Notizie 23 - Centro missionario diocesano Belluno-Feltre

Transcript

Notizie 23 - Centro missionario diocesano Belluno-Feltre
Centro Missionario Diocesano
Diocesi di Belluno-Feltre
P.zza Piloni, 11 32100 Belluno
Tel. 0437 940594
[email protected]
www.centromissionario.diocesi.it
Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BL
Novembre 2014 - N. 23
Campi
profughi
STRUMENTO DI INFORMAZIONE MISSIONARIA
Campi profughi
- La parola del direttore
pag.
1
- Campi per rifugiati
pag.
3
- Esperienze “sul campo”: notizie dalle missioni
• in Sudan
• in Congo
• in Kenya
• in Libano
• in Palestina
• in Egitto
• nel Sinai
• in Etiopia
• in Thailandia
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
9
17
24
28
34
38
41
44
49
- I Centri dell’immigrazione in Italia
pag.
53
- Inserto di preghiera
pag.
62
- Notizie dalla stampa missionaria
pag.
66
Proposta di un gesto
di solidarietà
Riprendiamo qualche riga delle parole del direttore:
«Da queste testimonianze ci viene un invito per guardare con serena, ma decisa, corresponsabilità a questi nostri fratelli e non nascondere la nostra testa sotto la sabbia, come fanno gli struzzi, per illudersi di poter vivere come se queste cose non esistessero! Possiamo fare
qualcosa per alleviare queste sofferenze? Forse poco. Ma facciamolo!
Magari un gesto di accoglienza a chi giunge nei nostri paesi; magari
una lettera di solidarietà a uno dei tanti missionari coinvolti e ai loro
“rifugiati”; magari un piccolo aiuto economico per i bisogni dei loro
progetti; magari informare e coinvolgere i nostri gruppi o parrocchie
in queste iniziative. E soprattutto reagire alla cultura dell’indifferenza
o peggio, del respingimento! Infine, una preghiera è possibile a tutti… e non è cosa da poco: noi crediamo alla forza della preghiera!».
Notizie
Centro Missionario di Belluno-Feltre
Hanno collaborato a questo numero:
Luigi Canal, Ezio Del Favero, José Soccal, Chiara Zavarise, Mario
Bottegal, Gianfranco Olivier, i missionari
Foto a cura di Chiara Zavarise
REDAZIONE C/O: Centro Missionario Belluno-Feltre
Piazza Piloni, 11 - 32100 Belluno – Tel. 0437 940594
[email protected]
www.centromissionario.diocesi.it
Direttore di redazione don Luigi Canal
Responsabile ai sensi di legge don Lorenzo Dell’Andrea
Stampa Tipografia Piave Srl - Belluno
Iscrizione al Tribunale di Belluno n. 1/2009
Per un aiuto economico ai nostri missionari
CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO
IBAN Bancario Unicredit
IT73U0200811910000002765556
intestato a
Centro Missionario Diocesano
P.zza Piloni, 11 – 32100 Belluno
LA PAROLA DEL DIRETTORE
profughi, ma già negli anni
precedenti molti dalla Nigeria,
dalla Somalia, dall’Eritrea, dalla
Costa d’Avorio e dal Senegal si
erano mossi verso il Magreb.
Sulle piste del deserto del
Sahara si sono consumati
drammi umani indicibili.
Giovani pieni di vita e di
speranza sono partiti dalle loro
terre martoriate, per le città
della Libia, della Tunisia e
dell’Algeria. Il loro cammino
ha conosciuto il deserto, ma
specialmente la crudeltà dei
trafficanti di esseri umani.
Peggio ancora, quando tante vite
umane sono state respinte dai
paesi europei, Italia compresa,
e il mar Mediterraneo è
diventato un grande cimitero.
La fortezza “Europa” fa di tutto
per chiudere le sue porte, per
custodire per sé la sua opulenza.
(E noi cristiani non possiamo
accettare questo! n.d.r.)
Per questa chiusura dell’Europa,
il viaggio della speranza per
molti somali ed eritrei ha preso
il cammino dell’Egitto, per
giungere in Israele. Anche su
queste piste si sono verificati
Cari amici,
“Notizie 23” viene a noi come
un amico sicuro di incontrare
la comprensione di altri amici.
Sente il coraggio quindi di
proporre alla nostra riflessione
e corresponsabilità drammi
umanitari di estrema gravità,
quali i campi profughi che
popolano a macchia d’olio
ogni parte del nostro pianeta.
Ve ne diamo alcuni esempi,
documentati da testimonianze
di persone a noi conosciute
e quindi degne di assoluta
credibilità. In qualche caso,
situazioni che coinvolgono
anche i nostri missionari e
quindi… anche noi!
Per introdurvi alla lettura,
faccio mie le parole con
cui il bollettino del Centro
Missionario di Trento propone
lo stesso problema ai suoi
lettori:
«In questi ultimi anni stiamo
assistendo ad un grande
movimento di popoli, spinti
da situazioni estreme di vita.
La guerra di Siria (e dell’Iraq
n.d.r.) ha prodotto milioni di
1
Possiamo fare qualcosa per
alleviare queste sofferenze? Forse
poco. Ma facciamolo! Magari
un gesto di accoglienza a chi
giunge nei nostri paesi; magari
una lettera di solidarietà a uno
dei tanti missionari coinvolti
e ai loro “rifugiati”; magari un
piccolo aiuto economico per i
bisogni dei loro progetti; magari
informare e coinvolgere i nostri
gruppi o parrocchie in queste
iniziative. E soprattutto reagire
alla cultura dell’indifferenza o
peggio, del respingimento!
Infine, una preghiera è possibile
a tutti… e non è cosa da poco:
noi crediamo alla forza della
preghiera!
veri e propri crimini contro
l’umanità: ad ogni fermata i
migranti vengono venduti ad
altri trafficanti, giungendo in
Egitto in situazioni proibitive.
Per la mancanza di documenti
molti sono finiti nelle carceri
egiziane. Altri hanno continuato
il cammino fino al deserto del
Sinai, cadendo nelle mani dei
pastori beduini».
Da queste testimonianze ci
viene un invito per guardare
con serena, ma decisa,
corresponsabilità a questi nostri
fratelli e non nascondere la
nostra testa sotto la sabbia,
come fanno gli struzzi, per
illudersi di poter vivere come
se queste cose non esistessero!
Don Luigi Canal
2
(ricerca di Ezio Del Favero)
I
nel luogo di provenienza. Pertanto
i campi per rifugiati hanno come
caratteristica temporale una relativamente breve durata. Talvolta
l’eccezionalità delle cause porta
i campi ad avere durate superiori
alle decine di anni come i campi
per rifugiati palestinesi dal 1948 o
Saharawi dal 1975.
Il campo per rifugiati (o
campo profughi) è un
luogo nel quale sono
ospitati rifugiati. Il termine rifugiato è in questo
caso esteso e comprende sia i rifugiati politici
creati da eventi come
guerre civili e discriminazioni etniche verso gruppi interi o anche
rifugiati ambientali, la cui fuga dipende da disastri naturali o emergenze che portano al pericolo di
vita di gruppi di persone, per motivi che non dipendono in maniera
strettamente diretta da azioni umane. I campi possono essere situati
all’interno o all’esterno del paese
di provenienza. (Da Wikipedia)
L’UNHCR o ACNUR
La più importante e storica agenzia delle Nazioni Unite è L’UNHCR
(United Nations High Commissioner
for Refugees) o ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per
i Rifugiati) che si serve anche di
agenzie regionali che di volta in
volta assumono nomi diversi. L’insieme delle agenzie dell’Onu sostiene a vario titolo circa 21 milioni
di persone.
(www.unhcr.it) Il rifugiato è colui
«che temendo a ragione di essere
perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza
ad un determinato gruppo sociale
o per le sue opinioni politiche, si
trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della
protezione di questo Paese; oppu-
L’organizzazione
A seconda del segmento di persone che lo abitano, un campo può
essere gestito da organizzazioni diverse, solitamente non governative
o agenzie delle Nazioni Unite. Il
campo ha sempre un obiettivo di
durata temporanea, al fine di tenere unite le comunità colpite in
attesa della soluzione del problema o del ripristino di condizioni
sufficienti per ritornare a vivere
3
NOTIZIE - N. 23
chiesta d’asilo, dall’ottenimento
dello status di rifugiato fino al raggiungimento di soluzioni durevoli
(rimpatrio volontario, integrazione all’interno dei paesi ospitanti o
reinsediamento in un paese terzo).
re che, non avendo cittadinanza e
trovandosi fuori del Paese in cui
aveva residenza abituale a seguito
di tali avvenimenti, non può o non
vuole tornarvi per il timore di cui
sopra» [Articolo 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa
allo status dei rifugiati].
Le emergenze speciali
La protezione internazionale
Oggi l’ACNUR evidenzia cinque
emergenze speciali, tre di origine
politica e frutto di guerre o conflitti
striscianti, ovvero l’Afghanistan, la
Regione dei grandi laghi al nord del
Congo ex Zaire dove si sono susseguite nel tempo le conseguenze di
diversi conflitti e il Darfur dove fra
rifugiati e sfollati sono seguiti due
milioni di persone. Due di carattere ambientale: lo Tsunami e il terremoto del Pakistan.
La protezione internazionale dei
rifugiati costituisce il nucleo principale del mandato dell’UNHCR.
Tale mandato, come espresso negli statuti e nella Convenzione del
1951 sullo Status dei Rifugiati, si è
costantemente evoluto nel corso
degli ultimi 50 anni. Inizialmente,
la protezione internazionale consisteva in una sorta di surrogato
della protezione consolare e diplomatica, mentre oggi si è estesa
notevolmente fino ad assicurare ai
rifugiati il godimento dei loro diritti umani fondamentali e la sicurezza. Oltre alla Convenzione del
1951, la comunità internazionale
si è dotata di altri strumenti, sia a
carattere universale che regionale,
volti a proteggere i rifugiati.
L’UNHCR collabora con i governi
ospitanti per tutelare i diritti umani
fondamentali dei rifugiati ed adotta
tutte le misure necessarie al fine di
fornire assistenza durante l’intero
processo della protezione internazionale: dall’impedire che le persone siano rimpatriate in un paese
dove abbiano motivo di temere
persecuzioni (refoulement), alla riCAMPI PROFUGHI
Rapporto annuale 2014
Secondo il rapporto annuale Global Trends pubblicato dall’UNHCR, assistiamo per la prima
volta dalla fine della seconda guerra mondiale ad un enorme aumento di rifugiati, richiedenti asilo e
sfollati interni. In tutto il mondo
costoro superano la soglia di 50
milioni di persone. E solo nel 2013
sono aumentati di sei milioni, passando dai 45,2 milioni del 2012 ai
51,2 milioni del 2013.
Secondo lo stesso UNHCR questo rapido e significativo aumento
è stato causato in larga misura dalla
guerra in Siria e in secondo luogo
dagli esodi forzati avvenuti nella
4
Repubblica Centrafricana e in Sud
Sudan.
I dati del rapporto Global Trends
riguardano non solo i rifugiati, ma
anche i richiedenti asilo e gli sfollati interni.
mocratica del Congo (60.400) e
Myanmar (57.400) i principali paesi di provenienza dei cittadini che
hanno presentato domanda di asilo.
Rifugiati - Secondo i dati del rapporto il numero di rifugiati è di
16,7 milioni di persone a livello
globale, 11,7 milioni dei quali sono
sotto il mandato dell’UNHCR; il 55
per cento proviene da cinque paesi: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria
e Sudan.
Sfollati interni - Gli sfollati interni – coloro che sono costretti
a spostarsi all’interno nel proprio
paese – hanno raggiunto i 33,3
milioni di persone, ben 4,5 milioni in più dal 2012, rappresentando
l’incremento più elevato rispetto a
ogni altro gruppo di cui si parla nel
rapporto Global Trends.
Richiedenti asilo - Nel 2013 1,1
milioni di persone, di cui 25.300
minori (bambini che sono stati separati dai genitori o minori stranieri
non accompagnati), hanno presentato domanda di asilo e, secondo
i dati del rapporto, la Germania
è il paese con il più alto numero
di nuove domande di asilo. Siria
(64.300 domande), Repubblica De-
Apolidi - L’apolide è una persona
che non ha la cittadinanza di nessun paese (convenzione di New
York del 1954 relativa allo status
degli apolidi). Secondo quanto riportato dall’UNHCR, nel 2013 la
popolazione mondiale di persone
apolidi, non compresa nella cifra
di 51,2 milioni di migranti forzati,
ha raggiunto il numero di circa 3,5
Statistica provenienza rifugiati - UNHCR fine 2012
5
NOTIZIE - N. 23
Statistica luoghi che accolgono i rifugiati - UNHCR fine 2012
milioni di persone, sebbene si stimi che questa cifra sia circa un terzo del numero di apolidi a livello
globale.
Per maggiori dettagli, scaricare il
“Rapporto UNHCR Global Trends” e il “Rapporto Sugli Sfollati Interni” del Centro di Monitoraggio
Sugli Sfollati Interni (IDMC).
nu, che dal 1950 iniziò a fornire a
questi scampati alcuni essenziali
servizi sanitari, sociali, scolastici,
di formazione professionale e di
microcredito.
Ma per il conflitto arabo-israeliano ancora irrisolto, oggi siamo
giunti alla quarta generazione di
rifugiati.
Le Nazioni Unite sono la fonte
più aggiornata dei dati su questo
popolo senza dimora, disperso
oggi principalmente tra Gaza e la
Cisgiordania, la Giordania, il Libano e la Siria, in condizioni di vita
molto diverse.
Nel primo censimento del 1950
i rifugiati “ufficiali” erano poco
meno di 915mila, attualmente
sono oltre 4 milioni e 200mila.
I palestinesi che all’inizio fuggirono in Giordania hanno visto
via via riconosciuti i propri diritti
come normali cittadini (fatta eccezione per i 100mila palestinesi
Rifugiati e campi profughi
in Medioriente
(www.30giorni.it) Chi sono i rifugiati palestinesi? Nella definizione
ufficiale delle Nazioni Unite sono
coloro che al momento del primo
conflitto arabo-israeliano del 1948
vivevano già da due anni in Palestina, e a causa della guerra hanno
perduto la propria casa e i mezzi
di sostentamento.
Questa triste condizione legittimava a iscriversi, su base volontaria, nei relativi registri dell’OCAMPI PROFUGHI
6
pi profughi sono 10 e ci vivono oltre 280mila persone.
In Siria ci sono 10 campi per circa 112mila rifugiati.
In Libano esistono 12 campi profughi, dove, secondo l’Onu, c’è la
più alta concentrazione di persone e povertà, e i 210mila rifugiati
che lì vivono sono considerati in
stato di “speciale privazione”. Tale
è l’isolamento e la frustrazione
che agli estranei è sconsigliato di
entrare in questi campi. Anche
l’ex premier israeliano Ehud Barak
si trovò un giorno a confessare
che se fosse rimasto così a lungo
in un campo profughi sarebbe lui
stesso diventato un terrorista.
A Gaza c’è una densità di profughi che è tra le più alte del mondo:
8 campi alloggiano 471mila rifugiati; in uno, Camp Beach, 78mila esseri umani vivono in meno di un
chilometro quadrato. E quando il
check point di Karni, tra Gaza e
Israele, viene chiuso dall’esercito
di Israele per motivi di sicurezza,
gli aiuti umanitari non passano, e
la crisi è immediata.
In Cisgiordania, 181mila rifugiati
vivono sparsi in 19 campi.
venuti originariamente da Gaza,
allora sotto l’Egitto, e lasciando
da parte episodi come il “settembre nero” del 1970). Oggi sono
953mila.
In Siria, dove risiedono 424mila
rifugiati, la situazione è stata di
progressiva, anche se non piena,
integrazione sociale.
In Libano, i rifugiati sono 400mila
senza diritti civili né assistenza.
A Gaza appartengono alla categoria dei rifugiati 961mila persone, cioè i tre quarti della popolazione della Striscia.
In Cisgiordania gli oltre 687mila
rifugiati residenti scontano in prima persona anche i problemi sorti
con il “muro” che li separa da Israele.
Ma le cifre sin qui riportate nascondono una realtà ben più amara, perché tra i rifugiati ci sono
quelli che, ancora oggi, vivono
esclusivamente nei campi profughi gestiti dall’Onu (a cui dovrebbero aggiungersi i numeri dei cosiddetti campi “non ufficiali”).
Ecco i dati, almeno dei campi ufficiali.
In Giordania attualmente i cam-
7
NOTIZIE - N. 23
notizie dalle missioni
Le testimonianze che seguono giungono dai nostri missionari bellunesi o
da persone che abbiamo conosciuto nel nostro cammino.
Sfogliando le pagine seguenti, può nascere in qualcuno il desiderio di
cogliere l’invito a sostenere con un’offerta una della missioni. Potrà
farlo, passando di persona presso il nostro ufficio, o tramite i riferimenti
bancari in terza di copertina di questa rivista, esprimendo nella causale
“Campo profughi” e il nome del missionario di riferimento.
Grazie e buona lettura!
CAMPI PROFUGHI
8
Sudan
Riportiamo una lettera di suor Costanza Gaio,
missionaria comboniana in Sudan, originaria di Lamon
Verona, 18 ottobre 2014
Saluti dall’Italia! fine della settimana scorsa hanno
Sì, sono rientrata nuovamente attaccato Renk che si
un mese fa.
trova ai confini con il Nord Sudan.
Dopo una visi- Nuova fuga, nuove morti e distruta in famiglia, mi zioni... Anche le nostre consorelle,
trovo ora a Vero- che erano da poco ritornate, hanna, Cesiolo, dove no appena fatto in tempo a scappasi viene quando re! E dove va, chi ce la fa a scapsi ha bisogno di qualche controllo pare? Arrivano in uno stato pietoso
medico. Grazie a Dio, nell’insieme nelle varie città del Nord, molti
sto bene.
appunto a Wad Medani! E cosa troHo lasciato Wad Mevano? Difficoltà senza
dani con tanto dolore!
numero: non essendo
Le donne a serIn me e in tutti c’è una
più cittadini: lavoro lo
vizio, gli uomini
forte speranza di ritrovano sì e no (più
come manovali o a
tornare quanto prima.
no, che sì), le donne
far mattoni, i bamPer il momento non
a servizio, gli uomibini al mercato a
c’è che dire: «sia fatta
ni come manovali o a
vendere sacchetti
la Tua volontà, Signofar mattoni, i bambini
o come facchini...
re», mentre al tempo
al mercato a vendere
stesso tutti e tutto si
sacchetti o come facaffida alla sua infinita
chini... Alcuni, grazie
Misericordia.
a Dio riescono con tanta difficoltà
Che situazione abbiamo lascia- ad andare a scuola. So che a Kharto? Sono certa che siete al corrente toum e ad Omdurman ci sono andi quanto è successo e sta tutt’o- che campi di profughi.
ra succedendo nel Sud Sudan. La
Io sono solo passata in fretta da
S
“
“
9
NOTIZIE - N. 23
Khartoum, ma ho scritto a una mia
consorella, suor Flora Fumagalli,
che vive e opera nel campo rifugiati, per avere informazioni precise
su quella realtà.
Questo è quanto mi dice:
«I tuoi amici parlano di campi
di “profughi”, ma sarebbe meglio
chiamarli, come dici bene tu “rifugiati”, perché di solito i profughi
sono accolti e provveduti delle prime necessità invece la nostra gente che torna dal Sud Sudan per la
seconda volta, torna a mani vuote
e non trova né casa, né lavoro ad
attenderli; purtroppo devono iniziare la loro vita ancora da zero.
CAMPI PROFUGHI
Dove vado io sono giunte centinaia di persone, in particolare dalla
zona di Malakal e dintorni. Quei
pochi shilluk che erano rimasti al
Nord hanno aperto le loro già povere capanne per accoglierli. Così
in una famiglia dove prima vivevano 5 persone ora ce ne sono 15
e credo che solo la Provvidenza li
aiuta a sopravvivere. Infatti la loro
confidenza in Dio è molto grande
e tra loro non trovi persone depresse o disperate.
Un grosso problema è l’educazione dei bambini che sono moltissimi e al Sud hanno imparato un
po’ di inglese, ma sono completamente digiuni della lingua araba e
10
non possono aggiungersi a quelli “raksha” la portavano all’ospedale
che già abbiamo nei nostri centri. più vicino, è spirata. Si chiamava
Pensa che, a Dar El Salam, la par- Habiba e si stava preparando alla
rocchia ha 2 scuole elementari e 1a Comunione. Dall’autopsia è riuna scuola superiore da sostene- sultato che aveva ingerito del cibo
re e portare avanti. I
deteriorato che le è
bambini sono più di
stato causa di avvele300, tutti cristiani, ma
namento.
Hanno aperto
molti di loro orfani o
Questo per dirti in
le loro già povere
di padre o di madre
che situazione vive
capanne per accoe anche quelli che
questa gente.
glierli.
hanno i genitori fanQuello che mi edino fatica a pagare una
fica è la loro forza di
minima retta, perché
sopportare e il coragil papà non trova lavoro e si deve gio unito alla fede di andare avanaccontentare di essere pagato a ti, sperando in un futuro migliore.
giornata.
Il 10 ottobre, festa di San Daniele
Il mese scorso, purtroppo, è Comboni, si sono ritrovati tutti in
morta una scolaretta di 5a elemen- parrocchia per una S. Messa solentare, proprio durante le lezioni. ne con canti e danze, seguita dalla
Non si sentiva bene, ha chiesto di recita di poesie e teatro dei bamuscire dalla classe e ha vomitato un bini della scuola, alla presenza dei
po’, poi è svenuta. Mentre con una loro genitori. Con un po’ di acqua
“
“
11
NOTIZIE - N. 23
fresca e qualche caramella, la gioia
Leggendo lo scritto di Suor Floera sul volto di tutti.
ra, ho rivissuto la mia situazione
Mentre ti scrivo, sta ancora pio- di Wad Medani, dove, pure lì,
vendo ed è un po’ strano per que- coloro che fanno ritorno (o «vensto tempo dell’anno. Penso a tutto gono» perché non erano al Nord
il fango delle strade e alle numero- prima della divisione del Sudan)
se capanne fatte di sacchi e cartoni sono in continuo aumento.
che non riusciranno a proteggere
Siccome ora risultano emigrati
i loro abitanti. Molti si
in un paese ostile (il
ammalano e mancano
nord non voleva la
dispensari e medicine.
separazione), lascio
Con un po’ di acQuesta, in breve, è
alla vostra immaginaqua fresca e qualche
la situazione del cenzione la loro situaziocaramella, la gioia
tro in cui vado e anche
ne.
era sul volto di tutti.
degli altri centri sparsi
Un semplice esemalla periferia di Kharpio: Rebecca, una vetoum. Finora la diocesi
dova con due bambinon ha potuto aiutare nessuno, non ne, si era fatta una stanzetta con
avendo ricevuto aiuti dall’estero. mattoni di fango, formati da lei
Ma la confidenza in Dio è grande e stessa, coperta con un pezzo di
con essa andiamo avanti.
tenda.
Quest’estate ho approfittato delLa polizia statale le ha tolto per
le vacanze scolastiche per dare un ben due volte la «tenda» che facorso di alfabetizzazione agli adulti ceva da tetto, portandole via an(donne e uomini), anche per sen- che il solo letto che aveva!
sibilizzarli sul problema dell’eduEcco carissimi quanto posso ofcazione dei figli. Alla domenica frire.
partecipo alla S. Messa e spiego il
Con la speranza di rivederci, in
Vangelo ai bambini prima della li- unione di preghiera, saluto caraturgia.»
mente.
“
“
Suor Flora Fumagalli
CAMPI PROFUGHI
12
Suor Costanza Gaio
Ci scrive Stefano Battain,
giovane cooperatore originario di Canale d’Agordo
23 ottobre 2014
S
Sono una bottiglia poca acqua rimasta, si è asciugato
di plastica, non ri- con le mani la bocca grande e ha
cordo bene, ma orgogliosamente detto: «Facciamo
credo di essere in fretta che ho fame». Ha fatto un
nata in Kenya, o in giro nel campo rifugiati, una disteUganda, appena sa marrone e verde, allagata per le
nata, dopo 3 gior- piogge degli ultimi 2 mesi, un lago
ni di viaggio mi di fango, escrementi ed immondihanno portato in un negozio polve- zia, con migliaia di uomini, donne
roso, ero esposta su uno scaffale in e bambini. Dicono che sono straun negozio davanti alla moschea, il nieri, ma a me sembrano uguali agli
posto si chiama Pariang, dicono che altri. Dopo che il signore alto mi ha
gettato per terra, sono
sia da qualche parte in
stata raccolta da una
uno stato nuovo, che si
bambina, avrà avuto 4
chiama Sud Sudan. Un
Dicono che sono
o 5 anni, piccolina, mauomo con la pancia, la
stranieri, ma a me
gra, scalza, fango fino
giacca e la cravatta che
sembrano uguali
alle ginocchia e delle
la gente chiama onoagli altri.
meravigliose treccine,
revole mi ha compracorte, chiuse in elastita. Avidamente, mi ha
ci gialli, rosa, rossi e
afferrata e ha bevuto
quasi la metà dell’acqua che avevo azzurri. Quando mi ha visto, il suo
dentro. Mi teneva stretta, con le sue viso si è aperto in un grande sormani grandi, lunghe e sudate. Sia- riso bianco e luminoso gridando:
mo andati in uno spiazzo pieno di “Crystal!”, felicissima mi ha preso
tende bianche che chiamano cam- in mano come nessuno aveva mai
po rifugiati, è sceso dal fuoristrada fatto, con affetto, sorpresa e devobianco, ha dato un ultimo sorso alla zione. Awadia, credo sia il nome
“
“
13
NOTIZIE - N. 23
della bimba, che tutti chiamano per
provare a rubarmi dalle sue mani;
ma Awadia non mi ha mollato, mi
ha preso, portata ad un pozzo e mi
ha riempito d’acqua, contentissima
ha appoggiato le sue labbra sottili e
un po’ screpolate, poi mi ha passata ad una sua amica, che si chiama
Rabha, anche lei lunga, magra e dai
vestiti sporchi di terra, consumati e stracciati. Con me in mano mi
sembrano felici, giocano, guardano
dentro, mi accarezzano, mi sento
amata e venerata come un oggetto
nuovo e speciale, nessuno mi aveva
mai fatto sentire così prima, voglio
bene a queste bimbe che mi hanno
accolto e amato.
CAMPI PROFUGHI
Awadia e Rabha sono solo due
delle centinaia di migliaia di bambine e bambini che dal dicembre
2013 hanno abbandonato, forzatamente e con il cuore carico di paura, le loro case. Il Sud Sudan, il più
giovane Stato al mondo, nato nel
luglio 2011 scindendosi dal Sudan
con un referendum organizzato 6
anni dopo gli accordi di pace del
2005. Una pace fragile quella fra
Sudan e Sud Sudan, in continuo
bilico, tanto che nel 2012 le tensioni hanno portato alla chiusura del
confine e all’interruzione del flusso
del petrolio che dal Sud Sudan viene trasportato sulle coste del mar
Rosso passando attraverso il Su-
14
dan. Un rapporto travagliato quello
fra Khartoum e Juba, ma non quanto le relazioni interne al neo-Stato,
dove l’avidità economica e l’ambizione politica hanno riaperto vecchie ferite fra gruppi etnici, in particolare fra la tribù Dinka e la tribù
Nuer. Il dissenso fra i due maggiori
leader politici, il presidente Salva
Kiir (dinka, tuttora in carica) e l’ex
vicepresidente Rieck Machar (nuer,
esautorato a luglio 2013), ha fatto
ripiombare il paese nella guerra
civile. Questi due “elefanti” hanno sfruttato differenze etniche per
mobilitare giovani a combattere
e spinto il paese verso uccisioni a
sfondo etnico, mentre 12 milioni di
“fili d’erba” sud sudanesi ne stanno
pagando le conseguenze e continuerrano a pagarle per molti anni.
Dopo mesi di tensione politica in
continuo aumento, il 15 Dicembre
2013 un’incomprensione fra il Presidente Kiir e i soldati della guardia
presidenziale ha fatto scoppiare il
conflitto. Juba, la capitale del Sud
Sudan, è piombata nel caos e migliaia di persone sono state uccise
a sangue freddo per la sola appartenenza etnica.
Negli ultimi 10 mesi, un milione e
400 mila sud sudanesi sono fuggiti
dalle loro abitazioni per scappare
dalla guerra e dalla violenza per
cercare un rifugio, dove la loro vita
non fosse in pericolo. Altri 463.000
sud sudanesi sono rifugiati all’estero, nei paesi confinanti: Etiopia,
Kenya, Uganda e addirittura Sudan.
Negli ultimi 3 anni, gli effetti com-
binati dei conflitti tuttora in corso
in Sudan (nelle regioni del Sud Kordofan e del Nilo Blu) e in Sud Sudan (Stati di Unity, Nilo Superiore
e Jonglei) hanno causato due flussi
di disperati: 220.000 rifugiati Sudanesi sono ora in Sud Sudan, mentre
100.000 Sud Sudanesi si trovano in
Sudan.
Fra sfollati interni e rifugiati, quasi 1 milione e 900 mila persone, un
sud sudanese su 6 non vive più
dove viveva un anno fa, tutti hanno
perso molti famigliari ma anche tutto ciò che possedevano: casa, campi, attrezzi agricoli, mucche, capre… come se tutti gli abitanti della
Regione Calabria si fossero spostati
15
NOTIZIE - N. 23
in pochi mesi. In questo momento, scorte finiranno presto e per feboltre 100.000 persone vivono anco- braio-marzo 2015 già si prevede un
ra all’interno delle basi militari del- nuovo rischio di carestia per quasi
4 milioni di sud sudanesi che non
le Nazioni Unite.
Queste cittadelle fortificate che hanno potuto coltivare e non hanospitano i caschi blu dell’ONU, vi- no accesso a rifornimenti di beni di
sta la crudeltà del conflitto, per la prima necessità.
La stagione delle pioggie sta per
prima volta nella loro storia hanno
dato ospitalità a civili, evitando così finire, le strade si seccherranno
un tremendo massacro a base etni- presto, permettendo ai camion di
viveri di muoversi, ma permettenca.
Il rimanente milione e 300 mila do anche agli eserciti contrapposti
sfollati interni vivono in campi al- spostamenti più rapidi. Nei prossilestiti dalle agenzie umanitarie in mi mesi si teme una riaccensione
delle ostilità e un inavarie parti del paese,
sprimento dei comma concentrate sobattimenti, visto che
prattutto nei tre stati
Oltre 3 milioni
le estenuanti e sterili
petroliferi: Unity, Nilo
di sud sudanesi
trattative di pace in
Superiore e Jonglei.
hanno sfiorato la
corso ad Addis AbeIn 10 mesi di concarestia nel 2014.
ba non hanno portato
flitto, i profughi sono
quasi nessun frutto, se
aumentati a vista d’ocnon una fragile tregua
chio, così come le epidemie di colera, malaria, infezioni fra gli eserciti.
Con questa situazione non resta
polmonari e intestinali legate alle
precarie condizioni di vita, spesso che sperare che i due elefanti trovinel fango e in ripari di fortuna co- no un accordo (o si tolgano di mezstruiti con qualche palo di bamboo zo) e che si avvii un vero processo
e nylon, distribuiti dalle organiz- di pace, per ricucire le ferite e inizazioni non governative. Il proble- ziare da capo la costruzione di una
ma dell’alimentazione, già povera, nazione dove tutte le etnie, lingue,
in un paese che ancora prima del religioni e idee politiche convivano
conflitto doveva importare grandi in maniera pacifica. Se non smetquantità di cibo è ora davvero allar- terà la pioggia di pallottole, non
mante. Oltre 3 milioni di sud suda- rimane che continuare ad assistere
nesi hanno sfiorato la carestia nel e stare al fianco dei milioni di “fili
2014, ora il raccolto del sorgo, prin- d’erba” sud sudanesi che stanno
cipale cereale del paese, ha portato soffrendo, in attesa del sole, che
un leggero sollievo per le tante fa- prima o poi, arriverà, “in shaa allah!”
miglie che sopravvivono con uno, (se Dio vuole).
massimo 2 pasti al giorno, ma le
Stefano Battain
“
“
CAMPI PROFUGHI
16
R. D. del Congo
Nella periferia di Goma (Nord-Kivu) nella RD del Congo ci sono numerosi
campi di sfollati, frutto di una guerra che dura da 20 anni, importata dai paesi
vicini e orchestrata da potenze internazionali per la disputa delle ricchezze
minerarie della regione. Attualmente sono circa 120.000 i rifugiati, distribuiti in
6 campi profughi: Mugunga, Bolengo, Ngangi, Katoi, Ndosho, Kanyaruchinya.
Qui svolge il suo lavoro pastorale Padre Pino Locati – un missionario di
Bergamo incontrato da don Luigi Canal durante il suo pellegrinaggio, lo scorso
luglio – che ci rilascia questa testimonianza.
L
Lunedì 17 dicembre, sono partito per visitare il
Campo Mugunga
3 che non avevo
ancora visto. È
qui che avvengono le maggiori
violenze notturne: già cinque volte questo Campo è stato attaccato
da banditi in uniforme militare che
hanno rubato quel poco che resta
di quanto la gente aveva con sé,
inoltre violentato una quindicina
di donne e una volta portato via
una dozzina di capre!
La polizia è vigilante di notte ma
solamente da una parte del campo e quindi gli assalitori possono
entrare indisturbati dalla parte opposta e fare le loro rapine impunemente. È difficile stabilire con
precisione il numero esatto degli
sfollati in questo Campo, c’è un
flusso continuo di persone, i residenti oscillano sui 15.000, le cifre
sono variabilissime da una settimana all’altra; nel Campo Mugunga 1,
17
NOTIZIE - N. 23
i residenti sono sui 14.000.
All’arrivo, come di consueto mi
sono presentato alla polizia per
informarla della mia visita. Ho
percorso i sentieri di pietra lavica
attraverso il Campo, fatto di tende costruite con dei teli, sembra
un accampamento militare ma
non lo è: è il Campo dei nullatenenti. Le file di tende sono bene
allineate a differenza del Campo
Mugunga 1, dove le casupole di
paglia sorgono senza alcun ordine geometrico. Sono teli bianchi
offerti dall’OXFAM e dall’UNICEF
con tanto di scritte di pubblicità
per la ONG implicata nel dono.
Trovo perfino dei tacchini e una
capra a un crocevia, sono animali portati dai villaggi. La povertà è
sempre grandissima. Come faccia
questa gente a resistere in quelle
condizioni, non lo sapremo mai!
Comprendo che in tempi di guerra e d’insicurezza, anche noi pur di
sopravvivere possiamo adattarci a
tutto! Forse è la forza della rassegnazione che tiene in vita queste
popolazioni, da decenni i congolesi soffrono ogni sorta di disagio e
di umiliazione, e la rassegnazione
li aiuta a sopravvivere ma non a vivere. D’altronde, ribellarsi contro
chi? Chi li ascolta? Dal 1885, anno
della spartizione dell’Africa al Congresso di Berlino, non ho ancora
letto di un governante in Congo
che abbia fatto realmente gli interessi del popolo. Patrice Lumumba
e Laurent Kabila (il precedente presidente) hanno cominciato delle riforme sociali e nazionali ma sono
stati assassinati entrambi.
Camminando, ritrovo il viottolo
Campo profughi di Goma.
CAMPI PROFUGHI
18
principale con un fondo lavico e
là una folla di persone con un andirivieni in tutti i sensi. Mi sembra
di ritrovarmi nell’anno 6 avanti Cristo al momento del censimento
imperiale voluto da Cesare Augusto e con Quirino console in Siria
e un impressionante numero di
viaggiatori come Giuseppe e Maria da un capo all’altro della Palestina per farsi recensire. Forse sto
galoppando troppo con l’immaginazione ma scrivo semplicemente
il sentimento e la sensazione che
ho vissuto, probabilmente trovandomi in questo tempo di Avvento
che prepara il Natale. Vado avanti
e indietro anch’io come vagante
nella fitta rete dei viottoli di questo mondo impigliato dalla paura
e dalla desolazione. Mi raggiunge il responsabile del Campo che
mi fa entrare in una grande tenda
dove alloggiano parecchie donne
ed anche degli uomini, una grande
promiscuità! Un’altra signora mi si
avvicina per dirmi che nel campo ci
sono 123 donne colpite dall’AIDS
e invocano un aiuto. Mi dà il suo
numero telefonico. La chiamerò
tre giorni dopo e il numero sarà
“non-autorizzato”. Mah! Non so
che pensare! Dappertutto gente,
gente, gente! Mi si dice che altri
sfollati stanno arrivando nei campi
dappertutto! Fuggono dagli invasori e da orde di predoni e assassini impuniti che si annidano nella
foresta.
Che posso fare? Racconterò al
comitato dei religiosi/se quanto ho
visto e sentito. Decideremo insieme come aiutare ed alleviare un
poco le sofferenze di queste per-
Padre Pino Locati a Goma.
19
NOTIZIE - N. 23
I caschi blu sono detestati dapsone. La sola soluzione vera resta
quella del ritorno ai loro villaggi pertutto in Congo! E ciò la dice
ma è impossibile: occorre prima lunga sulla loro presenza qui!
Non c’è la volontà politica di
che la zona sia protetta.
Succede invece che i 6.700 caschi fermare i massacri perché una siblu presenti nel Nord-Kivu stiano a tuazione come questa fa comodo
guardare. La consegna ricevuta dai a tutti quelli che ci “mangiano soloro governi rispettivi è chiara: non pra”: governi, istituzioni bancarie,
vogliono avere vittime tra i propri società minerarie, eserciti e classe
politica!
soldati in Congo.
Il profeta Amos direbbe che i
E allora se non vogliono opporsi
ai banditi per proteggere la gente, congolesi valgono meno di due
paia di sandali se pesache ci stanno a fare
ti sulla bilancia di quequi? Davanti all’aerTutta questa gensti calcolatori senza
oporto, c’è ora un
te abbandonata, a
scrupoli! Davanti alla
carro armato onusiachi deve credere e
corte penale internano, serve per sparare
dare fiducia?
zionale occorrerebbe
evidentemente,
ma
portare non pochi di
contro chi? Contro i riquesti politici di fama
belli o gli sfollati? Non
mondiale che hanno
lo so più, purtroppo ci
sono delle connivenze ad alto li- favorito con il loro silenzio il masvello anche tra la gerarchia militare sacro di milioni di uomini! Chi ha
onusiana e i ribelli! È una questio- favorito il massacro di più di 40.000
ne di traffici illeciti e di guadagni civili in Siria? Non occorrerebbe alfavolosi! E allora tutta questa gente lora condurre davanti al tribunale
abbandonata, a chi deve credere e internazionale?
dare fiducia?
Padre Pino Locati
“
“
CAMPI PROFUGHI
20
Campo-sfollati di Ngangi a Goma.
D
Domenica 25 no- campo degli sfollati di Ngangi per
vembre, festa so- la terza volta, trovo i bambini che
lenne di Cristo Re giocano con una corda funzionanper noi cattolici. te come liana, vi si aggrappano e si
Prendo la prima slanciano come Tarzan nella giunmoto-taxi, discu- gla. Vedo i teli sotto i quali molte
to il prezzo del famiglie hanno trascorso la notte,
trasporto come si alcuni sono forati, dei focherelli
fa nei sook (mercati) arabi, e via per sono ancora accesi, le mamme mi
recarmi a Ngangi! A metà strada, la chiedono una foto souvenir del
foratura della ruota posteriore! Le loro bambino, eccomi! In questi
strade sono talmente accidentate, ultimi tre giorni, la PAM ha forninon mi meraviglio che le forature to da mangiare a tutti i presenti,
siano frequenti! Chiamo un’altra meno male!
Il piazzale si riempie
moto-taxi e arrivo a
poco a poco. In genere
Ngangi per la Messa
ci sono circa 800-1000
delle 7. Sono appeVedo i teli sotto
persone del quartiere
na le 6.30, entro nella
i quali molte faNgangi per la Messa,
grande sala sportiva,
miglie hanno traoggi secondo il padre
è impossibile svolscorso la notte.
Piero Gavioli, sono
gere la celebrazione,
almeno 2.000 con gli
troppa gente, mamsfollati presenti, senza
me e bambini stanno
ancora riposando, senza contare contare i bambini, a centinaia. Tuti sacchi e il bailamme generale. Mi to è ben disposto, ordinato, pulito.
chiamano fuori e mi dicono che la Complimenti agli organizzatori!
Messa sarà celebrata all’aperto nel Mi vesto da celebrante e mi “lancio
piazzale della scuola. Ok, vado! all’attacco” di questa celebrazioNell’attesa mi aggiro a vedere il ne. Una processione danzante per
“
“
21
NOTIZIE - N. 23
Mamma e figlia nel campo profughi.
l’entrata, il canto del Kyrie eleison
con 4.000 braccia alzate, l’intercessione e le letture. Di domenica,
quando sono chiamato nelle parrocchie, non riesco più a leggere il
Vangelo, lo racconto a memoria in
swahili. Scelgo il brano di Matteo:
il giudizio universale. Lo conosco
a memoria, l’ho raccontato parecchie volte, anche nel mio paese
natio all’occasione della festa di S.
Rocco. Sul palco cammino e racconto il Vangelo come si faceva
una volta nelle piazze del medioevo quando la gente non conosceva
le Sacre Scritture. Tutti sono seduti,
CAMPI PROFUGHI
ascoltano, nessuno sbadiglia, attenuo o alzo la voce a seconda che il
Re si rivolga ai giusti o agli ingiusti,
le mie mani accompagnano la mia
voce. Mi ricordo che a mio padre
piaceva “fare del teatro” quando
andava in giro con la carretta a vendere qualche cesta di frutta e verdura per il paese. Io non vendo ma
annuncio la Parola, utilizzo però la
stessa arte di mio padre per richiamare l’attenzione della gente.
Due messaggi: beati coloro che
danno da mangiare a voi presenti
ma beati anche voi che soffrite perché Dio è in voi; a voi appartiene
22
il Regno mentre agli empi la tene- questa gente, nei prossimi giorni
bra eterna. Poche parole, alla gen- ritorneranno tutti a casa loro, forte stanca e scoraggiata non occor- se già da domani se sono reperiti
re dire molte cose, bastano uno o camion per trasportarli. Volevo che
due messaggi, chiari, forti e possi- alla fine di una settimana terribibilmente incisivi. Ho cantato il pre- le, vissuta nel terrore, nella fame,
fazio in modo solenne, volevo rin- nella privazione di ogni conforto
cuorare tutta quella gente con un materiale, queste persone potescanto melodioso e partecipativo sero tornare con un sorriso ai loro
con tanto di ritornello alla fine di villaggi, ricordando che ancora
ogni strofa del prefazio secondo il possiamo cantare al Dio miseririto congolese. C’è stata una buona cordioso che non si scorda di noi,
reazione e poi l’esplosione è avve- è attento alle nostre vicende e ci
accompagna per non
nuta al momento del
soccombere all’ansia
Sanctus. Finalmente ho
dovuta alla paura.
visto la folla sorrideVolevo che queAlla fine della Messa,
re! Il sorriso! Quanste persone pouna
benedizione canto fa bene al cuore e
tessero tornare
tata
in latino come il
all’anima quel sorriso
con un sorriso ai
Papa
dal balcone delspontaneo, sincero,
loro villaggi.
la basilica di S. Pietro,
limpido come l’acqua
e perché no? Per dare
di montagna!
un sapore di altezza,
Il cuore si libera, la
gola si scioglie dai nodi dell’an- grandezza, maestosità alla celegoscia, le mani vibrano, le braccia brazione e la gente parta con un
sono alzate e piedi ritmano al suo- gran sorriso nel cuore. Quel sorrino dei tamburi, della pianola e del- so, l’ho visto nelle donne del coro,
le chitarre elettriche! Tutto il corpo partite danzando e sorridendo alla
diventa un’espressione di festa e di vita! Sempre mi ripropongo la domanda: com’è possibile che questa
lode a Dio Creatore!
Al canto del Padre Nostro, ci sia- gente, martoriata dagli avvenimenmo dati la mano e abbiamo esegui- ti, riesca ancora a glorificare e a
to il canto come se fossimo sulle sorridere a Dio? Anche nell’anfionde del lago Kivu, dondolando teatro di Nerone, come facevano
leggermente come una barca di i cristiani a lodare il Signore poco
pescatore, spinta dal vento. Proba- prima di essere sbranati dai leoni?
bilmente è l’ultima volta che vedo
Padre Pino Locati
“
“
23
NOTIZIE - N. 23
Kenya
Il missionario della consolata, lamonese, Mons. Virgilio Pante è vescovo nella
Diocesi di Maralal, nella savana del centro del Kenya, distante dai luoghi di
confine in cui sono presenti i campi profughi. Ci ha però permesso di contattare
chi lavora direttamente all’ufficio “Migrants – Refugees” di Nairobi, fornendoci
informazioni sui due più grossi campi profughi del Kenya: Dadaab e Kakuma.
Maralal, 22 ottobre 2014
Il campo profughi di Dadaab è situato a Nord Est
del Kenya, nella diocesi
di Garissa, vicino al confine con la Somalia. È affollatissimo: ospita addirittura mezzo milione di
rifugiati somali, scappati
dalla Somalia, ove ci fu anarchia
per oltre 20 anni, dal 1990. Oggi, i
soldati dell’Amisom (Kenya-Etiopia-Djibuti-Sierra Leone-Burundi)
hanno (quasi) vinto gli estremisti
islamici Al Shabaab ed ora la Somalia ha finalmente un suo governo,
perciò la gente viene incoraggiata
a ritornarsene a casa in Somalia,
anche se ha ancora parecchia paura.
Il campo profughi di Kakuma è
situato invece nel Nord Ovest, nella diocesi di Lodwar, vicino al Sud
Sudan. Ospita circa centosettanta-
I
CAMPI PROFUGHI
mila profughi, ma il numero continua a crescere, perché la guerra
in Sud Sudan continua. La maggioranza dei profughi proviene infatti
dal Sud Sudan, ma non solo. Sono
abbastanza bene organizzati: scuole e servizi vari, assistenza religiosa
da parte della diocesi di Lodwar. Ci
sono anche cristiani, mentre a Dadaab sono tutti musulmani.
Purtroppo non ho visitato nessuno di questi due campi, data la
distanza da Maralal e l’insicurezza.
Un giorno, se mi accompagnano
vorrei andare a Kakuma.
Il Kenya, pur essendo povero, circondato da paesi instabili e guerreschi, è molto ospitale e condivide
quel poco che ha. È aiutato dalle
Nazioni Unite (UN) che sono presenti con mezzi, cibo e strutture,
se no non ce la farebbe. Spesso
la gente kenyana (pastori nomadi)
che vivono attorno ai campi pro-
24
Campo profughi di Dadaab.
fughi si lamenta, perché i profughi
hanno sempre qualcosa da mangiare più di loro. Però nei campi c’è
odio, razzismo, violenze varie, anche dovute all’affollamento e alla
mancanza di privacy. Girano anche
tante armi tra i profughi (specialmente a Dadaab).
Mons. Virgilio Pante
Nairobi, 27 ottobre 2014
V
Vi descrivo brevemente la situazione, che sta peggiorando sempre
più, a causa delle
piogge e del continuo aumento
di profughi. Il nostro intervento si
focalizza soprattutto nell’aiuto ai
bambini, ma in generale ha lo scopo di far sentire i rifugiati, migranti
e nomadi, come persone create ad
immagine di Dio, con la propria dignità di uomini, e non solo numeri
per le statistiche.
Il campo profughi di Kakuma si
trova nella regione Turkana, a circa
125 Km da Lodwar e 95 Km da Lokinchoggio, la città più vicina confinante con il Sud Sudan. Il campo
è nato nel 1992 per accogliere rifugiati da Sudan, Somalia, Etiopia,
Repubblica Democratica del Congo, Congo Brazzaville, Burundi,
Uganda, Eritrea, Rwanda e pochi
altri come Zimbabwe e Tanzania.
Con la firma degli accordi di pace
25
NOTIZIE - N. 23
in Sudan, c’erano speranze che il destinato a crescere: ci si aspetta
numero di rifugiati calasse e che arrivi a 50.000, per la fine dell’anno.
molti tornassero ai propri paesi di La popolazione totale ospitata a
origine; per un breve periodo, così Kakuma è di circa 179.000 persone,
avvenne. Nel frattempo, il campo di cui circa 100.000 dal Sud Sudan
e 46.000 dalla Somalia,
di Dadaab si riempiva
il resto dalle altre parti
sempre più, e molti
dell’Africa.
rifugiati dalla Somalia
Non so da dove
Il 20 di questo mese
si spostarono a Kakucominciare,
ho
c’è
stata un’alluvione
ma. Quando poi, nel
appena perso il
nel
campo.
Le piogge
dicembre 2013, scopmarito nell’alluhanno
riempito
i fiumi
piò nuovamente la
vione.
che hanno straripato.
guerra in Sud Sudan,
Oltre 543 case sono
il numero di rifugiati
cadute, e l’UNHCR inin Kenya aumentò notevolmente. Le attuali statistiche sieme ad altri partner sta provando
mostrano che, solo in quest’ultimo a ricollocare le persone coinvolte.
Riportiamo la testimonianza di
anno, ci sono circa 43.830 rifugiati
solo dal Sud Sudan, e il numero è Leonie Ndayishimiye, 27enne del
“
“
Alluvione nel campo profughi di Kakuma.
CAMPI PROFUGHI
26
Mons. Virgilio Pante impegnato nella commissione per rifugiati, migranti e nomadi.
Burundi, arrivata con la famiglia a
Kakuma nel 2011, per fuggire a una
persecuzione nel suo paese: «Non
so da dove cominciare, ho appena
perso il marito nell’alluvione, ho 4
figli e nessuna fonte di sostentamento. Mio marito era tutto quello
che avevo..». Molte famiglie hanno
bisogno di supporto in differenti
forme. Dobbiamo intervenire, per
sostenerli spiritualmente e con assistenza economica.
27
Mrs. Margaret Masibo,
Coordinatrice Nazionale del Kenya
della Commissione per Rifugiati,
Migranti e Nomadi
NOTIZIE - N. 23
Libano
Il rapporto di amicizia e di collaborazione che da qualche tempo il Centro
Missionario ha con la comunità delle Monache trappiste di Azeir (Siria –
vicino al Aleppo: sono una estensione del monastero trappista di Valserena
– Toscana), ci ha permesso di conoscere un loro amico missionario, padre
Damiano Puccini, da molti anni in Libano, a sostegno dei profughi siriani.
Riportiamo le notizie più recenti, tra gli scritti che ci ha inviato.
24 ottobre 2014
Notiziario di un gruppo di volontari
libanesi membri di “Oui pour la vie”,
associazione di volontariato con sede
a Damour in Libano, legalmente riconosciuta e operante in favore dei più
poveri.
C
Centinaia
di
migliaia di persone sono in fuga
dall’Iraq verso i
Paesi vicini. Una
diaspora silenziosa come ad esempio in Giordania,
dove secondo le stime ufficiali i
profughi sono 500.000, anche se
fonti locali parlerebbero di oltre
un milione di esuli.
Nelle ultime settimane sono
giunte in Libano circa 350 famiglie
di iracheni, fuggite alla follia omicida di gruppi estremisti che vogliono cancellare ogni traccia del
cristianesimo e di altre minoranze
CAMPI PROFUGHI
islamiche. Le famiglie irachene portano visibili sul loro volto le tracce
delle sofferenze che sono state
loro inflitte attraverso uccisioni,
rapimenti, estorsioni di denaro e
violenze efferate. Hanno raggiunto
il Libano camminando nel deserto o usando mezzi di fortuna, ma
sempre con un grande spirito di
abbandono a Dio e alla sua Provvidenza. Li vediamo pregare cantando, piangere la morte dei loro cari
e la distruzione dei loro beni e dei
luoghi di origine, ma senza essere
animate da spirito di vendetta.
Sono rifugiati “invisibili”, dispersi
nelle principali aree urbane, senza
campi dove essere soccorsi e privi
della possibilità ormai di lavorare
in maniera legale, di usufruire di
assistenza sanitaria e di mandare i
loro figli a scuola.
Anche i nostri volontari di Oui
pour la Vie mettono tutto il proprio
impegno e offrono gran parte delle risorse personali, per cercare di
28
Padre Damiano con i profughi siriani alla periferia di Damour.
soccorrere questi sventurati, che si
aggiungono al milione e mezzo di
profughi siriani, ormai in Libano da
tre anni.
Una famiglia dei nostri volontari,
non avendo il denaro per la bolletta del telefono al punto che attualmente può solo ricevere chiamate,
ci ha portato un’offerta ricavata da
un lavoro straordinario del marito
dicendo: «Questi soldi, piuttosto che
per le nostre telefonate, è meglio che
servano a dare da mangiare a questi
disperati».
Alcuni nostri insegnanti, che già
offrono un terzo e anche oltre del
loro stipendio per i figli dei rifugiati, si stanno impegnando fortemente per la preparazione da privatisti
dei ragazzi per gli esami di scuola
(visitandoli nei loro rifugi e pagando loro stessi le tasse di iscrizione).
La famiglia di Madame Ambar,
che piange l’uccisione del padre in
seguito al mancato pagamento del
riscatto dopo un lungo rapimento,
ha ricevuto abiti e cibo e, insieme
ai nostri volontari, li ha condivisi
con la famiglia di un’altra vedova
irachena come lei, Suhair, appena
arrivata e in condizioni di grande
disagio: volti stremati di bambini e
29
NOTIZIE - N. 23
«messaggio», come lo aveva definito Giovanni Paolo II durante la sua
visita nel 1997. Un Paese del dialogo e della convivenza tra comunità
e religioni, in un contesto regionale e mondiale dove prevalgono le
incomprensioni, le chiusure e gli
scontri. Il Libano è chiamato ad essere “un esempio” di coabitazione
pacifica tra le religioni. Segnato dal
Bambini in preghiera nella chiesa di- ricordo di una guerra civile interstrutta.
confessionale tra il 1975 e il 1990, il
anziani stesi per terra sulle coper- Libano è condiviso tra cristiani – un
te; sette persone intorno a tre soli terzo della popolazione ripartito a
piatti per consumare un pasto uni- sua volta tra una dozzina di chiese – e musulmani, maggioranza di
co giornaliero.
La famiglia della vedova Maimu- una popolazione di quattro milioni
na, dopo aver assistito alla strage di abitanti. Questi ultimi sono dividi alcuni abitanti del paese e alla si tra sciiti, sunniti, alauti e drusi.
Sono molto belli i gesti dei cridistruzione della propria casa ad
opera degli estremisti sunniti in stiani che in spirito di perdono
compiono azioni di
Iraq, è stata accolta
carità, condividendo
da un nostro volontaanche il loro necesrio, Kamal, anche lui
Sette persone
sario in favore dei più
musulmano sunnita.
intorno a tre soli
poveri, anche musulIl figlio di Madame
piatti per consumani, sostenuti dalla
Maimuna, Imraan, era
mare un pasto
confidenza in Dio, che
animato da profondi
unico giornaliero.
si manifesta nell’accetsentimenti di vendettazione positiva, con
ta. Dopo, però, aver
pazienza, di un situaconosciuto il nostro
Kamal, che da islamico aiuta con zione ingiusta.
Parlando con loro in questi giormolta serenità bisognosi di ogni
origine e appartenenza, si è note- ni, riflettevamo insieme su come
siamo invitati a prendere esempio
volmente calmato.
dal Bambino di Betlemme, che sceI Profughi della Siria in Libano glie volontariamente di nascere in
sono quasi 2 milioni. I cristiani su- una condizione umile e disagiata,
biscono pesantemente le conse- facendoci capire che anche la poguenze della guerra civile. Il Libano vertà e l’ingiustizia, quando sono
è un Paese che vanta di essere un accettate con la fiducia in Dio, di-
“
“
CAMPI PROFUGHI
30
Un po’ di relax per i profughi.
ventano strade per fare il bene.
Non è infatti la semplice carità materiale che può soddisfare tutto il
desiderio di pace che si ha dentro,
ma il primo dono che si offre a chi
ha bisogno è la serenità e il sorriso,
con il quale si accompagnano gli
aiuti donati per le varie necessità.
Come diceva Don Bosco «Non
basta solo fare il bene, ma bisogna
anche fare bene, il bene».
Anche se la situazione del Libano
ultimamente non è delle migliori,
noi sentiamo sempre l’appello di
Dio a “non aver paura” ed essere
generosi nel compiere un gesto di
bene che guarisca il cuore.
Nelle case si prega in ginocchio
per la pace.
Il cuore di chi ha subito ogni forma di violenza, come i profughi
iracheni, guarisce quando riprende ad amare, nel dono di se’ e delle
proprie cose, anche a poveri dei
gruppi ostili. Ad esempio, anche
nella scuola di Hezbollah vicino a
Sidone, il preside diceva, «è vero
che per noi islamici in cielo andiamo
solo noi musulmani, ma vedendo il
vostro impegno di volontari mi chiedo perché non veniate pure voi».
È il sorriso la principale carità che
si offre e che forma i nuovi volontari, durante le nostre visite quotidiane nelle case di «tutti quelli che
hanno bisogno, senza distinzione di
origine e di appartenenza», per conservare legami di collaborazione, i
soli che restano purtroppo in questi momenti di tensione.
Grazie al vostro aiuto, possiamo
proseguire la nostra testimonianza
di pazienza e di perdono.
Il Signore vi benedica.
31
Padre Damiano Puccini
NOTIZIE - N. 23
Da “Un ponte per…” 12 giugno 2014
Scrive un padre dal Campo di Baalbeck.
Baalbeck fu la località del Libano, ai confini con la Siria, dove padre Romano
Bottegal (lamonese) visse da eremita negli anni 1967-‘70 e poi ‘73-‘78 (anno
della sua morte). Qui visse gli anni della guerra del Kippur nel ‘73 e della guerra
civile del Libano (dal ‘75), soffrendo vessazioni e visite importune di giorno e
di notte, ma senza mai smettere la sua solidarietà con i “rifugiati” (quasi tutti
musulmani) bisognosi di tutto. Lo faceva con gli aiuti che le mandavano la
sorella e gli amici dall’Italia.
L
La parola più importante per i Palestinesi lo è stata
nel 2014 anche
per me. A distanza di quattro
anni, è avvenuto il
mio Ritorno in visita ai loro Campi Profughi nel Libano con la delegazione di “Un Ponte
per”, nell’ambito dell’iniziativa Sulle
rotte dell’Euromediterraneo.
Tornare per ritrovare quell’atmosfera che non si dimentica e che lascia molti punti interrogativi. Il via
vai indaffarato di certe stradine cessa
di colpo appena si svolta in un cuCAMPI PROFUGHI
nicolo buio, non di rado percorso da
un rigagnolo. Il chiasso liberatorio dei
bambini che tornano da scuola, ma
sullo sfondo i volti impassibili di anziani assorti nei ricordi. Nelle piccole
botteghe un volto di donna, tra pile
di sacchetti e lattine, s’illumina con
un sorriso che equivale al benvenuto
nella sua casa, mentre da un locale di
ritrovo uomini silenziosi osservano i
passanti.
Ogni espressione che si coglie nel
piccolo universo dei Campi è da decifrare, il sorriso lascia trasparire tristezza, l’impassibilità non riesce a
nascondere un punto interrogativo
«chi sono questi, perché sono qui?».
32
È l’atmosfera che ricordavo cercando tagliano le retribuzioni innescando
segnali di chiarezza, di miglioramen- la ben nota guerra tra poveri, il capoto delle condizioni, ma no: la vita ralato dell’intermediazione lucra da
dei Profughi non migliora, il nume- entrambe le parti, il Governo selezioro non diminuisce, lo spazio fisico na gli ingressi manovrando la cone le risorse materiali si restringono, cessione dei visti o il loro rinnovo.
perché qualcosa di terribile è acca- Se l’aiuto urgente è il sostentamento
duto nel frattempo. Ovunque, dopo di base, altrettanto lo è provvedere a
le espressioni di benvenuto, la prima che i bambini non siano costretti a
frase che ci veniva rivolta era «Adesso lavorare per contribuire alla famiglia.
Vivere da profughi “di ultima gedobbiamo pensare anche ai Profughi
nerazione” è essere ultimi dopo gli
siriani!».
Secondo le stime di Internal Di- ultimi.
Un giovane Siro-pasplacement Monitoring
lestinese in una viuzza
Centre (IDMC), dalla
Un passato diverdel Campo di Baalbeck,
Siria ogni 60 secondi
so,
una professione
con un mazzetto di eruna famiglia fugge per
perduta, una vita
baggi raccolti chissà
salvarsi la vita e più di
che ignorava un
dove, stava in attesa di
un milione di queste
simile livello di poun compratore. Al nopersone sono entrate in
vertà.
stro avvicinarsi si è tolto
Libano. Molti sono i Siil berretto e si è stretto
ro-Palestinesi che come
nelle spalle indicando il
i loro padri e nonni rivivono l’angoscia della fuga, la pover- cestino del suo piccolo commercio;
tà del presente, l’oscurità del futuro. l’evidente imbarazzo denunciava un
Partner di Un Ponte per è Beit Aftal passato diverso, una professione perAssomoud (Bas), organizzazione duta, una vita che ignorava un simile
palestinese per i Palestinesi che, tut- livello di povertà.
Nel campo di Bourj al Shamali abtavia, si prodiga per i nuovi arrivati
senza distinzione, con una naturalez- biamo incontrato Iman, una donna
za di cui il sinonimo più calzante è arrivata dalla Siria con i suoi bamfratellanza. Khawla del Campo di Al bini dopo che una bomba le aveva
Buss ne dà la lettura: «Noi Palestinesi ucciso il marito. Viveva in un garage
abbiamo subito tanta discriminazio- costoso quanto un appartamento di
ne in questo paese che non vogliamo lusso (doppiamente triste pensare
che a esigere l’affitto eccessivo era
praticarla verso gli altri».
I numeri impressionanti del rifu- un Palestinese del campo) prossima
gismo siriano in Libano stanno al- a doverlo abbandonare perché senza
terando equilibri sociali già precari. lavoro e ormai senza denaro. La sua
L’estrema indigenza dei nuovi pro- sola speranza è che Bas le trovi una
fughi è un affare: i datori di lavoro sistemazione.
“
“
33
NOTIZIE - N. 23
Palestina
Racconto di viaggio di don Luigi Canal.
Ottobre 2014
Gesù per venire al mondo ha
scelto la periferia
delle periferie: la
grotta di Betlemme. Ricercato per
essere ucciso in
quella che fu “la
strage degli innocenti”, ha conosciuto l’esilio ed è vissuto per alcuni anni come rifugiato in Egitto.
Sono stato a fine settembre 2014
in pellegrinaggio in Terra Santa a
contatto diretto con i luoghi dove
era vissuto e passato Gesù.
L’elogio più bello a Gesù, nei
giorni passati in Palestina, l’ho
sentito dalla testimonianza del
Sindaco di Betlemme, la signora
Vera, che ha dedicato al nostro
gruppo un’ora di incontro, congratulandosi con noi, sapendo
che eravamo venuti per laureare
Gesù «Dottore e Maestro… il più
G
CAMPI PROFUGHI
fine educatore di tutti tempi» all’Istituto Biblico Francescano di Gerusalemme.
Il sindaco di Betlemme.
34
Il muro tra Israele e Palestina.
Vera disse queste parole: «Vivo
una grande gioia per avere l’onore
di essere nientemeno che il sindaco di Gesù, il più illustre di tutti i
miei cittadini, ma provo anche una
grande sofferenza per non poterlo onorare come Principe della
Pace, perché qui non riusciamo a
vivere in pace! La vostra presenza
è un grande contributo per raggiungere questo agognato dono».
Noi non abbiamo chiesto a Vera
se era cristiana o musulmana. È
certo che la sua parola e la sua testimonianza di vita l’hanno posta
ben al di sopra di queste distin-
zioni confessionali e per questo,
molto vicina a Gesù che è venuto
ad «abbattere il muro di separazione che divideva i popoli».
Non si poteva non pensare a
quel muro della vergogna, alto
otto metri e coronato di filo spinato, eretto dal vicino Israele per
impedire l’accesso dei palestinesi
alla zona israeliana.
Vera però non si ferma al dolore
e alla vergogna, ma impegna tutta
se stessa ed il suo ruolo pubblico,
per educare soprattutto le donne
e i bambini alla dignità e alla beatitudine della Pace!
35
NOTIZIE - N. 23
Don Luigi con le suore del Baby Hospital.
Il Baby Hospital
Questo dramma l’abbiamo capito meglio visitando a Betlemme il
Baby Hospital e ascoltando la testimonianza della Suore italiane (Sr.
Gemma e Sr. Loretta) che vi operano.
La fondazione del Baby Hospital
si deve a Padre Ernest, svizzero, che
nel 1952 la notte di Natale scendeva a piedi da Gerusalemme verso
Betlemme per celebrare la S. Messa della mezzanotte nella grotta di
Betlemme. Pioveva molto. Doveva attraversare il campo-rifugiati
CAMPI PROFUGHI
palestinese (conseguenza della
prima guerra fra Israeliani e Palestinesi nel 1948). A fianco di una
tenda, tra il fango, vede un uomo
che scava una fossa e gli chiede
il perché. «Voglio seppellire qui il
mio bambino, vicino alla mia tenda!» «È morto di che?» «Di fame e
stenti perché qui non c’è nessuna
assistenza medica!». Il religioso
“dimentica” la Messa, perché ha
incontrato qui il Bambino Gesù
e decide di fondare un ospedale,
perché non muoiano più bambini
di stenti, senza assistenza. Sorge,
così, il Caritas Baby Hospital.
36
Il Baby Hospital.
Oggi vi operano 95 infermieri e
15 medici, per 82 posti letto (sempre occupati). Le mamme vengono
ad assistere i loro bambini. Il Governo Palestinese contribuisce pagando acqua e luce. Tutto il resto
viene dalla Provvidenza e quando
anche noi offriamo il nostro piccolo contributo, le Suore ci dicono: «Ecco come Dio-Provvidenza
si serve di voi per mostrare il suo
amore a questi bambini. Voi diventate così il suo volto, il suo cuore,
le sue mani…».
Poi ci parlano del muro che passa
a pochi metri dietro l’ospedale. Ce
ne parlano con grande dolore, per
questa assurda divisione che tanto
umilia, fa violenza e marginalizza i
palestinesi. Allora le Suore vanno
tutti i venerdì ai piedi del muro,
alle 17.30 a recitare il S. Rosario per
supplicare il dono della Pace. E ci
chiedono di accompagnarle anche
noi, con un’Ave Maria, alla stessa
ora. Può essere questo il legame
spirituale che rende permanente
la nostra fraternità con i bambini
di questo popolo e dà senso profondo anche alla nostra solidarietà
economica.
37
Don Luigi Canal
NOTIZIE - N. 23
Egitto
Ci scrive padre Giovanni Esti, missionario comboniano di origine veneta, che
opera nella città del Cairo e vive in piazza Tahrir, luogo di violenti scontri negli
ultimi anni. È stato visitato da José Soccal nel 2013 ed il Centro Missionario
collabora con i suoi progetti a favore dei profughi.
Il Cairo, 30 settembre 2014
Nella lettera ai
Filippesi 2:5-11,
San Paolo descrive l’incarnazione,
il Natale di Gesù,
come un’accettazione volontaria della povertà
della condizione umana, affinché dall’interno di
questa povertà sia rivelata la presenza di Dio. Io ho trovato questo movimento di discesa di Gesù
nella povertà umana, nella realtà
dei rifugiati che visitano la nostra
comunità di Cordi Jesu.
L’ho visto in Azieb, che è nata in
Eritrea, a causa della guerra è cresciuta come rifugiata in Etiopia, e
vive in Egitto da quasi 15 anni senza
avere ancora un documento che la
rende cittadina. Ha un figlio, Asmeron, che è nato qualche settimana
dopo che il padre, e marito, venisse dichiarato disperso. All’età di 45
anni, le prospettive di Azieb di costruirsi un futuro sembrano essere
svanite. Vive al Cairo, ma l’attesa di
N
CAMPI PROFUGHI
una carta d’espatrio delle Nazioni
Unite sembra ormai irraggiungibile.
Ho incontrato la povertà umana nella storia di Saron. Originaria dell’Eritrea, mamma e sposa
da qualche anno. È stato il marito
a partire per primo, cercando un
futuro che il suo paese gli privava,
obbligandolo ad un servizio militare senza fine. Dopo un viaggio
avventuroso, è riuscito ad entrare in Israele, fingendo un’identità
Ebraica. Il bambino doveva essere
l’ultimo a partire, una volta che i
genitori fossero ricongiunti. Saron
è stata la successiva a partire, ma
non è mai arrivata, non ha più visto
il marito, né abbracciato il figlio.
Nella primavera del 2010 era partita affidandosi alla guida di questi
trafficanti che a prezzi esorbitanti
assicurano di raggiungere la meta
sperata. Arrivata al Sinai, quasi
alla fine di un viaggio che presto
l’avrebbe ricongiunta al marito, è
stata sbalzata dal retro del camioncino che la trasportava ed è finita
al bordo della strada. I trafficanti,
nella fretta di raggiungere la meta,
38
la pensarono morta e per questo
l’abbandonarono sulla sabbia di
quella stessa duna che l’aveva fatta sprofondare in un abisso tragico
e disumano. Saron non era morta,
la spina dorsale era stata lesionata
e non riusciva più a muovere gli
arti inferiori. Saron aveva allora
22 anni. Il suo destino era arrivato
a “fine corsa”, se non fosse successo che una carovana di veicoli
dell’esercito, fermandosi, l’avesse
raccolta e portata ad un ospedale
vicino. Solo dopo un anno, Saron,
che non parlava Arabo, non poteva
camminare, e non aveva a disposizione alcun mezzo di comunicazione, è stata fortuitamente visitata
da una missionaria che la trasportò
al Cairo, affidandola alle suore di
Madre Teresa di Calcutta.
A questo punto, la “discesa” agli
inferi aveva raggiunto il fondo. Separata dal marito e dal suo bambino, si trovava al Moquattam nella
discarica del Cairo dove operano
le suore a favore di anziane abbandonate dai familiari.
Nel frattempo, un’altra donna,
Ezieb, giunta in Egitto, comincia a
frequentare il nostro centro, dove
incontra Marie-Claude, fuggita anni
fa dal Cairo perché minacciata di
morte da chi voleva impossessarsi
del suo negozio. Negli Stati Uniti
dove si era trasferita, aveva aperto un nuovo negozio di collane
e braccialetti progettati e fatti da
lei. Una della sue ultime creazioni è stata quella di fare perline di
carta per collane e braccialetti. Da
quell’incontro è sorto un proget-
39
NOTIZIE - N. 23
to che dà ora opportunità a tante lestina, Somalia, Siria sperando di
donne rifugiate che trovano qual- trovare un paese dove poter essere
che risorsa economica, ma soprat- rilocati. La commissione dell’ONU
tutto una rete di sostegno psicolo- per i rifugiati (UNHCR) offre aiuto
nell’identificazione dei rifugiati e
gico, umano e spirituale.
Ezieb ha quindi incontrato Saron li inserisce in una lista d’attesa di
e le ha proposto di fare le perline trasferimento che a volte può dudi carta, visto che le mani le poteva rare anche più d’un decennio. Le
usare. Da quel momento, Saron ha statistiche più recenti parlano di
imparato a sollevarsi da sola su una 230.000 rifugiati iscritti. La maggior
sedia a rotelle e da quanto ricavato parte di quelli che ci frequentano
si è procurata un telefono, da cui non lo sono ancora, per paura, per
può chiamare il marito ed il figlio. mancanza di risorse, per ignoranza.
La sua ripresa è iniziaQualcuno, nella dita. Ora si trova in una
sperazione, affida la
lista delle Nazioni UniChiunque l’insua vita alla sorte di un
te e forse potrà essere
contra trova una
viaggio su un barcoricongiunta, un giorpersona che sorne sovraffollato. Altri,
no, con la sua famiglia.
ride, inspiegabiltrovano in un centro
La cosa più straordinamente.
come il nostro un poria di Saron è che non
sto dove misurare le
si è mai lamentata.
proprie forze e trovare
Chiunque l’incontra
trova una persona che sorride, in- una maniera di dar senso al tempo,
spiegabilmente. Saron ha cambia- anche solo con fare palline di carta
to la mia vita, di me missionario. Ha per le collane. Quello che facciaportato le mie ginocchia per terra mo è davvero poco, agli occhi di
ed in questo luogo, dove i rifiuti qualcuno perfino inutile. Non lo è
e le mosche sono tutt’uno, mi ha per noi che abbiamo raccolto l’infatto nuovamente riconoscere che vito di San Paolo: «Abbiate in voi gli
Gesù Cristo è il Signore della sto- stessi sentimenti di Cristo!».
Non è possibile vivere a fianco
ria, che non ci salva da fuori, ma da
dentro le discariche della vita e che di Saron, Ezieb, etc. senza questi
non lo fa per commiserazione, ma sentimenti e non è possibile non
per amore infinito che nulla può inchinarsi quando dall’abisso del
vuoto nasce inspiegabilmente
fermare.
nuova speranza, la condivisione di
Cairo è uno dei più grandi cen- un Amore che i confini e le barrietri di rifugiati urbani nel mondo. re delle tenebre possono svuotare
Ondate di rifugiati sono arrivati ma non distruggere.
Padre Giovanni Esti
dal Sudan, Iraq, Etiopia, Eritrea, Pa-
“
“
CAMPI PROFUGHI
40
Sinai
Lo scorso marzo 2014 abbiamo incontrato e conosciuto Alganesh Fessaha,
di origine eritrea, da più di trent’anni in Italia, portavoce dell’Ong Gandhi a
Milano. Dal 2003, si dedica a dare libertà a uomini, donne, bambini, caduti
nella rete dei trafficanti di esseri umani.
Resta drammatica la situazione nel Sinai, dove almeno 750 profughi eritrei
sono nelle mani dei beduini, trafficanti di esseri umani. Una situazione tra
indifferenza e atrocità, che ormai va avanti da tempo e che rischia di essere
dimenticata.
Da un’intervista a Alganesh Fessaha per Radio Vaticana, 14 dicembre 2012
È
È già una storia
dimenticata, secondo me. E questa dimenticanza
è veramente pericolosa perché
la gente sta morendo.
Questi
profughi partono dall’Eritrea per
cercare lavoro e arrivano in Sudan. Una volta lì, vengono presi
dai Rashaida – una tribù sudaneseeritrea beduina – che li vende ai
beduini egiziani a una certa cifra
– tremila euro, tremila dollari – e
poi quando li hanno comprati, li
vendono ad altri beduini egiziani,
aumentando sempre il prezzo fino
a quando non arrivano ai confini
tra Israele ed Egitto. Qui, chiedono
anche 30, 35 o 50 mila dollari.
Adesso, vista la pericolosità del
41
NOTIZIE - N. 23
750 persone prigioniere nelle mani
dei beduini, se ognuna di queste
dovesse pagasse questa cifra, o
anche di meno, sarebbe una cifra
importante. E dove vanno a finire
quei soldi? I soldi vengono usati
per comprare armi e droga. Questa è stata la risposta. Io mi domando: come è possibile che, in una
situazione in cui tutti sanno, non si
riesca a fermare questa cosa? Possono esserci diversi motivi politici,
però c’è la questione umana che è
terribile! Le torture che infliggono
ai prigionieri sono terribili…
Alganesh Fessaha.
tragitto ci sono nuove tratte, gli
eritrei infatti cercano di andare
verso Juba, ma per andarci passano comunque per Khartoum e così
finiscono per ritrovarsi sempre nel
campo profughi di Shagarab, dove
vengono rapiti dai Rashaida e poi
venduti ai beduini egiziani. Questi
ultimi, li tengono chiedendo un riscatto di 30-50 mila dollari. Chi non
può pagare viene ucciso, ma anche
chi ha pagato viene torturato può
essere ucciso e poi gettato in strada. Io sono arrivata dal Sinai ieri
notte e ho visto cinque cadaveri
buttati per terra…
Cosa c’è dietro a questo traffico
di esseri umani?
Il denaro. Io ieri ho chiesto a una
persona del posto: ci sono quasi
CAMPI PROFUGHI
Come siete riusciti a liberarli,
allora?
I prigionieri ci chiamano: i beduini danno loro il telefono per
chiedere il riscatto. Mi chiamano
e io chiedo come stanno e loro mi
descrivono la situazione. E se non
sono legati, se hanno la possibilità di andare uno per uno o più di
uno per volta in bagno, mi metto
d’accordo chiedendo loro di uscire ad una certa ora. A quell’ora, io
mando alcune persone che li prendono, li nascondono fino a quando
non arrivo con il certificato delle
Nazioni Unite, con la yellow card,
che consegno loro e li porto al Cairo. Finora, siamo riusciti a liberare
150 persone.
Qual è a questo punto l’appello
che lei vuole lanciare alla comunità internazionale?
Stanno morendo migliaia di ragazzi giovani: per favore, aiutateli!
42
Aiutatemi a fermare questo massacro: è un vero massacro. C’è gente che sta morendo per nessuna
ragione! Io faccio appello perché
vengano salvate delle anime innocenti che non hanno fatto niente, che hanno soltanto cercato di
scappare dalla fame e dalla miseria
del loro Paese, e dalla sofferenza.
C’è una storia particolarmente
emblematica che l’ha toccata e
che vuole far conoscere all’opinione pubblica?
La storia più emblematica è l’uccisione di un bambino di tre anni,
che ho trovato nella spazzatura,
morto.
Vedere un bambino di tre anni
ucciso in quel modo, per me è stato
molto shoccante. È una cosa inaccettabile e drammatica: è drammatica! Che colpa ne ha un bambino
di tre anni.
43
NOTIZIE - N. 23
Etiopia
Dal sito dell’associazione Ghandi, ricaviamo alcune informazioni di un viaggio
di una volontaria, accompagnata da Alganesh Fessaha, in uno dei campi
profughi eritrei, Mai Aini, in Etiopia.
di Giulia Piccinini
D
Durante la nostra permanenza
al campo, siamo
state ospitate nella casa della famiglia di Shnash,
giovane eritreo
che fa parte del
comitato di gestione interna del
campo profughi.
Condividere la vita stessa del
campo è stato fondamentale. Mi ha
infatti permesso di assaggiare, in
maniera infinitesimale ovviamente, ma comunque molto intensa, la
reale situazione di un profugo.
Questo è il quadro generale delle condizioni di vita che ho riscontrato durante la mia esperienza.
Le case nel campo sono molto
CAMPI PROFUGHI
semplici, costruite in mattoni di
fango fabbricati dai profughi stessi.
Divani e letti interni sono ricavati
dalla muratura, mentre i tetti in lamiera poggiano su un’impalcatura
di legno. Questa architettura purtroppo, fa sì che rimangano numerosi buchi e spifferi sul soffitto da
cui anche gli animali, tra cui topi,
possono facilmente circolare.
L’energia elettrica è fornita da alcuni generatori che assicurano la
luce nelle ore serali, fino al coprifuoco delle 10, solo in alcuni locali,
tra cui i bar e le altre piccole attività commerciali presenti all’interno
del campo stesso.
Totalmente assente è invece
l’acqua corrente, e i 20 litri di acqua distribuiti quotidianamente ai
44
singoli, devono bastare per ogni
necessità, dal bere, al cucinare, al
lavarsi.
Ogni gruppo di case ha poi a
disposizione un certo numero di
lattrine, circondate da pareti in lamiera, e sprovviste di calce o altro
disinfettante da poter utilizzare
per igienizzare la fossa biologica.
Insomma per persone che spesso vengono da un contesto cittadino (molti dalla stessa capitale
eritrea Asmara, la seconda Roma
come sono soliti definirla con nostalgia), le condizioni di vita
quotidiana non sono certo facili.
A dispetto di ciò, ho potuto respirare la grinta con cui questi più
di 11000 profughi stanno cercando
di reagire e trasformare in cittadina
attiva un luogo che per definizione
stessa dovrebbe essere di transizione e passaggio ma che, purtroppo, nella pratica si sta rivelando
come una residenza stabile.
Sono così sorte numerose attività, piccoli e colorati bar che si susseguono lungo la strada principale
che porta al primo villaggio, negozi di alimentari e abbigliamento, la
bottega del sarto, la parrucchiera
ed il barbiere, nonché la sala del
cinema Roma, con i suoi colorati
tavoli esterni dove si può gustare
un frullato di banane e guava indimenticabile.
Ho ammirato questa determinazione e volontà a non lasciarsi andare.
Eppure le prospettive future
45
NOTIZIE - N. 23
mancano, e questa credo sia una anni.
Occupano una zona marginale
delle problematiche più pesanti
del campo, come a sottolineare la
per questa gente.
Molti di loro sono laureati o co- loro ulteriore emarginazione. Mi
munque professionisti e patisco- hanno spiegato che è stata loro
no la loro situazione, soprattutto data quella zona per questione di
l’impossibilità a trovare un lavoro facilità di assegnamento delle case,
esterno. Sono infatti persone fan- ma il risultato è stato il creare un
tasma, come spesso Alganesh li quartiere a parte nel campo dove i
definisce, senza documenti, senza ragazzi abitano soli in piccoli gruppatria, e pertanto destinati all’iner- pi nelle case, senza adulti nel vicizia in una sorta di Deserto dei Tar- nato, senza guida, abbandonati a
tari, in attesa che qualcosa cambi o loro stessi.
La sera, quando scatta il copriche qualcuno si ricordi di loro.
Quello che scrivo l’ho percepito fuoco, è facile vederli tornare in
piccoli stormi alle loro
direttamente parlancase, dopo aver lasciado con un giovane di
to qualche bar, troppo
Asmara, laureato in
Le case nel campiccoli agli occhi di
economia, ottimo inpo sono molto
qualunque adulto per
glese, molto simpatico
semplici, costruite
non avere una figura
e brillante. Mi ha racin mattoni di fango
di riferimento o qualcontato del suo paese,
fabbricati dai proche forma di controlcome le condizioni
fughi stessi.
lo.
di vita siano difficili a
Questo è quello che
causa del totalitarismo
ho visto. Vorrei sottolidel governo, come
tanti fuggano sperando di trovare neare come Alganesh visiti con recondizioni di vita migliori. Eppure golarità, diverse volte l’anno, i proal campo lui si sente imprigiona- fughi eritrei di questo e degli altri
to, fuori dal mondo, privato di un campi, e che, pertanto, il suo arrivo
desti sempre molta gioia tra gli abiqualsiasi futuro.
Se i profughi eritrei possono tanti del campo che la stimano per
essere definiti fantasmi, tra loro le numerose attività che ha proc’è una quota non indifferente di mosso finanziariamente, ma anche
bambini e adolescenti ancora più e soprattutto con la partecipazione
attiva e diretta.
isolati ed emarginati.
Partire con lei mi ha quindi reSono i cosiddetti “unacompained
children”, i bambini senza famiglia, galato il privilegio di essere introche superano il confine da soli o in dotta spontaneamente nelle dinapiccoli gruppi. Sono più di mille, di miche quotidiane del campo, e di
tutte le età a partire dai tre quattro poter pertanto trovare con facilità
“
“
CAMPI PROFUGHI
46
anche semplicemente per scarsità
un mio spazio di “azione”.
Alganesh ha regalato cinque di personale e di mezzi diagnostici
mucche, così il Natale è passa- e terapeutici, a non sopperire alle
to festeggiando con Ingera, il loro necessità degli 11000 profughi del
piatto base, e carne, un regalo di campo.
Vorrei citare un esempio che può
certo molto gradito considerando
che molti di questi bambini non ne aiutare a comprendere cosa significhi non avere accesso ad un’assimangiavano da mesi o anni.
È stata una giornata davvero stenza sanitaria efficiente. Durante
molto intensa, l’energia di questi la nostra permanenza al campo, un
bambini e la loro dolcezza entrano ragazzo di ventitré anni ha avuto
nel cuore. Il giorno dopo la festa un incidente. È stato infatti inveè continuata con i bambini dell’a- stito dall’autobus che passa per la
silo. Spaghetti al sugo e caramelle strada principale, congiungendo i
per tutti, facendo tante fotografie, due villaggi in mezzo ai quali sorge
il campo. Ci è capitaperché essere immorto di visitarlo qualche
talati diverte sempre
ora dopo. Presentava
molto i bimbi africani,
Alganesh
ha
forti dolori alla metà
certo poco abituati
regalato cinque
sinistra del corpo ed
alla fotocamera.
mucche, così il
il sospetto era quello
L’Ong Gandhi ha a
Natale è passato
di alcune coste frattucuore soprattutto le
festeggiando.
rate e possibile lussacategorie più deboli,
zione o frattura della
bambini quindi, ma
testa del femore. Dei
anche handicappati,
semplici raggi avrebbero potuto
anziani e donne.
La
situazione
sanitaria
è dirimere la questione. Ma le radiosicuramente carente. La presenza grafie sono fatte nella vicina cittadi una sorta di ospedale al di fuori dina di Shire e per aver accesso al
del campo non rende purtroppo servizio è necessario che il medico
l’accesso alle cure una reale possi- dell’“hospital” faccia la richiesta.
Abbiamo esortato il ragazzo a
bilità. Durante la nostra permanenza il medico era assente. Erano pre- farsi ricoverare nei posti letto della
senti due infermieri e una figura di struttura e di insistere per farsi fare
supervisione che faceva le veci del gli accertamenti.
L’assistenza che riceveva, come
medico e che, seppur senza una
laurea in medicina, credo possa ho potuto personalmente conessere nella nostra mente assimi- statare andando a visitarlo ogni
lata a una sorta di medico di base. giorno, consisteva in soli sedativi
Quello che in effetti è un punto di (Valium), peraltro inefficaci a conprimo accesso alle cure si trova, trollare il forte dolore. Il medico
“
“
47
NOTIZIE - N. 23
sarebbe tornato di lì a qualche
giorno, ci hanno riferito, e avrebbe
valutato se era il caso di intervenire
con ulteriori esami, e di inviarlo a
Shire per le radiografie. Il risultato
è stato che siamo partite e il ragazzo era ancora lì, con possibili fratture vecchie ormai di sei giorni, e
quindi forse già parzialmente saldate in posizione scorretta.
All’idea delle code nei pronto
soccorsi di cui siamo soliti lamentarci, mi sono sentita davvero male,
ho percepito forte l’ingiustizia di
essere dalla parte ricca, fortunata
CAMPI PROFUGHI
del mondo.
Gli ho lasciato degli antidolorifici
che sembravano funzionare molto
bene per il dolore, e sono partita.
Mi chiedo ancora come sia finita,
se i raggi siano stati fatti, e quali saranno gli esiti.
Questo è il resoconto di una delle esperienze più belle e forti della
mia giovane vita.
Purtroppo non rende la parte più
significativa, ovvero quello che di
umano il vivere a contatto con queste persone, così forti, ospitali, dolci e comunque sofferenti ti lascia.
48
Thailandia
Riceviamo notizie da don Bruno Soppelsa, missionario diocesano fidei-donum
nella missione triveneta.
Chae Hom, 1 ottobre 2014
di vestire.
Tutti questi popoli si sono instalLa nostra attività lati tra i fitti boschi delle montagne
qui al Nord del- del nord, scappando dall’oppresla Thailandia, nel sione dei regimi comunisti BirmaDistretto di Chae ni, Laotiani e Cinesi, alla ricerca
Hom (Provincia un pezzo di terra dove ritrovare
di Lampang), si la propria libertà ed esercitare la
rivolge soprattut- propria dignità.
I nuovi villaggi, fin dall’inizio
to alle “Tribù dei
molto poveri e dal futuro incerto,
monti”.
“Tribù dei monti” è un termine privi di qualsiasi struttura, dispersi
usato in Thailandia per tutti i po- e nascosti tra le fitte boscaglie dei
poli tribali che abitano le regioni monti, mancavano di strade che li
montuose del nord e occidenta- mettessero in comunicazione con
li della Thailandia, al confine con i grandi centri abitati e governativi
di fondovalle: ospedali, scuole, e
Laos e Birmania.
uffici governativi.
Questi gruppi tribali
Oltre a ciò, queste
sono tutti minoranze
persone
erano senetniche: i Thai li chiaAlla ricerca un
za
un
documento
di
mano “chao khao”,
pezzo di terra
identità
che
desse
cioè popoli della mondove ritrovare la
loro un riconoscimentagna,
“montanari”.
propria libertà ed
to sociale, il diritto di
Si tratta, in totale, di
esercitare la proaccedere all’istruziocirca mezzo milione
pria dignità.
ne e alla sanità locadi persone, suddivise
le; era nata così l’idea
in 6 tribù principali (a
che questa gente viloro volta suddivisi in
sottogruppi): Karen, Hmong, Lahu, vesse in una specie di “clandestiYao, Akha, Lisu. Ognuna di esse ha nità” non autorizzata e pericolosa.
la propria lingua, le proprie tradi- A testimonianza, in un articolo
zioni, la propria religione e modo dell’illustre quotidiano thailande-
L
“
“
49
NOTIZIE - N. 23
se “Bangkok Post”, uscito nel set- ottenuti tagliando e bruciando la
tembre dello scorso anno, 2013, fitta vegetazione boschiva.
Alcuni tra loro sono diventati
si leggeva: «Quasi un milione di
persone abitanti della foresta sono tristemente famosi, oltre che per
i loro tipici costumi
ancora trattati come
colorati, anche per la
outsider-criminali,
Il problema della
coltivazione dell’oppoiché la maggior pardroga è ancora di
pio. Fortunatamente,
te vive in foreste progrande attualità.
durante gli anni 2001tette. Sono visti come
2005, grazie ad un
minacce alla sicurezza
pur duro intervento
nazionale, a centinadell’esercito Thailania di migliaia di loro è
rifiutata la cittadinanza, anche se dese sotto le direttive dell’allora
Primo Ministro Thaksin Shinawamolti sono indigeni».
La gente delle Tribù dei monti tra, quasi la totalità dei campi di
è da sempre vissuta di un’agricol- papavero è stata distrutta, bruciata
tura di sussistenza, coltivando ge- e sostituita da altrettante coltivaneralmente riso e mais su terreni zioni di risaie, campi di grano e di
“
“
CAMPI PROFUGHI
50
caffè (soprattutto nelle zone sopra con il recente e sicuro sistema deli 1000 metri, favorevoli alla coltiva- le coordinate GPS).
La presenza dei Padri Missionazione dell’Arabica) che dessero la
possibilità di trarre almeno il fab- ri del PIME prima e dei missionari
Fidei Donum del Tribisogno per la sopravveneto poi, ha contrivivenza. Purtroppo, il
buito a migliorare la
problema della droga
È stato fatto in
situazione.
è ancora di grande
modo che questi
È stato fatto in modo
attualità:
nell’intera
gruppi tribali fosche questi gruppi
Provincia di Lampang,
sero riconosciuti.
tribali fossero ricouno dei 44 villaggi delnosciuti dal governo
la nostra parrocchia
Thailandese il mag(che seguiamo particolarmente e aiutiamo) conta il gior numero possibile: ora la quasi
maggior numero di persone coin- totalità delle persone ha ottenuto
volte nello spaccio e nel consumo la carta d’identità.
Si è venuti incontro al governo,
di stupefacenti proveniente per lo
più dalla Birmania (contrabbandati aiutandolo con interventi a ca-
“
“
51
NOTIZIE - N. 23
rattere sociale in tanti villaggi dei i propri figli alle scuole Superiori
monti, costruendo scuole, pom- site a fondovalle.
Crediamo fortemente che un’ipe d’acqua, assumendo maestri
che vivessero ed insegnassero alle struzione alla portata di tutti possa
scuole elementari proprio nei vil- permettere di combattere le grandi piaghe sociali che tormentano
laggi tra i monti.
Sempre in appoggio al governo la società thailandese e sopratThailandese, la parrocchia ha orga- tutto le popolazioni dei monti: la
povertà, l’ignoranza,
nizzato incontri di forl’alcolismo, la droga e
mazione e aiuto per
la prostituzione, che
la sensibilizzazione al
Abbiamo semda sempre rende triproblema della droga
pre cercato di aiustemente famosa la
e periodi di disintostare soprattutto i
Thailandia.
sicazione dalla stessa.
bambini.
Il “progetto univerAbbiamo
sempre
sitari”, da noi istituito
cercato di aiutare soe legato alle adozioprattutto i bambini,
perché potessero avere una for- ni a distanza, va in questo senso:
mazione scolastica adeguata, indi- aiutare i giovani più promettenti e
spensabile per il loro inserimento tenaci nel conseguimento di un tinella società Thailandese. A que- tolo di studio qualificato che apra
sto proposito abbiamo costruito 5 la propria vita ad un futuro ricco di
Centri di accoglienza per i giovani opportunità e alla consapevolezza
delle famiglie più povere dei vil- dell’importanza della propria dilaggi dei monti; famiglie che non gnità personale.
hanno la possibilità di far accedere
Don Bruno Soppelsa
“
“
CAMPI PROFUGHI
52
(ricerca di Ezio Del Favero)
L
Le strutture che
accolgono e assistono gli immigrati
irregolari
sono distinguibili
in tre tipologie.
- Centri di primo soccorso e
accoglienza (CPSA)
- Centri di accoglienza (CDA) e
Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA)
- Centri di identificazione ed
espulsione (CIE)
Centri di primo soccorso
e accoglienza (CPSA)
Sono strutture allestite nei luoghi di maggiore sbarco, dove gli
stranieri vengono accolti e ricevono le prime cure mediche, vengono fotosegnalati, viene accertata
l’eventuale intenzione di richiedere protezione internazionale e
vengono smistati verso altri centri.
I centri attualmente operativi
sono: Agrigento, Lampedusa – Cagliari, Elmas – Lecce, Otranto – Ragusa, Pozzallo.
Centri di accoglienza (CDA)
e centri accoglienza
per richiedenti asilo (CARA)
I CDA sono strutture destinate
a garantire una prima accoglienza
allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. L’accoglienza nel centro è limitata al
tempo strettamente necessario per
stabilire l’identità e la legittimità
della sua permanenza sul territorio
o per disporne l’allontanamento.
I CARA sono strutture nelle quali
viene inviato e ospitato lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è
sottratto al controllo di frontiera,
per consentire l’identificazione o
53
NOTIZIE - N. 23
la definizione della procedura di
riconoscimento dello status di rifugiato.
I centri che assolvono a entrambe le funzioni di CDA e CARA
sono: Gorizia, Ancona, Roma, Foggia, Bari, Brindisi, Lecce, Crotone, Catania, Ragusa, Caltanissetta,
Agrigento (Lampedusa), Trapani,
Cagliari.
Centri di identificazione
ed espulsione (CIE)
In precedenza chiamati Centri
di permanenza temporanea ed assistenza, sono strutture destinate
al trattenimento, convalidato dal
giudice di pace, degli stranieri extracomunitari irregolari e destinati
all’espulsione. Previsti dall’art. 14
del Testo Unico sull’immigrazione,
tali centri si propongono di evitare
la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire
la materiale esecuzione, da parte
delle Forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei
confronti degli irregolari. Il Decreto-Legge n. 89 del 23 giugno 2011,
convertito in legge n. 129/2011, ha
fissato il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri a 18 mesi complessivi.
Attualmente, i centri sono: Torino, Roma, Bari, Trapani, Caltanissetta.
Gestione dei Centri
Sono gestiti a cura delle PrefetCAMPI PROFUGHI
ture-Utg tramite convenzioni con
enti, associazioni o cooperative aggiudicatarie di appalti del servizio.
Le prestazioni e i servizi assicurati dalle convenzioni sono:
1) Servizio di gestione amministrativa e di minuta sussistenza e
manutenzione.
2) Assistenza alla persona: vitto, alloggio, fornitura effetti personali...; assistenza sanitaria assistenza psico-sociale; mediazione
linguistico culturale.
3) Servizio di pulizia ed igiene ambientale.
4) Manutenzione della struttura e
degli impianti.
Lampedusa come un lager
(di Francesca Porta) «Rimuovere
e rinnovare il management attuale e avviare immediatamente una
migliore organizzazione con altre
professionalità». È questa l’indicazione data da Legacoop Sicilia a
Lampedusa Accoglienza, la cooperativa che gestisce il centro per migranti dell’isola, dopo le immagini
diffuse dal Tg2 sui maltrattamenti
subiti dagli immigrati.
Nel video si vedono alcuni migranti nudi, in fila indiana, mentre aspettano il loro turno per la
disinfestazione contro la scabbia
(che avviene con degli spruzzatori di un’apposita sostanza). «Scaricavano getti d’acqua fortissima
sui nostri corpi, ci facevano male»,
hanno dichiarato alcuni immigrati
che hanno subito il trattamento.
54
«Eravamo tutti nudi, uno accanto
all’altro. Eravamo in grave imbarazzo e loro ci deridevano». I «loro» in
questione sono i gestori e i dipendenti della cooperativa Lampedusa
Accoglienza.
Le immagini diffuse dal Tg2 hanno fatto il giro del mondo e provocato reazioni indignate. «È una pratica da lager», ha detto il sindaco di
Lampedusa Giusi Nicolini. Mentre
Laura Boldrini ha parlato di «un
trattamento indegno di un paese
civile». Il commissario europeo
agli Affari Interni Cecilia Malmostrom, ha rivelato che la Commissione aveva «già avviato indagini
sulle condizioni deplorevoli in
molti centri italiani di detenzione,
incluso quello di Lampedusa, e
A un anno dalla tragedia del 3 ottobre, sono oltre 3500 i morti nel Mediterraneo.
55
NOTIZIE - N. 23
Un gruppo di sopravvissuti è tornato a Lampedusa per ricordare i 368 compagni di viaggio che hanno perso la vita in mare.
non esiteremo a lanciare una procedura di infrazione per garantire
che gli standard e gli obblighi europei siano pienamente rispettati».
Non solo. Il commissario europeo ha anche minacciato di tagliare i fondi Ue destinati all’Italia per
l’assistenza nella gestione dell’accoglienza dei migranti e degli immigrati irregolari. «La nostra assistenza e il nostro sostegno alle
autorità italiane nella gestione dei
flussi migratori può continuare
solo se il Paese garantisce condizioni di accoglienza a immigrati,
richiedenti asilo e rifugiati, che siCAMPI PROFUGHI
ano umane e dignitose».
Il primo passo sembra essere stato compiuto. I dirigenti della cooperativa Lampedusa Accoglienza
sono stati rimossi dal loro incarico
ed è stata avviata un’indagine conoscitiva per verificare quanto accaduto nel centro di accoglienza e
per accertare le responsabilità.
Report da Lampedusa
(di Francesca Cancellaro,
Luca Masera, Stefano Zirulia)
Questo report scaturisce dall’esperienza diretta degli autori, i
56
quali, in qualità di volontari-esperti
legali, sono stati autorizzati dalla
Prefettura di Agrigento ad accedere al Centro di Soccorso e Prima
Accoglienza di Lampedusa.
La struttura era originariamente
destinata – come suggerisce la sua
denominazione – ad accogliere i
migranti nelle prime ore successive
allo sbarco, finalità che spiega l’assenza di un sistema di garanzie – in
primis il controllo giurisdizionale.
Tuttavia – lo abbiamo constatato
coi nostri occhi – il Governo sta
utilizzando il Centro lampedusano
come luogo di prolungato trattenimento dei “clandestini”, i quali
vi rimangono rinchiusi, in media,
dai 10 ai 30 giorni; senza ricevere
alcuna informazione in merito alla
propria condizione; nella materiale
impossibilità di essere assistiti da
un legale; e soprattutto senza che
tale privazione della libertà personale sia convalidata da un giudice.
Abbiamo assistito, in altre parole,
alla macroscopica sospensione
delle garanzie che governano – nel
nostro come in qualunque altro
Stato di diritto – le misure restrittive della sfera personale, garanzie cristallizzate nell’art. 13 della
Costituzione ed altresì presidiate
dall’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Un vero e proprio vuoto giuridico, che si sta consumando al riparo dagli occhi dei media – dal momento che ai giornalisti è vietato
l’ingresso al Centro – e che costituisce un terreno fertile per ulteriori
violazioni dei diritti fondamentali,
in particolare l’integrità fisica e la
dignità personale dei trattenuti.
Di fronte a tale situazione abbiamo ritenuto che il primo passo da
compiere – nell’ottica di riportare
lo Stato di diritto là dove il nostro
Paese si affaccia sull’Africa – consistesse nel costringere il Governo a
dare spiegazioni del proprio operato.
Lo abbiamo fatto depositando
sei istanze di accesso agli atti alla
Questura di Agrigento, attraverso
le quali altrettanti migranti hanno
domandato alle forze dell’ordine
italiane di potere conoscere le ragioni per le quali sono stati privati
della loro libertà personale, e lo
stato in cui si trova il procedimento
all’esito del quale verrà deciso se
dovranno essere immediatamente
rimpatriati, piuttosto che trattenuti
in un CIE o ospitati in un CARA.
In caso di rigetto dell’istanza o
di mancata risposta da parte della Questura entro il termine di 30
giorni, sarà possibile impugnare il
provvedimento negativo o il silenzio-rifiuto innanzi al TAR Sicilia,
ottenendo così, tra l’altro, il fondamentale risultato di portare i trattenuti di Lampedusa davanti ad un
giudice terzo e imparziale.
Nuova gestione
del Centro di Lampedusa
(di Luca Insalaco) 4 settembre
2014 - La gestione del Centro di primo soccorso e accoglienza di Lam-
57
NOTIZIE - N. 23
pedusa torna alla Misericordia. La vere», ci dice Salvino Montaperto,
procedura negoziata, indetta dalla della Misericordia di Campobello
Prefettura di Agrigento, ha visto di Licata e consigliere nazionale
spuntarla sulle ditte concorrenti la delle Misericordie, il quale, lo scorConfederazione Nazionale delle so mese di agosto, ha compiuto un
Misericordie d’Italia, già impegna- sopralluogo presso la struttura.
È un compito certamente gravoso
ta nella gestione di vari centri in
Italia, tra i quali si ricorda quello quello che attende i nuovi gestori.
che sorge ad Isola Capo Rizzuto, Lampedusa è diventata il simbolo
il centro di accoglienza più grande del fenomeno migratorio, tanto da
essere tirata in ballo anche quando
d’Europa.
Per la Misericordia, come det- non ce ne sarebbe motivo, quando
to, si tratta di un ritorno nell’isola, le rotte dei migranti non toccano le
considerato che l’organizzazio- sue coste. Come tutti i simboli l’ine era stata già impegnata nella sola è oggetto di ostensione, spesso per meri interessi
gestione del sito di
di bottega, esposta
contrada Imbriacola
come lo è questa terra
quando questo aveva
Si tratta di esseri
ai venti.
lo status di Cpt (Cenumani costretti a
La materia legata ai
tro di permanenza
fuggire dalla proflussi migratori, poi, è
temporanea). La conpria terra .
spesso ridotta ad una
fraternita, che ha sede
questione di numea Firenze, può contare
ri, dimenticando che
su un forte radicamento in Sicilia e nell’Agrigentino. Sarà, dietro le cifre ci sono storie, vite,
infatti, il coordinamento zonale di persone. «L’esperienza di LampeAgrigento a fornire supporto logi- dusa ci affascina, considerato che
stico e direzione operativa per la questa terra è diventata l’ombelico
del mondo – sottolinea Montapergestione del CPSA.
I nuovi gestori sono chiamati to –. Ci metteremo tutta la buona
a fare dimenticare le polemiche volontà per cambiare rotta rispetto
che lo scorso anno hanno investi- al passato e lavoreremo con lo spito il centro, a seguito delle docce rito che contraddistingue tutta la
anti-scabbia le cui immagini hanno nostra organizzazione e in primo
fatto il giro del mondo. «Non ho luogo con un’attenzione particolanessuna voglia di criminalizzare la re per l’individuo. Non dobbiamo
precedente gestione. Ci sono stati dimenticare – ricorda – che si tratta
dei problemi, è vero, ma l’impres- di esseri umani costretti a fuggire
sione che ne ho ricavato, anche dalla propria terra e questo ci porta
parlando con gli operatori, è che a dare un approccio più umano alla
tutti abbiano fatto il proprio do- nostra attività».
“
“
CAMPI PROFUGHI
58
Italia – Milano
È
È lì che mi guarda, maestosa, imponente, ma con
quell’aria di una
fastosità che stona un po’ con il
nostro presente.
La stazione ferroviaria di Milano, è cambiata molto
in questi anni, e non parlo solo dei
negozi che si sono incastrati in spazi
che prima non individuavi, ma delle
persone che circolano nei perimetri
della stessa. Mi ricorda un po’ la struttura circolare del girone dantesco.
C’è una parte esterna, qui siamo
in Europa. Transitano le auto, ma è
anche un limite tra la città e la stazione. C’è una parte pedonale: qui
siamo in Sud America. Giovani che
saltano con gli skateboard, rollerblade, e mescolano il loro italiano con alcune parole in spagnolo.
Tra le corsie si incastrano i mercatini
ambulanti, qui invece siamo in Asia,
pakistani in particolare, ma c’è an-
che la presenza di qualche cinese.
Vendono borse, cappellini, e tutte
quegli oggetti che hanno un’attinenza con il viaggiatore. Si entra poi
sotto i portici che fanno da anticamera alla stazione. Questa è terra di
nessuno, il limbo, non è la città, non
è un continente, sembra un porto
franco anche per le consuetudini.
Forze dell’ordine camminano tra
i passanti, dribblano i mendicanti
che trovano giaciglio tra un cartone
e una colonna che gli fa da cuscino.
Si entra poi nella stazione. Qui siamo nuovamente in Europa.
Il suono aumenta a causa degli
echi delle persone che parlano,
degli annunci ferroviari, e la gente
corre evitando il trolley del vicino.
Sembrano tutti un po’ disorientati,
alla ricerca di una persona, di un
luogo, di un orario. L’ultimo girone
è situato tra i binari ferroviari, con
le sue banchine e con la gente che
scende dai treni. Qualcuno si accende una sigaretta, altri corrono verso
59
NOTIZIE - N. 23
l’uscita parlando affannosamente al
telefono, e qualcuno cerca tra la folla il suo caro. Qui siamo a Milano.
La mia attenzione si ferma però a
guardare il tabellone che riporta gli
orari dei treni. Non è semplicissimo mettere a fuoco il tuo percorso,
ma alla fine lo sguardo si concentra
sull’orario di partenza, ed eccolo lì:
Venezia… che per un momento diventa la mia città. Ho un buon quarto d’ora a disposizione. Mi volto cercando di cogliere ancora qualche
elemento nuovo, un’ immagine, un
vestito, un atteggiamento.
La grande città ha sempre questa
aurea di modernità. Il mio sguardo incrocia un gruppo di persone.
Sono vestite differenti, sono tutte
CAMPI PROFUGHI
giovani, ma soprattutto molto vicine. Mi avvicino e capisco che sono
stranieri. Certamente però non
sono appartenenti a nessuno dei gironi che ho attraversato qualche minuto prima. I lineamenti sono dolci,
il colore della pelle è moro, i capelli
scuri. Tendo l’orecchio per capire la
lingua, irriconoscibile. Giro l’angolo
e un cartello è posto su di una colonna. “Centro assistenza profughi
Siriani di Milano”. Siriani? Il mio
pensiero mi catapulta alle immagini
che tutti abbiamo conosciuto tramite i telegiornali. Siriani? Ma saranno
proprio loro?
Ripenso alle suore di Azeir che abbiamo aiutato durante questa emergenza umanitaria. Improvvisamente
60
il virtuale diventa realtà. Tutte le per- Eppure l’ardore non si placa nemsone di cuore conoscono i dolori meno davanti a questa frase. Vorrei
che stanno colpendo intere nazio- fare subito qualcosa per loro, dirgli
ni, ma spesso, se va bene, le notizie che mi dispiace per quello che sta
che ci arrivano sono confuse tra le succedendo, a nome di tutti, ma chi
altre nuove di politica estera, o tra sono io per esprimermi con loro
un derby calcistico e un gossip sulle in questa maniera? Dentro di me
nuove star televisive. E quindi tutto questo fuoco di vendetta sembra
appare come una fiction, i bombar- prevalere sulla mia coscienza e sul
damenti sono quelli che si vedono mio credo cristiano. Non mi muovo,
nei films, dove la gente non muore, rimango lì guardandoli con la coda
e se muore non soffre. L’oppressio- dell’occhio e l’orologio mi suggerisce che è ora di salire
ne è una mossa fatta a
sul treno.
Risiko, dove si spostaAccendo il computer
no solo delle pedine,
Vorrei fare sue vado a cercare notima non si conosce il
bito qualcosa per
zie sulla Siria. Ecco che
dramma di ogni singoloro, dirgli che mi
compare un’intervista
la persona. E così tutto
dispiace.
alle suore trappiste e
assume un’immagine
una frase coglie più di
quasi dolce, di avvenaltre la mia attenzione:
tura e fantapolitica. Eppure loro esistono, sono qui davanti «Tu, invece, non sei stato stabilito
per pronunciare la vendetta contro
a me.
Ripenso ancora alle suore trappi- le azioni e coloro che le hanno fatte,
ste di Azeir: «Anche chi ha fatto a ma per invocare sul mondo la misepezzi i cadaveri, e ha gettato la carne ricordia, per vegliare per la salvezza
dei morti ai cani ha passato la linea di tutto, e per unirti alla sofferenza
rossa. Anche chi stupra, chi uccide di ogni uomo, dei giusti e dei peci bambini sulle ginocchia dei geni- catori».
Il mio fuoco improvvisamente si
tori, chi massacra con disprezzo, in
spegne, e un po’ di vergogna mi inSiria e altrove».
E il sangue inizia a ribollirmi nelle vade per i pensieri che fino a qualvene. Come è possibile che ancor che minuto prima mi sopraffacevaoggi tante persone possano trovarsi no. Solo un’anima colma di Dio può
in situazioni simili? Come è possibi- pronunciare il perdono in un luogo
le che l’uomo riesca ad odiare così dove la guerra imperversa le carni, i
tanto il prossimo da provocare dolo- pensieri, ma forse questa cosa l’hanri così grandi per le singole persone, no capita molto prima di me quei
profughi che con pazienza sostavama anche per tutta l’umanità?
Papa Francesco qualche giorno fa no nella stazione centrale di Milano.
ci diceva: «C’è un giudizio di Dio».
José Soccal
“
“
61
NOTIZIE - N. 23
Presidente:
Nel nome del Padre…
Il Signore Risorto, che invia i discepoli fino ai confini della terra,
sia con tutti voi.
Assemblea : Benedetto sia Dio
che ci attende nelle periferie del
mondo.
Guida: L’Ottobre Missionario ci
ha proposto quest’anno il tema:
“Periferie: cuore della Missione”
La parola “periferie” ricorre
frequentemente nel Magistero
di papa Francesco, che si è presentato come “venuto dalla fine
del mondo” e che ci spinge continuamente ad uscire, a creare
nelle comunità le condizioni per
favorire l’inclusione: dimenticati,
CAMPI PROFUGHI
esclusi, stranieri, profughi, rifugiati… umanità insomma, ai margini della Chiesa e della nostra
vita (supposto, ma non concesso,
che noi possiamo considerarci
“centro”). Scopriremo che là Dio
è già presente ed ha una parola
da dire alla sua Chiesa ed alla nostra fede attraverso coloro che la
società relega alle periferie, o addirittura fa fuggire dalle proprie
terre.
Ci avviciniamo alle Feste di
Natale e vedremo che la prima,
esemplare, esperienza ci viene
proprio da Gesù, nato nella periferia di Betlemme, rifugiato in
Egitto e rientrato a Nazareth, borgata malfamata della Galilea.
Lettore: Dalla Evangelii gaudium
49. Usciamo, usciamo ad offrire a
62
tutti la vita di Gesù Cristo… Preferisco una Chiesa accidentata,
ferita e sporca per essere uscita
per le strade, piuttosto che una
chiesa malata per la chiusura e la
comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze!
186. Dalla nostra fede in Cristo
fattosi povero, e sempre vicino
ai poveri e agli esclusi, deriva la
preoccupazione per lo sviluppo
integrale dei più abbandonati
della società.
187. Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere
strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in
modo che essi possano integrarsi
pienamente nella società; questo
suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero
e soccorrerlo. È sufficiente scorrere le Scritture per scoprire come il
Padre buono desidera ascoltare il
grido dei poveri: «Ho osservato la
miseria del mio popolo in Egitto
e ho udito il suo grido a causa
dei suoi sovrintendenti: conosco
le sue sofferenze. Sono sceso per
liberarlo… Perciò va’! Io ti mando» (Es 3,7-8.10) Rimanere sordi a
quel grido, quando noi siamo gli
strumenti di Dio per ascoltare il
povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto.
210. È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove
forme di povertà e di fragilità in
cui siamo chiamati a riconoscere
Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta
vantaggi tangibili e immediati: i
senza tetto, i tossicodipendenti,
i rifugiati, i popoli indigeni, gli
anziani sempre più soli e abbandonati, ecc. I migranti mi pongo-
63
NOTIZIE - N. 23
no una particolare sfida, perché
sono Pastore di una Chiesa senza
frontiere che si sente madre di
tutti. Perciò esorto i Paesi ad una
generosa apertura, che invece di
temere la distruzione dell’identità
locale sia capace di creare nuove
sintesi culturali. Come sono belle
le città che superano la sfiducia
malsana e integrano i differenti, e
che fanno di tale integrazione un
nuovo fattore di sviluppo! Come
sono belle le città che, anche nel
loro disegno architettonico, sono
piene di spazi che collegano,
mettono in relazione, favoriscono
il riconoscimento dell’altro.
Presidente:
Preghiamo: Signore Gesù, che
hai detto “gli ultimi saranno i
primi”, facci capire che nel tuo
Regno, presente in mezzo a noi,
non ci sono gradi o privilegi, ma
che tutti siamo in cammino con
Te, nostro Pastore e Amico, per
raggiungere gli angoli del mondo, specialmente dove c’è oppressione, fame, violenza, ingiustizie, miseria, abbandono, emarginazione, solitudine… e anche
in mezzo alle nostre società con
tutti i loro drammi, per portare,
con le parole e con la vita, la
BELLA NOTIZIA, che ci salva e
per la quale Tu hai dato la vita.
Tu che vivi e regni nei secoli dei
secoli. Amen.
CANTO: Acclamazione al Vangelo.
CAMPI PROFUGHI
Dal VANGELO secondo Matteo
9, 9 – 13.
Andando via di là, Gesù vide un
uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli
disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e
lo seguì. Mentre sedeva a tavola
nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne
stavano a tavola con Gesù e con i
suoi discepoli.
Vedendo ciò, i farisei dicevano ai
suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai
pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i
sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici.
Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Parola del Signore
Proposta di riflessione con
pause di silenzio:
Quali sono le periferie a cui sono
inviato e a cui siamo inviati come
comunità?
1 - Le periferie non sono soltanto quelle lontane, ma anche
quelle che arrivano da noi
con i barconi. Come mi pongo di fronte a questa realtà?
2 - Periferie sono anche quelle
persone emarginate o non
apprezzate, in mezzo a noi,
nel nostro ambiente di vita,
in casa nostra, ecc… Quali le
mie risposte?
3 - Come mi pongo e come ci po-
64
niamo di fronte ai non praticanti, a chi sta alla larga dalla
Chiesa, e di fronte ai problemi
sociali che toccano tutti da vicino?
Preghiamo insieme:
O Signore, fa’ che il nostro ANDARE, inviati dal tuo Amore, non
sia la fuga scomposta di chi si allontana da Te, non sia la corsa arrogante di chi vuole primeggiare
e lascia gli altri dietro a sé, non
sia nemmeno il passo stanco di
chi ha rinunciato ed ha respinto
la missione... Spirito, che con la
tua forza ci fai USCIRE verso il
mondo, fa’ che la nostra presunzione non travisi mai il tuo annuncio di Salvezza che è per ogni
uomo, fa’ che il nostro egoismo
non rallenti la corsa della tua Misericordia, fa’ che il nostro giudizio non allontani il ritorno a Te di
nessun fratello.
O Dio, ti chiediamo di DONARCI
il cammino sicuro di chi, come i
profeti, è sospinto e sorretto dalla tua Parola, l’incedere ardito di
chi, come Maria, va in fretta verso la montagna, il passo fraterno
del pellegrino che, con donne e
uomini di buona volontà, giunge alla meta della tua casa accogliente. AMEN
Celebrante:
Recitiamo insieme la preghiera
della fraternità universale insegnataci da Gesù: Padre Nostro…
Celebrante:
Scambiamoci un gesto di pace.
Celebrante:
Carissimi fratelli e sorelle, il Signore Gesù sappia farci testimoni
della sua Parola in tutte le situazioni di vita, che ci troveremo ad
affrontare e ci faccia sempre accogliere i nostri fratelli e sorelle,
per farci sentire tutti inviati fino
alle estreme periferie. Lui che
vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen.
Ci raggiunga in ogni luogo ed
in qualsiasi strada del mondo la
benedizione di Dio Onnipotente,
Padre e Figlio e Spirito Santo.
Amen
Andiamo in pace!
65
NOTIZIE - N. 23
dalla stampa
missionaria
Le notizie che seguono giungono da alcune ricerche
nella stampa missionaria, come “Il Ponte d’oro”, “Popoli e Missione”,
“Nigrizia”… o da siti internet noti, come
www.internazionale.it/news o oraprosiria.blogspot.it.
Ricordiamo che, presso il nostro Centro Missionario, riceviamo
mensilmente diverse riviste contenenti notizie dal mondo, a disposizione
di chi volesse approfondire questi argomenti.
CAMPI PROFUGHI
66
Dov’è
tuo fratello?
“Popoli e Missione”
Luglio Agosto 2014
U
Un anno fa,
papa Francesco
visitò
Lampedusa. Durante
una Messa – era
l’8 luglio 2013 –
pronunciò una
citazione tratta
dal libro della Genesi, la domanda di Dio a Caino: «Dov’è
tuo fratello?».
Queste parole, davvero profetiche e sempre attuali, costituiscono il titolo della recente
lettera pastorale che l’episcopato eritreo ha inviato ai propri
fedeli, invitandoli al discernimento. In effetti, i quattro eparchi cattolici di Asmara, Barentu,
Keren e Segeneiti rivolgono la
domanda «Dov’è tuo fratello?».
Costantemente, nelle 38 pagine del documento che porta la
data del 25 maggio 2014, 21esi-
mo anniversario dell’indipendenza del Paese.
Le tragedie in mare, che interessano particolarmente le coste italiane, a partire proprio da
Lampedusa, come anche, più in
generale, la fuga di massa dal
Paese africano di un numero indicibile di connazionali, hanno
delle ragioni rispetto alle quali
è opportuno che il governo di
Asmara, la comunità internazionale e in particolare l’Europa, si
interroghino seriamente. Non si
tratta di una fatalità del destino
o di un fenomeno migratorio
dettato dalla convenienza di chi
è in cerca di avventure.
«Chi riveste ruoli di responsabilità» scrivono i vescovi «ha
l’obbligo di porsi un quesito
pungente, dettato dalla lungimiranza e dal buonsenso. Piuttosto che condannare i nostri
67
NOTIZIE - N. 23
giovani al gioco degli sfruttatori
e dei trafficanti di esseri umani,
non è meglio individuare vie e
strategie per uscire da questa
assurda situazione “di non pace
e di non guerra”, in cui versa il
Paese?».
In sostanza, non è lecito stare alla finestra a guardare tanta umanità dolente, risucchiata
dalle tempeste di sabbia nel
deserto o affogata nel cimitero
liquido del Mediterraneo.
A questo proposito, i vescovi
offrono, nella loro missiva, un
quadro agghiacciante del loro
Paese: povertà, malattie endemiche come l’Aids, ma soprattutto un deficit di partecipazio-
CAMPI PROFUGHI
ne per cui l’esclusione sociale
sta determinando una vera e
propria implosione del sistemaPaese. Non solo: «Un potere
pubblico non più al servizio del
bene comune, ma strumento di
accaparramento di interessi privati o di parte, l’individualismo,
il favoritismo, la corruzione..
sono segni di un’incipiente, o
forse avanzata, emergenza morale».
Per non parlare della «mancanza del dialogo, dell’ascolto
reciproco, dell’interessamento
vicendevole, atteggiamenti che
stanno acuendo le differenze e
restringendo gli spazi per una
duratura soluzione dei proble-
68
mi». Mai, prima d’ora, in Eritrea,
qualcuno aveva avuto l’ardire
di parlare con franchezza, stigmatizzando le manchevolezze
del regime.
D’altronde, l’Eritrea è la nazione africana con la peggiore
performance per quanto concerne il rispetto dell’agenda dei
diritti umani. L’attuale governo,
sotto la guida del presidente
Isaias Afewerhi, ha trasformato
il Paese in una sorta di Sparta
africana, in cui la famiglia tradizionale è stata disgregata, imponendo «un servizio militare
senza limiti di tempo e senza
retribuzione», o la reclusione
forzata «di molti giovani nelle
prigioni e nei centri di rieducazione».
Di fronte a questo scenario a
dir poco inquietante, i vescovi
sono sinceramente preoccupati
per «le ferite morali e spirituali che affliggono la società eritrea».
Una cosa è certa: la lettera pastorale dell’episcopato eritreo è
una lucida e coraggiosa analisi
della crisi che attanaglia ormai
da diversi anni il loro Paese ed
esprime, nella carità, la determinazione dei pastori nel voler difendere i diritti di una nazione
oppressa, relegata nei bassifondi della Storia contemporanea.
69
Padre Giulio Albanese
NOTIZIE - N. 23
ROMA
Campo profughi
alla fermata del Metro
Nato nel 2003, raccoglie rifugiati, soprattutto eritrei, che vivono
in condizioni estreme, paralizzati, senza alcuna possibilità
d’inserimento sociale. Luogo di transito, ma anche residenza
fissa per molti di loro.
“Nigrizia”
Maggio 2014
di Danilo Giannese
Ponte Mammolo,
periferia est di
Roma. Da qui, in
pochi minuti, la
linea B della metropolitana conduce i passeggeri
verso il Colosseo,
il rione Monti e altre bellezze del
centro della città eterna. A pochi
passi dalla fermata metro di Ponte
Mammolo, nascosto dalla vegetazione disordinata che lo separa
dal ciglio della strada, si apre però
un luogo che stride rispetto alle
mete verso le quali quegli stessi
P
CAMPI PROFUGHI
passeggeri sono diretti: un campo
profughi nella capitale. Qui, tra
baracche costruite nel corso del
tempo, prive di energia elettrica
e acqua potabile, rottami, qualche
carrello della spesa e panni stesi
ad asciugare al sole, vivono circa cento rifugiati. Sono quasi tutti
uomini e quasi tutti eritrei. In comune hanno la fuga dal loro paese per mettere in salvo la propria
vita dalle persecuzioni e il lungo,
estenuante, viaggio attraverso il
deserto e il mare verso l’Italia.
A definire il rifugio di Ponte
Mammolo un campo profughi è
70
Guglielmo Micucci, presidente di transito dove trascorrere alcune
PRIME Italia, un’associazione di settimane o mesi prima di metvolontari che aiutano i rifugiati a tersi in cammino verso un’altra
cercare lavoro e che, da qualche città italiana o tentare la fortuna
in un altro paese europeo. Altri,
mese, opera a Ponte Mammolo.
«Non c’è alcuna differenza tra invece, vi vivono ininterrottamenquesto luogo e i campo profughi te da molti anni. Hydris, 36 anni,
in Africa o in Libano», spiega dopo essere arrivato in Italia in
Micucci, che per molti anni ha fuga dall’Eritrea, ha vissuto due
lavorato in Ong in paesi colpiti mesi a Crotone e nove mesi per
da guerre ed emergenze. «A Ponte strada, a Roma. Dal 2003, vive a
Mammolo i rifugiati sono abban- Ponte Mammolo. «La vita qui dendonati a loro stessi e vivono in tro è molto difficile, soprattutto
d’inverno per via del
condizioni igieniche e
freddo. Non abbiamo
sanitarie contrarie alla
La vita qui denné acqua potabile,
dignità umana. Senza
tro è molto diffiné luce. Fra qualche
che nessuno faccia
cile, soprattutto
tempo farò l’esame
qualcosa. Basti pend’inverno
per
via
per la patente: la sera
sare che ci sono solo
del freddo.
vorrei esercitarmi a
due bagni e due docfare i quiz di scuolace per cento persone.
guida, ma non essenQuesti ragazzi sono
titolari di protezione internaziona- doci luce, quando cala il buio non
le. Ma, di fatto, vivono qui da anni posso studiare».
Per Hydris, la difficoltà più grancome paralizzati, senza alcuna
possibilità di inserimento sociale». de di vivere in Italia è quella di
Il campo di Ponte Mammolo è trovare un lavoro. «Siamo rifugiati
nato nel 2003 e sono stati gli stessi – afferma – ma qui per noi non
rifugiati a costruirne le baracche. esistono percorsi di accompagnaNon è riconosciuto ufficialmente mento e inserimento nella società
dalle istituzioni, anche se viene e nel mondo del lavoro. Pensavo
“tollerato”, come si dice nel ger- che la vita in Italia sarebbe stata
go degli insediamenti informali. migliore e, invece, se fossi andato
Ogni eritreo che giunge a Roma in Francia le cose sarebbero staconosce questo posto e in molti te più facili, visto che là ci sono
ne hanno sentito parlare già pri- maggiori percorsi di integrazione».
ma di mettere piede nel Belpaese. Il sogno di Hydris, come quello di
Per alcuni si tratta di un luogo di tutti i rifugiati di Ponte Mammo-
“
“
71
NOTIZIE - N. 23
lo, sarebbe quello di abbandonare il campo e andare a vivere in
una casa, pagando un affitto. Per
qualche mese ci è riuscito, perché
aveva un lavoro, ma poi è dovuto
tornare alla base.
Anche Kibrom, 37 anni, infermiere, è uno dei veterani di
Ponte Mammolo. Ci abita dal 2005
e nel corso del tempo ha svolto
vari lavori: dallo smaltimento di
rifiuti al mediatore culturale, dal
badante all’assistente infermiere.
«Ogni mattina – racconta Kibrom
– usciamo dal campo in cerca
di lavoro, consegnando anche a
mano il curriculum. Sarà per colpa della crisi, ma non troviamo
nulla, se non lavoretti saltuari e
poco retribuiti. Spesso mangiamo
una volta sola al giorno. E così, i
giorni passano e la speranza viene meno. E dal 2005, da quando
sono qui, nulla è cambiato».
Prima di vivere a Ponte Mammolo, Kibrom è stato in alcuni
centri di accoglienza per rifugiati
a Roma. «Se trascorrere un certo
tempo in un centro di accoglienza servisse ad accompagnare noi
rifugiati verso un efficace inserimento socioeconomico, allora queste strutture avrebbero un
senso. Purtroppo in Italia non è
così e una volta messo il piede
fuori dai centro ci si trova a dover
ricominciare tutto da zero», spiega
Kibrom. Per questo, i rifugiati di
CAMPI PROFUGHI
Ponte Mammolo, pur vivendo in
condizioni molto critiche, preferiscono stare nel campo, anziché
provare ad essere reinseriti nei
centri che, peraltro, soprattutto a
Roma, sono al collasso in termini di capacità di accoglienza. «Io
spero di andar via da Ponte Mammolo il prima possibile – racconta ancora il 37enne eritreo – ma
almeno qui mi sento a casa. Siamo quasi tutti eritrei, parliamo la
nostra lingua, siamo amici, mangiamo insieme e ci aiutiamo l’un
l’altro nel momento del bisogno».
Mentre raccontano le loro storie, Kibrom e gli altri rifugiati ci
accolgono in quello che loro chiamano bar, una sala comune con
sedie, tavoli e un biliardino, dove
trascorrono il loro tempo libero
e giocano a carte. C’è anche una
discreta scorta di bibite e caffè, a
disposizione di tutti, che acquistano usando i fondi di una cassa
comune. […]
Nei mesi scorsi, i volontari di
PRIME Italia hanno distribuito
sacchi a pelo ai rifugiati e hanno contribuito al miglioramento
dei due bagni e delle docce. «C’è
da affrontare l’emergenza in cui
vivono queste persone – annota
Micucci – perché non è possibile
che nella capitale d’Italia continui
ad esserci un vero e proprio campo profughi». A pochi minuti dal
metro Colosseo.
72
BULGARIA
Rifugiati siriani
in Europa
“Il ponte d’oro”
Aprile 2014
L
La fuga dalla guerra e dai
suoi tragici pericoli ormai ha
spinto migliaia
di siriani anche
fin dentro i confini dell’Europa.
Dall’inizio del 2013 sono arrivate in Bulgaria più di 12mila
persone in cerca di salvezza.
Attraversano la Turchia in pullman o minibus, dopo aver pagato il biglietto ai gruppi criminali che organizzano il viaggio. Vengono abbandonate alla
frontiera bulgara e continuano
il loro viaggio a piedi. A pochi
chilometri dal confine turco si
trova il campo profughi di Harmanli. È un ex complesso militare, dove attualmente vivono
1.500 siriani. Nella struttura non
ci sono riscaldamenti, mancano
servizi igienici e cucine. «Per ri-
scaldarci bruciamo la legna che
troviamo, e di notte, quando la
temperatura si abbassa, cerchiamo di muoverci e camminare
attorno alle tende per non morire di freddo», spiega uno dei
profughi appena arrivati. L’unica assistenza a uomini, donne e
bambini siriani è portata dalle
associazioni umanitarie internazionali. Nella capitale bulgara
sono stati aperti altri due centri
per profughi. Qui la situazione sembra migliore rispetto ad
Harmanli, anche se le condizioni di abbandono e di incertezza
restano.
Il governo della Bulgaria, invece di provvedere agli aiuti
umanitari, ha deciso di costruire un muro di cemento lungo
30 km con l’intenzione di chiudere il tratto di frontiera da cui
affluiscono tutti i poveri siriani
in cerca di salvezza.
73
NOTIZIE - N. 23
IRAQ
Lettera d’addio:
a voi, che pensavamo ci avreste protetti...
oraprosiria.blogspot.it
Agosto 2014
dello scrittore iracheno cristiano Majed Aziza alla sua città, Mossul
E
Espulsi, lasciamo
la nostra città
Mossul, umiliati
dai detentori del
nuovo islam. La
lasciamo per la
prima volta nella storia. E, partendo, ringraziamo i nostri vicini,
vicini che pensavamo ci avrebbero protetto come lo facevano un
tempo e che si sarebbero ribellati
contro la furia di questi criminali del XXI secolo, dicendo loro
che noi siamo gli autentici figli di
questa città e che ne siamo i fondatori. Ci facciamo coraggio, dicendoci che possiamo contare su
di loro, fratelli valorosi che mostreranno di che pasta sono fatti
(lett. “di che legno si scaldano”).
Ma ci hanno abbandonato, lasciandoci trascinare fuori dalla
città, verso l’ignoto. Hanno chiuso gli occhi, mentre lasciavamo
dietro di noi la nostra storia, le
CAMPI PROFUGHI
tombe dei nostri antenati, le nostre case, il nostro patrimonio
e tutto ciò che è caro al nostro
cuore. Ci hanno abbandonato,
mentre dicevamo addio ai nostri
quartieri, alla moschea di Giona,
che conteneva anche la tomba di
questo profeta e che, per questo
motivo, è stata distrutta dagli jihadisti dello stato islamico in Iraq
e nel Levante (ISIS). Addio anche all’arcivescovado, alla chiesa
di Maskinta e a quella d’Ain Kibrit… Addio a tutti voi! Non ci
saremo più per le vostre feste e
cerimonie, matrimoni e funerali.
La fine dei millenni
passati insieme
Addio ai nostri parenti seppelliti a Mossul. Li lasciamo, cacciati
dalla nostra città. Ci perdonino se
non possiamo andare sulle loro
tombe in occasione delle feste
religiose. Addio ai resti mortali di
mio nonno Elias, del mio zio pa-
74
terno – padre Mikhail –, ai miei
zii materni Ibrahim et Mikhail
Haddad che mi hanno trasmesso la passione del giornalismo,
addio al mio zio paterno Estefan
Aziza, il primo martire della famiglia, addio al convento di San
Giorgio, addio ai ponti della mia
città, alle sue mura e ai suoi terreni di gioco, alla sua università e
al suo centro culturale.
Perdonateci, vecchi amici, fratelli e nobili figli della nostra città. Perdonate le nostre mancanze. Se possiamo aver mancato ai
nostri doveri nei vostri confronti
ciò non toglie che abbiamo vissuto insieme centinaia, anzi migliaia di anni, costruendo Mossul
con il sudore della nostra fronte.
E oggi, ci guardate da lontano,
mentre siamo scacciati, umiliati
agli occhi di tutti. Gli assassini
del Daech (acronimo arabo di
ISIS) ci hanno cacciato dalle nostre case e dalle nostre città. Addio a tutti voi. E grazie.
Lasciamo, sotto costrizione, una
terra che abbiamo nutrito con il
nostro sangue.
Yazidi raggiungono la Siria dalle
montagne del Sinjar. L’Unhcr aumenta gli aiuti
www.internazionale.it/news/iraq
14 agosto 2014
I
In Siria, in risposta alla
situazione degli Yazidi in Iraq, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
(UNHCR) ha iniziato
a trasferire i nuovi rifugiati dalla zona di confine al
campo di Newroz, vicino ad Al
Qamishli, circa 60 km ad ovest.
Nel corso degli ultimi 10 giorni
– riferisce l’agenzia delle Nazioni
Unite, decine di migliaia di per-
sone appartenenti alla minoranza Yazida hanno attraversato il
confine tra Semalka Peshkabour,
dopo essere transitate dalla Siria,
fino al governatorato di Dohuk
nell’Iraq del nord. Un numero
crescente di Yazidi (circa 15mila)
ha cercato protezione all’interno
della Siria, dove l’UNHCR opera
insieme alle ONG ed ai partner
locali per fornire loro assistenza.
I rifugiati arrivano esausti e
profondamente traumatizzati, i
75
NOTIZIE - N. 23
piedi coperti di vesciche, dopo
aver passato giorni sulle montagne del Sinjar esposti a temperature elevatissime senza cibo né
acqua a disposizione e avendo
poi dovuto camminare per giorni prima di trovare rifugio. Sono
deboli, assetati e affamati, in particolare le donne e i bambini e
molti di loro hanno ferite non
medicate.
«La situazione degli Yazidi rimane molto dinamica e problematica, ed è di importanza vitale
che le persone riescano a ricevere aiuto e protezione» afferma
l’Alto Commissario delle Nazio-
ni Unite per i Rifugiati Antonio
Guterres, «stiamo facendo tutto
il possibile in circostanze molto
difficili per rispondere ai bisogni
immediati».
L’UNHCR ha inviato d’urgenza
tende, teli di plastica, coperte, kit
igienici ed altri utensili al campo
di Newroz dai magazzini nella
provincial di Al Hassakeh, dove
è presente dal 2010 per fornire
assistenza a popolazioni di sfollati.
Altri aiuti arriveranno nei prossimi giorni, incluse 2mila tende
e 5mila materassi per alleviare la
situazione di sovraffollamento.
www.repubblica.it
G
Gli yazidi stanno
fuggendo verso
la Turchiadalla
provincia di Niniveh nel nord
dell’Iraq: «Veniamo massacrati.
Stiamo per essere sterminati. Un’intera religione
sta per essere eliminata dalla faccia della Terra. In nome dell’umanità, salvateci» ha detto Vian
Dakhil, unica deputata della minoranza yazida nel Parlamento
iracheno, in un video diffuso dal
Washington Post. «Ci sono bambini che stanno morendo per le
CAMPI PROFUGHI
strade, sulle montagne». Il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, ha affermato che aiuti
umanitari turchi sono stati paracadutati oggi da elicotteri iracheni sulle montagne.
76
L’Italia adotti
i profughi iracheni
La Caritas Nazionale ha indetto una campagna per sostenere i profughi iracheni e la nostra Caritas Diocesana si unisce a questa proposta di solidarietà.
Anche il Centro Missionario si fa tramite: chi volesse sostenere l’iniziativa, può
farlo con i riferimenti bancari in terza di copertina.
“Avvenire”, 25 Ottobre 2014
D
Da un giorno
all’altro, l’avanzata dello Stato islamico ha
espulso centinaia di migliaia
di persone dalla
Piana di Ninive.
E ne ha catapultato buona parte
– soprattutto cristiani – a Erbil,
cuore del Kurdistan iracheno.
Solo i più fortunati hanno trovato alloggio presso parenti o amici. Gli altri si sono sistemati dove
hanno potuto: negli spiazzi attorno alle chiese, nei campi sportivi, dentro le scuole. Dormono
in tende improvvisate, si lavano
dove e come possono. Non c’è
chiesa o struttura ecclesiale che
non abbia il terreno occupato da
qualcuno dei 120mila profughi
cristiani scappati da Mosul e dalla Piana.
Nella recente visita a Erbil,
la delegazione Cei, guidata da
monsignor Galantino, ha incontrato gli sfollati e, in accordo con
i vescovi locali, ha pensato ad
una forma di assistenza di lungo
periodo.
Don Soddu, direttore della Caritas Italiana, invita: «Chiediamo
alle famiglie, alle nostre parrocchie e diocesi di aiutarci a garantire agli esuli una sistemazione
degna».
Maggiori informazioni al sito
www.caritas.it.
77
NOTIZIE - N. 23
Un documentario sui campi profughi
S
Sull’argomento
dei campi profughi, mi è capitato di vedere un
illuminante documentario trasmesso dalla Tv
– Tg 2000, i primi di settembre di quest’anno.
Questo reportage è stato realizzato dal giornalista Maurizio Di
Schino, inviato appunto da questa emittente in una Missione dei
Carmelitani in Centrafrica.
Questa è una zona ad alta tensione per le conseguenze di un
colpo di stato che ha portato la
popolazione civile in una situa-
CAMPI PROFUGHI
zione catastrofica. A tutta questa
gente perseguitata non è rimasto
altro da fare che rifugiarsi presso la Missione Carmelitana dove
sono stati accolti.
«Vista la situazione del paese, i
soprusi, le violenze e le angherie
di ogni genere, non potevamo
assolutamente non aprire le nostre porte» – dice Padre Anastasio Roggero, nell’intervista a lui
fatta ed è così che questa gente
ha trovato i suoi buoni samaritani. Sono state costruite tende
e baracche, utilizzando anche il
legno di Teck, del quale la zona
è ricca. I convenuti, grazie a una
certa sicurezza, hanno potuto or-
78
ganizzarsi creando anche piccoli
commerci, fabbricando mattoni e
altre attività, sempre sotto l’aiuto e la direzione dei religiosi. È
chiaro che i problemi non mancano, dato anche il numero dei
rifugiati: «Non sappiamo neanche noi quanti siano veramente;
qualche tempo fa erano più di
15.000. Tutti da sfamare!» – dice
Padre Matteo Pesce. Anche la
chiesa, dopo le funzioni, viene
utilizzata come dormitorio. Si vedono molti bambini che giocano,
ma anche gli adulti si presentano
molto più sereni di quando sono
arrivati qua.
Non si sa quando quest’emergenza finirà, anche perché le forze contrapposte, che si combattono, non sembrano avere nessuna voglia di smetterla ed anche i soldati francesi
in zona non sono in
grado di far cessare i
combattimenti. Il reportage si conclude
con la notizia che,
sull’esempio
dei
carmelitani, tutte le
congregazioni cristiane presenti nel
paese hanno aperto
le loro porte ai civili
in fuga, creando, a
loro volta dei piccoli campi profughi.
È possibile vedere il documentario al seguente link:
•“Missionari
di pace – Repubblica Centrafricana 1” –
“TG2000 – Il post” di martedì
2 settembre 2014: http://youtu.be/NKtH0o3UtNY
Altri video della missione in
Centrafrica a questi link:
•“Con
i perseguitati – Repubblica Centrafricana 2” –
“TG2000 – Il post” di mercoledì 3 settembre 2014: http://
youtu.be/SDLY99uMPJ8
•“Padre
Aurelio – Repubblica
Centrafricana 3” – “TG2000
– Il post” di giovedì 4 settembre 2014: http://youtu.be/
znXKwVwh6oM
Mario Bottegal
79
NOTIZIE - N. 23
CHE GUSTO HA LA PACE?
Amed mi fissa,
serio, con i suoi
occhioni scuri.
Dopo qualche
istante di silenzio chiede:
«Cosa vuole dire
la parola pace?
Come è fatta? Che gusto ha?».
Poi prosegue: «Neanche mio
padre ha saputo descrivermela.
Si capisce che neanche lui l’ha
provata. Tu me la puoi raccontare?». Sorrido a ‘sto ragazzino
che ho di fronte, in questo campo profughi a sud del Libano.
Spiegare che cos’è la pace a
chi non l’ha mai vissuta, non è
da poco; è come voler raccontare un vino senza farlo assaggiare. Chi ascolta non riuscirà
mai a capirne il gusto e ad apprezzarne la qualità.
Il giovinetto m’incalza: «Mio
nonno l’aveva provata per qualche breve tempo e, una volta,
ne ha parlato. Da quello che ho
capito deve avere il profumo
del pane buono appena sfornato, la dolcezza della mamma
quando, piccolino, mi teneva in
braccio».
Questa conversazione mi fa riflettere: non avevo mai pensato
A
CAMPI PROFUGHI
che qualcuno potesse porsi domande come queste. Rispondere, come in un primo momento
viene in mente, che pace è il
contrario di guerra, mi sembra
estremamente riduttivo ed anche non propriamente esatto.
Rimango silenzioso, non ho
parole sufficientemente convincenti per spiegare. Sono contemporaneamente angosciato
dal pensiero che un’infinità di
persone al mondo non ne abbia mai goduto al punto da non
sapere cosa sia.
Bimbi, adulti ed anziani che
non hanno mai dormito una
notte tranquilla, non hanno
mai avuto certezze: la casa distrutta, la morte di parenti ed
amici giunta improvvisamente
dal cielo o dalla terra. Giungo perciò alla conclusione che
quanto recepito da questo bimbetto sia ancora la cosa migliore e perciò gli dico: «Hai avuto
la sensazione giusta e, quando
la pace arriverà, la riconoscerai,
perché essa ha proprio il profumo del pane appena sfornato
e la dolcezza della tua mamma
quando da piccolo ti teneva in
braccio».
80
Mario Bottegal
Campi profughi
- La parola del direttore
pag.
1
- Campi per rifugiati
pag.
3
- Esperienze “sul campo”: notizie dalle missioni
• in Sudan
• in Congo
• in Kenya
• in Libano
• in Palestina
• in Egitto
• nel Sinai
• in Etiopia
• in Thailandia
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
9
17
24
28
34
38
41
44
49
- I Centri dell’immigrazione in Italia
pag.
53
- Inserto di preghiera
pag.
62
- Notizie dalla stampa missionaria
pag.
66
Proposta di un gesto
di solidarietà
Riprendiamo qualche riga delle parole del direttore:
«Da queste testimonianze ci viene un invito per guardare con serena, ma decisa, corresponsabilità a questi nostri fratelli e non nascondere la nostra testa sotto la sabbia, come fanno gli struzzi, per illudersi di poter vivere come se queste cose non esistessero! Possiamo fare
qualcosa per alleviare queste sofferenze? Forse poco. Ma facciamolo!
Magari un gesto di accoglienza a chi giunge nei nostri paesi; magari
una lettera di solidarietà a uno dei tanti missionari coinvolti e ai loro
“rifugiati”; magari un piccolo aiuto economico per i bisogni dei loro
progetti; magari informare e coinvolgere i nostri gruppi o parrocchie
in queste iniziative. E soprattutto reagire alla cultura dell’indifferenza
o peggio, del respingimento! Infine, una preghiera è possibile a tutti… e non è cosa da poco: noi crediamo alla forza della preghiera!».
Notizie
Centro Missionario di Belluno-Feltre
Hanno collaborato a questo numero:
Luigi Canal, Ezio Del Favero, José Soccal, Chiara Zavarise, Mario
Bottegal, Gianfranco Olivier, i missionari
Foto a cura di Chiara Zavarise
REDAZIONE C/O: Centro Missionario Belluno-Feltre
Piazza Piloni, 11 - 32100 Belluno – Tel. 0437 940594
[email protected]
www.centromissionario.diocesi.it
Direttore di redazione don Luigi Canal
Responsabile ai sensi di legge don Lorenzo Dell’Andrea
Stampa Tipografia Piave Srl - Belluno
Iscrizione al Tribunale di Belluno n. 1/2009
Per un aiuto economico ai nostri missionari
CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO
IBAN Bancario Unicredit
IT73U0200811910000002765556
intestato a
Centro Missionario Diocesano
P.zza Piloni, 11 – 32100 Belluno
Centro Missionario Diocesano
Diocesi di Belluno-Feltre
P.zza Piloni, 11 32100 Belluno
Tel. 0437 940594
[email protected]
www.centromissionario.diocesi.it
Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BL
Novembre 2014 - N. 23
Campi
profughi
STRUMENTO DI INFORMAZIONE MISSIONARIA