Cittadinanza, mercati, democrazia - Dipartimento di Scienze sociali

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Cittadinanza, mercati, democrazia - Dipartimento di Scienze sociali
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Dipartimento di Studi Sociali e Politici
Università degli Studi di Milano
Working Paper 1/08
Cittadinanza, mercati, democrazia
Gian Primo Cella
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Cittadinanza mercati democrazia
Gian Primo Cella
(versione provvisoria)
1. Di che cosa stiamo parlando
L’ondata delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni che ha travolto il modello
di regolazione affermatosi con sensibili successi nei “gloriosi trent’anni”, quello che
portava autorevoli osservatori a dubitare persino sulla opportunità di continuare ad
usare il termine di capitalismo, è giunta ai suoi effetti finali, quelli che riguardano
non solo le forme di regolazione dell’economia ma anche la stessa configurazione
della cittadinanza e della convivenza democratica. Sono passati quasi tre decenni
dalle affermazioni “epocali” della signora Thatcher sulla inesistenza di qualcosa
assimilabile al concetto di società o del presidente Reagan sulla incapacità dei
governi a risolvere alcun problema essendo loro stessi la causa dei problemi più
gravi, ma certo tali affermazioni, come poche altre, hanno mostrato di essere dotate di
notevole lungimiranza. Forse solo la famosa immagine esposta da Churchill nel 1946
sul levarsi di una “cortina di ferro” attraverso l’Europa ha avuto una maggiore portata
evocativa nei sessant’anni che ci separano dalla fine della seconda guerra mondiale.
Sono certo tutte affermazioni evocative, ma dotate di eccezionali poteri performativi
visto la autorevolezza e la legittimazione delle fonti da cui provengono. Sono in
grado in qualche modo di creare una realtà nel momento in cui la evocano, o la
nominano, e come tali in grado di sfidare molteplici paradossi. Per le questioni che
qui riguardano, il paradosso di proclamare il prevalere assoluto degli interessi e degli
obiettivi individuali nel momento nel quale avanzano in ogni campo attori e soggetti
1
collettivi, o quello che assiste al rinnovato protagonismo dei governi per promuovere
e regolare le forme svariate e provocate di ricorso al privato o al mercato.
Forse l’ondata in questi ultimi anni ha perso in violenza e in capacità distruttiva,
e come tale ha dovuto fare fronte a qualche controspinta e a qualche ripensamento,
ma in compenso ha acquistato in capacità pervasiva , riuscendo ad infiltrarsi entro
campi di intervento politico che hanno effetti diretti sugli status di cittadinanza e sulle
dimensioni qualitative e quantitative degli assetti democratici. Per questi aspetti una
cosa è procedere alla privatizzazione di una banca o di una compagnia aerea, altro è
procedere al ritiro del pubblico dalla erogazione diretta dei servizi della protezione
sociale o delle principali public utilities. Certo le forme di questo ritiro sono
molteplici e possono essere rappresentate attraverso due modelli, a loro volta
composti da diversi sottotipi: il modello guidato dalla domanda, rivolto ad aumentare
la possibilità di scelta e dunque di acquisto dei cittadini-utenti da una pluralità di
offerenti, e il modello guidato dall’offerta rivolto a promuovere l’acquisizione di
servizi da parte del pubblico nei confronti di soggetti privati nella cornice di appositi
rapporti contrattuali [Ascoli e Ranci 2002 e Bifulco 2005]. Gli effetti di queste forme
molteplici sullo status di cittadino e sui contenuti della democrazia non sono sempre
unidimensionali, ed in taluni casi possono permettere di superare alcuni fallimenti
del pubblico o della politica, ma certo tutti contribuiscono a modificare la
configurazione della cittadinanza così come era stata pensata e realizzata nell’età
industriale. Tali effetti non sono di pari rilevanza in tutti i contesti e, ad esempio, nel
Regno Unito si sono manifestati, e si manifestano, con una intensità ancora
inconsueta nell’esperienza italiana. Ma anche se, come ricorda un detto famoso, “it’s
tough to make predictions, especially about the future”, identificano uno scenario che
vedrà coinvolti tutti i contesti usciti dalla esperienza storica della cittadinanza
industriale.
Questa modificazione
è subito rilevabile nel campo della ricerca e
della
polemica politica, almeno di quella suscettibile di essere presa in considerazione in
questa sede in quanto in parte fondata su risultati di ricerca. Dalla ricerca appare
2
talvolta come sia l’offerta pubblica dei servizi sociali a dover provare, e a legittimare,
la propria superiorità se non sulla offerta privata almeno sulle visioni individualizzate
della protezione sociale (quelle ascrivibili ad esempio alla categoria dell’enabling
welfare state), e non l’opposto come poteva accadere qualche decennio addietro [v.
Granaglia 2006]. Nella polemica politica fra sostenitori (socialisti o old labour) delle
soluzioni
“pubbliche”
e
adepti
(liberali
o
new
labour)
delle
soluzioni
“individualizzate”, sono i primi a doversi presentare alla tenzone appesantiti dal
fardello dei fallimenti della politica, mentre i secondi si muovono leggeri, non
gravati dal peso dei fallimenti del mercato, taluni forse considerando come un
ossimoro quest’ultima espressione. Se vi è mercato effettivo non potrebbero esserci
fallimenti, con buona pace della teoria dei beni pubblici o delle risorse comuni, dei
costi di transazione, delle asimmetrie informative, ecc. ecc. Per i cultori della teoria
sociale, specie di quella di ascendenza weberiana, potrebbe essere questa una contesa
nella quale si rivela la dubbia sostenibilità della distinzione fra le due forme della
razionalità, quella rispetto allo scopo (Zweck) e quella rispetto al valore (Wert). Si
sarebbe potuto infatti sostenere che, considerato lo scopo, ovvero la fornitura di beni
e di servizi di cittadinanza, la scelta delle forme della fornitura potesse corrispondere
ad una questione di strumentalità. Ma così non è sempre e talvolta le scelte si
giustificano alla fine in prevalenza proprio sul valore. E’ un caso che ben corrisponde
al caso osservato da Pizzorno [2007, pp.154-55] nel suo ultimo volume: “a
conclusione del termine Zweck inevitabilmente ci imbattiamo in qualche oggetto cui
dobbiamo dare, senza poterlo spiegare, la qualità di valore, Wert”.
Su questo sfondo, si condurrà in queste note qualche riflessione a partire dallo
scenario chiamato post-democratico da Crouch [2003] proprio in riferimento al ritiro
del pubblico dalla erogazione dei servizi sociali, richiamando anche i contributi di
ricerca che hanno sostenuto una definizione siffatta dello scenario politico-sociale.
Ci si soffermerà poi su un ben noto modello delle scienze economiche e sociali
[quello exit/voice di Hirschman 1970], troppo spesso evocato con rapide citazioni di
stile, ma non applicato in modo appropriato. Qualche percorso possibile in deviazione
3
rispetto alla alternativa ormai affermatasi, verrà poi tentato, o solo proposto, cercando
di sfuggire dai più scoperti intenti pedagogici.
2. Quello che rende possibile parlare di post-democrazia
L’ultima fase dei
processi di liberalizzazione e di privatizzazione, quella che
influisce sulla cittadinanza e sui contenuti della democrazia, almeno di quelli che
abbiamo conosciuto trasformati dai diritti della cittadinanza industriale, ha permesso
di avanzare un termine, e un concetto, evocativo e inquietante, quello di postdemocrazia. Il termine è proposto da Colin Crouch in un saggio [2003] che ha fatto
discutere e riflettere, sia pure con una certa sufficienza da parte degli scienziati
politici, forse disturbati dagli intenti polemici, e talvolta propositivi, non nascosti dal
sociologo inglese. Intenti del resto comprensibili se si considera l’origine del saggio,
quei pamphlets della Fabian Society1 che venivano presentati in altri tempi con la
formula del “worthy of consideration within the Labour movement”. Il termine, come
altri che si fregiano del prefisso post, ha una indubbia capacità evocativa, alla quale
però non corrisponde una altrettanto rigorosa efficacia scientifica nell’ambito delle
famiglie di concetti proposti dalle scienze sociali. I termini post qualcosa evocano
degli scenari, fanno intravedere dei possibili ritorni ciclici a situazioni pre qualcosa,
ma lasciano spesso non bene definito, e determinato, proprio quel qualcosa di cui si
afferma, o si ipotizza, l’allontanamento. E tuttavia il termine in oggetto si presta bene
ad alimentare la riflessione che si conduce in queste note, anche perché fondato su
una ricca serie di materiali di ricerca, sui quali ci si soffermerà più avanti.
Crouch comunque non si esime dall’esplicitare la sua tesi, e dal proporre una
nozione di democrazia di gran lunga più esigente di quella di democrazia liberale. E’
la democrazia trasformata dall’operato della cittadinanza industriale e resa vitale
attraverso l’operare della sfera pubblica di ascendenza habermasiana. In questa
visione “la democrazia prospera quando aumentano per le masse le opportunità di
1
La versione originale, e ridotta, portava il titolo Coping with Post-democracy, “Fabian Ideas” 598, London 2000.
4
partecipare attivamente, non solo attraverso il voto ma con la discussione e attraverso
organizzazioni autonome, alla definizione delle priorità della vita pubblica; quando le
masse usufruiscono attivamente di queste opportunità; e quando le élite non sono in
grado di controllare e sminuire la maniera in cui si discute di queste cose”[ Crouch
2003, p. 6]. Il declinare della partecipazione, e l’insoddisfazione diffusa per questo
declino, segnano i nuovi scenari, in connessione al restringersi di quelle aree di
uguaglianza che sono la pre-condizione per l’esplicarsi della partecipazione stessa2.
Gli argomenti a favore delle politiche ugualitarie perdono di attrattiva nel dibattito
pubblico in corrispondenza dell’allargarsi delle disuguaglianze a favore delle élites
industriali e finanziarie nel campo delle retribuzioni e delle ricompense a vario titolo
(si pensi in primo luogo alle stock-options a favore dei managers delle società
quotate). Un allargamento che è inequivocabile anche nell’insieme dei lavoratori,
come mostrano, senza sovraccarico ideologico, i dati OCDE più recenti3.
Fra i diritti
negativi e i diritti positivi, entrambi necessari alla vita delle
convivenze democratiche, sono i primi ad essere privilegiati, come è mostrato dalla
estensione della giuridificazione dei conflitti e delle aspettative. Ma con
l’indebolimento dei diritti in positivo è la stessa cittadinanza ad appannarsi. Su questo
sfondo l’idea di post-democrazia “aiuta a descrivere situazioni in cui una condizione
di noia, frustrazione e disillusione fa seguito a una fase democratica” [Crouch 2003,
pp.25-26]. L’accantonamento dell’ugualitarismo si accompagna, al di là dei dati
sociologici oggettivi, alla natura assiomatica con cui viene assunto il declino delle
classi sociali.
Secondo Crouch, nei nuovi scenari, è la grande impresa multinazionale a diventare
il modello istituzionale di riferimento per la definizione delle regole e delle politiche.
Questo spiega l’attenuarsi, se non la scomparsa, della distinzione fra servizi pubblici
e fornitura commerciale degli stessi. Cade la fiducia dei cittadini nei confronti dei
2
Sui rapporti fra uguaglianza e partecipazione politica restano ancora oggi insuperate le osservazioni di Pizzorno in un
lontano saggio del 1966.
3
Fra il 1994 e il 2005, le retribuzioni del 10% dei lavoratori meglio pagati sono sensibilmente aumentate rispetto a
quelle del 10% dei lavoratori più svantaggiati, in tutti i paesi OCDE, ad eccezione di Irlanda, Spagna, Giappone [OCDE
Synthèses, juillet 2007].
5
primi e si diffondono immagini, che poi si autoavverano, sulla incapacità dei governi,
del pubblico, a predisporre una offerta adeguata ed efficiente nel campo dei servizi e
delle prestazioni sociali [2003, p. 53]. A questa caduta si accompagna un declino
delle stesse competenze tecnico-professionali del pubblico che perde addirittura la
capacità di svolgere delle attività che in precedenza conduceva con successo.
Ma è nel capitolo dedicato alla “commercializzazione della cittadinanza” che
l’autore avanza gli argomenti più attinenti ai temi di queste note. Dietro alla
evanescente distinzione fra logica di mercato e logica della decisione politica Crouch
individua le ragioni più rilevanti, ed inattese, per l’avvento degli scenari postdemocratici. Scenari che succedono alla caduta della capacità di distinguere, e di
riconoscere, le specificità del servizio pubblico. “Commercializzazione” è il termine
utilizzato per rappresentare tutto l’insieme di attività che il pubblico conduce o
promuove o sovraintende a seguito del ritiro dall’ambito della fornitura diretta dei
servizi e delle prestazioni sociali: “tale concetto è più appropriato rispetto a quello di
‘apertura al mercato’ perché alcune delle attività introdotte ora comportano
distorsioni del mercato anziché una sua maggiore limpidezza. Commercializzazione è
anche più generale di ‘privatizzazione’ che, strettamente parlando, si riferisce
soltanto al trasferimento di risorse della proprietà” [2003, p. 91]. La cittadinanza
industriale che abbiamo conosciuto come fondamento degli assetti liberaldemocratici era la conseguenza di una grande sottrazione. Così si esprime Crouch,
con parole semplici ma molto efficaci: “Dalla metà del XX secolo una serie di servizi
di base sono stati almeno parzialmente sottratti alla sfera d’azione del capitalismo e
alle logiche di mercato, perché considerati troppo importanti e universali. Come ha
sostenuto T.H. Marshall [1963] in una formulazione memorabile, la gente ha
acquisito il diritto a questi beni e servizi, specie questi ultimi, in virtù del proprio
status di cittadini, e non perché potessero comprarli sul mercato” [2003, p. 93]. Tale
enorme sottrazione è stata in fondo accettata dal capitalismo non solo perché
l’intervento pubblico costituiva un sostegno indiretto alla domanda, ma anche perché
le grandi opportunità di profitto si ritrovavano nei settori industriali. Ma ora queste
6
opportunità si riducono anche sotto la spinta della competizione globale, nel mentre si
aprono inattese occasioni negli svariati settori dei servizi. Un segnale di queste
opportunità lo ritroviamo nell’ingresso in grande stile nei settori delle public utilities
degli investitori finanziari come Hedge Funds o Private Equity, con buona pace degli
interessi di lungo termine degli utenti dei servizi4. Da qua la spinta a rivedere in
modo drastico le attribuzioni dello stato sociale definite nei decenni successivi alla
fine della seconda guerra mondiale, con il connesso supporto al sapere diffuso.
La commercializzazione della cittadinanza (nel senso marshalliano) procede con
effetti di rilievo, non solo sulla natura del pubblico, ma anche sulla logica e sulla
pratica di funzionamento dei mercati. La distorsione e la residualità colpiscono la
natura dei servizi pubblici. Il primo processo lo si avverte non solo nella
modificazione della natura del bene nel passaggio fra una forma di allocazione e
l’altra, ma anche nella individuazione di indicatori, controllabili ma non sempre
opportuni, per “mimare” il funzionamento dei mercati laddove non opera il
meccanismo dei prezzi. La residualità dei servizi forniti dal pubblico, come effetto
delle scelte attribuite alla fornitura privata, conduce (Hirschman insegna) al
peggioramento qualitativo degli stessi. Ma i mercati non escono indenni dai processi
di ritiro del pubblico, e si presentano più che mai esposti agli interventi di
regolazione, e di dismissione, attuati dalla politica nonché a nuovi intrecci, raramente
virtuosi, fra élites degli affari (attraverso i lobbisti) e élites politiche (tramite le forme
varie di sorveglianza e regolazione). La conclusione è la perdita del concetto di ente
pubblico e lo svuotamento delle capacità di influenza o di indirizzo dei cittadini. Ecco
i tratti di fondo dello scenario post-democratico.
4
Si veda quanto si osserva sul tema nel completo e documentato rapporto curato dal gruppo parlamentare del Partito
Socialista Europeo [2007, pp. 12-13].
7
3. Trasformazioni della cittadinanza e ritiro del pubblico
Il saggio di Crouch sullo scenario post-democratco si presenta come un pamphlet
fondato su una serie di materiali preparatori di riflessioni e di ricerca apparsi in
volume un paio d’anni addietro. Alcuni argomenti tratti da questo volume [Crouch,
Eder, Tambini 2001] meritano di essere considerati in modo esplicito. Il primo è
forse il più appropriato e rilevante e riguarda lo svuotamento della democrazia che si
realizza attraverso i mutati rapporti fra stato e cittadini nella fornitura dei servizi. E’
nell’importante contributo di un giurista [Friedland 2001] che si descrive questo
processo, in buona parte derivante dall’inserimento di una terza parte (Intermediate
public-service provider, IPSP) nel rapporto ben consolidato nella fase della
cittadinanza industriale. L’esperienza sulla quale si fonda la riflessione è soprattutto
quella britannica, ma le osservazioni sull’emergere di concezioni rivali di
cittadinanza possono essere applicate anche ad alcune delle esperienze italiane più
significative nel campo della sanità, dei trasporti locali, delle public utilities. La
commercializzazione5 della relazione tipica di servizio pubblico conduce ad una sorta
di commercializzazione della cittadinanza. Secondo la tripartizione proposta da
Friedland [2001, p.99] gli effetti possono essere riassunti attraverso la
consumerization della relazione cittadino/IPSP; la marginalization della relazione
cittadino/stato; la economization della relazione fra stato e IPSP.
E’ lo stesso Crouch [2003, p. 114] a presentare con sintesi efficace tali effetti: “Il
cittadino ha un legame, attraverso il sistema politico ed elettorale democratico, con il
governo (nazionale o locale). Il governo ha un legame, attraverso la legge-contratto,
con il privato. Ma il cittadino non ha alcun legame, né di mercato né di cittadinanza,
con il fornitore, e dopo la privatizzazione non può più sollevare questioni relative
all’erogazione del servizio con il governo, perché questi ha appaltato la prestazione al
suo esterno. Di conseguenza il servizio pubblico è divenuto postdemocratico: d’ora in
avanti il governo è responsabile verso il demos solo per la politica generale, non per
5
Traduco con questo termine l’espressione inglese marketization, frutto di una lingua come sempre più duttile ai
neologismi. Per altri termini, in seguito, per ragioni di chiarezza sarà opportuno mantenere i termini inglesi.
8
la sua attuazione nei dettagli”. Alla obiezione sull’efficacia dell’operare di una scelta
di mercato in sostituzione di quella politica si potrebbe rispondere, come si vedrà più
oltre, che la prima è resa problematica dalla situazione di monopolio naturale in cui
vengono erogati non pochi servizi (come nei trasporti), dalle asimmetrie informative
che gravano sui cittadini-utenti (come nella sanità e in parte nell’istruzione), dai costi
di transazione che sono connessi agli spostamenti di fornitura, laddove esiste una
pluralità di offerenti (come in alcune public utilities).
Il secondo argomento riguarda la vanificazione della condizione che permetteva
non solo la pratica della partecipazione politica di massa, ma anche l’esercizio dei
diritti civili e politici [v. Facchi 2007, p. 126]. Nella visione di T.H.Marshall6 era
proprio l’ottenimento dei diritti sociali a permettere l’esercizio delle altre categorie di
diritti [Crouch et al. 2001, p. 5]. E’ questo un argomento non nuovo, ma stranamente
accantonato nei dibattiti più recenti. In effetti, come avevo già osservato alcuni anni
addietro [Cella 1997, pp. 37-39] solo scomponendo la cittadinanza nei diversi
elementi che si succedono storicamente (ma ancora oggi identificabili) è possibile
cogliere i processi di sviluppo della sua affermazione e le tensioni che questi processi
hanno arrecato. I diversi elementi corrispondono alle diverse categorie di diritti, e
solo con i diritti sociali, lo si sa bene, la cittadinanza conduce a una attenuazione
sensibile della tensione fra uguaglianza dei diritti (civili e politici) e disuguaglianza
sociale. I diritti civili, nella sostanza i diritti essenziali di libertà individuale, si
concretizzano soprattutto in diritti di proprietà (dei beni, della persona, del lavoro).
Nascono
con
il
sorgere
della
società
borghese,
si
affermano
nell’età
dell’individualismo liberale, hanno il mercato come ambito di riferimento e ritrovano
soprattutto nelle istituzioni giudiziarie le loro forme di regolazione. I diritti politici
individuano il diritto di partecipazione all’esercizio della politica e si affermano
progressivamente negli stati nazionali fino all’introduzione del suffragio universale
(svincolandosi dal condizionamento dei diritti di proprietà) e del pieno diritto di
6
Per una rilettura efficace del concetto marshalliano di cittadinanza, sensibile alla dimensione storica v. Hemerijck,
2001 e Procacci, 2001.
9
associazione. Il loro ambito è il sistema politico, le istituzioni corrispondenti le
assemblee elettive.
I diritti sociali richiamano i diritti di protezione, di sicurezza, di promozione (o di
crescita), di appartenenza a una società in sviluppo. Il loro ambito di riferimento è
ancora la società civile, ma con un contributo decisivo fornito alla costruzione di una
sfera pubblica democratica. Segnalano l’avanzamento di criteri di allocazione e di
regolazione alternativi a quelli di mercato. Le istituzioni tipiche sono gli apparati
dello stato sociale, il sistema dell’istruzione, i sistemi di relazioni industriali. Tali
diritti, come notò Macpherson [1990, p.40] in un saggio non dimenticato sono fra
loro logicamente diversi: quelli civili e politici si configurano come “diritti
dell’individuo contro lo Stato”; quelli sociali ed economici invece avanzano pretese
verso benefici (beni o servizi) che “dovrebbero essere forniti dallo Stato a tutti gli
individui”. Da ciò anche un potenziale fronte di conflitto fra le due serie di diritti. Nei
periodi di difficoltà economiche o finanziarie, ha osservato Barbalet [1992, p.51] “la
pressione contro i diritti sociali può prendere la forma di una riaffermazione dei diritti
civili”. L’abbiamo visto bene negli anni a cavallo fra XX e XXI secolo con le
trasformazioni, attuate o ipotizzate, della legislazione sul lavoro (dalla difesa del
posto di lavoro a quella del lavoratore sul mercato), con il ritrarsi dei sistemi
pensionistici pubblici e con l’avanzare dei sistemi privati a capitalizzazione, con gli
svariati processi di individualizzazione della protezione sociale [v. Paci 2005].
Alcune di queste trasformazioni sono richieste sulla base di giudizi di non
sostenibilità dei precedenti schemi di intervento pubblico nei nuovi contesti di
globalizzazione economica e finanziaria, ma nell’insieme cambiano gli scenari
democratici vanificando quella poderosa spinta alla partecipazione politica di massa
che era una conseguenza dei processi di affermazione e di difesa dei diritti sociali.
Nuovi soggetti collettivi non sono impossibili, così come non lo sono nuovi processi
deliberativi e discorsivi di decisione democratica, ma tutto questo accadrà, se
accadrà, entro gli scenari post-democratici.
10
Il terzo argomento riguarda la sovrastima delle opportunità concesse dalla exit nei
confronti delle possibilità permesse dalla voice (il meccanismo tipico all’opera nei
sistemi politici). Questo è forse l’argomento decisivo, specie laddove sono coinvolti
problemi di qualità dei servizi sociali. In fondo dietro molte proposte ed attuazioni di
privatizzazione, di liberalizzazione ed anche di commercializzazione dei diritti di
cittadinanza è presente una scommessa implicita, quella che riguarda l’operare di un
trade-off fra legittimazione democratica e qualità dei servizi. Un’attenuarsi della
prima7 potrebbe essere per alcuni aspetti accettabile se compensato dall’incremento
della seconda, ma questo incremento è tutto da dimostrare. Un trade-off che non
sembra rilevabile con sicurezza neanche sulla relazione fra legittimazione ed
efficienza, come è stato osservato dagli studi più seriamente fondati sulla
performance delle attività nel settore dei servizi oggetto degli interventi di
privatizzazione. E’ proprio da una riflessione sulla performance non esaltante delle
imprese privatizzate britanniche8 che nascono, ad esempio, le perplessità sui benefici
compensativi della caduta di legittimazione democratica:
La legittimazione dello Stato democratico dipende in modo cruciale dal riconoscimento collettivo
dei servizi che lo stato rende. Se, come ipotesi estrema, lo Stato si limitasse a tassare, redistribuire,
regolamentare e mantenere l’ordine interno ed esterno, senza produrre nulla in proprio, la sua
legittimazione democratica sarebbe debole [Florio 2004 a, p. 135].
Se neanche l’argomento efficientistico funziona, sarà ancor più utile tentare una
rivisitazione del celebre modello di Hirschman [1970], centrato sui problemi della
qualità dell’offerta dei beni e soprattutto dei servizi.
7
La critica alle incapacità delle istituzioni democratiche di organizzare la partecipazione politica e il dibattito pubblico
avrebbe come effetto quello di lasciare i problemi centrali delle società moderne “alla sfera privata, al mercato, alle
forze economiche che non richiedono una legittimazione democratica” [Eder 2001, p. 217].
8
Mi riferisco qui al documentatissimo studio di M.Florio sulla esperienza di privatizzazione di British Telecom[2004]
11
4. Il modello exit/voice
A quasi quarant’anni dalla sua elaborazione, e
dopo una serie di svariate
applicazioni e innumerevoli citazioni di stile, non si è probabilmente più in grado di
coglierne appieno l’intelligenza conoscitiva ed anche l’innovatività nel panorama
delle discipline economiche. Si riconosce con fare fuggevole la prima, si sorvola
sulla seconda. Eppure la prima, frutto di domande ingenue e devastanti del tipo ma è
sempre efficace la concorrenza?, è almeno pari a quella dell’ancor più celebre e
celebrato scritto di Coase [1937] sul perchè esistono le imprese?.
La portata
innovativa consiste soprattutto nel proporre un modello di regolazione composto da
diverse prospettive delle scienze sociali (senza scopi “annessionistici”) nell’ambito di
una disciplina, l’economia, che veniva da decenni di sperimentata e orgogliosa
autosufficienza. Una innovazione non lontana, se non nei contenuti certo nel metodo
e nella ispirazione teorica, da quella avanzata decenni addietro da Karl Polanyi
[1944] con il suo modello delle forme di allocazione e di regolazione (reciprocità,
redistribuzione, scambio di mercato) estratte dal sapere antropologico, economico,
della teoria sociale e politica. Due modelli, del resto, con non pochi punti di contatto
e addirittura di fruttuosa sovrapponibilità, a partire dalla tripartizione (non
dimentichiamoci del terzo elemento del modello hirschmaniano, ovvero la loyalty) e
dalla felice applicabilità ai problemi di allocazione dei beni e servizi della protezione
sociale.
Il modello è esposto in un libro agile e compatto, ancora oggi più che godibile,
ma per ripresentarlo mi avvarrò di una sintesi elaborata dall’autore in un saggio
scritto nel 1993, riflettendo sulla repentina caduta della DDR [ora in Hirschman
1997], e perciò dopo più di un ventennio di applicazioni condotte da altri
e
dall’autore stesso in campi svariati della regolazione economica, politica, sociale. Le
caratteristiche della exit sono così riassunte [1997,pp. 4-46]:
L’uscita – si tratti della decisione di cercare, e utilizzare, un più soddisfacente fornitore di beni o
servizi, oppure della decisione di emigrare, di partire per un paese che si spera più soddisfacente – è
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essenzialmente una decisione e un’azione privata, e anche, di regola, silenziosa. E’ possibile
attuarla da soli, senza nessun bisogno di parlarne con chicchessia. L’uscita è pertanto una maniera
minimalistica di esprimere il dissenso: si parte senza concertarsi con altri, senza rumore, ‘col favore
della notte’. D’altro canto, nessuno può uscire per me. Il fatto che altri escano può certo influenzare
la mia decisione di fare lo stesso, ma non potrà mai sostituirla. L’uscita è dunque non soltanto una
decisione privata, ma altresì un bene privato, nel senso che non può essere ottenuto mediante sforzi
altrui, per effetto di una qualche sorta di free ride.
Non tutto viene risolto in queste poche righe, ma certo la sintesi è efficace, ed
accentua la contrapposizione con la voice:
Le caratteristiche della voce non potrebbero essere più diverse. La voce è un caso tipico di attività
pubblica, che, se non esige necessariamente l’organizzazione, su di essa però certamente fiorisce:
sulla concertazione con gli altri, sulla delega e su tutte le altre forme di azione collettiva. Le attività
di voce, come le petizioni e le dimostrazioni, sono di conseguenza soggette ai ben noti
inconvenienti del free riding (anche se, come ho ampiamente argomentato altrove, questi
inconvenienti possono all’occasione mutarsi in vantaggi).
L’economia aveva dato per scontata la superiorità della prima forma di reazione , o di
protesta, nei mercati concorrenziali. Hirschman la mette in dubbio nel suo libro
unpremeditated (così l’incipit del 1970), sulla base della intuizione nata dalla famosa
ricerca sulle ferrovie nigeriane. Tutto qui, ma gli effetti, se si è grado di apprezzarli,
si fanno ancora sentire. Il punto di partenza è il deterioramento del prodotto o del
servizio che così spesso si verifica nell’offerta delle imprese o di altre organizzazioni
e tutto il resto della analisi è dedicato ad un esame comparativo delle due forme di
reazione a questo deterioramento. Le domande non sono poche: sotto quali
condizioni l’una prevarrà sull’altra? quale delle due sarà più efficiente nel favorire il
recupero della qualità? in quali circostanze le due opzioni tenderanno ad operare in
modo congiunto? quali istituzioni saranno necessarie per favorire l’uno o l’altro dei
meccanismi di recupero o di superamento del ristagno organizzativo? [1970, p. 15].
13
La disponibilità della opzione exit è caratteristica del funzionamento normale
della concorrenza, ma il suo funzionamento concreto non è stato oggetto di studi
approfonditi, specie per quanto attiene al rapporto fra l’esercizio dell’opzione e le
reazioni del management delle organizzazioni fornitrici. Se la domanda è altamente
inelastica è difficile che i dirigenti colgano il segnale, ma anche nel caso opposto il
funzionamento è problematico, se la domanda è troppo elastica l’effetto di una caduta
nella qualità potrebbe essere un crollo nella domanda stessa e la scomparsa dal
mercato dell’impresa. Per il funzionamento della exit come meccanismo di recupero
della qualità o della performance il meglio per l’impresa potrebbe essere un misto di
clienti e utenti per le caratteristiche di reattività, una parte di inerti e una parte di
reattivi. Gli effetti di recupero della exit sono altresì problematici quando ad una
caduta generale della qualità o del servizio in un settore con pluralità di offerenti in
competizione, le perdite di clienti si compensano con le nuove entrate. In questi casi
le imprese fornitrici potrebbero essere interessate al mantenimento della concorrenza,
fino a seguire a tal fine un comportamento collusivo. E’ in questi casi che può
emergere il dubbio su una possibile maggiore efficacia della opzione voice [1970, pp.
21-29].
La voce può essere considerata come un impegno al cambiamento (o una protesta
per sollecitarlo) alternativo alla tentazione di uscire, o di scappare. Se il declino della
qualità o della performance conduce alla voce invece che all’uscita si può ritenere che
l’efficacia della prima, almeno fino a un certo punto, aumenti con l’aumento del
volume con cui è espressa. Ma i paralleli fra le arene politiche e quelle economiche
non mancano, dato che anche per la politica potrebbe essere preferibile un misto di
cittadini, reattivi e militanti gli uni, inerti e deferenti gli altri. I dirigenti delle
organizzazioni fornitrici devono avere il tempo per reagire. L’opzione voce è la unica
esercitabile per esprimere l’insoddisfazione laddove l’uscita non è utilizzabile, o è
troppo costosa, e dolorosa, come nella famiglia, nello stato, nella chiesa. Il mix che
spesso si incontra nelle arene economiche fra assetti monopolistici e concorrenziali
permette di osservare una sorta di interazione fra uscita e voce, ma in prima
14
approssimazione la voce può essere considerata in modo residuale. E’ qui che
Hirschman esprime l’operare idraulico del suo modello: “in questa visione il ruolo
della voce si espanderà tanto quanto declinano le opportunità per l’uscita, fino al
punto nel quale, con l’uscita totalmente impraticabile, la voce dovrà sobbarcarsi
l’intero fardello di allertare il management per le sue inadempienze” [1970, p. 34].
Sarà proprio questo carattere idraulico ad essere attenuato dall’autore dopo più di un
ventennio, con un esercizio non poi così consueto di “storia concettuale”, riflettendo
sui grandi movimenti di uscita, di fuga, dalla DDR nei mesi precedenti la caduta del
muro di Berlino: “abbiamo ora imparato che in alcune costellazioni di grande rilievo
l’uscita può collaborare con la voce, la voce può emergere dall’uscita, e l’uscita può
rafforzare la voce” [1997, p. 46]. L’aumento delle possibilità di uscita, forniva spazi
imprevisti alla voce, fornendole coraggio e risonanza. Certo da questa attenuazione il
modello non ne esce indenne, perdendo in parte la sua straordinaria efficacia
esplicativa, ma possiamo lasciare sullo sfondo queste osservazioni teoriche, e
considerare in queste note il modello nella sua versione originaria, con la voce come
alternativa all’uscita.
Le difficoltà particolari nel combinare la voce con l’uscita, potenziando così la
pressione complessiva sulle imprese fornitrici, sono proprio all’origine del modello,
nato dalla riflessione sul caso delle ferrovie nigeriane, accomunato quasi in modo
funambolico con il caso della competizione fra scuole private e pubbliche negli Stati
Uniti. Le ragioni della difficoltà di combinare le due opzioni sono innanzitutto di
tipo economico, ignorate proprio per lo scarso approfondimento del ruolo della
qualità. Non ci si è soffermati su una dinamica in apparenza paradossale: gli utenticonsumatori che abbandonano per primi una impresa erogatrice quando salgono i
prezzi, non solo gli stessi che escono quando è la qualità a declinare, anche se in
termini strettamente economici questo declino potrebbe essere equivalente ad un
aumento di prezzo. Questo è il punto decisivo: “tale equivalenza è frequentemente
differente per i differenti clienti dell’articolo offerto in quanto l’apprezzamento della
qualità differisce largamente fra di loro” [1970, p. 48]. Messo in modo ancora più
15
semplice, per molti prodotti e servizi di qualità (l’educazione fra questi, ma anche
alcune categorie di trasporti): “il consumatore che è piuttosto insensibile agli aumenti
di prezzo si rivela con buona probabilità altamente sensibile ai declini nella
qualità”[id, p.49]. Se in un caso di declino della qualità del prodotto o del servizio la
competizione fra gli offerenti spinge all’uscita questa categoria (non marginale ma
intramarginale) di clienti-utenti, si allontana proprio quella categoria che, nelle
circostanze appropriate, sarebbe stata in grado di esercitare attraverso la voce la
pressione più “autorevole” ed efficace per il recupero della qualità del servizio. La
disponibilità dell’opzione uscita in non pochi casi indebolisce le chances della voce,
sul cui esercizio, non lo di dimentichi, pesano comunque le caratteristiche di bene
pubblico, con i conseguenti fenomeni di free riding.
La sovrastima delle capacità fornite dalla uscita, l’opzione principe degli assetti
competitivi, per i fini di recupero qualitativo o di reazione al ristagno organizzativo, è
dunque spiegata dal modello di Hirschman, per il quale in più di trent’anni non sono
mancate conferme significative. Conferme che ritroviamo anche ai nostri giorni in
molti settori dei servizi, dalla sanità ai trasporti all’istruzione. L’operare del trade-off
fra legittimazione e qualità, in ogni caso doloroso per gli assetti democratici e per la
loro accountability, si rivela problematico. Con una aggravante, lo svuotamento dei
contenuti della democrazia che si verifica in seguito al ritiro del pubblico dalla
fornitura dei servizi ed i connessi effetti sul livello della partecipazione politica di
massa, rendono ancor più costoso l’esercizio della voce, esponendola senza sostegni
ai dilemmi della azione collettiva. Tanto per fare un esempio non poi così distante
dalle realtà attuali, è certamente più costoso per i soggetti individuali
l’organizzazione di una protesta degli utenti di una linea appaltata di trasporto per i
pendolari, che la partecipazione ad una protesta organizzata da partiti di massa o da
organizzazioni sindacali verso servizi erogati direttamente dal pubblico.
Anche negli scenari post-democratici sono certo possibili movimenti di protesta
sui temi dei servizi o degli insediamenti produttivi e infrastrutturali, come dimostra
l’aumento delle mobilitazioni tipo NIMBY, ma questi sono permessi da processi di
16
distinzione preliminari, istituzionali o spontanei, ovvero di ridefinizione dei confini e
dei territori, con conseguenze rilevanti sugli assetti delle disuguaglianze e sul
rafforzamento delle identità collettive. E’ dubbia inoltre la capacità di questi
movimenti nell’incidere sulla qualità, essendo in generale animati da obiettivi
negativi, di rifiuto. In definitiva, i benefici concessi dalle opportunità di uscita
sarebbero quanto mai incerti, ma all’opposto potrebbero rivelarsi certi gli effetti di
indebolimento del ricorso alla voce.
5. La scelta fra le forme di regolazione.
In queste note siamo partiti dall’ultima fase della ondata di privatizzazioni e
liberalizzazioni, quella che ha iniziato a fare sentire i suoi effetti sugli status di
cittadinanza e sui contenuti della democrazia. Questa fase ha permesso di parlare
della apertura di uno scenario con caratteri post-democratci, segnalato dalla caduta
del sostegno alle politiche sociali ugualitarie e dall’avvento di processi di
“commercializzazione” della cittadinanza. Il ritiro del pubblico, in varie forme, dalla
fornitura diretta dei servizi (sociali ma non solo) è stato interpretato mediante tre
argomenti. Il primo riguarda lo svuotamento dei contenuti della democrazia che si
misura attraverso i cambiamenti progressivi nel rapporto fra cittadini e stato nella
fornitura dei servizi. I cittadini perdono contatto diretto con lo stato. L’obiezione
sulla persistenza ad ogni buon conto degli aspetti di metodo (l’elezione libera dei
rappresentanti) come elemento sufficiente per definire gli assetti politici democratici,
è certamente proponibile, ma di non grande portata se si considera la problematicità
dell’operare della accountability nei nuovi assetti, e dell’intervento del secondo
argomento, quello riguardante l’esercizio dei diritti civili e politici. Un esercizio che
può essere vanificato dalla riduzione, se non dalla caduta, della universalità dei diritti
sociali. Il terzo argomento riguarda una sorta di sovrastima delle possibilità concesse
alla opzione uscita, tipica dei contesti concorrenziali, rispetto a quelle detenute dalla
opzione voce, tipica del funzionamento dei sistemi politici. Per non parlare della
17
efficienza dell’offerta privatizzata (o commercializzata) dei servizi, si è incerti non
solo sulla auspicabilità del trade-off fra legittimazione democratica e qualità dei
servizi, ma anche sulla sua effettiva operatività.
Per il tema di queste note la questione della qualità assume una importanza
decisiva, da una parte per la presentabilità ai cittadini dei processi di ritiro del
pubblico dall’offerta diretta di servizi, dall’altra per l’obiettiva influenza in settori
determinanti della vita degli individui nelle società post-industriali. Coinvolge non
solo la qualità della democrazia, si potrebbe facilmente dire, ma anche la qualità della
vita. Su questo versante, a complicare la questione e a renderla non facilment6e
gestibile, opera qualcosa di assimilabile, in termini brutali, ad una “maledizione dei
servizi”. Ci si riferisce alla sensibilità del cittadino-utente9 non solo nei confronti
della qualità del servizio, ma anche delle concrete modalità dell’offerta, ovvero alla
reattività nei confronti del comportamento degli agenti, qualunque sia la natura
istituzionale (pubblica, privata, intermediatoria) dei principali. La qualità del lavoro,
ed anche dei percorsi professionali, degli addetti alla fornitura assume una influenza
diretta sulla qualità del bene o del servizio offerto, in una dimensione sconosciuta alle
tradizionali produzioni dell’età industriale. E’ difficile sostenere che l’intervento
delle tecnologie dell’informazione, rivolto a ridurre, se non a eliminare del tutto, il
contatto diretto fra cittadino e agenti, abbia risolto con sensibili successi il problema.
Conosciamo tutti la condanna del call-center, o della interazione con terminali. In
molti casi sembra addirittura che parte dei costi di produzione e, soprattutto, di
transazione siano trasferiti in maniera tacita sugli utenti. Stranamente questo versante
del problema della qualità dei servizi resta come oscurato nella comparazione fra
vantaggi e svantaggi delle forniture private o pubbliche, e affrontato solo da quanti,
considerando in modo esplicito la natura di “bene relazionale”10 del rapporto fra
cittadini e utenti, sono rivolti con successi incerti e alterni a trasformare in
“benedizione” la “maledizione”.
9
o del recipient, come si dice ora in inglese accentuando gli aspetti di passività del rapporto fra il cittadino e l’offerta.
Sono “quelli la cui utilità dipende essenzialmente dalla particolare trama di relazioni in cui sono inseriti richiedenti e
offerenti” [Zamagni 1994, pp. 21-22]
10
18
Se si torna al tema dello scenario post-democratico, potremmo prenderlo in
considerazione come un elemento in più in quel raffronto fra “fallimenti del mercato”
e “fallimenti della politica” che è retrostante, comunque lo si presenti, a tutte le
proposte di trasformazione delle offerta e fornitura pubbliche dei servizi11. L’elenco
dei fallimenti del mercato, anche se controverso, può essere tuttavia ricondotto ad
alcune categorie essenziali. La prima comprende l’offerta di beni pubblici o la
gestione di risorse comuni, la seconda è riconducibile ai casi di monopolio naturale,
la terza ricomprende gli svariati casi di esternalità, la quarta si ricollega ad un
composito insieme di ragioni distributive (i merit goods ad esempio). A queste
quattro categorie potrebbero essere aggiunte quelle descritte in libro straordinario
(ma purtroppo dimenticato) della seconda metà del decennio settanta. Mi riferisco
qui a quel libro di Hirsch sui limiti sociali dello sviluppo [1976] che ha saputo
valorizzare una letteratura troppo spesso trascurata dagli economisti12, individuando
altre ragioni di fallimento del mercato: dalla impossibilità di scelte fra stadi diversi di
un processo dinamico, alla “tirannia” delle piccole decisioni, alla allocazione e
gestione dei beni posizionali (ovvero a quei beni scarso in senso assoluto o
socialmente imposto o soggetti a congestione e affollamento attraverso un uso
estensivo), alla inadeguatezza della domanda individuale a rappresentare in modo non
distorto le preferenze degli individui. A queste ragioni si può aggiungere quella molto
ampia delle asimmetrie informative, particolarmente indagata negli ultimi tre
decenni.
Nell’elenco dei “fallimenti del pubblico” va sottolineato innanzitutto quello che
attiene alla manifestazione delle preferenze dei cittadini-utenti, può essere letto
attraverso la comparazione del “voto politico” con il “voto di mercato”13 e conduce in
qualche modo a ridimensionare le virtù della opzione voice rispetto alla opzione exit.
Il voto politico è sempre indiretto e tranne casi d’eccezione (ad esempio il
11
E’ il percorso nella sostanza seguito da Rebecca Blank [2000] in un contributo molto equilibrato nel quale i fallimenti
del mercato sono ricondotti a: esternalità, asimmetrie informative, problemi d’agenzia, aspetti distributivi. Il semplice
elenco dei fallimenti dice poco comunque sulle diverse forme con le quali il ruolo del pubblico può essere coinvolto.
12
Un esempio vistoso riguarda i contributi di Schelling, in qualche modo lasciati in disparte, come in una scienza
sociale a sé stante, almeno fino alla attribuzione del Nobel, quasi un trentennio dopo l’uscita del libro di Hirsch. Si veda
in particolare Schelling [1984].
13
Sul problema ricordo l’ormai classico scritto di Buchanan [1954].
19
referendum) avviene nei confronti dei decisori politici. Quello che si manifesta sul
mercato, quando oprano effettive possibilità di scelta, avviene direttamente, in merito
alle modalità di allocazione del servizio in oggetto. Il primo è discontinuo, limitato
alle scadenze elettorali; il secondo può aver luogo in modo continuo: se non saranno
tutti i cittadini a “votare” ogni giorno, sicuramente ogni giorno un “voto di mercato”
sarà espresso da cittadini con particolari esigenze di domanda. Il controllo politico, è
stato inoltre sostenuto, avviene in prevalenza sugli input delle decisioni di
allocazione, più raramente sugli output, ovvero sulla rispondenza delle decisioni alle
finalità di allocazione. Sembrerebbe questo un limite non facilmente superabile della
offerta pubblica in esclusiva. In questi casi, per riprendere ancora il modello di
Hirschman, non solo il cittadino-utente non avrebbe possibilità di exit, ma resterebbe
anche, visti i limiti del voto politico, con poco efficaci alternative di voice. In questi
casi il modello “idraulico” potrebbe non funzionare. Un denso insieme di fallimenti
(ridimensionato in parte da ricerche come quelle citate di Florio) riguarda l’efficienza
interna delle imprese pubbliche, ed è ascrivibile per una parte alla assenza di incentivi
adeguati (positivi e negativi) per il management14, dall’altra alle notevoli possibilità
che l’impresa pubblica concede a comportamenti di tipo opportunistico, sia ex ante
che ex post.
Cosa cambiano gli argomenti introdotti dallo scenario post-democratico nel
raffronto fra i due elenchi di fallimenti? Considerato che il semplice listing dei
fallimenti, pur non essendo del tutto disprezzabile come strada per decidere sulle
opportunità o meno di attuare processi di ritiro del pubblico, non è certo un percorso
molto raffinato, la rilevanza dello scenario post-democratico dovrebbe invitare a
prendere atto delle numerose interdipendenze che sono all’opera fra le due serie di
fallimenti. E’ chiaro, ad esempio, che la inefficacia del voto politico rispetto a quello
“di mercato” è percepibile solo nei confronti di scelte di mercato effettive, non
ostacolate dall’operare di asimmetrie informative. Ma cosa dire nelle situazioni
14
Proprio per evitare possibili opportunismi gli incentivi positivi dovrebbero essere low-powered, come sostiene
P.Francois [2000] in un contributo che presenta una analisi formalizzata dell’argomento della Public service motivation
come ragione efficiente alla fornitura pubblica dei servizi.
20
paradossali nelle quali concrete possibilità di scelta ai cittadini sono concesse in
settori (come nella sanità) dove operano vistose asimmetrie informative, mentre sono
di fatto negate o rese irrilevanti negli assetti privatizzati e liberalizzati dove tali
asimmetrie sono molto ridotte (come nei trasporti)? In tali situazioni sarebbe facile
dire che il voto politico, pur con tutte le sue incertezze, è meglio di niente. E che il
funzionamento incerto del modello “idraulico” che abbiamo visto appena sopra come
possibilità nei casi di offerta pubblica esclusiva, potrebbe trasformarsi in un vero e
proprio blocco nei casi di offerta “commercializzata” di servizi pubblici e di beni di
protezione sociale. Nel complesso lo scenario post-democratico, mentre lascia nella
sostanza invariata la lista dei fallimenti del mercato, condurrebbe a ridimensionare il
rilievo dell’altra lista, quella dei fallimenti della politica. La lista di questi ultimi
rimarrebbe affollata ma più sopportabile, secondo un comprensibile faute de mieux.
Qualcuno potrebbe rilevare a questo punto l’avvicinarsi di una sorta di metapreferenza a favore, senza entusiasmi, dell’offerta pubblica, anche per impedire lo
svuotamento dei contenuti della democrazia, sperimentati nel lungo periodo dell’età
industriale. Di tale svuotamento potrebbero non preoccuparsi solo gli osservatori e i
politici del coté neo-liberale o libertario. Tutti però potrebbero essere sensibili agli
effetti finali di vanificazione che tale scenario introdurrebbe, attraverso la caduta
delle ragioni alla partecipazione politica, all’esercizio stesso dei diritti civili e politici.
E’ opportuna una consapevolezza sulla possibilità di questi effetti e sulla loro
rilevanza, ma non si tratta semplicemente di rivendicare una ortodossia: “in un
mondo di incertezze, la conformità ideologica può essere costosa”, ha ricordato North
nella sua recente opera dedicata alla comprensione del cambiamento economico,
affermando come “una pluralità istituzionale che preveda un ampio raggio di scelte
costituisce un tratto selettivo di ordine superiore” [2006, p.68]. Se il pubblico si
misurasse veramente con le diverse modalità di organizzazione della sua offerta, se
la crescita dell’offerta privata non fosse pensata e praticata con intenti distruttivi, se
l’offerta proveniente da forme di allocazione alternativa alla tradizionale diarchia
21
fosse più di una semplice categoria residuale, qualcosa che ha che fare con una
benefica pluralità istituzionale si inizierebbe a intravedere.
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