progettazione crociera
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www.solovela.net Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela Le barche, come molti altri prodotti industriali e artigianali, riflettono i tempi in cui sono concepite e realizzate. Quello che stiamo per leggere è un viaggio nella storia delle barche sino all’inizio del nuovo millenio: le mode, le linee d’acqua e il loro perché di Maurizio Anzillotti uando la vetroresina arriva in Italia e si inizia a usare in campo nautico, è la seconda metà degli anni cinquanta. Le prime barche di serie costruite con questo nuovo materiale, vedono la luce tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta. La guerra è finita da poco più di un decennio e solo ora in Italia si comincia a respirare un’aria di normalità. Una normalità che permette anche di investire risorse nel puro divertimento. Si ha voglia di dimenticare quello che si è passato e affermare che si è in tempo di pace. E cosa contraddistingue un paese in pace più della possibilità di dedicare risorse e tempo agli svaghi? Questa atmosfera favorisce lo sviluppo del mercato della nautica da diporto e di quelle aziende che offrono i mezzi per soddisfare questa voglia di evasione: i cantieri. Cantieri italiani e ancor più quelli francesi, cominciano a offrire al mercato imbarcazioni di costo contenuto, con standard di sicurezza e qualità costruttiva tali da permettere anche navigazioni impegnative. Il termine “impegnativo” al tempo, per un diportista, significava raggiungere la Sardegna. Nell’Italia degli anni sessanta, il marinaio è ancora visto come un avventuriero, uno che ama il rischio e che trova godimento nello sfidare un elemento, il mare, di cui i più hanno un timore atavico. Una delle prime barche a essere prodotte in serie nel nostro paese, è l’Alpa Maika, uno sloop di 11,37 per 2,70 metri di larghezza. Le dimensioni e il disegno ne denunciano la derivazione dai concetti che dominano la costruzione in legno, l’unica a essere conosciuta nel diporto fino a ora. Barche lunghe e strette, concepite tenendo presente solo una necessità principale: navigare bene e il più velocemente possibili spinti da grandi e pesanti velature. Si è nella prima infanzia del diporto, una fase in cui le esigenze sono ridotte al minimo. Concetti quali comodità, facilità di manovra, semplicità di manutenzione sono ancora lontani dal venire. Tuttavia, è proprio in questi anni che si consuma la rottura tra la vecchia tradizione dei mastri d’ascia ancorati a linee d’acqua sperimentate, ma ormai superate, e i giovani costruttori intenzionati a sfruttare al massimo le possibilità offerte dai nuovi materiali. Autore di questo salto di qualità che ha aperto la via alla nautica da di- Q Storia delle barche da crociera Illungoviaggio 42 Agosto 2004 Agosto 2004 43 www.solovela.net Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela porto come la conosciamo oggi - quella delle centinaia di migliaia d’imbarcazioni, dei porti da mille e cinquecento posti e delle barche da dieci metri a tre cabine - è Michel Dufour con il suo Arpège. Si tratta di uno scafo di 9,25 metri di lunghezza per 3,02 di larghezza: un baglio massimo decisamente fuori dai canoni (si pensi all’Alpa Maika che su 11,37 metri di lunghezza era larga 2,70 metri). Larghezza significa comodità e questo è quello che cerca Dufour. Ha disegnato il suo gioiello seguendo le regole di stazza del regolamento del tempo, il R.o.r.c., ma senza creare uno scafo da regata. Il disegnatore francese mira a costruire una barca soprattutto comoda e razionale per permettere agli appassionati di vela di fare lunghe crociere; e ci è riuscito. L’Arpège è dotato di una vera cucina posta sotto il tambuccio in modo che gli odori possano sfogare all’esterno; ha un tavolo da carteggio sufficientemente ampio per stendere una carta nautica piegata a metà e una dinette comoda con un tavolo centrale che permette al velista di passare piacevoli serate in compagnia. A prua un bagno dove ci si può anche fare la doccia. Per i canoni del tempo si tratta di una rivoluzione. Il coraggio di Michel Dufour è ripagato con un successo che sorprende ancora oggi. In meno di quindici anni sono state vendute 1500 unità. Alla fine degli anni sessanta il numero dei diportisti è cresciuto notevolmente e molti di loro amano confrontarsi sui campi di regata. Per facilitare le competizioni tra barche notevolmente diverse tra loro, si crea un nuovo regolamento di stazza, lo I.o.r., che penalizza la superficie bagnata e la lunghezza al galleggiamento. GLI ANNI SETTANTA In questi anni molti sono i prototipi realizzati per la regata che danno vita a costruzioni di serie: lo Show 29, lo Ziggurat 915, l’Orca 43, sono solo alcuni di questi. Tuttavia il seme posato dall’Arpège non tarda a dare altri frutti e tra le barche prodotte in questo periodo, c’è un progetto di Finot che, come al solito, va controcorrente imponendo una poppa, per il tempo, importante in un momento in cui queste tendono ad essere sem44 Agosto 2004 Sotto un Canados 44. Le carene prodotte in questi anni hanno una superficie bagnata decisamente superiore a quelle che verranno prodotte negli anni novanta L’Arpège è l’imbarcazione disegnata e costruita da Michel Dufour che ha segnato l’inizio dell’era delle barche da diporto da crociera di serie. In quindici anni sono state costruite 1500 esemplari Sopra, la carena di un Canados 37, modello entrato in produzione nei tardi anni settanta, si nota la carena piatta in corrispondenza del bulbo. Sotto, un Perversion della Tecnocantieri, che mostra una poppa molto piccola e un baglio massimo molto largo Bulbo con profilo Naca derivato dagli studi della Nasa sui profili alari, questo disegno contraddistinguerà tutti gli anni settanta e la prima parte degli anni ottanta Sopra una barca a vela in legno, si notino la chiglia lunga e lo slancio di poppa che va verso l’alto. Qui di fianco uno dei primi modelli di barche di serie costruite in Italia: il Maika del cantiere Alpa, le linee sono ancora quelle classiche delle barche in legno pre più strette. Si tratta del Grand Soleil 34. Questa barca ha rappresentato in Italia quello che l’Arpège è stato in Francia: il mezzo ideale per andare in crociera. Seppur lontano dai numeri registrati dall’Arpège, il Grand Soleil 34 diventa il mito del diportista italiano e ne vengono venduti, in un decennio circa duecentocinquanta unità. Ancora oggi è una barca ben quotata sul mercato dell’usato. L’apprezzamento del Grand Soleil 34 da parte dei velisti italiani, oltre a consolidare l’immagine di un cantiere nato da poco, conferma che il successo commerciale, almeno in quegli anni, non è nelle barche da regata, ma in quelle da crociera con buone prestazioni veliche. Nasce il concetto di crociera-regata. Con il passare del tempo le competizioni diventano sempre più agguerrite. Se all’inizio del decennio le barche sono studiate per la regata tenendo in buon conto tutta una serie di artifizi per sfruttare al meglio il regolamento di stazza, senza rinunciare alla conquista della comodità e comfort di bordo; verso la fine degli anni settanta e gli inizi del decennio successivo le forme si fanno più estreme. Per portare una maggiore superficie fuori dall’acqua al fine di ottenere un punteggio migliore nei conteggi per i compensi da pagare in regata, gli architetti cominciano a disegnare poppe che escono com- pletamente anche per più di un metro di lunghezza. Questo fa sì che, quando la barca è in piano, la superficie bagnata è molto ridotta, allungandosi notevolmente non appena l’imbarcazione si piega in bolina. Questi disegni penalizzano molto l’abitabilità e il comfort delle barche. GLI ANNI OTTANTA Nei primi anni ottanta i grandi miti della nautica europea si sono già consolidati. Cantieri come Nautor, Baltic, Hallberg Rassy sono considerati il massimo desiderabile tra le barche di serie. L’inizio di questo decennio vede accentuarsi la divisione tra imbarcazioni concepite per regatare e quelle per la crociera pura, fenomeno già iniziato negli ultimi anni settanta. Si consolida la tendenza dei cantieri a porre sul mercato due linee diverse di modelli: una orientata alle prestazioni e l’altra tesa alla ricerca della comodità. Esempio ne sono i First della Beneteau, barche veloci con una buona attrezzatura velica che si contrappongono alla linea Oceanis dello stesso cantiere Agosto 2004 45 www.solovela.net Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela Di fianco uno Scia 50 con la classica poppa a cuore tipica dei disegni di Sciarelli. Lo scafo ha delle grandi superfici bagnate, un baglio massimo molto avanzato e un grande skeg a protezione del timone. Sotto un Karate 33 della Cnso. Barche di questa lunghezza oggi avrebbero il doppio dello spazio sopra e sotto coperta Il Comet 333 di Vallicelli, uno dei più prolifici architetti degli anni ottanta. Tipica la fascia blu sul fianco della tuga che adornava molte barche dell’epoca In questo progetto di Sciomachen si nota come le poppe venivano disegnate per rimanere fuori dall’acqua con la barca in piano per immergersi e allungare la linea al galleggiamento non appena la barca sbandava A destra un timone con skeg, tipico degli anni settanta. In questo caso non c’era compensazione della pala e il timone risultava sempre piuttosto duro. A sinistra al centro, un esempio di tipica barca da crociera degli anni settanta: il Dufour 35 In alto a sinistra il Grand Soleil 52 disegnato da Frers. In alto a destra una foto del Grand Soleil 39. Queste due barche sono tipiche di quello che è conosciuto come il periodo degli spaghetti Swan, in cui molte barche si sforzavano di assomigliare alle prestigiose barche finlandesi 46 Agosto 2004 che invece sono molto più tranquilli nelle prestazioni e generosi nelle dimensioni interne, i Voyage che si pongono in alternativa dei vari Sun della Jeanneau. Nella produzione nazionale il concetto di barca da crociera comoda è rappresentato dal motorsailer, genere che non registra successi particolari, ma mantiene una sua nicchia di mercato negli anni. Alcuni cantieri si specializzano nella produzione di questo tipo di barche( Franchini e Ferretti), altri seguono la linea francese sin dall’inizio e affiancano barche tipo motorsailer a modelli più A sinistra un altro disegno di Vallicelli, il Cat 34 dell’Artmare e a destra un Duck 31 di Paperini, con la sua classica poppa I.O.R. aggressivi, come la Comar di Forlì con il Meteor 8, o la serie dei Comet 11,13,14 e 15 che vengono offerti come alternativa ai più prestazionali Comet 10,50, Comet 12 e più tardi i vari 303, 333. In questo panorama di separazioni più o meno nette tra regata e crociera, si inserisce Giuseppe Giuliani dei Cantieri del Pardo il quale intuisce che il pubblico italiano è molto diverso da quello francese, meno spartano, meno disposto a compromessi estetici. Il diportista nostrano vuole sentirsi un Paul Cayard, vedere la barca correre di bolina, senza rinunciare alla bellezza e all’eleganza, al lusso e alle comodità. In fatto di estetica, il velista di Porto Cervo piuttosto di quello del Circeo o di Trieste, non sente ragioni, non è disposto a sacrificare la bellezza della sua barca in cambio di un deck house più comodo. Il velista milanese o quello romano negli anni di “io sono un italiano vero”, di Craxi e di Pertini in cui ci si sente tutti degli eroi, vuole la barca che lo faccia apparire. Il suo punto di riferimento sono i modelli della Nautor. Giuliani capisce, elabora e inventa lo spaghetti Swan. I Grand Soleil, Negli anni ottanta si capisce che l’attacco delle pinne allo scafo è un punto di turbolenza, quindi si cerca di restringere il più possibile la sueprficie di contatto per allargare quella centrale. Nasce il bulbo ellittico Agosto 2004 47 www.solovela.net Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela Comet 285, una barca che a causa dei problemi del cantiere che ne provocarono la chiusura nel 92, non ebbe il successo che avrebbe meritato. Era una delle prime barche di queste dimensioni ad essere veramente spaziosa e comoda per la crociera In questa fotografia vediamo un bulbo con siluro, molto usato in tutti gli anni novanta. Il siluro serviva ad abbassare il baricentro e permettere di avere un pescaggio minore a parità di forza di raddrizzamento un dodici metri. Giuliani non è uomo da lasciare i progettisti agire indisturbati, sa perfettamente quello che vuole e influenza sin nei particolari il nuovo disegno, come farà con tutti gli altri. Nasce la barca più ambita dei prossimi dieci anni: il Grand Soleil 39. In tutto e per tutto richiama i canoni estetici delle barche scandinave; gli interni anche se non sono al livello del modello a cui si ispira, sono ben fatti e molto piacevoli da vedere; il costo è perfettamente inserito nel mercato. Al Grand Soleil 39 seguono altri modelli, di dimensioni maggiori, destinati al successo più che per le loro qualità costruttive, per la capacità di appagare il desiderio di stile e di status simbol del proprio acquirente. Sun Odyssey 34.2, siamo in pieno periodo Ims, si vede la poppa larga che rende la barca molto abitabile e il baglio massimo arretrato. Questi nuovi disegni permettono ad una barca di dieci metri di avere tre cabine comode e un volume interno che una volta era proprio di barche di tredici metri che per anni saranno “la barca più amata dagli italiani”, sono belli, ben rifiniti e anche veloci e soprattutto assomigliano molto al blasonato swan della Nautor. E’ il periodo delle fasce blu intorno alla tuga. Tutti si adeguano. La Comar presenta il Comet 12, che poi diventerà 420, con le stesse caratteristiche, anche se costruito un po’ meno bene, ma più veloce e vivibile delle barche realizzate dal Pardo, suo unico concorrente diretto nel mercato nazionale. Anche il Comet ha la fascia blu sul paramare. Lo stesso sarà per tutte le altre barche dei due cantieri. Il colpo da maestro, Giuliani lo fa nella seconda parte degli anni ottanta, quando commissiona ad Alan Jezequel il disegno di 48 Agosto 2004 GLI ANNI NOVANTA Non sono anni facili per la nautica italiana. La nazione è nell’occhio del ciclone di tangentopoli. Si scopre che il bel paese si regge su fondamenta di argilla e all’orizzonte si prospettano tempi bui. Nel novantuno la prima guerra del Golfo segna l’inizio di una crisi economica tra le più profonde che si trova a fronteggiare il paese. Nel novantadue, con l’apertura delle frontiere europee, arriva il leasing francese che, favorito da una politica dissennata dei governi che si susseguono in Italia in questi anni, diventa una fenomenale testa d’ariete per favorire l’invasione del nostro mercato da parte dei cantieri francesi. Sempre nel novantadue, il regolamento I.o.r. lascia il posto al più moderno I.m.s. che porta i progettisti a cambiare profondamente la linea degli scafi: poppe larghe, bagli massimi arretrati, slanci quasi annullati e alberi spostati verso prua per dare maggior importanza alla randa. Con questi nuovi disegni, le barche da crociera e quelle da regata tornano a incontrarsi e, soprattutto sul finire del decennio, si assiste a una cre- In alto: il Dufour 44, l’ultima evoluzione degli Ims, si notano i bordi liberi bassi, la poppa apribile, la plancetta molto discreta e la grande ruota centrale, caratteristiche che sono proprie di barche da crociera -regata. Di fianco il piano velico del Grand Soleil 39 del 1987, seguito da quello del Centurion 40, del 2003. Si noti il boma e l’albero del Grand Soleil molto più corto di quello del Centurion. La J (distanza tra strallo di prua e albero) del Centurion è molto più cortadi quello del Grand Soleil 39. Infine si veda com sono diversi gli slanci scita dei piani velici anche su barche considerate da crociera pura. Gli anni novanta sono anche gli anni dell’innovazione tecnologica, dell’esasperazione delle economie di cantiere e del crollo dei prezzi delle barche. Durante il primo quinquennio molti cantieri rischiano la chiusura, molti chiudono. La Comar passa da trecento unità prodotte all’anno a trenta e nel novantadue è costretta a portare i libri in tribunale e chiudere i battenti. Il Cantiere del Pardo si salva solo grazie all’ingresso di nuovi soci. Nella seconda metà degli anni novanta la crisi finisce, l’economia si riprende, i costruttori italiani cercano di ripartire, ma trovano un mercato profondamente cambiato. La Beneteau ha assorbito la Jeanneau diventando il primo cantiere a livello mondiale, molto distante dal resto della concorrenza. Le sue linee di serie sfornano varie decine di imbarcazioni al giorno contro una produzione che non supera le cento unità l’anno dei più grandi cantieri italiani. Per quest’ultimi la vita è dura e quelli che sopravvivono insieme a quelli che nascono e rinascono hanno solo una via per ricavarsi una nicchia di sopravivenza: accentuare la concezione italiana della barca. Si punta tutto sull’estetica. La maggior parte del- le barche dei grandi cantieri hanno gli scafi blu e il ponte in teak, si cerca di interpretare al meglio il difficile tema della barca veloce, elegante e a un prezzo accessibile. Non tutti ci riescono, alcuni cadono nel meccanismo del prezzo a ribasso che li trascina in un vortice di sconti privandoli delle risorse necessarie per nuovi investimenti. Gli anni novanta sono anche gli anni del “easy sail”: tecnologia e astuzie costruttive permettono di creare barche sempre più grandi che possono essere portate anche da equipaggi ridotti. Il massimo interprete di questa filosofia è Luca Bassani con i suoi Swan: giganti del mare che, grazie alla tecnologia, volano sull’acqua, portati da equipaggi a volte composti da una sola persona. Sono gli anni in cui i winch emigrano sottocoperta e vengono controllati elettronicamente, i paranchi di scotta perdono gli ingombranti bozzelli per essere gestiti da bracci idraulici. Ma il bello deve ancora venire. Il nuovo millennio scatena un vento rivoluzionario che trasformerà di nuovo le barche utilizzando materiali che sino a ieri erano considerati privilegio esclusivo dei mostri da regata...Ma questa è un’altra storia. Agosto 2004 49