare
che fosse solo.
Lord Kelvin, ad esempio, fu
suo amico e si dichiarò sempre
d'accordo con lui riguardo a
questi argomenti.
Altrettanto vale per le sue idee.
Che la comunità scientifica non
le ritenesse poi così strampalate
lo si deduce dal fatto che
nell'agosto del 1924 , in
corrispondenza della vicinanza
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Il volto su Marte come ripreso
dal Viking nel 1978
Le fonti
La maggior parte di queste
informazioni, ma non tutte,
provengono dal libro di Swartz
“ The lost journal of Nikola
Tesla” che si basa su documenti
scampati all'attenzione che il
governo americano riservò a
tutta la documentazione del
genio serbo dopo la sua morte.
I documenti superstiti finirono
casualmente all'asta e furono
acquistati nel 1976 da un
collezionista di nome Dale
Alfrey.
Questi li dimenticò per una
ventina d'anni fino a quando
poi rileggendoli si accorse di
cosa avesse per le mani.
Cominciò allora un paziente
lavoro di scannerizzazione di
tutte le pagine in suo possesso.
Nel corso di questo lavoro egli
racconta di essere stato visitato
da tre individui che in tutto e
per tutto ricordano i Men in
Black.
Questi si offrirono di acquistare
tutto il materiale ma poiché
Alfrey rifiutò tale proposta ne
nacque un'accesa e lunga
discussione dopo la quale,
apparentemente, se ne
andarono senza ciò che
volevano.
Quando se ne furono andati
Alfrey però ebbe la sensazione
di essersi risvegliato da uno
stato ipnotico, corse a
controllare se il materiale ci
fosse ancora e scoprì che era
sparito tutto, hard disk
compreso.
Ciò che compare nel libro di
Swartz è ciò che Alfrey,
avendolo letto più volte, riuscì a
ricordarsi e a trascrivere.
Tenuto conto del periodo
storico in cui si concluse la vita
di Tesla, durante la prima
guerra mondiale e prima di
Roswell, è possibile che
l'interesse del governo per le
sue idee fosse stato innescato
dal fenomeno dei foo-fighters
ed è plausibile che tutti i suoi
documenti ritenuti interessanti
fossero stati sequestrati per
ragioni di sicurezza nazionale.
suo cervello era un'antenna
sensibilissima, un ricevitore
eccezionale per tutto ciò che si
pone di poco al di fuori della
nostra percezione, sia in
termini di esperienza che di
potenzialità dell'essere umano.
[email protected]
Considerazioni finali
Siamo ben lontani da poter
affermare con certezza che
Tesla fosse realmente in
contatto con gli extraterrestri o
che fosse lui stesso di origine
extraterrestre.
Però ci sono molti aspetti della
sua personalità e molte sua
caratteristiche che, in qualche
modo, vanno in questa
direzione.
Egli stesso più volte dichiarò di
sentirsi uno straniero in questo
mondo, il che alla luce di tutte
le altre cose dette, mi ricorda il
disagio espresso e vissuto da
molte persone ignare di essere
vittime di rapimento.
La sua idiosincrasia per la
trasposizione bidimensionale
dei propri progetti potrebbe far
pensare alla difficoltà di chi sia
abituato ad immagini
olografiche, o qualcosa di
simile,e debba utilizzare un
sistema limitato ed obsoleto
come la carta e la penna per
trasporre le proprie idee.
Per avere un quadro più
completo di Tesla va anche
ricordato che, nonostante tutte
le sue abilità, era estremamente
critico nei confronti di chi
credesse in poteri psichici o
negli spiriti.
La sua era una mente razionale
il cui campo di esplorazione
non era però limitato
dall'ottusità.
Fosse o non fosse in contatto
con gli extraterrestri di certo il
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Fonti:
“The lost journal of Nikola Tesla”
by Tim Swartz
“Our hunted planet” by John Keel
“Nikola Tesla and the planetary
radio signals” by K.L.Corum and
J.F.Corum Ph.D.
Www.sardinianetwork.it
“Lord Kelvin now believes Mars
signals America” by Philadelphia
North American 18 05 1902
www.alienimisterialtervista.org
www.nytimes.com
“How to signals to Mars” by
N.Tesla
www.ufodigest.com
www.wikipedia.it
www.teslasociety.com
www.bibliotecapleyades.net
Esoterismo
pag.70
Il Serpente
Binario
© 2000 Heinz Insu Fenkl
(Traduzione di Anna Florio)
Heinz Insu Fenkl
(autore, editore, traduttore
e studioso di mitologia), è
direttore del Programma
Scrittura Creativa presso
l'Università dello Stato di
New York, New Paltz
nonché direttore di ISIS
(Interstiziale Studies
Institute a SUNY New
Paltz). Il suo libro di
narrativa Memories of My
Brother Ghost gli è valso la
nomina a Barnes and
Noble "Great New Writer"
e finalista Pen/Hemingway
nel 1997. Il suo secondo
romanzo, Ombre Bend
(pubblicato sotto
pseudonimo), è stato un
innovativo, 'romanzo dark
di strada' su HP Lovecraft,
Robert E. Howard e Clark
Ashton Smith. Ha inoltre
pubblicato racconti in
diverse riviste e periodici,
nonché numerosi articoli
sul folklore e sul mito,
molte delle quali possono
essere trovate sul Endicott
Studio per le Arti Mythic
Heinz Insu Fenkl
Ora il serpente era la più
astuta di tutte le bestie
selvatiche create da Dio.
Genesi 3:1
Come accade alla maggior
parte dei bambini, mi era stato
insegnato che i serpenti sono
pericolosi e crudeli.
Visto che sono nato in Corea –
luogo non particolarmente noto
per i suoi serpenti velenosi –
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
sarebbe stato difficile che io
incontrassi un serpente
pericoloso, sempre che non mi
fossi trovato in qualche area
rurale esterna; di sicuro, non
eravamo in India, dove il
pericolo serpenti è sempre vivo,
viste le migliaia di morti l’anno
che avvengono ancora oggi a
causa dei cobra.
Eppure, anche se mi venivano
raccontate un mucchio di storie
orribili su questi animali, da
una parte queste rivelavano un
certo fascino tradizionale,
contrapposto a una paura
terribile e irrazionale.
Una delle mie zie amava
raccontarci di quella volta che,
caduta in un crepaccio durante
una primavera, si era ritrovata
in un covo di quello che pensò
da principio fossero “intestini
attorcigliati”.
Mia madre mi avvisava sempre
di correre in linea retta nel caso
in cui fossi stato inseguito da
un serpente, poiché i serpenti
strisciano lateralmente, salvo
che, naturalmente, non mi fossi
trovato a correre in discesa, in
tal caso avrei dovuto correre io
lateralmente, poiché un
serpente determinato si
sarebbe potuto anche
trasformare in un cerchio,
prendendo la coda in bocca per
rotolare giù ad inseguirmi.
Nella tradizione coreana, la
parola per serpente, sa, è
omonima casualmente della
stessa che indica il numero
quattro e di quella che significa
morte.
In Corea nella numerazione di
armadietti, corridoi di alberghi,
e palazzi in genere, spesso non
si trova il numero quattro
(come il tredici in Occidente), e
una delle creature più temute
del folklore coreano, nella
stessa categoria dei demoni
volpe, è la donna serpente.
Durante l’adolescenza iniziai ad
avvertire le contraddizioni
inerenti la rappresentazione dei
serpenti in Corea.
Mia madre mi aveva allora
raccontato il sogno che aveva
fatto poco prima che io
nascessi, giurando che si
trattava di un sogno sia
importante sia di buon
auspicio.
Tale sogno sarebbe stato per
me così significativo da
diventare l’apertura del mio
primo libro, Memories of My
Ghost Brother:
Sta camminando lungo le
mura di un palazzo, su una
strada resa bianca da petali
di fior di ciliegio caduti.
Respira l’aria primaverile e
canta una canzone
folcloristica quando, girando
l’angolo, ammutolisce alla
vista dell’enorme cancello
del palazzo; si ferma quindi
ad ascoltare, dopo aver
avvertito uno strano suono.
Un serpente gigantesco,
spesso come un tronco di
pino, fa dondolare la testa da
sopra il cancello e le bisbiglia
in lingua umana ‘Ho
qualcosa da dirti’.
Il serpente è talmente lungo
che il suo corpo lucente
circonda l’intera area del
palazzo; la coda arriva ad
abbracciare la sua testa.
‘Vieni qui, ho qualcosa da
dirti’ dice.
‘Qualcosa di molto
importante.’
La maggior parte dei lettori
avrà pensato subito al
simbolo dell’uroboro, il
serpente che forma un
cerchio prendendo in bocca
la coda.
È difficile non conoscerlo
oggigiorno in quanto logo
dello spettacolo televisivo
Millennium e anche della
società di high-tech Lucent
Technologies (anche se il
cerchio rosso è piuttosto
stilizzato e facilmente
scambiato per un cerchio
buddista/taoista).
Gli Uroboro rappresentano
diversi aspetti collegati al
serpente: rigenerazione,
rinascita, ciclo naturale,
completezza, saggezza,
illuminazione.
La sua configurazione
circolare rinforza qualità già
di solito associate alle
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
interpretazioni positive del
serpente, praticamente
universali nelle diverse
tradizioni culturali.
Mia madre era solita
interpretare i sogni; anche se
lo faceva in famiglia, spesso i
suoi amici le chiedevano
consiglio riguardo dettagli
particolarmente complicati
dei loro sogni.
Per quanto riguarda il mio
sogno di nascita,
l’interpretazione di mia
madre risultava singolare
anche per la mia fantasia
adolescenziale, poiché lei si
era concentrata sul
particolare delle mura del
palazzo, e affermava che il
fatto che il serpente le
circondasse significava che
in futuro avrei avuto un
lavoro nell’ambito
governativo, forse
diplomatico.
Per lei si trattava di un sogno
di buon auspicio perché
vedere un serpente in sogno
porta fortuna.
Sapevo, senza doverlo
chiedere, che nel folklore
coreano dell’interpretazione
dei sogni, spesso vedere una
cosa negativa è di buon
auspicio, ad esempio,
sognare che la propria casa
brucia è uno dei sogni
migliori che si possa fare.
Chi fa questo sogno spesso
compra un biglietto della
lotteria il giorno dopo (o, più
spesso, viene convinto a fare
un investimento sbagliato).
Il sogno migliore in assoluto
riguarda i draghi – fare un
“sogno del drago”.
Quello che non sapevo da
adolescente era che draghi e
serpenti enormi sono spesso
associati nelle culture
coreane e orientali in
generale.
Secondo una credenza
popolare, i serpenti che
vivono virtuosamente
sopportano migliaia di anni
di privazioni, e quando alla
fine ne vengono ritenuti
degni, sono trasformati in
draghi che ascendono al
cielo su di un arcobaleno.
Di fatto, sia nell’iconografia
cinese sia in quella coreana
(spesso nei motivi decorativi
di palazzi e templi) è
possibile trovare il simbolo
di un drago che forma un
cerchio tenendo la coda nelle
fauci.
Spesso tiene tra gli artigli
una gemma circolare, che
rappresenta l’immortalità e
l’illuminazione.
Uno dei miei zii dovette
affrontare la
contraddittorietà propria
della rappresentazione dei
serpenti nella cultura
coreana.
Quando gli chiesi perché
nelle farmacie si trovavano
bottiglie con dentro serpenti
vicino a quelle con radici di
ginseng (a quei tempi sia in
quelle tradizionali sia in
quelle occidentalizzate), mi
spiegò che spesso le cose
velenose possono essere
utilizzate come potenti
medicine.
Io collegai subito
mentalmente questa
spiegazione alla logica
riguardante l’interpretazione
dei sogni, ma mio zio
intendeva dire che il ginseng
– che tutti ritenevano fosse
la più potente delle medicine
– ha un sapore
particolarmente sgradevole,
e che siccome tutte le
medicine hanno un sapore
cattivo, potrebbero
facilmente essere scambiate
per veleno, se non fossero
note ai dottori che
conoscono le piante, anche
nella medicina occidentale –
anche l’aspirina ad esempio
ha un sapore sgradevole.
Ho ancora vivo il ricordo di
quei pallidi serpentelli,
conservati in vasi
farmaceutici pieni di alcool.
Le farmacie erano in
competizione sulla selezione
e la varietà sia di serpenti sia
di radici di ginseng; tale
mostra risultava realmente
grottesca e inquietante, e le
immagini magnifiche e
distorte dei serpenti e delle
radici nella scolorita
sospensione alcolica,
rievocavano un misto
primordiale di paura e
rispetto, ad aggiungere
efficacia alle medicine che se
ne ricavavano.
Dopo aver visto tale
esibizione nelle botteghe
coreane, la particolare
contraddizione del simbolo
occidentale del caduceo – i
due serpenti attorcigliati
intorno ad un bastone – che
vedevo ricamato su tutto
l’equipaggiamento del Corpo
Medico dell’Esercito degli
Stati Uniti non mi sembrava
per niente insolito.
Nella cultura occidentale i
significati diametralmente
opposti legati al serpente –
quello che io chiamo il
fenomeno del “serpente
binario” – non è così
differente da quanto ho
sperimentato durante la mia
infanzia in Corea.
Le contraddizioni non sono
forse così evidenti nella vita
quotidiana, ma esistono – e
radicate profondamente,
rievocando l’antica
tradizione della Dea Madre
nella quale quella giudeocristiana è radicata.
Ciò che m’interessa in
particolare è la scoperta che
tracciando la fonte legata al
simbolo del serpente, sia in
occidente sia in oriente, è
possibile risalire a origini
comuni.
E’ facile ritrovare la prima
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
immagine del serpente nella
cultura occidentale.
Nel libro della Genesi, che
sia la religione Ebraica sia
quella Cristiana ritengono
essere il primo libro della
Bibbia, il serpente è
responsabile della tentazione
di Eva e Adamo e della loro
cacciata dal Giardino
dell’Eden.
Il Signore permette ad
Adamo ed Eva di mangiare i
frutti di qualsiasi albero del
Giardino, ma è chiaro nel
vietare quanto segue:
"Tu potrai mangiare di
tutti gli alberi del
giardino, ma dell'albero
della conoscenza del bene
e del male non devi
mangiare, perché,
quando tu ne mangiassi,
certamente moriresti".
Il serpente, tentando Eva, le
rivela di fatto – anche se
indirettamente – che Dio
l’ha ingannata; afferma
"Non morirete affatto!
Anzi, Dio sa che quando
voi ne mangiaste, si
aprirebbero i vostri occhi
e diventereste come Dio,
conoscendo il bene e il
male".
Come tutti sappiamo, Eva
mangia il frutto e convince
anche Adamo a mangiarlo, e
non muoiono
immediatamente.
Dio scopre presto la loro
trasgressione, ma punisce
per primo il serpente.
Dichiara
"Poiché tu hai fatto
questo, sii tu maledetto…
sul tuo ventre
camminerai, e polvere
mangerai per tutti i
giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia tra te
e la donna, tra la tua
stirpe e la sua stirpe".
Da qui l’inimicizia
ininterrotta tra serpenti e
umani, che i biologi
reputano origini dalla paura
istintiva dei rettili, a partire
da quando i nostri antenati
ominidi avevano a che fare
con i serpenti nella savana
africana.
Come legame tra la nostra
eredità biologica e la
maledizione di Dio sul
serpente, usiamo nel nostro
linguaggio attributi e modi
di dire come "serpente",
"serpe in seno", "covo di
vipere" e "occhi di serpente"
– tutti attributi negativi che
fanno riferimento a pericolo,
inganno e morte.
Ma chi era, esattamente, il
serpente?
La Genesi non rivela la sua
identità.
(Infatti, anche il suo genere
rimane un mistero: si
presume sia maschile, ma in
diversi dipinti che
raffigurano la tentazione di
Adamo ed Eva, il serpente
attorcigliato intorno
all’albero è dotato di seni –
ulteriore riferimento alla
tradizione sottostante della
Dea Madre).
Interpretando comunemente
i testi biblici, possiamo
dedurre che il serpente sia
Satana, un nome che
significa "avversario" in
ebreo; ma oltre al problema
relativo alla traduzione,
viene inoltre erroneamente
associato a uno degli
Arcangeli di Dio, nient’altro
che Lucifero (traducibile
come "Figlio del Mattino",
"Luce del Mattino" e
"Portatore di Luce"), il più
alto in grado nelle schiere
angeliche.
"Lucifero" era inteso
all’inizio come versione
latinizzata di "Helal, figlio di
Shahar", con riferimento ad
un re babilonese, ma il nome
rimase associato a Satana, e
la sua storia (motivo centrale
del poema di John Milton
Paradise Lost) è
sopravvissuta
nell’immaginario popolare.
Lucifero è l’Arcangelo che
provò a usurpare il posto di
Dio in Paradiso, e fu
scacciato nell’Inferno come
punizione.
Il paradiso perduto
È possibile incappare spesso
in errori di traduzione, ma
questo errore e le risultanti
associazioni tra il Diavolo,
Lucifero, Satana e il serpente
dell’Eden rivelano qualcosa
di più significativo e
interessante relativo a
simboli e tradizioni.
Durante i secoli, a seguito di
una logica superiore alle
intenzioni individuali o a
quelle combinate d’interi
gruppi di persone, la società
ha generato simboli
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
significativi che sono
denominati "simboli
collettivi", immagini che
rapidamente rappresentano
strati e strati di significati
collegati – a volte anche
contraddittori.
Il serpente binario è un
esempio classico di tale
fenomeno.
Nella storia della Genesi,
effettivamente, il serpente
(conosciuto come Satana, il
Principe dell’Inganno) in
realtà svela a Eva la verità
sul frutto proibito; espone la
bugia di Dio (quella che
potremmo chiamare "bugia
bianca").
La cosa più importante è che
Adamo ed Eva mangiando il
frutto della conoscenza del
bene e del male hanno
imparato a giudicare sia Dio
sia il serpente.
Dio si sente quindi piuttosto
minacciato, ora che il frutto
ha aperto gli occhi agli
umani e li ha resi simili a
dèi; prima che possano
mangiare dall’albero della
vita e diventare immortali, li
scaccia dall’Eden e pone la
spada folgorante per tenerli
alla larga.
Non è scopo di quest’articolo
discutere o anche riassumere
tutti i particolari di tale
scenario – volumi e volumi
sono stati scritti sulla
dottrina biblica che
analizzano lo stesso
argomento da uno
stupefacente numero di
punti di vista diversi.
Quello che io voglio
dimostrare è qualcosa di più
semplice: che anche senza
approfondire il discorso,
possiamo capire che il
serpente è strettamente
associato alla rivelazione
umana della conoscenza del
bene e del male, qualità
divina insita all’idea
dell’illuminazione o
dell’illuminismo.
Allo stesso tempo, è chiaro
che l’illuminazione
dell’uomo può fargli
guadagnare l’immortalità,
associando il serpente
all’idea della conquista della
vita eterna.
Tutte queste associazioni
sono proprie delle proprietà
positive attribuite al
serpente prima della Bibbia
nella tradizione della Dea.
Il Libro della Genesi può
essere uno dei migliori
esempi di una cultura che
tenta di modificare i simboli
di una tradizione
precedente; dalle mie
speculazioni è possibile
dedurre che ciò è quasi
impossibile.
Il significato originario dei
simboli (in questo caso il
serpente) tenderà a
riaffiorare comunque
nonostante le interpretazioni
posteriori, in particolare nel
caso di tentativi di
attribuzione di valori
opposti.
Un’occhiata più
approfondita all’etimologia
di alcune delle associazioni
lessicali può chiarire questa
qualità binaria (e anche
renderla più complicata).
La parola "serpente" in
realtà ha la stessa radice di
un altro termine biblico,
seraph, ovvero il più alto
livello tra le schiere
angeliche.
"Seraph" può essere tradotto
come "fiero serpente."
Il significato sottostante al
significato della parola
"diavolo" è lo stesso per
deva, un angelo del
pantheon induista, ed
entrambi i termini
significano "divino."
Satana risale addirittura alla
XIX dinastia egizia, al
faraone Set, il cui simbolo è
il serpente.
Il serpente di fuoco della
Kundalini
Secondo alcune fonti il nome
"Satana" deriva
dall’adattamento ebraico
dell’egizio Set-En o Set-An.
Sia en che an potrebbero
addirittura fare riferimento a
fonti ancora più antiche,
l’Annunaki sumero ("Colui
che scese sulla Terra dal
Cielo") ed Enki, che spesso
viene rappresentato come
metà serpente e metà umano
(nella tradizione sumera è
avversario del fratello Enlil,
che alcuni studiosi pensano
abbia dato origine all’ebraico
Jehovah).
I primi gnostici cristiani,
come i praticanti dello yoga
Kundalini (che si
concentrano sulla
liberazione del "serpente di
fuoco" per raggiungere
l’illuminazione), associa il
serpente con la colonna
vertebrale umana e il
midollo.
(I biologi contemporanei
fanno riferimento a tale
struttura, che è alla base del
sistema limbico, come al
"cervello rettile" sui quali il
cervello dei mammiferi più
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
evoluti è strutturato come
schema di riferimento).
Gli gnostici associavano
inoltre il serpente a Cristo.
Tra i simboli gnostici più
interessanti troviamo il
serpente crocefisso con il
volto di Cristo.
Fino al sedicesimo secolo,
era facile trovare monete
tedesche che mostravano il
Cristo crocefisso su una
faccia e un serpente
crocefisso sull’altra.
La logica di tale connessione
avrebbe bisogno di un intero
libro per un’esplorazione
esaustiva, ma possiamo fare
riferimento a un passo
biblico per chiarirla
immediatamente.
Nel vangelo di Giovanni,
troviamo il verso:
"E come Mosè innalzò il
serpente nel deserto,
così bisogna che sia
innalzato il Figlio
dell'uomo".
Ciò fa riferimento al fatto che,
durante l’Esodo, Mosè aveva
innalzato un serpente di rame
sopra un’asta per guarire la
sua gente e curarla dai morsi
dei serpenti.
La logica del Cristo - serpente
gnostico ha un senso inoltre
se consideriamo che il
serpente, attraverso la muta,
non rinasce solo in modo
figurato, ma da anche vita al
suo nuovo essere.
Questo significa che il
serpente nuovo è prodotto di
una nascita vergine, e
contemporaneamente è
proprio genitore e figlio.
Cristo, come tutti sappiamo,
nasce da una vergine e
contemporaneamente è Padre
e Figlio; dopo la crocifissione,
inoltre, risorge.
Come l’uroboro, Cristo è
l’Alfa e l’Omega – l’inizio e la
fine.
(Naturalmente, la madre di
Cristo è Maria, una figura
corrispondente alla Grande
Dea Madre).
Nella mia redazione di un
saggio a proposito del
serpente, è ora di tornare ad
alcune questioni che ho
lasciato sospese nelle mie
reminiscenze iniziali
riguardo la mia infanzia.
Ulteriore ironia: è studiando
le tradizioni occidentali che
alla fine ho trovato una
spiegazione adeguata al
legame tra serpente,
guarigione, morte e il
numero quattro nella cultura
coreana.
Forse si tratta solo di una
coincidenza, ma il dio greco
Ermes, anche lui associato al
Cristo, riporta tutti questi
elementi insieme: porta il
caduceo (due serpenti
arrotolati attorno ad un
bastone), che è il simbolo del
guaritore; è la guida dei
morti per l’aldilà, e il suo
simbolo è la croce ermetica,
il numero quattro posto su
una luna crescente (simbolo
per Maria e per la Dea).
Mia madre sarebbe inoltre
entusiasta di sapere che
Ermes è legato alla
diplomazia, destino che
aveva previsto per me
interpretando il suo sogno di
nascita.
Potrebbe essere meno
contenta del fatto che è
inoltre collegato ai ladri
(anche se Cristo potrebbe
essere collegato
singolarmente a ciò poiché
crocefisso tra due ladroni).
Il drago e il serpente sono
collegati nella figura di
Ermes in quanto orientali: la
parola "drago" viene dal
greco drakon, che significa
"serpente."
Ma ero all’oscuro di tutto ciò
durante la mia giovinezza, e
feci anch’io la mia parte nel
maltrattamento dei serpenti.
A dodici anni, costretto da
quei delinquenti dei miei
compagni, decisi di
verificare se, come si diceva,
un serpente non muore fino
al tramonto.
Avevamo tutti ascoltato la
storia secondo la quale se si
decapita un serpente, questo
non muore fino al calar del
sole.
In un angolo delle foreste
contadine della Germania
del sud, catturammo un
piccolo serpente giarrettiera
verde, e gli tagliammo la
testa con un coltellino
dell’esercito statunitense.
Ed effettivamente, il corpo
non sembrò giacere morto.
Uno dei miei amici decise di
rendere utile il nostro test –
aveva bisogno di un
cinturino per l’orologio, per
cui decise di spellare il
serpente.
Eravamo tutti affascinati nel
vedere che il cuore batteva
ancora all’interno della
carcassa traslucida, che
avevamo appeso a un
bastoncino.
Ma la nostra pazienza non
era così tenace come la
nostra colpa o repulsione,
seppellimmo il serpente
spellato e andammo a casa
molto prima del tramonto.
Il cinturino non fu mai
fabbricato.
Quando ripenso a tale
disavventura, non posso che
sorridere dell’ironia insita in
tale avvenimento.
Il ricordo infatti mi è tornato
in mente, mentre ragionavo
per scrivere questo saggio,
ripensando al fatto che
qualcosa ci spinse
inconsciamente a fare della
pelle del serpente un
uroboro simbolico,
associando la sua morte al
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
tempo, alla circolarità e alla
rinascita.
E nel corso degli anni,
attraverso il senso di colpa e
la curiosità legati a tale vivo
ricordo, quel povero
serpente ha anche
contribuito, a suo modo, alla
mia ricerca della saggezza.
Ecco: io vi mando come
pecore in mezzo ai lupi:
siate dunque prudenti
come i serpenti e
semplici come le
colombe.
Matteo 10:16
[email protected]
Approfondimenti:
Coloro che vogliono approfondire
il motivo del serpente in altre
leggende su spose animali
provenienti da tutto il mondo
possono leggere The Serpent and
the Swan: The Animal Bride in
Folklore and Literature di Boria
Sax.
Come riferimento generico
all’immaginario riguardante i
serpenti, posso raccomandare:
Serpent Imagery and Symbolism
di Lura Pedrini; The Worship of
the Serpent Traced Throughout
the World and Its Traditions
Referred to the Events in Paradise
di John Bathurst Deane; Indian
Serpent-Lore or the Nagas in
Hindu Legend and Art di J. P.
Vogel; Ophiolatreia: An Account of
the Rites and Mysteries Connected
With the Origin, Rise and
Development of Serpent Worship
di Hargrave Jennings; e The
Encircled Serpent: a study of
serpent symbolism in all countries
and ages di M. Oldfield Howey.
Serpent Myth di W. W. Westcott
(redatto da Darcy Kuntz), è una
discussione affascinante sul
simbolo del serpente dal punto di
vista di un iniziato della Golden
Dawn Society (della quale W. B.
Yeats fu membro per lungo
tempo). The Wisdom of the
Serpent: The Myths of Death,
Rebirth, and Resurrection, redatto
da Joseph L. Henderson, offre un
panorama generale oltre ad un
esame più strettamente
psicologico del ruolo del serpente
nelle iniziazioni sciamaniche, in
poesia, nell’arte e nel sogno;
coloro che sono interessati alle
opere di Joseph Campbell
potrebbero apprezzarne
particolarmente la lettura.
Un’ulteriore lettura psicologica
viene compiuta in The Rainbow
Serpent: Bridge to Consciousness
di Robert L. Gardner; questo libro
parla del mito aborigeno
australiano su sogni, archetipi e
inconscio collettivo.
Per coloro particolarmente
interessati al serpente nella
dottrina biblica, posso
raccomandare: Adam, Eve, and
the Serpent di Elaine Pagels,
autrice di The Gnostic Gospels;
The Serpent of Paradise: The
Incredible Story of How Satan's
Rebellion Serves God's Purposes
di Erwin W. Lutzer; The serpent
was wiser: a new look at Genesis 111 di Richard S. Hanson; Serpent
symbolism in the Old Testament: a
linguistic, archaeological, and
literary study di Karen Randolph
Joines; e Trail of the Serpent: The
Story of Satan Told in the Bible,
from the Fall to the Lake of Fire di
Robert Peterson.
A coloro interessati al serpente
e la sua relazione con la tradizione
femminile consiglio Power of
Raven, Wisdom of Serpent: Celtic
Women's Spirituality di Noragh
Jones, che esamina i legami tra
tradizione pagana e cristiana nel
folklore scozzese. The Serpent and
the Goddess: Women, Religion,
and Power in Celtic Ireland di
Mary Condren parla della
tradizione legata alla figura celtica
di Santa Brigida, tracciando
similitudini e differenze tra cultura
pagana e cattolica.
Esistono inoltre diversi libri che
esaminano il simbolo del serpente
in relazione a kundalini: Serpent
of Fire: A Modern View of
Freschi di portale
Kundalini di Darrel Irving, e altri
autori, è una guida per
l’attivazione della kudalini (e
comprende avvertimenti utili). Per
un resoconto diretto riguardo i
pericoli e le trasformazioni legati
al risveglio della kundalini, leggere
Dancing with the Serpent, di
Patricia Anne Bloise, che fornisce
anche una panoramica generale e
la storia del mito. The Green
Serpent and the Tree di James N.
Judd analizza i paralleli tra il
concetto dei chakra nello yoga
kundalini e le dieci sefirot della
Kabbalah.
Questo articolo è stato pubblicato
sulla rivista Realms of Fantasy
magazine, 2000. E’ proibita la
sua riproduzione in qualsiasi
forma senza espressa
approvazione da parte
dell’autore.
pag.76
LO SPLENDORE DI UR (postato da Simonetta Santandrea). Con il paese devastato dalla guerra cominciata nel
2003, il debole governo di Baghdad (Iraq) ha avuto ben altre priorità che finanziare scavi su larga scala a Ur –
ritenuto il paese di nascita di Abramo e una delle culle della civiltà -. Dal 2005 lavorano solo piccole squadre.
“Quando riprenderanno gli scavi (su larga scala), tonnellate di oggetti antichi verranno portate alla luce,
riempiendo interamenti i musei. Questo sito diventerà forse più importante di Giza”, dice entusiasta Dhaif Moussin,
il cui compito è proteggere il sito dai tombaroli. All’inizio del’900 l’archeologo inglese Charles Leonard Woolley fece
delle scoperte sbalorditive dissotterrando 16 tombe dell’élite di Ur. All’interno erano conservati alcuni dei più
grandi tesori dell’antichità, inclusi un pugnale tempestato di lapislazzuli, una statua dorata di capra (associata da
Wolley al biblico Ariete nel boschetto, foto sotto), una lira decorata con testa di toro e un copricapo di piume d’oro
della regina Sumera Puabi. Dal punto di vista archeologico, la scoperta più straordinaria di Ur è stata una ziqqurat
(o ziggurat) eccezionalmente ben preservata. È datata al III millennio a.C., quando faceva parte di un complesso di
templi che servivano come centro amministrativo. Fino a oggi, appena il 20% del sito è stato scavato. “Alcuni
archeologi stimano che ci vorranno più di 30 anni per scavare l’intera città”, dice Moussin. “Ur dei Caldei”, com’è
menzionata nel Vecchio Testamento, era uno dei grandi centri urbani della civiltà sumera e rimase una città
importante fino alla conquista di Alessandro Magno. Si pensa che Ur raggiunse il suo apogeo sotto il re Ur-Nammu
(2112-2095 a.C.), un abile guerriero e fondatore della terza dinastia di Ur (o sumera). Durante il suo dominio, la
capitale sumera vantava strade lastricate, viali alberati, scuole, poeti, scribi, e favolosi lavori di arte e architettura
come quelli scoperti da Woolley. Il regno era governato da una reale amministrazione e da un “codice” di leggi. La
scrittura sumera cuneiforme è il primo sistema di scrittura conosciuto al mondo. Si spera di provare che Ur fu il
luogo di nascita di Abramo; Woolley ne scoprì il nome su un mattone lì dissotterrato. Comunque, per il momento,
Ur rimane sepolta sotto il sito protetto da una fragile barriera e da alcune guardie, persa in un paese scosso dalla
violenza e più preoccupato di ricostruire la sua attuale capitale. Nella sola provincia di Dhi Qar, oltre a Ur, ci sono
47 altri siti di grande valore archeologico. Fonte: The Telegraph http://ilfattostorico.com
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Dreamland 1
pag.77
Il primo
rapimento polacco
© J. Antonio Huneeus
Si ringrazia
Maurizio Baiata e
www.openminds.tv
per aver concesso il
permesso alla
pubblicazione di questo
studio tematico.
Il reporter investigativo della Open
Minds, J. Antonio Huneeus, ha
coperto il campo degli UFO da un
punto di vista internazionale per oltre
30 anni. I suoi articoli sono apparsi in
decine di pubblicazioni negli Stati
Uniti, America Latina, Europa e
Giappone. Egli è stato anche co-autore
del "Documento sulle direttive UFO - la
migliore prova disponibile", finanziato
dalla Laurance Rockefeller e ha curato
il libro "una guida allo studio degli
UFO, fenomeni psichici paranormali in
URSS".
Huneeus ha studiato francese presso
l'Università della Sorbona a Parigi e
Giornalismo presso l'Università del Cile
a Santiago nel 1970. Ha insegnato
presso decine di conferenze UFO in
tutto il mondo ed è stato intervistato da
molti mezzi di informazione tra cui il
Washington Post, la Sy-Fy e Canali
Storia, Nippon TV, ecc
Ha ricevuto il premio per "Ufologo
dell'anno" assegnato alla Conferenza
Nazionale UFO a Miami Beach nel
1990 e il coraggio "del Giornalismo"
consegnato presso la Conferenza-X a
Gaithersburg, nel Maryland, nel 2007.
Il contadino polacco Jan Wolski
Fonte: Openminds.tv
J. Antonio Huneeus
Il rapimento del 71enne Jan
Wolski nella piccola comunità
agricola di Emilcin nella parte
orientale della Polonia, il 10
maggio 1978, è stato il primo
rapimento UFO segnalato in
Polonia ed è stato seguito da un
flap di avvistamenti in cui sono
stati segnalati una serie di
piccoli umanoidi simili tra loro
che indossavano uniformi nere,
come le tute dei subacquei.
Gli scettici forse
respingerebbero la faccenda
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Wolski come una fantasia,
perché il testimone principale
era un vecchio contadino di
umili origini e l’altro solo un
bambino di sei anni.
Essi potrebbero anche far
notare i dettagli strani come la
pelle verde della fronte e delle
mani degli umanoidi e la
descrizione quasi primitiva
dell'UFO, paragonato da
Wolski a un autobus "con una
piattaforma che sembrava fatto
di legno”.
Eppure il caso Wolski è molto
più di una fantasia.
Al contrario, esso costituisce un
punto di riferimento utile per lo
studio di una relazione sul
sequestro con ben poca, se non
addirittura nessuna,
contaminazione sociale
proveniente dal mondo
esterno, cioè con nessuna
esposizione mediatica trendy
(come quella) che
caratterizzava la ricerca
americana contemporanea sui
rapimenti.
L'ufologia polacca stava appena
emergendo come un'entità
indipendente, quando
l'incontro ravvicinato di
Emilcin si è verificato nel 1978,
eppure sembrava pronta alla
sfida.
La Polonia è stato il primo
paese del mondo comunista di
allora a sviluppare un
movimento civile ufologico con
organizzazioni, conferenze e
bollettini, che fosse sia legale
sia indipendente dallo stato.
Nel caso di Wolski, un gruppo
di psicologi, sociologi e medici
presso l'Università di Lodz ha
testato il testimone,
controllando il suo contesto
sociale e esaminando
attentamente il suo racconto.
Gli scienziati si sono convinti
che Wolski stesse dicendo
davvero la verità e che si fosse
verificato qualcosa di
inspiegabile a Emilcin.
Ho sentito parlare di Wolski
per la prima volta nei primi
anni '80, quando Colman von
KEVICZKY del ICUFON mi ha
mostrato una lettera di sei
pagine scritta in inglese
scadente, con foto e
illustrazioni allegate,dedicata
in gran parte a questo caso,
scritta dall'ufologo di Varsavia
Michael Groszkoewicz.
Ho controllato alcuni articoli
brevi su riviste americane e
internazionali che descrivevano
l'incidente, ma non fornivano
un resoconto di prima mano
sull'inchiesta.
In Polonia nel 1982 hanno
anche pubblicato un libro a
fumetti sul caso Wolski (potete
vederlo alla fine di questo
articolo).
Infine ho acquistato due
rapporti completi che hanno
posto rimedio a questa
situazione.
La prima era una selezione di
diversi rapporti scientifici,
lettere e trascrizioni di
interviste di uno dei principali
investigatori, il sociologo
Zbigniew Blania Bolnar, inclusa
nel quinto volume della serie
scritta dal Prof. Felix Zigel's
sugli sbarchi UFO in URSS ed
altri paesi, tradotta
recentemente dal russo da
Dimitri Ossipov e rilasciata in
congiunzione dal Dr. Richard
Haines e dalla USA-CIS
Federazione sulle Anomalie
Aeree.
La seconda fonte è un rapporto
completo sul caso Wolski,
basato non solo sulle indagini
di Bolnar, ma anche sulla
ricerca di vari club UFO e di
persone polacche.
E' stato preparato dal Club di
Wroclaw per la divulgazione e
l'esplorazione degli UFO
(WCPE-UFO) e pubblicato in
inglese nel Regno Unito dal
Periodico sui Dischi Volanti
“Flying Saucer Review” (Vol.
36, No. 1, marzo 1991).
Anche se ci sono varie
discrepanze minori, la struttura
di base del resoconto è valida e
coerente.
Proprio la personalità e il buon
senso di Wolski, con i suoi
tratti folkloristici, ci offrono
una storia affascinante (e
vera!).
Vediamo il dettaglio.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Una corsa insolita
Emilcin, Polonia (Image credit:
Google Maps)
Emilcin è un piccolo borgo
agricolo di circa 70 fattorie in
provincia di Lublino nella
Polonia orientale, non lontano
dal confine con la Bielorussia e
l'Ucraina.
Secondo la relazione WCPEUFO, al momento
dell'incidente Emilcin non
aveva "nessuna scuola, nessun
club, nemmeno un giornalaio, e
solo un singolo negozio!".
Nato il 29 maggio 1907, Wolski
non aveva mai lasciato la nativa
Polonia ad eccezione di una
visita in Ucraina prima della
seconda guerra mondiale.
Inoltre, Wolski non aveva nè il
televisore nè una radio, e
leggeva i giornali solamente
quando glieli portavano a casa i
figli.
Da giovane Wolski aveva letto
la Bibbia e i libri di storia, ma,
come aveva osservato il dottor
Bolnar, Wolski essenzialmente
non aveva tempo libero,
perché era il capo famiglia e,
nonostante la sua età, la
maggior parte dei compiti
connessi con l'agricoltura
dipendevano da lui.
"Giuro solennemente davanti a
Dio che il mio resoconto
sull'incontro con gli
extraterrestri, il 10 maggio
1978, è assolutamente vero.
Dio mi è testimone che sto
dicendo la verità".
Questo è stato il giuramento
firmato da Wolski, un devoto
cattolico romano, alla presenza
di due testimoni, che ha
convinto il sacerdote locale,
quasi centenario, che Wolski
stava davvero dicendo la verità.
Nella sua relazione Bolnar ha
affermato che "si è scoperto più
tardi", che "il testimone non
sapeva cosa volesse dire la
parola 'extraterrestre' ".
Allo stesso modo, egli non ha
dato alcun significato religioso
alla sua esperienza, essendo
semplicemente perplesso dal
fatto che gli esseri - solo
stranieri - forse orientali dati i
loro occhi a mandorla, avevano
la pelle verde.
“Non vi è dubbio che il
testimone è profondamente
convinto che tutto ciò che gli e'
accaduto è stata una realtà
oggettiva”, ha scritto Bolnar.
Interpretazione artistica degli
umanoidi dai visi verdi incontrati da
Wolski (immagine: Nautilus
Foundation)
Wolski aveva lasciato la sua
azienda agricola verso le 5 in
un carretto tirato da una
cavalla di 4 anni.
Qualche tempo dopo le 7 stava
percorrendo una strada di
campagna, quando vide due
persone camminare nella (sua)
stessa direzione.
Inizialmente pensò che fossero
cacciatori.
Gli esseri rallentarono e si
misero a camminare in cerchio,
come se stessero aspettando il
carretto.
A questo punto Wolski è stato
colpito dalla sfumatura
verdastra dei loro volti, afferma
il rapporto WCPE UFO.
“Il modo in cui camminavano
era simile al modo in cui i
subacquei camminano sul
fondo del mare: stavano
facendo dei 'salti leggeri'”.
Gli esseri camminarono
accanto al carro per un tratto
breve e poi saltarono ai due lati
del contadino.
Wolski poi descrisse quegli
esseri come umani, ma con gli
occhi a mandorla e gli zigomi
prominenti.
Indossavano una tuta attillata,
con cappuccio e con una specie
di pinne sui piedi.
“La gente dice che questi abiti
sono indossati dai subacquei,
ma non ho mai visto un
subacqueo, quindi non posso
dire”, ha detto Wolski al dottor
Bolnar .
Quando il ricercatore ha
chiesto che cosa pensasse degli
esseri, Wolski ha risposto:
"Niente, cosa c'è da pensare?
Vedo alcuni (esseri) strani.
E allora?”.
L'agricoltore non si senti' mai
minacciato dagli esseri.
“Non si sono rivolti a me,
hanno parlato tra loro, ma chi
sarebbe riuscito a capire quel
linguaggio?”.
Wolski ha detto a Bolnar,
imitando qualcosa come 'ta-tata-ta' senza interruzione.
Il carretto continuò con tutti e
tre per un tratto breve fino a
quando raggiunsero una radura
dove un aggeggio strano
aleggiava in prossimità del
suolo.
Si potrebbe descrivere come un
veicolo rettangolare con un
tetto leggermente ricurvo.
Nelle parole di Wolski, non un
UFO o una navicella spaziale,
ma
“un un autobus sospeso in aria,
a circa 3 o 4 metri da terra,
piu' basso della cima delle
betulle.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Era vicino ad una parete di
alberi (molto) fitta in un
angolo appartato della
radura, indicando che era
(ben) nascosto agli osservatori
esterni” ha detto Wolski.
L'imbarcazione vista da Wolski con
le dimensioni ( immagine: archivi
ICUFON)
Le dimensioni dell'oggetto
variano leggermente a seconda
delle diverse fonti polacche.
Le stime nella relazione della
WCPE-UFO (suggerivano) che
fosse di circa 5 metri di
lunghezza, 3 m di larghezza e
2,5 m di altezza; altre stime
arrivavano fino ad una
lunghezza di 10 m.
Una caratteristica interessante
del cosiddetto 'autobus' era la
canna a forma di barile
presente in ogni angolo, con
coppie di viti rotanti (in
movimento) ad alta velocità,
che emettevano un ronzio.
Gli umanoidi comandarono a
gesti il vecchio contadino e lo
fecero salire su una piattaforma
liscia sospesa.
I dispositivi ad alta tecnologia
sono decisamente fuori luogo
in questo racconto.
Nelle parole di Wolski
“Mi fece segno di andare con
loro.
Scesi e ci avvicinammo
all'autobus e da lì, dall'alto,
scese una piccola piattaforma
su corde.
Uno di loro mi invito' a salirci.
Salii e lui venne accanto a me,
mentre il secondo si voltò verso
il cavallo, che in quel momento
inizio' a pascolare”.
Uno strano esame
Nonostante il caso Wolski
abbia una sequenza narrativa
sostanzialmente simile a quella
di molti casi di rapimento l’ho
trovato particolarmente
interessante perché il
contadino non si riferisce mai
alla sua esperienza usando
termini ufologici o connessi con
lo spazio.
Ci ha detto che, dopo un
passaggio veloce sulla
piattaforma, entrò in una
stanza rettangolare buia e
vuota con muri del colore della
Bakelite, senza mobili se non
alcune basse panche.
All'interno c'erano altri due
esseri simili con le facce verdi e
fecero segno a Wolski di
spogliarsi.
Giacché il clima era ancora
freddo (Wolski) aveva una
giacca, un maglione e una
camicia.
“(Lui) mi segnalo' di
spogliarmi completamente” ha
detto Wolski a Bolnar,
aggiungendo "mi sono tolto
tutto e sono rimasto lì (in
piedi).
E l'altro teneva in mano
qualcosa come due piatti ... si
fermò davanti a me e mise
queste tavole insieme in modo
da farle cliccare.
Poi, quello che era venuto con
me, mi ha girato su un lato, mi
ha sollevato le braccia e l'altro
ha fatto di nuovo clic."
Questo è sostanzialmente il
racconto fatto da Wolski
sull'esame.
Tuttavia notò anche delle cose
non comuni nelle storie di altri
rapimenti.
Per esempio, ha descritto gli
esseri che mangiavano
“qualcosa come un ghiacciolo”
che si ruppe in pezzi come i
pasticcini.
“Anche quello che è venuto con
me ne ha preso un pezzo e me
l'ha offerto” ma Wolski ha
rifiutato.
Anche di interesse (un altro
fatto interessante) è stato un
certo numero di uccelli, una
decina di corvi neri, sul
pavimento che sembravano vivi
ma paralizzati.
Secondo la relazione della
WCPE-UFO, Wolski ha
osservato che l'entità che non
aveva partecipato al suo esame
stava camminando nella
camera e “di tanto in tanto,
metteva un bastoncino nero in
due buchi in una delle pareti ...
l'entità continuava a girare il
bastoncino in ogni buco, come
quando si gira una chiave in
una serratura”.
La forma delle calzature della
creatura stimato dalle impronte
(immagini: archivi ICUFON)
Dopo l'esame hanno detto a
Wolski, ancora una volta a
gesti, in quanto (Wolski) non
ha mai provato la
comunicazione telepatica con
gli esseri, di rivestirsi e
“mi hanno fatto cenno che
potevo andare.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Sono andato verso la porta,
ma mi sentivo a disagio ad
andarmene così.
Avevo il cappello in testa, così
(arrivato alla) la porta me lo
sono tolto e ho detto:
Arrivederci (qui fa un profondo
inchino).
Anche loro hanno fatto un
inchino e hanno sorriso”
Wolski passo' ancora una volta
sulla piattaforma “e di colpo
ero giù!”
Si sono fermati davanti alla
porta e mi hanno guardato,
sono salito sul carretto, ho
frustato la cavalla, ma lei aveva
paura dell'autobus.
Il cavallo si allontanò dalla
macchina e si mise al galoppo
verso casa, ci sono voluti una
decina di minuti (per
arrivare).
Solo sua moglie era lì quando
Wolski è arrivato verso le 8.
I figli tornarono un po’ più
tardi e, dopo aver saputo
quanto era successo, si
precipitarono verso la radura
dove trovarono molte tracce
che sembravano essere state
fatte da calzature strane.
Giacchè aveva piovuto da poco
e c'era un sacco di fango sulla
strada sterrata e nella radura, i
due figli di Wolski insieme a
quattro vicini poterono
verificare la presenza di queste
impronte”
Un investigatore le ha descritte
come “di forma trapezoidale,
quasi rettangolare” e
“leggermente più lunghe di un
piede umano di una
dimensione normale corrente”.
Purtroppo, non sono stati fatti
calchi o fotografie delle
impronte.
Quando gli investigatori
arrivarono a Emilcin due
settimane più tardi, le
impronte erano state cancellate
e poterono creare disegni
basati solamente su
testimonianze oculari.
Gli investigatori furono in
grado di trovare un'ulteriore
testimone, Adas Popiolek, un
bambino di 6 anni, che stava
giocando con la sorellina di 4
anni in una fattoria situata a
800 m ad ovest dal sito dell'
incontro.
La madre dei bambini, che era
all'interno della casa per
preparare un pasto, ricorda di
aver sentito "un tremendo
rumore come un tuono" la
mattina del 10 maggio.
“Poco dopo”, riferisce il WCPEUFO “il figlio Adas è venuto in
casa a dirle che aveva visto un
aereo simile a un autobus, che
volava molto basso sul
granaio.
Questo aereo aveva un solo
finestrino, da cui (attraverso
cui) Adas aveva visto il pilota
... Dopo essere passato vicino
al cortile della fattoria, l'aereo
era salito in verticale in aria
ed era scomparso.
E 'stato in quel momento che il
suono del tuono è stato sentito
anche da altre due persone,
oltre ad Adas e a sua madre.”
Un'indagine approfondita
Questi sono sostanzialmente i
fatti fondamentali della
narrazione di Wolski, anche se i
rapporti di Bolnar e della
WCPE-UFO sono molto più
ricchi di dettagli di quanto lo
spazio di questo articolo ci
permetta.
La profondità delle indagini
svolte dal sociologo dottor
Blania Bolnar e dal Dott.
Ryszard Kitlinsky, psicologo
presso l'Università di Lodz, è
veramente ammirevole.
Alcuni dei test eseguiti su
Wolski includono un test di
percezione tematica, un test del
QI nella scala di Wechsler per
adulti, una misura
psicogalvanometrica della
tensione psichica (la macchina
della verità), oltre ai test
oculistici e clinici.
Questo monumento è stato costruito
nella zona di osservazione per
commemorare l'esperienza di Wolski
Inoltre è stato inserito un
controllo fisico completo ,
rivelando che Wolski era in
ottima salute, nonostante la
sua età e che aveva
“una vista di qualità
eccezionale, raramente
riscontrabile in quella fascia
d'età”.
La relazione di Bolnar nel libro
del Prof. Zigel è di oltre 30
pagine compilate a spazio
singolo.
“La valutazione psicologica e
sociologica di Jan Wolski”
comprende sezioni sui “Motivi
dal punto di vista di una
ipotetica menzogna” (nessuna,
secondo la relazione), le sue
emozioni, la memoria, lo
sviluppo mentale, la
suscettibilità alla suggestione,
la capacità di fantasticare,
l'inclinazione a mentire, il
testimone in quanto membro di
un gruppo sociale, il testimone
e i mass-media, il tempo libero,
gli interessi, i vizi, la religione
e, infine, una valutazione del
testimone dal punto di vista del
risultato della sua esperienza.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Gli scienziati hanno scoperto
che Wolski è stato un testimone
straordinariamente credibile.
Per esempio, ha scritto Bolnar,
“i risultati della prova di
percezione tematica indicano
senza ombra di dubbio che il
testimone non ha alcuna
capacità di inventare storie di
alcun genere.
Non dispone di creatività
mentale.
Non è in grado di raccontare
una storia fittizia, anche se
semplice”.
Allo stesso modo, dopo lunghe
interrogazioni e controlli del
contesto sociale è emerso che il
testimone era una persona
onesta, veritiera, brava e questo
è stato confermato durante gli
esami delle prove.
Era molto considerato
all'interno della sua comunità e
non era noto come bevitore di
alcolici, fumatore o con
qualsiasi altro vizio sociale.
Soprattutto è la sua personalità
pratica e con i piedi per terra
ad essere convincente.
Il testimone ha mostrato in
genere una bassa inclinazione
alla paura e non ha
riconosciuto la situazione in cui
si trovava come una minaccia.
Per quanto riguarda il
comportamento degli esseri, il
soggetto ha sottolineato a più
riprese che sono stati educati e
lo hanno trattato con cortesia e
considerazione.
Kitlinsky e Bolnar infine hanno
esaminato e valutato diverse
ipotesi tra cui una bufala,
un'allucinazione o un sogno,
un'apparizione religiosa, una
suggestione, una coercizione da
parte di terzi, l'atterraggio di un
elicottero o imbarcazioni
sperimentali, ecc.
Tutte queste ipotesi sono state
stimate con percentuali molto
basse dagli scienziati (in genere
entro l'1 o il 2%).
L'eccezione era ciò che essi
chiamavano
“Riepilogo dell'ipotesi: l'evento
con la testimonianza è stata
una realtà oggettiva.
Nel momento cruciale, ha
notato e ha dichiarato la sua
esperienza in conformità con
la realtà, ha descritto un
comportamento degli esseri, la
disposizione e il
comportamento del veicolo, lo
sviluppo degli eventi, ecc…”
Questa ipotesi è stata valutata
al 90% da Kitlinsky e al 98% da
Bolnar.
La loro ipotesi conclusiva è che
questo caso, indica l'esistenza
di un fenomeno sconosciuto
alla scienza.
La prima pagina della trasposizione a fumetti dell’episodio
www.openminds.tv
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Dreamland 2
pag.83
Spirali di luce
Misteriosi fenomeni
in Norvegia e in Cina
© 2010 Andrea della Ventura
Andrea della Ventura
Il 9 dicembre 2009 alle 8.45
una strana luce spiraliforme è
stata avvistata e ripresa sui cieli
di una cittadina norvegese.
L'oggetto ha immediatamente
scatenato il dibattito; chi dice
che si potesse trattare di una
meteora, chi parlava invece di
un missile sperimentale
lanciato da un sottomarino
russo.
La luce misteriosa ha
sbalordito anche gli esperti, che
credono si sia trattato di un
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
evento del tutto nuovo; un
fenomeno atmosferico, visto
che in qualche modo ricordava
un'aurora boreale, anche se le
aurore boreali sono
preventivabili con
approssimazione più che
buona?
Oppure un oggetto volante non
identificato?
Migliaia di norvegesi hanno
bombardato di telefonate
l'Istituto Meteorologico per
chiedere della spirale comparsa
all'alba.
La tesi del missile è molto
gettonata, anche per la scia che
appare nelle immagini:
peraltro, sembra che la marina
russa abbia precisato di non
aver avuto manovre in corso.
Un fenomeno comunque mai
visto prima, una luce roteante
su se stessa che presentava un
'buco nero' centrale.
Molti hanno pensato ad
un'attività Aliena.
attorcigliato, improvvisamente
ha generato una spirale che è
diventata sempre più grande.
Test Russo
Spirale
Tutto è cominciato quando
l'oggetto è apparso da dietro
una montagna; si è fermato a
mezz'aria ed ha poi cominciato
a muoversi in circolo.
Dall'aeroporto di Tromse gli
addetti al controllo del traffico
aereo, facevano sapere che non
poteva trattarsi di aurora
boreale o comunque un
fenomeno naturale che è
durato una dozzina di minuti
prima di scomparire
completamente.
Le luci di colore bluastro hanno
stupito molte persone e
alimentato una vera e propria
psicosi di massa, amplificata
anche dalle tv locali.
Nel giro di pochi secondi la
gigantesca spirale era visibile
per diversi chilometri nei cieli a
nord del Paese, dalla provincia
di Trøndelag fino a Finnmark.
La tv nazionale norvegese NKR
ha mostrato il video e in rete
sono comparse foto, si diceva
potesse essere un razzo sparato
da un sottomarino russo nel
Mar Baltico, ma da Mosca
arrivavano solo smentite.
«Non ho mai visto una cosa
simile», ha detto Erik
Tandberg, uno dei massimi
esperti di aurore boreali.
Un testimone ha raccontato di
un raggio verdognolo simile al
colore del fenomeno ottico
dell'atmosfera, però
stranamente regolare e
Per alcuni testimoni il
misterioso fenomeno era un
meteorite; altri giurano siano
stati degli Ufo.
L'Istituto Metereologico è stato
bombardato di chiamate.
La luce era l'oggetto più grosso
presente in cielo, più grosso
della Luna, e visibile a
centinaia di chilometri di
distanza.
Nel frattempo si è rafforzata
l'ipotesi che potesse trattarsi di
un fallito lancio di un razzo
russo da un sommergibile nel
Mar Baltico.
Già battezzato "star Gate",
"wormhole", "Buco nero" o altri
termini vicini alla fantascienza
cinematografica, il fenomeno
non ha ancora avuto nessuna
spiegazione da parte della
scienza e degli apparati
militari.
La teoria del missile Russo è
stata sostenuta da Pål Brekke
dello Space Center norvegese,
che ha sottolineato tuttavia che
al momento dell'apparizione
della misteriosa luce vigeva un
divieto assoluto di navigazione
in quell'area.
In realtà, la Norvegia è già nota
per una località in cui luci
misteriose ed ancora prive di
spiegazione compaiono quasi
quotidianamente.
Dal canto suo, la flotta russa
del Mare del Nord non ha però
finora comunicato lo
svolgimento di test, sebbene gli
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
accordi internazionali in
materia obblighino i militari ad
informare in anticipo di
imminenti lanci.
Hessdalen è quella che pare
una tranquilla località della
Norvegia, con poco più di un
migliaio di abitanti.
Una cittadina come altre, se
solo non fosse che ha una
media di circa 20 avvistamenti
di luci misteriose ogni
settimana.
Le luci vanno da globi luminosi
che appaiono e scompaiono,
volando in formazione e
cambiando colore, ad anelli
luminosi che compaiono
improvvisamente nel cielo,
allargandosi fino a svanire
nell'oscurità della notte.
Stargate dimensionali
Sergio Bertolucci, italiano con
l’incarico di Director of
Research and Scientific
Computing al CERN di
Ginevra, dichiarò tempo fa che:
"La macchina [LHC] potrebbe
creare o scoprire dei fenomeni
scientifici mai immaginati
prima, o "misteri sconosciuti",
per esempio dimensioni
alternative, porte spaziotemporali ed altro ancora.
Da queste porte potrebbero
uscire cose misteriose, o
potremmo inviare qualcosa
attraverso di esse".
L'Organizzazione Europea per
la Ricerca Nucleare, conosciuta
con l'acronimo CERN, è il più
grande laboratorio al mondo di
fisica delle particelle.
Si trova al confine tra Svizzera
e Francia alla periferia ovest
della città di Ginevra.
Qui i fisici cercano di esplorare
i segreti della materia e le forze
che regolano l'universo.
Ma cosa sta succedendo nei
cieli di tutto il mondo?
Una spirale simile a quella
apparsa nel cielo notturno della
Norvegia infatti due giorni
dopo è comparsa anche in Cina.
Non si tratterebbe quindi di
missili, ma al contrario
potrebbe trattarsi di varchi
spazio-dimensionali molto
simili ai Worm-Holes attivati
da concentrazioni di particelle
di antimateria generate
dall'LHC a nostra insaputa.
Uno scorcio dell’LHC
La spiegazione ufficiale
riportata dai media è quella di
essere stati dei fenomeni
originatisi da test militari di
lanci missilistici falliti, che tra
l'altro non convince molto,
mentre fino a poco prima le più
disparate teorie hanno preso il
sopravvento tra le genti
confuse e stupite.
Se l’ipotesi sembra
fantascientifica, in realtà non si
sa bene quale potrebbe essere il
risultato della sperimentazione
che ha come scopo quello di
rilevare il Bosone di Higgs, la
"particella di Dio" che promette
di aiutarci a scoprire alcuni dei
misteri della fisica che
rimangono impermeabili alle
nostre indagini.
Alcuni fenomeni inaspettati
sono previsti dalla serie di
esperimenti che vedranno
coinvolto il Large Hadron
Collider.
Di certo però si esclude la
creazione di un buco nero che
possa inghiottire l’umanità
intera e la Terra, o la
liquefazione del nostro pianeta
e di tutte le forme di vita che
ospita.
Ipotesi olografica
L'ipotesi UFO, Stargate o
varchi dimensionali per poi
finire con le supposizioni di
apparizioni mistiche e divine.
E se invece tutte queste fossero
immagini olografiche create
grazie alla tecnologia del
Project Blue Beam, un progetto
ideato e creato dal Governo
Ombra americano e avente dei
fini e degli scopi ben precisi sul
genere umano?
La maggiore ambizione del
Progetto Bluebeam sarebbe
convincere la gente che la Terra
sta per essere invasa dagli
extraterrestri.
Nel 1938, l'attore Orson Welles
fece finta di trasmettere in
diretta radiofonica la cronaca
di uno sbarco di "alieni" nel
New Jersey.
In realtà non si trovava là, ma
si servì di attori ed effetti
speciali all'interno di uno
studio radiofonico.
Il programma, una versione
radiofonica del "romanzo"
Guerra dei mondi di H.G.
Wells, provocò terrore e panico
nei luoghi in cui si diceva si
trovassero gli invasori
marziani.
Ecco come il dottor Richard
Boylan si è espresso in merito
all'apparizione della spirale in
Norvegia: "Questa spirale
ovviamente falsa nel cielo è un
ologramma 3-D generato dalla
Cabala per:
1) un'esercitazione di
immissione di false luci nel
cielo, in preparazione di una
successiva proiezione di
immagini di guerra
psicologica, come "l'arrivo
degli invasori alieni";
2) per distrarre i media dalla
consegna del Nobel per la Pace
al Presidente Obama avvenuta
ad Oslo, in Norvegia;
3) per generare speculazioni
tra i cittadini disinformati che
"gli UFO avessero qualcosa a
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
che fare con questi fenomeni",
mentre poi gli esperti della
Cabala se ne vanno in
televisione a farsi beffe di
queste "credulità" e offrono
spiegazioni "scientifiche"
alternative".
Stesso discorso dell'ipotesi
olografica vale per la gigantesca
"piramide" apparsa sulla Piazza
Rossa del Cremlino in Russia il
10 Dicembre 2009.
Il filmato è stato girato da
dentro un'auto ma a quanto
sembra non è un riflesso nei
vetri.
Il video mostra la piramide di
notte e l'altro alla luce del sole.
Ovviamente, come accade
sempre in questi casi, la polizia
si è rifiutata di fare commenti.
Come riporta il Telegraph, Nick
Pope consulente del ministro
della Difesa della Gran
Bretagna, esperto di Ufo, ha
affermato che si è trattato del
video «più straordinario sugli
avvistamenti di Ufo» che lui
abbia mai visto: “All'inizio
pensavo si trattasse di un
riflesso di luce ma poi ho
notato che l'oggetto si
muoveva in un modo tale da
poter scartare questa ipotesi”.
Secondo testimoni l'oggetto
potrebbe essere stato profondo
un chilometro e mezzo.
La piramide nei cieli di Mosca
Il Project Blue Beam sarebbe
quindi una tecnologia
olografica usata insieme con
altre tecnologie, armi di
controllo della mente che
utilizzano gli effetti delle onde
di radiofrequenza sul cervello.
Sarebbe capace di proiettare
delle immagini nel cielo e di
indurre il pensiero collettivo a
convincere la gente che stanno
vedendo un’invasione aliena.
In linea di principio, userà il
cielo come uno schermo,
generando le immagini
simultanee di un progetto dai
satelliti ad ogni parte del
pianeta.
Lo studioso del fenomeno UFO,
nonché professore, Norio
Hayakawa (Su uno dei
prossimi numeri di Tracce
d’eternità sarà pubblicata
un’esclusiva intervista a Noryo
Hayakawa NDR) dice che
questo piano si chiama
"Progetto Panico" e che verrà
usata una tecnologia sofisticata
per creare l'illusione ottica di
un'invasione da parte degli
UFO.
Ciò potrebbe dare ai governi e
alle Nazioni Unite la scusa per
proclamare uno Stato globale
di emergenza e tutti i poteri
straordinari e i decreti
presidenziali saranno attuati.
In tale contesto, potrebbero
inquadrarsi i singolari
fenomeni in Norvegia, in Cina
ed a Mosca: nei cieli dei primi
due Paesi è stato osservato un
vortice azzurro, sulla capitale
russa una piramide.
E che altro dovremo aspettarci
in futuro?
[email protected]
Fonti:
The SUN
www.corriere.it
www.tecnocino.it
noiegliextraterrestri.blogspot.c
om
www.cospirazione.net
Freschi di portale
pag.86
Spiaggiata la carcassa decapitata di una misteriosa creatura
(postato da Gianluca Rampini). La carcassa di questa misteriosa
creatura decapitata è stata trovata sulle spiaggie della costa orientale
statunitense, presso Lower Cove. L’animale è lungo circa 5 metri ma
ne manca della testa. Dispone apparentemente di una sola pinna e si
allunga in una coda ripiegata sulla sabbia. Il pescatore che per primo
ha scoperto il corpo lo aveva inizialmente confuso per quello di una
foca. Sbarcato dalla sua imbarcazione si è presto reso conto che
certamente una foca non era. Il Dipartimento della Pesca locale sta
conducendo le indagini necessarie per scoprire di cosa si tratti, per
ora nessun pescatore interpellato ha saputo fornire una qualche
ipotesi plausibile. Ma questo ritrovamenti non sono rari, in fin dei
conti il mare ricopre la maggior parte del pianeta e le sue profondità
sono per lo più inesplorate. Il particolare più inquietante è però la
mancanza della testa. Considerate le sue dimensione viene da
chiedersi quale altra creatura sia la causa di tale mutilazione. Sempre
che il colpevole sia un animale. Dovremo aspettare per saperne di più,
però una riflessione si può già fare: sono ben conosciuti gli episodi di
mutilazioni animali che normalmente si associano all’attività aliena
sul nostro pianeta. Mi sembrerebbe strano se questa attenzione fosse
riservata ai soli animali terrestri, tenuto conto del fatto che il mare
ospita anche molte specie di mammiferi, target preferenziale del
fenomeno delle MAM. Sperando che la cosa non finisca in nulla come
accade spesso, seguiremo per quanto possibile le notizie e le
comunicheremo prontamente. fonte: www.thewesternstar.com
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Esoterismo
pag.87
Operazione ODESSA:
una pagina nera
tra mito e realtà
© Sabina Marineo
www.sabina-marineo.net
Sabina Marineo
è nata a Venezia,
dove ha studiato
Lingue e
Letterature
Straniere e Lettere
e Filosofia.
In Italia ha
lavorato come
attrice di teatro,
traduttrice di pezzi
teatrali e autrice di
romanzi e racconti.
Attualmente vive a
Monaco di Baviera
in qualità di
autrice e
traduttrice. Storia,
Egittologia,
Mitologie e
Dottrine esoteriche
occidentali
costituiscono da
anni i suoi ambiti
di ricerca.
Sabina Marineo
Nel libro “Doch die Mörder
leben“ (“Gli assassini vivono
ancora”) il cacciatore di nazisti
Simon Wiesenthal racconta di
aver avuto tra le mani un
protocollo stilato nell’agosto
1944, il cui contenuto era – a dir
poco – incredibile:
"Nella primavera del 1946 un
ufficiale americano si presentò
alla nostra sede di Linz con un
pesante zaino e ne estrasse una
grossa busta blu.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
I documenti custoditi nella
busta, così disse, li aveva presi
ad un certo colonnello Keitel nel
campo di concentramento di
Ebensee, vicino a Bad Ischl.
Gli americani non avevano
notato, come del resto
nemmeno io, che si trattava di
uno dei documenti più
sorprendenti che mai fossero
caduti nelle mani degli alleati
alla fine della guerra.”
Il contenuto del protocollo
riguardava l’Operazione Odessa.
Verso la fine della Seconda
Guerra Mondiale, e cioè proprio
mentre un capitolo vergognoso
della storia stava per giungere
alla sua conclusione, iniziò
un’altra pagina nefasta:
l’Operazione ODESSA
(“Organisation Der Ehemaliger
SS Angehöriger” che significa:
Organizzazione degli ex-membri
delle SS).
Tenuto segreto per ovvie
ragioni, questo piano mirava al
trasporto del capitale
finanziario del Terzo Reich
all’estero e al contempo
all’espatrio clandestino dei
maggiori criminali di guerra
nazisti.
Personaggi dalla triste fama
come Klaus Barbie, Josef
Mengele, Adolf Eichmann e
Martin Bormann figuravano tra
i nomi di coloro che sarebbero
stati sottratti alla giusta pena e
avrebbero finito la propria
esistenza in qualche posto al
sole, nei panni comodi di
cittadini benestanti.
Klaus Barbie
Dopo la guerra, l’attività
dell’Odessa continuò per diversi
anni. Ignare di ciò, le vittime
dell’Olocausto speravano di
ottenere giustizia, mentre le
polizie internazionali operavano
instancabili in una corsa contro
il tempo, per riuscire a scovare e
ad arrestare gli assassini.
Evidentemente ciò non
impressionava per nulla alcune
delle personalità più in vista
della Chiesa.
Josef Mengele
Al contrario, vescovi e prelati si
premuravano di fornire sicuri
nascondigli ai latitanti.
In cambio incassavano denaro.
L’inquietante meccanismo del
progetto Odessa si era messo in
moto – così Wiesenthal nell’agosto 1944, nel salone blu
dell’albergo “Maison Rouge” di
Strasburgo.
Qui ebbe luogo in tutta
segretezza un convegno che non
aveva eguali nella storia.
Decine di gerarchi del Terzo
Reich, importanti industriali e
membri del servizio segreto
nazista SD si riunirono in
questa città francese al confine
con la Germania.
Credevano in una rinascita del
governo hitleriano dopo la fine
della guerra, rinascita che il
patrimonio delle casse naziste
avrebbe dovuto
abbondantemente finanziare.
Banche svizzere e argentine,
organizzazioni internazionali
come la World Commerce
Corporation avrebbero preso in
consegna e più tardi investito i
miliardi del capitale accumulato
in Germania, tenendo conto che
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
una parte di esso sarebbe stato
impiegato subito per
organizzare la fuga dei capi SS
ed assicurarne le future
esistenze.
Le mete previste erano in prima
linea USA, Canada, Argentina,
Marocco, Spagna, Bolivia.
Simon Wiesenthal si diceva
convinto che esistesse un’unica
organizzazione internazionale
alla base di questo traffico
infame: l’Odessa.
E l’autore inglese Frederick
Forsyth contribuì con il suo
thriller “Dossier Odessa” alla
diffusione di tale teoria.
Oggi, grazie al paziente lavoro di
giornalisti come l’argentino Uki
Goni, si tende invece a
considerare la teoria di
Wiesenthal un mito.
Ma… solo fino ad un certo
punto.
Alla luce di un’indagine durata
sei anni e condotta in archivi
europei e americani, Goni
sostiene che non si trattò di
un’unica organizzazione
centralizzata, bensì di diverse
reti indipendenti l’una dall’altra
che però avevano tutte uno
scopo comune: aiutare i
criminali nazisti a fuggire.
Inoltre il suggestivo scenario
dell’incontro che sarebbe
avvenuto nell’agosto 1944
all’albergo “Maison Rouge” non
appare verosimile.
I magnati che vi avrebbero
preso parte, tra cui i giganti
dell’acciaio Thyssen e Krupp e il
re dell’industria del carbone
Kirdorf, in realtà non possono
essere stati a Strasburgo nel ‘44.
Thyssen si trovava allora nel
campo di concentramento di
Sachsenhausen, Kirdorf era già
morto sei anni prima e Krupp,
affetto da demenza senile, si era
ritirato un anno prima dalla vita
d’affari.
Comunque è sicura l’esistenza –
confermata dallo stesso Uki
Goni - di un percorso
internazionale fisso che rendeva
possibile ai nazisti l’espatrio.
Il percorso era suddiviso in
diversi itinerari, le cosiddette
“ratlines” (vie dei ratti) che,
partendo dalla città tedesca di
Memmingen, passavano
attraverso l’Austria e l’Italia.
Adolf Eichmann
Strade che portavano altresì da
un convento all’altro.
In questi luoghi di preghiera, i
nazisti venivano nascosti.
Indossavano la tonaca, si
armavano di messale e si
mescolavano ai frati come se
niente fosse.
Coordinatore delle ratlines in
Italia era il vescovo austriaco
Alois Hudal, un antisemita
fervente ammiratore di Hitler e
rettore dell’Istituto Pontificio di
Santa Maria dell’Anima, a
Roma.
Mentre l’arcivescovo Giuseppe
Siri, attivo a Genova, accoglieva
i fuggitivi e li aiutava a
imbarcarsi per l’America.
Agenti segreti inglesi e
americani, membri della Croce
Rossa e impiegati degli uffici
d’immigrazione provvedevano a
fornire i passaporti falsi e i visa
necessari all’espatrio.
Nel 1947, le attività poco
ortodosse di monsignor Hudal
minacciarono di venire alla luce
e si provvide subito a
sospenderlo dall’incarico.
Ma la fuoriuscita dei nazisti
continuava.
Considerando questi gravi dati
di fatto, la domanda
sull’esistenza di Odessa passa, a
mio avviso, in secondo piano.
Che un’unica organizzazione
con tale nome sia realmente
esistita o che vi siano state
invece più reti attive incentrate
su di uno stesso scopo, non fa
molta differenza.
Il risultato rimane, più
inquietante che mai: migliaia di
capi nazisti sono riusciti a
dileguarsi all’estero e a passare
il resto della loro vita in
tranquillità, alcuni di loro
addirittura nel lusso.
Bisogna pensare che soltanto in
Argentina, con l’appoggio del
generale Juan Perón e di sua
moglie Eva – il cui personaggio,
oggi, è avvolto da un’aura di
dubbiosa santità -, hanno
trovato asilo almeno 300
gerarchi e migliaia di altri
iscritti al partito
nazionalsocialista.
All’inizio dell’Olocausto,
afferma Goni, l’Argentina di
Perón chiuse le porte ai
fuggiaschi ebrei, mentre dopo la
fine della Seconda Guerra le
aprì, segretamente, ai criminali
nazisti.
Perón seguiva un piano ben
preciso.
Il dittatore intendeva formare
un’élite d’ingegneri e scienziati
nazisti, uomini che avrebbero
potuto un giorno occupare posti
di rilievo nella politica
internazionale.
Tutto questo, naturalmente,
dopo la vittoria finale del Reich
contro il comunismo, sancita da
una terza guerra mondiale.
Per fortuna ci furono uomini
come Simon Wiesenthal,
provato dai campi di
concentramento, che decisero di
dare la caccia a questi
delinquenti.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Alois Hudal
Non per vendetta, ma per un
profondo senso di giustizia.
Famoso è il successo riportato
da Wiesenthal con l’arresto di
Adolf Eichmann.
L’Obersturmbannführer delle
SS era responsabile
dell’organizzazione globale della
deportazione di ebrei dalla
Germania e da tutti i territori
occupati.
Sulla sua coscienza pesavano le
morti di sei milioni di persone.
Eichmann fu colui che stipulò il
protocollo della Conferenza di
Wannsee, in cui si dibatteva la
“soluzione finale del problema
della razza ebraica”.
Nel 1945, dopo la fine della
guerra, Eichmann riuscì a
fuggire da un campo di
prigionia americano e visse per
un certo periodo nel villaggio
tedesco di Altensalzkoth, dove
lavorava come taglialegna
nascondendosi dietro la falsa
identità di Otto Henninger.
Nel 1950, con l’aiuto del
Vaticano e, in particolare, del
solito vescovo Hudal, fuggì
attraverso la ratline italiana in
Argentina.
Sotto la protezione del parroco
di Sterzing, si era rifugiato
dapprima in un convento
francescano di Bolzano.
Poi la Croce Rossa gli aveva
procurato un passaporto falso
con il nome di Ricardo Klement,
e infine a Genova era riuscito a
imbarcarsi per l’Argentina.
Poco tempo dopo la famiglia lo
aveva raggiunto.
La cosa più incredibile è che già
nel 1954 sia il governo tedesco
che la CIA sapevano benissimo
che Eichmann viveva in
Argentina, conoscevano anche il
nome della località in cui egli si
trovava e la sua nuova identità,
ma non fecero nulla per
arrestarlo.
Per quale motivo?
È probabile che si sia temuto
uno scandalo internazionale in
grado di coinvolgere altri
personaggi politici di alto
livello.
La possibilità che durante il
Terzo Reich vi fossero stati dei
contatti tra Adolf Eichmann e il
noto giurista tedesco Hans
Globke costituì un ostacolo alla
cattura.
Globke, infatti, aveva
partecipato attivamente con il
governo nazista alla
compilazione di leggi e decreti
che interessavano il “problema
della razza ebraica”.
Alla fine della guerra, Globke
dovette ammettere di essere
stato a conoscenza dello
sterminio di massa del popolo
ebreo.
Eppure questo non gli impedì di
assumere, negli anni ’50 e nella
Repubblica Federale Tedesca,
addirittura la funzione di
segretario del cancelliere di
Stato Konrad Adenauer. (sic!)
È chiaro che, qualora Eichmann
fosse stato arrestato dai servizi
segreti e durante gli
interrogatori avesse fatto delle
deposizioni imbarazzanti nei
riguardi di Globke e delle
implicazioni di quest’ultimo
nella politica hitleriana, il
governo tedesco si sarebbe
trovato in una situazione
oltremodo scabrosa.
Dunque si preferì ignorare le
voci che denunciavano le
attività del segretario di Stato a
favore del partito
nazionalsocialista e anzi si
smentì a priori qualsiasi
possibilità di contatto diretto tra
lui e Eichmann.
E si lasciò scivolare Eichmann
nel dimenticatoio.
Soltanto nel maggio 1960,
grazie alle indagini di Simon
Wiesenthal che individuò il
domicilio argentino del nazista,
Eichmann fu rapito sotto casa
da agenti del MOSSAD che lo
condussero in Israele.
Qui fu sottoposto a processo.
Simon Wiesenthal
Nonostante si rifiutasse sino
all’ultimo di ammettere i propri
crimini, lo si giudicò colpevole e
lo si condannò alla pena di
morte.
Il 31 maggio 1962 Adolf
Eichmann fu impiccato nel
carcere di Ramleh.
Finalmente, dopo la morte di
Eichmann, il giornalista tedesco
Albert Norden, attivo nella
Repubblica Democratica
Tedesca e acceso comunista,
istituì una campagna contro il
giurista Hans Globke, intesa a
dimostrare la delittuosa
collaborazione di questi con il
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
regime del Terzo Reich.
Processato in Germania, Globke
fu condannato all’ergastolo.
Anche Josef Mengele, detto
“angelo della morte”, era
riuscito a fuggire in Argentina.
Il dottor Mengele aveva
condotto terribili esperimenti
medici nel campo di
concentramento di Auschwitz
servendosi di zingari e detenuti
ebrei.
Aveva inoltre mandato ben
40000 persone nelle camere a
gas. Anche Mengele, come
Eichmann, seguì la ratline
organizzata dal Vaticano che
conduceva da Sterzing a
Genova, dove s’imbarcò con un
passaporto fornitogli dalla
Croce Rossa.
Il suo nome falso era Helmuth
Gregor.
Nel 1949 giunse a Buenos Aires,
più tardi si stabilì in Paraguay e
in seguito in Brasile.
Nel 1960, al MOSSAD mancava
poco per catturare Mengele, ma
gli agenti israeliani si trovarono
di fronte ad un dilemma: se lo
avessero arrestato, avrebbero
messo in allarme Eichmann che
si sarebbe dato alla fuga.
Dunque optarono per la cattura
di Eichmann e persero
purtroppo di vista Mengele.
Quest’ultimo morì in Brasile nel
1979, colto da un malore mentre
faceva il bagno.
Klaus Barbie, capo della
Gestapo a Lione, fu
soprannominato “il macellaio di
Lione” per le crudeltà da lui
operate nella città francese.
Violente orge, torture,
deportazioni di bambini ed
efferati massacri erano stati i
tragici frutti della sua malvagità.
E tuttavia anch’egli riuscì a
fuggire, nel 1951, in Bolivia.
Il suo nome falso era Klaus
Altmann; la rotta che seguì,
ancora una volta, una ratline.
Barbie fu accolto dal governo
boliviano a braccia aperte e
lavorò per il Ministero degli
Interni come consigliere del
dittatore Suaréz.
Agli inizi degli anni ’70 i servizi
segreti riuscirono a scovarlo,
però l’operazione di cattura fallì.
Tredici anni dopo, sotto il
governo democratico del
presidente Zuazo, s’intraprese
un secondo tentativo che questa
volta andò a segno.
Fu estradato in Francia,
processato e condannato
all’ergastolo.
Morì di cancro nel carcere di
Lione, nel 1991.
Un triste bilancio, che potrebbe
continuare per decine di pagine
accompagnato da analoghe
condizioni di fuga, dalle
medesime ratlines, e dagli stessi
taciti aiutanti - per non usare il
termine sicuramente pertinente
ma più accusatore di “complici”.
Rimane una domanda
scottante: che cosa spinse il
Vaticano a collaborare alla
fuoriuscita di questi criminali?
Si può parlare di movente
umanitario?
Perché questa è la motivazione
addotta dai ministri della
Chiesa.
Una giustificazione alquanto
vacillante e incomprensibile,
giacché non si può definire
“azione umanitaria”
l’estradizione di pericolosi
criminali, uomini privi di
scrupoli che hanno torturato e
mandato a morte migliaia – se
non milioni! – di persone
innocenti.
Uomini che continuavano a
propagare idee razziste e che
potevano nuocere ancora.
Purtroppo la Chiesa, se in un
primo momento non si
mostrava propensa a sostenere
il movimento nazionalsocialista
perché quest’ultimo fondava
religiosità e filosofia di vita sul
paganesimo germanico, in un
secondo tempo mutò il proprio
atteggiamento.
Riconobbe ben presto negli
esponenti fascisti un potente
punto d’appoggio contro il
pericolo dell’ateismo comunista.
Una scelta, quindi, non certo
dettata dal movente umanitario,
ma da una “necessità”
esclusivamente politica.
In parole povere: il Vaticano era
pronto a scendere a patti col
diavolo pur di salvare l’esistenza
della Chiesa.
Il giornalista Uki Goni afferma:
“Per il Vaticano e i servizi
segreti degli alleati il
salvataggio di collaboratori
nazisti e criminali SS era parte
di un comune programma
anticomunista.(…) Cardinali
come Montini – il futuro papa
Paolo VI – erano il cervello
dell’organizzazione di espatrio.
Vescovi e arcivescovi come
Hudal, Siri e Barrere
spianavano la via ai
procedimenti burocratici.
Sacerdoti come Draganovic,
Heinemann e Dömöter
firmavano le richieste di
lasciapassare.
Di fronte a queste prove
inconfutabili, c’è da chiedersi se
papa Pio XII fosse al corrente
di tali manovre.”
Cardinale Giuseppe Siri
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Inoltre, durante un’udienza
Una domanda estremamente
privata con l’ambasciatore
imbarazzante, quella di Goni.
tedesco Bergen, il papa
Tanto più che, sin dal 1933,
manifestava “il suo pressante
personalità religiose importanti desiderio di pace tra Chiesa e
del Giudaismo indirizzarono
Stato”.
missive a Pio XII, affinché egli
In questo senso una forma di
condannasse pubblicamente le
governo dittatoriale non
persecuzioni hitleriane.
disturbava affatto il pontefice,
Eppure Pio XII non reagì.
“dato che la Chiesa non era
Al contrario.
tenuta a scegliere tra un
Nel 1939, in occasione di un
sistema politico e un altro.”
incontro con alcuni cardinali
Sono dichiarazioni incredibili
tedeschi, egli ribadì la propria
che pesano negativamente sulla
aderenza al Concordato
storia della Chiesa, soprattutto
stipulato con il Reich,
se lette nel contesto
dichiarando: “Il mondo deve
dell’Olocausto.
riconoscere che abbiamo fatto il Il silenzio di papa Pio XII è
possibile per vivere in pace con ancora oggi materia di dibattiti,
la Germania.”
tema scabroso di pubblicazioni
e conferenze.
Che sarebbe successo se il
pontefice avesse parlato per
tempo?
Se egli avesse condannato
apertamente, dinanzi al mondo
intero, le malefatte naziste?
Se si fosse coraggiosamente
schierato dalla parte del Bene,
contro la follia diabolica di
Hitler?
Un atto del genere avrebbe forse
potuto evitare gli orrori
dell’Olocausto?
[email protected]
Alla ricerca di uno dei più misteriosi e
controversi enigmi dell’antichità: l’eresia dei
templari, attraverso inedite rivelazioni sulla
ricerca del Graal e la vera identità della
Maschera di Ferro.
L’Eresia templare offre un contributo insolito e
molto originale al dibattito sulle rivelazioni
storico-religiose dell’inizio dell’era cristiana,
ricomponendo un puzzle storico estremamente
complesso, basato sull’incredibile mistero
contenuto nella storia dei Templari.
L’autrice si addentra in un labirinto fatto di luci
e ombre che porta a svelare l’identità del Gesù
storico e di quello leggendario, e di coloro che
lo hanno accompagnato. Non mancano nuove
rivelazioni, tra cui spicca la figura della
Maschera di ferro.
Un libro che è un po’ un saggio e un po’ un
thriller, in cui i protagonisti (Giovanni Battista,
Giacomo, il Priorato di Sion, Qumran, i Vangeli
apocrifi, il Sacro Graal e i Cavalieri del
Tempio) non mancheranno di svelare aspetti
nascosti, raccontati dalla voce accattivante di
una scrittrice appassionata.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Lo Spazio dell’OTTAVA
pag.93
La storia Millenaria
dei Cerchi nel Grano
(Parte Seconda)
Cerchio di luce concentrica riflesso dal rosone centrale sul pavimento del labirinto
Michele Proclamato
Esce il “72” sulla ruota
dell’Aquila
Avevo dei numeri, delle date,
degli eventi, dei personaggi, un
fenomeno assiale e una basilica
ma continuavo a brancolare nel
buio più assoluto dei miei
perché.
Soprattutto il mio vivere
quotidiano ormai aveva subito
un sostanziale contraccolpo da
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
ciò che ormai stava diventando
una ragione di vita.
Finalmente, dopo mesi di
affannose letture, spesso senza
un’apparente logica, mi resi
conto di come, sempre quel
rosone, avesse una ragione
d’esistere direttamente collegata
al Sole.
Il 21 Giugno infatti al Solstizio
(F6a) “esso” veniva riassunto e
riflesso all’interno di una zona
della basilica definita
impropriamente “Labirinto”,
presente fra la Navata e il
Transetto della basilica.
F6a
Pensai quindi che, forse il senso
della presenza precessionale nel
rosone potesse essere
compiutamente “capito”
studiando e interpretando in
qualche modo quella zona in cui
il suo riflesso veniva ospitato.
“Era giunto il momento di
entrare nella casa di Celestino”.
Dovete sapere che da tempo
possedevo una foto del
Labirinto (F 7), che
ostinatamente avevo
dimenticato in un cassetto, ma
trovarsi di fronte realmente a
quei 6 “cerchi” intimamente
uniti e bicolori, nell’assoluto e
assordante silenzio di
Collemaggio vi assicuro è
un’esperienza inattesa, intensa,
quasi sofferta.
F7 Labirinto di Collemaggio
Quei quasi cinquanta metri
quadri, contraddistinti solo da
cerchi concentrici, almeno così
mi apparivano in quel
momento, sapevo essere la Culla
del mio rosone, ma non sapevo
che tipo di significato potessero
avere nell’economia conoscitiva
dell’evento solstiziale.
Dovetti quindi anche questa
volta trattenermi a lungo sulle
panche che proditoriamente
occupavano il luogo, prima di
capire come e cosa avrei fatto
per portare avanti i miei futuri
studi.
Fino a quando, quasi disperato,
decisi una “mossa” a me per
primo inaspettata: volli a tutti i
costi “misurare” il Labirinto.
Ero conscio di volere qualcosa
di assurdo poiché sicuramente il
sistema metrico utilizzato per
edificare la basilica non avrebbe
potuto coincidere con un’unità
di misura come il “metro”, la cui
storia si era conclusa, come
unità di misura universalmente
condivisa, solo nel 1969, ma
sentivo di non avere altre strade
per giungere a qualsivoglia
conclusione.
Riuscii quindi nell’impresa di
spostare le sempiterne panche
grazie all’aiuto del direttore
delle Belle Arti locali, il quale
condivise le mie accurate
misurazioni con lo sguardo
accondiscendente di chi
esaudisce l’ultimo desiderio di
un “condannato” alla follia pura.
Come se avessi rubato alla
storia stessa qualcosa di
terribilmente importante, giunsi
a casa trafelato, e senza indugio
cercai di dare logica alla mia
azione analizzando le misure
prese con così tanta caparbietà.
Il risultato mi lasciò a dir poco
basito, poiché tutti e 6 i Cerchi
presenti nel Labirinto,
presentavano un diametro di 2
metri e 88 centimetri, mentre
gli spazi intermedi tutti
riportavano una misura di 1
metro e 44 centimetri.
Com’era possibile?
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
In quel momento la cosa mi
sconvolse, ma documentandomi
venni a sapere che molte erano
le cose inspiegabili sulla Terra
quando ad essere coinvolti
erano frazioni o multipli del
numero “72”.
Per esempio migliaia di anni
prima che l’uomo “riscoprisse”
la Longitudine, qualcuno, aveva
disposto su tutto il globo opere
enigmatiche come Ghiza,
Stonhenge, Angkor, ecc.
secondo riferimenti
longitudinali rappresentanti
multipli o frazioni di 72 .
Come se non bastasse, sempre
multipli o frazioni del valore in
questione apparivano in tutti i
testi sacri del mondo, mentre,
come il professor Santillana
aveva ipotizzato nel suo libro “Il
Mulino d’Amleto”(1969), gli
stessi, potevano essere “un
modo” per ricordare, terribili
eventi, occorsi alla terra e al suo
illustre ospite nell’alternarsi
delle ERE Precessionali.
Se poi si aggiungeva il fatto che
la fisiologia stessa dell’uomo è
numericamente precessionale
(normalmente utilizziamo in
media 26000 atti respiratori al
giorno, sostituiamo il tessuto
epiteliale intestinale in 72
giorni, nasciamo con un peso
medio neonatale di 2 chili e 600
grammi, l’ampiezza massima di
un gesto atletico non può
superare i 72 gradi ecc.) il
quadro Solstiziale del mio
rosone all’interno del Labirinto,
poteva delinearsi in quel
momento, semplicemente
“CAOTICO”.
Oggi quando ripenso alla
bellezza scompaginata di quelle
ricerche mi rendo conto di
quanto esse fossero felici e
fortunate soprattutto ora che
metri e metri di detriti
occupano quel meraviglioso
luogo, ricettacolo sferico di un
sapere senza tempo (F8).
Volete sapere perché?
Per un semplicissimo motivo,
nel “sapere” dei Crop nulla può
esistere, compreso il TEMPO,
senza una chiara suddivisione
frazionaria di tipo maschile e
femminile.
Tutto ciò che ora ostinatamente
è numero vedrete diventerà
geometria, suono, luce, tempo,
F8 Le rovine di Collemaggio dopo il
dna, ma soprattutto “sentire” un
Terremoto del 6 Aprile 2009
sentire in grado di giustificare
uno straordinario Universo
Lo so, sicuramente tutti questi
ordinato, figlio di un DIO
numeri potranno procurarvi un stupendamente androgino,
malcelato disappunto, se non un capace di ospitare molte più
chiaro malessere, ma vorrei
intelligenze di quante siamo
sapeste che uno dei modi con
abituati solo ad immaginare.
cui i Crop “parlano” sono
Passato il fastidio numerico?
proprio i “Numeri”, spesso
Lo spero perché, la mia corsa
celati da meravigliose
conoscitiva avrà anche un
geometrie.
andatura sostenuta, ma del
Concedetemi un esempio ,
tutto simile a quella dei
quello della foto numero 9.
gamberi, in quanto la Lista dei
RE ci sta ancora aspettando per
aprirci le porte del mondo dei
Crop.
Lo stesso Leonardo da Vinci
condusse esperimenti in merito
sottoponendo la sabbia a
determinati suoni, ed
osservando come essa fosse in
grado di disporsi spesso
interpretando un repertorio
geometrico presente in molti
simbolismi esoterici.
Vero era che tali studi erano
passati di mano in mano
perfezionandosi nei secoli, fino
ad arrivare al 1969, anno in cui
Hans Genny riuscì ad ottenere
dei risultati sperimentali
estremamente significativi tanto
da costringere anche il mondo
accademico a considerarli.
In tale ambito anche l’acqua fu
sottoposta a determinate
frequenze appartenenti a note
musicali ben precise.
In quel contesto apparvero
alcune foto riguardanti la
reazione di “una” goccia d’acqua
esposta ai cicli di un DO (F 10).
La goccia del sapere
I dati in mio possesso
cominciavano a diventare
rilevanti, fra questi mi colpiva il
fatto che secoli prima di
Einstein qualcuno, e sappiamo
chi, era stato in grado di unire il
F9
tempo Precessionale allo spazio
costruttivo di un luogo sacro
Anche voi state osservando 18
come il Labirinto.
cubi avvolti dalle spire
Restava comunque il problema
concentriche di 144 triangoli.
di stabilire di cosa
Ebbene scomponete ancora
effettivamente mi stessi
questa immagine in lati, potete
occupando con tanta frenesia
farlo ve lo assicuro, avrete 216
indagante, poiché
lati per i cubi e 432 lati per i
effettivamente in “mano” avevo
triangoli.
solo una sequenza numerica.
Nuovamente osservate i dati
Questa volta venne in mio aiuto
ottenuti, non vedete forse lo
la Cimatica.
stesso processo numerico pari a
Come molti ormai sapranno,
1/3 e 2/3 applicato per il
con questo nome, viene
Rosone aquilano?
designata un tipo di scienza
Ebbene in questo caso le Braccia
semiufficiale la quale ormai da
e i Mezzibusti, sono diventati
tempo studia come il SUONO
palesi riferimenti temporali alle
sia in grado di interagire con la
Ere Precessionali con un
Materia.
frazionamento ben preciso.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
F10 La Goccia d’Acqua
Una di quelle foto mi colpì
terribilmente in quanto
nettamente si poteva desumere
come la conformazione assunta
dall’acqua in quell’occasione,
rispettasse fedelmente la
struttura di un Rosone, anzi,
esattamente come il Rosone da
me codificato, era possibile
scomporre quel rosone acqueo
ottenendo gli stessi riferimenti
numerico-temporali dell’Asse
Terrestre.
A quel punto dedussi che molto
probabilmente non era la
congiunta attrazione luni-solare
a dettare l’ellisse assiale del
nostro pianeta ( F11) ma
qualcosa di diverso, forse
qualcosa di simile più a un
suono o più suoni, inoltre era
ormai chiaro che i Rosoni tutti e
senza tema oltre a parlare
numericamente, potevano
rappresentare con chiarezza,
“frequenze” sonore ben precise,
in un momento del sapere
umano, universalmente
accreditato come dei più oscuri.
Ancora una volta una sola
immagine mi chiarì mesi e mesi
di letture ed elucubrazioni.
Da essa infatti si evinceva come
i 68 tasti appartenenti alle
OTTAVE fra i Bassi e gli Acuti
avessero un livello in cicli ben
preciso.
Potete immaginare quale fu la
mia meraviglia quando
constatai come il RE della prima
OTTAVA fra gli Acuti fosse in
grado di palesarsi a 288 Hz (F
12) dopo aver considerato come,
di nuovo un RE, nella seconda
OTTAVA, fra i bassi, fosse in
grado di vibrare a 72 Hz.
F11
Precessione degli Equinozi
Chiaramente dentro di me si
fece strada l’idea che la
progressione numerica a cui
tanta passione conoscitiva
stavo dedicando, forse poteva
indicare una sorta di scala
vibrazionale in Hertz.
Forse tutti quei numeri non
erano altro che “suoni”.
Forse il piccolo Eremita aveva
nascosto nelle sue date qualcosa
di estremamente importante
per l’umanità.
F12a
Un RE della prima OTTAVA fra gli
Acuti
per ospitare un matrimonio
solare d’eccezione.
Non tardai, sincronicamente, ad
esaminare vari testi dedicati
alla figura anche esoterica del
grande Pitagora.
Appresi quindi che centinaia di
anni prima di Cristo il maestro
si rivolgeva ai suoi adepti, i più
stretti e leali, proponendo una
“spiegazione” alla nascita
dell’Universo e quindi della
materia, che nulla aveva da
invidiare alle più moderne
teorie quantistiche.
Non solo, elaborava il suo
insegnamento proponendo una
vera e propria TEORIA del
TUTTO fatta di vibrazioni o
suoni ben precisi.
Egli infatti in terra calabrese, in
quel di Crotone, affermava che
DIO aveva CREATO tutto ciò
che vediamo attraverso
pochissimi intervalli musicali
esattamente “CINQUE”, tutti di
QUINTA (F13).
F13
L’intervallo di Quinta
Divorato dalla curiosità dovetti
Dal pianoforte di Celestino
in fretta e furia documentarmi
alle Tre Ottave di Pitagora Ora potevo aver le prove di
con grande umiltà a quel mondo
come tutto ciò che Celestino V
del “suono” a cui appartiene la
aveva fatto durante il suo
musica terrestre, per poter
Per la prima volta potevo
Papato
era
stato
dettato
da
un
capire cosa fossa un intervallo
dirigere il mio intuito, come la
sapere strettamente collegato
di Quinta, da cui: data una
mia ferrea volontà verso un
alla codifica di un “suono” dalle corda vibrante e divisa in TRE
argomento ben preciso e non
caratteristiche, come appurai,
tardai a scoprire altri aspetti
parti uguali pari a 1/3zi , 2/3zi
camaleontiche.
“musicali” degni di nota.
e 3/3zi, l’intervallo in questione
Ma
in
questo
contesto
rappresenterà esattamente i
Riuscii infatti ad entrare in
vibrazionale quale era l’effettivo 2/3 della stessa.
possesso di un uno studio
Se si applica tale intervallo ad
vibrazionale capace di decifrare peso conoscitivo del Labirinto?
Cosa
poteva
rappresentare
una OTTAVA avremo un salto di
gli Hertz emessi da ogni tasto di
quella multipla simbologia
QUINTA calcolando la distanza
un pianoforte classico.
sferica visto che era stata scelta posta fra il DO e il SOL.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Di conseguenza CINQUE
intervalli da 2/3zi erano,
secondo PITAGORA, la matrice
creativa di tutto, un tutto che,
sempre il mondo della musica,
agevolmente sintetizzava
attraverso un numero di
OTTAVE ben preciso, TRE per
la precisione, così graficamente
riassunte: 888.
Volendo essere precisi CINQUE
QUINTE non erano esattamente
TRE OTTAVE, musicalmente
parlando, ma la simbologia
utilizzata nella descrizione del
sapere pitagorico, mi permise di
vedere ciò che fino ad allora non
avevo visto, ma solo “intuito”.
Ore e ore trascorse, spesso
seduto, sulle panche di quel
Labirinto non mi avevano dato
la giusta visione d’insieme, che
ora come un fulmine
attraversava la mia mente.
Raggiunsi immediatamente
Collemaggio, attraversai
lentamente la navata centrale,
fino a quando le RIVIDI, dopo
averle viste, ignaro, migliaia di
volte, le rividi immobili,
splendidamente silenziose,
pronte a riparlare, dopo
centinaia di anni, di una Scienza
solo apparentemente dimentica
dall’uomo.
Quei 6 CERCHI intimamente
uniti non erano altro che TRE
OTTO, TRE OTTAVE (F14)
offese da secoli da quegli
ingombranti sedili, TRE OTTO
rappresentanti la
testimonianza, falsamente
muta, di una scienza in grado di
dare alla Creazione una
spiegazione praticamente
sconosciuta al nostro sapere
ufficiale.
F14
Il Labirinto
Pitagora probabilmente doveva
il suo sapere alla stessa radice
conoscitiva che io stavo
riscoprendo.
Non che le cose a quel punto mi
fossero più chiare ma almeno
certe simbologie, come quelle
dell’OTTO avevano ora più
senso, soprattutto ripensando ai
vescovi eletti da Celestino o al
cuore del Rosone centrale di
Collemaggio, era come se il
piccolo Eremita volesse voluto
sottilmente dire a tutti che DIO
era probabilmente un grande
direttore d’orchestra capace di
utilizzare un’ OTTAVA fatta di
note speciali in grado di vibrare
fino a TRE OTTAVE per darci
tutto ciò che vediamo.
Sembrava essere una
spiegazione “sonica” del creato,
che comunque non mi
soddisfaceva, volevo di più,
intuivo che molto ancora mi era
oscuro, mentre osservavo
incantato le meravigliose
geometrie del pavimento di
Collemaggio.
Sapete cosa mi ha scosso di più
nel momento in cui sono
rientrato nella basilica di
CelestinoV a poche ore dalla
Grande Scossa?
La POLVERE, una polvere,
ottusa, pesante, ingombrante,
inattesa, posatasi ovunque, e la
LUCE, meravigliosa,
abbagliante, penetrante, quasi
dimensionale, che oggi penetra
direttamente da tutta la zona
posta sul Transetto, crollata
completamente sulle TRE
OTTAVE.
Come se Inferno e Paradiso si
fossero dati appuntamento in
un unico luogo.
Scusatemi a volte quei momenti
ritornano prepotenti nella mia
memoria.
Ora ritorniamo a noi,
integrando quest’ultima mia
parte descrittiva con un
operazione piuttosto pratica in
grado di porre a disposizione
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
quello che ora è anche il
“vostro” sapere.
Osservate quindi la foto numero
15, è un Cerchio apparso alcuni
anni fa a Nuerstead in
Inghilterra, tenendo sempre
presente che i solchi che vedete
paralleli attraversare lo stesso,
sono quelli lasciati da un
trattore, giusto per rendersi
conto della sua grandezza e
della stupidità di chi per anni ha
detto e dice come i Cerchi siano
indubbiamente falsi, per i più
svariati motivi.
F15
Fatto?
Benissimo, ora penso riusciate
a vedere TRE OTTO congiunti
secondo DIREZIONI ben
precise.
Ora nuovamente andate con la
memoria al momento in cui il
ROSONE centrale di
Collemaggio si sposa al Solstizio
con il Labirinto.
Perfetto.
In quel momento le TRE
OTTAVE potranno ospitare un
SETTIMO CERCHIO.
Nuovamente osservate il
Cerchio inglese, ha Sette Cerchi
credo, di cui quello centrale
caratterizzato da un Fiore
particolare di cui parleremo.
Benissimo da questo momento
state osservando il Solstizio di
Collemaggio, consumato
all’interno del Labirinto,
riproposto in un prato inglese
attraverso un Cerchio nel Grano
definito ancora oggi un mistero.
State osservando la creatività
delle TRE OTTAVE completata
da un settimo cerchio, le cui
caratteristiche sferiche ben si
potrebbero riassumere
attraverso sette semplici note,
“DO RE MI FA SOL LA SI”.
State osservando il sunto
simbolico di una scienza in
grado di descrivere la creazione
in modi e sistemi
completamenti differenti dai
“Nostri”.
State osservando e di
conseguenza, utilizzando, una
parte del vostro cervello capace
di apprendere “senza
ufficialmente sapere”.
Forse vi state rendendo conto di
come da più di Settecento anni
da “noi” si facessero i Cerchi,
non nel Grano, ma nella pietra
solstiziale di un Labirinto,
all’apparenza sonico.
Ora potete capire perché
“probabilmente” un semplice
aquilano potrà dire la sua sui
Crop, ed essere ascoltato, in un
mondo di pseudo esperti a volte
piuttosto discutibili.
Volendo riassumere il tutto,
storicamente potremmo dire
che, se Carlo D’Angiò avesse
proposto l’immagine di
Nuerstead a Pietro da Morrone,
lui avrebbe sorriso e con il cuore
colmo di felicità avrebbe detto:
“Gioisci figlio mio, il sapere
della CREAZIONE è di nuovo
fra noi”.
Bè, se non proprio così,
qualcosa di simile.
[email protected]
Michele Proclamato ha iniziato i suoi
studi attraverso la riscoperta misterica di
alcuni monumenti della sua città,
L’Aquila. Dopo aver individuato nel
SAPERE dell’OTTAVA il cuore del sapere
esoterico, oggi presente in tutto il
mondo, ha scritto per le edizioni
Melchisedek le seguenti opere:
“Il Segreto delle TRE OTTAVE”,
“L’OTTAVA il Sapere degli DEI”,
“Il GENIO SONICO” e
“IL SEGRETO MILLENARIO DEI
CERCHI NEL GRANO”.
L’ULTIMO LIBRO DI MICHELE PROCLAMATO
Quando Le Stelle fanno l’Amore
Ossia: La Teoria Eterica del tutto
Quando, alcuni anni fa, ho iniziato la mia ricerca non avevo la più
pallida idea di dove questa mi avrebbe portato.
Durante il tempo trascorso, neanche tanto tra l’altro, ho pensato
spesso che tutto potesse finire, sono stato preso dallo sconforto,
dalla rabbia, anche derivata dalla contrapposizione tra il vivere
quotidiano, con tutti i suoi problemi e questa mia “febbre” che nasce
da dentro e che diventa sempre più forte, man mano che si delinea,
per me, il mio futuro.
Forse la mia forza sta proprio qui, nell’equilibrio tra l’essere umano a
tutti gli effetti e la capacità di andare oltre, di vedere ciò che, forse,
altri non vedono.
Più volte, dopo l’ennesima scoperta, ho temuto che non ci fosse più
niente dietro l’angolo, sentendomi quasi orfano di quella sensazione
così fantastica che mi porta a cercare, conoscere e scoprire, con
assoluta certezza, il filo conduttore.
Alcuni potranno pensare che io sia presuntuoso, ma non è così, o
almeno non è così che io vivo la cosa: dentro di me, dopo aver
ragionato, letto, assimilato, comparato, ma soprattutto essermi
posto una marea di domande, si materializza la risposta, la
soluzione, ed io, in quel momento, non ho nessun dubbio circa la sua
esattezza, è una certezza, direi, assoluta.
La mia presunta presunzione, si sposa, comunque, sempre, con la
voglia di conoscere ancora e mi spinge sempre più in là, ai confini
del sapere, ai confini del mio sapere, così, attraverso internet, stando
seduto sulla mia piccola sedia, alla mia microscopica scrivania,
viaggio e scopro nuovi personaggi e nuovi mondi senza fine, nella
speranza che un giorno, mi auguro molto vicino, magari questi
luoghi e questi personaggi potrò incontrarli davvero.
Mai e poi mai avrei potuto immaginare di passare da un rosone alle
superstringhe ed alle più recenti scoperte della fisica quantistica,
apparentemente non hanno nulla in comune ed invece no, e se
vorrete leggere questo libro, scoprirete il perché.
Ciò che apprendiamo ed elaboriamo dentro di noi è un processo
complesso, fatto di tantissimi infiniti passaggi, dei quali, a volte, non
siamo neppure totalmente consapevoli e così, attraverso le prime
scoperte numeriche, sono approdato a Leonardo da Vinci,
avvicinandomi al mondo della scienza.
La teoria del tutto nasce da quello che, oggi, ritengo essere, almeno
una parte, del mio compito: cercare di unire Esoterismo e Scienza.
E’ un compito difficile, ma io credo che i tempi siano maturi, le
barriere che si sono erette tra i due mondi, in effetti, non esistono, e
solo nella collaborazione tra i due, si potrà creare una nuova
possibilità per l’umanità.
Questo è quello che io spero, in cui credo e mi auguro che anche tutti
quelli leggeranno il mio libro avranno la possibilità di vedere il tutto
da un’altra angolazione, con altri occhi, più simili ai miei.
Quello che ardentemente spero, è anche che qualcuno, appartenente
al mondo scientifico, mi contatti, abbia voglia di scambiare con me
opinioni ed idee, poichè il confronto è sempre crescita.
Buona lettura a tutti
Michele Proclamato
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Documenti
pag.99
Amplificatori energetici
dell’antichità
2010 Domenico Dati
Coddu Vecchju interno camera funeraria
Domenico Dati
Risalenti a circa 3.700 anni fa
(età nuragica), sono strutture
presenti solo nell'isola di
Sardegna.
Costruite sulle linee
magnetiche della Terra dette
“ley line” si presentano come
un monumento funerario
caratteristico della cultura
nuragica.
Utilizzate come luogo di
sepoltura ed ossario
successivamente la tradizione
popolare sarda le ha definite
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
“domu'e s'orcu” ossia casa
dell'orco, poichè si pensava che
il grosso quantitativo di ossa
rinvenute al loro interno
fossero i resti dei banchetti di
un gigante.
Il nome è stato poi
italianizzato.
Si possono trovare in tutta la
Sardegna e attualmente quelle
conosciute sono 321.
Sono anche fonti di guarigione:
viene praticata la
“Gigantoterapia” rimedio per
dolori articolari e carenze
d'energia vitale.
Di particolare interesse sono
quelle di Capichera, nei pressi
di Arzachena (Li Longhi e
Coddu Vecchju).
Il monumento megalitico (vedi
schema a fianco) è composto da
una lunga camera funeraria
(7)(lunga dai 5 ai 15 metri ed
alta da 1 a 2 metri), che poteva
contenere un gran numero di
inumazioni, coperta da lastre di
pietra disposte
orizzontalmente.
La facciata è costituita al centro
da una grossa stele di pietra
(5)(molte volte alta anche fino
a 4 metri) disposta
verticalmente e ai lati da due
archi di stele (4)che formano
una specie di parabola
orientata verso il menhir(3).
Alla fine della camera funeraria
è posizionato un dolmen (8).
Per comodità prenderemo in
considerazione la struttura di
Coddu Vecchju
Schema di una Tomba dei Giganti dal
sito Reikinet.it
Coddu Vecchju interno camera
funeraria
Coddu Vecchju
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Video di Coddu Vecchju dal sito
neroargento.com
Teoria sulle Tombe dei
Giganti
La teoria che sostengo è che le
Tombe dei Giganti siano degli
amplificatori energetici per
risonanza, gli antichi che
l'hanno realizzata conoscevano
bene le energie magnetiche
della Terra e sapevano come
servirsene.
Secondo la legge del ritmo
elaborata da Pier Luigi Ighina
ho teorizzato che il corpo del
corridoio funebre (7) sia stato
realizzato e costruito in modo
da realizzare nei fatti una
spirale (come quella d'una
conchiglia).
APPROFONDIMENTO
Definizione di "Ritmo": Successione regolare con cui un
fenomeno si ripete nel tempo
Legge del ritmo di Pierluigi Ighina tratto da "I Segreti di Marconi":
"Il sole, o meglio l'energia solare nello scendere verso il globo terrestre
ha una rotazione destrorsa identica a quella osservata nella spirale
della lumaca.Tale movimento ha lo scopo di fare penetrare l'energia
solare all'interno della terra rendendola satura, ed in un secondo tempo
di rilanciare l'energia superflua nuovamente verso il sole tra mite il
magma interno che è nel centro della terra. Essendo questa energia una
riflessione, il suo moto rotatorio verso il sole sarà così in senso
contrario a quello antecedente. Queste due energie rotative contrarie
una dall'altra producono un ritmo costante. Dentro questo ritmo si
possono prelevare tutti i ritmi corrispondenti alle cellule delle materie
esistenti sul nostro pianeta."
ed inoltre (fonte www.ascensione.org) :
"Rapporti dell'energia con la materia
In genere l'energia magnetica penetra in tutte le materie esistenti nel
nostro pianeta ed in tutto il cosmo, quindi è impossibile poterla
schermare. Si può solo diminuire o aumentare la sua potenza, la sua
penetrazione o il suo assorbimento, con catene di materie più o meno
assorbenti.
L'energia magnetica non possiede una direzione propria, ma unita ad
una sorgente di energia magnetica luminosa può essere da
quest'ultima guidata."
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
La posizione della spirale che
realizza la costruzione consente
di raccogliere l'energia
magnetica solare positiva
(asiatico Yang o monopoli
positivi +) che viene
direzionata tramite la doppia
ala di 7 stele (parabola) (4)
verso il suo centro o punto di
fuoco dov'è posizionato il
menhir (3).
Il menhir a sua volta si satura
d'energia positiva che subisce
una inversione e riflessione, si
trasforma cioè in energia
negativa terrestre (asiatico Yin
o monopoli negativi -).
Quest'energia riflessa e
d'inversa direzione s'incunea
nel buco della stele centrale (5)
(vedi foto n.2) ed arriva a
colpire il dolmen (8) situato
alla fine del corridoio funebre.
Il dolmen a sua volta dovrebbe
saturarsi e l'energia subire
un'ulteriore inversione e
riflessione questa volta
tornando come energia positiva
chiudendo il processo
d'amplificazione/risonanza.
Possiamo concludere che :
Se si ci posiziona ad esempio
davanti al menhir (3) si viene
investiti principalmente da
energia solare positiva (Yang)
calda.
Se si ci posiziona davanti la
stele centrale l'energia vitale
viene equilibrata dallo scambio
delle due energie.
Se si ci posiziona davanti al
dolmen (8) si viene investiti
principalmente da energia
terrestre negativa (Yin) fredda.
Sembra inoltre che questo
gioco di rimpallo tipo “ping –
pong” tra saturazione e
riflessione sia l'unico modo per
ottenere naturalmente
un'amplificazione dell'energia
del ritmo sole (+) / terra (-)
(Yang/Yin).
[email protected]
Pierluigi Ighina
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Fonti:
http://www.reikinet.it/
http://www.uomoterra.it/
http://ighina.66ghz.com/
http://it.wikipedia.org/wiki/To
mbe_dei_giganti
http://www.neroargento.com/
page_main/tombe.htm
Ringraziamenti:
Si ringrazia il Sig.Alberto
Tavanti per i consigli, la
pazienza ed attenzione
dedicatomi.
Dichiarazione:
E' possibile copiare, duplicare e
diffondere il presente
documento.
Urbis Historia
pag.103
Gli emblemi di Maier
l’Atalanta fugiens,
i rosacroce e l’alchimia
alla corte di Praga
Michael Maier
Il giovane Arciduca Rodolfo d’Asburgo
Atalanta Fugiens frontespizio
Foto Wikipedia
Simonetta Santandrea
Nell’Europa rinascimentale
dei secoli XVI e XVII, alla
corte di Rodolfo II a Praga,
personaggi come John Dee,
Heinrich Khunrat e Michael
Maier, esponenti della
“tradizione ermetica”
contribuirono a rendere
fertile il terreno per lo
sviluppo del movimento dei
“Rosa-Croce”, corrente
filosofica che
tradizionalmente si vuole
originata da due anonimi
manifesti, la “Fama
Fraternitas”¸e la “Confessio
Fraternitas”, pubblicati a
Kassel per la prima volta
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
rispettivamente nel 1614 e
nel 1615.
I Rosa-Croce si servivano
dell’alchimia per accrescere
la loro conoscenza e purezza
interiore, usandola come
“Ars-Regia” delle
metamorfosi psichiche: il
movimento, attribuendo un
ruolo fondamentale all’Uomo
nell’Universo, secondo le
teorie neoplatoniche
rinascimentali che aprirono
indubbiamente il cammino
all’”Uomo”, ormai in grado di
operare mediante il suo
sapere scientifico, promosse
un vasto programma di
ricerche e di riforme in
campo scientifico e
soprattutto medico.
Il simbolo dell'ordine è una
croce con al centro una sola
rosa rossa.
Il termine designa uno stato
spirituale che corrisponde ad
una conoscenza d'ordine
cosmologico, che può avere
rapporti con l'ermetismo
cristiano: il concetto centrale
è doppiamente indicato dalla
Croce e dal cuore, mentre le
gocce di sangue che cadono
dalla piaga aperta nel costato
di Gesù Cristo si dispongono
a forma di rosa.
Esistono anche altre
interpretazioni del simbolo,
che si riferiscono
all'evoluzione spirituale
dell'uomo: la Croce ne
rappresenta il corpo fisico e
la rosa la personalità psichica
e mentale in sviluppo, come
la rosa che si apre
lentamente alla luce.
Michael Maier nacque nel
1568 a Rindsberg,
nell'Holstein, da una famiglia
di origine protestante (ma si
trovano anche notizie
riguardo un’origine ebraica).
Nel corso della sua vita,
comunque, Maier si
dichiarerà profondamente
cristiano.
Il Tempio della Rosa Croce,"
Teophilus Schweighardt
Constantiens, 1618
Dopo gli studi in medicina,
nel 1596, si laureò a Basilea,
luogo ancora intriso delle
teorie filosofiche del «magomedico» Paracelso; nell'anno
successivo conseguì la laurea
in filosofia a Rostock.
Nell'anno 1608 venne
chiamato dall'imperatore
alchimista Rodolfo II a
Praga, per ricoprire la carica
di medico di Corte.
L’inclinazione
intellettualistica e allo stesso
tempo «empirista» di Maier,
nonché il suo prediligere
tutto ciò che è «arcano» ed
«esoterico», stimolarono
notevolmente l'attenzione di
Rodolfo, appassionato
fautore delle «scienze
occulte», soprattutto negli
ultimi anni di vita, tanto che
Maier fu insignito del titolo
di Conte palatino e nominato
segretario privato
dell'imperatore.
Durante i quattro anni
precedenti la morte di
Rodolfo II, Maier ebbe modo
di assorbire la singolare
atmosfera della Corte, ancora
permeata dalle "teorie" di
John Dee, Tycho Brahe e
Keplero.
Dopo la morte di Rodolfo II,
Maier lascò Praga, intorno al
1612, per viaggiare attraverso
l'Europa.
Visitò più volte l'Inghilterra,
dove entrò certamente in
contatto con i più importanti
esponenti del
"neoplatonismo" alchemico.
Nel periodo 1617-1619 Maier
pubblicò il De Circulo
Physico Quadrato, opera che
si avvicina indubbiamente
alle concezioni fluddiane,
nonché la famosa Atalanta
Fugiens, importante libro di
"emblemi" in cui l'alchimia
spirituale è realizzata in
modo insolito.
Tornato in Germania, Maier
diventò medico di Corte di
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Maurizio d'Hesse, Langravio
d' Assia, entrando così in
stretti rapporti con la cerchia
dell'elettore palatino,
profondamente legato al
misticismo alchemico dei
Rosa-Croce, dei quali Maier
divenne indubbiamente uno
dei portavoce ufficiali.
Sorpreso a Magdeburgo dalla
guerra dei Trent'anni, Maier
scomparve nel 1622 senza
lasciare alcuna traccia.
La sua produzione letteraria
presenta opere di grande
interesse soprattutto per una
maggiore comprensione della
«tradizione-alchemica"
dell'era barocca.
Così tutte le sue opere, a
partire dalla prima Arcana
Arcanissima, del 1614, fino
alla Septimana Philosophica
o al Cantilenae intellectuales
de Phoenice redivivo,
entrambe del 1620,
presentano una particolare
forma di “misticismo” per lo
più a carattere
“neoplatonico”, espresso con
immagini simboliche intese
come una rilettura in chiave
sia ermetica che alchemica
del mito e della leggenda.
La stessa Atalanta Fugiens
propone l'uso della
"simbologia-alchemica"
come sostegno di un
“movimento” sia religioso
che spirituale derivante dal
"neoplatonismo" ermetico,
ossia una “nuova religione”
segreta, simile
indubbiamente a quella di
Giordano Bruno.
L’Atalanta Fugiens
rappresenta un unicum nella
storia dell' alchimia in
quanto si può considerare il
solo testo noto dove le arti
della «grafica», della
«poetica» e della «musica»
risultino strettamente legate
alla trattazione ermetica vera
e propria.
Il Libro di emblemi era un
particolare genere letterario,
del quale fu iniziatore
l'italiano Andrea Alciati e che
si diffuse in tutta Europa nel
corso del Rinascimento.
Un "emblema" era costituito
da un disegno simbolico,
accompagnato da un motto e
da una didascalia.
L'Atalanta ne contiene 50,
ognuno corredato da un
epigramma, seguito da un
canone musicale a tre voci
che accompagnano il testo e,
ancora, seguito, da un
discorso esplicativo.
Gli emblemi dell’Atalanta
sono 50. Orbene, il numero
50 indica la remissione dei
peccati ma pure la Grazia
dello Spirito Santo, ovvero la
Pentecoste.
Ogni canone (fuga) è poi
composto da 21 note, dove il
numero è simbolo solare.
Si deve tenere a mente che
molti esponenti
dell'entourage di Rodolfo II
si dedicarono allo studio
delle connessioni tra
“meccanica” e “musica”.
In questo periodo, infatti,
ebbe grande valore una
compiuta “teoria metafisica”
contenuta nell’ Harmonces
Mundi (opera pubblicata da
Keplero nel 1619): questa
“teoria” sulla “musica” fu
ripresa in modo interessante
dagli alchimisti, che la
considerarono atta a creare
quell'atmosfera propizia
occorrente per operare le
“trasmutazioni” dei metalli.
Maier, seguendo anche
queste “teorie” degli
alchimisti medievali, che
denominavano il loro
“magisterio” Arte della
Musica, divenne uno degli
esempi più importanti di
questa connessione musicaalchimia.
Nella Atalanta Fugiens già il
titolo sottolinea le valenze
musicali del testo, anche se a
prima vista esso non è che un
riferimento al mito della
ninfa Atalanta e del suo
pretendente Ippomene.
Atalanta, velocissima nella
corsa, sfida i suoi corteggiatori
a gareggiare con lei mettendo
in palio la sua illibatezza in
caso di vittoria, oppure il
sacrificio della loro vita in caso
di sconfitta. Ippomene vuole a
tutti i costi "congiungersi" con
lei, ma ha timore di fallire, di
perdere la scommessa e con
essa la vita.
Afrodite, Dea della percezione
cognitiva, accorre in suo aiuto
e gli dona tre mele d'oro da
disseminare lungo il percorso
allo scopo di attrarre la
curiosità della ninfa, abile
nella percezione rapida degli
elementi in gioco e curiosa di
scoprire tutte le "ultime
novità".
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Emblema XXVII Xilografia da
Atalanta Fugiens, 1617
La ninfa è sicura della vittoria
e concede a Ippomene un
certo vantaggio, sufficiente al
giovane per "collocare" le tre
mele lungo il "sentiero" (della
conoscenza di sè), riuscendo
così a "frenare" la corsa di
Atalanta e vincere la gara.
La vicenda è una metafora del
processo di evoluzione della
percezione psichica (la
velocità della ninfa) in
consapevolezza, conoscenza e
coscienza di sé (le tre mele
d'oro).
Il titolo della Atalanta
Fugiens, libro di emblemi,
allude quindi alla storia di
Atalanta che “fugge”, mito che
per gli ermetisti aveva
significato particolare, ma al
tempo stesso è un' allusione
alla parte «musicale" del testo,
basata su quella forma
musicale chiamata appunto
“fuga” (elaborazione
contrappuntistica di uno o più
temi).
Più precisamente Maier ha
usato “canoni musicali” a “tre
voci” ricorrenti in cinquanta
“fughe” che accompagnano
altrettanti emblemi; le une e
gli altri costituiscono un
insieme permeato di un
complesso simbolismo.
Gli emblemi presenti
nell'Atalanta Fugiens vanno
considerati indubbiamente i
più belli della "tradizione
ermetica", e sono da attribuire
quasi sicuramente al famoso
Matthaus Merian, abile
incisore svizzero.
Che si tratti di un libro di
“Emblemi Chimici"
riguardanti i segreti della
“Natura” è annunciato già nel
peculiarissimo frontespizio
dell'Atalanta Fugiens, dove
appunto Maier scrive:
Atalanta Fugiens, (traducendo
liberamente) ovvero Nuovi
Emblemi Chimici sui Segreti
della Natura, adatta in parte
agli occhi e all’intelletto
attraverso immagini incise su
rame con annesse sentenze,
epigrammi e note, in parte al
piacere dell’udito e alla
ricreazione dell’animo
attraverso circa 50 fughe
musicali a tre voci, delle quali
due corrispondono ad una
semplice melodia adatta ad
accompagnare dei distici
cantati, non senza un
singolar diletto nel vedere, nel
leggere, nel meditare, nel
capire, nel giudicare, nel
cantare, nell’ascoltare” (hoc
est Emblèmata Nova ne
Secretis Naturae Chymica,
Accommodata partim oculis
et intellectui, figuris cupro
incisis, adjectisque sententiis,
Epigrammatis et notis,
partim auribus et recreationi
animi plus minus 50 Fugis
Musicalibus trium Vocum,
quarum duae ad unam
simplicem melodiam distichis
canendis peraptam,
correspondeant, non absq,.
singulari jucunditate videnda,
legenda, meditanda,
intelligenda, dijudicanda,
canenda et audienda).
Maier, sintetizzando in sette
specifiche fasi il percorso
“ermetico” che “l’attento
lettore” deve idealmente
perseguire, si riferisce fin dal
frontespizio dell’Atalanta
Fugiens ai sette gradi del
magistero alchimistico.
Da notare inoltre come, in
questo frontespizio, così come
in altre sue esposizioni, tenda
ad usare il termine di “scienza
chimica” al posto di scienza
“alchemica”.
La «teoria» di Maier di una
«utopia» intellettuale
comprendente una totale
perfezione «cosmica»
rappresenta un caso unico
nella storia dell'alchimia; ed è
una teoria ancor oggi
verificabile assecondando le
intenzioni del «philosophusalchimista» Maier che sono
quelle di condurre il lettore
all'interno di una storia ad
episodi, partendo dal
«Frontespizio» dell'opera e
seguendo un percorso
«ideale» fino al suo interno,
dove appunto ogni singola
figura contenuta negli
emblemi, accompagnata da un
«brano musicale»,
corrisponde ad uno scopo ben
preciso: «parlare» un suo
proprio codice segreto
«simbolico-mitico-ermetico»
a chi vuole avventurarsi nella
sua esplorazione.
Il sogno del «medicoumanista» Michael Maier di
realizzare un mondo «ideale»
come quello descritto da
Johann Valentin Andreae
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
nella sua «utopistica» città di
Christianopolis, permea
l'intera composizione
dell'Atalanta Fugiens.
Ma il concetto maieriano di
una conoscenza «tout-court»,
prendendo forma nel
momento in cui stava per
nascere il moderno pensiero
scientifico, rappresentato da
personalità quali Francis
Bacon e Isaac Newton, era
perciò fatalmente destinato a
dissolversi, anche se
gradualmente.
E nonostante si cominci ad
avvertire nell' Atalanta
Fugiens la difficile situazione
storica del momento, nelle sue
pagine troviamo gli ultimi echi
di una atmosfera che conclude
un ciclo «ideale» di pensiero
filosofico: pochi anni dopo,
infatti, la guerra dei Trent'anni
distruggerà ogni speranza di
rinnovamento.
[email protected]
http://www.levity.com/alchem
y/atalanta.html: qui sono
presenti i 50 emblemi
dell’Atalanta Fugiens (in
inglese)
http://levity.com/alchemy/mus
ic.html: qui si possono ascoltare
18 delle 50 fughe, con relativi
emblemi ed epigrammi (in
inglese)
Ulteriori approfondimenti in
merito sulla rivista Abstracta,
nr.17, art. di S.Quattrone
Vita intelligente su Venere
pag.107
Venere chiama Terra:
qualcuno risponde…
2010 Matteo Agosti
Matteo Agosti
Il 28 ottobre 2009, un collega
freelance mi telefonò
comunicandomi:
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
“stasera il programma
Voyager di Roberto Giacobbo
parlerà di Venere” (fig1).
Figura 1
Figura 2
Matteo Agosti, reporter freelance from 1987. From 2010 writer on
book. Indipendent researcher, discoverer of intelligent life and
civilization on VENUS. My works comes from original files by Jpl
Nasa Web Site of Pasadena. Already I'have founded some important
elements on Mars, as artifacts, creatures & humanoids, clouds,
water and many other. And Venus? It's my greatest world news.
Venus is a planet with big megalithic buildings, castles, towers,
castle-towers, houses and life forms on little and maybe titanic
dimensions. About the venusian and martian contest, exist videodocument produced by Zablafter YouTube channel of my friends. At
this address http://de.youtube.com/user/zablafter you can see
venusian and martian video made with my pictures extracted from
original Nasa files.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Durante la visione del
programma, con sorpresa
appurai che il capitolo relativo
al secondo pianeta del sistema
solare, riguardava proprio la
mia ricerca: la mia faccia (sx,
fig2)” e alcuni dei miei
rilevamenti venusiani
apparvero in tv.
Mi rallegrai constatando che
l'esca venusiana che mesi fa
gettai al conduttore di Rai 2,
sembrava aver funzionato.
Non sempre però, il pescato
può rivelarsi del tutto
digeribile; su Venere, il menù
di Voyager proponeva due
ospiti: Enrico Flamini (Agenzia
Spaziale Italiana) ed un altro
che per motivi di privacy, cito
nell'articolo con lo pseudonimo
di “EGO”.
Giorni a seguire in sede privata,
il succitato freelance mi
domandò:
“nessuno ti ha avvisato che
avrebbero parlato della tua
scoperta?”;
risposi: no, non è accaduto.
“Ma è normale non essere
avvisati?
La tua ricerca, il tuo nome e la
tua foto li hanno visti molti
italiani”;
Non è prassi ed è scorretto,
avrebbero dovuto permettermi
un confronto con EGO, se non
altro per ridimensionare la sua
delirante opinione.
“Deluso?”;
“Un po' infastidito sì; tuttavia,
ringrazio egualmente
Giacobbo… quanto a EGO, su
YouTube è stato redarguito a
sufficienza grazie alla
collaborazione di Karl
Heimann (Zablafter Channel).
“Sei passato da Area di
Confine alla concorrenza che
nel 2009 hai lasciato,
perchè?”;
“Per ovvi motivi non posso
rispondere nello specifico”; nel
2008, da Area di Confine
dirottai per 6 mesi la mia
ricerca su un tabloid
fantascientifico (con 5 articoli)
del clan di EGO.
Fu un madornale errore che
ancora oggi non riesco a
perdonarmi, poichè la linea
editoriale non sposava il mio
tipo di ricerca; con i rischi del
mestiere, abbandonai il tabloid
per tornare (grazie a Giovanni
Francesco Carpeoro) in Acacia
Edizioni.
Un grazie anche Roberto
Pinotti, che ho citato (idem
Piccaluga) nel libro venusiano
che sto scrivendo e che dovrei
riuscire a pubblicare prima che
si concluda il 2010”.
Viste le domande del collega,
passo ai fatti del 28/10/2009:
Enrico Flamini (centro fig2),
con pacatezza descrive Venere
similmente ad astrofisici di
trent'anni fa, e nulla più che
possa aver sforato l'obsoleto
standard accademico della
“scienza ufficiale”.
Figura 3
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
L'altro intervistato (EGO, dx
fig2), durante la sua “oratoria”,
si dimena con assurde quantità
di ammoniaca, a suo dire
presenti nell'atmosfera
venusiana, quando invece detto
elemento, su Venere è
inesistente!
Per russi e statunitensi,
sarebbe il biossido di carbonio
l'elemento prevalente
nell'atmosfera (oltre il 95%),
dato su cui però, nutro non
poche perplessità.
Più volte mesi addietro, EGO
mi ringraziò congratulandosi
per la scoperta venusiana, ma,
durante l'intervista di Voyager
(successiva al rientro in Acacia
Edizioni) egli fa un
“dietrofront” discriminando la
mia ricerca con “opinioni” da
disinformazione.
Dalle sue parole emerse:
quelle strutture artificiali,
probabilmente sono un
“ERRORE” di lettura da parte
della sonda Magellano (fig3),
che avrebbe inviato sulla Terra
un segnale “DISTURBATO”,
causato dal fatto che Venere è
un pianeta piuttosto
“BURRASCOSO”.
Ma le burrasche, come noi le
conosciamo sulla Terra (o
tempeste su Marte), non sono
mai state registrate sulla
superficie venusiana, che
piuttosto, sarebbe soggetta a
sporadiche eruzioni vulcaniche.
Inoltre, azzardando la
tempestosa ipotesi di
“burrasche venusiane”, non
immagino come possano
manifestarsi a 90 atmosfere di
pressione (se realmente
esistono! Resto dubbioso).
Più saggio sarebbe stato,
ipotizzare un “segnale
disturbato” emesso dai
precedenti Lander sovietici
classe Venera 9-10 e 13-14,
approdati sulla superficie
venusiana nel 1975 e 1982; ma
anche detti Lander, se pur in
un tempo non superiore a 2
minuti, riuscirono ad inviare
sulla Terra immagini
soddisfacenti.
Inoltre, la sonda Magellano
non sostava sulla superficie di
Venere, ma orbitava intorno a
esso, inviando un segnale che
perveniva a Cape Canaveral in
tutta la sua magnificenza.
Detta sonda funzionava fin
troppo bene!
Riuscì addirittura a rilevare ciò
che si “nasconderebbe” tra le
crepe rocciose.
Ed è ancora un mistero irrisolto
come, da un giorno all'altro la
Magellano cessò di trasmettere
dati alla Nasa, scomparendo
dall'orbita venusiana senza
scientifiche ragioni.
I telescopi terrestri non
rilevarono più la sua posizione
orbitale, che dapprima, fu resa
sicura con test sulla Terra,
avente forza gravitazionale
poco superiore a Venere.
La sonda non poteva
schiantarsi al suolo, e la sua
scomparsa, rimane un
inquietante interrogativo.
Qualcosa di tangibile però
sappiamo, o almeno, questa è
la mia certezza.
All'orizzonte di Alpha Regio,
alcune delle stranissime
singolarità di fattura artificiale,
potrebbero trasmettere o
ricevere segnali di ignota utilità
(fig4).
Figura 4
Figura 5
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Durante la puntata di Voyager,
un episodio destò la mia
preoccupazione: nel preciso
istante in cui EGO citò ipotetici
“errori di lettura” della
Magellano (causati da
“burrasche venusiane”), al
posto della sonda, la regia
mostrò un tempestoso
attraversamento atmosferico di
Venere (simulazione 3D) da
parte del Lander sovietico
Venera 9, che in nulla riguarda
la sonda Magellano!
Immedesimiamoci: mentre una
voce (EGO) cita un “segnale
disturbato” (Magellano) in
“ambiente burrascoso”
(Venere), simultaneamente è
proiettata l'erronea immagine
del Lander Sovietico (fig5,
Venera 9) attraversante una
“tempestosa atmosfera
venusiana”.
Quale imput riceve un ignaro
osservatore in tale frangente?
Un messaggio distorto. A
puntata conclusa, chi ha
osservato e ascoltato,
concluderà con amici o
familiari che su Venere
esistono tempeste, e che nulla
esiste su cui indagare.
Perdoni lo stimato Giacobbo…
ma in questa maniera, un
osservatore attento potrebbe
gridare alla disinformazione;
nessuna accusa, è solo una
“svista” che, si sarebbe potuta
evitare con la consulenza del
diretto interessato.
Frittate a parte, il conto aperto
con la disinformazione rimane:
questa politica partorita e
diffusa dai mass media Usa, ha
contagiato il mondo e
sopratutto l'Italia, paese che
vanta l'alta classifica in fatto di
censure.
Quindi, diventa sempre più
difficile ottenere dai network,
quella trasparenza e coraggio
che tutti noi vogliamo.
Non dimentichiamo però, altri
grattacapi di ignobile entità:
internet e cellulari sotto
controllo (di chiunque), radiogiornali-tv all'insegna della
politica del terrore (scelsi di
NON vaccinarmi), burocrati e
politici specializzati nel
vendere parole per garantirsi
pensioni stellari, “giornalisti”
che fanno propaganda
uccidendo il giornalismo con
notizie filtrate, falsate e
distorte.
Obama con le pillole di Matrix
(rossa o blu), suggerisce:
prenderei quella per non
conoscere la realtà, perchè è
meglio non sapere” (no
comment).
Cìò conferma quanto ho
sempre sospettato:
là verità che ci circonda, è più
spaventosa di un incubo
notturno;
una verità che a mio avviso, va
cercata nel contesto ufo-alieno,
ove peraltro, MISTERO di
Enrico Ruggeri, complica le
cose con feti di coniglio abortiti
da una tremante “addotta”, che
innanzi la telecamera asseriva:
Enrico, ho paura a dire questa
cosa (più appetibile il silenzio);
“esperti ufologi” (mai sentiti
nominare) sbucati dal nulla,
foto di colossali falsi ufologici e
lunari, e poche immagini
genuine, in parte RAPINATE
dal canale YouTube Zablafter
del collega Karl Heimann
(complimenti).
Ha ragione Pinotti, occorre
derattizzare l'ufologia italiana,
e se lo Stato è d'accordo,
proporrei di utilizzare il
lanciafiamme.
A differenza di molti, non
inveisco contro Ruggeri, ma
piuttosto a chi gli propone
materiale da macero… gente
che in vita sua, senza aver mai
scoperto un sasso trae
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
conclusioni di stampo
hollywoodiano.
Di sassi su Venere c'è ne sono
molti, levigati e scolpiti a regola
d'arte (da “burrasche
intelligenti” si intende), tanto
da sembrare (alto fig6)
alienanti edifici o piattaforme
(basso fig6) grandi come una
portaerei.
Ieri senza antagonisti appariva
il cauto Giacobbo con Voyager,
rivaleggiato poi, da un Ruggeri
più spericolato (in tutti i sensi).
Non ne abbia il team ufologico
di Italia 1, ma ho la sensazione
che dietro le quinte di Mistero,
si aggiri l'ombra di qualcuno
avverso al veleno per topi.
Non faccio di tutta un'erba un
fascio, anche sull'altra sponda
qualche onesto ricercatore c'è!
Quindi, al fine di tutelare
l'informazione, consiglierei a
un'emittente (quale essa sia) di
chiamare in causa tutte le parti
(non solo una come oggi
accade) e ascoltare tutte le
campane.
Se ieri gettai l'amo a Giacobbo,
oggi potrei rilanciarlo a
Ruggeri, nella speranza di
assaporare notizie Marziane,
magari attinenti a l'Ossimoro
Marte di Ennio Piccaluga, al
Nibiru di Roberto Boncristiano,
all'esperienza di Roberto
Pinotti e… perchè no, alle
RICERCHE ERETICHE
“dell'esobiologo”(così un blog
mi definisce) Matteo Agosti?
Illustri colleghi quelli che ho
citato, di gran lunga più
blasonati del sottoscritto.
Colleghi che raccontano
scomode verità?
Che una scienza omertosa
troppo spesso ignora?
Ma allora, cos'è che spaventa di
più? Enormi teste a punta
(fig7) emergenti da una fossa
venusiana o morire soffocati
con la testa ficcata nella
sabbia?
Figura 6
Figura 7
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Meglio la conoscenza o
l'ignoranza?
Timore di un “virus letale” o
paranoia di essere manipolati
da nanotecnologie nascoste in
un vaccino?
Se la Bibbia non è eresia,
questa non è paranoia.
Il “marchio”, dovrebbe portarlo
tutta l'umanità, e senza di esso
non si potrebbe accedere al
supermarket.
Meditate gente.
Da secoli disperatamente
cerchiamo di capire chi siamo,
da dove veniamo o COSA
siamo, eppure, c'è sempre
qualcuno pronto a tapparci la
bocca e renderci ciechi.
Molti agiscono così per
proteggere la propria cattedra o
una reputazione gorda di
mentalità conservatrice (es:
Zahi Hawass), propria di
ortodossi incollati a schemi
mentali da inquisizione.
Ma come fa un programma tv,
ad accettare e proporre
l'immagine di una città lunare
(fig8) creata con photoshop?
E' un coraggio che non accetto.
Ben altro coraggio invece,
occorrerebbe per comunicare:
Gentili telespettatori, sta per
andare in onda il programma
“I sassi di Venere hanno gli
occhi” (fig9).
Trent'anni fa o poco meno, una
giovane Band varcava la soglia
di una agenzia fotogiornalistica in via Mario
Giuriati a Milano; si
chiamavano “Decibel”,
capitanati da una voce
coraggiosa che cantava…
“Contessa”, una hit resa celebre
dal loro cantante Enrico
Ruggeri.
All'epoca l'artista, era
considerato un personaggio
innovativo e promettente,
certamente non privo
dell'intraprendenza che serviva
per sfondare sul vinile.
Dentro lo studio ad attenderlo,
mio padre, un certo “Ghigo”.
Proprio lui, che mezzo secolo fa
cantava “co-co-co-cococcinella”, un sincopato vocale
emulato dal “co-co-co
contessa” di Ruggeri.
Io ero lì, che osservavo e
carpivo, mentre mio babbo
immortalava i Decibel con le
sue reflex.
Più o meno ero quattordicenne,
in un apprendistato fotografico
che, oggi, mi regala
apprezzabili frutti in analisi
grafica, perlopiù Nasa.
Se occorre coraggio nella
musica, quanto più coraggio
occorre per parlare in tv di
Abduction, e più ne occorre per
tendere la mano a chi esprime
disaccordo nel vedere cose che,
rovinano il lavoro di altri
ricercatori.
Più specificatamente, mi
riferisco a chi, molti anni
addietro pubblicò ricerche
sfociate su fiumi di libri, mai o
appena menzionate dal piccolo
schermo.
Figura 8
Figura 9
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Le immagini venusiane che
Voyager mise in onda con
frammentarietà (fig10,
immagini sane), forse non
sbalordirono gli spettatori, non
certo meritevoli di ascoltare le
parole di un EGO in stile Cicap.
Nel n°38 di Area di Confine,
intervistai il ricercatore
canadese Dave Beamer, che nel
dare consigli ai ricercatori,
suggeriva:
“il mio miglior consiglio è
quello di fare buone ricerche,
ben documentate e di
contattare tutti i media che
possono dare ascolto.
I ricercatori indipendenti
dovrebbero creare unità senza
discriminarsi, senza lottare
per la supremazia; dico questo
perchè purtroppo accade
esattamente il contrario, a
causa di egoismo ed
egocentrismo…”.
Figura 11
Figura 10
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Sfortunatamente, le parole di
Beamer rispecchiano la attuale
situazione ufologica in Italia.
Non si tratta di mettersi in
mostra per la gloria, ma di aver
rispetto della gente comune, di
chi nella sua ignoranza (non è
un'offesa) davanti alla tv si
beve tutto ciò che vede (fig11,
pagina precedente).
Si tratta di difendere la ricerca,
quella concreta, operata da
persone che, per eccesso di
lavoro, fondono un pc all'anno.
I seri ricercatori, lavorano per il
bene della sana divulgazione
(pochi), compromettente alle
volte anche per la vita privata.
Mai denunciare in un bar, ciò
che spunta dal terreno
venusiano (fig12), verresti
considerato un fenomeno da
baraccone.
Egualmente, ciò può accadere
se le tue generalità appaiono in
tv, come è accaduto con
Voyager, a cui stringo la mano
con un lieto arrivederci.
Eppure tra i media, c'è chi
ancora corre dietro all'ufo di
Pordenone (un falso coi fiocchi
abilmente costruito con adobe
after effect), chi insinua che
uno dei vimana lunari è circa
4km di lunghezza (non
passerebbe i 250mt, se occorre
lo dimostrerò), e c'è invece chi,
cade nel tranello delle favolette
peruviane: EGO avrebbe prova
che (avendoli toccati con sue
mani) i famigerati crani
sudamericani dal capo
allungato (fig13), furono il
prodotto di bendaggi aditi a
modellare la scatola cranica dei
bimbi.
Tale rituale in opera, avrebbe
emulato l'aspetto degli Dei
(sospetti venusiani).
Idea: perchè non lanciare una
moda?
Si potrebbe sperimentare detto
bendaggio sui nostri nascituri!
E chissà che non gli imploda il
cervello incorrendo in gravi
lesioni cerebrali.
Con cautela, suggerirei di
proporre tale trattamento a un
neurochirurgo… attenzione
però, nel caso potreste essere
internati in psichiatria.
Anche un network
sudamericano, riuscì a
spacciare un fantoccio per un
alieno ritrovato in una
discarica; meglio sorvolare e
prendere in esame “qualcosa”
che non è un pupazzo, ma una
realtà venusiana che rilevai
nella foto sovietica (alto fig14)
sonda Venera 14 camera 1 del
05/05/82: le frecce blu
indicano il punto esatto dove,
individuai la piccola singolarità
venusiana emergente a mezzo
busto dal terreno (basso fig14).
Figura 12
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Figura 13
Benchè l'ingrandimento non
eccelle in qualità, la prova
dimostrerebbe che quello non è
un busto marmoreo da museo.
I miei colleghi d'oltreoceano lo
affermano ed io lo ribadisco: su
Venere c'è vita, ma non come la
conosciamo sulla Terra; questa
con molta probabilità,
albergherebbe nel sottosuolo.
Poco a lato del
soggetto/oggetto venusiano
alto circa 50 cm, si
scorgerebbero altri tre piccoli
soggetti di minuta fisionomia.
Detta immagine, potrà mai
essere divulgata in tv?
Cosa può impedire a un
network di mostrare
determinate eloquenze?
Forse il terrore di scoprire che,
ad una torre venusiana ci
sarebbe attraccato un vettore
(sx fig15) capovolto?
Oppure una torre (dx fig15)
rimembrante la geometria di
Cape Canaveral?
Ho un sogno nel cassetto:
ascoltare al tg le parole di
Obama che al mondo intero
rivela:
“è vero, sino ad oggi abbiamo
nascosto al mondo intero la
verità.
La vita come noi NON la
conosciamo, esiste in tutto il
sistema solare”.
Se un giorno dovessimo
ricevere “visitatori” in massa,
che accadrebbe?
Panico?
Nel caso, la colpa non sarebbe
degli alieni, ma di chi, con
incoscienza ha reso
impreparata l'umanità sulla
realtà che ci circonda.
Che nessuno si scoraggi; se la
disinformazione è letale…
imparando a conoscerla, si può
evitare.
Figura 14
Figura 15
[email protected]
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Gli anelli mancanti
pag.117
Lo strano caso
del popolo Dropas
2010 Ines Curzio
Ines Curzio
Nella remota zona di Nimu,
provincia di Sichuan,
confinante con le montagne di
Bayan Kara Ula oggi
ribattezzata Bayan Har Shan
esiste un ceppo di circa
trecento individui non
classificabili etnologicamente.
Un caso che di certo
meriterebbe molta più
attenzione da parte degli
studiosi e forse meno
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
oscurantismo da parte del
governo cinese.
Sembra si tratti di una
minoranza etnica composta da
individui non più alti di un
metro e trenta, che parla una
lingua sconosciuta e
incomprensibile, installatasi in
un accampamento situato
all'interno di un'antichissima
foresta, a circa 5.000 metri di
altitudine.
Sono stati inoltre rinvenuti
manufatti, mummie e
antichissime conoscenze
tecnologiche e scientifiche,
quali volani senza attrito,
troppo avanzati per la loro
epoca e del tutto anacronistici.
La divulgazione di questo caso
si deve al giornalista austriaco
Peter Krassa, in collaborazione
con il collega tedesco Hartwig
Hausdorf; il loro punto di
partenza fu un articolo in cui,
per la prima volta, si era
parlato dei cosiddetti "piatti di
pietra", sulla base di una
relazione stilata da un
ricercatore inglese.
Questi, nel 1947, riuscì a
penetrare nella zona,
scoprendo come l'archeologo
cinese Chi Pu Tei avesse
rinvenuto nel 1937, nelle
caverne del massiccio di Bayan
Kara Ula, 716 tombe, al cui
interno giacevano resti di esseri
con caratteristiche anatomiche
non comuni.
Il cranio provvisto di cavità
oculari molto larghe, si
presentava enorme e molto
sproporzionato rispetto all'esile
corpo, non più lungo di un
metro e trenta, e con delle
braccia lunghissime.
Vennero ritrovati, in ogni
tomba, dischi di pietra con un
foro centrale da cui iniziava,
per finire all'orlo, in forma di
spirale, un doppio solco di
incisioni e simboli ritenuti una
forma di scrittura sconosciuta.
Inoltre, sulle pareti delle
caverne, l'archeologo si ritrovò
a contemplare alcune pitture
raffiguranti il sole, la luna e le
stelle.
Fu proprio durante lo studio
degli scheletri, che uno dei
ricercatori inciampò su un
disco di pietra, largo e rotondo,
dello spessore di circa 2 cm,
che giaceva quasi sepolto nella
polvere della caverna.
Il team si mise a studiare
l'oggetto, tentando di dargli un
senso.
Esso appariva come una specie
di disco di pietra per un
grammofono.
Era dotato di un foro al centro
e di un sottile solco a spirale
sulla superficie, che andava dal
centro verso il margine.
Ad un'analisi più approfondita,
il solco spiraliforme risultò
essere un'inscrizione formata
da una doppia riga di caratteri
molto compressi.
Dopo un’esauriente ricerca
nelle caverne, vennero
rinvenuti ben 715 dischi con le
stesse caratteristiche!
Ogni disco aveva le stesse
dimensioni: 22,7 cm di
diametro e 2 cm di spessore;
inoltre ogni disco aveva al
centro un foro perfettamente
circolare di 2 cm di diametro.
Il bordo esterno era dentellato
per tutta la circonferenza.
Infine ogni disco aveva un
doppio solco che, iniziando dal
centro, si muoveva in senso
antiorario verso il bordo
esterno, esattamente come il
disco di un fonografo.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Ines Curzio, Laureata
in Discipline del
Teatro, diplomata in
Flauto traverso e
Direzione d'Orchestra
per l'opera lirica, si
divide tra la carriera
artistica e la sua
attività di Antiquaria.
La naturale curiosità,
la passione per lo
studio di tutte le scienze
di confine, unite ad uno
spiccato senso critico,
l'hanno portata ad
esplorare terreni
misteriosi e ad
analizzare temi
affascinanti e suggestivi
da cui sono nati
numerosi articoli e
sono culminati nella
sua prima
pubblicazione "Gli
Anelli Mancanti".
Quanto al messaggio inscritto,
nessuno fu in grado di
decifrarlo.
Molti esperti hanno tentato di
tradurre le inscrizioni, ma
senza successo.
Fino a quando un altro
professore cinese, il Dr. Tsum
Um Nui riuscì a comprendere il
codice ed iniziò a tradurre i
messaggi.
A questo punto, egli si rese
conto che sarebbe stato meglio
divulgare il messaggio solo a
poche selezionate persone.
Il mondo esterno rimase quindi
all'oscuro, mentre le
conclusioni sul significato dei
dischi erano talmente
eccezionali che furono
ufficialmente soppresse.
Il Dipartimento di Preistoria
dell'Accademia di Beijing gli
proibì di pubblicare le sue
scoperte.
Nel 1963 il Dr. Tsum Um Nui
decise di pubblicare la sua
scoperta, nonostante il divieto
dell'Accademia.
La pubblicazione apparve con
un titolo prolisso ma destinato
a sollevare curiosità ed
interesse: "I manoscritti incisi
riguardanti le navi spaziali
arrivate sulla Terra 12.000 anni
fa".
In occidente non venne preso
seriamente e, in poco tempo,
l'intera vicenda sembrò svanire
nell'oblio.
Con la collaborazione di
geologi, e dopo un'analisi
spettrografica, si scoprì che i
dischi possiedono un alto
contenuto di cobalto e di altro
metallo (non viene riferito di
quale metallo si tratta).
Questo implica un’origine
artificiale dei dischi.
Gli scienziati russi chiesero di
poter esaminare i dischi;
diversi furono spediti a Mosca
dove furono ripuliti dalle
particelle di roccia che, nel
tempo, avevano aderito alla
superficie e successivamente
sottoposti ad analisi che
confermarono quanto
dichiarato dagli scienziati
cinesi.
Ma non era tutto.
Posti su una speciale
piattaforma girevole, essi
generavano un suono ad alta
frequenza e questo fece pensare
che fossero stati sottoposti ad
un'alta tensione; o, come
dichiarò uno degli scienziati,
“come se facessero parte di un
circuito elettrico”.
Dopo lunghe ricerche e
confronti si giunse a capire che
tali dischi inseriti in particolari
congegni magnetici
funzionavano come
accumulatori di energia in
grado di muovere motori molto
potenti.
Accumulatori simili sono stati
creati solo negli anni ’60,
funzionano con 16 dischi in
grado di dare energia ad un
motore di Formula uno.
C’è da chiedersi cosa possono
muovere 715 dischi?
Il silenzio su queste scoperte
durò fino al 1967, quando il
filologo russo Dr. Viatcheslav
Zaitsev pubblicò un estratto
della storia contenuta nei
dischi sulla rivista Sputnik.
Presumibilmente, l'intera
"storia" viene conservata
all'Accademia di Beijing e negli
archivi storici di Taipei.
La traduzione dei dischi
contiene un messaggio che può
sembrare assurdo.
La storia riporta la
registrazione di una navetta
spaziale con abitanti di un altro
pianeta, costretti ad
un'improvvisa fermata sulle
montagne di Bayan Kara-Ula.
Le scritture dei dischi spiegano
come le intenzioni pacifiche dei
"visitatori" furono fraintese e
molti di essi furono catturati e
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
uccisi dai membri della tribù di
Kham, che viveva nelle caverne
limitrofe.
Secondo il Prof. Tsum Um Nui,
una delle linee incise dice: "I
Dropas vengono dalle nuvole
con il loro velivolo.
I nostri uomini, donne e
bambini si nascosero nelle
caverne dieci volte prima
dell'alba.
Quando alla fine essi (i Kham)
compresero il linguaggio
mimico dei Dropas, si resero
conto che i nuovi venuti
avevano intenzioni pacifiche".
In un altro disco si esprime
rammarico da parte della tribù
dei Kham per la navetta aliena
precipitata su quelle montagne
remote e inaccessibili, e del
fatto che non ci fosse la
possibilità di ricostruirne una
nuova, in modo che i Dropas
potessero ritornare sul loro
pianeta.
Negli anni successivi alla
scoperta degli scheletri e dei
dischi, archeologi ed
antropologi hanno appreso
molte informazioni riguardo
l'area isolata di Bayan KaraUla.
Questi studi sembrano
convalidare la sorprendente
storia registrata sui dischi.
Le leggende ancora vive presso
le tribù del luogo, parlano di
persone piccole, con visi gialli,
venuti dal cielo, tanto tempo fa.
Queste persone avrebbero teste
grosse e prominenti e un corpo
esile.
Curiosamente, la descrizione
degli alieni, concorda con il
ritrovamento degli scheletri
fatto dal Prof. Chi Pu Tei.
Sia i dischi, sia i graffiti nelle
caverne e gli scheletri sono stati
datati intorno al 10.000 a.C.
Al tempo della scoperta, alcune
delle caverne erano ancora
abitate da due tribù conosciute
come Khams e Dropas, i cui
membri, peraltro, avevano
un'apparenza quantomeno
singolare.
Semplicemente le due tribù
non corrispondevano ad alcuna
categoria razziale stabilita dagli
antropologi.
Entrambi avevano una statura
simile ai pigmei; la loro statura
andava dal metro e 15 al metro
e 40 cm., ma la statura media
era di 1,25 m.
Il peso degli adulti oscillava tra
i 17 e i 24 Kg.
La loro pelle tendeva al giallo e
le loro teste erano
sproporzionatamente grandi e
con pochi capelli sparsi; i loro
occhi erano grandi, ma non di
tipo orientale, di colore blu
chiaro.
La struttura del viso era ben
formata, simile alla razza
Caucasica e i corpi erano
estremamente sottili e delicati.
E’ scontato paragonare questa
descrizione alle tante circolanti
sui grigi e sugli extraterrestri
E’ un vero piacere presentare ai nostri lettori
il libro d’esordio di Ines CURZIO,
collaboratrice di Area di Confine e di Tracce
d’eternità. Beninteso, la nostra amica coltiva
tanti altri interessi ma qui vogliamo
segnalarne l’impegno nel campo di ricerca a
noi più congeniale.
“Gli anelli mancanti”, edito da La
Riflessione Davide Zedda Editore, fresco di
stampa, è un viaggio a ritroso nel tempo, alla
ricerca delle origini dell’uomo, tra mitologia,
scienza e archeologia.
Per saperne di più è d’obbligo il rimando al
sito www.glianellimancanti.com ove
troverete anche un video di presentazione.
L’autrice si interroga su diversi argomenti:
l’esistenza dei Giganti, la loro asserita
provenienza dalla mitica Atlantide, il diluvio
universale, le similitudini esistenti nei
resoconti mitologici di tutto il mondo.
Tematiche controverse, che da sempre fanno
discutere studiosi e appassionati.
Ben venga, quindi, lo scritto di Ines, se non
altro per ridestare l’attenzione ed aprire di
nuovo il dibattito, alla ricerca di qualcosa
che pare sfuggirci di mano: gli anelli
mancanti, appunto. (SB)
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
dalla testa grande e
corporatura esile, motivo per
cui lasciamo ironicamente che
il lettore sia libero di trarre le
proprie conclusioni.
Resta indubbio che un’attenta
analisi del genoma di questo
ceppo etnico tutt’ora vivente
potrebbe forse fornire risposte
a domande fin troppo scomode.
[email protected]
Life after Life
pag.121
La memoria
dello spirito
Noemi Stefani
C'è un'ora della notte, un'ora
particolare che definirei
speciale.
E' quella in cui i muezzin saliti
in cima al minareto lanciano
nel vuoto la loro prima
preghiera.
E' il grido di saluto al nuovo
giorno che si affaccia dalla
porta delle
tenebre…
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
E' l'ora in cui arrivano i sogni
che hanno un senso, quelli da
ricordare.
O meglio, lo è per quelli che ci
fanno caso e che ci credono.
Una notte, tra il sonno e la
veglia, mi arrivano all'orecchio
strane parole che si ripetono.
Mi sforzo di comprendere ma è
una lingua che non conosco.
Le sento ripetere ancora e
ancora, sembra una filastrocca.
Percepisco che si tratta di
qualcosa di importante, lo
sento...
Poi nel buio ecco che appare il
viso di una bambina.
E' piccola, minuta, occhi scuri
che ridono, la pelle ambrata, e
so che canta questa filastrocca
per me...
Peccato, non capisco!
E mi dispiace tanto.
Sento una voce fuori campo
dietro alla spalla destra.
La riconosco, è quella del mio
angelo custode Serafino, il mio
Sè Superiore che mi
accompagna e interviene da
tanti anni nella mia vita.
Lui spiega in un sussurro...
"Non puoi capire, è aramaico.
Stai attenta, è l'altra ‘te’!”
Me?
Che vuol dire ‘me’?
“Ti sta spiegando il mistero
della vita”
Sì ma non capisco!
“Tu sei già stata, eri vicina a
Gesù.
Troppo piccola per
comprendere la grandezza
delle Sue parole, sei riuscita
però a percepire la Sua
misericordia e l'immenso
amore per tutte le creature.
Te ne sei andata troppo presto
prima di Lui altrimenti
l'avresti seguito.
Scrivi quello che ti dico, questa
è la traduzione:
- Brandelli di vita sospesa
rimangono attaccati a un filo.
Poi il filo si spezza...
E la vita riprende -"
La preoccupazione di potermi
dimenticare mi fa svegliare di
colpo…
Mi sono alzata barcollando al
buio per non svegliare gli altri e
ancora intontita dal sonno ho
cercato una penna e un pezzo
di carta per fermare quelle
parole, prima che si
dissolvessero o cambiassero
forma.
Che peripezie…
Non la trovo, una penna c'è ma
non scrive, l'altra nemmeno,
poi ne rimedio una ma manca
la carta che al solito c'è sempre
ma quando serve non c'è mai.
Come Dio volle alla fine sono
riuscita a salvare questa frase
che è il senso di tutto.
Noi umani quando veniamo al
mondo, ci vestiamo di carne
che è destinata a decomporsi e
a diventare polvere, terra.
Non importa quanto tempo si
vive: se pochi istanti o più di
cent'anni sarà uguale...
Noi ci spoglieremo di questo
guscio scalciandolo via come
un vestito vecchio e lo
abbandoneremo con la stessa
noncuranza.
Ma lo spirito che è l'altra nostra
vera componente, conserva
memoria di
pensieri e azioni che
rimangono "appesi" al "filo"
della vita.
Come la memoria dell'acqua.
Sicuramente saprete già che
certi studiosi recentemente
hanno dimostrato come l'acqua
nelle sue trasformazioni da
stato liquido - gassoso e solido,
mantiene inalterate dentro di
sé le sue proprietà.
Così pensieri e azioni nel bene e
nel male conservano le loro
proprietà
anche quando la vita finisce (il
filo si spezza).
La morte fisica che ci atterrisce
tanto è soltanto un passaggio,
un transito che lo spirito
compie per passare da una
dimensione all'altra.
Poi trascorrerà del tempo.
Non importa quanto, ha poco a
che fare con il nostro concetto
di tempo fisico lo spazio
temporale.
Rimane la memoria "sospesa"
di pensieri e azioni che si
ripresenterà con la nuova vita
che deve nascere.
Se l'anima è evoluta, come è
stato ampiamente dimostrato
da una vasta documentazione
in merito, molto facilmente
manterrà la memoria di
frammenti di vita precedenti.
[email protected]
Noemi Stefani, sensitiva e ricercatrice della storia delle religioni, indaga da più di 20 anni nel
paranormale ricevendo numerose conferme alle sue tesi. Le sue esperienze l’hanno portata a
visitare i posti più misteriosi e ricchi di spiritualità della terra. Ha preso parte a convegni con
tematiche riguardanti “ la vita oltre la vita “ facendo da tramite per le persone che erano in
attesa di risposte e conferme dall’aldilà. Ha tenuto conferenze, intervenendo anche a
trasmissioni radio (RTL 102,5) e televisive (Maurizio Costanzo show).
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Ufoonline
pag.123
ufoonline.it
20 luglio 1952:
l’avvistamento di
Washington
Una data memorabile per la casistica UFO
Massimo Staccioli è nato a Roma il 9 Febbraio 1944.
Ex Sott/le dell’Aeronautica Militare; RADARISTA (Difesa Aerea, per 35 anni. Basi Intercettori Teleguidati
della 1° Aerobrigata Missili). Ufologo dal 1954. Attualmente collabora con lunexit.it e curo la Rubrica
Stranezze Spaziali nella community Il Mondo Ufo del sito Ufoonline.it
Massimo Staccioli
Hanno collaborato
alla revisione
Catia Felici e
Davide Veraldi
Quello avvenuto nel 1952 sui
cieli di Washington è un
classico esempio di come è
sempre stato evidente il
fenomeno UFO e quanto sia
vero che ci siano testimonianze
più che documentate, anche
dalle autorità, oltre che da
normali cittadini.
Questo episodio, fu un classico
negli anni 50/60, ma non tutti
ne sono al corrente.
Quella notte gli U.F.O.
sfrecciavano nei cieli sopra la
Capitale a velocità incredibile,
come 5.000 miglia orarie,
quando i più moderni jets di
allora erano in grado di
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
superare appena la barriera del
suono, cioè i 1.250 Km/h.
Quella notte nei cieli di
Washington successe qualcosa
di assolutamente inaspettato,
che riguardò non solo la
Capitale ma anche i dintorni.
I controllori del Centro
Controllo Traffico aereo
dell’Aeroporto Nazionale di
Washington erano intenti a
mantenere sotto sorveglianza
sia gli aerei in avvicinamento e
in decollo fino a 10 miglia
dall’aeroporto, che seguire gli
aerei in volo, per centinaia di
miglia, in modo da affiancare i
piloti nelle manovre di
avvicinamento o di partenza in
aerovia, di assicurarne le
procedure e di prestare
assistenza in caso di necessità.
Le condizioni meteorologiche
erano ottimali e gli otto esperti
del Traffico Aereo insieme al
capo controllore Harry G.
Barnes, intorno alla mezzanotte
di quel 20 luglio, si sistemarono
per il loro turno.
Tutte le strumentazioni erano
assolutamente funzionanti ed il
segnale radar scandiva con un
“bip” ogni 10 secondi (il tempo
necessario per un giro
dell’antenna radar) la nuova
posizione dell’aereo che stavano
monitorando, potendone così
stabilire posizione, velocità e
direzione.
In questa pagina
Lettera originale inviata da Albert M. Chop
all’editore presso cui Keyhoe pubblicò il suo libro, a
titolo della serietà e della veridicità di quanto
riportato riguardo l’avvistamento di Washington.
Chop conferma implicitamente che il nostro Pianeta
è costantemente visitato da entità evolute e quindi
dell’esistenza dei dischi volanti. L’immagine 2 è la
traduzione in italiano riportata sul libro “La verità
sui dischi volanti” edita in italiano nel 1954
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Erano le 00.30 quando il
controllore Barnes prese
servizio presso il tavolo del
capo, lasciando il monitoraggio
del radar agli altri controllori
Ed Nuggent, Jim Ritchey e
James Copeland.
Ma alle 00.40 esatte qualcosa
comparve sul radar principale:
ben sette tracce a netti contorni
apparvero improvvisamente
sullo schermo.
I controllori rimasero sbigottiti:
quei velivoli per comparire dal
nulla sarebbero dovuti
penetrare ad una velocità
vertiginosa per poi rallentare in
direzione sud-ovest del
quadrante, dove il radar li aveva
rilevati.
Scattò immediatamente
l’allarme e il controllore Barnes
si affrettò a chiamare la Torre
di Controllo per avere
conferma.
L’operatore Howard Cocklin gli
rispose confermando la
presenza delle sette strane
macchine volanti sui loro
schermi e che addirittura, con il
binocolo, era possibile vederne
una che emanava un vivido
colore arancione.
Immediatamente partì la
comunicazione al Comando di
Difesa Aerea e nel frattempo le
macchine si erano distanziate:
due si trovavano sulla Casa
Bianca e una sul Campidoglio,
entrambe aree da sempre
proibite al sorvolo da parte di
qualsiasi velivolo.
Il capo controllore Barnes,
tenendo continuamente sotto
controllo il radar, si mise in
contatto con l’aeroporto di
Andrews, di là di Potomac, nel
Maryland, chiedendo se anche
loro rilevavano qualcosa:
ovviamente la risposta fu
affermativa.
In questa pagina
Le due immagini rappresentano la ricostruzione del tracciato
radar degli UFO intercettati la notte del 20 luglio 1952 su
Washington. La seconda immagine in particolare: il punto A
rappresenta i 7 UFO che comparvero improvvisamente: due si
mossero in direzione della Casa Bianca (B) e uno sopra al
Campidoglio. Il punto C rappresenta un UFO che abbandona
la rotta di un aereo di linea in direzione nord-ovest. Il punto D
rappresenta 10 UFO radunati sopra il Campo di Andrews. E
illustra la virata di 90° di un UFO comparata con quella di un
normale aereo.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Chiese allora di effettuare lo
Scramble (decollo su allarme di
caccia intercettori) ma gli venne
risposto che i caccia erano
momentaneamente a
Newcastle, poiché l’aeroporto di
Andrew era in riparazione.
In realtà però, dopo una
mezz’ora, dei caccia sarebbero
arrivati da Delaware e
testimonianze suggeriscono che
degli aerei da Andrews
decollarono per intercettare
altri UFO rilevati in una zona
secondaria.
Il controllore Barnes
monitorava gli schemi radars
quando, insieme al collega Jim
Ritchey, si accorse che uno di
quei velivoli si era messo ad
inseguire un aereo di linea della
Capital decollato da poco.
La notizia venne
immediatamente comunicata al
pilota dell’aereo, un ex capitano
combattente, tale Casey
Pireman, il quale venne
informato della posizione
dell’oggetto e dei dati vettoriali
per cercare di avvicinarlo.
Ma ad un tratto, con grande
stupore, dal radar scomparve
ogni segnale.
Le tracce indicatrici avevano
infatti smesso di segnalare la
presenza degli oggetti, il che
dimostrava l’incredibile velocità
a cui viaggiavano.
Se infatti fino a quel momento
era stata stimata intorno ai 130
miglia orari, per uscire dal
campo controllato dal raggio
radar in soli 4 secondi,
significava che la stessa era
salita a più di circa 500 miglia
al secondo; tant’è che il pilota
dell’aereo di linea non ebbe
modo di avvicinarsi al velivolo
perché si era alzato e sparito in
un batter d’occhio, impiegando
dai 3 ai 5 secondi.
Ma passarono pochi minuti che
sul tracciato radar comparve
una traccia che mostrava una
virata netta di 90° (cosa
impossibile per qualsiasi tipo di
aereo, pilota compreso) e ad un
secondo giro di antenna radar,
si vide chiaramente come il
velivolo aveva invertito la
direzione di marcia
arrestandosi improvvisamente,
impiegando solo 5 secondi.
In questa pagina
Giornali dell’epoca descrivono
l’avvistamento della notte del 20
luglio 1952 sui cieli di
Washington. L’immagine a
fianco è tratta dalla testata del
New York Times.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
A questo si aggiunse la
segnalazione di Joe Zacko,
operatore che prestava servizio
presso un radar ARS, utilizzato
per seguire velivoli ad alta
velocità, quando sullo schermo
comparve questo oggetto che si
trovava sopra Andrews e si
dirigeva verso Riverdale, ed
improvvisamente sparì dal
tracciato.
La velocità del Disco quindi
doveva spaziare intorno alle[.1] 2
miglia per secondo, con una
velocità di spostamento pari a
7.200 miglia orarie, mentre il
movimento effettuato era quello
di scendere verticalmente,
intersecando il fascio radar
ARS, stazionando a quella
altezza per qualche secondo,
per poi schizzare di nuovo
verticalmente verso l’alto
uscendo dal campo radar.
Alberto Chop (in piedi sulla destra) insieme al suo team di controllori,
monitora il radar che rileva la presenza di vari UFO sopra i cieli di
Washington.
Il caccia con i quali cercarono d'intercettare gli UFO su Washington: F-94 c "Starfire" (non ancora in grado di
essere supersonici), erano armati di razzi e cannone.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
In tutto quelle strane macchine
volanti avevano spaziato sopra
Washington per ben due ore,
lasciando poco spazio
all’immaginazione: era evidente
che gli spostamenti e le
manovre effettuate facevano
capo ad esseri dotati di una
intelligenza superiore, che
quella notte compirono una
ricognizione dimostrativa sulla
capitale, dimostrando la loro
netta superiorità equiparata
all’impotenza dei controllori e
di quanti assistettero a quello
spettacolo.
Nessuno dei piloti degli aerei in
volo riuscì ad avvicinarsi ad
almeno uno di essi; addirittura
il capo controllore Barnes ebbe
la sensazione che i visitatori
ascoltassero le loro
conversazioni, in quanto si
dileguavano in maniera
preventiva ogni volta che ai
piloti venivano date precise
istruzioni per cercare di
avvicinarli.
I caccia invece giunsero a
Washington intorno alle 03.30
quando i dischi erano spariti.
Ma dopo nemmeno 5 minuti
che i caccia stessi si erano
allontanati, eccoli di ritorno e
continuare a scorrazzare sui
cieli della capitale, addirittura
“scortando” un aereo di linea
fino all’aeroporto; il tutto è
proseguito fino alle prime luci
dell’alba: 5 ore pressoché
continuative di sorvolo da parte
di oggetti volanti non
identificati su uno spazio aereo
proibito.
Considerato l’orario in cui
accadde la vicenda, furono
pochi i testimoni civili, ma il
giorno dopo la notizia divenne
di dominio pubblico.
L’Aviazione si inerpicò in
imbarazzanti quanto ridicole
giustificazioni, asserendo che
gli addetti ai lavori non avevano
osservato dei dischi volanti ma
che i radars erano difettosi; altri
sostennero che nessun caccia
era stato visto sorvolare la città
e addirittura il Dott. Menzel
arginò l’evidente stato di
agitazione e preoccupazione
popolare dichiarando che le luci
che qualcuno poteva aver visto
furono provocate
dall’inversione termica di quella
notte, come risultante delle luci
delle auto proiettate verso il
cielo.
Ma i giornali, i sindacati e i
radio-commentatori
insistettero affinché si fosse
tenuta una conferenza stampa
in cui la verità veniva palesa:
ovviamente i Servizi Segreti
preferirono tacere pur di
ammettere l’esistenza di altre
forme di vita intelligenti, ma il
26 luglio i dischi tornarono a
farsi vedere su Washington.
Erano infatti le 09.08 del
mattino quando una corposa
formazione di 9 dischi sorvolò i
cieli della capitale per ben due
ore.
L’altezza elevata non permise il
loro avvistamento da parte
della popolazione ma solo di
essere intercettati dai tracciati
radar del Centro di Controllo di
Washington e di quelli di
Andrews, che confermarono
manovre di oggetti non
identificati.
Gli intercettori, anche in questo
caso, arrivarono anche in
ritardo, ma alcuni dischi li
aspettarono, permettendo al
Tenente William L. Patterson,
pilota del suo F-80
“Shootingstar”, di avvicinarne
uno alla distanza di un miglio e
di seguirlo per qualche minuto,
potendone stimare le
dimensioni intorno ai 30 mt.
Nel frattempo anche il Servizio
Segreto dell’USAF era stato
allertato ed era entrato in
azione: il Maggiore Dewey
Fournet jr., il principale
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
investigatore del Pentagono e
due controllori, tra cui Albert
M. Chop, monitoravano la
situazione.
Anche in questo caso la notizia
dilagò per tutto il Paese e per
48 ore l’Aeronautica Militare
venne presa d’assalto da
quotidiani e network in cerca di
spiegazioni.
Nonostante le pressioni interne
ed esterne al Pentagono, il
Generale Samford, capo
dell’intelligence dell’Air Force,
continuò ad opporsi ad una
conferenza stampa, sostenendo
che quello che si era visto in
cielo erano solo illusioni ottiche
causate dalla rifrazione
atmosferica.
Ovviamente furono in pochi a
credergli ma il tutto nel giro di
poco venne messo a tacere e la
popolazione si accontentò delle
dichiarazioni rilasciate, senza
approfondire.
Fu così che gli avvenimenti di
Washington entrarono a far
parte di quegli accadimenti dai
contorni poco chiari, ma
purtroppo non così
“importanti” da essere ricordati
come si deve.
BIBLIOGRAFIA
Donald E. Keyhoe, 1953,
“Flying sources from the outer
space”, TRAD. IT. “La verità sui
dischi volanti”, 1954, ed.
Atlante (Milano).
www.NICAP.org e
www.nicap.org/wnsdir.htm
www.wikipedia.it
PICCOLA BIOGRAFIA
Donald Edward Keyhoe:
aviatore statunitense del Corpo
della Marina degli Stati Uniti,
scrittore di racconti e articoli e
direttore del tour promozionale
di Charles Lindbergh.
Ricercatore responsabile ed
accurato, ha condotto fin dal
1955 uno studio approfondito e
sistematico sugli UFO,
fondando in seguito il NICAP .
Lavorò con l'USAF quando
ancora le Forze Aeree degli USA
non avevano una linea decisa di
condotta riguardo
l'informazione per il pubblico
riguardo gli UFO. Pubblicò
alcuni in merito volumi con
parziale e implicita
approvazione dell'USAF.
Albert M. Chop: Direttore
Ufficiale della Stampa della
NASA e portavoce di D.E.
Keyhoe. Esperto civile
dell'Aeronautica Militare degli
Stati Uniti, in fatto di UFO, e
portavoce Stampa dell'A.T.I.C. e
dell’USAF. In una dichiarazione
ufficiale disse: “Sono convinto
da molto tempo che i dischi
volanti sono reali e di origine
interplanetaria. In altre parole,
noi siamo osservati da esseri
che vengono da un altro
pianeta".
[email protected]
Ufoonline collabora con i
principali portali ufologici
italiani, e con siti di prestigio
come Lunexit.it, Italian
Research, AlienUfos e Tracce
d’eternità.Inoltre è attiva una
collaborazione con la rivista
Area di Confine cui direttore
editoriale è l'Ing. Ennio
Piccaluga, che per Ufoonline ha
curato numerosi articoli e
approfondimenti.Altre
personalità di prestigio hanno
scritto e scrivono per il nostro
portale.Ad oggi UfoonLine ha
superato i 5.000.0000 di
pagine visitate segno che
l'apprezzamento per il nostro
lavoro è sempre notevole.
La media giornaliera dei
visitatori unici è costantemente
sull'ordine delle migliaia.
Il brand Ufoonline rappresenta
oggi uno dei più importanti siti
ufologici italiani, il primo in
assoluto secondo Google.
Oggi questo sito/forum vuole
essere un punto d incontro per
parlare di ufo, misteri, e
confrontarci in maniera
costruttiva per raggiungere lo
scopo unico la Verità.
Ufoonline il portale di Ufologia
dal 1999 - Ufo, Abduction, Crop
Circle, Misteri, Cover-Up.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Luoghi Misteriosi
pag.130
www.luoghimisteriosi.it
Le “Grotte delle Fate”
in Italia
Isabella Dalla Vecchia
Alcuni luoghi della nostra
penisola ospitano grotte,
presumibilmente abitate nella
preistoria, simili tra loro per
una piccola coincidenza, che
non è il loro utilizzo, la forma o
quantomeno la posizione.
Per un motivo ad oggi ignoto,
queste cavità sono “identiche”
nel nome, perchè si chiamano
tutte “Grotta delle Fate”.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Ne esistono molte in Sardegna
e nella Lunigiana (la zona
settentrionale della Toscana),
motivo questo che
accomunerebbe ulteriormente
le due regioni; in altre
occasioni infatti, sono stati
ritrovati reperti
eccezionalmente simili come la
famosa Stele della Lunigiana,
che ricorda molto i menhir
scolpiti sardi.
Tutto ciò conduce alla certezza
che vi sia stato uno scambio
culturale e commerciale tra le
due regioni, nonostante la
presenza del mare che poteva
mettere in difficoltà le
comunicazioni.
La tradizione vuole che il nome
di “Grotta delle Fate” sia stato
attribuito dai contadini certi
che in quelle cavità rocciose
abitassero gli “spiriti dei
boschi”.
Venivano utilizzate a volte per
riparare le greggi dalle
intemperie, pur con un certo
timore per il fatto che fossero
in un certo senso “magiche”.
Addirittura si pensava che la
Grotta di Angera nascondesse
un passaggio dimensionale,
attraversando il quale non si
avrebbe più fatto ritorno…
Nonostante in Sardegna vi
siano moltissime Domus de
Janas (nome sardo di “Casa
delle Fate”) sparse in tutto il
territorio, analizzeremo quella
considerata come la più
importante dal punto di vista
storico-archeologico.
Per quanto riguarda le grotte
toscane, riporteremo un
estratto di Rino Barbieri,
ricercatore della Lunigiana.
Inoltre parleremo di quella
presente ad Angera in
Lombardia e di una
particolarissima Grotta delle
Fate, per via della presenza di
una misteriosa vasca votiva al
suo interno, a Coreno Ausonio
nel Lazio.
SARDEGNA:
DOMUS DE JANAS O
“CASA DELLE FATE” DI
SANT’ANDREA PRIU
Sant’Andrea Priu si trova nei
pressi di Bonorva (SS), nella
piana di S. Lucia ed è costituita
da una ventina di tombe
ipogeiche, sotterranee e scavate
durante la fase del neolitico
lungo il ripido costone di
trachite.
I primi riferimenti relativi a
S.Andrea Priu risalgono al sec.
XIII.
Questo genere di tombe in
Sardegna vengono chiamate
“domus de janas” ed erano
utilizzate per seppellire ed
onorare i defunti.
La parola “domus de janas”
(=Casa delle Fate) è abbastanza
recente, quando
nell’immaginario collettivo
sardo si era ormai persa
memoria della loro funzione
originaria e si credeva fossero
abitate da streghe, fate e
gnomi; esistono anche diverse
leggende che dicono di aver
visto alcune ninfe apparire in
questi luoghi.
Domus de Janas deriva infatti
da Diana, la dea della caccia.
La parte più importante è
denominata “Tomba del Capo”
ed è costituita da 18 vani, di cui
3 molto vasti (i principali),
distribuiti lungo lo stesso asse e
15 cellette più piccole disposte
attorno ai tre principali.
Risale al 3000 a.C. ed è stata
così chiamata non perché
ospitasse un re o qualche
personaggio importante, ma
perché è la più ampia tra tutte
le altre tombe.
L’interno di questi luoghi
mantiene l’aspetto delle coeve
abitazioni: architravi, stipiti,
pilastri di sostegno laterale e
zoccolatura perimetrale, questo
perché si credeva che il defunto
ritornasse a nuova vita, che
avesse necessità di continuare a
vivere in un luogo simile alle
capanne in cui aveva trascorso
l’intera esistenza.
Infatti, notevoli quantità di
utensili e oggetti di vita
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
quotidiana, i corredi funerari,
venivano accostati al corpo.
Interno della domus de janas – si
vedono le “architravi” scolpite
Si credeva insomma, anche in
questi luoghi, in una sorta di
resurrezione, proprio come il
popolo egizio, la cui
similitudine è sorprendente.
Sono stati ritrovati scheletri di
uomini in posizione fetale, così
disposti perché potessero
rinascere direttamente dal
grembo della Madre Terra,
identificato come la grotta in
cui venivano deposti.
L’ambiente era anche
interamente colorato di ocra
rosso, il colore del sangue, ma
qui inteso come fluido che
porta la vita, l’energia per
risorgere. All’entrata della
grotta è possibile vedere una
sorta di solchi rotondi, erano
coppelle votive per raccogliere
le offerte destinate ai defunti,
cibo, olio, grano.
coppelle votive
Questo luogo fu riutilizzato
come chiesa bizantina nel 535
d.C, intitolata a S.Andrea dal
Vescovo di Sorres Guantino di
Fanfara.
Venne intonacata di bianco,
affrescata e i pilastri interni
furono levigati e trasformati in
colonne.
Inoltre le nicchie di sepoltura
furono chiuse lasciando
solamente i tre vani principali:
nartece per i catecumeni, aula
per i fedeli già battezzati e
presbiterio per i sacerdoti.
Sopra l’altare fu aperto un
pozzo luce per illuminare il
sacerdote con la luce del sole,
così da dargli un’immagine
divina di fronte a tutti i fedeli
che invece restavano al buio.
Anche la pioggia era
importante perché proveniva
dal cielo e, entrando
direttamente in Chiesa, toccava
l’altare e defluiva in due canali
che finivano in un pozzetto
utilizzato come fonte
battesimale, perché così l’acqua
era già considerata benedetta.
All’interno troviamo diversi
affreschi, un Cristo
pantocratore nella mandorla
con i quattro evangelisti ai lati,
i 12 apostoli alla sua destra e
una scena della sua infanzia
alla sua sinistra.
Questo luogo è considerato una
delle prime chiese nel tempo
delle persecuzioni e l’ennesima
dimostrazione di un tempio
cristiano costruito su un
tempio pagano.
In cima è presente una statua
del dio toro al quale i cristiani
hanno tagliato la testa.
NOTE:
Articolo e fotografie di Isabella
Dalla Vecchia –
www.luoghimisteriosi.it ad
eccezione di:
Fotografie della vasca votiva di
Coreno Ausonio di Costanzo
Salvatore
Articolo e fotografie delle Grotte
delle Fate in Lunigiana di Rino
Barbieri
Interno “trasformato” in luogo cristiano
TOSCANA:
GROTTE DELLE FATE
IN LUNIGIANA
Sunto tratto dal libro di
prossima stampa di Rino
Barbieri “ Lunigiana: la
terra del sole” - casa
editrice "PILGRIM
EDIZIONI di TESCONI
Maura - Aulla"
La Grotta delle Fate a
Turlago
A Turlago esiste un luogo
denominato da sempre “Grotta
delle Fate” (nel linguaggio
dialettale della zona per
“grotta” si intende una parete
di roccia affiorante) con grosse
e ripetute nicchie che a prima
vista sembrerebbero naturali.
Si trova a sud est e gode di una
grande insolazione.
Sono Rino Barbieri, ricercatore
della Lunigiana e vi parlerò
della mia personale visita al
sito effettuata con l’aiuto di una
guida del posto che mi ha
condotto per un sentiero che
attraversa il Monte Grosso, in
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
prossimità del versante di
Turlago e delle Apuane.
Arrivammo di fronte alla
“pietra solare” per eccellenza, il
“ Monte Sagro” che, a mio
parere, “sacro” è divenuto
perché il sole di mezzogiorno,
alla sua massima potenza, è
perfettamente perpendicolare
alla sua cima.
Procedemmo scendendo dal
versante verso la cava di
arenaria della “Costìa” dalla
quale, nel cinquecento, furono
estratte le colonne della Chiesa
di Fivizzano.
Arrivammo infine alla “Grotta
delle Fate”, una parete rocciosa
di arenaria affiorante, sulla
quale si estende una folta
vegetazione di eriche.
Da qui è possibile osservare un
panorama sulle Apuane
eccezionale, godibile al meglio
se si riesce anche a difendersi
dal sole implacabile.
Questo masso ci stupì subito
per la sua struttura non
naturale e per le sue numerose
cavità scavate e levigate
dall'uomo nella preistoria.
Sulla superficie ci apparivano
diverse nicchie, a volte
multiple, scolpite nella roccia.
Cavità scolpite
Ve n’erano alcune non
raggiunte dagli agenti
atmosferici e per questo motivo
mantenevano ancora una certa
colorazione di nero che, per gli
antichi, era il colore della
fertilità.
Esattamente in fronte a noi ci
siamo ritrovati due sedili di
pietra, mentre un altro con
forma anatomica era scavato
alla base di due pareti
convergenti.
Il gioco di luce ed ombra sulle
rocce sapeva creare
un’autentica suggestione.
A stento si riusciva ad entrare a
contatto del masso per la
presenza di rovi ed arbusti che
lo avvolgevano, ma ciò non mi
ha impedito di accorgermi di
un piccolo altarino con due
gradini scavato dentro la viva
roccia.
L’intero sito richiama l'idea
delle “Domus de Janas” sarde,
le “case delle fate”, tombe
ricavate nella pietra granitica
da popolazioni che vissero nel
neolitico.
In questo caso però non si può
parlare di esistenza di sepolcri,
nonostante sia un luogo sacro.
Non posso fare a meno di
riflettere sulla pazienza dei
nostri antichi antenati che, con
tecniche sconosciute, hanno
saputo modellare la roccia
chissà con quale
strumentazione.
(Mi è stato riferito che durante
la Resistenza in questi buchi
asciutti i Partigiani
nascondevano le armi).
Osservando i sedili di pietra
immaginavo donne primitive e
scapigliate che qui venivano a
ricevere il potere rivitalizzante
dei raggi solari per affrontare
meglio una nuova maternità o
che qui si recavano
semplicemente a pregare il Dio
Sole che esaudisse qualche loro
segreto desiderio.
Arrivò la sera e c’era bisogno di
rientrare...lasciammo il masso
con una non soddisfatta
curiosità e con la promessa di
ritornarci presto ad osservare
la zona più nel dettaglio con la
sensazione, credo di chiunque,
che ci fosse sfuggito qualcosa.
Il masso roccioso affiorante
purtroppo è stato scavato e
tagliato quando fu costruita la
strada carrozzabile che da
Luscignano conduce a Casola:
quindi la parte più bassa è solo
pura roccia e quindi sono state
asportate le eventuali opere
umane.
Ma qualche metro più in alto e
per un'altezza di circa 15/20
metri abbiamo a ripetizione
cavità, nicchie, fori: la stessa
situazione della “grotta delle
fate” di Turlago.
Ancora un santuario della
fecondità!
La Grotta delle Fate
di Luscignano a Casola
Lunigiana
Il sito è segnalato dalla
insistenza proprio sulla strada
asfaltata di una edicola votiva,
una Madonnina che ci dice
della trasformazione nel
cristianesimo di antichi culti
religiosi.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
A circa 12 metri di altezza dalla
strada asfaltata ho visionato
una triplice nicchia che ha
ancora le volte dipinte di nero
che come ho già detto è il
colore della fecondità.
Ho fatto ancora una rapida
escursione, aggirando il masso,
fino alla sommità ove ho
trovato pietre disposte a
probabili sedili ove ci si poteva
collocare in seduta proprio
davanti al sole, che in quel
punto batte impietosamente
essendo il masso disposto a
mezzogiorno.
Sotto scorre il fiume ed il
rumore dell'acqua copre il
silenzio.
Ancora una volta sono a
ripensare a tutto quello che ha
rivelato il Monte Grosso, cioè
quel monte che va da Casola a
Fivizzano: nel passato, tre
statue stele , punte di freccia,
selci; ed ora, compresa la
Grotta di S. Caterina già da me
rivelata, abbiamo tre “santuari
della fecondità” che aspettano
la visita dell'uomo moderno in
cerca di emozioni.
LAZIO:
LA GROTTA DELLE FATE
E L’ENIGMATICA
VASCA VOTIVA A
CORENO AUSONIO
Coreno deriva da KORA
OINOU (terra del vino) e da
KORINEM (clava di Ercole, dio
qui molto venerato, vi è anche
un tempio a lui dedicato non
lontano dal paese), mentre
Ausonio è stato aggiunto di
recente e deriva dal popolo che
abitava queste terre, gli ausoni
o aurunci.
Il luogo era per i romani di
prestigio, perché ricco di un
particolare marmo, il noto
"perlato di Coreno" con il quale
vennero edificati famosi
monumenti tra cui la Via
Appia, colonne e strade di
Pompei e l’anfiteatro di
Miturnae.
Questa zona ospita un luogo
molto interessante, il più antico
di queste zone, si chiama
"Grotta delle Fate", ed è sito in
Contrada Jagna.
E’ un’insolita grotta a ridosso
del Monte Schiavone, scavata e
modellata a scalpello nella
roccia, non facile da
individuare.
Sotto l’entrata vi sono una serie
di terrazzamenti coltivati che
ospitano anche due pozzi.
La porta della grotta è larga
2,50 metri per 2 metri di
altezza, ma l'ingresso è ostruito
ed è molto arduo accedervi.
Oltre l’entrata vi è un atrio che
è stato scalpellato nel tentativo
di rendere le pareti regolari, da
cui si diramano due cunicoli
che potrebbero portare ad altre
stanze, mai trovate per la loro
inagibilità.
Essi infatti si aprono larghi per
ridursi a piccoli vani chiusi.
Mancanza di fondi ed
investimenti per gli scavi
hanno lasciato la grotta in un
inevitabile e deleterio
abbandono.
Sul lato sinistro è presente
un’enigmatica vasca votiva
scavata in un unico blocco di
marmo di 2,15 metri di
lunghezza per 1,15 di larghezza
e 0,90 metri di profondità.
La forma di questo monumento
è perfettamente squadrata ed è
proprio da qui che si avviano i
nostri enigmatici interrogativi.
vasca votiva all’interno della Grotta
delle Fate
La vasca comprende un incavo
sul lato breve dal chiaro
richiamo di sedile o
poggiatesta, 4 scanalature sui
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
lati lunghi per l'appoggio di
sbarre o di un coperchio, 2
forme per contenere due
"cerniere", un foro per
contenere un presunto cero o
torcia, una croce sicuramente
postuma.
L’ipotesi della Tomba
Questa “vasca” dai lineamenti
regolari, è stata ipotizzata come
un sarcofago entro il quale si
presume fosse stato deposto il
cadavere.
Vi è la presenza di un piccolo
avvallamento identificato come
poggiatesta e di alcuni incastri
per l'appoggio di una lastra di
chiusura.
Sicuramente non di fattura
romana per la sua struttura
unica nel suo genere, è stato
ipotizzato che risalga all'VIII
secolo a.C. epoca in cui la zona
sarebbe stata abitata dal popolo
degli Osco-Sabelli che
avrebbero costruito questo
"sepolcro" ad imitazione di
quelli etruschi.
Molti popoli ricreavano nella
tomba l’ambiente quotidiano
della capanna, non solo
riempiendolo di utensili, ma
scolpendo la roccia a
imitazione della propria casa,
credendo così nel risveglio del
defunto dopo la morte.
Ricreare l'ambiente familiare
all'interno della tomba era il
rituale non solo degli etruschi
ma anche del popolo sardo, ad
avvalorarlo sono le famose
Domus de Janas, guarda caso
traduzione in sardo di "Case
delle fate".
Questa è una coincidenza
davvero incredibile che
collegherebbe questa grotta
anche con la Sardegna.
Altra "particolarità" è la
similitudine di Janas con
"contrada Jagna" nome
dell'area in cui si trova il sito.
Un'antica vasca votiva?
Il monumento ha anche
un'altra chiave di lettura,
sicuramente più interessante di
quella precedente.
Esso è stato visto come una
vasca votiva, ipotesi più
veritiera per diversi importanti
particolari.
Primo fra tutti la presenza di
una scanalatura della roccia
lungo tutta la parete dell’atrio
che serviva molto
probabilmente a portare
l’acqua verso una spaccatura
nella parete di sinistra, fin
dentro la vasca.
L'incavo sul lato breve che
abbiamo visto come
“poggiatesta” diventa in questo
caso un sedile, funzione più
veritiera dato che nessun uomo
potrebbe appoggiarvisi la testa
essendo rialzato dal fondo della
vasca di 40 cm.
Le quattro scanalature sui lati
lunghi potevano contenere
delle sbarre o un coperchio
ormai scomparso che poteva
fungere da altare "contenitore
di acqua" elemento sacro per
ogni forma di rituale antico.
Un’acqua sacra perchè estratta
direttamente dalla montagna,
dalla Madre Terra, che sarebbe
giunta con trasporto capillare
fin direttamente alla vasca, un
utero simbolico, al cui interno
ci si immergeva per rinascere a
nuova vita.
Il “poggiatesta” o “sedile
Inoltre le due scanalature sul
lato esterno sembrerebbero due
cerniere per far scorrere il
presunto coperchio, ipotesi
però da scartare, essendo le
cerniere sul lato "aperto", cosa
che renderebbe impossibile e
quantomeno scomoda
l'apertura dell'altare.
Vi è anche un foro che poteva
fungere da porta-candela o
torcia per illuminare l’altare e i
presunti rituali.
Vasca o tomba, ciò che è
prezioso è il monumento in se
stesso, dalla perfetta fattura,
indice di un lavoro intenso e
preciso.
Elementi di tale fattura sono
alquanto rari e per questo il
sito, nonostante sia
abbandonato, ha un profondo
valore archeologico che
speriamo possa avere un giorno
il giusto merito.
Per ora è stato il centro
dell’interesse solo dei
tombaroli che purtroppo non
sappiamo cosa abbiano
realmente trovato e trafugato,
speriamo non siano riusciti a
rubare il tesoro più prezioso,
ovvero la risposta alla domanda
"Cosa realmente avveniva qui
dentro?".
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
LOMBARDIA: LA “PORTA
DELLE FATE” AD
ANGERA
Questa cavità, che si trova ai
piedi dell’arroccato castello di
Angera, era anticamente un
mitreo, ossia un tempio dove
veniva venerato il Dio Mitra,
unico esempio in tutta la
Lombardia.
Essa era chiamata Tana del
Lupo, Antro di Mitra e Grotta
delle Fate.
All’esterno sono ancora
presenti delle tracce di rilievi
alquanto misteriosi legati ad
antichi rituali e incavi che
dovevano contenere lapidi o
oggetti votivi.
E’ un’apertura naturale della
roccia di 7,50 metri x 4,70 con
un’altezza di circa 5 metri.
Una leggenda narra che
all’interno della grotta, ogni
100 anni si aprirebbe una porta
magica che condurrebbe ad
un’altra dimensione popolata
da fate ed esseri
soprannaturali.
Nessuno ha mai varcato la
soglia affinchè potesse
raccontare cosa questo mistico
luogo nasconda.
La Rocca di Angera
La leggenda potrebbe essere
un’interpretazione “popolare”
del percorso iniziatico che gli
adepti ai culti di Mitra
dovevano intraprendere.
E’ possibile che il Tempio sia
stato utilizzato per questo tipo
di culto fino a tempi
relativamente recenti ed è
anche presumibile che
“l’attraversamento della porta”
di un iniziato, un rituale
semplicemente mistico, doveva
essere visto dal contadino di
turno come un evento
fortemente magico.
Il Dio Mitra da sempre è il
riflesso pagano di Cristo, per
via delle notevoli somiglianze.
Anche Mitra nasce da una
vergine in una grotta, ecco
perché i luoghi a Lui dedicati
sono simili a quello di Angera.
E’ la divinità del sole e della
luce con lo scopo di sconfiggere
il male e salvare l’umanità e
anticamente veniva festeggiato
il 25 dicembre.
Mitra muore a 33 anni ed è
sempre affiancato da 12
compagni.
Epilogo
Le Grotte delle Fate potrebbero
risultare banali, superficiali,
quasi “divertenti” per via del
nome che di certo richiama alla
mente il genere “Fantasy”, che
poco ha a che fare con
l’archeologia.
Ma anche la dottrina del
fantastico nonostante oggi sia
manipolata fino all’eccesso, ha
diverse provenienze dalla
storia, perché reinterpreta
secondo fantasie popolari,
eventi realmente accaduti.
Re Artù è esistito, i draghi
venivano “usati” dalla chiesa
per spaventare i fedeli ,
rassicurati che questo animale
spaventoso, simbolo del male,
veniva sempre sconfitto dal
cavaliere San Giorgio.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Nell’antico Orlando Furioso si
narrava di maghi, anelli
prodigiosi, ippogrifi,
personaggi che vivevano
intorno alla nobile corte di
Carlo Magno e conosciamo
bene il successo che l’Ariosto
ebbe tra i nobili del tempo.
Un po’ di magia affascina anche
noi, è per questo che ci
occupiamo di “luoghi
misteriosi”.
E noi, come tutti voi, recandoci
ad Angera, dopo aver visitato il
castello con l’obiettivo di
aumentare la propria cultura
medievale, non possiamo fare a
meno di cercare quella Grotta
delle Fate e nel nostro intimo,
di sperare di poter essere gli
unici a poter in quel momento
vedere il portale magico
aperto…
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Altre verità
pag.137
Saulo di Tarso (Paolo)
Tra mito, ipotesi e storia
Alateus
Alateus
www.alateus.it
Per quanto riguarda la
nascita si dice sia nato a
Tarso in Cilicia (Anatolia)
ma la data di nascita è
incerta.
Probabilmente è nato
intorno al 760 a.u.c. 1, 13
1
(a.u.c. = ab urbe condita
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
anni dopo la nascita di
Gesù.
Comunque san Gerolamo
non è d'accordo e indica
come luogo di nascita il
borgo di Giscala in
Galilea 2.
2
TAYLOR R. - The Diegesis
Secondo santa Tecla: era
di persona corta e robusta,
largo di spalle e con le
gambe piegate (deformi),
quando camminava le sue
ginocchia si toccavano ed
era costretto a procedere a
piccoli passi.
Aveva fronte larga, la
testa calva, soppraciglie
unite e naso aquilino.
Non si può quindi dire che
fosse un adone 3.
Non si conosce molto
riguardo la famiglia.
Si ipotizza fosse una
famiglia aristocratica e
molto facoltosa, (tribù di
Beniamino?) da sempre
legata a Roma e che
quindi godeva della
cittadinanza romana,
quella cittadinanza che
Saulo sa sfruttare molto
bene nei momenti più
significativi della sua
storia.
Detto per inciso, i romani
erano molto cauti nel
concedere la cittadinanza
di Roma agli stranieri,
perciò si può supporre che
la famiglia fosse legata a
Roma da particolari e forti
interessi (tra l'altro:
fabbricanti-fornitori di
tende militari per
l'esercito imperiale).
Resta però da considerare
il fatto che Tarso è
diventata colonia romana,
sotto l'imperatore
Caracalla, verso il 970
a.u.c., e cioè 150 anni
dopo la presunta morte di
Paolo.
Da dove veniva dunque
questo ambìto privilegio
di cittadino romano?
Si trattava alfine di una
famiglia giudea di
tendenze farisaiche.
3
Atti di Paolo e Tecla
…il tribuno gli disse:
"Dimmi, tu sei romano?"
Ed egli rispose: "Sì".
"Io - riprese il tribuno ho acquistato questa
cittadinanza a caro
prezzo".
E Paolo: "Io invece vi
sono nato" 4.
La sua cultura doveva
essere molto vasta.
Educato dalla famiglia in
base ai precetti della
Torah e della Legge
Mosaica, la sua
educazione è stata
sicuramente integrata con
quella cultura di stampo
ellenistico allora assai
diffusa in Cilicia.
Inviato nella sua prima
giovinezza a
Gerusalemme, frequenta
la prestigiosa scuola di
Gamaliele.
Pare avesse una totale
padronanza della lingua
greca, della lingua ebraica
e di quella aramaica.
Ancora molto giovane,
grazie probabilmente agli
appoggi di cui godeva,
diventa un agente
fiduciario del sommo
sacerdote del Tempio.
Occupava quindi una
posizione di rilievo e se in
quel periodo ha
conosciuto Gesù, lo ha
conosciuto stando in
campo opposto ed
operando per il controllo
ed il contenimento delle
rivendicazioni
messianiche degli essenozeloti.
Resta comunque legittimo
il sospetto che non abbia
conosciuto effettivamente
Gesù.
In effetti solo dopo tre
anni dalla morte del Cristo
4
Luca-Atti degli Apostoli
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
entrerà in contatto e
cercherà di confrontarsi
con quelli che si ipotizza
lo abbiano conosciuto.
Saulo è molto zelante nel
compimento dei suoi
doveri acquistando così
una fama pesantemente
negativa tra i sostenitori
del movimento
messianico.
Tutto questo sino al 789
(a.u.c.) anno in cui Saulo
riflette seriamente sul
proprio avvenire.
Prossimo ai 30 anni,
ambizioso, arrivista,
profondamente umiliato
dal suo ex maestro
Gamaliele, che gli rifiuta
la figlia in sposa a causa
delle sue deformità, si
rende conto:
a) che al servizio del
Tempio le prospettive per
il suo futuro non sono poi
tanto esaltanti;
b) che la marea montante
del movimento essenozelota ha in sè qualcosa
che la sua intelligenza è in
grado di incanalare e
mettere a frutto.
Questo considerato, parte
alla chetichella alla volta
di Kirbet Qumran
(Damasco) e chiede di
entrare a far parte della
comunità.
Si può solo immaginare la
sorpresa degli esseni di
fronte a tanta richiesta da
parte di un personaggio
con una fama come la sua.
Comunque alla fine viene
battezzato (rito di
ingresso) e si assoggetta
pazientemente al noviziato
di tre anni, durante i quali
assorbe i principi del
movimento esseno e, a
tutti gli effetti, diventa
egli stesso esseno (o
almeno così pare).
Le peripezie che seguono
al suo primo ritorno a
Gerusalemme, gli
incarichi ricevuti dalla
Nuova Chiesa ebraica, i
viaggi e le polemiche sono
già stati riportati nei
rispettivi anni della
cronologia.
Quello che occorre
rilevare è che sin
dall'inizio Paolo (ora lo si
può chiamare così) si
rende conto che la
cosidetta "Nuova Chiesa di
Gerusalemme" è solo una
conventicola di zombi che
si alimenta di sterili
polemiche e di battibecchi
con la casta sacerdotale
del Tempio, mentre lui,
Paolo, ha idee ben più
grandiose: creare una
nuova corrente religiosa
che, pur essendo di
matrice ebraica, possa
essere diffusa ed accettata
anche da altri popoli.
La Nuova Chiesa Ebraica
di Gerusalemme, per
quella orgogliosa forma di
chiusura mentale e sociale
(che sarà, nei secoli, causa
di infinite persecuzioni)
"noi siamo il popolo
eletto"
si rivolge esclusivamente
alle comunità ebraiche,
sparse un po' dovunque
nel bacino del
Mediterraneo, per aizzarle
contro l'autorità del
Tempio; Paolo invece
vuole rivolgersi anche ai
"non circoncisi"
proponendo loro un nuovo
culto su basi che non
contrastino e non mettano
in allarme l'attento e
sospettoso governo di
Roma.
E poi, a proposito di
"popolo eletto", stando a
quanto riporta la Bibbia
(Giosuè 24,2-24) Jahvè
non ha eletto gli ebrei
come suo popolo
prediletto ma sono stati
gli ebrei a eleggere Jahvè
come loro dio, su
sollecitazione di Giosuè,
nella grande radunanza di
tutte le tribù d'Israele a
Sichem. Bisognava pure
definire un qualcuno a cui
tutto attribuire e da cui
tutto derivare 5.
Per quanto si possa dire,
l'ipotetico Gesù era un
ebreo ortodosso e come
tale sarebbe rimasto sino
all'ultimo; non ha mai
avuto l'intenzione di
creare una nuova
religione.
S a n P a o l o , Ch i esa di S a n
P a o l o i n S po nt ri c c i o l o
S . Lo r enzo – Ri c c i o n e
Gesù mirava al sodo ed
aveva obiettivi molto
terreni ed assai poco
celesti: avrebbe puntato al
trono di Israele e a
null'altro.
Paolo è persona
intelligente e scaltra.
Sa benissimo che le masse
possono essere governate,
più che con lo scettro (o le
armi), con i miti, le paure
indotte e le grandi
illusioni.
5 La Bibbia (Emmaus) - Ed. S.Paolo
1998
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Si mette perciò
alacremente all'opera e
pesca, a piene mani, nel
ricco repertorio dei miti
del passato, da quelli egizi
a quelli della
Mesopotamia, a quelli
dell'insorgente
messianesimo.
Si inventa una quantità di
miracoli che attribuisce a
Gesù trasformandolo,
poco alla volta, in una
specie di dio.
Fa esattamente ciò che
facevano i romani
divinizzando i loro
imperatori anche se poi, a
volte, si dimostravano
degli emeriti citrulli, per
non dire bestie!
Una occhiata alle FONTI
MITICHE può chiarire da
dove sono derivate
determinate basi della
teologia cristiana-paolina.
Nel fare questo Paolo
entra inevitabilmente in
conflitto con la classe
dirigente della Nuova
Chiesa di Gerusalemme,
ancorata al rigido rispetto
della legge mosaica, ma
non dell'autorità del
Tempio.
Le predicazioni di Paolo,
di natura deviante e con
poco in comune con le
idee conservatrici
coltivate in seno alla
Chiesa di Gerusalemme,
preoccupano molto il
gruppo dirigente della
comunità.
Lo scontro è violento;
Paolo viene accusato di
inventare, di sana pianta,
una nuova teologia che ha
sempre di meno in comune
con la fede giudaica e la
Legge di Mosè; viene
accusato di attribuire a
Gesù, che non ha mai
conosciuto, parole ed atti
che quest'ultimo non si
sarebbe mai sognato di
dire o fare.
Il problema per Giacomo
il Giusto, che ormai è il
capo indiscusso della
comunità di Gerusalemme,
è quello di capire sino a
che punto sia utile
convertire i pagani alla
dottrina ebraica della
Nuova Chiesa di
Gerusalemme.
Come conservatore è
probabilmente più
propenso a riservare
questo "privilegio" agli
appartenenti al "Popolo
Eletto".
Per Paolo invece il
problema è un altro:
espandersi anche tra i
pagani o accettare un
inevitabile declino.
Paolo non capisce, o non
accetta, l'idea settaria e
ristretta del messia di
Aronne che dovrebbe
risolvere le beghe con i
sacerdoti del Tempio;
Paolo pensa ad un messia
da proporre, a livello
mondiale, basato su altri
presupposti e con finalità
di ampio respiro.
Comunque il concilio di
Gerusalemme del 58 e.v. 6
si chiude senza grandi
decisioni; in pratica
ognuno resta ancorato alle
proprie idee 7.
A parte ciò, la Nuova
Chiesa di Gerusalemme
esita a liberarsi di un
"apostolo tanto scomodo"
e questo per un buon
motivo. Qualsiasi setta,
culto o credenza per
affermarsi ha bisogno di
una struttura, di una
organizzazione per la
era volgare.
Opinioni diffuse e/o
contestualmente indotte.
diffusione del credo e
quindi ha bisogno di
denaro.
E Paolo è la persona
adatta per fare quattrini.
Affabulatore spigliato,
energico e convincente,
nei suoi tre lunghi viaggi,
raccoglie una quantità
considerevole di
contributi che versa
regolarmente nelle casse
della Nuova Chiesa di
Gerusalemme.
Gli ebrei, fuori dalla
Palestina, avevano
mantenuto il loro legame
con il Tempio di
Gerusalemme, legame che,
al lato pratico, si
concretizzava con il
versamento di un
contributo annuale di
mezzo siclo d'argento.
Paolo, con la sua abilità,
riesce a deviare in parte
questo flusso di denaro
raccogliendolo per la
Nuova Chiesa di
Gerusalemme.
Tutto questo potrà
apparire poco apostolico
ma Luca, negli Atti degli
Apostoli (11,29),
implicitamente ne dà
conferma: le chiama
"elemosine" 8.
Paolo nelle sue epistole le
definisce esplicitamente
"collette".
E' difficile stabilire sino a
che punto Paolo sia
riuscito a portare avanti le
sue bugie ed il suo
progetto di fondatore di
un nuovo culto; un fatto è
certo: dopo di lui alcuni
altri (evangelisti) hanno
raccolto il testimone ed
hanno proseguito nella
realizzazione del progetto
continuando a divinizzare,
6
7
8
Luca-Atti degli Apostoli.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
a tappe e per circa tre
secoli, la figura di Gesù.
Una cosa che ha sempre
messo in fastidioso
imbarazzo sia i cristiani
che gli ebrei, è il fatto che,
malgrado tutto, Paolo,
come Gesù, è sempre stato
fondamentalmente ebreo.
Anche se con le sue
predicazioni ha messo in
discussione alcuni principi
della legge mosaica non
vuol dire che abbia
rinnegata la sua primitiva
matrice di stampo
farisaico.
Tra le altre cose occorre
segnalare che "secondo lo
storico della chiesa
Eusebio di Cesarea ed
altri, Paolo si sarebbe
(non si sa bene quando)
sposato con una certa
Evodia."
Che fine abbia fatto Paolo
realisticamente non lo sa
nessuno.
http://semperamicus.blogspot.com
Dopo le ultime
disavventure a
Gerusalemme ed il suo
trasferimento a Roma,
sembra svanito nel nulla.
Lo stesso Luca, che negli
Atti degli Apostoli ne
esalta le gesta, termina la
sua presunta
testimonianza lasciando
aperta la questione 9.
Un fatto è innegabile;
durante il suo soggiorno a
Cesarea e durante gli
"arresti domiciliari" a
Roma ha goduto di strani
inconsueti privilegi.
Di quale considerazione
godeva Paolo presso il
governo romano e perchè?
Dopo due anni di
permanenza a Roma
Paolo, che ormai ha 56-57
anni, sparisce dalla
circolazione.
Che fine abbia fatto resta
dunque un mistero.
L'ipotesi più accreditata,
ma sempre opinabile, è
che il governo di Roma
(Nerone) lo abbia
trasferito in un soggiorno
definitivo e più
"tranquillo" in Spagna 10.
Durante gli ultimi anni è
certo che abbia affinato le
basi della sua costruzione
teologica, fondando una
setta proto-cristiana, dagli
imprevedibili sviluppi e
meno "esclusiva"
dell'ebraismo, lasciando
ad altri seguaci il compito
di formalizzarla e
diffonderla.
In fondo la dottrina di
Paolo, che predicava la
Luca-Atti degli Apostoli.
Secondo R.H. Eisenmann: Paolo,
aristocratico e molto agiato, godeva di
conoscenze in alto loco con il potere
dirigente. In confidenza con i
governatori di Cesarea e con Erode
Agrippa II, poteva essere un agente di
Roma. Fornisce informazioni ed il
potere lo protegge, gli attribuisce una
nuova identità e denaro e questo
spiegherebbe la definitiva sparizione,
non giustificata negli Atti degli
Apostoli (EISENMANN R. -James the
brother of Jesus – 1997). Da
considerarsi come una battuta: forse
la CIA ha origini antichissime.
9
10
sopportazione agli
oppressi, agli schiavi ed ai
reietti, in vista di una
immancabile ricompensa
post-mortem, non doveva
dispiacere al governo di
Roma, sempre in lotta
contro le rivendicazioni e
gli aneliti di libertà delle
popolazioni sotto il giogo
dell'impero.
E' ora necessario ed
opportuno tornare coi
piedi per terra.
In questi ultimi anni i
dubbi, le perplessità e le
incongruenze che sono
sorte su questo singolare
"missionario" mettono in
forse la sua "reale
esistenza" ed insinuano il
dubbio che si tratti di un
personaggio di pura
invenzione, dietro al quale
siano state mascherate
ben altre realtà.
Una analisi attenta ed
accurata dei Rotoli di
Qumran e dei Vangeli
gnostici di Nag Hammadi,
ha recentemente indotto
lo studioso R.H.
Eisenmann alla
formulazione di una nuova
suggestiva tesi.
Paolo sarebbe stato
"l'Uomo di Menzogna"
che, nell'ambito della
setta essena, si sarebbe
contrapposto a Giacomo,
fratello di Gesù e "Maestro
di Giustizia" della stessa
setta 11.
Paolo avrebbe quindi
provocato uno scisma
nella setta e, dopo essere
stato cacciato dalla
comunità, avrebbe dato
origine ad un nuovo
movimento "La Setta degli
Apostolici" di matrice
fortemente gnostica.
11 EISENMANN R. -James the
brother of Jesus – 1997.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Qualche secolo dopo la
burocrazia clericale di
Roma avrebbe ripulito le
idee di Paolo dalla loro
componente gnostica,
trasformandolo nel
personaggio di comodo
oggi a tutti noto.
Resta sempre il fatto che
tesi e supposizioni sul
personaggio Paolo sono
tante e tali da indurre, in
definitiva, a mettere in
dubbio la sua stessa
esistenza.
Fino a che punto i
documenti di Qumran e di
Nag Hammadi hanno una
valenza storica oltre che
mitica?
Considerando le cose da
un altro punto di vista e
fermi restando alla favola
evangelica, Paolo non
sarebbe quindi uno dei
tanti Apostoli, ma il più
eminente convertito dopo
la morte di Gesù.
Egli avrebbe operato come
missionario e pastore ed
anche come un
instancabile raccoglitore
di quattrini dei Gentili che
consegnò poi alla Nuova
Chiesa di Gerusalemme, di
matrice esseno-cristianogiudaica.
In realtà non esiste la
minima prova storica che
questo personaggio sia
nato, vissuto e morto
come Luca ci racconta nel
suo "Atti degli Apostoli".
Anzi, certe reticenze dello
stesso Luca confermano
che si tratta di un
personaggio inventato,
presumibilmente intorno
al 180-220 d.C., dopo la
stesura dei primi vangeli.
E' quasi certo che il nome
fittizio di Paolo
costituisca solo un punto
di aggregazione
e di riferimento in cui
convergono idee e principi
maturati nei primi secoli
di un cristianesimo ancora
incerto e privo di precise
identità.
Nessun storico ne parla;
Giuseppe Flavio (37-95
e.v.), che ha vissuto a
Roma nello stesso periodo
di tempo, attribuito
all'analoga permanenza di
Paolo, non ne fa alcun
cenno.
Lo stesso si può dire di
Plinio il Giovane (62-113
e.v.), Tacito (55-120 e.v.)
o Svetonio (69-140 e.v.).
Le epistole di Paolo, che
sono una parte
importantissima del
Nuovo Testamento e che
dovrebbero essere i primi
documenti cristiani, per
uno strano caso non
parlano quasi mai di Gesù,
anche se si vuol far
credere che Paolo sia
vissuto durante e dopo
l'avvento di questo cristo e
che quindi avrebbe dovuto
conoscere bene la sua vita
ed i suoi miracoli.
Si può invece facilmente
constatare come queste
epistole siano una
farraginosa miscela di
concetti spirituali ripresi
da vari culti, sette,
religioni e scuole
misteriche esistenti da
centinaia o migliaia di
anni prima del
cristianesimo.
Paolo non parla mai di
Pilato, dei romani, di
Caifa o del Sinedrio, di
Erode o di Giuda, delle pie
donne o di qualsiasi altra
persona od eventi, tanto
menzionati nei vangeli
"ufficiali" della chiesa, e
tantomeno della nascita
straordinaria del
Salvatore, delle parabole e
dei suoi strabilianti
miracoli.
Come si può pensare che
un predicatore del nuovo
messia possa andare per il
mondo a convertire la
gente nel nome di Gesù
senza citare una sola volta
i suoi detti o le sue
parabole?
Il fatto in se stesso che
non ci sia un solo detto di
Gesù, riportato dai vangeli
e che sia stato citato da
Paolo nelle sue lettere è
inammissibile e fatale per
la storicità sia di Gesù che
del suo presunto
apostolo/missionario.
(Ci sono poi delle cose
veramente eclatanti. Nella
prima lettera a Timoteo,
Paolo parla del lavoro di
Marcione intitolato
"Antitesi". Questa lettera,
secondo la chiesa, sarebbe
stata scritta intorno al 6566 e.v. Posto che Marcione
è vissuto dall' 85 al 160
e.v., ed è stato espulso
dalla chiesa di Roma nel
144 e.v. per eresia, se ne
deduce che la letterina a
Timoteo è stata scritta
prima che Marcione stesso
nascesse!).
Una ipotesi abbastanza
attendibile, ma da
dimostrare, è quella che
attribuisce le lettere
paoline all'opera di
Marcione. (H. DeteringDer Gefaelschte Paulus1995)
Recenti studi propendono
oggi ad attribuire a
Marcione l'invenzione del
personaggio di Paolo di
Tarso 12.
E, per quello che è dato
capire, gli eventi della vita
di Paolo sono stati
12
Libro di Giovanni Evangelista.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
integrati, solo
successivamente, nel
Nuovo Testamento ed i
particolari sono stati
derivati anche dalla vita di
APOLLONIO DI TIANA,
(detto il "Nazareno").
L'intero gruppo dei
documenti "paolini"
costituirebbe dunque una
rozza falsificazione.
Nessuna lettera può essere
attribuita a questo
"Paolo": si tratta
unicamente di esercizi mal
riusciti di pseudoepigrafia
basati sul presupposto che
la maggior parte della
gente "beve tutto" senza
minimamente ragionare.
Lo storico Seneca era
fratello di Gallio,
proconsole di Acaia,
precisamente nell'epoca in
cui Paolo avrebbe
predicato in tali contrade.
Malgrado Seneca abbia
descritto minuziosamente
gli avvenimenti del suo
tempo, non fa il minimo
cenno di questo
"straodinario
predicatore".
La storia della vita di
Paolo ha lo stesso senso
mitologico di quella di
altri personaggi che lo
hanno preceduto.
Come altri personaggi
Paolo è una finzione, una
delle tante "pie frodi".
Recentemente, alcuni
studiosi hanno creduto
ravvisare la reale
esistenza del personaggio
Paolo, attraverso l'analisi
e l'interpretazione degli
scritti ritrovati a Qumran
ed a Nag Hammadi.
Si tratta di stabilire sino a
che punto questi
documenti, di tipo miticocultuale, possono essere
ritenuti validi e probatori
sul piano storico.
Già a partire dal secolo
XIX, parecchi studiosi
hanno iniziato a mettere
in dubbio l'autenticità
delle lettere 1 e 2 a
Timoteo e la lettera a Tito
sostenendo siano state
scritte, a suo nome, da
altri seguaci cristiani.
Quello che era stato
aggiunto, di inedito, è il
presunto titolo di
"cittadino romano",
nell'intento di rendere il
nuovo personaggio gradito
ai potenti di Roma.
A confermare il sospetto
che la figura di Paolo
possa essere solo una
mera invenzione, occorre
chiarire la figura di
Apollonio di Tiana, nato il
13 Marzo del 2 (a.e.v.) a
Tiana (Thyana), in
Cappadocia e morto
vecchissimo,
presumibilmente nel 102
(e.v.).
E' uno di quei personaggi
eccezionali passato
attraverso le più
straordinarie esperienze
che, spesso, sconfinano
nella leggenda e che molto
fastidio hanno creato agli
"indottrinati" del
cristianesimo "ufficiale".
La prima storia della vita
di Apollonio, filosofo
neopitagorico, venne
scritta da Filostrato (c.a.
165-245 e.v.), molto tardi,
nel 210 e.v., al tempo di
Settimio Severo, su
commissione
dell'imperatrice Giulia
Domna e sulla base di
precedenti racconti,
tradizioni orali e su
appunti scritti dal suo
discepolo Damis di
Ninive; caso strano,
Filostrato non fa nessuna
menzione di un qualsiasi
Gesù Cristo che avrebbe
dovuto essere un
contemporaneo molto
importante di Apollonio,
se non un rivale; anzi
Filostrato attribuisce ad
Apollonio alcuni presunti
miracoli che
successivamente i Vangeli
attribuiranno a Gesù.
Presente a Roma,
Apollonio ne fu cacciato
due volte, per ordine di
Nerone e di Domiziano,
che non gradivano le sue
predicazioni.
In seguito, fu paragonato
ad un "Cristo pagano",
secondo quanto riferisce
Eusebio di Cesarea, nella
sua "Storia Ecclesiastica";
Caracalla fece costruire un
tempio in suo onore
mentre Alessandro Severo
gli fece erigere una statua
nella sua cappella privata.
http://librisenzacarta.it
Molti particolari della vita
di Paolo coincidono con
quelli della vita di
Apollonio, compresi i
percorsi dei viaggi, che
sono del tutto identici.
Il fatto stesso che si
suppone Paolo nativo di
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Tarso si accorda con la
circostanza che Apollonio
ha passato una parte della
sua giovinezza, per motivi
di studio, in questa città.
Come per Paolo, i viaggi di
Apollonio partivano da
Antiochia.
Apollonio visitò anche le
regioni orientali dove
raccolse diversi libri
incluso quello (il Diesegis)
contenente la storia di
Krishna.
Al suo ritorno dall'India
risalì l'Eufrate su di un
battello sino a Babilonia e
poi via terra raggiunse
Antiochia.
I viaggi successivi fatti ad
Efeso, Atene, Corinto ed
altre località della Grecia
descrivono lo stesso
percorso attribuito ai
viaggi di Paolo.
Come Paolo, Apollonio fu
arrestato a Roma ed
espulso per le sue idee;
come Paolo, non ha mai
predicato ai giudei in
Palestina ma solo ai
gentili.
Gli sono state attribuite
un sacco di definizioni
quali: gimnosofita,
buddista, bramano,
nazareno, terapeuta,
gnostico e mago.
Si isolò dal mondo all'eta'
di 80 anni vivendo
segretamente,
presumibilmente ad Efeso,
sino a 102 anni e, come
per Mosè, Gesù e Pitagora,
la sua tomba non è mai
esistita oppure non è mai
stata trovata 13.
alat eus @t in . it
Luca-Atti degli Apostoli;
ACHARYA_S - The Christ conspiracy;
GRAHAM L. - Deception and myths
of the Bible; WHELESS J. - Forgery
in christianity.
13
Documenti
pag.144
Autopsia di un alieno:
fine dei giochi
Il diavolo è nei dettagli - La storia di Spyros Melaris
Philip Mantle
(traduzione Sabrina Pasqualetto)
Philip Mantle
Philip Mantle è autore,
ricercatore, docente e giornalista
televisivo internazionale
specializzato sul tema UFO.
Il suo libro “Inchiesta sull’autopsia
aliena” è ora disponibile tramite
Amazon.
Può essere contattato per e-mail
all'indirizzo:
[email protected]
Era il 1993 quando fui
contattato per la prima volta
da Ray Santilli, un
imprenditore di Londra.
Il 1995 quando uscì in tutto il
mondo il controverso video di
Santilli “Alien Autopsy”.
Ho coperto gli eventi che
circondano questo video in
numerose pubblicazioni in
tutto il mondo e nel mio libro
“Inchiesta sull’autopsia di un
alieno”, quindi perdonatemi se
qui non faccio nessun tipo di
copertura.
Il 22 giugno 2007 ho viaggiato
in treno fino a Londra per
incontrarmi con Ray Santilli e
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
il suo socio in affari Gary
Shoefield.
Abbiamo fatto una piacevole
colazione insieme e Ray
Santilli mi ha mostrato alcuni
fotogrammi di pellicola
rinchiusi in un materiale del
tipo perspex, simile al
plexiglass.
Santilli sosteneva che questi
erano i fotogrammi originali
della pellicola “ Autopsia
aliena” del 1947.
Dal momento che erano usciti
senza sigillo ufficiale di
approvazione nè erano stati
autenticati da nessuno erano
da considerarsi inutili.
Dopo un paio di giorni
dall’incontro il mio amico e
collega Russel Callaghan,
direttore della rivista UFO
DATA, ricevette una telefonata
da un uomo che si presentò
come Spyros Melaris.
L'uomo sosteneva di aver
diretto la squadra che aveva
contraffatto tutto il video
dell'autopsia aliena.
Era un mago e regista ed era
pronto a vuotare il sacco.
Diede a Russel tutti i dettagli
sul chi, cosa, perché e dove di
tutta la faccenda.
A causa del mio
coinvolgimento in questa
vicenda Russel mi comunicò
telefonicamente tutti i dettagli.
Non passò molto tempo prima
che potessi parlare con Spyros
Melaris e che mi raccontasse le
cose nel minimo dettaglio.
Durante le settimane
successive ebbi varie
conversazioni telefoniche con
Spyros Melaris e lo misi in
contatto, su sua richiesta, con
il produttore televisivo
statunitense Robert (Bob)
Kiviat.
Spyros stava valutando il
modo migliore per rendere
pubblica la sua storia, aveva
un libro progettato e pensava
che un documentario
televisivo sarebbe stato una
buona idea.
Insieme con i miei colleghi
Russel Callaghan, Michael
Buckley e Steve Johnston, fui
uno dei co-organizzatori della
conferenza annuale UFO
DATA.
E così successe, la conferenza
del 2007 ebbe un tema per
commemorare il 60 °
anniversario della Incidente di
Roswell.
I miei colleghi e io
discutemmo sulla possibilità di
chiedere a Spyros Melaris di
fare la sua prima dichiarazione
pubblica su questa faccenda
alla nostra conferenza e alla
fine Spyros accettò.
La conferenza si tenne il 20 e
21 ottobre 2007 a Pontefract,
West Yorkshire.
Un pubblico gremito vide
Spyros sul palco il 21 Ottobre.
Lo incontrai di persona per la
prima volta la sera prima,
presso l'hotel e presi accordi
formalmente per poterlo
intervistare a casa sua nel
corso dell'anno.
Come promesso, Spyros salì
sul palco e disse del suo
coinvolgimento nella
realizzazione del video “Alien
Autopsy“.
Una piccola parte del pubblico
apparve piuttosto sconvolta
nel sentire tutto questo, ma la
stragrande maggioranza era
affascinata da ciò che Spyros
aveva da dire.
Presi accordi per visitare la
casa di Spyros Melaris il 16
novembre 2007 e andai a casa
sua in Hertfordshire con la
mia partner Christine.
Prima della formale audiointervista registrata
pranzammo con Spyros e la
sua bella moglie Anne.
In seguito Spyros ci mostrò
alcune delle prove
documentali per sostenere le
sue affermazioni.
Ciò includeva il suo diario dal
1995, gli schizzi disegnati a
mano dallo straniero, un
elenco completo di immagini
disegnate a mano riguardanti
il video, messaggi fax originali
provenienti dalla Kodak negli
Stati Uniti che forniscono
copie di etichette del l947 e di
materiale di ricerca.
Questo materiale proveniva
soprattutto da una raccolta
(del l940) di fotografie
mediche di veicoli militari Usa.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
L'intervista durò circa due ore
e toccammo solo la punta di
un iceberg.
L'intervista completa può
essere trovata on-line su:
http://www.outtahear.com/be
yond_updates/index.html
(Alien Autopsy sezione
"Informazioni").
Vorrei ringraziare il mio
collega Steve Johnston per
aver trascritto interamente
questa intervista.
Il seguito è basato su questo
colloquio.
Chi è Spyros Melaris
Philip Mantle e Spyros Melaris
Come è possibile capire dal
nome, Spyros è originario di
Cipro.
Da ragazzo gli fu insegnato un
trucco magico da suo nonno e
da quell’evento nacque il suo
amore per la magia.
Un’altra passione, comune a
ogni ragazzo cresciuto nel
Regno Unito, è fare film.
A scuola diceva che voleva
diventare un attore, ma in
questo fu scoraggiato.
Un lavoro vero, ecco di cosa
aveva bisogno.
Così si trovò un lavoro
adeguato e, dopo aver lasciato
la scuola, divenne un
apprendista meccanico.
Tuttavia, il suo amore per la
magia e i film alla fine vinse e
così divenne un mago e un
regista.
Ora possiede uno studio
televisivo a Londra e fa
spettacoli televisivi per tutte le
principali reti del Regno Unito
e per società di produzione
indipendenti.
In breve, usando parole sue:
facciamo programmi per "tutti
coloro che ci ingaggiano".
Come ha incontrato
Ray Santilli
Nel gennaio 1995 stava
partecipando ad una
manifestazione musicale
MIDEM a Cannes, in Francia.
Stava girando un film là e,
avendo un po’ di tempo libero
cominciò ad inviare messaggi
via fax a 4 società di
produzione.
Sostanzialmente chiedeva loro
se volevano ingaggiare sia lui
che il suo equipaggio, mentre
si trovavano a Cannes.
Una di queste società era il
Gruppo Merlin di proprietà di
Ray Santilli.
Spyros e Ray Santilli ebbero
alcune conversazioni
telefoniche, ma non si
incontrano mai così si diedero
appuntamento a Cannes.
Per puro caso si imbatterono
l'un l’altro in un ristorante a
Cannes e fu qui che Ray
Santilli disse a Spyros Melaris
che aveva ottenuto i filmati di
un alieno.
Trattenendo un sorrisetto
Spyros chiese a Santilli se
diceva sul serio e lui rispose di
si, non solo, voleva che Spyros
ne facesse un documentario.
Rimasero d’accordo che si
sarebbero incontrati presso la
sede di Ray Santilli a Londra.
Pochi giorni dopo Spyros si
incontrò con Santilli nel suo
ufficio di Londra.
Qui incontrò un Ray Santilli
alquanto sconvolto, che gli
disse che aveva comprato
questo film, ma si era rivelato
essere di qualità molto scarsa.
A Spyros fu mostrato il filmato
e subito riconobbe come era
stato girato.
Il nastro era in formato VHS.
Santilli sembrava sorpreso dal
fatto che avesse riconosciuto
così rapidamente e capì che il
gioco era finito.
Usando le parole dello stesso
Spyros: "Se non posso farla
franca con questo tizio, non la
farò franca con nessun altro”.
Si rese conto che era tutto
finito.
E’ stato quello il momento in
cui la riunione finì.
“Pensai che il ragazzo era
pazzo.
Sta cercando uno veloce.
A quel punto pensai che era
finita".
In poche parole Melaris diede
l'idea a Humphreys.
"John, avresti voglia di
scolpire un alieno?"
Melaris disse a Humphreys del
suo incontro con Santilli e
venne fuori che voleva fare
questa cosa.
Parlarono delle cose più da un
punto di vista giuridico e di
come avrebbe potuto aiutarli a
penetrare in altri progetti,
anche a Hollywood.
L'idea era quella di farlo,
renderlo pubblico e poi fare un
secondo programma subito
dopo nel quale si mostrava
come lo avevano fatto.
Humphreys concordò e
Melaris girò l'idea a Santilli.
Santilli sembrò quasi rinascere
e acconsentì.
Il bilancio presentato da
Melaris fu di circa £ 30.000,
fu il partner in affari e amico
di Santilli, Volker Spielberg, a
mettere i soldi.
Il finanziamento era
approvato, i contratti e
l’accordo di riservatezza erano
stati firmati ed erano in ballo.
L'equipe dietro la
realizzazione del film
Uno degli schizzi rivelatori
Allora come è nata
l'idea di un falso
Melaris si incontrò con il suo
amico e collega John
Humphreys.
Humphreys è uno scultore
della Royal Academy il cui
lavoro a volte viene trasmesso
in televisione in collegamento
agli effetti speciali.
Melaris e Humphreys si
conoscevano da molto tempo e
avevano lavorato insieme su
diverse cose in passato.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Per primo c’era Spyros
Melaris.
Ha progettato e diretto il film,
diretto, istruito e pagato il
resto della squadra, fatto il
tavolo dell'autopsia e altre cose
utili, ha anche fatto le 'tute
anti-contaminazione' e ha
ottenuto le telecamere.
Il ricercatore principale dietro
a tutto ciò fu l’ allora fidanzata
di Spyros, Geraldine.
Fu lei a controllare i libri di
medicina, a parlare con
chirurghi e patologi, nonché
ad interpretare il ruolo
dell’infermiera nel film.
Ovviamente per mantenere
l’anonimato Geraldine non è il
suo vero nome.
Naturalmente John
Humphreys ha fatto gli organi
dell’alieno.
Lo stampo è stato fatto sul
corpo di Giovanni, il figlio di
dieci anni che era piuttosto
alto.
Essendo uno scultore esperto
Humphreys aveva anche
studiato anatomia così egli
prese il ruolo del chirurgo.
Un altro amico di Spyros ha
fatto Greg Simmons.
Si vedeva di tanto in tanto nel
film in una tuta anticontaminazione e recitava
anche la parte del soldato.
Gareth Watson, un collega di
Santilli e Shoefield era l'uomo
della mascherina chirurgica
dietro il vetro, e, infine, il
fratello di Spyros, Peter,
aiutava dietro le quinte.
Il set è stato costruito in casa
di Geraldine a Camden,
Londra.
La struttura era in procinto di
essere trasformata in tre
appartamenti quindi era
vuota.
Gli oggetti di scena sono stati
ottenuti da alcune conoscenze
di Spyros negli Stati Uniti.
Non le era stato detto a cosa
servivano tutte quelle cose,
sono state ordinate
separatamente e consegnati a
indirizzi diversi in modo da
non destare sospetti.
Le telecamere sono state
ottenute da Spyros, una
comprata e una presa in
prestito da un amico.
Perché ci sono due filmati
distinti dell’autopsia
Secondo Spyros il primo film
'Alien Autopsy' andò più o
meno come previsto.
Tuttavia, dopo il
completamento, Geraldine
notò che alcune delle
procedure mediche non erano
corrette.
Essi hanno quindi dovuto fare
un'altra creatura e filmarla
nuovamente.
A quanto pare Santilli era
pronto per il completamento
della cosa visto che non
c’erano più soldi per filmare di
nuovo.
Non si diedero per vinti e
fecero un altro film finanziato
personalmente da Spyros il
giorno successivo.
Ma ci furono ugualmente
problemi.
La schiuma di lattice utilizzata
per riempire il manichino non
aveva funzionato bene e una
bolla d'aria aveva lasciato uno
spazio vuoto nella gamba della
creatura.
Humphreys fu inviato ai
macellai locali da Spyros per
cercare una gamba di una
pecora.
E’ stata inserita nella parte
vuota della gamba destra
dell’alieno, sono state aggiunte
un paio di cose, la parte
esterna della gamba è stata
leggermente bruciata con una
fiamma ossidrica e oplà, ecco
una gamba ferita.
Alcuni degli organi interni
erano stati fatti da Melaris, e
gli organi interni di alcuni
animali sono stati usati per le
interiora dell’alieno, alterati e
ricoperti di lattice.
Il cervello dell’alieno è stato
ottenuto dal cervello di tre
pecore e di un maiale.
In questo modo ottenemmo
due diversi film autopsia uno
dei quali è stato mostrato nella
sua interezza, mentre il
secondo è stato mostrato solo
in parte.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Il relitto e le travi
Questi sono stati tutti
disegnati da Spyros stesso.
Alla conferenza di ottobre
2007 UFO DATA, Spyros mi
ha fatto vedere come aveva
progettato la 'scrittura' sulle
travi e ciò che dicevano.
Il relitto è stato fatto da John
Humphreys, Spyros e suo
fratello, Peter.
Mi ha detto che si era basato
su alcuni caratteri greci, un
po’di egiziani antichi con
qualche licenza artistica.
Sulla trave principale, se
tradotta correttamente, si
legge la parola 'LIBERTA'.
Spyros pensava che sarebbe
stato un nome perfetto per un
veicolo spaziale alieno.
Durante la scrittura delle
lettere per la parola 'libertà',
Spyros notò che se la parola
veniva capovolta, si poteva
tradurre la parola VIDEO.
Ha modificato alcune delle
lettere per ovviare a questo
problema, in modo da creare
una falsa pista.
La traduzione della trave più
piccola è stata trattenuta per il
libro di Spyros.
Intervista al Cameraman
Secondo Melaris, Ray Santilli è
stato messo sotto pressione da
varie parti per fissare un
colloquio con il finto
cameraman dal quale egli
avrebbe comprato il film.
Ovviamente secondo Melaris
non c'era nessun venditore,
così inventò tutta la cosa.
Lo scenario di base è che
Melaris andò a Los Angeles e
si incontrò con il partner di
Santilli, Gary Shoefield.
Melaris voleva trovare un
vagabondo ottantenne per le
strade di Los Angeles, dargli
qualche centinaio di dollari e
metterlo davanti ad una
telecamera con un copione.
Santilli e Shoefield erano
nervosi e non erano sicuri che
avrebbe funzionato, ma Spyros
era fiducioso e andò avanti.
Trovò un vecchio che viveva
per la strada, gli offrì 500
dollari e una notte in hotel e
lui accettò.
Per puro caso il tizio era stato
un attore molti anni fa.
Melaris prese il suo nome e il
nome di un film in cui era
apparso.
Questi dettagli saranno letti
nel suo libro.
Egli lo ripulì, gli fece la barba,
aggiunse un po'di trucco e un
naso e mento posticci e il
lavoro era fatto.
L'uomo non sapeva che cosa
stava leggendo né per cosa
sarebbe stato utilizzato.
C'era solo una minima
possibilità che avrebbe visto la
trasmissione.
E nessuno lo avrebbe mai
riconosciuto nemmeno in un
migliaio di anni.
E così è stato.
Questo film è stato consegnato
di persona a New York al
produttore televisivo
statunitense Bob Kiviat da
Gary Shoefield e da un uomo
che avrebbe dichiato di essere
il figlio del cameraman.
Alla fine il film in questione è
stato trasmesso in TV solo in
Giappone e da lì è stato
copiato e distribuito ai
ricercatori UFO in tutto il
mondo.
La manovra è riuscita, nessuno
ha identificato l'uomo in
questione e Melaris afferma di
essere l'unico a poterlo fare.
autentico, non per il film in sé,
ma a causa del luogo dello
schianto.
Ray Santilli ha comunicato i
dettagli, presumibilmente dal
suo cameraman, del luogo
preciso del deserto dove
l’incidente è accaduto.
Come hanno fatto?
Ebbene, secondo Spyros è
stato molto semplice.
Nel 1995 andò a Roswell dove
intervistò molta gente del
luogo, tra cui Loretta Proctor.
La signora Proctor era vicina
di ranch di Mac Brazel e fu lei
a suggerire a Mac di portare
alcuni detriti dell’UFO in città.
Spyros incontrò e ingaggiò il
pilota Rodney Corn.
Gli domandò di portarlo sul
luogo dello schianto dell’UFO,
la risposta fu “Quale?”.
Ci sono infatti almeno tre siti
del genere.
Così, Spyros li sorvolò tutti e li
filmò.
Rodney Corn mostrò a Spyros
molte cose e le riprese
dall’alto, risultarono di gran
lunga migliori di quelle
possibili da terra.
Incluse le piccole strade
sterrate e luoghi di interesse a
lungo dimenticati.
Prima che l'intervista avesse
luogo Spyros mi informò che
aveva ottenuto le mappe della
zona, sia vecchie che nuove.
Tutte queste informazioni
furono date a Ray Santilli e fu
Santilli, e non Spyros, che
mise tutto insieme per creare
un sito inesistente.
Il luogo dell'incidente
C’è un certo numero di
persone che ritengono che il
film Alien Autopsy sia
Melaris mostra lo “storyboard”
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Il Grande Piano
Chiesi a Spyros qual era il
grande piano.
La ricerca era fatta, il film era
fatto, e dopo?
A quanto pare si trattava di un
piano piuttosto semplice.
Rilasciare il film ad una
emittente, chiedere loro di
analizzarlo e vedere cosa
succede.
Erano sicuri che non sarebbe
passato come un falso.
Poi, dopo pochi mesi il piano
era quello di arrendersi e
raccontare tutto.
La ragione per cui questo non
è avvenuto è il denaro.
Spyros aveva firmato un
accordo di riservatezza con
Ray Santilli e Santilli era
ancora fermamente convinto
che avesse bisogno di
recuperare il suo investimento
iniziale, servito per pagare le
riprese.
Santilli disse a Melaris che
aveva investito un sacco di
soldi per questo film e che
voleva rientrare dei soldi spesi
prima di rendere il tutto
pubblico.
Santilli ricordò a Spyros che
era vincolato dal patto di
riservatezza e non poteva fare
nulla finché Santilli non
l’avesse autorizzato.
Oltre a un assegno di circa £
10.000, che Spyros divise con
il suo team, non era stato
pagato nulla.
Santilli disse che, a causa del
fatto che egli aveva dichiarato
pubblicamente che si trattava
di un film militare, il film era
stato semplicemente copiato
da terzi senza permesso, e
senza alcun pagamento tutti i
diritti d'autore sarebbero
andati all'Esercito degli Stati
Uniti e non a Santilli.
Alla fine il tempo passava e
Spyros proseguì con la sua
vita.
Lavorò costantemente su altri
progetti con Santilli
guadagnandosi così da vivere e
il film “Alien Autopsy“ fu quasi
dimenticato.
Uscita allo scoperto
La prima cosa che chiesi a
Spyros fu il motivo per cui
aveva deciso di pubblicare
queste informazioni proprio
ora.
Erano passati dodici anni da
quando il film “Alien Autopsy”
era stato fatto. Melaris ruppe il
suo accordo di riservatezza.
Da un punto di vista giuridico,
per questo comportamento
avrebbe potuto essere citato in
giudizio.
Tuttavia, nel 2005, fu accusato
da Santilli e da Shoefield di
essere coinvolto in tutta la
faccenda del film.
Egli disse ad entrambi che era
l’ora di raccontare la verità e di
rivelare che era tutto un falso,
ma loro dissero di no, anzi
continuarono a sostenere di
possedere la pellicola
originale.
Santilli e Shoefield
dichiararono che non era una
questione di soldi ma che lo
facevano per "puro
divertimento", furono fatte
pressioni e fu offerta una
percentuale sui profitti.
Melaris rifiutò la loro offerta.
Lasciò la riunione con
l'impressione che il film non
sarebbe mai stato fatto.
Tuttavia, il film è stato fatto e
distribuito dalla Warner Bros e
così Melaris sentì di essere
libero di parlare, visto che la
storia era ormai di dominio
pubblico.
I dubbiosi
Per completare l'intervista ho
chiesto a Spyros Melaris quello
che aveva da dire ai dubbiosi
là fuori, quelli che ritengono
che il film “Alien Autopsy” sia
l' originale.
Non farò la parafrasi, userò,
invece, le sue stesse parole:
PM: Il tempo è contro di noi,
Spyros.
Ti farò un'ultima domanda.
Ci sono alcuni che credono al
100% in questo film e in
Santilli e pensano che tu sia
una specie di bugiardo
patologico, giocando
all'avvocato del diavolo,
quindi, per favore, non essere
offeso.
SM: No. Vai avanti.
PM: Che cosa diresti ai
dubbiosi là fuori?
C'è una cosa che si può dire
che faccia pensare che Spyros
Melaris è chi dice di essere e
ha veramente fatto questo
film?
SM: Non credo che ci sia alcun
dubbio che qualcuno lo abbia
fatto.
Che sia giusto dire che
qualcuno ha realizzato il film e
che Santilli dice che è un falso,
ma è stato fatto dal film
originale.
Penso che questa sia la
questione.
La questione non è se l'ho
fatto, perché sarei in grado di
dimostrare che l'ho fatto.
John Humphries vi dirà che
l'ho fatto.
Ray probabilmente vi direbbe
che l'ho fatto!
Non potrebbe negarlo.
Ci sono troppe prove.
La domanda è: l’ho fatto dal
film originale?
E la semplice risposta a
questa domanda è NO.
Non c'è mai stato un film
originale se non il falso stesso.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
Non ho mai visto nessun altro
film.
Ray sostiene che lui ha
pellicola originale.
La mia domanda a Ray è: cosa
ha quel film in comune con ciò
che ho fatto io?
Nulla.
Non ho visto il film.
Ora potrete dire: "Forse stai
mentendo e hai prima visto il
film e poi lo hai fatto."
La storia sarebbe stata molto
più grande se ci fosse stato un
vero film.
Ci sarebbero voluti più soldi.
Non ci sarebbe stata ragione di
far partecipare me e Ray.
Come avremmo fatto ad
entrarci?
L‘argomento deve essere
trattato con buon senso.
Io sono stato parte di un
qualcosa di grande proprio
come il film di un vero alieno.
Perché dovrei ammettere di
farne parte per poi uscirne da
solo?
Non c'è motivo per farlo.
Questa è la prima cosa.
La seconda cosa.
Vi giuro, qualcosa è accaduto a
Roswell.
Io non sono una persona
semplice…io sono scettico.
Io non sono una persona facile
da convincere.
Una trentina di persone con
cui ho parlato, persone
intelligenti, medici, docenti,
tutti i tipi di persone mi dicono
che hanno visto qualcosa.
E io ci credo.
Qualcosa è successo.
Un sacco di gente comune ha
visto.
Qualcosa è successo.
Quindi, non credo ci sia una
disputa sul fatto che sia
successo o no qualcosa a
Roswell o ci siano stati o no
avvistamenti o ci sia un falso o
no di qualcosa.
Non credo sia tutto falso.
Credo che se Ray avesse il film
originale, farebbe i salti
mortali per farlo analizzare.
Mi dispiace, ma è quello che
fareste anche voi.
Direste: "Dateci miliardi di
sterline per questo."
Questo è quello che direste.
Direste: "Non ho niente di cui
preoccuparmi.
Il cameraman non vuole
parlare, ma guardate il film".
Questo è quello che fareste!
Questo è quello che avreste
fatto.
PM: Non dire altro
[FINE DELL’ INTERVISTA]
Ancora una volta vorrei
ribadire che questa è solo una
parte di ciò che Spyros Melaris
mi disse.
L’intera e inedita intervista si
può trovare nella sezione Alien
Autopsy del nostro sito Web
all'indirizzo:
http://www.outtahear.com/be
yond_updates/index.html
Controllando i fatti
Allora come facciamo a
controllare che ciò che Spyros
Melaris ci sta dicendo è
corretto?
Non è un compito facile, vi
assicuro.
Il materiale documentario
mostratomi da Spyros è
intrigante, ma non una prova
positiva.
Il mio collega Mark Center
negli Stati Uniti, ha controllato
il pilota Corn Rodney e ha
scoperto che esiste.
Ha parlato con lui al telefono,
ma non ricorda di aver mai
lavorato per Spyros Melaris.
La ragione potrebbe essere,
perché è stato assunto da
Geraldine e stiamo parlando di
un evento che è accaduto 12
anni fa.
In occasione della conferenza
UFO DATA del mese di
ottobre nel 2007 un
ricercatore tedesco, Michael
Hesemann, fu uno degli
oratori.
Michael studiò il film “Alien
Autopsy” dal 1995 fino al 1997
e ritiene che sia autentico.
Dopo la conferenza, quando
Michael tornò in Germania, mi
inviò una e-mail che
francamente mi ha lasciato
sbalordito.
Ha confessato, per la prima
volta, che nel 1996 qualcuno
gli aveva inviato una e-mail
dicendogli che Spyros Melaris
era un imbroglione.
Hesemann non aveva mai
condiviso queste informazioni
con nessuno.
Gli chiesi cosa fece e lui
semplicemente mi rispose che
telefonò a Ray Santilli e gli
chiese se conosceva
quell'uomo, Santilli rispose di
no.
Michael mi ha detto che lasciò
le cose come stavano.
Parallelamente, Spyros
Melaris mi informò che nel
l996 aveva ricevuto una
telefonata da qualcuno con un
accento tedesco che gli chiese
se era lui l’imbroglione,
ovviamente negò.
Lui non sapeva chi fosse al
telefono fino a quando
incontrò Hesemann alla nostra
conferenza.
Ho fatto un po’ di pressione a
Michael su questa cosa e alla
fine ammise di aver telefonato
a Spyros nel 1996.
Perché mai Michael
Hesemann non condivise
queste informazioni con
nessun altro a parte me?
A sua difesa, Michael dichiarò
che c’erano altri nomi da fare
ma al momento non voleva
diffondere false notizie, questi
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
nomi erano stati diffusi ed
eliminati.
Devo essere onesto, non riesco
a capire perché Hesemann ha
taciuto queste informazioni e
non ne ha mai parlato con
nessuno.
Lascio a voi la risposta.
Un mio collega, che è un
veterano della TV e di film con
effetti speciali, ha anche dato
uno sguardo all’intervista con
Spyros.
A suo parere le tecniche ed i
materiali utilizzati da Melaris e
dal suo team per fare l’alieno
sono corrette al 100%.
Non vi è alcun dubbio che i
manichini siano stati fatti nella
maniera descritta.
Egli ha alcune cose da
chiedere, ma sono piccoli
chiarimenti e non c'è nulla di
sbagliato in quello che Melaris
ha avuto da dire.
L'altra persona coinvolta in
tutto questo è, naturalmente, il
produttore televisivo
statunitense Bob Kiviat.
Diversi anni fa il mio collega
Tim Mathews e io ricevemmo
una soffiata su John
Humphreys.
Humphreys faceva parte della
squadra e fece i manichini.
Bob aveva sperato per anni di
lavorare con Humphreys alla
telecamera e fare un
documentario televisivo, ma fu
tutto inutile.
Alla fine Bob fece uno show
televisivo per Channel 5 senza
Humphreys.
Questo show non è mai stato
trasmesso.
Sia Humphreys che Melaris
parlarono a lungo con Bob
Kiviat del loro coinvolgimento
in tutta la faccenda, così
colsero l'occasione per fare a
Bob alcune domande, il 4
Dicembre del 2007.
Questa domanda e risposte
sono riprodotte integralmente
qui di seguito:
D: Quante volte ha parlato con
lo scultore britannico John
Humphreys?
R: Una volta dell’uscita del
film Ant & Dec.
All’incirca nel 2003.
D: E’ stato messo a conoscenza
di quale fu la fonte sulla quale
Humphreys si basò per la
progettazione delle sue
creature aliene?
R: Sì, solo sulla propria
attività di ricerca, libri e cose
del genere.
Nessun altro aiuto.
D: Humphreys ha mai visto
qualche film originale,
immagini o qualcosa d‘altro?
R: No, mai.
Egli affermava che
provenivano tutte dalla sua
creatività e dalla ricerca sui
libri.
D: Durante le sue
conversazioni con Humphreys
ha mai fatto il nome di Spyros
Melaris?
R: Sì…ha detto che fu Spyros
ad assumerlo da parte di
Santilli e che lo incontrò due
volte e una volta anche sul set.
Tutto il denaro veniva da
Spyros.
Inoltre, Spyros era il
cameraman.
D: Humphreys ha fornito altri
nomi di persone coinvolte?
Se sì quali sono questi nomi?
R: Non ci furono altri nomi.
D: Perché Humphreys cercava
di lavorare con voi su un
documentario?
R: Humphreys voleva che io
gli facessi ottenere uno show
TV basato sulle rivelazioni
riguardanti il filmato
dell'autopsia, con Spyros in
qualità di finanziatore e
cameraman, che credeva
lavorasse per Santilli.
D: Era volontà di Humphreys
dire a tutti la verità e sabotare
tutto ciò che era uscito allo
scoperto?
R: Sì, ma non avrebbe fatto
dichiarazioni fino a quando io
non gli avessi procurato un
contatto con una rete e il
denaro per la sua esclusiva.
D: Hai parlato con
l’agente/consulente di
Humphreys?
R: Sì, il suo manager è stato il
mio contatto principale per
tutto il 2003/2004, fu lui ad
informarmi che John stava per
fare il film “Ant & Dec”, senza
darmi i dettagli.
Ci sarebbe stato anche un
documentario che, disse,
“sarebbe stato il mio peggior
incubo”.
D: Cosa ti disse a proposito del
coinvolgimento di Humphreys
e le ragioni per cui vuotava il
sacco?
R: A proposito di ciò, il suo
manager disse chiaramente
che John aveva perso la
pazienza e aveva visto una
fonte di guadagno altrove.
D: Lei ha fatto un
documentario televisivo di
Channel 5 nel 2006 in cui io
compaio, potrebbe dirci
perché non è mai stato
trasmesso?
R: Channel 5 stava prendendo
istruzioni per i miei uffici LA
dall'Inghilterra dicendomi
come doveva essere lo stile
dello show e decisero di
spostare la prima ad una
scadenza improbabile.
Stavamo lavorando tutto il
giorno quando una delle
persone ai vertici mise in lista
lo show su una guida TV.
E’ stato quando Gary Shoefield
contattò il canale e mentì
dicendo che Ray Santilli era
coinvolto nella proprietà del
mio show per Fox e che il
nuovo show su Channel five
veniva fuori da lì.
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà
E 'stata una pura e semplice
macchinazione, per la mia
azienda ha diritto ai diritti
d'autore sia per lo spettacolo
che per il film “Alien Autopsy”!
Mentre stavamo cercando di
comprendere questa
affermazione, la abbiamo
intervistata.
Quando i rappresentanti del
canale videro che nominava
Humphreys, come il tizio che
aveva fatto il manichino e che
è stato dietro al filmato, ne
vollero la conferma così
chiamarono ILLEGALMENTE
Humphreys.
Humphreys uscì di testa e
disse che non voleva avere
niente a che fare con lo
spettacolo e disse che doveva
contattare la Warner Bros.
In definitiva il canale rifiutò
l’accordo con il mio
distributore, il quale non lottò
per la messa in onda e le cose
furono lasciate così.
Sto ancora discutendo le
azioni da intraprendere per
recuperare le mie perdite
notevoli e i danni!
D: Lei ha parlato a lungo al
telefono con Spyros Melaris.
E’ convinto che stia dicendo la
verità?
R: Per la maggior parte, non
riesco a trovare cose così
bizzarre da rendere la sua
storia incredibile.
Ma mi chiedo come abbia
potuto essere così ingenuo
sulla quantità di denaro che
Santilli stava facendo in tutto
il mondo.
Questa parte mi sembra
strana, come se stesse facendo
finta di essere stupido.
Al contrario, sembra molto
brillante.
E se Ray gli diede da lavorare
quel tanto che basta per
tenerlo calmo, ancora mi
chiedo perché abbia permesso
a Ray di incassare tutto il
denaro e non abbia chiesto la
sua parte.
C‘è qualcosa che non torna.
D: Lei è stato coinvolto con il
film “Alien Autopsy” dal 1995,
ha intervistato o parlato con la
maggior parte, se non tutti, i
principali attori: allora qual è
la sua conclusione?
R: Avrò bisogno di più tempo
per rispondere a questa
domanda.
Le azioni di Spryros in
tribunale avranno molto a che
fare con questo, e io vedo la
cosa da un altro angolo.
(Robert Kiviat. Fine dell'intervista).
E 'chiaro da questa breve
intervista con Bob Kiviat che ci
sono piccole differenze tra ciò
che John Humphreys dice sul
suo ruolo nella falsificazione
del film e ciò che dice Melaris.
Tuttavia, Humphreys afferma
con chiarezza che Spyros
Melaris era il finanziatore, è
stato Melaris ad assumerlo per
conto di Santilli.
Humphreys conferma senza
alcun dubbio che non c'è mai
stato un film originale.
E 'stata una completa e totale
fabbricazione.
Potrei continuare, ma credo di
aver fatto il punto.
Nel 1996 Spyros Melaris è
stato etichettato come un
imbroglione dal ricercatore
tedesco Michael Hesemann.
Nel 2003, il produttore
televisivo statunitense Bob
Kiviat ha parlato con lo
scultore britannico John
Humphreys, che ha
confermato che Spyros era
l'uomo in carica e che non vi
era nessun film originale.
Nel 2007 Spyros Melaris va in
registrazione per la prima
volta e racconta come è stato
fatto il tutto.
Beh, forse non tutto.
Spyros tiene alcune cose per il
suo libro, che sarà disponibile
all'inizio del 2008.
E per quanto riguarda Ray
Santilli, anche lui è abbastanza
tranquillo per il momento, ma
mi domando se ammetterà
mai la vicenda.
Il tanto atteso libro di Spyros
Melaris 'Alien Autopsy: il mito
dichiarato” viene fornito con
un DVD di accompagnamento.
Se siete interessati ad ottenere
una copia del libro è
disponibile dal 2008, gli ordini
anticipati possono essere
collocati con DIGInet UK
Publications, PO Box 60908,
London W12 7UT o da
Amazon.
Le E-mail per ordinare devono
essere inviate al
[email protected]
[email protected]
Appuntamento
a maggio
per il nr.8 di
Tracce
d’eternità
TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà