La febbre nel bambino tra paure ed evidenze

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La febbre nel bambino tra paure ed evidenze
Foglio di
informazione
professionale
Nr. 204
luglio 2010
La febbre nel bambino tra paure ed evidenze
Diversi studi osservazionali1-3, uno dei quali italiano4, hanno documentato che i genitori temono la febbre elevata nei
figli. La paura riguarda soprattutto la possibile insorgenza di convulsioni febbrili e la prima preoccupazione, come
per alcuni sanitari, è quella di abbassare la febbre. Ma è corretto?
Che cos’è la febbre?
La febbre è un aumento della temperatura corporea dovuto al fatto che il centro termoregolatore ipotalamico si tara su
un valore più alto. La correzione, mediata dal rilascio di noradrenalina e di prostaglandine (soprattutto PGE2), attiva
vari meccanismi termoregolatori tra cui la ridistribuzione del flusso sanguigno dalla cute ai letti vascolari profondi
(per diminuire la dispersione del calore attraverso la cute), la riduzione della sudorazione e la comparsa dei brividi.
Nel bambino la febbre non è in genere pericolosa: si tratta del sintomo di una infezione virale autolimitante che si
risolve rapidamente senza che sia necessario alcun trattamento. La febbre, definita come una temperatura ≥37,5°C (se
misurata sotto l’ascella)5 o ≥38°C (temperatura centrale), può essere accompagnata da malessere generale, mal di
testa e spossatezza. Nei bambini con meno di 4 anni è consigliabile utilizzare un termometro digitale per misurare la
temperatura ascellare; in quelli più grandi un termometro timpanico a infrarossi6. I termometri a cristalli liquidi da
appoggiare alla fronte non sono attendibili6.
Ruolo della febbre
Secondo studi sperimentali, l’innalzamento della temperatura corporea migliora l’efficienza di molti processi
immunologici, alcuni dei quali possono aumentare la capacità di fronteggiare le infezioni. E’ universalmente
accettato che la febbre rappresenta un meccanismo omeostatico protettivo6.
Trattare la febbre previene le convulsioni?
Tra i 6 mesi e i 6 anni di età, le convulsioni associate a febbre si manifestano in 3-8 bambini su 100 e sono
usualmente benigne. Per molto tempo si è ritenuto che il grado di temperatura raggiunto durante un episodio febbrile
fosse la condizione di rischio principale per l’insorgenza delle convulsioni. Come logica conseguenza, la
somministrazione di antipiretici a intervalli regolari appariva la ovvia raccomandazione da fare, ma l’utilità di questo
intervento non è mai stata dimostrata. Tra il 1993 e il 2000, sull’argomento sono stati pubblicati 4 studi clinici di cui
3 randomizzati, realizzati su 726 bambini7-10. Tutti e quattro gli studi dimostrano che gli antipiretici (paracetamolo e
ibuprofene) non sono in grado di prevenire la ricorrenza delle convulsioni. Allo stesso risultato negativo sono giunti
alcuni ricercatori finlandesi che nel 2009 hanno pubblicato uno studio metodologicamente ineccepibile
(randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo) condotto su 231 bambini arruolati dopo il primo episodio
convulsivo e seguiti per 2 anni11. Lo studio ha impiegato diversi farmaci antipiretici, procedendo per gradi:
nell’immediato riscontro della febbre si è confrontato il diclofenac rettale (non disponibile in Italia) col placebo;
successivamente entrambi i gruppi sono stati ri-randomizzati al trattamento con ibuprofene, paracetamolo o placebo.
Poiché negli studi precedenti una delle critiche sollevate era stato il dosaggio presumibilmente insufficiente degli
antipiretici, lo studio ha impiegato dosaggi massimali dei diversi principi attivi (diclofenac 1,5 mg/kg, ibuprofene 10
mg/kg fino a 4 volte al giorno, paracetamolo 15 mg/kg fino a 4 volte al giorno). I risultati evidenziano l’assenza di
differenze statisticamente significative fra i vari gruppi nel primo e nel secondo step, confermando l’inefficacia degli
antipiretici nel prevenire le convulsioni, sia quando somministrati immediatamente all’inizio della febbre che a
intervalli regolari. Si ipotizzava che la profilassi antipiretica, per essere efficace, avrebbe dovuto essere molto
tempestiva, perché proprio il rapido aumento della temperatura - più che la febbre in sé - sarebbe stata la causa delle
convulsioni. Lo studio indica, invece, che anche un uso aggressivo e precoce dell’antipiretico non previene le crisi
febbrili. L’inglese NHS (National Health Service) definisce in maniera netta la questione: “Il controllo della febbre
non impedisce la ricorrenza delle convulsioni febbrili… il suo obiettivo è quello di alleviare i sintomi e prevenire la
disidratazione”12. Sulla stessa lunghezza d’onda sono le linee guida dell’American Academy of Pediatrics13 e della
Società Italiana di Pediatria “dal momento che l’impiego di paracetamolo o ibuprofene in bambini con febbre non
previene le convulsioni febbrili, essi non devono essere utilizzati con questa finalità”14.
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Se si abbassa la febbre il bambino sta meglio?
Molte volte, quando il trattamento abbassa la febbre, scompaiono anche altri sintomi come la sensazione di malessere
e il fastidio, ma non si sa se questo sia una conseguenza del fatto che la febbre non c’è più o se sia un effetto specifico
del trattamento. Sta di fatto che il bambino sta meglio. Alleviare il disagio fisico del bambino diventa pertanto l’unico
scopo del trattamento. In questa direzione vanno anche le raccomandazioni della Lega Italiana Contro l’Epilessia nel
capitolo dell’educazione della famiglia: “non vi è nessuna evidenza che né l’uso di antipiretici, anche aumentando il
numero di somministrazioni, né altri metodi per ridurre la febbre diminuiscano la frequenza delle convulsioni. E’
tuttavia importante ridurre il disagio del paziente”15.
Paracetamolo o ibuprofene?
Paracetamolo e ibuprofene vengono ampiamente utilizzati per trattare la febbre nei bambini. Il loro effetto dipende
dalla inibizione della sintesi delle PGE2 a livello del SNC. Trattandosi di analgesici, può darsi che entrambi riducano
il disagio fisico (dovuto ed es. a mal di testa o dolori muscolari) indipendentemente dall’effetto antipiretico. Due
revisioni sistematiche ne hanno confrontato l’efficacia antipiretica16,17. La prima (11 RCT, per complessivi 1.982
bambini), per le ridotte dimensioni degli studi e l’uso di dosaggi variabili dei due farmaci, non è stata in grado di
esprimere una valutazione comparativa16. La seconda revisione, che ha incluso solo i trial randomizzati in cieco (10
RCT, compresi 8 della precedente metanalisi, su un totale di 1.078 bambini), conclude che l’ibuprofene (5-10 mg/kg)
è di poco superiore al paracetamolo (10-15 mg/kg) nel senso che ogni 7 bambini trattati con ibuprofene anziché con
paracetamolo uno in più ottiene una riduzione della febbre a 4-6 ore dalla somministrazione17.
Meglio insieme o alternati?
Tre RCT hanno confrontato l’associazione tra paracetamolo e ibuprofene con la somministrazione dei singoli
farmaci18-20. Nel primo studio, non sono emerse differenze significative tra i 51 bambini ricoverati in ospedale con
una temperatura ascellare >38,5°C e trattati per 5 giorni con paracetamolo da solo (10 mg/kg per 3/die) o associato
all’ibuprofene (10 mg/kg per 3/die)18. Nel secondo, condotto su 123 bambini visitati al Pronto Soccorso, la differenza
della temperatura dopo 1 ora dalla somministrazione è stata clinicamente irrilevante, meno di ½ grado (0,35°C) con
paracetamolo+ibuprofene rispetto al solo paracetamolo19. Il terzo studio, finanziato dal SSN inglese, è stato realizzato
su 156 bambini ambulatoriali (dai 6 mesi ai 6 anni) con temperatura ascellare ≥37,8°C, trattati con paracetamolo
(15mg/kg), ibuprofene (5mg//kg) o con l’associazione alle stesse dosi20. La combinazione è risultata più efficace dei
due antipiretici da soli nell’abbreviare il periodo febbrile (-2,5 ore nelle prime 24 ore), ma non si è associata ad una
maggiore rapidità d’azione rispetto all’ibuprofene né ha prodotto alcun beneficio sintomatologico additivo. Altri studi
dimostrano che non vi sono vantaggi nemmeno nell’uso alternato di paracetamolo e ibuprofene21,22.
Sicurezza
Usati alla posologia corretta e per brevi periodi, paracetamolo e ibuprofene non provocano effetti indesiderati.
L’unico impiego preferenziale del paracetamolo in termini di sicurezza riguarda casi “limite” come i bambini
disidratati o con insufficienza renale (un FANS può causare insufficienza renale) e quelli con paralisi cerebrale
(elevato rischio di esofagite con l’ibuprofene).
A cura del dott. Mauro Miselli
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