Notizie 23 - Centro missionario diocesano Belluno-Feltre
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Notizie 23 - Centro missionario diocesano Belluno-Feltre
Centro Missionario Diocesano Diocesi di Belluno-Feltre P.zza Piloni, 11 32100 Belluno Tel. 0437 940594 [email protected] www.centromissionario.diocesi.it Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BL Novembre 2014 - N. 23 Campi profughi STRUMENTO DI INFORMAZIONE MISSIONARIA Campi profughi - La parola del direttore pag. 1 - Campi per rifugiati pag. 3 - Esperienze “sul campo”: notizie dalle missioni • in Sudan • in Congo • in Kenya • in Libano • in Palestina • in Egitto • nel Sinai • in Etiopia • in Thailandia pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. 9 17 24 28 34 38 41 44 49 - I Centri dell’immigrazione in Italia pag. 53 - Inserto di preghiera pag. 62 - Notizie dalla stampa missionaria pag. 66 Proposta di un gesto di solidarietà Riprendiamo qualche riga delle parole del direttore: «Da queste testimonianze ci viene un invito per guardare con serena, ma decisa, corresponsabilità a questi nostri fratelli e non nascondere la nostra testa sotto la sabbia, come fanno gli struzzi, per illudersi di poter vivere come se queste cose non esistessero! Possiamo fare qualcosa per alleviare queste sofferenze? Forse poco. Ma facciamolo! Magari un gesto di accoglienza a chi giunge nei nostri paesi; magari una lettera di solidarietà a uno dei tanti missionari coinvolti e ai loro “rifugiati”; magari un piccolo aiuto economico per i bisogni dei loro progetti; magari informare e coinvolgere i nostri gruppi o parrocchie in queste iniziative. E soprattutto reagire alla cultura dell’indifferenza o peggio, del respingimento! Infine, una preghiera è possibile a tutti… e non è cosa da poco: noi crediamo alla forza della preghiera!». Notizie Centro Missionario di Belluno-Feltre Hanno collaborato a questo numero: Luigi Canal, Ezio Del Favero, José Soccal, Chiara Zavarise, Mario Bottegal, Gianfranco Olivier, i missionari Foto a cura di Chiara Zavarise REDAZIONE C/O: Centro Missionario Belluno-Feltre Piazza Piloni, 11 - 32100 Belluno – Tel. 0437 940594 [email protected] www.centromissionario.diocesi.it Direttore di redazione don Luigi Canal Responsabile ai sensi di legge don Lorenzo Dell’Andrea Stampa Tipografia Piave Srl - Belluno Iscrizione al Tribunale di Belluno n. 1/2009 Per un aiuto economico ai nostri missionari CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO IBAN Bancario Unicredit IT73U0200811910000002765556 intestato a Centro Missionario Diocesano P.zza Piloni, 11 – 32100 Belluno LA PAROLA DEL DIRETTORE profughi, ma già negli anni precedenti molti dalla Nigeria, dalla Somalia, dall’Eritrea, dalla Costa d’Avorio e dal Senegal si erano mossi verso il Magreb. Sulle piste del deserto del Sahara si sono consumati drammi umani indicibili. Giovani pieni di vita e di speranza sono partiti dalle loro terre martoriate, per le città della Libia, della Tunisia e dell’Algeria. Il loro cammino ha conosciuto il deserto, ma specialmente la crudeltà dei trafficanti di esseri umani. Peggio ancora, quando tante vite umane sono state respinte dai paesi europei, Italia compresa, e il mar Mediterraneo è diventato un grande cimitero. La fortezza “Europa” fa di tutto per chiudere le sue porte, per custodire per sé la sua opulenza. (E noi cristiani non possiamo accettare questo! n.d.r.) Per questa chiusura dell’Europa, il viaggio della speranza per molti somali ed eritrei ha preso il cammino dell’Egitto, per giungere in Israele. Anche su queste piste si sono verificati Cari amici, “Notizie 23” viene a noi come un amico sicuro di incontrare la comprensione di altri amici. Sente il coraggio quindi di proporre alla nostra riflessione e corresponsabilità drammi umanitari di estrema gravità, quali i campi profughi che popolano a macchia d’olio ogni parte del nostro pianeta. Ve ne diamo alcuni esempi, documentati da testimonianze di persone a noi conosciute e quindi degne di assoluta credibilità. In qualche caso, situazioni che coinvolgono anche i nostri missionari e quindi… anche noi! Per introdurvi alla lettura, faccio mie le parole con cui il bollettino del Centro Missionario di Trento propone lo stesso problema ai suoi lettori: «In questi ultimi anni stiamo assistendo ad un grande movimento di popoli, spinti da situazioni estreme di vita. La guerra di Siria (e dell’Iraq n.d.r.) ha prodotto milioni di 1 Possiamo fare qualcosa per alleviare queste sofferenze? Forse poco. Ma facciamolo! Magari un gesto di accoglienza a chi giunge nei nostri paesi; magari una lettera di solidarietà a uno dei tanti missionari coinvolti e ai loro “rifugiati”; magari un piccolo aiuto economico per i bisogni dei loro progetti; magari informare e coinvolgere i nostri gruppi o parrocchie in queste iniziative. E soprattutto reagire alla cultura dell’indifferenza o peggio, del respingimento! Infine, una preghiera è possibile a tutti… e non è cosa da poco: noi crediamo alla forza della preghiera! veri e propri crimini contro l’umanità: ad ogni fermata i migranti vengono venduti ad altri trafficanti, giungendo in Egitto in situazioni proibitive. Per la mancanza di documenti molti sono finiti nelle carceri egiziane. Altri hanno continuato il cammino fino al deserto del Sinai, cadendo nelle mani dei pastori beduini». Da queste testimonianze ci viene un invito per guardare con serena, ma decisa, corresponsabilità a questi nostri fratelli e non nascondere la nostra testa sotto la sabbia, come fanno gli struzzi, per illudersi di poter vivere come se queste cose non esistessero! Don Luigi Canal 2 (ricerca di Ezio Del Favero) I nel luogo di provenienza. Pertanto i campi per rifugiati hanno come caratteristica temporale una relativamente breve durata. Talvolta l’eccezionalità delle cause porta i campi ad avere durate superiori alle decine di anni come i campi per rifugiati palestinesi dal 1948 o Saharawi dal 1975. Il campo per rifugiati (o campo profughi) è un luogo nel quale sono ospitati rifugiati. Il termine rifugiato è in questo caso esteso e comprende sia i rifugiati politici creati da eventi come guerre civili e discriminazioni etniche verso gruppi interi o anche rifugiati ambientali, la cui fuga dipende da disastri naturali o emergenze che portano al pericolo di vita di gruppi di persone, per motivi che non dipendono in maniera strettamente diretta da azioni umane. I campi possono essere situati all’interno o all’esterno del paese di provenienza. (Da Wikipedia) L’UNHCR o ACNUR La più importante e storica agenzia delle Nazioni Unite è L’UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees) o ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) che si serve anche di agenzie regionali che di volta in volta assumono nomi diversi. L’insieme delle agenzie dell’Onu sostiene a vario titolo circa 21 milioni di persone. (www.unhcr.it) Il rifugiato è colui «che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppu- L’organizzazione A seconda del segmento di persone che lo abitano, un campo può essere gestito da organizzazioni diverse, solitamente non governative o agenzie delle Nazioni Unite. Il campo ha sempre un obiettivo di durata temporanea, al fine di tenere unite le comunità colpite in attesa della soluzione del problema o del ripristino di condizioni sufficienti per ritornare a vivere 3 NOTIZIE - N. 23 chiesta d’asilo, dall’ottenimento dello status di rifugiato fino al raggiungimento di soluzioni durevoli (rimpatrio volontario, integrazione all’interno dei paesi ospitanti o reinsediamento in un paese terzo). re che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra» [Articolo 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati]. Le emergenze speciali La protezione internazionale Oggi l’ACNUR evidenzia cinque emergenze speciali, tre di origine politica e frutto di guerre o conflitti striscianti, ovvero l’Afghanistan, la Regione dei grandi laghi al nord del Congo ex Zaire dove si sono susseguite nel tempo le conseguenze di diversi conflitti e il Darfur dove fra rifugiati e sfollati sono seguiti due milioni di persone. Due di carattere ambientale: lo Tsunami e il terremoto del Pakistan. La protezione internazionale dei rifugiati costituisce il nucleo principale del mandato dell’UNHCR. Tale mandato, come espresso negli statuti e nella Convenzione del 1951 sullo Status dei Rifugiati, si è costantemente evoluto nel corso degli ultimi 50 anni. Inizialmente, la protezione internazionale consisteva in una sorta di surrogato della protezione consolare e diplomatica, mentre oggi si è estesa notevolmente fino ad assicurare ai rifugiati il godimento dei loro diritti umani fondamentali e la sicurezza. Oltre alla Convenzione del 1951, la comunità internazionale si è dotata di altri strumenti, sia a carattere universale che regionale, volti a proteggere i rifugiati. L’UNHCR collabora con i governi ospitanti per tutelare i diritti umani fondamentali dei rifugiati ed adotta tutte le misure necessarie al fine di fornire assistenza durante l’intero processo della protezione internazionale: dall’impedire che le persone siano rimpatriate in un paese dove abbiano motivo di temere persecuzioni (refoulement), alla riCAMPI PROFUGHI Rapporto annuale 2014 Secondo il rapporto annuale Global Trends pubblicato dall’UNHCR, assistiamo per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale ad un enorme aumento di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni. In tutto il mondo costoro superano la soglia di 50 milioni di persone. E solo nel 2013 sono aumentati di sei milioni, passando dai 45,2 milioni del 2012 ai 51,2 milioni del 2013. Secondo lo stesso UNHCR questo rapido e significativo aumento è stato causato in larga misura dalla guerra in Siria e in secondo luogo dagli esodi forzati avvenuti nella 4 Repubblica Centrafricana e in Sud Sudan. I dati del rapporto Global Trends riguardano non solo i rifugiati, ma anche i richiedenti asilo e gli sfollati interni. mocratica del Congo (60.400) e Myanmar (57.400) i principali paesi di provenienza dei cittadini che hanno presentato domanda di asilo. Rifugiati - Secondo i dati del rapporto il numero di rifugiati è di 16,7 milioni di persone a livello globale, 11,7 milioni dei quali sono sotto il mandato dell’UNHCR; il 55 per cento proviene da cinque paesi: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria e Sudan. Sfollati interni - Gli sfollati interni – coloro che sono costretti a spostarsi all’interno nel proprio paese – hanno raggiunto i 33,3 milioni di persone, ben 4,5 milioni in più dal 2012, rappresentando l’incremento più elevato rispetto a ogni altro gruppo di cui si parla nel rapporto Global Trends. Richiedenti asilo - Nel 2013 1,1 milioni di persone, di cui 25.300 minori (bambini che sono stati separati dai genitori o minori stranieri non accompagnati), hanno presentato domanda di asilo e, secondo i dati del rapporto, la Germania è il paese con il più alto numero di nuove domande di asilo. Siria (64.300 domande), Repubblica De- Apolidi - L’apolide è una persona che non ha la cittadinanza di nessun paese (convenzione di New York del 1954 relativa allo status degli apolidi). Secondo quanto riportato dall’UNHCR, nel 2013 la popolazione mondiale di persone apolidi, non compresa nella cifra di 51,2 milioni di migranti forzati, ha raggiunto il numero di circa 3,5 Statistica provenienza rifugiati - UNHCR fine 2012 5 NOTIZIE - N. 23 Statistica luoghi che accolgono i rifugiati - UNHCR fine 2012 milioni di persone, sebbene si stimi che questa cifra sia circa un terzo del numero di apolidi a livello globale. Per maggiori dettagli, scaricare il “Rapporto UNHCR Global Trends” e il “Rapporto Sugli Sfollati Interni” del Centro di Monitoraggio Sugli Sfollati Interni (IDMC). nu, che dal 1950 iniziò a fornire a questi scampati alcuni essenziali servizi sanitari, sociali, scolastici, di formazione professionale e di microcredito. Ma per il conflitto arabo-israeliano ancora irrisolto, oggi siamo giunti alla quarta generazione di rifugiati. Le Nazioni Unite sono la fonte più aggiornata dei dati su questo popolo senza dimora, disperso oggi principalmente tra Gaza e la Cisgiordania, la Giordania, il Libano e la Siria, in condizioni di vita molto diverse. Nel primo censimento del 1950 i rifugiati “ufficiali” erano poco meno di 915mila, attualmente sono oltre 4 milioni e 200mila. I palestinesi che all’inizio fuggirono in Giordania hanno visto via via riconosciuti i propri diritti come normali cittadini (fatta eccezione per i 100mila palestinesi Rifugiati e campi profughi in Medioriente (www.30giorni.it) Chi sono i rifugiati palestinesi? Nella definizione ufficiale delle Nazioni Unite sono coloro che al momento del primo conflitto arabo-israeliano del 1948 vivevano già da due anni in Palestina, e a causa della guerra hanno perduto la propria casa e i mezzi di sostentamento. Questa triste condizione legittimava a iscriversi, su base volontaria, nei relativi registri dell’OCAMPI PROFUGHI 6 pi profughi sono 10 e ci vivono oltre 280mila persone. In Siria ci sono 10 campi per circa 112mila rifugiati. In Libano esistono 12 campi profughi, dove, secondo l’Onu, c’è la più alta concentrazione di persone e povertà, e i 210mila rifugiati che lì vivono sono considerati in stato di “speciale privazione”. Tale è l’isolamento e la frustrazione che agli estranei è sconsigliato di entrare in questi campi. Anche l’ex premier israeliano Ehud Barak si trovò un giorno a confessare che se fosse rimasto così a lungo in un campo profughi sarebbe lui stesso diventato un terrorista. A Gaza c’è una densità di profughi che è tra le più alte del mondo: 8 campi alloggiano 471mila rifugiati; in uno, Camp Beach, 78mila esseri umani vivono in meno di un chilometro quadrato. E quando il check point di Karni, tra Gaza e Israele, viene chiuso dall’esercito di Israele per motivi di sicurezza, gli aiuti umanitari non passano, e la crisi è immediata. In Cisgiordania, 181mila rifugiati vivono sparsi in 19 campi. venuti originariamente da Gaza, allora sotto l’Egitto, e lasciando da parte episodi come il “settembre nero” del 1970). Oggi sono 953mila. In Siria, dove risiedono 424mila rifugiati, la situazione è stata di progressiva, anche se non piena, integrazione sociale. In Libano, i rifugiati sono 400mila senza diritti civili né assistenza. A Gaza appartengono alla categoria dei rifugiati 961mila persone, cioè i tre quarti della popolazione della Striscia. In Cisgiordania gli oltre 687mila rifugiati residenti scontano in prima persona anche i problemi sorti con il “muro” che li separa da Israele. Ma le cifre sin qui riportate nascondono una realtà ben più amara, perché tra i rifugiati ci sono quelli che, ancora oggi, vivono esclusivamente nei campi profughi gestiti dall’Onu (a cui dovrebbero aggiungersi i numeri dei cosiddetti campi “non ufficiali”). Ecco i dati, almeno dei campi ufficiali. In Giordania attualmente i cam- 7 NOTIZIE - N. 23 notizie dalle missioni Le testimonianze che seguono giungono dai nostri missionari bellunesi o da persone che abbiamo conosciuto nel nostro cammino. Sfogliando le pagine seguenti, può nascere in qualcuno il desiderio di cogliere l’invito a sostenere con un’offerta una della missioni. Potrà farlo, passando di persona presso il nostro ufficio, o tramite i riferimenti bancari in terza di copertina di questa rivista, esprimendo nella causale “Campo profughi” e il nome del missionario di riferimento. Grazie e buona lettura! CAMPI PROFUGHI 8 Sudan Riportiamo una lettera di suor Costanza Gaio, missionaria comboniana in Sudan, originaria di Lamon Verona, 18 ottobre 2014 Saluti dall’Italia! fine della settimana scorsa hanno Sì, sono rientrata nuovamente attaccato Renk che si un mese fa. trova ai confini con il Nord Sudan. Dopo una visi- Nuova fuga, nuove morti e distruta in famiglia, mi zioni... Anche le nostre consorelle, trovo ora a Vero- che erano da poco ritornate, hanna, Cesiolo, dove no appena fatto in tempo a scappasi viene quando re! E dove va, chi ce la fa a scapsi ha bisogno di qualche controllo pare? Arrivano in uno stato pietoso medico. Grazie a Dio, nell’insieme nelle varie città del Nord, molti sto bene. appunto a Wad Medani! E cosa troHo lasciato Wad Mevano? Difficoltà senza dani con tanto dolore! numero: non essendo Le donne a serIn me e in tutti c’è una più cittadini: lavoro lo vizio, gli uomini forte speranza di ritrovano sì e no (più come manovali o a tornare quanto prima. no, che sì), le donne far mattoni, i bamPer il momento non a servizio, gli uomibini al mercato a c’è che dire: «sia fatta ni come manovali o a vendere sacchetti la Tua volontà, Signofar mattoni, i bambini o come facchini... re», mentre al tempo al mercato a vendere stesso tutti e tutto si sacchetti o come facaffida alla sua infinita chini... Alcuni, grazie Misericordia. a Dio riescono con tanta difficoltà Che situazione abbiamo lascia- ad andare a scuola. So che a Kharto? Sono certa che siete al corrente toum e ad Omdurman ci sono andi quanto è successo e sta tutt’o- che campi di profughi. ra succedendo nel Sud Sudan. La Io sono solo passata in fretta da S “ “ 9 NOTIZIE - N. 23 Khartoum, ma ho scritto a una mia consorella, suor Flora Fumagalli, che vive e opera nel campo rifugiati, per avere informazioni precise su quella realtà. Questo è quanto mi dice: «I tuoi amici parlano di campi di “profughi”, ma sarebbe meglio chiamarli, come dici bene tu “rifugiati”, perché di solito i profughi sono accolti e provveduti delle prime necessità invece la nostra gente che torna dal Sud Sudan per la seconda volta, torna a mani vuote e non trova né casa, né lavoro ad attenderli; purtroppo devono iniziare la loro vita ancora da zero. CAMPI PROFUGHI Dove vado io sono giunte centinaia di persone, in particolare dalla zona di Malakal e dintorni. Quei pochi shilluk che erano rimasti al Nord hanno aperto le loro già povere capanne per accoglierli. Così in una famiglia dove prima vivevano 5 persone ora ce ne sono 15 e credo che solo la Provvidenza li aiuta a sopravvivere. Infatti la loro confidenza in Dio è molto grande e tra loro non trovi persone depresse o disperate. Un grosso problema è l’educazione dei bambini che sono moltissimi e al Sud hanno imparato un po’ di inglese, ma sono completamente digiuni della lingua araba e 10 non possono aggiungersi a quelli “raksha” la portavano all’ospedale che già abbiamo nei nostri centri. più vicino, è spirata. Si chiamava Pensa che, a Dar El Salam, la par- Habiba e si stava preparando alla rocchia ha 2 scuole elementari e 1a Comunione. Dall’autopsia è riuna scuola superiore da sostene- sultato che aveva ingerito del cibo re e portare avanti. I deteriorato che le è bambini sono più di stato causa di avvele300, tutti cristiani, ma namento. Hanno aperto molti di loro orfani o Questo per dirti in le loro già povere di padre o di madre che situazione vive capanne per accoe anche quelli che questa gente. glierli. hanno i genitori fanQuello che mi edino fatica a pagare una fica è la loro forza di minima retta, perché sopportare e il coragil papà non trova lavoro e si deve gio unito alla fede di andare avanaccontentare di essere pagato a ti, sperando in un futuro migliore. giornata. Il 10 ottobre, festa di San Daniele Il mese scorso, purtroppo, è Comboni, si sono ritrovati tutti in morta una scolaretta di 5a elemen- parrocchia per una S. Messa solentare, proprio durante le lezioni. ne con canti e danze, seguita dalla Non si sentiva bene, ha chiesto di recita di poesie e teatro dei bamuscire dalla classe e ha vomitato un bini della scuola, alla presenza dei po’, poi è svenuta. Mentre con una loro genitori. Con un po’ di acqua “ “ 11 NOTIZIE - N. 23 fresca e qualche caramella, la gioia Leggendo lo scritto di Suor Floera sul volto di tutti. ra, ho rivissuto la mia situazione Mentre ti scrivo, sta ancora pio- di Wad Medani, dove, pure lì, vendo ed è un po’ strano per que- coloro che fanno ritorno (o «vensto tempo dell’anno. Penso a tutto gono» perché non erano al Nord il fango delle strade e alle numero- prima della divisione del Sudan) se capanne fatte di sacchi e cartoni sono in continuo aumento. che non riusciranno a proteggere Siccome ora risultano emigrati i loro abitanti. Molti si in un paese ostile (il ammalano e mancano nord non voleva la dispensari e medicine. separazione), lascio Con un po’ di acQuesta, in breve, è alla vostra immaginaqua fresca e qualche la situazione del cenzione la loro situaziocaramella, la gioia tro in cui vado e anche ne. era sul volto di tutti. degli altri centri sparsi Un semplice esemalla periferia di Kharpio: Rebecca, una vetoum. Finora la diocesi dova con due bambinon ha potuto aiutare nessuno, non ne, si era fatta una stanzetta con avendo ricevuto aiuti dall’estero. mattoni di fango, formati da lei Ma la confidenza in Dio è grande e stessa, coperta con un pezzo di con essa andiamo avanti. tenda. Quest’estate ho approfittato delLa polizia statale le ha tolto per le vacanze scolastiche per dare un ben due volte la «tenda» che facorso di alfabetizzazione agli adulti ceva da tetto, portandole via an(donne e uomini), anche per sen- che il solo letto che aveva! sibilizzarli sul problema dell’eduEcco carissimi quanto posso ofcazione dei figli. Alla domenica frire. partecipo alla S. Messa e spiego il Con la speranza di rivederci, in Vangelo ai bambini prima della li- unione di preghiera, saluto caraturgia.» mente. “ “ Suor Flora Fumagalli CAMPI PROFUGHI 12 Suor Costanza Gaio Ci scrive Stefano Battain, giovane cooperatore originario di Canale d’Agordo 23 ottobre 2014 S Sono una bottiglia poca acqua rimasta, si è asciugato di plastica, non ri- con le mani la bocca grande e ha cordo bene, ma orgogliosamente detto: «Facciamo credo di essere in fretta che ho fame». Ha fatto un nata in Kenya, o in giro nel campo rifugiati, una disteUganda, appena sa marrone e verde, allagata per le nata, dopo 3 gior- piogge degli ultimi 2 mesi, un lago ni di viaggio mi di fango, escrementi ed immondihanno portato in un negozio polve- zia, con migliaia di uomini, donne roso, ero esposta su uno scaffale in e bambini. Dicono che sono straun negozio davanti alla moschea, il nieri, ma a me sembrano uguali agli posto si chiama Pariang, dicono che altri. Dopo che il signore alto mi ha gettato per terra, sono sia da qualche parte in stata raccolta da una uno stato nuovo, che si bambina, avrà avuto 4 chiama Sud Sudan. Un Dicono che sono o 5 anni, piccolina, mauomo con la pancia, la stranieri, ma a me gra, scalza, fango fino giacca e la cravatta che sembrano uguali alle ginocchia e delle la gente chiama onoagli altri. meravigliose treccine, revole mi ha compracorte, chiuse in elastita. Avidamente, mi ha ci gialli, rosa, rossi e afferrata e ha bevuto quasi la metà dell’acqua che avevo azzurri. Quando mi ha visto, il suo dentro. Mi teneva stretta, con le sue viso si è aperto in un grande sormani grandi, lunghe e sudate. Sia- riso bianco e luminoso gridando: mo andati in uno spiazzo pieno di “Crystal!”, felicissima mi ha preso tende bianche che chiamano cam- in mano come nessuno aveva mai po rifugiati, è sceso dal fuoristrada fatto, con affetto, sorpresa e devobianco, ha dato un ultimo sorso alla zione. Awadia, credo sia il nome “ “ 13 NOTIZIE - N. 23 della bimba, che tutti chiamano per provare a rubarmi dalle sue mani; ma Awadia non mi ha mollato, mi ha preso, portata ad un pozzo e mi ha riempito d’acqua, contentissima ha appoggiato le sue labbra sottili e un po’ screpolate, poi mi ha passata ad una sua amica, che si chiama Rabha, anche lei lunga, magra e dai vestiti sporchi di terra, consumati e stracciati. Con me in mano mi sembrano felici, giocano, guardano dentro, mi accarezzano, mi sento amata e venerata come un oggetto nuovo e speciale, nessuno mi aveva mai fatto sentire così prima, voglio bene a queste bimbe che mi hanno accolto e amato. CAMPI PROFUGHI Awadia e Rabha sono solo due delle centinaia di migliaia di bambine e bambini che dal dicembre 2013 hanno abbandonato, forzatamente e con il cuore carico di paura, le loro case. Il Sud Sudan, il più giovane Stato al mondo, nato nel luglio 2011 scindendosi dal Sudan con un referendum organizzato 6 anni dopo gli accordi di pace del 2005. Una pace fragile quella fra Sudan e Sud Sudan, in continuo bilico, tanto che nel 2012 le tensioni hanno portato alla chiusura del confine e all’interruzione del flusso del petrolio che dal Sud Sudan viene trasportato sulle coste del mar Rosso passando attraverso il Su- 14 dan. Un rapporto travagliato quello fra Khartoum e Juba, ma non quanto le relazioni interne al neo-Stato, dove l’avidità economica e l’ambizione politica hanno riaperto vecchie ferite fra gruppi etnici, in particolare fra la tribù Dinka e la tribù Nuer. Il dissenso fra i due maggiori leader politici, il presidente Salva Kiir (dinka, tuttora in carica) e l’ex vicepresidente Rieck Machar (nuer, esautorato a luglio 2013), ha fatto ripiombare il paese nella guerra civile. Questi due “elefanti” hanno sfruttato differenze etniche per mobilitare giovani a combattere e spinto il paese verso uccisioni a sfondo etnico, mentre 12 milioni di “fili d’erba” sud sudanesi ne stanno pagando le conseguenze e continuerrano a pagarle per molti anni. Dopo mesi di tensione politica in continuo aumento, il 15 Dicembre 2013 un’incomprensione fra il Presidente Kiir e i soldati della guardia presidenziale ha fatto scoppiare il conflitto. Juba, la capitale del Sud Sudan, è piombata nel caos e migliaia di persone sono state uccise a sangue freddo per la sola appartenenza etnica. Negli ultimi 10 mesi, un milione e 400 mila sud sudanesi sono fuggiti dalle loro abitazioni per scappare dalla guerra e dalla violenza per cercare un rifugio, dove la loro vita non fosse in pericolo. Altri 463.000 sud sudanesi sono rifugiati all’estero, nei paesi confinanti: Etiopia, Kenya, Uganda e addirittura Sudan. Negli ultimi 3 anni, gli effetti com- binati dei conflitti tuttora in corso in Sudan (nelle regioni del Sud Kordofan e del Nilo Blu) e in Sud Sudan (Stati di Unity, Nilo Superiore e Jonglei) hanno causato due flussi di disperati: 220.000 rifugiati Sudanesi sono ora in Sud Sudan, mentre 100.000 Sud Sudanesi si trovano in Sudan. Fra sfollati interni e rifugiati, quasi 1 milione e 900 mila persone, un sud sudanese su 6 non vive più dove viveva un anno fa, tutti hanno perso molti famigliari ma anche tutto ciò che possedevano: casa, campi, attrezzi agricoli, mucche, capre… come se tutti gli abitanti della Regione Calabria si fossero spostati 15 NOTIZIE - N. 23 in pochi mesi. In questo momento, scorte finiranno presto e per feboltre 100.000 persone vivono anco- braio-marzo 2015 già si prevede un ra all’interno delle basi militari del- nuovo rischio di carestia per quasi 4 milioni di sud sudanesi che non le Nazioni Unite. Queste cittadelle fortificate che hanno potuto coltivare e non hanospitano i caschi blu dell’ONU, vi- no accesso a rifornimenti di beni di sta la crudeltà del conflitto, per la prima necessità. La stagione delle pioggie sta per prima volta nella loro storia hanno dato ospitalità a civili, evitando così finire, le strade si seccherranno un tremendo massacro a base etni- presto, permettendo ai camion di viveri di muoversi, ma permettenca. Il rimanente milione e 300 mila do anche agli eserciti contrapposti sfollati interni vivono in campi al- spostamenti più rapidi. Nei prossilestiti dalle agenzie umanitarie in mi mesi si teme una riaccensione delle ostilità e un inavarie parti del paese, sprimento dei comma concentrate sobattimenti, visto che prattutto nei tre stati Oltre 3 milioni le estenuanti e sterili petroliferi: Unity, Nilo di sud sudanesi trattative di pace in Superiore e Jonglei. hanno sfiorato la corso ad Addis AbeIn 10 mesi di concarestia nel 2014. ba non hanno portato flitto, i profughi sono quasi nessun frutto, se aumentati a vista d’ocnon una fragile tregua chio, così come le epidemie di colera, malaria, infezioni fra gli eserciti. Con questa situazione non resta polmonari e intestinali legate alle precarie condizioni di vita, spesso che sperare che i due elefanti trovinel fango e in ripari di fortuna co- no un accordo (o si tolgano di mezstruiti con qualche palo di bamboo zo) e che si avvii un vero processo e nylon, distribuiti dalle organiz- di pace, per ricucire le ferite e inizazioni non governative. Il proble- ziare da capo la costruzione di una ma dell’alimentazione, già povera, nazione dove tutte le etnie, lingue, in un paese che ancora prima del religioni e idee politiche convivano conflitto doveva importare grandi in maniera pacifica. Se non smetquantità di cibo è ora davvero allar- terà la pioggia di pallottole, non mante. Oltre 3 milioni di sud suda- rimane che continuare ad assistere nesi hanno sfiorato la carestia nel e stare al fianco dei milioni di “fili 2014, ora il raccolto del sorgo, prin- d’erba” sud sudanesi che stanno cipale cereale del paese, ha portato soffrendo, in attesa del sole, che un leggero sollievo per le tante fa- prima o poi, arriverà, “in shaa allah!” miglie che sopravvivono con uno, (se Dio vuole). massimo 2 pasti al giorno, ma le Stefano Battain “ “ CAMPI PROFUGHI 16 R. D. del Congo Nella periferia di Goma (Nord-Kivu) nella RD del Congo ci sono numerosi campi di sfollati, frutto di una guerra che dura da 20 anni, importata dai paesi vicini e orchestrata da potenze internazionali per la disputa delle ricchezze minerarie della regione. Attualmente sono circa 120.000 i rifugiati, distribuiti in 6 campi profughi: Mugunga, Bolengo, Ngangi, Katoi, Ndosho, Kanyaruchinya. Qui svolge il suo lavoro pastorale Padre Pino Locati – un missionario di Bergamo incontrato da don Luigi Canal durante il suo pellegrinaggio, lo scorso luglio – che ci rilascia questa testimonianza. L Lunedì 17 dicembre, sono partito per visitare il Campo Mugunga 3 che non avevo ancora visto. È qui che avvengono le maggiori violenze notturne: già cinque volte questo Campo è stato attaccato da banditi in uniforme militare che hanno rubato quel poco che resta di quanto la gente aveva con sé, inoltre violentato una quindicina di donne e una volta portato via una dozzina di capre! La polizia è vigilante di notte ma solamente da una parte del campo e quindi gli assalitori possono entrare indisturbati dalla parte opposta e fare le loro rapine impunemente. È difficile stabilire con precisione il numero esatto degli sfollati in questo Campo, c’è un flusso continuo di persone, i residenti oscillano sui 15.000, le cifre sono variabilissime da una settimana all’altra; nel Campo Mugunga 1, 17 NOTIZIE - N. 23 i residenti sono sui 14.000. All’arrivo, come di consueto mi sono presentato alla polizia per informarla della mia visita. Ho percorso i sentieri di pietra lavica attraverso il Campo, fatto di tende costruite con dei teli, sembra un accampamento militare ma non lo è: è il Campo dei nullatenenti. Le file di tende sono bene allineate a differenza del Campo Mugunga 1, dove le casupole di paglia sorgono senza alcun ordine geometrico. Sono teli bianchi offerti dall’OXFAM e dall’UNICEF con tanto di scritte di pubblicità per la ONG implicata nel dono. Trovo perfino dei tacchini e una capra a un crocevia, sono animali portati dai villaggi. La povertà è sempre grandissima. Come faccia questa gente a resistere in quelle condizioni, non lo sapremo mai! Comprendo che in tempi di guerra e d’insicurezza, anche noi pur di sopravvivere possiamo adattarci a tutto! Forse è la forza della rassegnazione che tiene in vita queste popolazioni, da decenni i congolesi soffrono ogni sorta di disagio e di umiliazione, e la rassegnazione li aiuta a sopravvivere ma non a vivere. D’altronde, ribellarsi contro chi? Chi li ascolta? Dal 1885, anno della spartizione dell’Africa al Congresso di Berlino, non ho ancora letto di un governante in Congo che abbia fatto realmente gli interessi del popolo. Patrice Lumumba e Laurent Kabila (il precedente presidente) hanno cominciato delle riforme sociali e nazionali ma sono stati assassinati entrambi. Camminando, ritrovo il viottolo Campo profughi di Goma. CAMPI PROFUGHI 18 principale con un fondo lavico e là una folla di persone con un andirivieni in tutti i sensi. Mi sembra di ritrovarmi nell’anno 6 avanti Cristo al momento del censimento imperiale voluto da Cesare Augusto e con Quirino console in Siria e un impressionante numero di viaggiatori come Giuseppe e Maria da un capo all’altro della Palestina per farsi recensire. Forse sto galoppando troppo con l’immaginazione ma scrivo semplicemente il sentimento e la sensazione che ho vissuto, probabilmente trovandomi in questo tempo di Avvento che prepara il Natale. Vado avanti e indietro anch’io come vagante nella fitta rete dei viottoli di questo mondo impigliato dalla paura e dalla desolazione. Mi raggiunge il responsabile del Campo che mi fa entrare in una grande tenda dove alloggiano parecchie donne ed anche degli uomini, una grande promiscuità! Un’altra signora mi si avvicina per dirmi che nel campo ci sono 123 donne colpite dall’AIDS e invocano un aiuto. Mi dà il suo numero telefonico. La chiamerò tre giorni dopo e il numero sarà “non-autorizzato”. Mah! Non so che pensare! Dappertutto gente, gente, gente! Mi si dice che altri sfollati stanno arrivando nei campi dappertutto! Fuggono dagli invasori e da orde di predoni e assassini impuniti che si annidano nella foresta. Che posso fare? Racconterò al comitato dei religiosi/se quanto ho visto e sentito. Decideremo insieme come aiutare ed alleviare un poco le sofferenze di queste per- Padre Pino Locati a Goma. 19 NOTIZIE - N. 23 I caschi blu sono detestati dapsone. La sola soluzione vera resta quella del ritorno ai loro villaggi pertutto in Congo! E ciò la dice ma è impossibile: occorre prima lunga sulla loro presenza qui! Non c’è la volontà politica di che la zona sia protetta. Succede invece che i 6.700 caschi fermare i massacri perché una siblu presenti nel Nord-Kivu stiano a tuazione come questa fa comodo guardare. La consegna ricevuta dai a tutti quelli che ci “mangiano soloro governi rispettivi è chiara: non pra”: governi, istituzioni bancarie, vogliono avere vittime tra i propri società minerarie, eserciti e classe politica! soldati in Congo. Il profeta Amos direbbe che i E allora se non vogliono opporsi ai banditi per proteggere la gente, congolesi valgono meno di due paia di sandali se pesache ci stanno a fare ti sulla bilancia di quequi? Davanti all’aerTutta questa gensti calcolatori senza oporto, c’è ora un te abbandonata, a scrupoli! Davanti alla carro armato onusiachi deve credere e corte penale internano, serve per sparare dare fiducia? zionale occorrerebbe evidentemente, ma portare non pochi di contro chi? Contro i riquesti politici di fama belli o gli sfollati? Non mondiale che hanno lo so più, purtroppo ci sono delle connivenze ad alto li- favorito con il loro silenzio il masvello anche tra la gerarchia militare sacro di milioni di uomini! Chi ha onusiana e i ribelli! È una questio- favorito il massacro di più di 40.000 ne di traffici illeciti e di guadagni civili in Siria? Non occorrerebbe alfavolosi! E allora tutta questa gente lora condurre davanti al tribunale abbandonata, a chi deve credere e internazionale? dare fiducia? Padre Pino Locati “ “ CAMPI PROFUGHI 20 Campo-sfollati di Ngangi a Goma. D Domenica 25 no- campo degli sfollati di Ngangi per vembre, festa so- la terza volta, trovo i bambini che lenne di Cristo Re giocano con una corda funzionanper noi cattolici. te come liana, vi si aggrappano e si Prendo la prima slanciano come Tarzan nella giunmoto-taxi, discu- gla. Vedo i teli sotto i quali molte to il prezzo del famiglie hanno trascorso la notte, trasporto come si alcuni sono forati, dei focherelli fa nei sook (mercati) arabi, e via per sono ancora accesi, le mamme mi recarmi a Ngangi! A metà strada, la chiedono una foto souvenir del foratura della ruota posteriore! Le loro bambino, eccomi! In questi strade sono talmente accidentate, ultimi tre giorni, la PAM ha forninon mi meraviglio che le forature to da mangiare a tutti i presenti, siano frequenti! Chiamo un’altra meno male! Il piazzale si riempie moto-taxi e arrivo a poco a poco. In genere Ngangi per la Messa ci sono circa 800-1000 delle 7. Sono appeVedo i teli sotto persone del quartiere na le 6.30, entro nella i quali molte faNgangi per la Messa, grande sala sportiva, miglie hanno traoggi secondo il padre è impossibile svolscorso la notte. Piero Gavioli, sono gere la celebrazione, almeno 2.000 con gli troppa gente, mamsfollati presenti, senza me e bambini stanno ancora riposando, senza contare contare i bambini, a centinaia. Tuti sacchi e il bailamme generale. Mi to è ben disposto, ordinato, pulito. chiamano fuori e mi dicono che la Complimenti agli organizzatori! Messa sarà celebrata all’aperto nel Mi vesto da celebrante e mi “lancio piazzale della scuola. Ok, vado! all’attacco” di questa celebrazioNell’attesa mi aggiro a vedere il ne. Una processione danzante per “ “ 21 NOTIZIE - N. 23 Mamma e figlia nel campo profughi. l’entrata, il canto del Kyrie eleison con 4.000 braccia alzate, l’intercessione e le letture. Di domenica, quando sono chiamato nelle parrocchie, non riesco più a leggere il Vangelo, lo racconto a memoria in swahili. Scelgo il brano di Matteo: il giudizio universale. Lo conosco a memoria, l’ho raccontato parecchie volte, anche nel mio paese natio all’occasione della festa di S. Rocco. Sul palco cammino e racconto il Vangelo come si faceva una volta nelle piazze del medioevo quando la gente non conosceva le Sacre Scritture. Tutti sono seduti, CAMPI PROFUGHI ascoltano, nessuno sbadiglia, attenuo o alzo la voce a seconda che il Re si rivolga ai giusti o agli ingiusti, le mie mani accompagnano la mia voce. Mi ricordo che a mio padre piaceva “fare del teatro” quando andava in giro con la carretta a vendere qualche cesta di frutta e verdura per il paese. Io non vendo ma annuncio la Parola, utilizzo però la stessa arte di mio padre per richiamare l’attenzione della gente. Due messaggi: beati coloro che danno da mangiare a voi presenti ma beati anche voi che soffrite perché Dio è in voi; a voi appartiene 22 il Regno mentre agli empi la tene- questa gente, nei prossimi giorni bra eterna. Poche parole, alla gen- ritorneranno tutti a casa loro, forte stanca e scoraggiata non occor- se già da domani se sono reperiti re dire molte cose, bastano uno o camion per trasportarli. Volevo che due messaggi, chiari, forti e possi- alla fine di una settimana terribibilmente incisivi. Ho cantato il pre- le, vissuta nel terrore, nella fame, fazio in modo solenne, volevo rin- nella privazione di ogni conforto cuorare tutta quella gente con un materiale, queste persone potescanto melodioso e partecipativo sero tornare con un sorriso ai loro con tanto di ritornello alla fine di villaggi, ricordando che ancora ogni strofa del prefazio secondo il possiamo cantare al Dio miseririto congolese. C’è stata una buona cordioso che non si scorda di noi, reazione e poi l’esplosione è avve- è attento alle nostre vicende e ci accompagna per non nuta al momento del soccombere all’ansia Sanctus. Finalmente ho dovuta alla paura. visto la folla sorrideVolevo che queAlla fine della Messa, re! Il sorriso! Quanste persone pouna benedizione canto fa bene al cuore e tessero tornare tata in latino come il all’anima quel sorriso con un sorriso ai Papa dal balcone delspontaneo, sincero, loro villaggi. la basilica di S. Pietro, limpido come l’acqua e perché no? Per dare di montagna! un sapore di altezza, Il cuore si libera, la gola si scioglie dai nodi dell’an- grandezza, maestosità alla celegoscia, le mani vibrano, le braccia brazione e la gente parta con un sono alzate e piedi ritmano al suo- gran sorriso nel cuore. Quel sorrino dei tamburi, della pianola e del- so, l’ho visto nelle donne del coro, le chitarre elettriche! Tutto il corpo partite danzando e sorridendo alla diventa un’espressione di festa e di vita! Sempre mi ripropongo la domanda: com’è possibile che questa lode a Dio Creatore! Al canto del Padre Nostro, ci sia- gente, martoriata dagli avvenimenmo dati la mano e abbiamo esegui- ti, riesca ancora a glorificare e a to il canto come se fossimo sulle sorridere a Dio? Anche nell’anfionde del lago Kivu, dondolando teatro di Nerone, come facevano leggermente come una barca di i cristiani a lodare il Signore poco pescatore, spinta dal vento. Proba- prima di essere sbranati dai leoni? bilmente è l’ultima volta che vedo Padre Pino Locati “ “ 23 NOTIZIE - N. 23 Kenya Il missionario della consolata, lamonese, Mons. Virgilio Pante è vescovo nella Diocesi di Maralal, nella savana del centro del Kenya, distante dai luoghi di confine in cui sono presenti i campi profughi. Ci ha però permesso di contattare chi lavora direttamente all’ufficio “Migrants – Refugees” di Nairobi, fornendoci informazioni sui due più grossi campi profughi del Kenya: Dadaab e Kakuma. Maralal, 22 ottobre 2014 Il campo profughi di Dadaab è situato a Nord Est del Kenya, nella diocesi di Garissa, vicino al confine con la Somalia. È affollatissimo: ospita addirittura mezzo milione di rifugiati somali, scappati dalla Somalia, ove ci fu anarchia per oltre 20 anni, dal 1990. Oggi, i soldati dell’Amisom (Kenya-Etiopia-Djibuti-Sierra Leone-Burundi) hanno (quasi) vinto gli estremisti islamici Al Shabaab ed ora la Somalia ha finalmente un suo governo, perciò la gente viene incoraggiata a ritornarsene a casa in Somalia, anche se ha ancora parecchia paura. Il campo profughi di Kakuma è situato invece nel Nord Ovest, nella diocesi di Lodwar, vicino al Sud Sudan. Ospita circa centosettanta- I CAMPI PROFUGHI mila profughi, ma il numero continua a crescere, perché la guerra in Sud Sudan continua. La maggioranza dei profughi proviene infatti dal Sud Sudan, ma non solo. Sono abbastanza bene organizzati: scuole e servizi vari, assistenza religiosa da parte della diocesi di Lodwar. Ci sono anche cristiani, mentre a Dadaab sono tutti musulmani. Purtroppo non ho visitato nessuno di questi due campi, data la distanza da Maralal e l’insicurezza. Un giorno, se mi accompagnano vorrei andare a Kakuma. Il Kenya, pur essendo povero, circondato da paesi instabili e guerreschi, è molto ospitale e condivide quel poco che ha. È aiutato dalle Nazioni Unite (UN) che sono presenti con mezzi, cibo e strutture, se no non ce la farebbe. Spesso la gente kenyana (pastori nomadi) che vivono attorno ai campi pro- 24 Campo profughi di Dadaab. fughi si lamenta, perché i profughi hanno sempre qualcosa da mangiare più di loro. Però nei campi c’è odio, razzismo, violenze varie, anche dovute all’affollamento e alla mancanza di privacy. Girano anche tante armi tra i profughi (specialmente a Dadaab). Mons. Virgilio Pante Nairobi, 27 ottobre 2014 V Vi descrivo brevemente la situazione, che sta peggiorando sempre più, a causa delle piogge e del continuo aumento di profughi. Il nostro intervento si focalizza soprattutto nell’aiuto ai bambini, ma in generale ha lo scopo di far sentire i rifugiati, migranti e nomadi, come persone create ad immagine di Dio, con la propria dignità di uomini, e non solo numeri per le statistiche. Il campo profughi di Kakuma si trova nella regione Turkana, a circa 125 Km da Lodwar e 95 Km da Lokinchoggio, la città più vicina confinante con il Sud Sudan. Il campo è nato nel 1992 per accogliere rifugiati da Sudan, Somalia, Etiopia, Repubblica Democratica del Congo, Congo Brazzaville, Burundi, Uganda, Eritrea, Rwanda e pochi altri come Zimbabwe e Tanzania. Con la firma degli accordi di pace 25 NOTIZIE - N. 23 in Sudan, c’erano speranze che il destinato a crescere: ci si aspetta numero di rifugiati calasse e che arrivi a 50.000, per la fine dell’anno. molti tornassero ai propri paesi di La popolazione totale ospitata a origine; per un breve periodo, così Kakuma è di circa 179.000 persone, avvenne. Nel frattempo, il campo di cui circa 100.000 dal Sud Sudan e 46.000 dalla Somalia, di Dadaab si riempiva il resto dalle altre parti sempre più, e molti dell’Africa. rifugiati dalla Somalia Non so da dove Il 20 di questo mese si spostarono a Kakucominciare, ho c’è stata un’alluvione ma. Quando poi, nel appena perso il nel campo. Le piogge dicembre 2013, scopmarito nell’alluhanno riempito i fiumi piò nuovamente la vione. che hanno straripato. guerra in Sud Sudan, Oltre 543 case sono il numero di rifugiati cadute, e l’UNHCR inin Kenya aumentò notevolmente. Le attuali statistiche sieme ad altri partner sta provando mostrano che, solo in quest’ultimo a ricollocare le persone coinvolte. Riportiamo la testimonianza di anno, ci sono circa 43.830 rifugiati solo dal Sud Sudan, e il numero è Leonie Ndayishimiye, 27enne del “ “ Alluvione nel campo profughi di Kakuma. CAMPI PROFUGHI 26 Mons. Virgilio Pante impegnato nella commissione per rifugiati, migranti e nomadi. Burundi, arrivata con la famiglia a Kakuma nel 2011, per fuggire a una persecuzione nel suo paese: «Non so da dove cominciare, ho appena perso il marito nell’alluvione, ho 4 figli e nessuna fonte di sostentamento. Mio marito era tutto quello che avevo..». Molte famiglie hanno bisogno di supporto in differenti forme. Dobbiamo intervenire, per sostenerli spiritualmente e con assistenza economica. 27 Mrs. Margaret Masibo, Coordinatrice Nazionale del Kenya della Commissione per Rifugiati, Migranti e Nomadi NOTIZIE - N. 23 Libano Il rapporto di amicizia e di collaborazione che da qualche tempo il Centro Missionario ha con la comunità delle Monache trappiste di Azeir (Siria – vicino al Aleppo: sono una estensione del monastero trappista di Valserena – Toscana), ci ha permesso di conoscere un loro amico missionario, padre Damiano Puccini, da molti anni in Libano, a sostegno dei profughi siriani. Riportiamo le notizie più recenti, tra gli scritti che ci ha inviato. 24 ottobre 2014 Notiziario di un gruppo di volontari libanesi membri di “Oui pour la vie”, associazione di volontariato con sede a Damour in Libano, legalmente riconosciuta e operante in favore dei più poveri. C Centinaia di migliaia di persone sono in fuga dall’Iraq verso i Paesi vicini. Una diaspora silenziosa come ad esempio in Giordania, dove secondo le stime ufficiali i profughi sono 500.000, anche se fonti locali parlerebbero di oltre un milione di esuli. Nelle ultime settimane sono giunte in Libano circa 350 famiglie di iracheni, fuggite alla follia omicida di gruppi estremisti che vogliono cancellare ogni traccia del cristianesimo e di altre minoranze CAMPI PROFUGHI islamiche. Le famiglie irachene portano visibili sul loro volto le tracce delle sofferenze che sono state loro inflitte attraverso uccisioni, rapimenti, estorsioni di denaro e violenze efferate. Hanno raggiunto il Libano camminando nel deserto o usando mezzi di fortuna, ma sempre con un grande spirito di abbandono a Dio e alla sua Provvidenza. Li vediamo pregare cantando, piangere la morte dei loro cari e la distruzione dei loro beni e dei luoghi di origine, ma senza essere animate da spirito di vendetta. Sono rifugiati “invisibili”, dispersi nelle principali aree urbane, senza campi dove essere soccorsi e privi della possibilità ormai di lavorare in maniera legale, di usufruire di assistenza sanitaria e di mandare i loro figli a scuola. Anche i nostri volontari di Oui pour la Vie mettono tutto il proprio impegno e offrono gran parte delle risorse personali, per cercare di 28 Padre Damiano con i profughi siriani alla periferia di Damour. soccorrere questi sventurati, che si aggiungono al milione e mezzo di profughi siriani, ormai in Libano da tre anni. Una famiglia dei nostri volontari, non avendo il denaro per la bolletta del telefono al punto che attualmente può solo ricevere chiamate, ci ha portato un’offerta ricavata da un lavoro straordinario del marito dicendo: «Questi soldi, piuttosto che per le nostre telefonate, è meglio che servano a dare da mangiare a questi disperati». Alcuni nostri insegnanti, che già offrono un terzo e anche oltre del loro stipendio per i figli dei rifugiati, si stanno impegnando fortemente per la preparazione da privatisti dei ragazzi per gli esami di scuola (visitandoli nei loro rifugi e pagando loro stessi le tasse di iscrizione). La famiglia di Madame Ambar, che piange l’uccisione del padre in seguito al mancato pagamento del riscatto dopo un lungo rapimento, ha ricevuto abiti e cibo e, insieme ai nostri volontari, li ha condivisi con la famiglia di un’altra vedova irachena come lei, Suhair, appena arrivata e in condizioni di grande disagio: volti stremati di bambini e 29 NOTIZIE - N. 23 «messaggio», come lo aveva definito Giovanni Paolo II durante la sua visita nel 1997. Un Paese del dialogo e della convivenza tra comunità e religioni, in un contesto regionale e mondiale dove prevalgono le incomprensioni, le chiusure e gli scontri. Il Libano è chiamato ad essere “un esempio” di coabitazione pacifica tra le religioni. Segnato dal Bambini in preghiera nella chiesa di- ricordo di una guerra civile interstrutta. confessionale tra il 1975 e il 1990, il anziani stesi per terra sulle coper- Libano è condiviso tra cristiani – un te; sette persone intorno a tre soli terzo della popolazione ripartito a piatti per consumare un pasto uni- sua volta tra una dozzina di chiese – e musulmani, maggioranza di co giornaliero. La famiglia della vedova Maimu- una popolazione di quattro milioni na, dopo aver assistito alla strage di abitanti. Questi ultimi sono dividi alcuni abitanti del paese e alla si tra sciiti, sunniti, alauti e drusi. Sono molto belli i gesti dei cridistruzione della propria casa ad opera degli estremisti sunniti in stiani che in spirito di perdono compiono azioni di Iraq, è stata accolta carità, condividendo da un nostro volontaanche il loro necesrio, Kamal, anche lui Sette persone sario in favore dei più musulmano sunnita. intorno a tre soli poveri, anche musulIl figlio di Madame piatti per consumani, sostenuti dalla Maimuna, Imraan, era mare un pasto confidenza in Dio, che animato da profondi unico giornaliero. si manifesta nell’accetsentimenti di vendettazione positiva, con ta. Dopo, però, aver pazienza, di un situaconosciuto il nostro Kamal, che da islamico aiuta con zione ingiusta. Parlando con loro in questi giormolta serenità bisognosi di ogni origine e appartenenza, si è note- ni, riflettevamo insieme su come siamo invitati a prendere esempio volmente calmato. dal Bambino di Betlemme, che sceI Profughi della Siria in Libano glie volontariamente di nascere in sono quasi 2 milioni. I cristiani su- una condizione umile e disagiata, biscono pesantemente le conse- facendoci capire che anche la poguenze della guerra civile. Il Libano vertà e l’ingiustizia, quando sono è un Paese che vanta di essere un accettate con la fiducia in Dio, di- “ “ CAMPI PROFUGHI 30 Un po’ di relax per i profughi. ventano strade per fare il bene. Non è infatti la semplice carità materiale che può soddisfare tutto il desiderio di pace che si ha dentro, ma il primo dono che si offre a chi ha bisogno è la serenità e il sorriso, con il quale si accompagnano gli aiuti donati per le varie necessità. Come diceva Don Bosco «Non basta solo fare il bene, ma bisogna anche fare bene, il bene». Anche se la situazione del Libano ultimamente non è delle migliori, noi sentiamo sempre l’appello di Dio a “non aver paura” ed essere generosi nel compiere un gesto di bene che guarisca il cuore. Nelle case si prega in ginocchio per la pace. Il cuore di chi ha subito ogni forma di violenza, come i profughi iracheni, guarisce quando riprende ad amare, nel dono di se’ e delle proprie cose, anche a poveri dei gruppi ostili. Ad esempio, anche nella scuola di Hezbollah vicino a Sidone, il preside diceva, «è vero che per noi islamici in cielo andiamo solo noi musulmani, ma vedendo il vostro impegno di volontari mi chiedo perché non veniate pure voi». È il sorriso la principale carità che si offre e che forma i nuovi volontari, durante le nostre visite quotidiane nelle case di «tutti quelli che hanno bisogno, senza distinzione di origine e di appartenenza», per conservare legami di collaborazione, i soli che restano purtroppo in questi momenti di tensione. Grazie al vostro aiuto, possiamo proseguire la nostra testimonianza di pazienza e di perdono. Il Signore vi benedica. 31 Padre Damiano Puccini NOTIZIE - N. 23 Da “Un ponte per…” 12 giugno 2014 Scrive un padre dal Campo di Baalbeck. Baalbeck fu la località del Libano, ai confini con la Siria, dove padre Romano Bottegal (lamonese) visse da eremita negli anni 1967-‘70 e poi ‘73-‘78 (anno della sua morte). Qui visse gli anni della guerra del Kippur nel ‘73 e della guerra civile del Libano (dal ‘75), soffrendo vessazioni e visite importune di giorno e di notte, ma senza mai smettere la sua solidarietà con i “rifugiati” (quasi tutti musulmani) bisognosi di tutto. Lo faceva con gli aiuti che le mandavano la sorella e gli amici dall’Italia. L La parola più importante per i Palestinesi lo è stata nel 2014 anche per me. A distanza di quattro anni, è avvenuto il mio Ritorno in visita ai loro Campi Profughi nel Libano con la delegazione di “Un Ponte per”, nell’ambito dell’iniziativa Sulle rotte dell’Euromediterraneo. Tornare per ritrovare quell’atmosfera che non si dimentica e che lascia molti punti interrogativi. Il via vai indaffarato di certe stradine cessa di colpo appena si svolta in un cuCAMPI PROFUGHI nicolo buio, non di rado percorso da un rigagnolo. Il chiasso liberatorio dei bambini che tornano da scuola, ma sullo sfondo i volti impassibili di anziani assorti nei ricordi. Nelle piccole botteghe un volto di donna, tra pile di sacchetti e lattine, s’illumina con un sorriso che equivale al benvenuto nella sua casa, mentre da un locale di ritrovo uomini silenziosi osservano i passanti. Ogni espressione che si coglie nel piccolo universo dei Campi è da decifrare, il sorriso lascia trasparire tristezza, l’impassibilità non riesce a nascondere un punto interrogativo «chi sono questi, perché sono qui?». 32 È l’atmosfera che ricordavo cercando tagliano le retribuzioni innescando segnali di chiarezza, di miglioramen- la ben nota guerra tra poveri, il capoto delle condizioni, ma no: la vita ralato dell’intermediazione lucra da dei Profughi non migliora, il nume- entrambe le parti, il Governo selezioro non diminuisce, lo spazio fisico na gli ingressi manovrando la cone le risorse materiali si restringono, cessione dei visti o il loro rinnovo. perché qualcosa di terribile è acca- Se l’aiuto urgente è il sostentamento duto nel frattempo. Ovunque, dopo di base, altrettanto lo è provvedere a le espressioni di benvenuto, la prima che i bambini non siano costretti a frase che ci veniva rivolta era «Adesso lavorare per contribuire alla famiglia. Vivere da profughi “di ultima gedobbiamo pensare anche ai Profughi nerazione” è essere ultimi dopo gli siriani!». Secondo le stime di Internal Di- ultimi. Un giovane Siro-pasplacement Monitoring lestinese in una viuzza Centre (IDMC), dalla Un passato diverdel Campo di Baalbeck, Siria ogni 60 secondi so, una professione con un mazzetto di eruna famiglia fugge per perduta, una vita baggi raccolti chissà salvarsi la vita e più di che ignorava un dove, stava in attesa di un milione di queste simile livello di poun compratore. Al nopersone sono entrate in vertà. stro avvicinarsi si è tolto Libano. Molti sono i Siil berretto e si è stretto ro-Palestinesi che come nelle spalle indicando il i loro padri e nonni rivivono l’angoscia della fuga, la pover- cestino del suo piccolo commercio; tà del presente, l’oscurità del futuro. l’evidente imbarazzo denunciava un Partner di Un Ponte per è Beit Aftal passato diverso, una professione perAssomoud (Bas), organizzazione duta, una vita che ignorava un simile palestinese per i Palestinesi che, tut- livello di povertà. Nel campo di Bourj al Shamali abtavia, si prodiga per i nuovi arrivati senza distinzione, con una naturalez- biamo incontrato Iman, una donna za di cui il sinonimo più calzante è arrivata dalla Siria con i suoi bamfratellanza. Khawla del Campo di Al bini dopo che una bomba le aveva Buss ne dà la lettura: «Noi Palestinesi ucciso il marito. Viveva in un garage abbiamo subito tanta discriminazio- costoso quanto un appartamento di ne in questo paese che non vogliamo lusso (doppiamente triste pensare che a esigere l’affitto eccessivo era praticarla verso gli altri». I numeri impressionanti del rifu- un Palestinese del campo) prossima gismo siriano in Libano stanno al- a doverlo abbandonare perché senza terando equilibri sociali già precari. lavoro e ormai senza denaro. La sua L’estrema indigenza dei nuovi pro- sola speranza è che Bas le trovi una fughi è un affare: i datori di lavoro sistemazione. “ “ 33 NOTIZIE - N. 23 Palestina Racconto di viaggio di don Luigi Canal. Ottobre 2014 Gesù per venire al mondo ha scelto la periferia delle periferie: la grotta di Betlemme. Ricercato per essere ucciso in quella che fu “la strage degli innocenti”, ha conosciuto l’esilio ed è vissuto per alcuni anni come rifugiato in Egitto. Sono stato a fine settembre 2014 in pellegrinaggio in Terra Santa a contatto diretto con i luoghi dove era vissuto e passato Gesù. L’elogio più bello a Gesù, nei giorni passati in Palestina, l’ho sentito dalla testimonianza del Sindaco di Betlemme, la signora Vera, che ha dedicato al nostro gruppo un’ora di incontro, congratulandosi con noi, sapendo che eravamo venuti per laureare Gesù «Dottore e Maestro… il più G CAMPI PROFUGHI fine educatore di tutti tempi» all’Istituto Biblico Francescano di Gerusalemme. Il sindaco di Betlemme. 34 Il muro tra Israele e Palestina. Vera disse queste parole: «Vivo una grande gioia per avere l’onore di essere nientemeno che il sindaco di Gesù, il più illustre di tutti i miei cittadini, ma provo anche una grande sofferenza per non poterlo onorare come Principe della Pace, perché qui non riusciamo a vivere in pace! La vostra presenza è un grande contributo per raggiungere questo agognato dono». Noi non abbiamo chiesto a Vera se era cristiana o musulmana. È certo che la sua parola e la sua testimonianza di vita l’hanno posta ben al di sopra di queste distin- zioni confessionali e per questo, molto vicina a Gesù che è venuto ad «abbattere il muro di separazione che divideva i popoli». Non si poteva non pensare a quel muro della vergogna, alto otto metri e coronato di filo spinato, eretto dal vicino Israele per impedire l’accesso dei palestinesi alla zona israeliana. Vera però non si ferma al dolore e alla vergogna, ma impegna tutta se stessa ed il suo ruolo pubblico, per educare soprattutto le donne e i bambini alla dignità e alla beatitudine della Pace! 35 NOTIZIE - N. 23 Don Luigi con le suore del Baby Hospital. Il Baby Hospital Questo dramma l’abbiamo capito meglio visitando a Betlemme il Baby Hospital e ascoltando la testimonianza della Suore italiane (Sr. Gemma e Sr. Loretta) che vi operano. La fondazione del Baby Hospital si deve a Padre Ernest, svizzero, che nel 1952 la notte di Natale scendeva a piedi da Gerusalemme verso Betlemme per celebrare la S. Messa della mezzanotte nella grotta di Betlemme. Pioveva molto. Doveva attraversare il campo-rifugiati CAMPI PROFUGHI palestinese (conseguenza della prima guerra fra Israeliani e Palestinesi nel 1948). A fianco di una tenda, tra il fango, vede un uomo che scava una fossa e gli chiede il perché. «Voglio seppellire qui il mio bambino, vicino alla mia tenda!» «È morto di che?» «Di fame e stenti perché qui non c’è nessuna assistenza medica!». Il religioso “dimentica” la Messa, perché ha incontrato qui il Bambino Gesù e decide di fondare un ospedale, perché non muoiano più bambini di stenti, senza assistenza. Sorge, così, il Caritas Baby Hospital. 36 Il Baby Hospital. Oggi vi operano 95 infermieri e 15 medici, per 82 posti letto (sempre occupati). Le mamme vengono ad assistere i loro bambini. Il Governo Palestinese contribuisce pagando acqua e luce. Tutto il resto viene dalla Provvidenza e quando anche noi offriamo il nostro piccolo contributo, le Suore ci dicono: «Ecco come Dio-Provvidenza si serve di voi per mostrare il suo amore a questi bambini. Voi diventate così il suo volto, il suo cuore, le sue mani…». Poi ci parlano del muro che passa a pochi metri dietro l’ospedale. Ce ne parlano con grande dolore, per questa assurda divisione che tanto umilia, fa violenza e marginalizza i palestinesi. Allora le Suore vanno tutti i venerdì ai piedi del muro, alle 17.30 a recitare il S. Rosario per supplicare il dono della Pace. E ci chiedono di accompagnarle anche noi, con un’Ave Maria, alla stessa ora. Può essere questo il legame spirituale che rende permanente la nostra fraternità con i bambini di questo popolo e dà senso profondo anche alla nostra solidarietà economica. 37 Don Luigi Canal NOTIZIE - N. 23 Egitto Ci scrive padre Giovanni Esti, missionario comboniano di origine veneta, che opera nella città del Cairo e vive in piazza Tahrir, luogo di violenti scontri negli ultimi anni. È stato visitato da José Soccal nel 2013 ed il Centro Missionario collabora con i suoi progetti a favore dei profughi. Il Cairo, 30 settembre 2014 Nella lettera ai Filippesi 2:5-11, San Paolo descrive l’incarnazione, il Natale di Gesù, come un’accettazione volontaria della povertà della condizione umana, affinché dall’interno di questa povertà sia rivelata la presenza di Dio. Io ho trovato questo movimento di discesa di Gesù nella povertà umana, nella realtà dei rifugiati che visitano la nostra comunità di Cordi Jesu. L’ho visto in Azieb, che è nata in Eritrea, a causa della guerra è cresciuta come rifugiata in Etiopia, e vive in Egitto da quasi 15 anni senza avere ancora un documento che la rende cittadina. Ha un figlio, Asmeron, che è nato qualche settimana dopo che il padre, e marito, venisse dichiarato disperso. All’età di 45 anni, le prospettive di Azieb di costruirsi un futuro sembrano essere svanite. Vive al Cairo, ma l’attesa di N CAMPI PROFUGHI una carta d’espatrio delle Nazioni Unite sembra ormai irraggiungibile. Ho incontrato la povertà umana nella storia di Saron. Originaria dell’Eritrea, mamma e sposa da qualche anno. È stato il marito a partire per primo, cercando un futuro che il suo paese gli privava, obbligandolo ad un servizio militare senza fine. Dopo un viaggio avventuroso, è riuscito ad entrare in Israele, fingendo un’identità Ebraica. Il bambino doveva essere l’ultimo a partire, una volta che i genitori fossero ricongiunti. Saron è stata la successiva a partire, ma non è mai arrivata, non ha più visto il marito, né abbracciato il figlio. Nella primavera del 2010 era partita affidandosi alla guida di questi trafficanti che a prezzi esorbitanti assicurano di raggiungere la meta sperata. Arrivata al Sinai, quasi alla fine di un viaggio che presto l’avrebbe ricongiunta al marito, è stata sbalzata dal retro del camioncino che la trasportava ed è finita al bordo della strada. I trafficanti, nella fretta di raggiungere la meta, 38 la pensarono morta e per questo l’abbandonarono sulla sabbia di quella stessa duna che l’aveva fatta sprofondare in un abisso tragico e disumano. Saron non era morta, la spina dorsale era stata lesionata e non riusciva più a muovere gli arti inferiori. Saron aveva allora 22 anni. Il suo destino era arrivato a “fine corsa”, se non fosse successo che una carovana di veicoli dell’esercito, fermandosi, l’avesse raccolta e portata ad un ospedale vicino. Solo dopo un anno, Saron, che non parlava Arabo, non poteva camminare, e non aveva a disposizione alcun mezzo di comunicazione, è stata fortuitamente visitata da una missionaria che la trasportò al Cairo, affidandola alle suore di Madre Teresa di Calcutta. A questo punto, la “discesa” agli inferi aveva raggiunto il fondo. Separata dal marito e dal suo bambino, si trovava al Moquattam nella discarica del Cairo dove operano le suore a favore di anziane abbandonate dai familiari. Nel frattempo, un’altra donna, Ezieb, giunta in Egitto, comincia a frequentare il nostro centro, dove incontra Marie-Claude, fuggita anni fa dal Cairo perché minacciata di morte da chi voleva impossessarsi del suo negozio. Negli Stati Uniti dove si era trasferita, aveva aperto un nuovo negozio di collane e braccialetti progettati e fatti da lei. Una della sue ultime creazioni è stata quella di fare perline di carta per collane e braccialetti. Da quell’incontro è sorto un proget- 39 NOTIZIE - N. 23 to che dà ora opportunità a tante lestina, Somalia, Siria sperando di donne rifugiate che trovano qual- trovare un paese dove poter essere che risorsa economica, ma soprat- rilocati. La commissione dell’ONU tutto una rete di sostegno psicolo- per i rifugiati (UNHCR) offre aiuto nell’identificazione dei rifugiati e gico, umano e spirituale. Ezieb ha quindi incontrato Saron li inserisce in una lista d’attesa di e le ha proposto di fare le perline trasferimento che a volte può dudi carta, visto che le mani le poteva rare anche più d’un decennio. Le usare. Da quel momento, Saron ha statistiche più recenti parlano di imparato a sollevarsi da sola su una 230.000 rifugiati iscritti. La maggior sedia a rotelle e da quanto ricavato parte di quelli che ci frequentano si è procurata un telefono, da cui non lo sono ancora, per paura, per può chiamare il marito ed il figlio. mancanza di risorse, per ignoranza. La sua ripresa è iniziaQualcuno, nella dita. Ora si trova in una sperazione, affida la lista delle Nazioni UniChiunque l’insua vita alla sorte di un te e forse potrà essere contra trova una viaggio su un barcoricongiunta, un giorpersona che sorne sovraffollato. Altri, no, con la sua famiglia. ride, inspiegabiltrovano in un centro La cosa più straordinamente. come il nostro un poria di Saron è che non sto dove misurare le si è mai lamentata. proprie forze e trovare Chiunque l’incontra trova una persona che sorride, in- una maniera di dar senso al tempo, spiegabilmente. Saron ha cambia- anche solo con fare palline di carta to la mia vita, di me missionario. Ha per le collane. Quello che facciaportato le mie ginocchia per terra mo è davvero poco, agli occhi di ed in questo luogo, dove i rifiuti qualcuno perfino inutile. Non lo è e le mosche sono tutt’uno, mi ha per noi che abbiamo raccolto l’infatto nuovamente riconoscere che vito di San Paolo: «Abbiate in voi gli Gesù Cristo è il Signore della sto- stessi sentimenti di Cristo!». Non è possibile vivere a fianco ria, che non ci salva da fuori, ma da dentro le discariche della vita e che di Saron, Ezieb, etc. senza questi non lo fa per commiserazione, ma sentimenti e non è possibile non per amore infinito che nulla può inchinarsi quando dall’abisso del vuoto nasce inspiegabilmente fermare. nuova speranza, la condivisione di Cairo è uno dei più grandi cen- un Amore che i confini e le barrietri di rifugiati urbani nel mondo. re delle tenebre possono svuotare Ondate di rifugiati sono arrivati ma non distruggere. Padre Giovanni Esti dal Sudan, Iraq, Etiopia, Eritrea, Pa- “ “ CAMPI PROFUGHI 40 Sinai Lo scorso marzo 2014 abbiamo incontrato e conosciuto Alganesh Fessaha, di origine eritrea, da più di trent’anni in Italia, portavoce dell’Ong Gandhi a Milano. Dal 2003, si dedica a dare libertà a uomini, donne, bambini, caduti nella rete dei trafficanti di esseri umani. Resta drammatica la situazione nel Sinai, dove almeno 750 profughi eritrei sono nelle mani dei beduini, trafficanti di esseri umani. Una situazione tra indifferenza e atrocità, che ormai va avanti da tempo e che rischia di essere dimenticata. Da un’intervista a Alganesh Fessaha per Radio Vaticana, 14 dicembre 2012 È È già una storia dimenticata, secondo me. E questa dimenticanza è veramente pericolosa perché la gente sta morendo. Questi profughi partono dall’Eritrea per cercare lavoro e arrivano in Sudan. Una volta lì, vengono presi dai Rashaida – una tribù sudaneseeritrea beduina – che li vende ai beduini egiziani a una certa cifra – tremila euro, tremila dollari – e poi quando li hanno comprati, li vendono ad altri beduini egiziani, aumentando sempre il prezzo fino a quando non arrivano ai confini tra Israele ed Egitto. Qui, chiedono anche 30, 35 o 50 mila dollari. Adesso, vista la pericolosità del 41 NOTIZIE - N. 23 750 persone prigioniere nelle mani dei beduini, se ognuna di queste dovesse pagasse questa cifra, o anche di meno, sarebbe una cifra importante. E dove vanno a finire quei soldi? I soldi vengono usati per comprare armi e droga. Questa è stata la risposta. Io mi domando: come è possibile che, in una situazione in cui tutti sanno, non si riesca a fermare questa cosa? Possono esserci diversi motivi politici, però c’è la questione umana che è terribile! Le torture che infliggono ai prigionieri sono terribili… Alganesh Fessaha. tragitto ci sono nuove tratte, gli eritrei infatti cercano di andare verso Juba, ma per andarci passano comunque per Khartoum e così finiscono per ritrovarsi sempre nel campo profughi di Shagarab, dove vengono rapiti dai Rashaida e poi venduti ai beduini egiziani. Questi ultimi, li tengono chiedendo un riscatto di 30-50 mila dollari. Chi non può pagare viene ucciso, ma anche chi ha pagato viene torturato può essere ucciso e poi gettato in strada. Io sono arrivata dal Sinai ieri notte e ho visto cinque cadaveri buttati per terra… Cosa c’è dietro a questo traffico di esseri umani? Il denaro. Io ieri ho chiesto a una persona del posto: ci sono quasi CAMPI PROFUGHI Come siete riusciti a liberarli, allora? I prigionieri ci chiamano: i beduini danno loro il telefono per chiedere il riscatto. Mi chiamano e io chiedo come stanno e loro mi descrivono la situazione. E se non sono legati, se hanno la possibilità di andare uno per uno o più di uno per volta in bagno, mi metto d’accordo chiedendo loro di uscire ad una certa ora. A quell’ora, io mando alcune persone che li prendono, li nascondono fino a quando non arrivo con il certificato delle Nazioni Unite, con la yellow card, che consegno loro e li porto al Cairo. Finora, siamo riusciti a liberare 150 persone. Qual è a questo punto l’appello che lei vuole lanciare alla comunità internazionale? Stanno morendo migliaia di ragazzi giovani: per favore, aiutateli! 42 Aiutatemi a fermare questo massacro: è un vero massacro. C’è gente che sta morendo per nessuna ragione! Io faccio appello perché vengano salvate delle anime innocenti che non hanno fatto niente, che hanno soltanto cercato di scappare dalla fame e dalla miseria del loro Paese, e dalla sofferenza. C’è una storia particolarmente emblematica che l’ha toccata e che vuole far conoscere all’opinione pubblica? La storia più emblematica è l’uccisione di un bambino di tre anni, che ho trovato nella spazzatura, morto. Vedere un bambino di tre anni ucciso in quel modo, per me è stato molto shoccante. È una cosa inaccettabile e drammatica: è drammatica! Che colpa ne ha un bambino di tre anni. 43 NOTIZIE - N. 23 Etiopia Dal sito dell’associazione Ghandi, ricaviamo alcune informazioni di un viaggio di una volontaria, accompagnata da Alganesh Fessaha, in uno dei campi profughi eritrei, Mai Aini, in Etiopia. di Giulia Piccinini D Durante la nostra permanenza al campo, siamo state ospitate nella casa della famiglia di Shnash, giovane eritreo che fa parte del comitato di gestione interna del campo profughi. Condividere la vita stessa del campo è stato fondamentale. Mi ha infatti permesso di assaggiare, in maniera infinitesimale ovviamente, ma comunque molto intensa, la reale situazione di un profugo. Questo è il quadro generale delle condizioni di vita che ho riscontrato durante la mia esperienza. Le case nel campo sono molto CAMPI PROFUGHI semplici, costruite in mattoni di fango fabbricati dai profughi stessi. Divani e letti interni sono ricavati dalla muratura, mentre i tetti in lamiera poggiano su un’impalcatura di legno. Questa architettura purtroppo, fa sì che rimangano numerosi buchi e spifferi sul soffitto da cui anche gli animali, tra cui topi, possono facilmente circolare. L’energia elettrica è fornita da alcuni generatori che assicurano la luce nelle ore serali, fino al coprifuoco delle 10, solo in alcuni locali, tra cui i bar e le altre piccole attività commerciali presenti all’interno del campo stesso. Totalmente assente è invece l’acqua corrente, e i 20 litri di acqua distribuiti quotidianamente ai 44 singoli, devono bastare per ogni necessità, dal bere, al cucinare, al lavarsi. Ogni gruppo di case ha poi a disposizione un certo numero di lattrine, circondate da pareti in lamiera, e sprovviste di calce o altro disinfettante da poter utilizzare per igienizzare la fossa biologica. Insomma per persone che spesso vengono da un contesto cittadino (molti dalla stessa capitale eritrea Asmara, la seconda Roma come sono soliti definirla con nostalgia), le condizioni di vita quotidiana non sono certo facili. A dispetto di ciò, ho potuto respirare la grinta con cui questi più di 11000 profughi stanno cercando di reagire e trasformare in cittadina attiva un luogo che per definizione stessa dovrebbe essere di transizione e passaggio ma che, purtroppo, nella pratica si sta rivelando come una residenza stabile. Sono così sorte numerose attività, piccoli e colorati bar che si susseguono lungo la strada principale che porta al primo villaggio, negozi di alimentari e abbigliamento, la bottega del sarto, la parrucchiera ed il barbiere, nonché la sala del cinema Roma, con i suoi colorati tavoli esterni dove si può gustare un frullato di banane e guava indimenticabile. Ho ammirato questa determinazione e volontà a non lasciarsi andare. Eppure le prospettive future 45 NOTIZIE - N. 23 mancano, e questa credo sia una anni. Occupano una zona marginale delle problematiche più pesanti del campo, come a sottolineare la per questa gente. Molti di loro sono laureati o co- loro ulteriore emarginazione. Mi munque professionisti e patisco- hanno spiegato che è stata loro no la loro situazione, soprattutto data quella zona per questione di l’impossibilità a trovare un lavoro facilità di assegnamento delle case, esterno. Sono infatti persone fan- ma il risultato è stato il creare un tasma, come spesso Alganesh li quartiere a parte nel campo dove i definisce, senza documenti, senza ragazzi abitano soli in piccoli gruppatria, e pertanto destinati all’iner- pi nelle case, senza adulti nel vicizia in una sorta di Deserto dei Tar- nato, senza guida, abbandonati a tari, in attesa che qualcosa cambi o loro stessi. La sera, quando scatta il copriche qualcuno si ricordi di loro. Quello che scrivo l’ho percepito fuoco, è facile vederli tornare in piccoli stormi alle loro direttamente parlancase, dopo aver lasciado con un giovane di to qualche bar, troppo Asmara, laureato in Le case nel campiccoli agli occhi di economia, ottimo inpo sono molto qualunque adulto per glese, molto simpatico semplici, costruite non avere una figura e brillante. Mi ha racin mattoni di fango di riferimento o qualcontato del suo paese, fabbricati dai proche forma di controlcome le condizioni fughi stessi. lo. di vita siano difficili a Questo è quello che causa del totalitarismo ho visto. Vorrei sottolidel governo, come tanti fuggano sperando di trovare neare come Alganesh visiti con recondizioni di vita migliori. Eppure golarità, diverse volte l’anno, i proal campo lui si sente imprigiona- fughi eritrei di questo e degli altri to, fuori dal mondo, privato di un campi, e che, pertanto, il suo arrivo desti sempre molta gioia tra gli abiqualsiasi futuro. Se i profughi eritrei possono tanti del campo che la stimano per essere definiti fantasmi, tra loro le numerose attività che ha proc’è una quota non indifferente di mosso finanziariamente, ma anche bambini e adolescenti ancora più e soprattutto con la partecipazione attiva e diretta. isolati ed emarginati. Partire con lei mi ha quindi reSono i cosiddetti “unacompained children”, i bambini senza famiglia, galato il privilegio di essere introche superano il confine da soli o in dotta spontaneamente nelle dinapiccoli gruppi. Sono più di mille, di miche quotidiane del campo, e di tutte le età a partire dai tre quattro poter pertanto trovare con facilità “ “ CAMPI PROFUGHI 46 anche semplicemente per scarsità un mio spazio di “azione”. Alganesh ha regalato cinque di personale e di mezzi diagnostici mucche, così il Natale è passa- e terapeutici, a non sopperire alle to festeggiando con Ingera, il loro necessità degli 11000 profughi del piatto base, e carne, un regalo di campo. Vorrei citare un esempio che può certo molto gradito considerando che molti di questi bambini non ne aiutare a comprendere cosa significhi non avere accesso ad un’assimangiavano da mesi o anni. È stata una giornata davvero stenza sanitaria efficiente. Durante molto intensa, l’energia di questi la nostra permanenza al campo, un bambini e la loro dolcezza entrano ragazzo di ventitré anni ha avuto nel cuore. Il giorno dopo la festa un incidente. È stato infatti inveè continuata con i bambini dell’a- stito dall’autobus che passa per la silo. Spaghetti al sugo e caramelle strada principale, congiungendo i per tutti, facendo tante fotografie, due villaggi in mezzo ai quali sorge il campo. Ci è capitaperché essere immorto di visitarlo qualche talati diverte sempre ora dopo. Presentava molto i bimbi africani, Alganesh ha forti dolori alla metà certo poco abituati regalato cinque sinistra del corpo ed alla fotocamera. mucche, così il il sospetto era quello L’Ong Gandhi ha a Natale è passato di alcune coste frattucuore soprattutto le festeggiando. rate e possibile lussacategorie più deboli, zione o frattura della bambini quindi, ma testa del femore. Dei anche handicappati, semplici raggi avrebbero potuto anziani e donne. La situazione sanitaria è dirimere la questione. Ma le radiosicuramente carente. La presenza grafie sono fatte nella vicina cittadi una sorta di ospedale al di fuori dina di Shire e per aver accesso al del campo non rende purtroppo servizio è necessario che il medico l’accesso alle cure una reale possi- dell’“hospital” faccia la richiesta. Abbiamo esortato il ragazzo a bilità. Durante la nostra permanenza il medico era assente. Erano pre- farsi ricoverare nei posti letto della senti due infermieri e una figura di struttura e di insistere per farsi fare supervisione che faceva le veci del gli accertamenti. L’assistenza che riceveva, come medico e che, seppur senza una laurea in medicina, credo possa ho potuto personalmente conessere nella nostra mente assimi- statare andando a visitarlo ogni lata a una sorta di medico di base. giorno, consisteva in soli sedativi Quello che in effetti è un punto di (Valium), peraltro inefficaci a conprimo accesso alle cure si trova, trollare il forte dolore. Il medico “ “ 47 NOTIZIE - N. 23 sarebbe tornato di lì a qualche giorno, ci hanno riferito, e avrebbe valutato se era il caso di intervenire con ulteriori esami, e di inviarlo a Shire per le radiografie. Il risultato è stato che siamo partite e il ragazzo era ancora lì, con possibili fratture vecchie ormai di sei giorni, e quindi forse già parzialmente saldate in posizione scorretta. All’idea delle code nei pronto soccorsi di cui siamo soliti lamentarci, mi sono sentita davvero male, ho percepito forte l’ingiustizia di essere dalla parte ricca, fortunata CAMPI PROFUGHI del mondo. Gli ho lasciato degli antidolorifici che sembravano funzionare molto bene per il dolore, e sono partita. Mi chiedo ancora come sia finita, se i raggi siano stati fatti, e quali saranno gli esiti. Questo è il resoconto di una delle esperienze più belle e forti della mia giovane vita. Purtroppo non rende la parte più significativa, ovvero quello che di umano il vivere a contatto con queste persone, così forti, ospitali, dolci e comunque sofferenti ti lascia. 48 Thailandia Riceviamo notizie da don Bruno Soppelsa, missionario diocesano fidei-donum nella missione triveneta. Chae Hom, 1 ottobre 2014 di vestire. Tutti questi popoli si sono instalLa nostra attività lati tra i fitti boschi delle montagne qui al Nord del- del nord, scappando dall’oppresla Thailandia, nel sione dei regimi comunisti BirmaDistretto di Chae ni, Laotiani e Cinesi, alla ricerca Hom (Provincia un pezzo di terra dove ritrovare di Lampang), si la propria libertà ed esercitare la rivolge soprattut- propria dignità. I nuovi villaggi, fin dall’inizio to alle “Tribù dei molto poveri e dal futuro incerto, monti”. “Tribù dei monti” è un termine privi di qualsiasi struttura, dispersi usato in Thailandia per tutti i po- e nascosti tra le fitte boscaglie dei poli tribali che abitano le regioni monti, mancavano di strade che li montuose del nord e occidenta- mettessero in comunicazione con li della Thailandia, al confine con i grandi centri abitati e governativi di fondovalle: ospedali, scuole, e Laos e Birmania. uffici governativi. Questi gruppi tribali Oltre a ciò, queste sono tutti minoranze persone erano senetniche: i Thai li chiaAlla ricerca un za un documento di mano “chao khao”, pezzo di terra identità che desse cioè popoli della mondove ritrovare la loro un riconoscimentagna, “montanari”. propria libertà ed to sociale, il diritto di Si tratta, in totale, di esercitare la proaccedere all’istruziocirca mezzo milione pria dignità. ne e alla sanità locadi persone, suddivise le; era nata così l’idea in 6 tribù principali (a che questa gente viloro volta suddivisi in sottogruppi): Karen, Hmong, Lahu, vesse in una specie di “clandestiYao, Akha, Lisu. Ognuna di esse ha nità” non autorizzata e pericolosa. la propria lingua, le proprie tradi- A testimonianza, in un articolo zioni, la propria religione e modo dell’illustre quotidiano thailande- L “ “ 49 NOTIZIE - N. 23 se “Bangkok Post”, uscito nel set- ottenuti tagliando e bruciando la tembre dello scorso anno, 2013, fitta vegetazione boschiva. Alcuni tra loro sono diventati si leggeva: «Quasi un milione di persone abitanti della foresta sono tristemente famosi, oltre che per i loro tipici costumi ancora trattati come colorati, anche per la outsider-criminali, Il problema della coltivazione dell’oppoiché la maggior pardroga è ancora di pio. Fortunatamente, te vive in foreste progrande attualità. durante gli anni 2001tette. Sono visti come 2005, grazie ad un minacce alla sicurezza pur duro intervento nazionale, a centinadell’esercito Thailania di migliaia di loro è rifiutata la cittadinanza, anche se dese sotto le direttive dell’allora Primo Ministro Thaksin Shinawamolti sono indigeni». La gente delle Tribù dei monti tra, quasi la totalità dei campi di è da sempre vissuta di un’agricol- papavero è stata distrutta, bruciata tura di sussistenza, coltivando ge- e sostituita da altrettante coltivaneralmente riso e mais su terreni zioni di risaie, campi di grano e di “ “ CAMPI PROFUGHI 50 caffè (soprattutto nelle zone sopra con il recente e sicuro sistema deli 1000 metri, favorevoli alla coltiva- le coordinate GPS). La presenza dei Padri Missionazione dell’Arabica) che dessero la possibilità di trarre almeno il fab- ri del PIME prima e dei missionari Fidei Donum del Tribisogno per la sopravveneto poi, ha contrivivenza. Purtroppo, il buito a migliorare la problema della droga È stato fatto in situazione. è ancora di grande modo che questi È stato fatto in modo attualità: nell’intera gruppi tribali fosche questi gruppi Provincia di Lampang, sero riconosciuti. tribali fossero ricouno dei 44 villaggi delnosciuti dal governo la nostra parrocchia Thailandese il mag(che seguiamo particolarmente e aiutiamo) conta il gior numero possibile: ora la quasi maggior numero di persone coin- totalità delle persone ha ottenuto volte nello spaccio e nel consumo la carta d’identità. Si è venuti incontro al governo, di stupefacenti proveniente per lo più dalla Birmania (contrabbandati aiutandolo con interventi a ca- “ “ 51 NOTIZIE - N. 23 rattere sociale in tanti villaggi dei i propri figli alle scuole Superiori monti, costruendo scuole, pom- site a fondovalle. Crediamo fortemente che un’ipe d’acqua, assumendo maestri che vivessero ed insegnassero alle struzione alla portata di tutti possa scuole elementari proprio nei vil- permettere di combattere le grandi piaghe sociali che tormentano laggi tra i monti. Sempre in appoggio al governo la società thailandese e sopratThailandese, la parrocchia ha orga- tutto le popolazioni dei monti: la povertà, l’ignoranza, nizzato incontri di forl’alcolismo, la droga e mazione e aiuto per la prostituzione, che la sensibilizzazione al Abbiamo semda sempre rende triproblema della droga pre cercato di aiustemente famosa la e periodi di disintostare soprattutto i Thailandia. sicazione dalla stessa. bambini. Il “progetto univerAbbiamo sempre sitari”, da noi istituito cercato di aiutare soe legato alle adozioprattutto i bambini, perché potessero avere una for- ni a distanza, va in questo senso: mazione scolastica adeguata, indi- aiutare i giovani più promettenti e spensabile per il loro inserimento tenaci nel conseguimento di un tinella società Thailandese. A que- tolo di studio qualificato che apra sto proposito abbiamo costruito 5 la propria vita ad un futuro ricco di Centri di accoglienza per i giovani opportunità e alla consapevolezza delle famiglie più povere dei vil- dell’importanza della propria dilaggi dei monti; famiglie che non gnità personale. hanno la possibilità di far accedere Don Bruno Soppelsa “ “ CAMPI PROFUGHI 52 (ricerca di Ezio Del Favero) L Le strutture che accolgono e assistono gli immigrati irregolari sono distinguibili in tre tipologie. - Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) - Centri di accoglienza (CDA) e Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) - Centri di identificazione ed espulsione (CIE) Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) Sono strutture allestite nei luoghi di maggiore sbarco, dove gli stranieri vengono accolti e ricevono le prime cure mediche, vengono fotosegnalati, viene accertata l’eventuale intenzione di richiedere protezione internazionale e vengono smistati verso altri centri. I centri attualmente operativi sono: Agrigento, Lampedusa – Cagliari, Elmas – Lecce, Otranto – Ragusa, Pozzallo. Centri di accoglienza (CDA) e centri accoglienza per richiedenti asilo (CARA) I CDA sono strutture destinate a garantire una prima accoglienza allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. L’accoglienza nel centro è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l’identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l’allontanamento. I CARA sono strutture nelle quali viene inviato e ospitato lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l’identificazione o 53 NOTIZIE - N. 23 la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. I centri che assolvono a entrambe le funzioni di CDA e CARA sono: Gorizia, Ancona, Roma, Foggia, Bari, Brindisi, Lecce, Crotone, Catania, Ragusa, Caltanissetta, Agrigento (Lampedusa), Trapani, Cagliari. Centri di identificazione ed espulsione (CIE) In precedenza chiamati Centri di permanenza temporanea ed assistenza, sono strutture destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, degli stranieri extracomunitari irregolari e destinati all’espulsione. Previsti dall’art. 14 del Testo Unico sull’immigrazione, tali centri si propongono di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire la materiale esecuzione, da parte delle Forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari. Il Decreto-Legge n. 89 del 23 giugno 2011, convertito in legge n. 129/2011, ha fissato il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri a 18 mesi complessivi. Attualmente, i centri sono: Torino, Roma, Bari, Trapani, Caltanissetta. Gestione dei Centri Sono gestiti a cura delle PrefetCAMPI PROFUGHI ture-Utg tramite convenzioni con enti, associazioni o cooperative aggiudicatarie di appalti del servizio. Le prestazioni e i servizi assicurati dalle convenzioni sono: 1) Servizio di gestione amministrativa e di minuta sussistenza e manutenzione. 2) Assistenza alla persona: vitto, alloggio, fornitura effetti personali...; assistenza sanitaria assistenza psico-sociale; mediazione linguistico culturale. 3) Servizio di pulizia ed igiene ambientale. 4) Manutenzione della struttura e degli impianti. Lampedusa come un lager (di Francesca Porta) «Rimuovere e rinnovare il management attuale e avviare immediatamente una migliore organizzazione con altre professionalità». È questa l’indicazione data da Legacoop Sicilia a Lampedusa Accoglienza, la cooperativa che gestisce il centro per migranti dell’isola, dopo le immagini diffuse dal Tg2 sui maltrattamenti subiti dagli immigrati. Nel video si vedono alcuni migranti nudi, in fila indiana, mentre aspettano il loro turno per la disinfestazione contro la scabbia (che avviene con degli spruzzatori di un’apposita sostanza). «Scaricavano getti d’acqua fortissima sui nostri corpi, ci facevano male», hanno dichiarato alcuni immigrati che hanno subito il trattamento. 54 «Eravamo tutti nudi, uno accanto all’altro. Eravamo in grave imbarazzo e loro ci deridevano». I «loro» in questione sono i gestori e i dipendenti della cooperativa Lampedusa Accoglienza. Le immagini diffuse dal Tg2 hanno fatto il giro del mondo e provocato reazioni indignate. «È una pratica da lager», ha detto il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini. Mentre Laura Boldrini ha parlato di «un trattamento indegno di un paese civile». Il commissario europeo agli Affari Interni Cecilia Malmostrom, ha rivelato che la Commissione aveva «già avviato indagini sulle condizioni deplorevoli in molti centri italiani di detenzione, incluso quello di Lampedusa, e A un anno dalla tragedia del 3 ottobre, sono oltre 3500 i morti nel Mediterraneo. 55 NOTIZIE - N. 23 Un gruppo di sopravvissuti è tornato a Lampedusa per ricordare i 368 compagni di viaggio che hanno perso la vita in mare. non esiteremo a lanciare una procedura di infrazione per garantire che gli standard e gli obblighi europei siano pienamente rispettati». Non solo. Il commissario europeo ha anche minacciato di tagliare i fondi Ue destinati all’Italia per l’assistenza nella gestione dell’accoglienza dei migranti e degli immigrati irregolari. «La nostra assistenza e il nostro sostegno alle autorità italiane nella gestione dei flussi migratori può continuare solo se il Paese garantisce condizioni di accoglienza a immigrati, richiedenti asilo e rifugiati, che siCAMPI PROFUGHI ano umane e dignitose». Il primo passo sembra essere stato compiuto. I dirigenti della cooperativa Lampedusa Accoglienza sono stati rimossi dal loro incarico ed è stata avviata un’indagine conoscitiva per verificare quanto accaduto nel centro di accoglienza e per accertare le responsabilità. Report da Lampedusa (di Francesca Cancellaro, Luca Masera, Stefano Zirulia) Questo report scaturisce dall’esperienza diretta degli autori, i 56 quali, in qualità di volontari-esperti legali, sono stati autorizzati dalla Prefettura di Agrigento ad accedere al Centro di Soccorso e Prima Accoglienza di Lampedusa. La struttura era originariamente destinata – come suggerisce la sua denominazione – ad accogliere i migranti nelle prime ore successive allo sbarco, finalità che spiega l’assenza di un sistema di garanzie – in primis il controllo giurisdizionale. Tuttavia – lo abbiamo constatato coi nostri occhi – il Governo sta utilizzando il Centro lampedusano come luogo di prolungato trattenimento dei “clandestini”, i quali vi rimangono rinchiusi, in media, dai 10 ai 30 giorni; senza ricevere alcuna informazione in merito alla propria condizione; nella materiale impossibilità di essere assistiti da un legale; e soprattutto senza che tale privazione della libertà personale sia convalidata da un giudice. Abbiamo assistito, in altre parole, alla macroscopica sospensione delle garanzie che governano – nel nostro come in qualunque altro Stato di diritto – le misure restrittive della sfera personale, garanzie cristallizzate nell’art. 13 della Costituzione ed altresì presidiate dall’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Un vero e proprio vuoto giuridico, che si sta consumando al riparo dagli occhi dei media – dal momento che ai giornalisti è vietato l’ingresso al Centro – e che costituisce un terreno fertile per ulteriori violazioni dei diritti fondamentali, in particolare l’integrità fisica e la dignità personale dei trattenuti. Di fronte a tale situazione abbiamo ritenuto che il primo passo da compiere – nell’ottica di riportare lo Stato di diritto là dove il nostro Paese si affaccia sull’Africa – consistesse nel costringere il Governo a dare spiegazioni del proprio operato. Lo abbiamo fatto depositando sei istanze di accesso agli atti alla Questura di Agrigento, attraverso le quali altrettanti migranti hanno domandato alle forze dell’ordine italiane di potere conoscere le ragioni per le quali sono stati privati della loro libertà personale, e lo stato in cui si trova il procedimento all’esito del quale verrà deciso se dovranno essere immediatamente rimpatriati, piuttosto che trattenuti in un CIE o ospitati in un CARA. In caso di rigetto dell’istanza o di mancata risposta da parte della Questura entro il termine di 30 giorni, sarà possibile impugnare il provvedimento negativo o il silenzio-rifiuto innanzi al TAR Sicilia, ottenendo così, tra l’altro, il fondamentale risultato di portare i trattenuti di Lampedusa davanti ad un giudice terzo e imparziale. Nuova gestione del Centro di Lampedusa (di Luca Insalaco) 4 settembre 2014 - La gestione del Centro di primo soccorso e accoglienza di Lam- 57 NOTIZIE - N. 23 pedusa torna alla Misericordia. La vere», ci dice Salvino Montaperto, procedura negoziata, indetta dalla della Misericordia di Campobello Prefettura di Agrigento, ha visto di Licata e consigliere nazionale spuntarla sulle ditte concorrenti la delle Misericordie, il quale, lo scorConfederazione Nazionale delle so mese di agosto, ha compiuto un Misericordie d’Italia, già impegna- sopralluogo presso la struttura. È un compito certamente gravoso ta nella gestione di vari centri in Italia, tra i quali si ricorda quello quello che attende i nuovi gestori. che sorge ad Isola Capo Rizzuto, Lampedusa è diventata il simbolo il centro di accoglienza più grande del fenomeno migratorio, tanto da essere tirata in ballo anche quando d’Europa. Per la Misericordia, come det- non ce ne sarebbe motivo, quando to, si tratta di un ritorno nell’isola, le rotte dei migranti non toccano le considerato che l’organizzazio- sue coste. Come tutti i simboli l’ine era stata già impegnata nella sola è oggetto di ostensione, spesso per meri interessi gestione del sito di di bottega, esposta contrada Imbriacola come lo è questa terra quando questo aveva Si tratta di esseri ai venti. lo status di Cpt (Cenumani costretti a La materia legata ai tro di permanenza fuggire dalla proflussi migratori, poi, è temporanea). La conpria terra . spesso ridotta ad una fraternita, che ha sede questione di numea Firenze, può contare ri, dimenticando che su un forte radicamento in Sicilia e nell’Agrigentino. Sarà, dietro le cifre ci sono storie, vite, infatti, il coordinamento zonale di persone. «L’esperienza di LampeAgrigento a fornire supporto logi- dusa ci affascina, considerato che stico e direzione operativa per la questa terra è diventata l’ombelico del mondo – sottolinea Montapergestione del CPSA. I nuovi gestori sono chiamati to –. Ci metteremo tutta la buona a fare dimenticare le polemiche volontà per cambiare rotta rispetto che lo scorso anno hanno investi- al passato e lavoreremo con lo spito il centro, a seguito delle docce rito che contraddistingue tutta la anti-scabbia le cui immagini hanno nostra organizzazione e in primo fatto il giro del mondo. «Non ho luogo con un’attenzione particolanessuna voglia di criminalizzare la re per l’individuo. Non dobbiamo precedente gestione. Ci sono stati dimenticare – ricorda – che si tratta dei problemi, è vero, ma l’impres- di esseri umani costretti a fuggire sione che ne ho ricavato, anche dalla propria terra e questo ci porta parlando con gli operatori, è che a dare un approccio più umano alla tutti abbiano fatto il proprio do- nostra attività». “ “ CAMPI PROFUGHI 58 Italia – Milano È È lì che mi guarda, maestosa, imponente, ma con quell’aria di una fastosità che stona un po’ con il nostro presente. La stazione ferroviaria di Milano, è cambiata molto in questi anni, e non parlo solo dei negozi che si sono incastrati in spazi che prima non individuavi, ma delle persone che circolano nei perimetri della stessa. Mi ricorda un po’ la struttura circolare del girone dantesco. C’è una parte esterna, qui siamo in Europa. Transitano le auto, ma è anche un limite tra la città e la stazione. C’è una parte pedonale: qui siamo in Sud America. Giovani che saltano con gli skateboard, rollerblade, e mescolano il loro italiano con alcune parole in spagnolo. Tra le corsie si incastrano i mercatini ambulanti, qui invece siamo in Asia, pakistani in particolare, ma c’è an- che la presenza di qualche cinese. Vendono borse, cappellini, e tutte quegli oggetti che hanno un’attinenza con il viaggiatore. Si entra poi sotto i portici che fanno da anticamera alla stazione. Questa è terra di nessuno, il limbo, non è la città, non è un continente, sembra un porto franco anche per le consuetudini. Forze dell’ordine camminano tra i passanti, dribblano i mendicanti che trovano giaciglio tra un cartone e una colonna che gli fa da cuscino. Si entra poi nella stazione. Qui siamo nuovamente in Europa. Il suono aumenta a causa degli echi delle persone che parlano, degli annunci ferroviari, e la gente corre evitando il trolley del vicino. Sembrano tutti un po’ disorientati, alla ricerca di una persona, di un luogo, di un orario. L’ultimo girone è situato tra i binari ferroviari, con le sue banchine e con la gente che scende dai treni. Qualcuno si accende una sigaretta, altri corrono verso 59 NOTIZIE - N. 23 l’uscita parlando affannosamente al telefono, e qualcuno cerca tra la folla il suo caro. Qui siamo a Milano. La mia attenzione si ferma però a guardare il tabellone che riporta gli orari dei treni. Non è semplicissimo mettere a fuoco il tuo percorso, ma alla fine lo sguardo si concentra sull’orario di partenza, ed eccolo lì: Venezia… che per un momento diventa la mia città. Ho un buon quarto d’ora a disposizione. Mi volto cercando di cogliere ancora qualche elemento nuovo, un’ immagine, un vestito, un atteggiamento. La grande città ha sempre questa aurea di modernità. Il mio sguardo incrocia un gruppo di persone. Sono vestite differenti, sono tutte CAMPI PROFUGHI giovani, ma soprattutto molto vicine. Mi avvicino e capisco che sono stranieri. Certamente però non sono appartenenti a nessuno dei gironi che ho attraversato qualche minuto prima. I lineamenti sono dolci, il colore della pelle è moro, i capelli scuri. Tendo l’orecchio per capire la lingua, irriconoscibile. Giro l’angolo e un cartello è posto su di una colonna. “Centro assistenza profughi Siriani di Milano”. Siriani? Il mio pensiero mi catapulta alle immagini che tutti abbiamo conosciuto tramite i telegiornali. Siriani? Ma saranno proprio loro? Ripenso alle suore di Azeir che abbiamo aiutato durante questa emergenza umanitaria. Improvvisamente 60 il virtuale diventa realtà. Tutte le per- Eppure l’ardore non si placa nemsone di cuore conoscono i dolori meno davanti a questa frase. Vorrei che stanno colpendo intere nazio- fare subito qualcosa per loro, dirgli ni, ma spesso, se va bene, le notizie che mi dispiace per quello che sta che ci arrivano sono confuse tra le succedendo, a nome di tutti, ma chi altre nuove di politica estera, o tra sono io per esprimermi con loro un derby calcistico e un gossip sulle in questa maniera? Dentro di me nuove star televisive. E quindi tutto questo fuoco di vendetta sembra appare come una fiction, i bombar- prevalere sulla mia coscienza e sul damenti sono quelli che si vedono mio credo cristiano. Non mi muovo, nei films, dove la gente non muore, rimango lì guardandoli con la coda e se muore non soffre. L’oppressio- dell’occhio e l’orologio mi suggerisce che è ora di salire ne è una mossa fatta a sul treno. Risiko, dove si spostaAccendo il computer no solo delle pedine, Vorrei fare sue vado a cercare notima non si conosce il bito qualcosa per zie sulla Siria. Ecco che dramma di ogni singoloro, dirgli che mi compare un’intervista la persona. E così tutto dispiace. alle suore trappiste e assume un’immagine una frase coglie più di quasi dolce, di avvenaltre la mia attenzione: tura e fantapolitica. Eppure loro esistono, sono qui davanti «Tu, invece, non sei stato stabilito per pronunciare la vendetta contro a me. Ripenso ancora alle suore trappi- le azioni e coloro che le hanno fatte, ste di Azeir: «Anche chi ha fatto a ma per invocare sul mondo la misepezzi i cadaveri, e ha gettato la carne ricordia, per vegliare per la salvezza dei morti ai cani ha passato la linea di tutto, e per unirti alla sofferenza rossa. Anche chi stupra, chi uccide di ogni uomo, dei giusti e dei peci bambini sulle ginocchia dei geni- catori». Il mio fuoco improvvisamente si tori, chi massacra con disprezzo, in spegne, e un po’ di vergogna mi inSiria e altrove». E il sangue inizia a ribollirmi nelle vade per i pensieri che fino a qualvene. Come è possibile che ancor che minuto prima mi sopraffacevaoggi tante persone possano trovarsi no. Solo un’anima colma di Dio può in situazioni simili? Come è possibi- pronunciare il perdono in un luogo le che l’uomo riesca ad odiare così dove la guerra imperversa le carni, i tanto il prossimo da provocare dolo- pensieri, ma forse questa cosa l’hanri così grandi per le singole persone, no capita molto prima di me quei profughi che con pazienza sostavama anche per tutta l’umanità? Papa Francesco qualche giorno fa no nella stazione centrale di Milano. ci diceva: «C’è un giudizio di Dio». José Soccal “ “ 61 NOTIZIE - N. 23 Presidente: Nel nome del Padre… Il Signore Risorto, che invia i discepoli fino ai confini della terra, sia con tutti voi. Assemblea : Benedetto sia Dio che ci attende nelle periferie del mondo. Guida: L’Ottobre Missionario ci ha proposto quest’anno il tema: “Periferie: cuore della Missione” La parola “periferie” ricorre frequentemente nel Magistero di papa Francesco, che si è presentato come “venuto dalla fine del mondo” e che ci spinge continuamente ad uscire, a creare nelle comunità le condizioni per favorire l’inclusione: dimenticati, CAMPI PROFUGHI esclusi, stranieri, profughi, rifugiati… umanità insomma, ai margini della Chiesa e della nostra vita (supposto, ma non concesso, che noi possiamo considerarci “centro”). Scopriremo che là Dio è già presente ed ha una parola da dire alla sua Chiesa ed alla nostra fede attraverso coloro che la società relega alle periferie, o addirittura fa fuggire dalle proprie terre. Ci avviciniamo alle Feste di Natale e vedremo che la prima, esemplare, esperienza ci viene proprio da Gesù, nato nella periferia di Betlemme, rifugiato in Egitto e rientrato a Nazareth, borgata malfamata della Galilea. Lettore: Dalla Evangelii gaudium 49. Usciamo, usciamo ad offrire a 62 tutti la vita di Gesù Cristo… Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze! 186. Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società. 187. Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo. È sufficiente scorrere le Scritture per scoprire come il Padre buono desidera ascoltare il grido dei poveri: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo… Perciò va’! Io ti mando» (Es 3,7-8.10) Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto. 210. È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc. I migranti mi pongo- 63 NOTIZIE - N. 23 no una particolare sfida, perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali. Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro. Presidente: Preghiamo: Signore Gesù, che hai detto “gli ultimi saranno i primi”, facci capire che nel tuo Regno, presente in mezzo a noi, non ci sono gradi o privilegi, ma che tutti siamo in cammino con Te, nostro Pastore e Amico, per raggiungere gli angoli del mondo, specialmente dove c’è oppressione, fame, violenza, ingiustizie, miseria, abbandono, emarginazione, solitudine… e anche in mezzo alle nostre società con tutti i loro drammi, per portare, con le parole e con la vita, la BELLA NOTIZIA, che ci salva e per la quale Tu hai dato la vita. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen. CANTO: Acclamazione al Vangelo. CAMPI PROFUGHI Dal VANGELO secondo Matteo 9, 9 – 13. Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». Parola del Signore Proposta di riflessione con pause di silenzio: Quali sono le periferie a cui sono inviato e a cui siamo inviati come comunità? 1 - Le periferie non sono soltanto quelle lontane, ma anche quelle che arrivano da noi con i barconi. Come mi pongo di fronte a questa realtà? 2 - Periferie sono anche quelle persone emarginate o non apprezzate, in mezzo a noi, nel nostro ambiente di vita, in casa nostra, ecc… Quali le mie risposte? 3 - Come mi pongo e come ci po- 64 niamo di fronte ai non praticanti, a chi sta alla larga dalla Chiesa, e di fronte ai problemi sociali che toccano tutti da vicino? Preghiamo insieme: O Signore, fa’ che il nostro ANDARE, inviati dal tuo Amore, non sia la fuga scomposta di chi si allontana da Te, non sia la corsa arrogante di chi vuole primeggiare e lascia gli altri dietro a sé, non sia nemmeno il passo stanco di chi ha rinunciato ed ha respinto la missione... Spirito, che con la tua forza ci fai USCIRE verso il mondo, fa’ che la nostra presunzione non travisi mai il tuo annuncio di Salvezza che è per ogni uomo, fa’ che il nostro egoismo non rallenti la corsa della tua Misericordia, fa’ che il nostro giudizio non allontani il ritorno a Te di nessun fratello. O Dio, ti chiediamo di DONARCI il cammino sicuro di chi, come i profeti, è sospinto e sorretto dalla tua Parola, l’incedere ardito di chi, come Maria, va in fretta verso la montagna, il passo fraterno del pellegrino che, con donne e uomini di buona volontà, giunge alla meta della tua casa accogliente. AMEN Celebrante: Recitiamo insieme la preghiera della fraternità universale insegnataci da Gesù: Padre Nostro… Celebrante: Scambiamoci un gesto di pace. Celebrante: Carissimi fratelli e sorelle, il Signore Gesù sappia farci testimoni della sua Parola in tutte le situazioni di vita, che ci troveremo ad affrontare e ci faccia sempre accogliere i nostri fratelli e sorelle, per farci sentire tutti inviati fino alle estreme periferie. Lui che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen. Ci raggiunga in ogni luogo ed in qualsiasi strada del mondo la benedizione di Dio Onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen Andiamo in pace! 65 NOTIZIE - N. 23 dalla stampa missionaria Le notizie che seguono giungono da alcune ricerche nella stampa missionaria, come “Il Ponte d’oro”, “Popoli e Missione”, “Nigrizia”… o da siti internet noti, come www.internazionale.it/news o oraprosiria.blogspot.it. Ricordiamo che, presso il nostro Centro Missionario, riceviamo mensilmente diverse riviste contenenti notizie dal mondo, a disposizione di chi volesse approfondire questi argomenti. CAMPI PROFUGHI 66 Dov’è tuo fratello? “Popoli e Missione” Luglio Agosto 2014 U Un anno fa, papa Francesco visitò Lampedusa. Durante una Messa – era l’8 luglio 2013 – pronunciò una citazione tratta dal libro della Genesi, la domanda di Dio a Caino: «Dov’è tuo fratello?». Queste parole, davvero profetiche e sempre attuali, costituiscono il titolo della recente lettera pastorale che l’episcopato eritreo ha inviato ai propri fedeli, invitandoli al discernimento. In effetti, i quattro eparchi cattolici di Asmara, Barentu, Keren e Segeneiti rivolgono la domanda «Dov’è tuo fratello?». Costantemente, nelle 38 pagine del documento che porta la data del 25 maggio 2014, 21esi- mo anniversario dell’indipendenza del Paese. Le tragedie in mare, che interessano particolarmente le coste italiane, a partire proprio da Lampedusa, come anche, più in generale, la fuga di massa dal Paese africano di un numero indicibile di connazionali, hanno delle ragioni rispetto alle quali è opportuno che il governo di Asmara, la comunità internazionale e in particolare l’Europa, si interroghino seriamente. Non si tratta di una fatalità del destino o di un fenomeno migratorio dettato dalla convenienza di chi è in cerca di avventure. «Chi riveste ruoli di responsabilità» scrivono i vescovi «ha l’obbligo di porsi un quesito pungente, dettato dalla lungimiranza e dal buonsenso. Piuttosto che condannare i nostri 67 NOTIZIE - N. 23 giovani al gioco degli sfruttatori e dei trafficanti di esseri umani, non è meglio individuare vie e strategie per uscire da questa assurda situazione “di non pace e di non guerra”, in cui versa il Paese?». In sostanza, non è lecito stare alla finestra a guardare tanta umanità dolente, risucchiata dalle tempeste di sabbia nel deserto o affogata nel cimitero liquido del Mediterraneo. A questo proposito, i vescovi offrono, nella loro missiva, un quadro agghiacciante del loro Paese: povertà, malattie endemiche come l’Aids, ma soprattutto un deficit di partecipazio- CAMPI PROFUGHI ne per cui l’esclusione sociale sta determinando una vera e propria implosione del sistemaPaese. Non solo: «Un potere pubblico non più al servizio del bene comune, ma strumento di accaparramento di interessi privati o di parte, l’individualismo, il favoritismo, la corruzione.. sono segni di un’incipiente, o forse avanzata, emergenza morale». Per non parlare della «mancanza del dialogo, dell’ascolto reciproco, dell’interessamento vicendevole, atteggiamenti che stanno acuendo le differenze e restringendo gli spazi per una duratura soluzione dei proble- 68 mi». Mai, prima d’ora, in Eritrea, qualcuno aveva avuto l’ardire di parlare con franchezza, stigmatizzando le manchevolezze del regime. D’altronde, l’Eritrea è la nazione africana con la peggiore performance per quanto concerne il rispetto dell’agenda dei diritti umani. L’attuale governo, sotto la guida del presidente Isaias Afewerhi, ha trasformato il Paese in una sorta di Sparta africana, in cui la famiglia tradizionale è stata disgregata, imponendo «un servizio militare senza limiti di tempo e senza retribuzione», o la reclusione forzata «di molti giovani nelle prigioni e nei centri di rieducazione». Di fronte a questo scenario a dir poco inquietante, i vescovi sono sinceramente preoccupati per «le ferite morali e spirituali che affliggono la società eritrea». Una cosa è certa: la lettera pastorale dell’episcopato eritreo è una lucida e coraggiosa analisi della crisi che attanaglia ormai da diversi anni il loro Paese ed esprime, nella carità, la determinazione dei pastori nel voler difendere i diritti di una nazione oppressa, relegata nei bassifondi della Storia contemporanea. 69 Padre Giulio Albanese NOTIZIE - N. 23 ROMA Campo profughi alla fermata del Metro Nato nel 2003, raccoglie rifugiati, soprattutto eritrei, che vivono in condizioni estreme, paralizzati, senza alcuna possibilità d’inserimento sociale. Luogo di transito, ma anche residenza fissa per molti di loro. “Nigrizia” Maggio 2014 di Danilo Giannese Ponte Mammolo, periferia est di Roma. Da qui, in pochi minuti, la linea B della metropolitana conduce i passeggeri verso il Colosseo, il rione Monti e altre bellezze del centro della città eterna. A pochi passi dalla fermata metro di Ponte Mammolo, nascosto dalla vegetazione disordinata che lo separa dal ciglio della strada, si apre però un luogo che stride rispetto alle mete verso le quali quegli stessi P CAMPI PROFUGHI passeggeri sono diretti: un campo profughi nella capitale. Qui, tra baracche costruite nel corso del tempo, prive di energia elettrica e acqua potabile, rottami, qualche carrello della spesa e panni stesi ad asciugare al sole, vivono circa cento rifugiati. Sono quasi tutti uomini e quasi tutti eritrei. In comune hanno la fuga dal loro paese per mettere in salvo la propria vita dalle persecuzioni e il lungo, estenuante, viaggio attraverso il deserto e il mare verso l’Italia. A definire il rifugio di Ponte Mammolo un campo profughi è 70 Guglielmo Micucci, presidente di transito dove trascorrere alcune PRIME Italia, un’associazione di settimane o mesi prima di metvolontari che aiutano i rifugiati a tersi in cammino verso un’altra cercare lavoro e che, da qualche città italiana o tentare la fortuna in un altro paese europeo. Altri, mese, opera a Ponte Mammolo. «Non c’è alcuna differenza tra invece, vi vivono ininterrottamenquesto luogo e i campo profughi te da molti anni. Hydris, 36 anni, in Africa o in Libano», spiega dopo essere arrivato in Italia in Micucci, che per molti anni ha fuga dall’Eritrea, ha vissuto due lavorato in Ong in paesi colpiti mesi a Crotone e nove mesi per da guerre ed emergenze. «A Ponte strada, a Roma. Dal 2003, vive a Mammolo i rifugiati sono abban- Ponte Mammolo. «La vita qui dendonati a loro stessi e vivono in tro è molto difficile, soprattutto d’inverno per via del condizioni igieniche e freddo. Non abbiamo sanitarie contrarie alla La vita qui denné acqua potabile, dignità umana. Senza tro è molto diffiné luce. Fra qualche che nessuno faccia cile, soprattutto tempo farò l’esame qualcosa. Basti pend’inverno per via per la patente: la sera sare che ci sono solo del freddo. vorrei esercitarmi a due bagni e due docfare i quiz di scuolace per cento persone. guida, ma non essenQuesti ragazzi sono titolari di protezione internaziona- doci luce, quando cala il buio non le. Ma, di fatto, vivono qui da anni posso studiare». Per Hydris, la difficoltà più grancome paralizzati, senza alcuna possibilità di inserimento sociale». de di vivere in Italia è quella di Il campo di Ponte Mammolo è trovare un lavoro. «Siamo rifugiati nato nel 2003 e sono stati gli stessi – afferma – ma qui per noi non rifugiati a costruirne le baracche. esistono percorsi di accompagnaNon è riconosciuto ufficialmente mento e inserimento nella società dalle istituzioni, anche se viene e nel mondo del lavoro. Pensavo “tollerato”, come si dice nel ger- che la vita in Italia sarebbe stata go degli insediamenti informali. migliore e, invece, se fossi andato Ogni eritreo che giunge a Roma in Francia le cose sarebbero staconosce questo posto e in molti te più facili, visto che là ci sono ne hanno sentito parlare già pri- maggiori percorsi di integrazione». ma di mettere piede nel Belpaese. Il sogno di Hydris, come quello di Per alcuni si tratta di un luogo di tutti i rifugiati di Ponte Mammo- “ “ 71 NOTIZIE - N. 23 lo, sarebbe quello di abbandonare il campo e andare a vivere in una casa, pagando un affitto. Per qualche mese ci è riuscito, perché aveva un lavoro, ma poi è dovuto tornare alla base. Anche Kibrom, 37 anni, infermiere, è uno dei veterani di Ponte Mammolo. Ci abita dal 2005 e nel corso del tempo ha svolto vari lavori: dallo smaltimento di rifiuti al mediatore culturale, dal badante all’assistente infermiere. «Ogni mattina – racconta Kibrom – usciamo dal campo in cerca di lavoro, consegnando anche a mano il curriculum. Sarà per colpa della crisi, ma non troviamo nulla, se non lavoretti saltuari e poco retribuiti. Spesso mangiamo una volta sola al giorno. E così, i giorni passano e la speranza viene meno. E dal 2005, da quando sono qui, nulla è cambiato». Prima di vivere a Ponte Mammolo, Kibrom è stato in alcuni centri di accoglienza per rifugiati a Roma. «Se trascorrere un certo tempo in un centro di accoglienza servisse ad accompagnare noi rifugiati verso un efficace inserimento socioeconomico, allora queste strutture avrebbero un senso. Purtroppo in Italia non è così e una volta messo il piede fuori dai centro ci si trova a dover ricominciare tutto da zero», spiega Kibrom. Per questo, i rifugiati di CAMPI PROFUGHI Ponte Mammolo, pur vivendo in condizioni molto critiche, preferiscono stare nel campo, anziché provare ad essere reinseriti nei centri che, peraltro, soprattutto a Roma, sono al collasso in termini di capacità di accoglienza. «Io spero di andar via da Ponte Mammolo il prima possibile – racconta ancora il 37enne eritreo – ma almeno qui mi sento a casa. Siamo quasi tutti eritrei, parliamo la nostra lingua, siamo amici, mangiamo insieme e ci aiutiamo l’un l’altro nel momento del bisogno». Mentre raccontano le loro storie, Kibrom e gli altri rifugiati ci accolgono in quello che loro chiamano bar, una sala comune con sedie, tavoli e un biliardino, dove trascorrono il loro tempo libero e giocano a carte. C’è anche una discreta scorta di bibite e caffè, a disposizione di tutti, che acquistano usando i fondi di una cassa comune. […] Nei mesi scorsi, i volontari di PRIME Italia hanno distribuito sacchi a pelo ai rifugiati e hanno contribuito al miglioramento dei due bagni e delle docce. «C’è da affrontare l’emergenza in cui vivono queste persone – annota Micucci – perché non è possibile che nella capitale d’Italia continui ad esserci un vero e proprio campo profughi». A pochi minuti dal metro Colosseo. 72 BULGARIA Rifugiati siriani in Europa “Il ponte d’oro” Aprile 2014 L La fuga dalla guerra e dai suoi tragici pericoli ormai ha spinto migliaia di siriani anche fin dentro i confini dell’Europa. Dall’inizio del 2013 sono arrivate in Bulgaria più di 12mila persone in cerca di salvezza. Attraversano la Turchia in pullman o minibus, dopo aver pagato il biglietto ai gruppi criminali che organizzano il viaggio. Vengono abbandonate alla frontiera bulgara e continuano il loro viaggio a piedi. A pochi chilometri dal confine turco si trova il campo profughi di Harmanli. È un ex complesso militare, dove attualmente vivono 1.500 siriani. Nella struttura non ci sono riscaldamenti, mancano servizi igienici e cucine. «Per ri- scaldarci bruciamo la legna che troviamo, e di notte, quando la temperatura si abbassa, cerchiamo di muoverci e camminare attorno alle tende per non morire di freddo», spiega uno dei profughi appena arrivati. L’unica assistenza a uomini, donne e bambini siriani è portata dalle associazioni umanitarie internazionali. Nella capitale bulgara sono stati aperti altri due centri per profughi. Qui la situazione sembra migliore rispetto ad Harmanli, anche se le condizioni di abbandono e di incertezza restano. Il governo della Bulgaria, invece di provvedere agli aiuti umanitari, ha deciso di costruire un muro di cemento lungo 30 km con l’intenzione di chiudere il tratto di frontiera da cui affluiscono tutti i poveri siriani in cerca di salvezza. 73 NOTIZIE - N. 23 IRAQ Lettera d’addio: a voi, che pensavamo ci avreste protetti... oraprosiria.blogspot.it Agosto 2014 dello scrittore iracheno cristiano Majed Aziza alla sua città, Mossul E Espulsi, lasciamo la nostra città Mossul, umiliati dai detentori del nuovo islam. La lasciamo per la prima volta nella storia. E, partendo, ringraziamo i nostri vicini, vicini che pensavamo ci avrebbero protetto come lo facevano un tempo e che si sarebbero ribellati contro la furia di questi criminali del XXI secolo, dicendo loro che noi siamo gli autentici figli di questa città e che ne siamo i fondatori. Ci facciamo coraggio, dicendoci che possiamo contare su di loro, fratelli valorosi che mostreranno di che pasta sono fatti (lett. “di che legno si scaldano”). Ma ci hanno abbandonato, lasciandoci trascinare fuori dalla città, verso l’ignoto. Hanno chiuso gli occhi, mentre lasciavamo dietro di noi la nostra storia, le CAMPI PROFUGHI tombe dei nostri antenati, le nostre case, il nostro patrimonio e tutto ciò che è caro al nostro cuore. Ci hanno abbandonato, mentre dicevamo addio ai nostri quartieri, alla moschea di Giona, che conteneva anche la tomba di questo profeta e che, per questo motivo, è stata distrutta dagli jihadisti dello stato islamico in Iraq e nel Levante (ISIS). Addio anche all’arcivescovado, alla chiesa di Maskinta e a quella d’Ain Kibrit… Addio a tutti voi! Non ci saremo più per le vostre feste e cerimonie, matrimoni e funerali. La fine dei millenni passati insieme Addio ai nostri parenti seppelliti a Mossul. Li lasciamo, cacciati dalla nostra città. Ci perdonino se non possiamo andare sulle loro tombe in occasione delle feste religiose. Addio ai resti mortali di mio nonno Elias, del mio zio pa- 74 terno – padre Mikhail –, ai miei zii materni Ibrahim et Mikhail Haddad che mi hanno trasmesso la passione del giornalismo, addio al mio zio paterno Estefan Aziza, il primo martire della famiglia, addio al convento di San Giorgio, addio ai ponti della mia città, alle sue mura e ai suoi terreni di gioco, alla sua università e al suo centro culturale. Perdonateci, vecchi amici, fratelli e nobili figli della nostra città. Perdonate le nostre mancanze. Se possiamo aver mancato ai nostri doveri nei vostri confronti ciò non toglie che abbiamo vissuto insieme centinaia, anzi migliaia di anni, costruendo Mossul con il sudore della nostra fronte. E oggi, ci guardate da lontano, mentre siamo scacciati, umiliati agli occhi di tutti. Gli assassini del Daech (acronimo arabo di ISIS) ci hanno cacciato dalle nostre case e dalle nostre città. Addio a tutti voi. E grazie. Lasciamo, sotto costrizione, una terra che abbiamo nutrito con il nostro sangue. Yazidi raggiungono la Siria dalle montagne del Sinjar. L’Unhcr aumenta gli aiuti www.internazionale.it/news/iraq 14 agosto 2014 I In Siria, in risposta alla situazione degli Yazidi in Iraq, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha iniziato a trasferire i nuovi rifugiati dalla zona di confine al campo di Newroz, vicino ad Al Qamishli, circa 60 km ad ovest. Nel corso degli ultimi 10 giorni – riferisce l’agenzia delle Nazioni Unite, decine di migliaia di per- sone appartenenti alla minoranza Yazida hanno attraversato il confine tra Semalka Peshkabour, dopo essere transitate dalla Siria, fino al governatorato di Dohuk nell’Iraq del nord. Un numero crescente di Yazidi (circa 15mila) ha cercato protezione all’interno della Siria, dove l’UNHCR opera insieme alle ONG ed ai partner locali per fornire loro assistenza. I rifugiati arrivano esausti e profondamente traumatizzati, i 75 NOTIZIE - N. 23 piedi coperti di vesciche, dopo aver passato giorni sulle montagne del Sinjar esposti a temperature elevatissime senza cibo né acqua a disposizione e avendo poi dovuto camminare per giorni prima di trovare rifugio. Sono deboli, assetati e affamati, in particolare le donne e i bambini e molti di loro hanno ferite non medicate. «La situazione degli Yazidi rimane molto dinamica e problematica, ed è di importanza vitale che le persone riescano a ricevere aiuto e protezione» afferma l’Alto Commissario delle Nazio- ni Unite per i Rifugiati Antonio Guterres, «stiamo facendo tutto il possibile in circostanze molto difficili per rispondere ai bisogni immediati». L’UNHCR ha inviato d’urgenza tende, teli di plastica, coperte, kit igienici ed altri utensili al campo di Newroz dai magazzini nella provincial di Al Hassakeh, dove è presente dal 2010 per fornire assistenza a popolazioni di sfollati. Altri aiuti arriveranno nei prossimi giorni, incluse 2mila tende e 5mila materassi per alleviare la situazione di sovraffollamento. www.repubblica.it G Gli yazidi stanno fuggendo verso la Turchiadalla provincia di Niniveh nel nord dell’Iraq: «Veniamo massacrati. Stiamo per essere sterminati. Un’intera religione sta per essere eliminata dalla faccia della Terra. In nome dell’umanità, salvateci» ha detto Vian Dakhil, unica deputata della minoranza yazida nel Parlamento iracheno, in un video diffuso dal Washington Post. «Ci sono bambini che stanno morendo per le CAMPI PROFUGHI strade, sulle montagne». Il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, ha affermato che aiuti umanitari turchi sono stati paracadutati oggi da elicotteri iracheni sulle montagne. 76 L’Italia adotti i profughi iracheni La Caritas Nazionale ha indetto una campagna per sostenere i profughi iracheni e la nostra Caritas Diocesana si unisce a questa proposta di solidarietà. Anche il Centro Missionario si fa tramite: chi volesse sostenere l’iniziativa, può farlo con i riferimenti bancari in terza di copertina. “Avvenire”, 25 Ottobre 2014 D Da un giorno all’altro, l’avanzata dello Stato islamico ha espulso centinaia di migliaia di persone dalla Piana di Ninive. E ne ha catapultato buona parte – soprattutto cristiani – a Erbil, cuore del Kurdistan iracheno. Solo i più fortunati hanno trovato alloggio presso parenti o amici. Gli altri si sono sistemati dove hanno potuto: negli spiazzi attorno alle chiese, nei campi sportivi, dentro le scuole. Dormono in tende improvvisate, si lavano dove e come possono. Non c’è chiesa o struttura ecclesiale che non abbia il terreno occupato da qualcuno dei 120mila profughi cristiani scappati da Mosul e dalla Piana. Nella recente visita a Erbil, la delegazione Cei, guidata da monsignor Galantino, ha incontrato gli sfollati e, in accordo con i vescovi locali, ha pensato ad una forma di assistenza di lungo periodo. Don Soddu, direttore della Caritas Italiana, invita: «Chiediamo alle famiglie, alle nostre parrocchie e diocesi di aiutarci a garantire agli esuli una sistemazione degna». Maggiori informazioni al sito www.caritas.it. 77 NOTIZIE - N. 23 Un documentario sui campi profughi S Sull’argomento dei campi profughi, mi è capitato di vedere un illuminante documentario trasmesso dalla Tv – Tg 2000, i primi di settembre di quest’anno. Questo reportage è stato realizzato dal giornalista Maurizio Di Schino, inviato appunto da questa emittente in una Missione dei Carmelitani in Centrafrica. Questa è una zona ad alta tensione per le conseguenze di un colpo di stato che ha portato la popolazione civile in una situa- CAMPI PROFUGHI zione catastrofica. A tutta questa gente perseguitata non è rimasto altro da fare che rifugiarsi presso la Missione Carmelitana dove sono stati accolti. «Vista la situazione del paese, i soprusi, le violenze e le angherie di ogni genere, non potevamo assolutamente non aprire le nostre porte» – dice Padre Anastasio Roggero, nell’intervista a lui fatta ed è così che questa gente ha trovato i suoi buoni samaritani. Sono state costruite tende e baracche, utilizzando anche il legno di Teck, del quale la zona è ricca. I convenuti, grazie a una certa sicurezza, hanno potuto or- 78 ganizzarsi creando anche piccoli commerci, fabbricando mattoni e altre attività, sempre sotto l’aiuto e la direzione dei religiosi. È chiaro che i problemi non mancano, dato anche il numero dei rifugiati: «Non sappiamo neanche noi quanti siano veramente; qualche tempo fa erano più di 15.000. Tutti da sfamare!» – dice Padre Matteo Pesce. Anche la chiesa, dopo le funzioni, viene utilizzata come dormitorio. Si vedono molti bambini che giocano, ma anche gli adulti si presentano molto più sereni di quando sono arrivati qua. Non si sa quando quest’emergenza finirà, anche perché le forze contrapposte, che si combattono, non sembrano avere nessuna voglia di smetterla ed anche i soldati francesi in zona non sono in grado di far cessare i combattimenti. Il reportage si conclude con la notizia che, sull’esempio dei carmelitani, tutte le congregazioni cristiane presenti nel paese hanno aperto le loro porte ai civili in fuga, creando, a loro volta dei piccoli campi profughi. È possibile vedere il documentario al seguente link: •“Missionari di pace – Repubblica Centrafricana 1” – “TG2000 – Il post” di martedì 2 settembre 2014: http://youtu.be/NKtH0o3UtNY Altri video della missione in Centrafrica a questi link: •“Con i perseguitati – Repubblica Centrafricana 2” – “TG2000 – Il post” di mercoledì 3 settembre 2014: http:// youtu.be/SDLY99uMPJ8 •“Padre Aurelio – Repubblica Centrafricana 3” – “TG2000 – Il post” di giovedì 4 settembre 2014: http://youtu.be/ znXKwVwh6oM Mario Bottegal 79 NOTIZIE - N. 23 CHE GUSTO HA LA PACE? Amed mi fissa, serio, con i suoi occhioni scuri. Dopo qualche istante di silenzio chiede: «Cosa vuole dire la parola pace? Come è fatta? Che gusto ha?». Poi prosegue: «Neanche mio padre ha saputo descrivermela. Si capisce che neanche lui l’ha provata. Tu me la puoi raccontare?». Sorrido a ‘sto ragazzino che ho di fronte, in questo campo profughi a sud del Libano. Spiegare che cos’è la pace a chi non l’ha mai vissuta, non è da poco; è come voler raccontare un vino senza farlo assaggiare. Chi ascolta non riuscirà mai a capirne il gusto e ad apprezzarne la qualità. Il giovinetto m’incalza: «Mio nonno l’aveva provata per qualche breve tempo e, una volta, ne ha parlato. Da quello che ho capito deve avere il profumo del pane buono appena sfornato, la dolcezza della mamma quando, piccolino, mi teneva in braccio». Questa conversazione mi fa riflettere: non avevo mai pensato A CAMPI PROFUGHI che qualcuno potesse porsi domande come queste. Rispondere, come in un primo momento viene in mente, che pace è il contrario di guerra, mi sembra estremamente riduttivo ed anche non propriamente esatto. Rimango silenzioso, non ho parole sufficientemente convincenti per spiegare. Sono contemporaneamente angosciato dal pensiero che un’infinità di persone al mondo non ne abbia mai goduto al punto da non sapere cosa sia. Bimbi, adulti ed anziani che non hanno mai dormito una notte tranquilla, non hanno mai avuto certezze: la casa distrutta, la morte di parenti ed amici giunta improvvisamente dal cielo o dalla terra. Giungo perciò alla conclusione che quanto recepito da questo bimbetto sia ancora la cosa migliore e perciò gli dico: «Hai avuto la sensazione giusta e, quando la pace arriverà, la riconoscerai, perché essa ha proprio il profumo del pane appena sfornato e la dolcezza della tua mamma quando da piccolo ti teneva in braccio». 80 Mario Bottegal Campi profughi - La parola del direttore pag. 1 - Campi per rifugiati pag. 3 - Esperienze “sul campo”: notizie dalle missioni • in Sudan • in Congo • in Kenya • in Libano • in Palestina • in Egitto • nel Sinai • in Etiopia • in Thailandia pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. 9 17 24 28 34 38 41 44 49 - I Centri dell’immigrazione in Italia pag. 53 - Inserto di preghiera pag. 62 - Notizie dalla stampa missionaria pag. 66 Proposta di un gesto di solidarietà Riprendiamo qualche riga delle parole del direttore: «Da queste testimonianze ci viene un invito per guardare con serena, ma decisa, corresponsabilità a questi nostri fratelli e non nascondere la nostra testa sotto la sabbia, come fanno gli struzzi, per illudersi di poter vivere come se queste cose non esistessero! Possiamo fare qualcosa per alleviare queste sofferenze? Forse poco. Ma facciamolo! Magari un gesto di accoglienza a chi giunge nei nostri paesi; magari una lettera di solidarietà a uno dei tanti missionari coinvolti e ai loro “rifugiati”; magari un piccolo aiuto economico per i bisogni dei loro progetti; magari informare e coinvolgere i nostri gruppi o parrocchie in queste iniziative. E soprattutto reagire alla cultura dell’indifferenza o peggio, del respingimento! Infine, una preghiera è possibile a tutti… e non è cosa da poco: noi crediamo alla forza della preghiera!». Notizie Centro Missionario di Belluno-Feltre Hanno collaborato a questo numero: Luigi Canal, Ezio Del Favero, José Soccal, Chiara Zavarise, Mario Bottegal, Gianfranco Olivier, i missionari Foto a cura di Chiara Zavarise REDAZIONE C/O: Centro Missionario Belluno-Feltre Piazza Piloni, 11 - 32100 Belluno – Tel. 0437 940594 [email protected] www.centromissionario.diocesi.it Direttore di redazione don Luigi Canal Responsabile ai sensi di legge don Lorenzo Dell’Andrea Stampa Tipografia Piave Srl - Belluno Iscrizione al Tribunale di Belluno n. 1/2009 Per un aiuto economico ai nostri missionari CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO IBAN Bancario Unicredit IT73U0200811910000002765556 intestato a Centro Missionario Diocesano P.zza Piloni, 11 – 32100 Belluno Centro Missionario Diocesano Diocesi di Belluno-Feltre P.zza Piloni, 11 32100 Belluno Tel. 0437 940594 [email protected] www.centromissionario.diocesi.it Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BL Novembre 2014 - N. 23 Campi profughi STRUMENTO DI INFORMAZIONE MISSIONARIA