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Pubblicato il 06 Dicembre 2016
Lo spettacolo di Cristina M azzavillani M uti per Lucca Puccini Days con l'attore Franco Costantini
Morte di Mimì a Parigi nel 2015
servizio di Simone Tomei
LUCCA - “Erano soliti riunirsi in quel Caffè. Non importa il nome. A b en vedere, non importa
nemmeno il luogo. Importa - piuttosto - quello che Mimì, Rodolfo, Marcello, Musetta e gli altri…
andavano a cercare. Forse cercavano tutti la stessa “cosa”. La distrazione? L’ispirazione? Di più:
l’amore. Oppure la morte. Beh, l’amore e la morte, in fondo, si somigliano parecchio. Se trovi l’amore e
sei corrisposto, avrai pace. Se trovi la morte, pure… (…) «... è alla forb ice del tramonto / dove ci
dividiamo / nel giuramento di un altro mattino / e tu continui a esistere davanti ai miei passi / tagli il
tempo con la palpeb ra / mentre io rieduco le dita / scavando nell’autunno / dei tuoi capelli / oltre a “ti
amo” / non c’è un altro modo / di dire “ti amo”.» (Cit. Franco Costantini e Paolo Pingani tratto dal
copione dello spettacolo).
Cara Lucia, anzi Mimì, non hai avuto nemmeno la possibilità di morire di una morte seppur tragica ed infausta sebben
naturale, dovuta alla tua malattia, e tu caro Rodolfo non hai avuto modo di poter piangere sul corpo esanime della tua dolce
Lucia, anzi Mimì; nemmeno tu cara Musetta, non hai potuto verificare se “la Madonna b enedetta” avesse interceduto alla tua
supplice preghiera e tu caro pittore Marcello, non hai potuto abbracciarti alla tua dolce Musetta per piangere insieme la morte
dell’amica Lucia, anzi Mimì; infine neppure tu Colline non hai potuto nemmeno sentirti orgoglioso di te per la vendita della tua
Vecchia Zimarra perché quei pochi franchi sono rimasti nella tua mano ormai fredda; qualcuno ha deciso che non doveva
andare così, come Giuseppe Giacosa, Luigi Illica e Giacomo Puccini avevano voluto: questo qualcuno ha deciso che una
lunga e rumorosa raffica di mitragliatrice avrebbe dovuto spezzare quell’ordine predefinito sin dalla fine dell’ottocento quando
Toscanini salì sul podio del Teatro Regio di Torino proprio alla presenza del Sor Giacomo; e così è finita, tutti affogati sotto
l’egida di una follia omicida, sanguinaria, integralista, scellerata.
No signori, non è un delirio questo, bensì una triste e crude realtà che attraverso le tavole di un palcoscenico ci ha riportato
alla mente i fatti del Bataclan, il famoso locale parigino che ha visto consumarsi il 13 novembre dello scorso anno una
sanguinosa strage.
Quante Lucia, anzi Mimì, quanti Rodolfo, quante Musetta e quanti Marcello e quanti Colline hanno visto la fine dei propri
sogni, delle proprie speranze, delle proprie aspirazioni ed anche delle proprie sofferenze in quel locale parigino; sogni,
speranze, aspirazioni e sofferenze che nessuno aveva il diritto di bruciare, che nessuno aveva il diritto di interrompere perché
in quelle giovani vite spezzate vi era la genialità del poeta, l’estro del pittore, la sapienza del filosofo, la freschezza della
cantante e la fantasia, seppur contaminata di malattia della piccola fioraia; tutte potenzialità che ancora dovevano esprimersi
e che hanno trovato il loro capolinea in quella infausta notte.
Proprio quella infausta notte è stata un’espediente che Cristina Mazzavillani Muti ha colto e rielaborato, per la creazione di
una piece teatrale-musicale di grande impatto emotivo; proprio, in una recente lettera indirizzata alla direzione del Teatro del
Giglio, ella ci ha parlato del suo amore per la musica di Giacomo Puccini e del suo nuovo spettacolo, l’opera-musical,
presentandola con queste parole:
“… Attraverso la musica sempre oltremodo contemporanea di Puccini è possibile infrangere i confini in cui generalmente la
si contiene: si può sognare di spingersi oltre il naturale palcoscenico operistico, e avere l’audacia di lasciarsi trasportare da
questa musica, con tutta la sua poesia, la sua commozione, il suo urlo, la sua ironia”.
Così muore Mimì. La storia di Boh ème nella Parigi di oggi è il titolo completo di questa operazione teatrale che si è inserita
nel prestigioso cartellone del “Lucca Puccini Days” proprio in esclusiva per la città dell’arborato cerchio.
Il progetto per Così muore Mimì è stato costruito da Cristina Mazzavillani Muti - che ne ha curato la regia, le scene e i costumi
- a partire dalle suggestioni suscitate dall’apparizione di Musetta nell’ultimo quadro de La b ohème, che interrompe lo
sconquassato gioco di Marcello, Rodolfo, Colline e Schaunard (Un di noi qui si sb udella / apprestate una b arella /
apprestate un cimiter / mentre incalza la tenzone / gira e b alza Rigadone) ed è la chiave di volta, il momento inevitabile sul
quale si struttura lo spettacolo: «L’arrivo di Musetta, che sappiamo seguita da Mimì ormai morente, risuona come un colpo di
fucile nel grido di Marcello che l’accompagna. Ma forse non è che l’esplosione di una b omb a ad orologeria, che aveva
cominciato a irrompere fin dai primi momenti sulla scena, da quella prima apparizione di Mimì sulle scale, da quella
candela spenta, da quel respiro affannoso. Una conclusione che rompe tempo e spazio, eppure è stata preparata ad arte
proprio da quella danza sempre più parossistica che si stringe di cerchio in cerchio attorno alle parole sangue, sbudella,
barella, cimiter, così da gran guignolesca diviene macab ra preveggenza».
Prende quindi le mosse dalla Bohèm e questa versione pop dell’opera pucciniana, trasportando l’eterna storia d’amore di
Mimì e Rodolfo e dei loro scapigliati e squattrinati amici nella Parigi di oggi.
La rivisitazione musicale del capolavoro pucciniano è passata sotto le abili mani del M° Simone Zanchini per mano di ottimi
musicisti e cantanti che ne sono stati i protagonisti assieme allo stesso compositore; una fusione di melodia jazz, soul, con
incursioni in ritmi sudamericani assieme a meravigliose improvvisazioni, hanno creato un ambiente bohémien dei nostri
giorni, in un “Café Momus", rivisitato per l’occasione e simbolo proprio di quel luogo della Parigi dei nostri giorni dove si è
consumata l’infame strage.
Musica dal vivo, canto, danza, recitazione, sono stati gli ingredienti di una mise-en scène che per oltre un’ora ha preparato lo
spettatore al dramma finale mettendo in evidenza bravure artistiche nelle varie discipline dello spettacolo che si sono fuse in
una magica e macabra armonia.
In scena, per Così muore Mimì, Franco Costantini (Narratore e autore dei testi) tesse la trama della storia che coinvolge i
protagonisti Mimì (Mariangela Aruanno), Musetta (Giulia Mattarella), Rodolfo (Luca Marconi) e Colline (Paolo Gatti), mentre
il tessuto sonoro del musical b ohèmien è affidato all’ensemble composto dallo stesso Simone Zanchini (fisarmonica),
Mirco Rubegni (tromba), Alessandro Cosentino (violino), Andrea Alessi (basso), Cristiano Calcagnile (batteria) e Alfonso
Santimone (tastiera). Completano il cast gli attori Ruggiero Lopopolo, Ivan Merlo e Davide Paciolla, la danzatrice Miki
Matsuse - storica anima dell’Ensemble di Micha van Hoecke - e i Danzactori di Ravenna Festival Martina Cicognani,
Francesca De Lorenzi, Carlo Gambaro, Giorgia Massaro e Chiara Nicastro.
Ho notato la presenza di due figure che mi hanno suscitato delle sensazioni inducendomi a personalizzarle anche se in
questo passaggio ho chiesto aiuto a chi avesse vissuto più da vicino la preparazione di questo spettacolo: proprio la figura
della danzatrice Miki Matsuse è stato un riferimento direi in maniera poco equivocabile al Pierrot lunaire di Arnold Schönberg
che fu musica di ascolto per il compositore lucchese nel suo periodo di malattia avanzata: una figura quella del Pierrot
Lunaire che fa emergere le caratteristiche di questa maschera con il suo carattere dapprima del poeta romantico come il
nostro Rodolfo, per poi tramutarsi in quello più macabro in preda a fantasie paranoiche per poi dirottarsi in quello burlesco e
surreale, ma senza averne il tempo perché qualcuno gli ha impedito di evolversi fino a quel punto; ed è proprio nel momento
prima della catarsi che sotto lo stimolo delle frenetiche melodie della fisarmonica, proprio quelle fantasie paranoiche
prendono vita nelle movenze della bravissima danzatrice e vanno a trovare l’epilogo sotto i colpi assordanti ed ovattati delle
granate.
L’altra immagine che ha fatto da sfondo e contorno è stata quella dell’attore Ivan Merlo che ha voluto riproporci - credo - la
figura Antonin Artaud ; egli nasce proprio nel 1896, l’anno di Bohème ed è stato il padre, nella sua ricerca di nuove
dimensioni espressive, del cosiddetto Teatro della crudeltà; questa è la sua invenzione più importante e famosa; attraverso
di essa, intendeva scardinare la “tirannia del testo” sullo spettacolo, cercando di raggiungere un livello di teatro integrale,
capace di fondere diverse forme di linguaggio, suscitando anche la partecipazione dello spettatore; questa idea di fusione è
stato l’ingrediente attraverso il quale la regista è arrivata al cuore dello spettatore con un livello di coinvolgimento direi quasi
totale.
Già dalla prime battute del narratore si capisce come
andrà a finire: la voce penetrante, cinica e sarcastica, ma
al contempo rassegnata dell’attore Franco Costantini ci
porta già in una direzione che è determinata dove si
evocano i temi dell’Eros e del Thanatos.
Proprio l’attore Franco Costantini mi ha concesso una
breve intervista dove ho sviscerato con lui alcuni aspetti
della sua vita professionale e di questo spettacolo; vi
ripropongo qui queste veloci battute che ci siamo
scambiati dopo lo spettacolo.
Tu vieni dal teatro di poesia; come ti sei trovato in
questa avventura?
All’inizio quasi timoroso, come talora ci si sente di fronte
a una sfida nuova. Ma poi ho realizzato che ero sempre
nel mio universo, quello della poesia. C’era poesia nelle
musiche di Zanfini, nel pathos di tutti gli interpreti, nelle
luci di Vincent, nel coraggio visionario con cui Cristina
Muti ha promosso la sua idea.
Ho citato all’inizio il tuo primo intervento e l’ultimo… un
prologo e un epilogo: versi tuoi e di Paolo Pingani, quindi
un lavoro a quattro mani?
Sì. Ho iniziato il mio lavoro da solo, in prosa. Poi mi sono reso conto che occorreva un cambio di passo: certi temi dovevano
essere affrontati anche con la capacità evocativa e sublimante del verso. E così ho coinvolto il mio “fratello di penna” Paolo,
squisito poeta che conosco fin dall’infanzia. La vicinanza di Paolo rende più poeta anche me…
Vorrei parlare del rapporto Eros-Thanatos che mi sembra emerga con prepotenza dalla tua recitazione
Sono felice di questo: perché era esattamente la mia intenzione primaria. La Boheme è una storia di Amore e Morte. E Amore
e Morte dovevano essere i protagonisti assoluti anche della sua “rilettura jazz”. Parlare compiutamente di Eros e Thanatos,
però, è complicato. Citare Freud non basterebbe; bisognerebbe anche spaziare nell’antica cultura greca, dal pensiero di
Empedocle al mito di Orfeo ed Euridice. E allora mi limiterò a una battuta: sia la Boheme originale sia questo rifacimento si
svolgono a Parigi; e i francesi chiamano l’orgasmo “la petite mort”, “la piccola morte”.
Alcuni versi sono slegati da quello che succede sul palco. Anche questo è un aspetto Eros-Thanatos?
Vero. Alcuni versi sono mera nostalgia per un amore perduto. Non morto, semplicemente perduto (o addirittura soltanto
“appassito”). Dunque non c’è attinenza diretta con la storia di Rodolfo e Mimì. Ma anche per gli amori perduti occorre una
“elaborazione del lutto”. E il sentimento di perdita nasce contemporaneamente al sentimento amoroso: se si ama, si ha
paura di perdere l’amore. Credo, insomma, che la vicenda di Mimì riguardi tutti gli amori e tutte le morti.
Alla fine di questa avventura cosa hai in più dentro di te e cosa in meno?
Durante l’avventura, ho trovato la “strada lunga e fertile” di cui parla Kavafis nella sua poesia “Itaca”. Ora, ad avventura finita,
ho ritrovato… Itaca, appunto. E mi ritrovo con meno paure, più saggezza e più amici.
Ringraziando l’attore Franco Costantini per la sua disponibilità voglio esprimere un pensiero al termine di questo io articolointervista constatando che questa produzione sia stata sicuramente un’operazione molto “rischiosa” per la terra di Puccini
dove la contaminazione spesso non è cosa gradita, ma che in questa occasione come già in altre avvenute in passato nelle
scorse edizioni del Festival Lucca Puccini Days, ha trovato un riscontro molto positivo da parte del pubblico che ha
riconosciuto il merito di aver reso attuale un capolavoro di centoventi anni fa; un’attualizzazione non forzata, ma naturale che
non ha tolto nulla a La Bohème tradizionale, arricchendo invece i nostri animi di quella consapevolezza necessaria a non
dimenticare quello che è accaduto appena un anno fa; come dice la Mazzavillani Muti, proprio nella lettera indirizzata al Teatro
“… vorrei che l’esperienza di questo spettacolo nel nome di Puccini e della Bohème, diventasse un’opportunità per riscoprire
la nostra capacità di partecipare del dolore, dello smarrimento, della tragedia; soprattutto oggi, quando il volume e la
frequenza della violenza che colpisce proprio i nostri giovani minaccia di intorpidire la nostra sensib ilità”.
Anche tutti noi abbiamo partecipato di quel dolore, in questa serata del 3 dicembre lucchese e per quello che mi riguarda,
sono uscito con mille sollecitazioni che ancor ora sto facendo mie a poco a poco, come a gustare un meraviglioso liquore
centellinandone ogni sorso.
Crediti fotografici: Andrea Simi per il Teatro del Giglio di Lucca
Nella miniatura in alto: la regista Cristina Mazzavillani Muti
Nella sequenza sotto: Ivan Merlo e Miki Matsuse; ancora Matsuse; Simone Zanchini e Giorgia Massaro
Al centro: Franco Costantini
In fondo: istantanea di Andrea Simi su un insieme dello spettacolo