STUDIO LEGALE FERRARO GIOVE E ASSOCIATI

Transcript

STUDIO LEGALE FERRARO GIOVE E ASSOCIATI
STUDIO LEGALE FERRARO GIOVE E ASSOCIATI
Nota a sentenza del Tribunale Civile di Roma,
Sez. II, Dott. Salvati n. 2817/13, depositata il
07/02/13
Il caso tratta il tema della responsabilità professionale in ambito sanitario.
Un paziente, già affetto da cardiopatia ischemica con pregresso infarto miocardico e da
numerose altre comorbilità, viene sottoposto ad intervento di rivascolarizzazione
miocardica mediante duplice by-pass coronarico. Subito dopo l’intervento si presentano
complicazioni tra cui la perforazione retroperitoneale che, producendo un grave quadro
settico, lo portano al decesso.
I congiunti, coniuge e cinque figli, convengono in giudizio le strutture sanitarie nelle quali il
paziente è stato ricoverato, assumendo il colpevole ritardo con cui è stata riconosciuta la
perforazione addominale e chiedendo il risarcimento del danno iure proprio e iure
hereditatis.
Il Tribunale, nel riconoscere la responsabilità dei medici e che un tempestivo intervento
chirurgico avrebbe potuto evitare il decesso, respinge la domanda risarcitoria per assenza
di un danno non patrimoniale (biologico e morale soggettivo) del de cuius trasmesso agli
eredi e opera una riduzione della domanda risarcitoria per la perdita del rapporto parentale
in considerazione delle numerose patologie preesistenti della vittima.
Per quanto riguarda il primo, il Tribunale ritiene che il paziente, già dopo l’intervento di bypass coronarico, aveva raggiunto il livello di gravità più elevato non suscettibile di
peggioramento fintanto che è rimasto in vita, per cui non è configurabile una
compromissione dell’integrità psico-fisica trasmissibile agli eredi.
Quanto al danno iure proprio, cioè il risarcimento del non patrimoniale agli stretti congiunti
di una persona deceduta per effetto dell’illecita condotta altrui, il Tribunale dopo avere
premesso che la liquidazione può compiersi solo con il ricorso a criteri equitativi,
riconosciuti nella tabella territoriale di riferimento, riduce del 20% l’ammontare del
risarcimento sulla presunzione che la specifica aspettativa di vita fosse inferiore alla media
e che ciò doveva costituire un dato acquisito da parte dei congiunti.
Poi, facendo ricorso ai noti principi di personalizzazione del danno, non applica la
riduzione alla moglie e ad una figlia, in quanto risultava provato che le stesse avevano
STUDIO LEGALE FERRARO GIOVE E ASSOCIATI
subito conseguenze dannose maggiormente rilevanti “concretizzatesi in uno stato
depressivo”.
Le argomentazioni adottate dal Tribunale rispondono, almeno nella prima parte, alle
indicazioni costanti della giurisprudenza di legittimità per la quale il danno da perdita del
rapporto parentale non può essere ritenuto in re ipsa, ma consiste in un complesso di
effettivi pregiudizi di carattere personale di cui il congiunto deve dare allegazione e prova.
La prova può essere raggiunta anche con ricorso alle presunzioni 1 e per la sua
determinazione si terrà conto <<dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di
convivenza, e di ogni ulteriore circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del
nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti.>>.
2
Come noto, le tabelle dei principali tribunali italiani e, in particolare, quelle di Roma e
Milano, introducono criteri di determinazione del danno non patrimoniale per morte di un
congiunto rispettando le indicazioni della S.C. ed applicando correttivi di cui sopra.
Nella predetta decisione tuttavia, il Tribunale introduce un ulteriore elemento di
determinazione del danno per adattarlo al caso concreto, costituito dalle pregresse e gravi
condizioni di salute della vittima e dalla presunzione della consapevolezza in capo ai
congiunti.
Se da una pronuncia della S.C. sembra emergere il criterio per cui le preesistenti
condizioni patologiche della vittima non valgono a far presumere un minore legame con i
congiunti e quindi una minore sofferenza per la scomparsa del familiare 3, la questione
appare assai dibattuta quando, come nel caso in esame, le condizioni di salute della
vittima si traducono in una ridotta aspettativa di vita al momento dell’evento lesivo.
In una decisione di merito
4
la pregressa compromissione della salute della vittima ha
indotto il giudicante a operare una riduzione del 50% sull’importo inizialmente individuato,
1
V. Cass., 31.05.2003, n. 8828; Cass. 30.10.2007, n. 22884.
Così testualmente Cass. 31.05.2003, n. 8828.
3
Cass. 28.02.2008, n. 5282, in Corr.giur., 2008, 1249, con nota di Rossetti, in relazione alla morte di un soggetto
infermo di mente con propositi suicidi.
4
Appello di Torino, 15.04.2009: «L’intensità del trauma psichico e la gravità del lutto va ritenuta maggiore se siamo
privati di un congiunto in modo brusco e immediato, con la brutale intercettazione di un periodo temporale
presumibilmente lungo in cui avremmo potuto godere della compagnia del nostro caro e dei suoi apporti affettivi; tali
valori decrescono sensibilmente allorché la privazione ci colpisca in una persona della cui compagnia potremmo
probabilmente godere ancora per poco tempo ed al cui abbandono ci stiamo, magari inconsapevolmente, cominciando
a preparare, gestendo quella provvidenziale capacità di adattamento conservativo che caratterizza la specie umana.
Un esempio paradossale giova alla comprensione; pensiamo all’uccisione compiuta da un ipotetico “dottor Morte” di
un malato terminale: sembra innegabile che in un caso del genere la sofferenza, il trauma ed il lutto dei congiunti sia
molto minore di quello che essi patirebbero nel caso in cui ad essere uccisa sia una persona altrettanto cara ma in
normali condizioni di salute e con un aspettativa di vita normale».
2
STUDIO LEGALE FERRARO GIOVE E ASSOCIATI
sul rilievo che la minore speranza di vita rispetto a quella statisticamente propria di un
individuo della stessa età, comportasse sul piano soggettivo, una minore intensità del
trauma subito dai congiunti e sul piano oggettivo, una inferiore presumibile durata della
relazione parentale futura.
La S.C.5 pur affermando espressamente che l’aspettativa di vita della vittima primaria deve
essere considerata nella liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale subito
dai familiari, tuttavia precisa che il giudice, valutando il caso concreto, può ritenere
irrilevante che, al momento della morte per fatto illecito, l'aspettativa di vita del defunto
fosse inferiore a causa delle infermità dalle quali egli era affetto, a quella media
considerata dalle tabelle in uso presso i vari uffici giudiziari.
Tra le pronunce di merito, segnaliamo anche sentenza del Tribunale di Roma6 che ha
preso in considerazione le patologie preesistenti della vittima principale affermando che
costituiscono <<concausa tra quelle che hanno determinato il decesso>> e quindi hanno
una efficienza eziologica solo parziale, che giustifica la riduzione della pretesa risarcitoria
iure proprio dei familiari.
L’utilizzo del termine concausa, in effetti, non è felice da parte del Tribunale perché
introduce la diversa questione del nesso di causa materiale e giuridico, senza soffermarsi
ad analizzare gli aspetti propri del danno non patrimoniale ai superstiti che si concreta
anche «nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con
chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato
sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti… nonché
nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle
relazioni tra i superstiti»7.
Sul punto è infatti noto l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità che
esclude la riduzione dell’entità dell’obbligo risarcitorio a fronte di un eventuale concorso di
5
Cass. 11.02.2009, n. 3357, in Rep. Foro it. 2009, voce “Danni Civili”, n. 218. Il caso tratta la presumibile vita residua
del defunto, determinata in 12 anni in relazione alle sue preesistenti precarie condizioni di salute. La Corte d'appello
aveva ritenuto irrilevante, ai fini della liquidazione, la minore durata della possibile vita residua nel senso che, dopo 12
anni (costituenti un notevole lasso di tempo), il pregiudizio dei congiunti, progressivamente ridottosi dal momento
della scomparsa, avrebbe perso la sua intensità; non si sarebbe quindi giustificata una riduzione del risarcimento
rispetto alla perdita di un congiunto con una ordinaria speranza di vita.
6
Tribunale di Roma, 9.6.2009, in Sistema leggi d’Italia. Corti di merito. Nel caso di specie, durante un ricovero post
operatorio la vittima, già colpita da serie menomazioni alla salute, sviluppava per negligenza dei sanitari lesioni da
decubito che la conducevano al decesso.
7
Cassazione, 9 maggio 2011 n. 10107.
STUDIO LEGALE FERRARO GIOVE E ASSOCIATI
fattori naturali alla produzione del danno, salva l’ipotesi di interruzione del nesso causale
che esclude del tutto la responsabilità dell’agente8.
Non sono invece condivisibili le motivazioni che hanno indotto il giudice della sentenza in
commento, a personalizzare il danno riassegnando alla moglie e ad una delle figlie quel
20% prima decurtato a tutti i congiunti, sul riscontro probatorio che le stesse hanno
sofferto di “uno stato depressivo”.
In questi termini, non è chiaro se lo stato depressivo è da intendersi conseguito ad una
degenerazione in malattia della sofferenza psichica o se la sofferenza del congiunto, pur
non traducendosi in un danno alla salute, presenta aspetti rilevanti ed ulteriori che
consentono al giudice un corretto aumento nella liquidazione del danno.
Nel primo caso la patologia psichica, per essere rilevante, avrebbe dovuto essere
accertata mediante consulenza medico legale, per essere poi liquidata quale danno
biologico e parte dell’omnicomprensivo danno non patrimoniale.
Viceversa, se la sofferenza del congiunto non si è tradotta in un danno alla salute, il
giudice avrebbe dovuto comunque fare riferimento a condizioni particolari dei superstiti in
grado da giustificare la diversità di trattamento rispetto agli altri.
Manca certamente anche il più piccolo riferimento al contenuto della documentazione
probatoria, dalla quale potesse evincersi, solo per fare qualche esempio, la mancanza di
rassegnazione, l’isolamento dagli amici e dalle relazioni affettive più intime, la frustrazione
sul piano lavorativo o comunque nelle attività del quotidiano, il cui richiamo avrebbe
indubbiamente toccato aspetti della personalità meritevoli di tutela.
Il Dipartimento RC sanitaria
8
Tra le altre Cass. 28.3.2007, n. 7577.